26.02.69 magistrati
BA014 (fino al giro 314 seconda parte della bobina) – BA015
(Interventi di: avv. Francesco Mori, Urbano Cipriani, Enrico Manuelli, Vittorio Falorsi, Vittorio
Tabacchini, Mira Furlani, dr. Onorato PierLuigi, avv. Ugo Paoli, dr. Francesco Onida. Enzo Mazzi,
dr. Marco Ramat, Zio Tom, altre voci non identificate)
Francesco M.: Un gruppo di amici e soprattutto colleghi, avvocati, magistrati con i quali abbiamo
un certo orientamento, un certo orientamento che ci accomuna e che ci ha reso promotori all’interno
delle nostre categorie professionali di un certo discorso. Stasera noi vorremmo qui verificare
insieme a voi quanto di questo nostro discorso ci possa accomunare. In effetti è un momento
particolare quello che noi viviamo. Tutta la società nazionale e non solo in Italia si verificano una
quantità di contasti di movimenti. Sono un po’ come quella crosta di ghiaccio che si rompe in
primavera e che a un certo punto fa venir fuori l’acqua che c’è sotto. Ora i movimenti, le rotture, i
dissensi sono molteplici. Ci sono quelli dei lavoratori, quelli degli studenti. Noi leggiamo sul
giornale, anche sul giornale di oggi, sui giornali di questi giorni che perfino i malati di mente si
agitano negli ospedali. Ed hanno pienamente ragione, fra l’altro, di farlo. E ognuna di queste
rotture, di questi movimenti si propone dei fini non contingenti. Gli stessi lavoratori, quando si
agitano, sovente si agitano non per conseguire le dieci lire in più all’ora. Sono mossi proprio da
ragioni ideali cioè di affermare un vero discorso personale, una loro corresponsabilità nell’ambito
della fabbrica. E così pure avviene in tutti gli altri. Gli studenti vogliono essere messi alla pari, cioè
vogliono avere un loro discorso che sia un discorso che li accomuni a coloro che fino ad ora hanno
tenuto il potere. In sostanza noi assistiamo oggi, non so quanto ce ne rendiamo conto un po’ tutti, al
sorgere di una coscienza di un uomo nuovo: l’uomo del ventesimo secolo o del ventunesimo secolo.
Questo uomo nuovo che cosa si propone. Si propone di verificare alcuni dati che vogliono essere
imposti, imposti come dogmi, verificare, far sentire la propria voce, essere corresponsabili. E questo
è ciò che in definitiva turba di più: è il peccato che viene rimproverato a voi così come agli altri
gruppi, diciamo, dissenzienti. Ora l’incontro di stasera è per noi, di questo gruppo, estremamente
importante. Importante, intendiamoci bene: qui fino ad ora a voi hanno sempre fatto un discorso di
carattere religioso, prevalentemente religioso. Avete avuto tanti gruppi che sono venuti, come con
una parola in voga, a rendere testimonianza, testimonianza a voi di adesione su un piano religioso.
E’ ovvio che stasera noi questo discorso non siamo venuti a farlo perché gli interessi religiosi taluno
di noi non li ha o crede addirittura di non averli. Pur tuttavia ci sentiamo vicini in questa protesta
che è una protesta contro un certo modo, un certo sistema, il sistema dell’autoritarismo. Voi avete
letto, avete verificato quello che dice il Vangelo. In un certo senso il vangelo nostro è la
Costituzione. E noi tentiamo di leggerla e verificarla e interpretarla alla luce appunto della
Costituzione tutto il nostro ordinamento giuridico che sovente non è costituzionale. Tant'è vero che
interviene una Corte apposita, la Corte Costituzionale, a controllare le nostre leggi, leggi che non
sono state date dopo la Costituzione. Non le abbiamo avute dal nostro Parlamento che si definisce
democratico. Magari poi sarà discutibile se lo sia o meno. Usiamo e abusiamo anche di questa
parola. Ma queste leggi risalgono addirittura all'epoca fascista. Cosicché noi quando abbiamo non
vinto ma abbiamo cacciato, quando l'episodio fascista si è risolto, si è risolto fino ad un certo punto
perché le leggi sono restate quelle che erano, particolarmente il Codice Penale, il Codice di
Procedura Penale, Il Testo Unico di Pubblica Sicurezza. E mi riferisco particolarmente a queste
leggi proprio perché sono quelle che hanno avuto applicazione qui fra voi, quelle che hanno
permesso la denuncia, denunzia per determinati reati che sono reati, ripeto, di un codice fascista che
tuttora esiste. Ora come facciamo a collegare questo nodo: Costituzione e legislazione fascista?
Come facciamo cioè a risolvere, a sciogliere questo nodo. E' un nodo assai difficile. E' un compito
che incombe a ciascuno di noi. Tanto più che la nostra Costituzione per un equivoco, per un
compromesso politico che ci fu nel momento in cui la Costituzione fu redatta, c'è un articolo nella
Costituzione, l'articolo 7, che assume quasi in sé i famosi Patti Lateranensi, Patti Lateranensi che
furono invocati e detti come opera estremamente meritoria per la religione cattolica: il Concordato.
Ebbene questo Concordato credo che sia un discorso come sfondare una porta aperta, qui fra di voi,
dire che nessuno di noi ama troppo questo Concordato né è contento di averlo, perché attraverso il
Concordato abbiamo come istituto la Religione di Stato attraverso l'articolo 7 della Costituzione, e
quindi il Concordato tuttora vigente. Abbiamo la Religione di Stato e attraverso la Religione di
Stato questa piramide di potere che soffoca, che ha soffocato tutti voi in questo momento. Il potere
ecclesiastico della Gerarchia religiosa diventa così, attraverso l'articolo 7, quasi legge dello Stato e
il potere temporale dello Stato può arrogarsi il potere di imporlo a tutti voi. Dunque il potere
temporale entra a stabilire se il vostro comportamento sia religioso o meno. Noi abbiamo visto,
attraverso le denunce, che quella che credevamo essere una cerimonia religiosa, quella del 5
gennaio, la Procura della Repubblica come tale non la considera. Qui non siamo venuti per
controllare l'operato di nessuno e fare discorsi su una procedura che è aperta. E' un dato di fatto che
si constata. Cioè quella riunione che noi chiamavamo di preghiera, e pertanto credevamo fosse una
riunione religiosa, non è stata ritenuta una cerimonia religiosa valida. Mentre invece l'unica
cerimonia religiosa valida, questo per la nostra legge o per lo meno per coloro che applicano la
nostra legge, è stata ritenuta quella di monsignor Alba si proponeva di fare. Ora in quel prospetto
che voi avete visto nell'ultimo bollettino avrete letto quello che sono i fini principali del nostro
lavoro, del lavoro del nostro gruppo di avvocati e magistrati. Noi ci proponiamo appunto di
adeguare tutto, di promuovere un discorso politico ed è per questo che noi siamo qui. Non per un
discorso strettamente giuridico, non per insegnare norme perché questa non è la sede, norme di
diritto, né abbiamo nessuna voglia di farlo, ma per dirvi quali sono i nostri fini, fini che vorremmo
diventassero comuni come vorremmo che i vostri fini diventassero un po’ anche i nostri. I nostri fini
sono quelli di adeguare l’ordinamento giuridico al dettato della Costituzione. Noi abbiamo visto,
per quello che dicevo prima, che in effetti talune norme della Costituzione si potrebbero dire
anticostituzionali: l’articolo 7. Però la Costituzione non è fatta solo dell’articolo 7 per nostra
fortuna. Ci sono delle norme che promuovono dei principi fondamentali, dei principi di libertà
personale, i principi di libertà di pensiero, di manifestazione del pensiero e il principio, che interessa
moltissimo voi come per la vostra esperienza, il principio della libertà religiosa. Ed è alla fine di
questi principi che dobbiamo interpretare tutte le altre norme di diritto. Inoltre noi potremmo fare un
discorso più strettamente politico, noi potremmo distinguere la società in cui viviamo in classi: una
classe che detiene il potere, una classe che subisce il potere. Sicuramente voi siete sempre
immedesimati nella classe degli oppressi, degli umili e giustamente e avete voluto attuare il
Vangelo proprio come questa categoria sociale. Ora si impone anche che quelli che operano il
diritto non siano soltanto quelli che provengono da determinate classi, cioè dalla classe già
detentrice del potere. Ad operare il diritto devono essere chiamati una po’ tutti e questo è soprattutto
compito della scuola dal lato educativo che deve essere più possibile aperta a tutti e portare avanti
quelli che finora l’hanno solo subito il diritto E poi stare soprattutto attenti che anche coloro – e già
ce ne sono tra noi – che appartengono alle classi già oppresse, alle classi umili, non siano conglobati
nel sistema. E perciò creare in loro una coscienza politica. E questo è un discorso difficile perché
fino ad ora si è sempre detto che un magistrato non deve avere una coscienza politica. E’ un
discorso che va inteso. Ora con questo non è che dobbiate vedere o pensare i magistrati a fare un
comizio in piazza. C’è coscienza politica, pratica politica. Ci sono varie distinzioni nella vita
politica, nell’essere uomini politici. Però noi vogliamo che il magistrato abbia una coscienza
sociale, il magistrato, l’avvocato, il cancelliere, chiunque opera il Diritto (abbia) una coscienza
sociale perché nelle nostre scuole – e questo mi dispiace, evade un po’ dal tema – nelle nostre
scuole di Diritto la coscienza sociale non ci sta affatto, perché nel liceo si impara l’Orando furioso
ma non si sa nulla del contratto collettivo dei metalmeccanici che pure interessa centinaia di
migliaia di persone. E questa io chiamo coscienza sociale. E non solo la conoscenza di determinati
testi fondamentali ma anche il conoscere le condizioni di chi vive e opera nelle classi più umili, chi
lavora in fabbrica. Sia i magistrati che gli avvocati escono dalle loro scuole, lunghissime scuole, da
tanti anni di studio, senza saperne niente. Vi ho illustrato un pochino i nostri fini. Ora vorrei che il
dibattito fosse quanto mai aperto. Ci sono questi miei amici qui con me: magistrati e avvocati e
cancellieri ai quali potete rivolgere le vostre domande. E’ un uso che conoscete benissimo, a cui
siete abituati da una lunga consuetudine. E’ un po’ il merito di questa Comunità l’aver aperto il
discorso. Con questo io ho finito.
Urbano C.: Noi ringraziamo l’avvocato Mori di quello che ci ha detto e salutiamo tutti questi nostri
amici e fratelli - veramente li sentiamo tali – che sono venuti e non si può dire neppure che ci
scusiamo ad accoglierli così poveramente: neppure una sedia si riesce a trovare loro perché questa
nostra situazione è dovuto proprio alla giustizia per la quale noi ci siamo battuti e che sta tanto a
cuore a loro particolarmente perché è la loro materia professionale, se così si può dire. Mori, noi si
avrebbe piacere anche, magari, se tu ce li presentasi, brevemente.
Francesco M.: Dunque alla mia sinistra c’è l’avvocato Paoli; il ‘priore con la barba’ è il pretore
Ramat della Pretura; accanto a lui c’è il pretore Deidda e qui alla mia destra il giudice Onorato che
esercita a Prato, al tribunale di Prato. Poi ci sono il cancelliere Cosentino, l’avvocato Del Bianco,
l’avvocato Pellegrino che è qui con la moglie e altri che io non vedo. Ecco, il professor Onida
dell’Università di Firenze, l’avvocato Frediani Pochini e altri, Merlini docente all’Università di
Diritto Costituzionale. Gli potete fare delle domande specifiche a cui potrà essere particolarmente
adatto a rispondere. E allora posiamo dire, ora noi che siamo qui intorno fare spazio davvero e se si
può trovare anche una sedia perché se la meritano. E poi si può dire questo: che mai ci siamo sentiti
così tranquilli, a parte la fede che solo don Mazzi ci ha insegnato, la quale è fuori discussione, ma
insomma stasera… Ora ci si dispone un po’ in ordine facendo meno rumore possibile. Si può
cominciare a fare delle domande.
Enrico M.: Vorrei fare una domanda. Io ho un bambino di sette anni che va a scuola. Per il giorno
della festa della pace a scuola fu dato un libretto dove c’era scritto “I diritti dell’uomo”. Questo
bambino prima l’ha letto lui e poi l’ho letto io. A un certo punto dissi: speriamo che sia vero tutto
quello che c’è scritto qui sopra. Ecco ora succede il fatto: lì c’è scritto libertà di riunione, libertà di
culto, c’è un monte di libertà. Ecco, come posso fare: se mi presento in tribunale con questo libretto
in mano cosa mi dicono?
Urbano C.: Altri che vogliono parlare? Vittorio.
Vittorio F. (invalido). Io volevo fare una domanda semplicemente sull’articolo 38 il quale prevede
l’assistenza dello Stato. E non si vede come venga attuato questo articolo 38 il quale dice che lo
Stato deve pensare agli invalidi civili per il mantenimento, per il lavoro, per la scuola, eccetera. E
fino a ora è stato fatto poco o quasi niente sia per il mantenimento – ci mantengono nelle Pie Casa
di lavoro, il Cottolengo eccetera - .Volevo sapere da voi se questo è giusto oppure no.
[Si sentono varie voci confuse che reclamano per la non funzionalità del microfono. Alcuni interventi, come questo,
sono poco comprensibili.]
Urbano C.: Io vorrei che la ripetesse al microfono la domanda, così la sentono quelli che sono nelle
baracche, la domanda che ha fatto ora questo fratello invalido.
Mori F.: La domanda che ha fatto Funaioli è una domanda relativa all’articolo 38 della Costituzione
che assicura ai cittadini inabili al lavoro il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale e al
reinserimento nella società, nella comunità. Ora questa è una domanda un pochino particolare,
riguardante alcuni casi tipici. Non so se sia proprio oggetto del dibattito di questa sera.
Vittorio T.: Io vorrei sapere con quale giurisdizione, diciamo così, (si) definisce che il culto fatto da
monsignor Alba è valido ai fini del culto cioè a dire al culto nel senso religioso, e quello fatto dalla
Comunità dell’Isolotto non n è valido come culto religioso. Chi è che può dare una giustificazione
valida della differenziazione del culto. Questo fatto ci preoccupa in quanto constatiamo che in
contraddizione con quelle correnti di conservatorismo che noi vediamo nel tipo Florit, vediamo poi
che c’è qualcuno, dello stesso grado nella gerarchia ecclesiastica, che invece mette su una posizione
di vero culto il nostro, cioè a dire la linea dell’Isolotto.
Urbano C.: Vittorio ha domandato con quale criterio si può giudicare valevole il culto di don Alba e
non valevole come culto il nostro che magari si faceva - dico così semplificando. Mira, poi
chiudiamo le domande.
Mira F.: Riguardo a quello che ha detto Vittorio io vorrei dire di più. Cosa significa la volontà di
una maggioranza rispetto alla volontà di un individuo. Mi riferisco a questo fatto concreto successo
all’Isolotto il 4 e il 5 gennaio. La maggioranza del popolo dell’Isolotto, tremila persone, hanno
espresso una volontà unanime: la sera del 4 di non essere provocate nella propria chiesa, il giorno 5
alla richiesta se volevamo o no la messa hanno detto “no”. Ora sono giunti dei mandati di
comparizione e quelli che hanno parlato il giorno 4 sono stati denunciati di “istigazione a
delinquere” con gli aggravanti. Il giorno 5 alcune persone, individuate dalla polizia politica in
borghese, ritenute responsabili chi sa perché sono stati accusate di impedimento di funzione
religiosa, alcuni. Altre persone presenti il 5 si sono dichiarate corresponsabili. A tutt’oggi vengono
chiamate e interrogate dalla polizia per via dell’Isolotto. E chiedo: un popolo che ha manifestato
una volontà di fronte a un solo uomo che voleva imporre la propria: la nostra Costituzione, la nostra
Italia democratica cosa difende?
Urbano C. [Ripete al microfono, allargandola un po’, la domanda di Mira F. che parlava lontano dal microfono e
quindi di difficile comprensione. La trascrizione sopra riportata è delle parole di Mira per quello che si riesce a capire
dalla registrazione].
Mira penso che tu sia arrivata al nocciolo.
Mira F.: Il nostro Codice cosa difende, in definitiva, la volontà di un popolo? La “democrazia” in
Italia cosa significa?
Onorato: Mi pare che le due ultime domande sul criterio di discriminazione e di giudizio fra il culto
di monsignor Alba e le forme cultuali che voi mandavate avanti, in particolare l’ultima che meglio
articolava questa distinzione fra i due culti: un culto incentrato sulla partecipazione di tutto un
popolo, di tutta una comunità e un culto invece incentrato più che altro su una funzione ministeriale
intesa come funzione autoritativa. Due domande che centrano di più la vicenda che voi, come
Comunità dell’Isolotto, avete vissuto e sperimentato. E sono domande che ognuno, che ogni
cittadino e ogni giurista che abbia seguito questa vicenda, se pure dall’esterno come noi, non
possono non essersi poste. Perciò vorrei appunto rispondere a questa domanda qui, esprimendovi le
considerazioni che io, come uomo di legge e come cittadino posso e, secondo me, debbo fare, e
forse anche, in un secondo tempo, allargando un tantino il vostro discorso. Dunque mi pare che la
situazione sia in questi termini qui. C’è un Diritto Canonico, che voi conoscete se non altro per
averlo patito, che dice che certe funzioni religiose sono svolte con un determinato rituale, rito latino
che si è venuto così stratificando nella storia fino ai giorni nostri, e che sono guidate queste forme di
culto, queste funzioni religiose sono guidate da un ministro sacerdotale che è appunto il sacerdote,
un ministro che ha la funzione più che altro – diciamo così per intenderci – autoritativa nella
funzione stessa. Il soggetto primario della funzione è il ministro, il sacerdote. Il sacerdote è uno
solo. E non il popolo. Il popolo ha più che altro una funzione subalterna, passiva. Questo in parole
povere è il Diritto Canonico, senza possibilità di equivoci. Quindi il culto nel Diritto Canonico è
inteso come una partecipazione esterna di una comunità ad una funzione esercitata da un soggetto
che è il sacerdote. C’è nel Diritto italiano una norma del Codice Penale, che è appunto un codice
penale di estrazione fascista, la quale punisce le turbative delle funzioni religiose. Ora io credo che
questa norma storicamente abbia questo senso qui: difendere le funzioni religiose dalle turbative
esterne: un gruppo di antiteisti, di atei che vuole turbare una funzione religiosa, secondo questa
norma o secondo questa tradizione giuridica, deve essere punita. Tutta questa tradizione storica che
si è concentrata in questa norma io la chiamerò la tradizione del giurisdizionalismo, cioè una
tradizione per la quale lo Stato ha giurisdizione anche in materia religiosa . In questo senso dico
tradizione giurisdizionalista. Lo Stato interviene in materia religiosa regolandola con proprie leggi.
Questa mi pare che sia la situazione attuale. Ora credo che anzitutto bisogna cercare di capire,
secondo me, che senso ha o che senso ha avuto, perché adesso secondo me non lo ha più, questa
tradizione giurisdizionalista, cioè che uno Stato intervenga a regolare fenomeni religiosi presi come
tali e non come fenomeni sociali in genere. Io credo che questo oggigiorno non ha più senso ma un
tempo, parlo per esempio nel medioevo, aveva nient’altro che il significato di garantire
giuridicamente quel connubio tra i due poteri, statale e ecclesiastico, che storicamente si verificava.
Ora questo connubio tra queste due autorità, questa coordinazione delle due autorità si
concretizzava giuridicamente in questa tutela dello Stato alla Chiesa e al fenomeno religioso, una
forma di tutela che naturalmente non era disinteressata, perché la tutela dello Stato al fenomeno
religioso, al fenomeno Chiesa era una tutela che conveniva alla autorità statale, io credo, in quanto
configurava una tutela di una società giuridica costituita autoritativamente che veniva in definitiva a
giocare un ruolo di favore anche per l’autoritarismo statale. Ora, dopo un certo periodo storico che è
quello del liberalismo ottocentesco in cui si affermava la libertà religiosa dei cittadini, la libertà
religiosa civile, libertà in ogni caso, il fenomeno religioso veniva a perdere ogni sua funzione
specifica e non ha più senso che sia regolato da norme statali in quanto fenomeno religioso. Ormai
per questa tradizione del liberismo ottocentesco e poi per il Concilio il fenomeno religioso è un
fenomeno che non ha titolo alla giurisdizione statale, alla regolazione giuridica da parte dello Stato.
Il fenomeno religioso deve essere regolato come tutti gli altri fenomeni sociali. Quindi, detto in
parole povere, non ci dovrebbe essere più, tanto per dire, il vilipendio alla religione, ci dovrebbe
essere semplicemente il reato di oltraggio e il reato di ingiuria. Non ci dovrebbe essere più la
turbativa di funzione religiosa ma ci dovrebbe essere , per esempio, il reato di violenza privata. Ora
quindi credo che a questo punto noi, vero, siamo consci che una normativa, una legislazione di
questo genere che punisce ancora la turbativa delle funzioni religiose è una normazione ormai
sorpassata, sorpassata da questo spirito del liberalismo ottocentesco che poi è stato raccolto nella
Costituzione nonostante l’articolo 7 e superato anche dal Concilio. Però io credo che in questo
senso noi ci siamo resi conto, voi vi dovete rendere conto quale ruolo ha la norma che vi ho citato
che [ interruzione per cambio di bobina ] quelle che sono le dinamiche del fenomeno religioso. Che ruolo ha?
Veramente un ruolo repressivo perché vuole cristallizzare, vuole impedire una libera evoluzione
della funzione religiosa, delle dinamiche religiose. In effetti si è verificato col Concilio e voi avete
sperimentato. Cioè che cosa è successo? E’ successo che voi avete sostituito – e qui vengo più
esattamente alle domande – a un culto, secondo me, individualistico o autoritaristico a un culto non
partecipato un culto invece più partecipato, addirittura non solo più partecipato ma un culto in cui il
sacerdozio non è più monopolizzato in un individuo che è il sacerdote ma è diffuso nel popolo che,
secondo il Concilio, è sacerdote, partecipa alla funzione di sacerdozio. Quindi la funzione religiosa
è una funzione comunitaria. Ora si vede bene che, secondo me, quella norma lì, che tutela le
funzioni religiose, è una norma che può essere interpretata avendo presente questa nuova realtà che
voi, che il Concilio porta avanti, cioè questa modificazione del significato di funzione religiosa. Io
credo che noi magistrati non dobbiamo a un certo punto interpretare questa norma così, in un modo
troppo storicamente sorpassato cioè come tutela di una certa funzione religiosa che è cristallizzata
nel Diritto Canonico, cioè di modalità di culto che sono cristallizzate nel Diritto Canonico. No.
Bisogna che noi interpretiamo questa norma avendo lo sguardo diretto a quella che è la funzione
religiosa come oggi si viene sperimentando. Altrimenti questa norma non viene ad avere più una
funzione di tutela della libertà religiosa come aveva all’inizio ma viene ad avere una funzione
semplicemente di avallo di un certo autoritarismo religioso. Invece non deve avere più questa
funzione. Deve avere una funzione di tutela della libertà religiosa e in questo senso, secondo me, è
possibile e doveroso che non si interpreti la funzione religiosa semplicemente come un rinvio al
Diritto Canonico in quel senso là, ma in un senso appunto nuovo, secondo quello che la realtà
sociale o ecclesiastica o ecclesiale porta avanti. Però voi vi dovete rendere conto di questo, che in
definitiva lo sbocco, secondo me doveroso, di esperienze come quella vostra dovrebbero veramente
portare ad abbandonare quella prospettiva giurisdizionalista, cioè dovrebbe portare ad una
situazione in cui non ci siano più norme come quelle in cui voi siete incappati che bloccano la
vostra libertà di sperimentazione religiosa. Non devono bloccare. Come si fa? In definitiva forse
anche questo nostro incontro così è un modo per lo meno di sollecitare certe prese di coscienza.
Questo è il punto. Comunque io dico, per riassumere brevemente questo discorso troppo lungo, e
me ne scuso innanzitutto con voi, io dico questo: quella norma in cui voi siete incappati è una
norma che deve essere interpretata, come diciamo noi, in senso evolutivo, cioè una norma che deve
avere riguardo non a quella funzione religiosa interpretata secondo il Diritto Canonico che ormai è
superata dal Concilio ma a un nuovo tipo di funzione religiosa che adesso la teologia, la pastorale,
tutte le cose stanno portando avanti. Questo per prima cosa. Secondo: anche facendo questo rimane
un residuo problema che è quello che la norma, come tale, viene a bloccare un certo assetto, viene a
cristallizzare appunto una certa dinamica, come appunto ho detto prima, e quindi è bene che non ci
siano troppe norme che regolino il fenomeno religioso in quanto tale. Ci devono essere delle norme
comuni. Questo è il senso della mia risposta alla domanda che mi pare sia una domanda abbastanza
centrale. La risposta non lo so.
Urbano C.: Ora ci può essere un’altra domanda. C’è un’altra domanda.
Vittorio T.: Sul fatto che il contributo che dà la Comunità ai fini della creazione dello stabile, della
chiesa diciamo così. E sulle dichiarazioni che fa la Curia nei confronti del popolo che la chiesa è del
rione, di tutti. Naturalmente in questo caso noi ci troviamo sul fatto, cioè a dire: dare i quattrini per
la costruzione della chiesa, però la chiave della chiesa è di loro, non è della Comunità. Di fronte a
questo fatto qui noi come ci dobbiamo contenere? Qui ci dovrà essere anche una questione che
tutela gli interessi del cittadino per non essere truffato. Perché questa è una truffa.
Urbano C.: La questione dei diritti del popolo a riguardo ella proprietà della chiesa in quanto è
acquistata in parte con le offerte.
Onida: Mi sembra che l’ultima domanda che è stata fatta si ricolleghi a quanto prima diceva il
giudice Onorato e che io mi permetto un pochettino di integrare. La domanda ultima la ripeto per
chiarezza. Praticamente domanda: che cosa ne facciamo del fatto che la chiesa in parte ce la siamo
pagata noi e quindi dovrebbe essere nostra mentre ci troviamo buttati fuori da questa chiesa? C’è un
fatto anche di proprietà ad un certo punto. Questo è un punto importante. Mi ricollego al discorso
precedente. Quello che diceva il giudice Onorato è giustissimo: devono sparire le norme statali in
materia religiosa. D’accordo. Ma non crediate che se anche sparissero voi non sareste incriminati,
cioè quelli incriminati che ci sono non lo sarebbero. Lo sarebbero lo stesso. Lo sarebbero riguardo a
delle norme comuni e cioè a quelle che tutelano la proprietà dell’edificio chiesa, per cui una
occupazione dell’edificio chiesa, un impedimento a svolgerci una certa attività è ugualmente un
reato, un fatto incriminabile. Il punto è che voi state lottando su un doppio fronte. L vostra lotta è
cominciata all’inizio come una lotta nell’ambito del Diritto Canonico, cioè per trovare delle forme
nuove di culto e perché vi fossero mantenute quelle forme che ormai da parecchio tempo
sperimentavate. A un certo punto –è interessante anche rilevare questo - solo a un certo punto è
venuto fuori il dramma cioè il rito in quella maniera lì ve lo lasciavano esplicare. Solo quando ci
sono state certe prese di posizione anche politiche, naturalmente i fatti di Parma, eccetera, è venuto
fuori il pasticcio in cui vi trovate adesso. A un certo punto lo Stato interviene. Oggi lo Stato è
intervenuto sulla base di quella norma “la turbativa di funzione religiosa” che è una norma speciale
in materia religiosa. Vi dico però che poteva intervenire ugualmente se pure con pene diverse
semplicemente per i fatto che c’era l’occupazione dell’edificio chiesa. E questo come mai? Al solito
perché non c’è nessuna rilevanza, è sconosciuto attualmente al vecchio Diritto Canonico il fatto che
il popolo dei fedeli abbia una sua funzione nella funzione religiosa e che non ci sia soltanto il
sacerdote. Voi però non è che non avete la vostra libertà di culto e quindi quella domanda che
diceva: il culto di monsignor Alba è diverso dal culto di don Mazzi e l’uno è più valido dell’altro.
Questo non è che voi esercitando il culto di don Mazzi non esercitereste un valido culto. Il fatto è
soltanto che vi si impedisce di esercitarlo nella chiesa. Cioè si fa appiglio proprio al fattore chiesa,
in questo caso, come elemento per fare scattare la legge dello Stato. Siccome la Chiesa cattolica e la
Gerarchia della Chiesa cattolica non è in grado di costringervi ad un certo comportamento fa
ricorso, si serve del cosiddetto braccio secolare, si serve della forza dello Stato che vi può mettere in
prigione, utilizzando ora una norma sulla turbativa di funzione religiosa e comunque lo potrebbe
fare utilizzando la norma relativa alla proprietà della chiesa. Questo quindi è un punto importante.
La chiesa di chi è? La proprietà dell’edificio chiesa di chi è? Qui il problema purtroppo non è di chi
l’ha pagata ma a chi è intestata. Qui è un fato giuridico molto banale perché indubbiamente se la
proprietà della chiesa fosse vostra voi lì potreste continuare a tenere le vostre riunioni e tutto quello
che vi pare. Il fatto è che la chiesa non è vostra giuridicamente. Anche se avete pagato voi. Questo
è un fatto a cui doveva esser pensato precedentemente oppure può il Diritto Canonico cambiando
però, bisognerebbe che cambiasse, desse una rilevanza al popolo dei fedeli, addirittura per evitare
che lo Stato continuamente entri di mezzo, intestando al popolo dei fedeli l’edificio chiesa.
Attualmente però così non è e quindi mi sembra giusto dirvi che possono cadere tutte le norme dello
Stato in materia religiosa, resterebbero comunque delle norme comuni dello Stato attraverso le
quali incriminarvi lo stesso. Ci sono dei casi in cui il Diritto è vecchio. questo è chiaro però è
ancora quello che può essere fatto valere dalla parte che se ne avvale, cioè a quello a cui torna
comodo quel diritto lì. E allora in questi casi l’unica cosa è la lotta contro il Diritto. Voi siete in
questa situazione e c’è poco da fare. Noi vi possiamo auspicare dei giudici che diano una
interpretazione delle norme la più benevola possibile, però non c’è dubbio che, entro certi limiti
soltanto un fatto proprio di lotta, accettando dei sacrifici e delle responsabilità, permette di superare.
Mira F.: [La domanda è fatta lontano dal microfono e non è comprensibile. Il professore Onida
riporta, sintetizzando, la domanda.]
Onida : Mira chiede prima di tutto di chiarire un problema giuridico. Quando avvenne
l’incriminazione per turbativa di funzioni religiose c’era cinque sacerdoti dalla nostra parte per così
dire, e un solo sacerdote dall’altra parte, per di più non autorizzato. Quindi, forse, la situazione dal
punto di vista giuridico potrebbe non essere così chiara a favore di quell’unico sacerdote contro la
massa dei cinque sacerdoti più tutto il popolo dall’altra parte. Conclude la sua domanda con una
ulteriore considerazione e cioè se la Chiesa a questo punto rivela di stare, di essere fondata sul
Diritto canonico oppure piuttosto di essere veramente la Chiesa di Dio.
Io credo di poter rispondere soltanto alla prima domanda perché la seconda è proprio un fatto vitale,
cioè la Chiesa evidentemente si muove in continuazione. Il guaio sarebbe se stesse ferma. Però chi
la fa muovere, come al solito, non è la gerarchia ma il movimento della base. Quindi su questo
piano chi la fa muovere siete voi. Però il movimento produce una norma successivamente alla lotta
e fino a quel momento i fondamenti sono quelli del vecchio Diritto canonico finché non lo si è
cambiato. Ma vengo alla prima domanda che è quella alla quale posso di più rispondere. Su questo
punto mi sembra che a Mira deve esser data ragione. Secondo me qui il discorso ci interessa molto
perché ci pone proprio in causa come gruppo che si batte per un certo tipo di impostazione, di
interpretazione delle norme. Noi tutti, credo di interpretare anche il pensiero dei colleghi presenti,
siamo dell’avviso che la norma di turbativa di funzione religiosa potrebbe avere, come diceva
dianzi il giudice Onorato, attualmente dovrebbe avere tutta un’altra interpretazione perché
certamente ben diverso è il caso in cui una funzione religiosa viene turbata veramente nel senso che
viene un cretino dal di fuori e impedisce che si tenga una funzione religiosa dal caso in cui coloro
che vogliono fare le funzioni religiose cioè la parrocchia, i parrocchiani stessi vogliono condurre le
funzioni religiose in certo modo però, quello che gli è sempre stato detto essere il modo giusto di
condurle. Ora in questo caso io credo che un magistrato socialmente impegnato, che fosse conscio
di certi problemi, potrebbe interpretare questa norma dicendo che non si applica in questo caso
perché qui non c’è una turbativa di funzione religiosa perché la funzione religiosa si sarebbe
concretata soltanto se voi l’aveste voluta. Il discorso sulla autorizzazione di monsignor Alba è un
discorso anche di fatto. Io non so esattamente come stanno le cose. Comunque anche da quel punto
di vista lì certamente penso che quell’incriminazione potrebbe, se guidata da un certo tipo di
giudice, cadere. Certo qui viene in gioco il fatto che se i giudici sono degli uomini cioè soggetti
certamente alle loro vedute politiche, cioè politiche nel senso più ampio della parola, cioè nel senso
proprio di essere uomini impegnati socialmente. Purtroppo si può essere impegnati in tanti sensi. E
se voi lo trovate in modo o in un altro questa è una questione purtroppo anche di fortuna. Ma è più
facile la sfortuna perché quelli che la pensano così sono una minoranza.
Urbano C.: Qui è arrivata una domanda con un biglietto. Anzi se qualcuno non ce la facesse oppure
è fuori ed ha una domanda che gli urge fare, può anche mandare un biglietto, se crede. “Come si
considera – leggo – l’atteggiamento generale della Costituzione che è espressione della volontà
popolare con i Patti Lateranensi che vi sono inseriti e che non sono rappresentazione della volontà
popolare”.
Onorato : Io non vorrei rispondere. Siccome nessuno ancora dei miei colleghi prende la parola,
lascio la parola poi ad uno dei miei colleghi per rispondere all’ultima domanda. Però vorrei dire
soltanto un’altra cosa a proposito della precedente domanda cioè sul diritto di proprietà sulla chiesa.
Io credo che questa domanda riveli un nodo centrale della vostra esperienza cioè quello
dell’autonomia finanziaria della Chiesa, della religione e dei fenomeni religiosi in genere.
Autonomia finanziaria che il Concordato invece nega. In pratica cosa succede? Proprio a norma del
Concordato lo Stato contribuisce, perché lo Stato contribuisce, alla costruzione delle chiese al
mantenimento attraverso le famose congrue, che forse voi conoscete, dei sacerdoti e via dicendo.
Evidentemente questa forma di contributo è un privilegio che richiede anche una contro prestazione,
cioè un privilegio della religione cattolica a norma del Concordato vigente che poi si ritorce in una
forma di interferenza interna. Il vostro caso è proprio un caso in cui questa interferenza è scoppiata.
In definitiva il vostro caso Isolotto è nato dall’occupazione del duomo di Parma in cui si denunciava
proprio il contributo di una certa banca alla costruzione delle chiese. L’ultimo caso, quello dello
sfratto dei due inquilini o comodatari della canonica si inserisce proprio in questo problema
dell’autonomia finanziaria. Quindi una soluzione a livello legislativo, purtroppo a livello politico, a
livello giuridico cioè a livello dell’interpretazione delle norme esistenti credo non ci sia, ma la
soluzione a livello legislativo è proprio nell’abolire appunto questo: il modello concordatario dei
rapporti fra Stato e Chiesa in cui lo Stato interviene a finanziare la Chiesa e la Chiesa deve essere
succube, condizionata da questo intervento dello Stato. E vorrei dire anche un’altra cosa soltanto.
Se noi, o voi insomma, come presa di coscienza e come richiesta popolare diciamo che si deve
abolire il Concordato, che si deve abolire l’intervento giurisdizionale dello Stato nei fatti della
Chiesa facciamo dei passi avanti notevoli. E io non credo che se in una situazione quale quella
vostra non ci fosse stato appunto l’intervento giurisdizionale dello Stato, non ci fosse stato il
Concordato non so se sarebbero arrivati i mandati di comparizione, se il giudice dello Stato italiano
sarebbe intervenuto. In questo dissento un po’ con quello che ha detto Onida perché, forse esprimo
un’impressione soltanto personale, come si può vedere la violenza privata cioè il reato di diritto
comune e non il reato di diritto ecclesiastico qual’è la turbativa di funzione religiosa ma quello di
diritto comune, la violenza privata, nel fatto avvenuto il 5 dicembre nella vostra chiesa? Violenza
privata perché? Perché c’era un individuo che voleva celebrare la messa in certo modo e c’era la
maggioranza che la voleva celebrare in un altro? Ecco, allora la violenza privata sarebbe in ogni
manifestazione assembleare in cui c’è una maggioranza e una minoranza. Vedete bene che
l’abolizione di queste specifiche norme religiose aumenta anche il margine della vostra libertà di
credenti, perché credo che in questo caso un’ assemblea come quella vostra in cui la maggioranza
dice che la funzione cultuale deve essere in certo modo e non come la intende monsignor Alba, una
assemblea di questo genere, secondo me, non può esser vista come una violenza privata contro
monsignor Alba e quindi non potrebbe integrare gli estremi del reato e quindi non sarebbe
intervenuto il magistrato. Quindi per concludere insisto sempre su questa prospettiva, su questa
indicazione: in definitiva abolire il giurisdizionalismo e il Concordato e, nella specie instaurare
l’autonomia finanziaria della Chiesa. Al limite un popolo credente è un popolo che si autofinanzia
da sé, che autofinanzia da sé i propri sacerdoti e in una prospettiva molto lontana che si costruisce
da sé le sue chiese, che è libero padrone della sua chiesa, che non sarà la chiesa monumento, ma
sarà la chiesa stanza, la chiesa nel popolo insomma.
Paoli: Per rispondere all’ultima domanda che poi non è una domanda isolata ma si ricollega un
poco a diverse domande. Voi l’avete ascoltata questa domanda: come si concilia l’atteggiamento
generale della Costituzione che è espressione della volontà popolare con i Patti Lateranensi che vi
sono inseriti e che non sono rappresentazione della volontà popolare. Bisogna ricordare come è
sorto storicamente l’articolo 7 della Costituzione Fu un compromesso dell’Assemblea Costituente,
un compromesso che si disse operato per la pace religiosa, cioè per evitare che le forze in contrasto
nell’Assemblea Costituente polarizzassero i loro contrasti proprio sul problema religioso. Forse
oltre che il problema della libertà religiosa vi fu anche un problema politico, cioè di non porre
alcune formazioni politiche in un contrasto troppo netto e troppo aspro tra di loro. Però è certa una
cosa: che l’articolo 7 della Costituzione se ha recepito il Concordato e il Trattato nell’ordinamento
giuridico costituzionale italiano non gli ha dato la stessa posizione, lo stesso livello delle altre
norme costituzionali perché nella Costituzione è scritto che la modifica dell’articolo 7 può avvenire
con una procedura ordinaria, cioè non ha necessità della procedura di revisione costituzionale. Ora
però nella Costituzione non c’è soltanto l’articolo 7 che si occupa dei rapporti tra Stato e Chiesa e
nell’ordinamento giuridico italiano non c’è soltanto la Costituzione e non c’è soltanto il Codice
Penale che si occupa dei rapporti tra Stato e Chiesa. Vorrei essere più preciso su questo punto: tra
Stato e religione. Perché non esiste un rapporto tra Stato e Chiesa perché un rapporto tra Stato e
Chiesa sarebbe un rapporto di poteri. Esiste un rapporto tra Stato e religione. Ora le varie norme del
nostro ordinamento giuridico che si occupano dei rapporti tra Stato e religione sono anche norme
internazionali. C’è stato uno che ha domandato che significato avessero i diritti dell’uomo. I diritti
dell’uomo sono una convenzione internazionale che è stata approvata alle Nazioni Unite nel 1948,
che è stata ripetuta in Europa con il Trattato di Roma sulla Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo nel 1955 che è riprodotta, anzi riproduce, perché è posteriore nel tempo, moltissime
norme della nostra Costituzione. Cosa si dice a proposito della religione in questi documenti
legislativi che, intendiamoci, sono trattati di diritto internazionale, ma sono recepiti
nell’ordinamento giuridico italiano perché il Parlamento ha detto che queste Convenzioni fanno
parte dell’ordinamento giuridico italiano? Cosa c’è scritto, cosa c’è detto, in queste disposizioni
delle Convenzioni internazionali, della Costituzione? C’è scritto che nel nostro, così come in tutti i
paesi civili esiste la libertà di culto, la libertà di culto che ha due significati. Il primo significato che
ognuno è libero di credere, di pregare, di avere la fede religiosa che ritiene giusto di avere. Il
cattolico ha diritto di essere cattolico, l’ebreo ha diritto di essere ebreo, il musulmano ha diritto di
essere musulmano. Il secondo aspetto della libertà di culto è questo: che lo Stato non può interferire
nelle questioni religiose perché tutte le religioni sono eguali tra di loro. Intendiamoci bene. Io vorrei
chiarire un concetto. Quando si parla di eguaglianza in un paese come il nostro, dove la religione
cattolica è tradizionalmente la religione dello Stato, non significa pigliare la religione cattolica e
portarla in basso, cioè fare scendere la religione dello Stato al livello più basso delle religioni
tollerate, come diceva lo Statuto Albertino, significa portarle in alto, perché la conquista
dell’eguaglianza per le opinioni e per gli uomini non è un perdere di prestigio, è acquistare
prestigio, perché essere eguali di fronte alla legge è una posizione più dignitosa che essere
privilegiati. Ora io penso che quando si parla di religione dello Stato, quando cioè si pone la
religione sotto la tutela delle leggi dello Stato, la religione non si innalza, si abbassa, la si riduce alla
condizione di religione privilegiata, cioè che esige una protezione per far fronte ad altre
manifestazioni, ad altre opinioni religiose. Invece chi è religioso io credo che desideri una cosa: che
la sua religione viva e sia la vera religione perché lo è e non perché ha la tutela della legge.
Un altro concetto che c’è nel nostro ordinamento giuridico e che sembra al di fuori del problema dei
rapporti tra Stato e religione, e che invece per me è importantissimo, è quello dell’ordine pubblico.
L’ordine pubblico non è come in un vecchio detto che ha avuto fortuna e purtroppo tragica fortuna
perché è stato ripetuto attraverso due guerre: “L’ordine regna a Varsavia”. L’ordine non è la quiete ,
non è il silenzio, non è l’oppressione. L’ordine è la tutela dei diritti. Quando lo Stato si assume
l’impegno dell’ordine pubblico non si assume l’impegno della quiete, non si assume l’impegno
della tranquillità ma si assume l’impegno di assumere la libera manifestazione dei diritti. Scusate
queste premesse forse di carattere un po’ generico ma vengo subito a concludere proprio su quello
che è stato detto dai miei amici. Come possono essere utilizzati questi principi rispetto al problema
che vi interessa? E’ veramente questione di interpretazione di una norma del Codice Penale e di
interpretazione di eventuali norme del Diritto comune? Noi dobbiamo ridurre la vicenda
dell’Isolotto al problema direi schematico che è stata turbata una funzione religiosa o se è stata
compiuta una violenza privata con un reato comune nei confronti di un sacerdote? Io credo che il
problema dell’interpretazione della legge debba andare più in là. E cioè, quando si tratta di
interpretare la legge noi, e dico noi avvocati, magistrati e tutti coloro che nella legge operano e
credono, noi dobbiamo ricordarci che la legge è costituita da molte norme e che le norme
costituzionali e le norme internazionali hanno una prevalenza. Ora, quando nel nostro ordinamento
costituzionale e nelle leggi internazionali che lo Stato italiano ha accettato è scritto che il culto è
libero, che il sentimento religioso è inviolabile più che il domicilio perché nel domicilio si può
entrare con un mandato di perquisizione, nella coscienza non entra nemmeno il mandato di
perquisizione. Dunque se è vero che il sentimento religioso è inviolabile veramente, si può dire che
lo Stato ha il diritto, o sotto forma di turbativa della funzione religiosa o sotto forma di conflitto di
diritti comuni, di intervenire in un conflitto interno che è quello di una assemblea religiosa ? Io
credo che quando il Concilio ha dato alla messa la forma e la sostanza di assemblea ha innovato
anche sostanzialmente su questo punto. Veramente lo Stato ha il diritto di intervenire e risolvere
questo conflitto interno che è e che resta un conflitto interno? Io vorrei spogliare la vicenda
dell’Isolotto da certi aspetti canonici ed ecclesiastici e fare l’ipotesi che il problema dell’Isolotto
fosse quello di una Comunità religiosa che io conosco e che vive nell’Ohajo, una comunità di
mormoni i quali vivono una vita tutta particolare, hanno credenze tutte particolari, si riuniscono in
assemblee religiose secondo delle direttive loro particolari. Non si tratta di accettare o respingere
quella forma religiosa o di considerarla migliore o peggiore. Se l’Isolotto, invece di essere una
comunità cattolica, fosse una comunità di mormoni i quali non vogliono attaccarsi i bottoni alla
giacca perché il bottone è fatto dalla macchina e accettano solo le cose fatte dalla mano dell’uomo,
che vogliono riunirsi in assemblea religiosa senza la partecipazione di un sacerdote perché la
preghiera è comune, se lo Stato intervenisse in un conflitto insorto all’interno di questa comunità, di
questa assemblea, ma che diritto avrebbe di intervenire? Che diritto avrebbe di dar ragione ad una
maggioranza o a una minoranza? Io non faccio, cara signora, questione di maggioranza o di
minoranza, io faccio questione di diritto di intervento e non per interpretare la legge e dire che la
violazione, la turbativa di funzione religiosa è un fatto che riguarda colui che butta il sasso dal di
fuori, ma per dire che lo Stato non ha il diritto di intervenire nei conflitti interni di una comunità
religiosa. Non so forse se a raggiungere questa conclusione mi conduce il fatto che io sono un
avvocato e quindi portato un po’ a sposare certe tesi piuttosto che approfondirle da un punto di vista
tecnico-giuridico. Ma mi sembra che il punto centrale sia proprio questo: non un problema di Diritto
ecclesiastico, ma un problema di libertà costituzionale. Noi abbiamo il nostro sentimento religioso,
nessun laico ce lo deve violare.
[Termina la BA014 seconda parte e inizia la BA015]
Enzo M.: Voglio ringraziare l’avvocato e gli altri che hanno parlato in maniera così precisa, in
maniera così incisiva e che hanno dato tanto sostegno in fondo al nostro impegno così combattuto e
perseguitato. Io vorrei dire soltanto questo: non mi sembra che sia un problema soltanto interno alla
Chiesa questo. C’è qualcosa di più. Veramente qualcuno di quelli che sono intervenuti hanno detto
che la nostra vicenda è nata con la solidarietà con gli occupanti il duomo di Parma e poi con la mia
rimozione. In parte è vero, in parte è falso. Nel 1959 nella chiesa fu fatta una assemblea di
solidarietà con i nostri fratelli che erano stati licenziati dalla Galileo e in quella assemblea era
presente la polizia la quale voleva sapere chi aveva parlato e chi non aveva parlato. Ero parroco e io
mi permisi di dire che non rispondevo. Oggi non lo farebbero più questo: vorrebbero saperlo o mi
porterebbero in tribunale. Allora avevo ancora un po’ di potere dalla mia parte e ringrazio il Signore
che me lo ha tolto. Poi in quella occasione la presenza della polizia, che non mi risulta che fosse
presente alle assemblee dei padroni della CADE, ha dimostrato chiaramente di difendere i padroni e
di reprimere gli operai che venivano licenziati o per lo meno di controllarli per poi reprimerli, cosa
che accadde puntualmente in piazza del Duomo, come voi sapete, dove successero delle cose
indescrivibili e inumane. Poi quando si fece la preghiera, la veglia per il Vietnam in chiesa c’era la
polizia. Anche allora la polizia dimostrava di essere dalla parte degli oppressori contro gli oppressi.
Quando noi facemmo la veglia per i negri anche allora era presente la polizia dimostrando di essere
una polizia per i bianchi contro i neri. Così di seguito fino a che la polizia è stata presente a tutte le
assemblee. Quando io sono stato rimosso la polizia ha invaso l’Isolotto e ha invaso la chiesa perché
l’Isolotto, perché la nostra chiesa non aveva più dalla sua parte neppure quel briciolo di potere che
aveva finché io rimanevo parroco. La polizia si è impadronita dell’Isolotto, letteralmente. Questo
non ve lo dico perché siano così esagerazioni. La gente che è qui lo sa benissimo. Siamo stati invasi
dalla polizia, anche sull’uscio di casa. La mia casa, la casa dove ero ospitato, la casa di mia sorella
dove sono stato ospitato per alcuni giorni dopo la rimozione è stata per molti giorni continuamente
sorvegliata da due macchine, giorno e notte, da due macchine della polizia le quali sorvegliavano
tutti i miei spostamenti. E questo è accaduto alla chiesa ed è accaduto anche ad altre persone.
Questo dimostra che non si tratta soltanto di un problema interno alla religione ma si tratta di un
problema interno alla stessa società. Si sta verificando puntualmente quello che è successo a Gesù
Cristo e ai primi cristiani. Gesù Cristo e i primi cristiani sono stati perseguitati perché con la loro
testimonianza disinteressata, mettendosi al posto degli ultimi, partecipando alla loro sorte, hanno
mostrato le lacune della società di allora, addirittura rovesciando il senso della società, il
travisamento completo della legge. Una volta sono stato in tribunale ed ho visto un crocifisso
appeso al muro e sotto c’era scritto: “La legge è uguale per tutti”. Io non avevo mai visto una
barzelletta più drammatica e più derisoria di quella. La legge è uguale per chi ha crocifisso Gesù,
non è stata uguale per Gesù Cristo il quale è stato crocifisso ingiustamente. E sembra che oggi
puntualmente si avveri la stessa cosa, lo stesso che per i primi cristiani. Mettendosi nella condizione
in cui si sono messi, dando la testimonianza di povertà, di semplicità, di umiltà che hanno dato sono
stati perseguitati. La stessa cosa è avvenuta per tutti i secoli, la stessa cosa avviene anche oggi. Se
noi fossimo rimasti nell’ambito diciamo così della vicenda della Chiesa così semplicemente, la
polizia forse non ce l’avrebbero mandata. E’ perché attraverso la nostra fede, attraverso la nostra
vitalità religiosa noi abbiamo voluto mettere in pratica il Vangelo e quindi metterci nella condizione
di coloro che sono perseguitati dalla legge, che sono perseguitati da leggi ingiuste, da un sistema di
leggi ingiuste, che sono perseguitati dalla prepotenza, dalla forza, dalla violenza di una società che
fonda su queste cose la sua sopravvivenza. Fallacemente. Perché se continua così va incontro a una
distruzione totale. Noi siamo contenti, io penso di esprimere il pensiero di tutti davanti a voi
giudici, avvocati, eccetera, siamo contenti da un certo punto di vista, anche se ci fa paura, anche se
soffriamo, da un certo punto di vista siamo contenti di essere perseguitati da queste leggi che
opprimono i deboli per proteggere pochi potenti che hanno in mano tutto. Siamo contenti di essere
in questa condizione perché a questo punto noi veramente verifichiamo la nostra testimonianza al
Vangelo. Siamo contenti però non ci basta. Noi non siamo degli eroi, noi non siamo delle persone
che vanno incontro alle persecuzioni per un certo masochismo, per una volontà di soffrire. A noi
non ci basta. Noi vogliamo che queste leggi cambino. Noi siamo contenti di soffrire perché noi in
questo modo possiamo aiutare chi deve farlo a cambiare le leggi, perché le leggi diventino un
sostegno per i deboli, per gli operai licenziati e diventino un freno per i potenti, per coloro che
hanno in mano i mezzi di produzione. Noi siamo contenti di soffrire a causa delle leggi dello Stato
purché queste leggi diventino un sostegno per i negri e diventino un freno per i bianchi che
opprimono. Noi siamo contenti di soffrire perché queste leggi diventino un sostegno per i popoli
affamati, sottosviluppati e diventino un freno per i popoli che opprimono, che sono
nell'abbondanza, che sfruttano. Allora domandiamo a questi nostri amici, fratelli che sono venuti in
mezzo a noi questa sera, io domando - penso di esprimere il pensiero di tutti - voi pensate che
questa testimonianza, che questa nostra sofferenza sia utile veramente o sia soltanto una utopia? Voi
pensate che noi soffriamo invano? Voi pensate che la storia si ripeta sempre e quindi per i deboli ci
sia sempre e soltanto da soffrire e da subire? Voi pensate che la scienza di oggi, in base alla scienza
che voi avete studiato, in base all'esperienza che vi siete fatti, pensate che la storia di oggi sia
soltanto il ripetersi della storia di ieri oppure ci sia qualche cosa che ci faccia pensare che le cose
stanno cambiando? Voi pensate che sia vicino il giorno in cui le leggi siano veramente a sostegno
dei deboli e a freno dei potenti? Questa è una domanda che io vi faccio.
Urbano C.: Risponde il magistrato Ramat
Ramat: Caro don Mazzi, se noi credessimo veramente di rispondere alla sua ultima domanda
dicendole che quella speranza non ce l'abbiamo non saremmo venuti qui. Se siamo venuti qui è
stato soprattutto perché cerchiamo di avere prima di tutto in noi stessi conferma di questa speranza
di un miglioramento così profondo e per cercare insieme a voi. Questo è il vero scopo dell'incontro.
Cercare insieme a voi quali possano essere le strade per rendere fruttuosa questa speranza, perché
non rimangano soltanto delle parole scritte in una Costituzione o nella Convenzione sui diritti
dell'uomo. Quindi a questa domanda io rispondo assolutamente che questa speranza noi ce
l'abbiamo ed è questa speranza che ci ha fatto muovere ed è questa speranza che ci ha portati qui.
Però quando abbiamo detto questo il discorso è appena, appena cominciato, perché da che mondo è
stato mondo, comunque e sempre, voci di speranza di questo tipo ci sono state. E voi lo sapete
meglio di me senza bisogno di fare esempi inutili. Importante oggi, più che mai è il cercare insieme
quali mezzi possiamo adoperare per arrivare a questo risultato perché di prediche, da qualunque
pulpito siano portate, ne abbiamo avute anche troppe. Ora è il momento di passare dalle prediche
inutili a qualche cosa che serva a costruire questo rinnovamento al quale faceva riferimento don
Mazzi e nel quale credo e crediamo profondamente anche noi. Abbiamo in Italia una Costituzione,
una Costituzione democratica fondata sul lavoro. Mi ricordo che Piero Calamandrei quando parlava
alla Costituente di tante disposizioni che diventavano norme della Costituzione che promettevano
grandi cose come questa formula che dicevo ora "La Repubblica fondata sul lavoro, il diritto al
lavoro" e così via, diceva: mi viene in mente quando durante la guerra '15-'18 ero tornato a casa dal
fronte e sentivo da un giornalaio che per le piazze andava gridando le ultime notizie del giornale
"una grande vittoria di qua, una grande vittoria di là" e poi dentro di sé soggiungeva "ma tanto non è
vero nulla". Ecco, la Costituzione, ancora in tante parti, promette delle cose che non sono per niente
vere. La domanda sull'articolo 38, per esempio, sull'assistenza agli invalidi - mette il dito su una di
queste piaghe - è proprio una promessa assolutamente non mantenuta. Perché? Il perché lo
testimoniate voi con la vostra azione e con la vostra persecuzione di questo momento. Il perché è
estremamente semplice, lo vedono tutti. Il perché è che le forze politiche che avrebbero dovuto
realizzare, cioè far diventare vita, vita vera, quelle parole se ne sono ben presto dimenticate.
Guardate che parlo di tutte le forze politiche, non cadiamo nel facile errore di dire che da una parte
ci sono tutti i buoni e dall'altra tutti i cattivi. Queste sono distinzioni che bisogna prendere con un
po' di cervello, con un po' di attenzione. Io dico che in Italia, dal 1945 ad oggi, tutte le forze
politiche si sono trasformate in forze conservatrici in sostanza, comprese quelle che hanno certe
bandiere di un certo colore. Questo va detto con assoluta sincerità. I torti saranno maggiori da una
parte piuttosto che da un'altra, ma in sostanza una volontà politica concreta, diretta a realizzare le
promesse della Costituzione in Italia non l'abbiano avuta e neanche ora l'abbiamo. Avete visto e
sapete bene cosa sono i partiti politici. I partiti politici sono diventati delle piccole o grosse cerchie
di persone che governano su altre persone. Lo stesso fenomeno che voi vivete nelle Chiesa cattolica
- e viviamo tutti nello Stato italiano - si verificano, lo constatiamo anche nei partiti politici, cioè si
distacca la base dal vertice. C'è in alto qualcuno che manovra e c'è in basso qualcuno che sta a
vedere e che subisce. Questo, secondo me, è il significato politico importantissimo di una comunità
come la vostra, cioè il tentativo che è riuscito - non guardate le persecuzioni di questo momento ma è un tentativo riuscito di capovolgere, di dire: il potere non è più, non deve essere più il potere di
una autorità su un gregge ma il potere deve essere della comunità. E' questo il senso. La comunità
che cos'è? La comunità è il ritrovarsi insieme tante persone che si riconoscono una nell'altra, che
vedono che su tante cose di interesse comune la pensano, la sentono allo stesso modo. E questo è
proprio il granello di senape che poi produce l'albero. Non voglio fare io riferimenti evangelici: non
tocca a me. Ma è proprio di qui che nasce, che può nascere qualcosa di nuovo. E voi lo avete già
testimoniato e dimostrato in maniera assoluta. Ora, l'esempio vostro, per fortuna di tutti, non è un
esempio isolato. A parte che sul vostro stesso piano voi avete avuto solidarietà attiva da comunità
che sono sorte o che erano già sorte in Italia o all'estero, il fatto ancora più importante sul piano
politico generale mi sembra questo: che la stessa contestazione che noi vediamo che si svolge in
Italia, dall'Università alle fabbriche, in ogni sede diremo, ha proprio questo di genuino, questo di
importante: di capovolgere l'antica posizione del potere: il potere della gerarchia, il potere
dell'autorità per attribuire questo potere a se stessi. A se stessi non come uomini singoli, il che
vorrebbe dire riprodurre subito dopo un'altra gerarchia che comanda su un altro gregge, ma a se
stessi come parte viva di una comunità. Sentire le cose della comunità come cosa propria e
viceversa. Questo rapporto di scambio di sentimenti, di idee e così via: questa è la vera novità
politica. Insisto a dire: è una novità politica non solamente religiosa o operaia o studentesca. Non
bisogna chiuderla ciascuna di queste manifestazioni nel proprio settore in cui occasionalmente
nasce. Bisogna proprio vederla come forma nuova di vivere la vita politica nel nostro Paese.
Torniamo allora per un momento alla Costituzione. Scusate se ho già parlato troppo. La
Costituzione tutto questo lo promette e lo dice. La Costituzione per esempio dice quello che diceva
don Milani e che è stato ricordato proprio ora da don Mazzi: la legge è uguale per tutti. Benissimo.
Ma questo non basta. Dice subito dopo che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
carattere materiale e morale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza del cittadini,
impediscono la partecipazione dei lavoratori all'esercizio delle funzioni pubbliche e del potere in
Italia. Questo è l'articolo chiave, è la strada maestra lungo la quale bisogna cercare di camminare. E
allora guardiamo un po' quali possono essere intanto alcune possibilità di agire in questo settore.
Quali possono essere. Noi non vogliamo fare una contestazione di tipo qualunquista, qualunquista
perché sputa addosso a tutto, che disprezza le istituzioni, che approfitta del fatto che le cose non
vanno bene per dire che tutto va male, che tutto è bene che vada in malora e si ritira a casa propria.
Questo è stato sempre il gioco proprio delle autorità che hanno compresso il popolo. La posizione
nostra deve essere un'altra: vedere cioè quali strumenti la Costituzione ci offre per poter modificare
qualche cosa di importante. Prendiamo il caso di cui, è vero è il caso vostro. Dico vostro ma è
nostro. Questo spirito comunitario fa sì che il caso vostro noi cerchiamo, sì, di sentirlo come il
nostro. Abbiamo parlato di alcune leggi del Codice penale che sono persecutorie, che puniscono per
certi fatti dove molti pensano che non si dovrebbe punire. Allora per esempio, forse non lo sapete,
ma nella Costituzione è anche previsto, è prevista l'iniziativa legislativa popolare, ad esempio.
Adesso vi spiego che cos'è. Vuol dire che un certo numero di persone, attraverso la raccolta di firme
possono presentare direttamente delle proposte di legge al Parlamento, certe proposte di legge per
modificare delle vecchie leggi, certe proposte di legge per fare leggi assolutamente nuove. In Italia,
proprio perché fino ad oggi una esperienza di comunità sul tipo della vostra è stata assolutamente
ridotta, praticamente non c'è mai stata fino ad ora di questo articolo della Costituzione nessuno si è
servito. Ora io sono convinto che voi, che noi potremmo certamente trovare il numero di firme
necessario per presentare proposte di legge dirette a sopprimere o modificare certe leggi penali in
forza delle quali voi ora siete perseguiti davanti al giudice. E poi c'è un'altra strada che possiamo
cercare di seguire ed è quella di svolgere un'opera, di lavorare presso i gruppi parlamentari dei
partiti. I partiti, l'abbiamo detto, sono quello che sono, ma in realtà non si può non fare conti con i
partiti politici quando si affrontano delle battaglie politiche come quelle che voi state affrontando.
Anche attraverso queste vie si può cercare di ottenere delle modifiche profonde, delle modifiche
profonde di rinnovamento nella nostra legge. Queste sono le strade che noi, da magistrati che non
siamo venuti qui a dirvi se don Mazzi e gli altri imputati sono colpevoli o innocenti rispetto al reato
di cui sono imputati, queste sono le strade che noi vi suggeriamo. Cerchiamo di farle insieme.
Cerchiamo di allargare tutto questo movimento trovando questi sbocchi che possono essere utili
verso lo scopo che vogliamo raggiungere. Ma c'è anche un problema che in fondo riguarda più il
vostro aspetto di comunità religiosa. Voi e anche alcuni dei colleghi che hanno parlato qui si sono
diretti principalmente contro lo Stato, contro la legge dello Stato. Hanno criticato questa legge dello
Stato perché è vero che incrimina, perché punisce dove non dovrebbe punire oppure dovrebbe
punire diversamente. Ma guardate che voi, come comunità religiosa, il vostro primo problema - lo
sapete meglio di me - lo avete nell'abito della Chiesa cattolica. Io non voglio entrare in questo
terreno perché non è il mio. Non saprei che cosa dirvi. Se voi riuscite a far diventare forza - perché i
problemi politici si vincono con la forza - a fare diventare forza effettiva un movimento comunitario
come questo e farne sorgere cento, mille o diecimila in Italia il problema nel vostro terreno religioso
voi lo avete vinto certamente con questo sistema. Perché quando effettivamente l'ordinamento della
Chiesa sarà cambiato nel senso di sostituire al vescovo, al potere del vescovo il potere della
comunità il vostro problema sarà già risolto. Vorrei però dirvi - ma so anche qui di sfondare una
porta aperta - che voi, come ha detto già giustamente don Mazzi, avete scopi che vanno al di là
dell'aspetto religioso, proprio all'aspetto sociale, all'aspetto politico di tutto lo Stato italiano, di tutta
la società e quindi voi dovete cercare collegamenti, per lavorare insieme verso certi risultati di
rinnovamento, con le altre forme di contestazione, portando il contributo della vostra esperienza,
insegnando come si tengono assemblee come queste, insegnando come si scrivono certi documenti,
insegnando insomma tutto quello che la vostra esperienza ha già insegnato a voi. Questo va portato
in comunità di tipo diverso, va portato nell'ambiente degli studenti, va portato nell'ambiente degli
operai e così via proprio perché si deve ribaltare, come è già stato giustamente detto, la situazione
attuale, ribaltarla per farla coincidere con la Costituzione perché questa è la cosa importante.
Quando parliamo di questo capovolgimento non è che siamo noi i sovversivi di un ordine giusto e
corrispondente alla costituzione. Noi vogliamo proprio invece un cambiamento, un capovolgimento
della situazione per essere fedeli a quella Costituzione. Chi tradisce la Costituzione non siete voi,
non siamo noi che vi parliamo così, ma sono invece tutte quelle forze che hanno interesse a
mantenere - si chiamino partito A o partito B o Confindustria o grosso sindacato - tutte quelle forze
che hanno interesse a mantenere la situazione attuale di una gerarchia che comanda su un gregge.
Questo è proprio il significato più ampio, il significato politico, costituzionale della vostra
esperienza e delle altre che si stanno vivendo fuori della vostra Comunità. Riuscire a coagulare e a
rendere efficace sul terreno politico secondo quei suggerimenti, e altri se ne possono fare, che prima
io facevo, mi sembrerebbe il frutto migliore della esperienza vostra e del tentativo che anche noi,
nel nostro ambiente, cerchiamo di fare per fare la "contestazione" non contro uno Stato democratico
ma per arrivare ad uno Stato democratico che sia effettivamente la traduzione concreta delle
promesse non mantenute che sono scritte nella Costituzione, ma che, essendo scritte nella
Costituzione, sono la legge suprema che deve regolarci. E quindi noi facendo questi atti, noi
comportandoci così, rivendichiamo a noi stessi la posizione di essere nella più stretta legalità. Noi,
ripeto, non siamo dei sovversivi ma cerchiamo di essere i più fedeli interpreti, i più preoccupati
interpreti per rendere effettiva questa Repubblica. Roma non fu fatta in un giorno. Qui qualcuno di
noi può pensare ad un certo tipo di società socialista. Che cosa poi voglia dire in concreto io
onestamente non lo so. L'esperienza ci ha insegnato che tipi di società che si chiamavano socialiste
ne abbiamo viste molte e poi la stessa società ha detto che non era socialista e che il socialismo era
ancora qualcosa di diverso. Quindi, vedete, io sarò un reazionario, se ho capito bene l'interruzione.
Io do retta a tutti quelli che parlano. Ma voglio dire che prima di arrivare a cento bisogna arrivare a
cinquanta. Anche chi vuole arrivare a cento capisce che prima bisogna passare dal cinquanta sempre
che a questo cento sia ciò a cui vuole arrivare la maggioranza del popolo italiano. Sul che ho
qualche dubbio. Ma poi c'è da dire questo: che la stessa Costituzione italiana non è un testo che non
si possa modificare. Occorrono delle maggioranze, non una maggioranza semplice ma una
maggioranza più forte per poter cambiare certi articoli della Costituzione. E allora la strada
democratica e legalista e legale senza violare la legge che si deve seguire per chi vuole arrivare a
dei risultati che vanno al di là di quello che oggi è la Costituzione è molto semplice. E' quello di
fare forza, di diventare di più per avere quella maggioranza che è necessaria per cambiare in
qualche punto la Costituzione. Ma fare queste sparate - mi scusi non c'è niente di offensivo - queste
sparate, questo mi fa veramente paura perché sono convinto che è proprio sulle sparate di questo
tipo che si rafforza (la reazione).
[Mentre Ramat parla ci sono state e ci sono delle interruzioni di dissenso al suo discorso da parte
di una o due persone che non si riesce a capire chi sono e cosa di preciso dicono. Si intuisce
qualcosa dal proseguo del discorso di Ramat].
Vede quello che ha detto lei è molto importante perché quella può essere veramente una strada
nuova. Io sono un po' un fissato della strada della non violenza. Ma quando prima si parlava di
rivoluzione io avevo inteso qualche cosa di differente. Se lei mi parla di una non violenza tipo
Gandhi io sono perfettamente d'accordo con lei e ritengo anzi che sia la strada più efficace perché la
strada delle violenze da qualunque parte esercitate hanno determinato altre violenze più grosse. Se
si vuole fare un salto di qualità bisogna cambiare anche proprio nel metodo. Quindi quando parlate,
quando lei parla di rivoluzione se intende un tipo di azione non violenta, come per esempio ha fatto
con grande successo Gandhi in India, allora posso essere d'accordo con lei. Invece non sono
d'accordo - ma non ha importanza quello che penso io - quando si parla di rivoluzione intendendo
ciò che per rivoluzione si è sempre inteso, cioè una azione violenta, una azione sanguinosa che
distrugga. Ecco, io non la voglio. Io non ho da ripetere altro che quello che ho detto prima: la mia
risposta come fare per arrivare fino ad un certo punto è abbastanza chiara: si tratta di trovare le
capacità concrete e non predicatorie per arrivarci.
Voce maschile: Vorrei rispondere qualcosa anch'io. Io sono perfettamente d'accordo che la
Costituzione della Repubblica italiana è una Costituzione borghese. Però vorrei fare una domanda: è
la Costituzione che vuole la borghesia? Perché se si pone la domanda in questi termini si vedrà che
la lotta per attuare la Costituzione mette la classe dominante italiana con le spalle al muro. Quindi
quando noi diciamo che vogliamo attuare la Costituzione non è che noi vogliamo arrivare ad un
tetto insuperabile, all'ottimo che si possa raggiungere. Noi vogliamo porre la società attuale di
fronte alla responsabilità dei suoi stessi impegni. Questo è ciò che diciamo noi. Si capisce che
quando avremo raggiunto un determinato risultato, se avremo forza e capacità di raggiungerlo o
meglio se avrete forza e capacità di raggiungerlo, perché io sono vecchio, ho visto passare tanti anni
in questa speranza e credo che ne passeranno diversi altri, se avrete la forza di raggiungerlo,
certamente al punto in cui si arriverà a dover attuare la Costituzione, si otterrà uno di questi due
risultati: o una trasformazione radicale della società per cui la Costituzione diventerà un punto di
partenza per ulteriori avanzamenti, oppure un punto di rottura e quello non dipenderà da voi.
Dipenderà dalla resistenza che la classe dominante opporrà alla attuazione della Costituzione.
Urbano C.: Vorrei cercare di interpretare, come posso, quelli che sono i sentimenti della maggior
parte di noi. Ormai ci si conosce. Naturalmente come posso e se ci riesco. Ad ogni modo ormai ho
preso questo vizio. Volevo dire questo: siamo finiti anche nel dibattito ideologico. Non si era mai
fatto e ci sta bene anche questo perché ci vuole anche questo. Ma finora si era così presi a doverla
fare la rivoluzione che non si era avuto mai il tempo di parlarne. Comunque perché la vera
rivoluzione - sono d'accordo con te della cinepresa - è l'essere tutti uniti. Questo è il fatto
dell'Isolotto. Poi il problema della violenza e della non violenza: noi non si è avuto ancora la
possibilità ancora di scegliere perché finora noi si è giocato di rimessa. Però noi vogliamo bene a
due persone perché ne abbiamo parlato in chiesa, le abbiamo citati così in questi tre mesi di guerra
calda e si potrebbe riassumere così, io penso. A noi ci piace don Helder Camara che dice: io scelgo
la non violenza, così come l'ha scelta Gandhi, come Marco Ramat ci dice che anche lui la sente. E
noi sappiamo che per lui scegliere la non violenza significa subirla perché dopo lui va in galera ed è
vivo per scommessa, minuto per minuto. E' quello che ha scritto: "quando in Italia i vescovi e
soprattutto il santo padre lasceranno i loro grandi palazzi e andranno a vivere in un appartamentino
così operaio o anche, guarda, di media borghesia, allora anche la Chiesa cambierà". Don Camara. E
a noi ci sta bene. Ci è andato bene sempre. Però noi non si è mai alzato il dito contro don Camillo
Torres, quel prete morto così a trentasette anni che ha scelto, che ha dovuto scegliere, perché non gli
davano i mezzi legali, non gli davano i mezzi legali per, non so, per permettere che mangiassero
tutti quelli del suo popolo, per far smettere, non so, le povere ragazzine che cominciano a dodici
anni addirittura laggiù, se non vogliono morire di fame, a prostituirsi. Di fronte a queste cose, non
gli davano i mezzi legali, è andato alla macchia. E l'hanno ammazzato a trentasette anni. Don
Camillo Torres. Nelle nostre prediche i preti ce ne hanno parlato e io me la ricordo bene perché poi
la si è riletta e una di queste prediche verrà sul libro di domani l’altro. Speriamo che esca. Voglio
dire: quando saremo presi per il collo, ma allora non ci sarà bisogno più di discutere violenza e non
violenza. perché quella diventa legittima difesa. Quindi voglio dire che si può benissimo mettersi
d’accordo. L’essenziale – e la lezione di stasera è questa – bisogna essere uniti. Vi ricordate la
prima sera quando si disse “e cinque” che erano i preti venuti dalla parte nostra. Stasera è un altro
momento importantissimo. Perché dopo che ci è venuto addosso lo Stato, la politica, i poliziotti, i
magistrati e gli avvocati dell’opposizione abbiamo avuto questi primi, questi che si sono presentati,
qualificatissimi come sono, e non tanto per i titoli che avevano prima e che gli riconosce la società
borghese che sia, qualificati perché sono venuti qui, in questa baracca, e sono stati in piedi stasera,
qui con noi. E hanno sentito. Hanno sentito il profumo del popolo, che non è un puzzo, perché
hanno sentito veramente e ci hanno guardato in faccia e sono venuti qui – e le lo hanno fatto capire
bene – per imparare perché noi li aiutiamo, perché loro ci sentono veramente, perché quella
barzelletta di cui parlava Enzo loro la vivono drammaticamente. Loro si rendono ancora più conto
di cosa significhi “La legge è uguale per tutti”. E loro sentono questo bisogno. Ma come si fa a
rompere questo cerchio? E allora sono venuti all’Isolotto. E’ questo – diceva Ramat – è il tipo di
esperienza, questo voi dovete fare. E allora qui si recupera al discorso astratto, ideologico della non
violenza e violenza. Dico che ci sta bene anche questo perché bisogna essere disposti a tutto noi,
anche a diventare professori e avvocati quando occorre. L’importante è questo. Allora io direi
questo: prima di tutto faccio una proposta.. Prima un augurio: cioè la prima volta, quando noi
potremo naturalmente avere la chiesa a disposizione perché c’è una vecchia canzone che poi prima
di andare via gliela facciamo sentire che dice “noi ce la faremo”, comunque sia, allora lì ci si starà a
sedere, si farà un bel discorso insieme in quella grande stanza e Gesù Cristo lì non se l’avrà a male
se gli si volta la schiena perché, in quel caso lì, sa bene che è in un senso che non è affatto
offensivo. Questo augurio naturalmente faccio: di poterci ritrovare perché sarà importante. E
insieme a loro ne verranno altri, sono convinto, perché noi bisogna durare, naturalmente, per
farcela. La proposta è questa: che l’assemblea di stasera, se viene accettata dai nostri – a dire ospiti
è ormai una parola che non sa di nulla, chiamiamoli fratelli e basta – di fare una specie di
documento, un documento che cerchi di riassumere, nella maniera più semplice e più oggettiva
possibile, i sentimenti di stasera, le nostre aspirazioni, le nostre decisioni perché, come diceva Enzo,
qui non basta, a un certo punto, farci la predica: come siamo bravi oppure come siamo disgraziati, e
poi andare a piagnucolare ognuno a casa nostra. No! Bisogna fare, trovare dei mezzi operativi,
insomma un documento che lo esprima e che lo si possa dare alla stampa, che possa avere anche
questa risonanza che non è pubblicità. E’ forza, forza politica veramente come diceva Ramat, come
hanno detto tutti. Io questa proposta la faccio e se siamo d’accordo dopo si cercherà di attuarla.
Siamo d’accordo? Se sono d’accordo anche i nostri amici. E ora se c’è qualcuno che deve dire la
sua se no ci vuole uno al microfono che intoni quella canzone perché ci rimetta in linea.
Zio Tom (un uomo del Nord senza fissa dimora di cui mai si è riusciti a sapere il nome ma a
domanda forniva sempre questo titolo: Zio Tom): Io domanderei se avessero tutti la bontà di
ascoltarmi. Questa riunione di magistrati fiorentini convenuti all’Isolotto per trovare una via
giuridica di risoluzione pacifica a una questione che ha commosso o indignato l’opinione pubblica e
che si trascina da troppo tempo per una precisa cattiva volontà di migliorare dall’alto, mi rivolgo
speranzoso di essere ascoltato e gradirei che mi si usasse la pazienza di ascoltarmi fino in fondo
perché molte sono le cose che ho da dire e tutte da passare agli atti perché valide ovvero
sperimentate prima in me positivamente e poi testimoniate agli altri perché volte a loro vantaggio.
Cercherò quindi di circoscrivere e restringere il campo, per non abusare della loro pazienza né di
quella dell’uditorio, le mie indagini. Quando mi sentii pronto a scendere in lotta per gli altri, una
lotta che per il mio passato era stata solo un vegetare e non un vivere, sentii che dovevo da solo, con
le convinzioni che uscivano dalla mia sincerità e dalla sincerità del mio cuore, senz’altro
condizionamento che quello della fede che aveva permesso la risoluzione definitiva del mio caso,
portare l’alta autorità , professori, magistrati ad una maggior presa di coscienza verso il basso, verso
quei desideri, quelle aspirazioni che potessero veramente dare al basso una spinta liberatrice dal
millenario dominio di pochi che ancora continuava nonostante le belle promesse di democrazia che
erano state mantenute solamente per quel tanto che serviva ad illudere il popolo ma non ad
appagarlo. Forse per rinfocolare in esso sopiti rancori affinché potesse ancora essere adoperato da
una parte o dall’altra per un’altra guerra o una rivoluzione a vantaggio di pochi, sempre. Non esitai
ad andare personalmente dal rettore magnifico professor dall’Ara a Torino, in privato, a presentargli
le mie conclusioni e lo trovai pienamente d’accordo con me a tu per tu. Ma quando si trattò di
portare i pubblico questa sua adesione, questa non ci fu. Riguardava le lotte studentesche, è vero,
ma anche il caso Isolotto era in via di maturazione a mia insaputa. Rinnovai un ennesimo tentativo a
Milano e quando la Statale decise di occupare il Rettorato fui tra quelli che invasero lo studio del
professor Polvani cogliendolo di sorpresa e volli parlare per primo e parlai in termini forse troppo
blandi ma intravedevo un risolino sardonico sulle labbra del Rettore e ad un certo punto gli studenti
mi tolsero la parola. Avevano ragione loro. Non era mia competenza non essendo io nemmeno
universitario. Mi si chiederà allora [fine della prima parte della bobina BA015 e inizio della
seconda parte ] chi me lo faceva fare di immischiarmi in fatti che non mi riguardavano rischiando
così la galera per divertimento. Avrei potuto tranquillamente pensare a me stesso e fregarmene di
tutti gli altri. Il mio solo apporto non sarebbe bastato per cambiare il corso delle cose. Potrei
parafrasare: un povero cristo di cui mi sono impegnato a seguire l’esempio: “io devo fare il volere
del Padre mio che è nei cieli”. Sarebbe dire una cosa giusta ma già detta mentre quello che mi ha
spinto all’azione è stata la meravigliosa certezza che avrei avuto a fianco nella lotta proprio lui, quel
povero Cristo che lo disse per primo, tornato di nuovo tra noi per rompere le teste matte e farle
ragionare, per ridestare i troppi dormienti, per prendere ancora la sua pesante croce che altri si erano
impegnati falsamente a portare ma che avevano preferito portarla in carrozza sulle spalle dei miseri
minchioni. So divagando, lo so, ma è questa la presa di coscienza che le autorità tutte devono fare:
la sicurezza che il Cristo è di nuovo in mezzo a noi per fustigare i mercanti, per bollare i troppi
farisei, per liberare il tempio del Dio vivente da tutti i profittatori indegni che l’hanno sconciato,
lordato, facendone un postribolo per uomini e per donne. La prova di tutto ciò risulta lampante dal
caso dell’Isolotto che certa stampa cosiddetta libera ha voluto elevare a scandalo costringendo quasi
la massima autorità ecclesiastica ad una presa di posizione negativa nei confronti di tutta la
Comunità e deferendola, non sappiamo ancora sotto quale cavillo giuridico, alla autorità giudiziario.
E tutto questo alla vigilia quasi di una rivoluzione auspicata da più parti, rivoluzione cruenta che
non potrà concludere nulla perché a pagare, massacrandosi, saranno sempre gli stessi, i miseri. Ed è
ora che il gioco cambi forma. E’ dall’alto che deve essere evitata una carneficina, è dall’alto che
bisogna finalmente scendere e partecipare a una fratellanza che è solo strombazzata a fine di oscuro
lucro ma non mantenuta. Non sono all’altezza né di giudicare, né di condannare. Io voglio
solamente che l’alto cerchi serenamente di ragionare senza lasciarsi condizionare dall’egoismo
megalomane che, negando al Cristo il suo apporto valido e concreto in mezzo all’umanità, distrugge
quella macchina meravigliosa pensante che è l’uomo stesso, facendo naufragare miseramente nella
oscenità e nella turpitudine tutto il meraviglioso che è stato fatto fino ad oggi, tutto il meraviglioso
che non risiede nelle stupende d’arte di cui durante l’alluvione – e il governo per primo – si
preoccuparono ma in quel muscolo di carne che è il cuore dell’uomo, quel cuore che Cristo ha
insegnato, lui per primo ad usare. Ora si tratta in che modo operare giuridicamente per assolvere o
condannare in sede civile e penale i denunziati dell’Isolotto. Ed ancora una volta la nostra asfittica
giustizia farà cilecca perché si lascerà suggestionare dalla diversa personalità dell’accusato e quella
dell’accusatore sempre innocente se accusa. Spero proprio che questa volta la giustizia non sia cieca
o meglio non guardi troppo al proprio tornaconto e possa equilibrandosi ed agevolando questa presa
di posizione verso il passo possa veramente agevolare ed estendere l’insegnamento positivo che
nasce dall’Isolotto, vero isolotto di democrazia in mezzo a una società in disfacimento. E il rapporto
della Chiesa con la società non è puramente casuale ma ha un preciso scopo di miglioramento
progressivo che io auspico e cerca per il bene di tutti. Mi sia concesso ringraziare per il paziente
ascolto e mi sia permesso altresì di mantenere il mio anonimato che sotto il nominativo di Zio Tom
vuole effettivamente adoperarsi per gli altri. Grazie.
Urbano C.: Sicché se si volesse sapere il nome non ce lo dici, Zio Tom?
[Urbano intona il canto “Noi ce la faremo” che viene cantato dai presenti].
Dopo il canto finisce la riunione e la registrazione al giro 046 della bobina che poi è vuota fino al termine
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1969.02.26 - Comunità dell`Isolotto