Curiosità Curiosity Diana cacciatrice iana era una figura della mitologia romana, dea della caccia e della luna, custode delle fonti e dei torrenti e protettrice degli animali selvatici. Figlia di Giove e Latona, si narra la sua nascita nella piccola isola di Renea ed il suo mito richiama una divinità originaria del Lazio venerata in tempi primitivi. Nel mondo greco la divinità a lei corrispondente è Artemide. Diana era adorata nei boschi e nei luoghi selvaggi, si narra fosse una bella ragazza, con una passione sfrenata per la caccia, apportatrice della fresca rugiada e della pioggia ristoratrice, proteggeva i viandanti nelle ore notturne e si prendeva cura di monti e foreste in compagnia delle Ninfe Silvane. Il mito del “Ramo d’Oro” rappresenta al meglio il carattere originale di Diana ed il suo culto italico: sulla sponda orientale del lago Nemi (Colli Albani), sorgeva un bosco di querce consacrato a Diana Nemorensis (Diana dei boschi). Al centro di questo, un particolare albero produceva il vischio. Se uno schiavo fuggitivo, riusciva ad arrivare fino a quell’albero strappandone un ramo “d’oro”, aveva il diritto di battersi col sacerdote della dea. Se fosse riuscito ad ucciderlo, regnava in sua vece col titolo di re del bosco, rex nemorensis. Il vincitore non ereditava soltanto il titolo, ma anche l’attesa di un nuovo pretendente, che a sua volta strappasse un ramo d’oro per sfidarlo. In Arte viene spesso raffigurata con arco e frecce. Di figura atletica e longilinea, ha i capelli raccolti dietro il capo e indossa vesti semplici quasi a sottolineare una natura dinamica se non addirittura androgina, la cui grazia femminile del corpo contrasta decisamente con l’aspetto fiero e quasi virile del viso. Con una splendida immagine Dante la identifica in uno dei due occhi del cielo, la Luna (Pg., XX, 132). Nelle cene in epoca romana trionfava la selvaggina, all’epoca molto abbondante. Tra tutti gli animali selvatici il più apprezzato era il cinghiale, servito intero. Molto gustati erano D i tordi, che venivano venduti in gruppi di dieci infilati in uno spago. Quotati erano anche il fenicottero, la gru, la pernice e lo struzzo, mentre si mangiava poco la quaglia. Gli antichi Romani credevano infatti che si cibasse di semi velenosi e avevano paura a nutrirsene. La carne veniva cucinata in moltissimi modi: arrosto, in umido e ripiena, con salse di vario genere. Nelle opulente mense dei ricchi, in occasione di grandi banchetti i piatti di carne, venivano preparati nei modi più fantasiosi; era in queste occasioni che i cuochi sfoderavano la loro arte culinaria, servendo in tavola piatti a base di carne camuffati in modo che avessero l’aspetto di uno stupendo pesce alla griglia o sotto forma di vere e proprie sculture a tema mitologico. Molto famosi sono i piatti serviti nell’ormai epica cena di Trimalcione, descritta da Petronio nel “Satiricon” e rievocata alcuni secoli dopo da Macrobio. Qui vengono serviti alcuni piatti dall’aspetto esageratamente fantasioso che però rispecchia il modo a volte sfacciato di alcuni ricchi romani, di ostentare la loro magnificenza; fra questi piatti viene servita una lepre con le ali in modo da raffigurare Pegaso, il cavallo alato di Bellerofonte, e una scrofa di cinghiale ripiena di tordi vivi con tanto di cinghialini, fatti di pasta, nell’atto di succhiare alle mammelle della madre. Ecco una ricetta tratta dal “De re coquinaria” di Apicio: Aliter in gruem vel anatem elixam: piper, ligusticum, cuminum, coriandrum siccum, mentam, origanum, nucleos, caryotam, liquamen, oleum, mel, sinape et vinum. In altro modo gru o anatra lessata: Pepe, ligustico, cumino, coriandolo secco, menta, origano, pinoli, caryota, liquame, olio, miele, senape, e vino. di Angela Ruzzante Diana the huntress Diana was a Roman mythical figure, goddess of hunting and the moon, guardian of springs and rivers and protector of wild animals. Daughter of Jupiter and Leto, myth holds that she was born on the small island of Renea and her myth recalls a divinity that originally came from Lazio, venerated in primitive times. In Greek mythology, her corresponding divinity is Artemis. Diana was adored in the woods and wild places, she was seemingly beautiful with a driving passion for hunting, bringing the fresh dew and restoring rain, protecting travellers during the night and looking after the mountains and forests together with the Sylvan Nymphs. The myth of the “Golden branch” is the best representation of Diana’s original character and her Italic cult: on the eastern banks of Lake Nemi (Albani hills), there was an oak wood consecrated to Diana Nemorensis (Diana of the woods). At the centre a special tree used to produce mistletoe. If an escaped slave managed to reach the tree and break off a “golden” branch, he had the right to fight with the Goddess’s priest and, if he managed to kill him, he reigned in his place with the title of king of the woods, rex nemorensis. The winner not only inherited the title, but also awaited a new suitor, who in turn would break off another golden branch and then challenge him. In Art she is often depicted with bow and arrows. She was tall with an athletic figure, her hair gathered at the back of her head, wearing simple clothes which seemed to underline her dynamic, almost androgynous nature, where her feminine grace was in strong contrast with her proud almost virile face. With a splendid image, Dante identifies her in one of the two eyes of the sky, the Moon (Pg., XX, 132). During Roman dinners, game triumphed as it was very abundant, and among all the wild animals the most appreciated was boar, which was served whole. Thrushes were very popular as well, sold on string in groups of ten, and also flamingos, cranes, partridges and ostriches were appreciated while quails were not eaten very often, because the Ancient Romans believed that they ate poisonous seeds and were frightened of eating them. The meat was cooked in numerous different ways: roast, stewed, stuffed, with various sauces. In the opulent dining halls of the rich the meat dishes were prepared in the most imaginative ways for the great banquets: this was the chance for the cooks to reveal all their culinary art, serving meat dishes that were masked in such a way as to look like a beautiful grilled fish, or even like real sculptures of mythological figures. The dishes that were served in the epic dinner of Trimalcione are very famous, described by Petronius in “Satiricon” and recalled centuries later by Macrobius. Here dishes were served with a really fantastic appearance which, however, sometimes reflected the ostentatious manners of certain rich Romans; among these were hare with wings to depict Pegasus, the winged horse of Bellerofonte, and a female boar stuffed with live thrushes with lots of baby boars, made from pastry which were sucking their mother’s udders. Here is a recipe from “De re coquinaria” by Apicius: “Diana di Versailles” Museo del Louvre, Parigi “Diana of Versailles” Louvre Museum, Paris A sinistra, “Diana con i cani da caccia dinnanzi alle prede” di Jan Fyt Musei di Stato, Berlino On the left, “Diana with her hunting dogs beside kill” by Jan Fyt Staatliche Museen, Berlin Aliter in gruem vel anatem elixam: piper, ligusticum, cuminum, coriandrum siccum, mentam, origanum, nucleos, caryotam, liquamen, oleum, mel, sinape et vinum. Another way for boiled crane or duck: Pepper, privet, cumin, dry coriander, mint, oregano, pine nuts, caryotam (cariotum??), liquamen (a basic fish sauce), oil, honey, mustard and wine. 65 Il cibo racconta Food tells a tale di Flavio Bisson Expertise alava la sera. Emanuele De Vecchi accese la lampada snodata fissata al cavalletto e la tela prese nuova vita. Sospirò. Si massaggiò la schiena che gli doleva a causa della posizione incurvata in avanti che aveva tenuto per tanto tempo, senza accorgersene. Quel quadro lo faceva impazzire. Glielo avevano consegnato un mese prima. Era venuto un fattorino della TNT Traco; senza tanti complimenti gli aveva posato il pacco vicino al porta ombrelli in ottone e radica, s’era fatto firmare la ricevuta, che lui aveva sottoscritto con una incoscienza di cui s’era pentito ed era sparito giù per le scale. Aveva avuto un sentimento di ripulsa verso quell’involucro incartato con una carta da pacchi dozzinale e aveva deciso di punirlo, non degnandolo nemmeno di uno sguardo per quindici giorni. Lo aveva volutamente ignorato anche quando la domestica lo aveva appoggiato a fianco del troumeau della sala d’ingresso. Ma, una notte, al rientro da un concerto, nel quale si era goduto la struggente malinconia di Schubert, seguito da una cena leggera con un suo caro amico, s’era sentito troppo buono per continuare a fare il burbero e l’aveva scartato. Riconobbe subito la mano di Brueghel: ci vide la profonda crudezza del racconto, la denuncia sociale nei volti sfatti dei popolani, la perfidia dei potenti. Era una scena che raffigurava una cucina nel pieno fervore, tutta tesa a preparare il pranzo per il padrone. Discosti, due figuri divoravano gli scarti dei cuochi, nell’indifferenza generale. Raccolse da terra una busta sigillata. Conteneva una nota ed un assegno, cospicuo, anche per uno come De Vecchi. “Egregio maestro, il medico mi ha detto che sto per lasciare questa valle di lacrime. So che la cosa non può interessarla più di tanto, anche perché non saprà mai chi sono. Ma vede, ne va del mio orgoglio! Molti anni fa, ho comprato questo quadro attribuito a Brueghel ed ho il dubbio che mi abbiano rifilato una patacca. Se fosse vero, cadrebbe il mito della infallibilità del mio fiuto, grazie al quale ho accumulato una discreta fortuna e non lo potrei accettare. Se invece il naso mi ha assistito ancora una volta, allora avrei compiuto il capolavoro”. Seguivano le istruzioni sul da farsi nell’avverarsi dell’una o l’altra delle ipotesi. La sfida gli aveva fatto dimenticare il risentimento ed il senso di impotenza che gli derivavano dal fatto di sentirsi spiato. Lo aveva posto in un cavalletto ed era iniziata la lotta. Pareva proprio di Brueghel: pennellata, impasto di colori, proporzioni. Andò a letto tardi senza avere un’idea chiara. E le idee gli rimasero confuse per parecchio tempo: aveva scartabellato, confrontato, centellinato ogni centimetro con la lente: quel quadro sembrava autentico, il magnate morente pareva aver fatto centro ancora una volta. Eppure qualcosa dentro di lui gli diceva di aspettare a pronunciarsi. Quella sera, dunque, era deciso a chiudere la faccenda: l’indomani lo avrebbe mandato alla casa d’aste, come richiesto dal proprietario, con una lettera di accompagnamento, in cui esprimeva il suo verdetto favorevole. L’accordo era che lui avrebbe guadagnato una percentuale sul prezzo di realizzo. Tornò a massaggiarsi la schiena e fece per spegnere la lampada quando ebbe una folgorazione: quel quadro era un falso e lui un cretino! La prova gli stava sotto al naso lampante, fin dal primo momento. Per sicurezza telefonò ad un collega di università, scusandosi per la stranezza della domanda. Poi, prese un coltellino affilatissimo e lo infilò nella tela proprio dove era ammucchiata, su un tavolo, una dovizia di pernici, volatili di passo, lepri, cinghiali e, con gesti esperti, ne sezionò una parte. Poi bruciò il resto nel caminetto. Mise la cenere del quadro in una scatola da scarpe; inserì il pezzettino di tela in una busta, accompagnandolo con un breve scritto: “Purtroppo per lei, stavolta il suo fiuto non ha funzionato. Fra la cacciagione ammucchiata nel tavolo della cucina c’era anche un cinghiale strano: è il Sus Barbatus, il cinghiale barbuto che viene dalla Guinea. Brueghel non poteva certo averlo visto. Il falsario ha copiato l’animale da qualche enciclopedia, senza curarsi di verificare. Succede!” Imballò scatola e busta con la stessa carta del quadro e andò a cenare gongolante. Il giorno dopo sarebbe arrivata la TNT Traco per la restituzione. C “Il senso del gusto” di Pieter Brueghel il Giovane Rockox House, Anversa “The Sense of Taste” by Pieter Brueghel the Younger Rockox House, Antwerp 66 Expertise Dusk was falling, Emanuele De Vecchi turned on the jointed lamp fixed to the trellis, and the canvas took on new life. He sighed and massaged his aching back from bending forward for such a long time, without even noticing. That painting was driving him mad. It had been delivered it to him a month before, by a TNT Traco courier, who without much ado placed the parcel near the brass and briar umbrella stand, asked him to sign the receipt, which he did unthinkingly to then regret it after, and disappeared down the stairs. He felt certain repulsion for that parcel wrapped in its second-rate paper and refused to open it for two weeks. He purposely ignored it even when his maid placed it next to the stand in the entrance. But, one evening when he came home from a concert where he had enjoyed the tormenting melancholy of Schubert, followed by a light meal with a close friend, he felt too good to be able to continue his rough attitude and decided to unwrap it. Straight away he recognised the hand of Brueghel: he saw the profound crudity of the tale, the social declaration in the hungry faces of the people, the perfidious expression of those in power. It was a scene depicting a busy kitchen all working to prepare the lord’s meal. On one side, two figures devoured the cooks’ rejects surrounded by the general indifference of the others. He picked a sealed envelope from the floor, which contained a note and a cheque, considerable, even for someone like De Vecchi. “Dear Maestro, the doctors have told me that I am about to leave this valley of tears. I realise that it is of no real importance to you, because you will never ever know me, but you see my pride is involved! Many years ago I bought this painting that was attributed to Brueghel, and I am uncertain as to whether instead it is a fake. If that were the case then my reputation as infallible connoisseur, thanks to which I have built up a certain fortune, would suffer and I would be unable to accept that. If, however, my intuition was right once again, then I would have performed the work of art”. The instructions followed as to what he should do in either of these hypotheses. The challenge made him forget his resentment and the feeling of impotence he got by feeling spied on. He placed the painting on a trellis and the fight began. It looked like Brueghel’s work: brush strokes, colour mixtures, proportions. He went to bed late without any clear ideas, which remained confused for a long time: he consulted, compared, and studied each centimetre under a magnifying glass. The painting seemed authentic: the dying magnate seemed to have hit the mark once again, but something told him to wait before making his announcement. However, that evening he decided it was time to close the matter: the day after he would have sent it to the auctioneers, as the owner had instructed, with an accompanying letter in which he expressed a favourable opinion. The agreement was that he would have earned a percentage of the sale. He began massaging his back again and was about to turn the lamp off when he had a flash: the painting was a fake and he was a fool! The proof was right there under his nose, right from the start. To be sure he called a university colleague, apologising for his strange request. Then he took a very sharp knife and put it into the canvas at the point on the table, where there was a heap of partridges, other birds, hares, boars, and with expert hands he sectioned a part of the canvas and then burnt the rest in the fireplace. He put the ashes of the painting in a shoebox, added the piece of canvas in an envelope with a brief note: “Unfortunately for you, your instinct didn’t work this time. Among the game on the kitchen table there is also a strange boar the Sus Barbatus, the bearded boar from Guinea. It was impossible that Brueghel had seen one, the forger had copied the animal from an encyclopaedia, without bothering to check. It can happen!” He wrapped the box and envelops in the same paper used for the painting and went to dinner most pleased with himself. The day after TNT Traco would have come to take it back. Sicurezza alimentare Food safety LISA e la Torre di Babele ranquilli, non vogliamo raccontarvi favole, ma semplicemente fare il punto della situazione su uno dei pilastri – almeno fino a ieri - della normativa igienico sanitaria: L.I.S.A. è l’acronimo di Libretto d’Idoneità Sanitaria per Alimentaristi. Tale documento è contemplato dalla legge 30 aprile 1962, n. 283, e dal decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327, che prevedono, con cadenza annuale, che “personale addetto alla produzione, preparazione, manipolazione e vendita di sostanze alimentari ” vengano sottoposti a ”visita medica ed accertamenti idonei a stabilire che il richiedente non sia affetto da una malattia infettiva contagiosa o da malattia comunque trasmissibile ad altri, o sia portatore di agenti patogeni.” Si ricorderà forse che erano altresì previsti ”accertamenti microbiologici, sierologici, radiologici… a completamento della visita” nonché “vaccinazione antitifico-paratifica”. Nel tempo, questo sistema di documentazione episodica dello stato di salute ha dimostrato tutti i suoi limiti, è stato oggetto di prese di posizione ufficiali da parte di organismi scientifici, ha costretto il legislatore vari livelli ad intervenire con provvedimenti specifici. In particolare, l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità), con propria risoluzione del 1989, relativamente agli accertamenti di laboratorio preventivi per il personale destinato al contatto con le sostanze alimentari, ha sottolineato che: • Gli accertamenti sanitari di routine sono di evidente inefficacia in termini di prevenzione delle malattie di origine alimentare e rappresentano uno spreco di risorse umane ed economiche, • L’aggiornamento e la formazione degli addetti e l’applicazione di tecnologie per la sicurezza sono strumenti di prevenzione più consoni e devono quindi essere preferiti agli accertamenti sanitari di routine. Le conoscenze dell’epidemiologia delle malattie trasmesse da alimenti hanno portato ad un’evoluzione normativa radicale, il cui punto più alto è consistito nell’emanazione del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155, che ha recepito le direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l’igiene dei prodotti alimentari: dal controllo «a valle», interamente a carico delle aziende sanitarie locali (ASL), si passa al controllo «a monte», a carico del produttore. Ci si pone perciò nell’ottica di quello che potrebbe succedere - richiedendo un’analisi preventiva dei rischi di contaminazione in cui l’alimento può incorrere - e non della verifica, quando il danno è già successo. Significativo è inoltre il fatto che il decreto legislativo n. 155/1997 pone in capo al responsabile della ditta o azienda, oltre che il controllo, anche la formazione e preparazione del personale, relativamente ai comportamenti da mettere costantemente in atto per prevenire il passaggio di contaminanti dal lavoratore all’alimento. Al contrario di quanto ritenuto sino a qualche anno fa, il rischio di contaminare un alimento da parte di un portatore sano è ritenuto minimo. I fattori di rischio che invece portano alla contaminazione alimentare sono correlati a comportamenti scorretti o a modalità erronee di produzione, preparazione e conservazione dei cibi. Il ruolo di soggetti che manipolano alimenti e che siano portatori sani di agenti patogeni si è rivelato irrilevante ed addirittura azzerabile quando vengano da essi adottate misure comportamentali di routine (GMP = norme di Buona Fabbricazione). Quando anche la presenza di microrganismi patogeni in tali lavoratori comportasse un rischio per la sicurezza alimentare, lo stesso non sarebbe comunque arginabile con accertamenti microbiologici a cadenza annuale. La formazione e riqualificazione del personale dell’industria alimentare è dunque la misura principe nel contenimento di tutte le contaminazioni alimentari, ivi comprese quelle di natura biologica: di tale istanza ha tenuto ampiamente conto la legislazione italiana, recependo la direttiva europea sull’Hazard Analysis and Critical Control Points (HACCP). Con il decreto legislativo n. 155/1997 sono state introdotte tutte le norme di massima cautela per la sicurezza alimentare e la salute del consumatore, norme che superano, rendendolo inutile, l’obbligo del libretto di idoneità sanitaria. L’abolizione/sospensione del Libretto d’idoneità sanitaria per alimentaristi (LISA). A metà degli anni ’90, avviene la sospensione degli accertamenti di laboratorio in fase di rilascio o rinnovo del LISA. Bisogna aspettare l’inizio del terzo millennio per vedere alcune Regioni emanare chiare disposizioni in merito all’abolizione (Emilia Romagna, Lombardia e Toscana) o sospensione a T tempo determinato o indeterminato del LISA (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Sardegna, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto, Trento e Bolzano). Non è mancato anche un pronunciamento della Corte Costituzionale che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale posta dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti dei primi provvedimenti regionali approvati. Con la Sentenza N. 162 del 26 maggio 2004, viene ribadita la competenza delle singole Regioni e Province Autonome nell’assumere provvedimenti legislativi nei confronti del LISA. di Luigi Tonellato First Quality Management srl Situazione oggi… Sentenza della Corte Costituzionale, pareri di Commissioni scientifiche, premesse dei provvedimenti normativi, ecc… ribadiscono l’importanza della formazione aziendale così come contemplata dal capitolo X dell’allegato al D.L.gs. 155/1997, inserita ovviamente nella corretta applicazione dell’autocontrollo HACCP. Dal confronto tra i diversi provvedimenti regionali emerge un quadro colorato di molte sfumature. Le situazioni che si osservano sono a dir poco edificanti! Qualche esempio? Se sono previsti dei corsi sostitutivi specifici - la cui organizzazione può essere affidata alle ASL oppure a degli Enti accreditati – sono anche contemplati dei casi di esonero dalla frequenza. Ebbene, lo stesso titolo di studio assume un valore diverso da Regione a Regione • la laurea in chimica esonera dall’obbligo di frequenza a qualsiasi corso specifico di formazione in Veneto, ma non in Emilia Romagna; • la laurea in agraria esonera il possessore dall’obbligo di frequenza in Emilia Romagna, ma non in Veneto; • il diploma di “Tecnico Servizi Ristorativi” (5 anni all’Istituto Alberghiero) esonera dall’obbligo di frequentare qualsiasi corso specifico di formazione; • in Emilia Romagna, ma anche in Abruzzo, è sufficiente un diploma qualsiasi di una generica “scuola alberghiera” (3 o 5 anni) per ottenere lo stesso risultato. I corsi sostitutivi, la cui frequenza è obbligatoria per chi non ha la fortuna di possedere un titolo di studio che possa valere l’esonero, presentano pure un ampio ventaglio di possibilità: • nessun corso sostitutivo ancora previsto in Friuli, • un corso di 3 ore da ripetere ogni 2 anni in Veneto; • un corso di 2 ore valido 3 anni oppure di 3 ore valido 2 anni, a seconda della tipologia di attività in Emilia Romagna; • un corso modulare con la frequenza di 2, 3 o 4 moduli di 4 ore, a seconda delle mansioni ricoperte e della complessità dell’attività con 5 anni di validità in Toscana; Ma si può anche fare riferimento alla formazione prevista nelle procedure aziendali di autocontrollo: • un corso base di almeno 10 ore con valenza triennale nelle Marche; • un corso di 8, 14 o 20 ore nel Lazio - senza indicazione di un periodo particolare di validità - ma che si può ridurre a 4, 8 o 12 ore per gli operatori che abbiano svolto attività nello stesso settore merceologico per un congruo periodo di tempo e ai quali sia stato certificato dal datore di lavoro, il rispetto della buona prassi igienica di lavorazione nel Lazio; • ecc…. Se può fare piacere, segnaliamo che, comunque, è prevista la possibilità di farsi rinnovare il LISA, qualora ci si debba spostare per lavoro in Regioni (sempre meno numerose però) che ancora ne prevedono l’obbligo. Conclusione: mentre, con il “pacchetto igiene”, si cerca di parlare la stessa lingua nei 25 Stati dell’Unione Europea, in Italia dobbiamo ancora fare i conti con il dialetto parlato all’ombra del campanile!!! Insomma, l’Italia e la Torre di Babele… “La torre di Babele” (1563) di Pieter Bruegel il Vecchio Museo di Storia dell’Arte, Vienna “The tower of Babel” (1563) by Pieter Bruegel the Elder Kunsthistorisches Museum, Wien 67 La rubrica dell’olio d’oliva Olive oil’s corner I migliori oli della Liguria di Renzo Ceccacci Frantoio Baglietto & Secco Via Roma, 137 - 17038 Villanova D’Albenga (SV) Tel. 0182-582838 Fax 0182-582286 [email protected] www.bagliettoesecco.it Frantoio Lucchi & Guastalli Località Vincinella - 19037 Santo Stefano Di Magra (SP) Tel. 0187-633329 Fax 0187-696399 [email protected] www.frantoiolg.com 68 ’olivo è arrivato in questa regione circa 5.000 anni fa, ma la sua coltivazione è rimasta più o meno marginale fino alla fine del 1.700, quando fu incrementata tutta la pratica agricola in risposta alla crisi economica iniziata con la perdita di mercati in Oriente ed accentuata dalla scoperta del Nuovo Mondo. L’attuale paesaggio quindi è stato formato dal disboscamento delle colline, con successivo terrazzamento, per coltivare soprattutto olivi e viti fino ai 700 metri di altitudine di pendii scoscesi. Piccoli oliveti sono descritti in documenti dell’epoca di Carlo Magno. La tradizione locale attribuisce ai Monaci Benedettini, giunti a Taggia da Cassino con i loro olivi, il miglioramento delle tecniche colturali e la selezione di una nuova varietà, la Taggiasca, chiamata anche Lavagnina quando fu diffusa nel Levante, dopo la costruzione di un nuovo Convento nei pressi di Lavagna. Attualmente la superficie olivata è di circa 15.000 ettari. Nell’ultima raccolta la produzione, per la siccità, l’alternanza produttiva e l’attacco di parassiti, è stata solamente di 3.000 tonnellate di olio (lo 0,5% del totale nazionale) di cui circa il 94% extravergine. Le più rappresentative cultivar locali, oltre alla Taggiasca (la più diffusa, utilizzata anche per la produzione di olive da mensa) ed alla Lavagnina, sono Colombaia, Pignola, Merlina, Mortina, Pinola, Rossese e Razzola. La DOP “Riviera Ligure” comprende tutto il territorio regionale, suddiviso in tre menzioni specifiche: Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente Savonese e Riviera del Levante. Il disciplinare fissa per le prime due la presenza rispettivamente almeno del 90 % e 60% di Taggiasca, per produrre olio di fruttato maturo e sapore dolce, mentre la Riviera del Levante, con almeno il 65% di Lavagnina, Razzola e Pignola da sole o assieme, il resto di altre cultivar, prevede anche la presenza di leggeri piccante ed amaro. Questo rende adatti gli oli che Vi presento soprattutto al pesce o a piatti dal sapore molto delicato, potendo arrivare ad abbinare a preparazioni mediamente saporite la selezione “I Fumei” e soprattutto il monocultivar di Razzola. L Baglietto e Secco Proprietario anche del Marchio “Montina” fondato nel 1866, ha assunto quale denominazione i cognomi delle mogli di Cesare e Giulio, due fratelli che, già agricoltori, sono diventati produttori di extravergine negli anni 80, dopo l’acquisto di un vecchio frantoio oleario a Villanova d’Albenga, paese molto conosciuto per la coltivazione delle violette. L’oliveto di proprietà è costituito da 2 ettari situati nei Comuni di Villanova e Andora, coltivati con 500 piante di Taggiasca, ma il frantoio, che attualmente utilizza frangitura a molazze e separazione continua, commercializza anche olio prodotto da selezionate partite di agricoltori locali, oltre a crema di olive, pomodori secchi e miele. L’Olio Extravergine di oliva “Cultivar Taggiasca”, prodotto nel mese di dicembre, è giallo dorato e quasi limpido per decantazione naturale. Il tenue fruttato maturo con lievi note di mandorla e mela gialla è coerente anche in bocca, ove è nettamente dolce, fine, di media fluidità, con presenza di piccante ed accenno finale di amaro. Lucchi e Guastalli Marco Lucchi Agronomo e Carlo Guastalli Agrotecnico, sono anche esperti assaggiatori. Dal 1995 gestiscono questa Azienda cui nel 2002 hanno affiancato un frantoio, che impiega due linee continue Pieralisi a 2 fasi, in possesso delle certificazioni DOP, Biologico e Made in Italy, utilizzato anche per la lavorazione di olive di produttori locali. Con la passione e competenza che gli ha già fatto conquistare numerosi ed importanti premi e riconoscimenti, oltre ad offrire la possibilità di visite e degustazioni guidate sia a singoli che a comitive, conducono direttamente 1800 piante di Razzola coltivate su 5 ettari ubicati in località diverse nei Comuni di S. Stefano di Magra e Lerici. Da olive raccolte a dicembre e lavorate in giornata hanno prodotto l’ Olio Extravergine di Oliva monocultivar “Razzola” DOP Riviera Ligure – Riviera di Levante: giallo dorato con lievi riflessi verdini e limpido per decantazione naturale, esprime fruttato medio-leggero di oliva prevalentemente verde con netto sentore di mandorla e lievi profumi di erbe aromatiche e pinolo. All’assaggio è ben corrispondente, dotato di buona fluidità e nettamente dolce, ma con vivace e piacevole piccante che prevale sull’amaro finale. The best oils from Liguria The olive tree as a plant arrived in Liguria some 5,000 years ago, but its cultivation as such remained marginal until the late 18th century, when farming had to be intensified in the region in response to an economic crisis that began with the loss of markets in the east and was made even more acute by the opening up of the New World. The present day Ligurian countryside was formed by deforestation of the hillsides and subsequent terracing to permit olive groves and vineyards to be cultivated on steep slopes at altitudes of up to 700 metres. Local olive groves were recorded in documents dating from the times of Charlemagne, but were small in size. Local traditions attribute the origin of modern cultivation techniques and the selection of popular local variety, the Taggiasca, to Benedictine monks who came to Taggia from Cassino. The same variety also became known as the Lavagnina after its introduction in the east of the region when a new monastery was built near Lavagna. Olive groves currently occupy a surface area of around 15,000 hectares in Liguria. For reasons of drought, natural variations in output, and parasite attack, last year’s olive crop yielded only 3,000 tons of oil (0.5% of total national output). Almost 94% of this was classed as extra-virgin. In addition to the Taggiasca (by far the most common local variety, even eaten as table olives) and the Lavagnina, the most representative cultivars in the region are the Colombaia, Pignola, Merlina, Mortina, Pinola, Rossese and Razzola varieties. The “Riviera Ligure” DOP appellation covers the entire Ligurian region, but is subdivided into three specific sub-regions: Riviera dei Fiori, Riviera del Ponente Savonese and Riviera del Levante. DOP regulations require that oil made in the Riviera dei Fiori and Riviera del Ponente Savonese sub-regions contain at least 90% and 60% of Taggiasca respectively and must have a mature olive nose and sweet flavour. Oil from the Riviera del Levante sub-region, on the other hand, must be made from 65% of Lavagnina, Razzola and Pignola either mono-varietal or mixed, and may have pungent and bitter light hints. These characteristics make these DOP oils ideal for fish and other delicately flavoured dishes. “I Fumei” oils and, more specifically, mono-varietal Razzola oils may also prove ideal condiments for moderately strong dishes. Baglietto e Secco Baglietto e Secco also own the “Montina” brand, established in 1866. The name Baglietto e Secco is formed by the surnames of the wives of Cesare and Giulio, the two brothers who own the company. The pair were already experienced farmers when they purchased an old extra-virgin oil mill in Villanova d’Albenga, a small town far better known for the cultivation of violets, in the 1980s. The family’s own olive grove, covering 2 hectares in the municipalities of Villanova and Andora, is home to 500 trees of the Taggiasca variety, but the mill, which still uses traditional stone pressing techniques and continuous separation, also produces and markets oil from selected crops grown by other local farmers, in addition to olive paste, sun-dried tomatoes and honey. “Cultivar Taggiasca” extra-virgin olive oil is produced in the month of December and is a golden yellow in colour, naturally decanted to almost perfect clarity. Its subtle, mature olive nose incorporates hints of almond and yellow apple, and is perfectly reflected on the palate by a medium fluid consistency and a distinctly sweet, fine flavour with a touch of piquancy and just a hint of a bitter after-taste. Lucchi e Guastalli Agronomist Marco Lucchi and agricultural engineer Carlo Guastalli are also expert tasters and have headed Lucchi e Guastalli since 1995. In 2002, they purchased a mill with two Pieralisi two-phase continuous process lines, already certified for the DOP, Organic and Made in Italy appellations. The mill also processes crops from other local producers. With the same passion and competence that has already won numerous top awards and prizes, the company also offers guided tours with oil tasting for individual visitors and groups, and directly cultivates 1800 trees of the Razzola variety on 5 hectares, in various locations within the boundaries of the municipalities of Santo Stefano di Magra and Lerici. The olives are harvested in December and processed the same day to produce mono-varietal “Razzola” DOP Riviera Ligure – Riviera di Levante extra-virgin olive oil. This is golden yellow in colour with light green highlights and is clarified by natural decantation. The oil has a medium-light mainly green olive nose with a clear aroma of almond and more subtle herbaceous and pine seed notes. It has a well matched flavour with a fluid consistency and a distinctly sweet taste enhanced by a pleasing, lively piquancy that prevails over a bitter after-taste. Ranise Situata a Dolcedo, nell’estremo ponente della Liguria, questa Azienda agroalimentare dotata anche di una accogliente struttura agrituristica produce olive in salamoia, crema di olive, pesto alla genovese, pomodori secchi e carciofini sott’olio e molto altro, ma soprattutto coltiva 1200 piante di Taggiasca, su 8 ettari di oliveto di cui 5 di proprietà e 3 in affitto, con bravura e passione premiate anche in concorsi internazionali. L’Olio Extravergine di Oliva “Ranise” DOP Riviera Ligure – Riviera dei Fiori è stato prodotto con tecnologia continua, con lavorazione in giornata, dopo raccolta per bacchiatura avvenuta da novembre a gennaio ad invaiatura media, e trasporto in casse aerate. Limpido per decantazione naturale e di colore giallo dorato intenso, carezza il naso con il suo fruttato leggero di oliva matura accompagnato da sentori di mandorla, pinolo e mela gialla. In bocca è abbastanza fluido, dolce e solo lievemente piccantino, in perfetta sintonia con i dettami di questa DOP di cui può essere degnissimo portabandiera. Risso Dopo la Laurea in Economia e Commercio, il dott. Flavio Risso ha iniziato il recupero degli oliveti di famiglia ampliandone la superficie fino agli attuali 2 ettari, situati nei Comuni di Andora, Zuccarello ed Ortovero, su cui coltiva 500 piante di Taggiasca per il 90%, il resto di Pendolino e Pignola. La passione lo ha portato ad acquistare un piccolo frantoio a tecnologia tradizionale con cui lavora in giornata le proprie olive, raccolte mediante bacchiatura con scuotitori pneumatici nei mesi da novembre e gennaio e trasportate in casse aerate. Da segnalare per il buon rapporto qualità/prezzo, l’Olio Extravergine di Oliva “Fiore” è giallo dorato con lievi riflessi verdini e limpido per decantazione naturale. Il fruttato fine e delicato è la somma di oliva matura e mandorla con accenno di erba e mela gialla. All’assaggio è dolce, ma con gradito lieve accenno di piccante ed amaro e dotato di buona fluidità. Oltre all’olio, anche questa Azienda produce molte specialità della tradizione locale, quali olive da mensa, carciofini, pomodori secchi e pesto. Vittorio Cassini La coltivazione delle 900 piante di Taggiasca più che bicentenarie, appartenenti alla famiglia da 7 generazioni ma abbandonate dal dopoguerra, è ripresa alla fine degli anni ’90. Dal 2000 questa Azienda, che completa la propria offerta con molti prodotti tipici regionali, dispone anche di un proprio frantoio a tecnologia continua. L’oliveto si estende su 4 ettari di cui 1,5 in affitto. L’Olio Extravergine di Oliva Taggiasca “I Fumei” proviene da olivi situati a 500 metri di altitudine, nella Frazione Negi Fumei di Perinaldo. Giallo dorato e quasi limpido, al naso profuma di oliva quasi matura, mandorla e lievi toni erbacei, per esprimere in bocca buona fluidità e sensazione dolce seguita da apprezzabile piccante e lieve amaro. L’Olio Extravergine di Oliva Taggiasca “Classico”, simile nell’aspetto e di fruttato tenue di oliva matura, mandorla dolce e lieve mela gialla, proviene da oliveti situati tra i 300 ed i 700 metri, nei Comuni di Dolceacqua, Apricale, Pigna e Bajardo. Soprattutto dolce e mediamente fluido, gode di leggera presenza di piccante. Benza Frantoiano Erede di oltre 150 anni di attività frantoiana, ma dotata attualmente di un impianto a tecnologia continua a riprova dell’attenzione alla qualità nel solco della tradizione, l’azienda della famiglia Benza coltiva 3.500 piante di Taggiasca (da cui ricava anche olive in salamoia e pasta di olive) su 15 ettari di oliveti posti nei Comuni di Imperia, Dolcedo, Prelà e Civezza. Integrando la propria produzione con partite selezionate di altra provenienza, commercializza un notevole quantitativo di extravergine suddiviso in tre etichette, “Primuruggiu”, “Dulcèdo” e “Buonolio”, tra cui Vi descrivo la seconda. Di colore giallo dorato e velato, non essendo filtrato come spesso avviene nella tradizione locale, l’Olio Extravergine di Oliva “Dulcèdo” DOP Riviera Ligure – Riviera dei Fiori si propone al naso con un tenue fruttato di oliva matura e sentori di mandorla, pinolo e mela gialla. L’assaggio conferma la finezza dei profumi ed evidenzia buona fluidità e netta sensazione dolce seguita da apprezzabile presenza di piccante. Ranise Located in Dolcedo, in the far west of Liguria, Ranise also runs a farm tourism business that provides a genuine warm welcome. The company produces olives in brine, olive paste, Genovese pesto, sun-dried tomatoes, artichoke hearts in oil and a number of other products, but its core business is the cultivation of 1200 trees of the Taggiasca variety on 8 hectares of land, 5 of which are directly owned, and 3 of which are cultivated under lease. The company’s skill and passion have attracted awards from various international competitions. “Ranise” DOP Riviera Ligure – Riviera dei Fiori extra-virgin olive oil is produced in a continuous process, completed on the day of harvesting. The semi-mature crop is gathered by beating in the months between November and January, and transported in open air crates. The oil is clarified by natural decanting and is an intense golden yellow in colour. It caresses the nose with a light, mature olive aroma that hints of almond, pine seed and yellow apple. The oil is fluid in consistency, and presents itself to the palate with a sweet, only slightly piquant taste that conforms perfectly to the requirements of the DOP appellation, for which it is the perfect Frantoio Ranise Via Nazionale, 30 - 18100 Imperia standard bearer. Tel. 0183-767966 Fax 0183-763700 [email protected] - www.ranise.it Risso After graduating in Economics and Commerce, Flavio Risso took on the work of revitalising the family’s olive groves, expanding the area cultivated to the current 2 hectares, situated within the boundaries of the municipalities of Andora, Zuccarello and Ortovero. Risso cultivates 500 trees, 90% of which are of the Frantoio Risso Taggiasca variety, the remainder being Pendolino and Pignola. Via Divizia, 114/A - 17051 Andora Flavio Risso’s passion soon led to the acquisition of a small tradi- Fraz. San Bartolomeo (SV) tional mill. This now presses the company’s olive crop on the day Tel. 0182-86150 of harvesting. The crop is gathered by beating with pneumatic shakers in the months between November and January, and transported in open air crates. “Fiore” extra-virgin olive oil stands out for its good quality to price ratio. It is golden yellow in colour with light green highlights, and is clarified by natural decanting. Its fine, delicate nose is a blend of mature olive and almond with herbaceous and yellow apple notes. On the palate it is sweet, but with a pleasant, slightly piquant and bitter tinge, and fluid in consistency. In addition to oil, Risso also produces a number of traditional local delicacies including table olives, artichoke hearts, sun-dried tomatoes and pesto sauce. Vittorio Cassini Vittorio Cassini cultivates 900 Taggiasca trees that are over two hundred year old, that the family has owned for 7 generations. The trees were abandoned after the war, but cultivation and oil making recommenced in the late 1990s. Since 2000 the company, which also makes various other typical regional products, has also acquired a continuous process mill. The company’s groves extend over 4 hectares, including 1.5 hectares under lease. “I Fumei” Taggiasca extra-virgin olive oil comes from trees grown at 500 metres above sea level, in the Negi Fumei area of the municipality of Perinaldo. This almost perfectly clear oil is golden yellow in colour, and boasts a nose of nearly mature olive and almond with slightly herbaceous note. On the palate it is fluid in consistency with a sweet flavour followed by a pleasant piquancy and slightly bitter after-taste. “Classico” Taggiasca extra-virgin olive oil is similar in appearance but with a delicate nose of mature olive, sweet almond and a hint of yellow apple. This oil comes from groves planted between 300 and 700 metres above sea level within the municipalities of Dolceacqua, Apricale, Pigna and Bajardo. It is predominantly sweet in flavour with medium fluidity, and a tinge of piquancy. Benza Frantoiano With over 150 years of milling behind them, the Benza family now operates a continuous process that clearly demonstrates their constant concern for quality and tradition. Benza cultivates 3,500 trees of the Taggiasca variety (from which they also obtain olives in brine and olive paste), distributed over 15 hectares of groves in the municipalities of Imperia, Dolcedo, Prelà and Civezza. Benza integrates its own crop with selected batches from other growers, and markets impressive quantities of extravirgin oil under three brands: Primuruggiu, Dulcèdo and Buonolio. In particular, Benza’s Dulcèdo DOP Riviera Ligure - Riviera dei Fiori extravirgin olive oil is a golden yellow in colour, unfiltered and therefore often cloudy as local oil pressing traditions require. Its subtle mature olive nose incorporates hints of almond, pine seed and yellow apple. On the palate the oil is quite fluid and distinctly sweet in taste with a pleasantly piquant after-taste that confirms its refined nose. Frantoio Vittorio Cassini Frazione Negri Strada Provinciale Seborga 18032 - Perinaldo (IM) Tel. 0184-223845 - 347-6020143 Fax 0184-223845 [email protected] www.cassini.co.it Benza Frantoiano Via Dolcedo, 180 - 18100 Imperia Tel. 0183-280132 - Fax 0183-281968 [email protected] - www.oliobenza.it 69 Associazioni Associations Cav. Elio Beltrame U.N.A.V.I. Selvaggina e direttive comunitarie er scrivere un articolo sulla selvaggina non basterebbero tutte le pagine di questa rivista, tante sono le specie animali selvatiche esistenti sul nostro pianeta, con la loro biologia, i loro habitat naturali, la vita stessa evoluta sulla terra e che l’uomo caccia da sempre. La storia dell’alimentazione umana ha inizio con il nutrimento della carne degli animali, dopo l’abbattimento di grosse prede; come sono descrittive le scene di caccia raffigurate nei graffiti delle varie caverne della preistoria. Per avere un quadro comunque limitato ma abbastanza sintetico della fauna selvatica allo stato libero in Italia e dichiarata protetta dalla legge 157 del febbraio 1992 per una caccia programmata, due sono le classificazioni, come comunemente sono definite le prede dai cacciatori: selvaggina da pelo e selvaggina da penna. Il prelievo ai fini venatori è regolamentato in ogni modo con molto rigore: con le Direttive Comunitarie, con le leggi dello stato Italiano, con le leggi Regionali, con i regolamenti demandati alle Province per competenza, oltre alle varie discipline dei piani faunistici-venatori esistenti negli ambiti territoriali di caccia, nelle riserve private e nelle riserve di zona alpi. Ragione per cui cacciare selvaggina fuori da queste disposizioni di legge in Italia oggi vuol dire “furto ai danni dello stato”, dopo che la selvaggina è passata dallo stato giuridico (res nullius) a patrimonio indisponibile dello Stato. Moltissima grossa selvaggina da pelo una volta popolava i nostri territori in maniera diffusa, purtroppo a causa dell’avanzare della nostra civiltà, con gli ambienti agro-silvo-pastorali sempre più ridotti e sempre più inquinati, molti animali selvatici oggi sono ridotti per numero e per specie, se non scomparsi del tutto. Questa è la pregiata selvaggina cosiddetta da pelo che, comunque, non in tutte le zone rientra nelle specie cacciabili: Camoscio (rupicapra rupicapra) habitat naturale- Alpi. Capriolo ( capreolus capreolus) habitat naturale-Alpi e foreste demaniali. Cervo (cervus elaphus) habitat naturale-Alpi. Stambecco (capra ibex) habitat naturale-Alpi-Parco Nazionale del Gran Paradiso. Reintrodotto in altri territori alpini. Daino (dama dama) habitat naturale- Reintrodotto in molte aree anche di pianura. Muflone (oris musimon) habitat naturale-Sardegna.Reintrodotto in varie Regioni d’Italia. Cinghiale (sus scrofa ferus) habitat naturale-Maremma Toscana e foreste demaniali. Reintrodotte altre specie più grandi provenienti dall’est Europa. Lepre (lepus europaeus) moltissime tra specie e sottospecie, vive in tutti i territori e ambienti, compresi gli allevamenti per la pronta caccia. Coniglio selvatico-diffuso in Sicilia e reintrodotto in molte zone. Il quadro della selvaggina cosiddetta da penna è molto più vasto e richiederebbe una più ampia trattazione. Ci basti sapere, per il momento, che due sono le componenti principali che rientrano in questo tipo di volatili: stanziali e migratori. Ph Marco Fabbri P 70 Game and EEC directives To write an article on game would take more than the pages in this magazine. There are so many different species of wild animals on our planet, with their type, natural habitat, evolution, which man has always hunted. The history of human food began with eating animal meat after hunting the large prey; clearly described in the graffiti hunting scenes in the prehistoric caves. To have a small, but reasonably clear picture of the free wild fauna in Italy, which was declared as protected by Law 157 of February 1992 to enable programmed hunting, there are two classifications, as the hunters normally define their prey: winged and furred. Hunting is very seriously regulated however: with the EEC directives, Italian laws, Regional laws, regulations sent to the various provinces, together with the various current faunal-hunting plans in the hunting areas, private reserves and the Alpine reserves. This is why whoever hunts game outside these dispositions in Italy is “robbing the State”, after game was legally recognised (res nullius) as untouchable heritage of the State. Lots of large animals used to be widespread in our lands, but unfortunately as our civilisation evolved, as the farming-woods-fields were reduced and increasingly polluted, many wild animals were drastically reduced in number and species, if not extinct altogether. Below is the precious so-called furred game which can be hunted, but not in all the areas however: Chamois (rupicapra rupicapra) natural habitat – Alps. Roe (capreolus capreolus) natural habitat – Alps and state forests. Deer (cervus elaphus) natural habitat – Alps. Steinbock (capra ibex) natural habitat – Alps – Grand Paradiso National Park. Reintroduced in other alpine areas. Fallow deer (dama dama) natural habitat – reintroduced in many areas, including on the plains. Mouflon (oris musimon) natural habitat – Sardinia. Reintroduced in various Italian regions. Wild boar (sus scrofa ferus) natural habitat – Tuscany Maremma and state forests. Other larger species have been introduced coming from Eastern Europe. Hare (lepus europaeus) many species and sub-species, live in all the areas and environments, including breeding farms for hunting. Wild rabbit – widespread in Sicily and reintroduced in many other areas. The panorama of so-called winged game is much wider and would take longer to deal with. It is sufficient for now to know there are two main types of bird: sedentary and migratory. In fiera Trade shows Tecnobar&Food 2007 di Gianfilippo Panazzolo Project manager Padovafiere Spa alla Fiera di Zagabria a Gastrotech a mercoledì 21 febbraio a sabato 24 febbraio 2007 la Fiera di Padova parteciperà con TECNOBAR & FOOD alla Fiera professionale GASTROTECH dedicata alla ristorazione e gastronomia specializzata che si svolgerà alla Fiera di Zagabria. Dopo l’operazione di acquisizione da parte della Società francese GL Events della Fiera di Padova - unica fiera italiana realmente privatizzata - PadovaFiere SpA sbarca a Zagabria con un’operazione di forte promozione per le aziende produttrici di attrezzature e prodotti del settore alberghiero e ricettivo italiano e del nord est in particolare. Tecnobar & Food giunto all’ottava edizione (Padova febbraio 2006) ha fatto una scelta coraggiosa rispetto a molte altre fiere italiane: la biennalità e l’internazionalità. La scelta della biennalità è stata fatta per venire incontro alle esigenze degli operatori/espositori del settore che hanno scelto di esporre a Padova negli anni pari e negli anni dispari di andare all’estero con una forte presenza collettiva dove esaltare la produzione del nord est. Si parte quindi per un progetto itinerante che andrà nei prossimi anni a toccare la Russia, l’Ungheria (dove la GL Events è già proprietaria della Fiera di Budapest), Francia, Spagna, gli Emirati Arabi, Dubai. Il progetto TECNOBAR & FOOD-HOSPITALITY a GASTROTECH 2007 si pone l’obiettivo di incrociare l’offerta degli espositori di Tecnobar & Food (attrezzature alberghiere, contract, prodotti alimentari e bevande per pubblici esercizi, vini, birre, caffè, paste alimentari, dolci, gelati, prodotti della panificazione, servizi informatici per bar, alberghi e ristoranti) con la domanda croata degli alberghi della costa istriana, del territorio sloveno e dell’est in generale. Si prevede la partecipazione di circa 40 aziende già con stand completamente preallestiti in un’area di 1000 mq dove assieme ai prodotti esposti verrà allestita un’area centrale ad isola del prodotto tipico italiano, con particolare visibilità per il prodotto tipico veneto e padovano, con degustazioni, concorsi e prove di cucina che spazieranno dalla cucina tipica veneta e italiana ad un prodotto doc tipicamente italiano: la PIZZA. Tutto questo grazie alle sinergie e alle realtà che fanno parte dell’organizzazione di Tecnobar & Food da tanti anni, dalle associazioni e scuole internazionali di cucina, alle associazioni italiane dei pizzaioli, passando per l’AIS Associazione Sommelier Italiani e AIBES con la presentazione di uno “spaccato” del bar 24 ore su 24 esplodendo le nostre “punte di diamante”, dalle verticali di vini abbinate alla musica, ai cocktail allo spritz. L’organizzazione di PadovaFiere Spa a Zagabria prevede anche la gestione di una serie di servizi importanti, dall’assistenza per l’assicurazione al credito internazionale alla ricerca di partner stranieri per l’ottimizzazione della scelta di validi canali distributivi. Un modo nuovo quindi di fare fiere “assieme” agli espositori partendo da Zagabria 2007 dove il “made in Italy” della ristorazione è da sempre un primato di qualità molto ricercato. D Sono aperte le iscrizioni per la partecipazione a Gastrotrech 2007: telefonare a PadovaFiere SpA Ufficio Commerciale 049.840541. www. tecnobarfood.it Tecnobar&Food 2007 at the Zagreb Trade Fair Gastrotech From Wednesday 21st to Saturday 24th February 2007, Padova Exhibition will take part with TECNOBAR & FOOD at the professional GASTROTECH trade fair, dedicated to catering and specialised gastronomy which will be held in Zagreb Exhibition Centre. After the takeover by the French firm GL Events of Padova Exhibition Centre – the only privatised one in Italy – PadovaFiere SpA is going to Zagreb with a driving promotion campaign for the companies that produce equipment and products for the Italian hotel and catering trade, in the Northeast in particular. Tecnobar & Food is now at the 8th edition (Padova February 2006) and has taken a brave decision with respect to many other Italian fairs: two-yearly and international. The choice for the two-yearly venue was taken to satisfy the requests from trade operators and exhibitors who want to exhibit in Padova in the even years and abroad in the odd years, to give a strong collective presence to emphasise northeast production. A travelling project is starting therefore, that over the next few years will go to Russia, Hungary (where GL Events already owns the Budapest Exhibition Centre), France, Spain, the United Arab Emirates and Dubai. The TECNOBAR & FOODHOSPITALITY project at GASTROTECH 2007 aims at meeting the offer by the exhibitors at Tecnobar & Food (hotel equipment, contract fittings, food and drinks products for public outlets, wines, beers, coffee, pasta products, confectionery, ice creams, bakery products, computer services for bars, hotels and restaurants) with the Croatian demand from hotels on the Istria coast, Slovenia and the East generally. Around 40 exhibiting companies are expected with their fully prepared stands in an area of 1,000 sq.m.. Together with the products on show, there will be a central island of typical Italian produce, with special emphasis on typical Veneto and Padova produce, with tastings, competitions and cooking trials ranging from typical Veneto and Italian cuisine to a typically Italian DOC product: the PIZZA. All this will be possible thanks to all those who have been cooperating in the organisation of Tecnobar & Food for years, associations and international cooking schools, Italian pizza chef associations, AIS – Italian Sommelier Association and AIBES, presenting a “view” of a bar open around the clock, exploding our “crowning features”, from glasses of wine with good music, to the various spritz cocktails. The organisation of PadovaFiere Spa in Zagreb will also provide a series of important services, from assistance in international credit insurance to searching for foreign partners in order to improve the choice of valid distribution channels. A new way of holding a fair “together” with the exhibitors, beginning in Zagreb 2007, where “made in Italy” catering has always been a much sought after leader. Registrations are open to take part in Gastrotrech 2007: telephone PadovaFiere SpA – Sales Office 049.840541. www.tecnobarfood.it 71 Formazione Training di Massimo Bomprezzi Un sapere che si tramanda di generazione in generazione arlare della cacciagione nella ristorazione penso sia estremamente difficile. Se si facesse una statistica sulle conoscenze degli chef relativamente a questo argomento, ci sentiremo rispondere: “Non l’ho mai cucinata, non amo proporla, troppo difficile da cucinare, difficile da reperire, con l’aviaria l’ho tolta dal menù.” Io amo la cacciagione perché il mio babbo era un cacciatore, in quei tempi erano un po’ tutti cacciatori perpetuando forse una tradizione che ci giunge dall’uomo primitivo che generalmente si nutriva di selvaggina. Ricordo chi lavorava in campagna e usciva con la lambretta e il fucile in spalla, certo non si tirava indietro se capitava una lepre, un fagiano, delle calandre o dei tordi, perfino un cinghiale che spesso rovinava i raccolti. Ho avuto anche la fortuna di mangiarla cotta da mia mamma e da esperti cacciatori. Sicuramente tante indicazioni le ho apprese da Aniceto grande uomo e grande conoscitore di cacciagione, nonché grande cacciatore, che me l’ha fatta gustare nelle succulenti cene (serate in cui non mancavano i suoi racconti piacevolissimi sempre un po’ esagerati come sono i racconti di tutti i cacciatori) con numerose pietanze che ci preparava in occasione del compleanno del figlio. Fu proprio lui a farmi capire l’importanza della provenienza dell’animale, se di montagna o di pianura, le fasi fondamentali della pulizia, della frollatura (acqua fredda a filo fino per 4/6 giorni dipende dalla grandezza e dalla specie) e la successiva marinata. Si prendeva un vino non prezioso con aggiunta di un po’ di aceto di casa per togliere l’odore selvatico e intenerirla, si aggiungevano elementi aromatici tagliati - cipolla, sedano, carote, alloro, ginepro erbe aromatiche e pepe in grani (il vino della marinata viene poi gettato e in cottura si usa del vino più importante e corposo che caratterizzerà il gusto della pietanza). Fu sempre Aniceto a farmi capire che una lepre superiore ad un anno di età non è il massimo per determinate cotture, ma è buona per altre. Mi ha insegnato anche che il metodo di cottura è determinante: deve essere lunga e a temperatura non troppo elevata, se vogliamo evitare l’indurimento della carne. In cottura non dovremmo stancarci mai di bagnare e glassare la selvaggina con tanto amore e passione. La pietanza risulterà cotta quando tenderà a staccarsi dall’osso, ma non troppo facilmente, rispettando quella consistenza e sapore diversi dal resto della carne. Oggi la tecnologia in cucina galoppa e grande e piccola attrezzatura come l’abbattitore, il cutter, il pacojet, il sottovuoto, il forno trivalente o a bassa temperatura ci accorciano i tempi e ci fanno ottenere dei risultati insperati fino a poco tempo fa. In ogni caso le vecchie indicazioni sono un sicuro riferimento. Credo che la cacciagione debba gustarsi in ristoranti specializzati strutturati e organizzati per questo. Non ci si inventa gastronomi in poco tempo, spesso i piccoli ma fondamentali accorgimenti si tramandano all’interno di un ristorante come veri e propri saperi di generazione in generazione. Oggi si affacciano anche gusti nuovi ed io sono favorevole alle combinazioni sempre più presenti con il pesce la verdura, la pasta o altri alimenti. Ben vengano anche i menù a degustazione di cacciagione che stimolano la brigata di cucina e sala a nuove tecniche di lavoro e conoscenze nell’abbinamento dei vini. Noi insegnanti a scuola programmiamo alcune lezioni proprio per accrescere la conoscenza nei ragazzi di questo gusto che tende ad essere: forte, spiccato, amarognolo e profumato al tempo stesso. Spesso nelle lezione mi piace comparare pollame di allevamento e cacciagione per far notare la differenza di colore e consistenza tra la cacciagione da pelo e piuma, far toccare agli alunni le diverse consistenze da crudo e cotte presentandole in diverse proposte: l’intento è stimolare e provare a trasmettere una conoscenza che merita tanto rispetto. Un altro aspetto importante è l’acquisto: mai acquistare cacciagione che non sia controllata dal punto di vista sanitario, capire sempre se è di allevamento o selvatica. Molti animali selvatici sono protetti e non devono essere acquistati e commercializzati e quindi proposti ai nostri clienti. Molto importante, infine, è l’aspetto nutrizionale. Infatti la cacciagione in genere fornisce una pregiata quota proteica ed è povera di grassi, anche se questo aspetto varia in considerazione della specie, della alimentazione, del sesso, dell’età, del clima e del momento della cattura. Oggi Aniceto non c’è più ma l’amore e quei sani saperi sulla cacciagione sono ancora in me. P Cutter C6 VV, Sirman Abbattitore Lampo, Sirman 72 Knowledge that is handed down from generation to generation I think it is extremely difficult to talk about game in catering. If statistics were taken about chefs’ knowledge of the matter, we would probably be answered: “I’ve never cooked it, I don’t like suggesting it, it is too difficult to cook, difficult to find, with the bird virus I took it off the menu”. I love game because my dad was a hunter; in those days most of them were, perhaps because they carried on a tradition that dated back to primitive man who generally ate game. I remember those who worked in the fields, and went out on their Lambretta with their rifle on their shoulder, and there was no hesitation if a hare, pheasant, titlark, or even a thrush came along, or even a boar, which often ruined the harvest. I have been lucky enough to eat it cooked by my mum and expert hunters. Without doubt I have learned a lot from Aniceto, great man and expert in game and a great hunter, who let me taste it at the succulent dinners (evenings when he always had a tale to tell, perhaps exaggerating a bit, like all hunters do), with lots of different dishes he prepared for his son’s birthday. In fact he is the one who taught me the importance of the animal’s origins, whether the mountains or the plain, the fundamental cleaning phases, hanging (dripping cold water for 4-6 days depending on the size and species) and the marinating. He took a normal wine and added a drop of homemade vinegar to remove the wild taste and to tenderise the meat, and added other chopped aromas: onion, celery, carrots, laurel, junipers, aromatic herbs and pepper corns (the marinating wine was then thrown away and the best, full bodied wine was used for cooking, to bring out the full character of the flavour of the dish). Aniceto taught me that a hare that is older than one year is no good for certain types of dishes but is good for others. He taught me that the cooking method is decisive: it must be slow at a low temperature to prevent the meat becoming tough. Throughout the cooking time, we must be tireless in wetting and glazing the game with all our love and passion. It is cooked when the meat starts to come away from the bone, but not to easily though, to respect the consistency and flavour that is different from the rest of the meat. Today technology in the kitchen is racing ahead with freezers, cutters, pacojets, vacuum sealers, trivalent ovens or low temperature ovens, they all speed things up and give results that were unhoped for a short while ago. However, the traditional indications are still valid. I feel that game should be eaten in specialised restaurants which are organised to cook and serve it. You cannot learn the gastronomic art overnight, and often the small but fundamental hints are passed down in a restaurant as jewels of knowledge from one generation to the next. Today new flavours are emerging, and I always approve the combinations with fish, vegetables, pasta or other products. Welcome to the set menus of game, that stimulate the brigade in the kitchen and dining hall to new working techniques and knowledge in combining the best wines. At school, we teachers plan certain lessons to increase the knowledge of our students in this flavour that tends to be strong, distinctive, bitter and perfumed at the same time. I often like to buy battery poultry and game for my lessons so that I can show them the difference in colour and consistency between animals and birds, let them feel the difference in consistency between raw and cooked meats, presenting different proposals: the intention is to stimulate and transmit knowledge that deserves a lot of respect. Another important aspect is buying it: never buy game that has not been controlled by the health authorities, always ascertain whether it is from a breeding farm or wild. Many wild animals are protected and must not be bought and sold, nor offered to our customers therefore. Finally the nutritional aspect is very important. Generally, game supplies excellent proteins and very little fat, however, this changes according to the species, its food, sex, age, climate and when it was caught. Aniceto is no longer with us, but all his love and healthy knowledge about game are still alive in me. MOSCA International Kremlin Culinary Cup, la NIC fa incetta di premi! ll’International Kremlin Culinary Cup, la Nazionale Italiana Cuochi ha fatto incetta di medaglie conquistando ben 9 argenti, 2 ori e 1 bronzo. Otto argenti sono arrivati dalla competizione a squadre: 4 per il buffet freddo e 4 per quello caldo. Tutte le altre medaglie sono invece frutto del talento individuale: oro per il menù vegetariano del comasco Lorenzo Staltari, oro per il menù a base di pesce di Nicola Vizzarri di Campobasso, argento per il piatto da buffet a base di pesce del padovano Paolo Piovan e bronzo per il menù della tradizione del barese Vito Semeraro. Commenta Gianluca Tomasi, leader della delegazione: Abbiamo fatto un’ottima figura grazie all’impiego di materie prime eccellenti e all’aiuto delle aziende che ci supportavano, a cui va il nostro grazie. A MOSCOW International Kremlin Culinary Cup, the NIC collect the prizes! At the International Kremlin Culinary Cup, the National Italian Chefs have collected several medals, winning 9 silvers, 2 golds and 1 bronze. Eight silvers came from the team competition: 4 for the cold buffet and 4 for the hot buffet. All the other medals are the fruit of individual talents: gold for the vegetarian menu by the Lorenzo Staltari from Como, gold for the fish-based menu by Nicola Vizzarri from Campobasso, silver for the fish-based buffet dishes by the Paduan Paolo Piovan and bronze for the traditional Bari-style menu by Vito Semeraro. Gianluca Tomasi, the delegation’s leader, comments: We have cut an excellent figure thanks to the use of excellent raw produce and the help of companies that have supported us, to whom we extend our gratitude. The details will be in the next issue of Zafferano! 73 Diario di bordo della N.I.C. The N.I.C. log book a cura di Marco Valletta La NIC in missione ad Hong Kong per promuovere un sistema di qualità del Made in Italy el mese di maggio a rappresentare la NIC ad Hong Kong sono stato proprio io. Avevamo avuto l’opportunità dell’apertura di un Baumatic Center, azienda leader italiana di tecnologie di cottura del settore domestico alla quale siamo legati, con il nostro marchio, già da qualche anno. Per l’occasione non solo abbiamo promosso il valore aggiunto del Made in Italy tecnologico, ma ho dovuto presentare alle due televisioni nazionali la cultura gastronomica delle “cucine territoriali italiane”. Era difficile per me dover in pochissimo tempo far passare il messaggio di un sistema “italiano” legato alla cucina e per questo avevo scelto alcune ricette per la dimostrazione, di facile elaborazione, ma che in televisione potessero essere esemplificative di quella cultura ormai tanto “copiata” da queste parti. Le ricette erano costruite sul posto sfruttando alcuni prodotti locali, mentre molti altri sono arrivati dall’Italia proprio con me. Insieme alle due conduttrici televisive abbiamo inscenato un giorno in cucina, preparando alcuni piatti. Loro mi avevano chiesto espressamente la produzione della pizza, della pasta, alla quale ho aggiunto la nostra cultura del risotto e la pasticceria da accompagnare al caffè. Ho promosso la cultura della pizza usando prodotti locali, costruendo al momento la ricettazione della pasta lievitata con la realizzazione della classica “Pizza Margherita”: è stata apprezzata l’elaborazione, in diretta della lievitazione della pasta, procedimento mai proposto prima, e che, spiegato da me in inglese, ha permesso la divulgazione del sistema in modo molto semplice. Ho prodotto poi in loco la cultura della pasta all’uovo: oltre alle classiche tagliatelle anche i tipici ravioli di magro che sono stati confezionati sul posto sia da me che coinvolgendo entrambe le presentatrici. In un certo senso mi sembrava di stare in RAI e che accanto a me ci fossero le sostitute della Clerici! Poi, sempre in inglese ho spiegato le regole fondamentali con indicazioni chiare su come cucinare la pasta di grano duro, e logicamente abbiamo scelto la qualità del grano kronos della “Zara”. Erano pasta corta saltata in padella con degli ottimi pomodori cinesi ma che, a dire della presentatrice, nulla avevano a che vedere con il gusto dei nostri pomodori. Logicamente una mia provocazione non poteva mancare. Ho voluto proporre il classico risotto allo zafferano per dimostrare come il nostro riso italiano Carnaroli, cucinato con il sistema del “risotto”, fosse un sistema di presentazione gradevole anche per chi il riso lo mangia solo bollito. Il piatto è stato molto gradito e ben gustato anche dopo le riprese televisive, quando è stato presentato agli ospiti intervenuti nella convention inaugurale della Baumatic shop center. Per la presentazione della pasticceria domestica ho promosso alcuni dolci soffici da accostare alla colazione del mattino, logicamente quella che prevede un ottimo espresso, piccole cose dolci da fare in poco tempo. E’ stata per me una vetrina molto interessante come chef della NIC, come esponente dei nostri abituali sponsor Sirman, Lainox, Zara, Irinox, perché abbiamo distribuito a tutti gli intervenuti un DVD della NIC durante le sue performance internazionali. Ma la cosa che mi ha inorgoglito di più è d’aver rappresentato la Federazione Italiana Cuochi perché in questa performance ho cercato di fare non una “lezione di cucina in senso dimostrativo”, ma ho voluto esportare un sistema di qualità delle cucine territoriali d’Italia con una immagine di rigore che da qualche anno la FIC desidera divulgare. Ritengo che queste iniziative siano utili e vantaggiose quando alle nostre spalle troviamo aziende che credono in noi e che hanno compreso come “La Cucina” non sia fatta solo di grande eventi e competizioni, ma anche di promozioni educative per la valorizzazione della qualità della cucina Made in Italy. N 74 NIC on mission to Hong Kong to promote the Made in Italy quality system I was in Hong Kong in May to represent NIC, where we had the opportunity of opening a Baumatic Centre, leading Italian company for home cooking technology that our brand has been affiliated to for a few years now. During this occasion not only did we promote the added value of Made in Italy, but I also presented “Italian territorial cooking” culture on two national TV channels. In such a short time it was difficult for me to transmit the message of an Italian system in the kitchen, but to do it I chose a few simply prepared recipes for the demonstration: a valid example on television of our culture, which is now widely “copied” in that area. The recipes were prepared on site using a few local products together with others that I had taken with me from Italy. Together with the TV presenters, we set up a day in the kitchen and prepared a few dishes. They had expressly asked the preparation of pizzas and pasta and I added our habit of risottos and pastries to be served with coffee. I promoted pizza making using local produce, preparing the raised dough and making the classic “Pizza Margherita”. The live preparation of the leavened dough was highly appreciated. It had never been seen before and I explained to them in English so that they could learn a very simple method. I also prepared some egg noodles: besides the classic tagliatelle also typical lean ravioli, which were made by me together with the two presenters. I felt as if I was on the RAI being helped by substitutes of Antonella Clerici! Again in English I explained the fundamental rules, with clear instructions on how to cook hardwheat pasta and, logically, we chose the kronos wheat quality by “Zara”. We used short pasta shapes tossed in the pan with excellent Chinese tomatoes but which, according to the presenter, were nowhere near as flavoursome as our Italian tomatoes. I had to provoke them as well of course, and prepared our classic risotto with saffron to show how our Italian Carnaroli rice, cooked as a risotto was a very good way of preparing rice for those who normally only ate it boiled. The dish was greatly appreciated and tasted after the programme, when it was presented to the guests to the inaugural convention of the Baumatic shop centre. To present the homemade confectionery, I prepared a few quickly soft cakes to be served at breakfast, with a good espresso coffee of course! As chef for NIC and as representative of our habitual sponsors Sirman, Lainox, Zara, Irinox I found it a very interesting showcase, because we gave all those present a DVD of NIC taken during the international performances. However the real point of pride for me was to represent the Italian Chefs Federation, because with my performance I was not trying to just give a “demonstrative cooking lesson”, rather I wanted to export a quality system of territorial cooking in Italy, with that rigorous image that FIC has been trying to spread for a few years now. I feel these initiatives are useful and beneficial, when we are backed up by companies that believe in us and understand that “The Kitchen” does not just involve great events and Sono stati tre giorni di intenso lavoro, nella spazio Baumatic, uno show room nuovo e di grande prestigio, sia per la posizione centrale in Hong Kong sia per l’immagine offerta del design e della tecnologia italiana, in modo particolare per “la tecnologie domestica”. Io mi sono impegnato molto per la buona riuscita dell’evento, e sono certo che il riscontro è stato positivo, e che avrà altre ricadute nell’immediato futuro. competitions, but also educational ideas to give more value to the Made in Italy cooking quality. Three days of intense work in the Baumatic area, a new and very prestigious showroom in the heart of Hong Kong thanks to the image given by Italian design and technology, especially for “household technology”. I did everything possible to guarantee the event was a success and I am certain of its positive outcome that will have important spin-offs in the immediate future. La NIC in Brasile per promuovere la qualita’ del Made in Italy A ritmo di samba un festival della cucina italiana dal 19 al 27 agosto 2006 na rappresentanza della Nazionale Italiana Cuochi è partita per il Brasile per promuovere la cultura gastronomica italiana del Made in Italy nelle tre serate di gala primi piatti a base di pasta di grano duro Kronos della Zara. Si trattava di far conoscere la qualità di una pasta trafilata in bronzo, proposta con salse a base di prodotti locali, in particolar modo le ostriche, visto che lo stato di Santa Caterina ne è il primo produttore mondiale. Nell’occasione sono state realizzate dagli chef Nicola Bizzarri e Paolo Piovan, delle ricette particolari, tra tradizione e innovazione. Tutto in tre serate nello stato di Santa Caterina, una a Jonville, una a Blumenau, e una a Florianopolis. In tutte le location erano previste sia un corso di cucina dimostrativa, curate da Marco Valletta, che spiegava a circa un centinaio di avventori per serata, trucchi, segreti e suggerimenti per cucinare la pasta, sia la degustazione guidata di pasta e vino. Tutto rigorosamente italiano! Lo chef Nicola Vizzarri, di Campobasso ha proposto la pasta con idee gastronomiche a base di prodotti ittici e molluschi, accostando con grande cura salse spumose a base di vino e olio extravegine d’oliva. La qualità della pasta scelta era quella di grano duro kronos Zara, che veniva poi saltata con esperienza affascinando i commensali presenti. Lo chef Paolo Piovan di Padova ha ideato ricette usando la pasta integrale della linea Zara, proponendo soluzione di condimento a base di soli ortaggi e carni bianche. A detta dei commensali, intervenuti in qualità di ospiti dei Supermercati Angeloni, le serate sono state un’occasione di grande interesse culturale e gastronomico perché hanno compreso come la pasta non deve essere intesa come alimento accessorio, di contorno a piatti brasiliani, ma può diventare un vero e proprio alimento principale. Noi chef siamo stati ospiti di Sabrina e Gustavo Angeloni, i quali hanno talmente gradito la nostra performance che vorrebbero la NIC al completo per festeggiare il loro 50 anni di attività nel 2008, sempre a Florianopolis. U The NIC in Brazil to promote the quality of “Made in Italy” to the rhythm of the samba, a festival of Italian cuisine from 19 to 27 August 2006 A delegation from the NIC - Italian National Culinary Team set out for Brazil to promote “made in Italy” gastronomic culture during three gala evenings of first courses based on Kronos Zara durum wheat pasta. The idea behind the initiative was to promote the quality of bronze extruded pasta, proposed with sauces made from local products, oysters in particular, given that the state of Santa Caterina is the world’s leading producer. Chefs Nicola Bizzarri and Paolo Piovan conceived special recipes for the occasion, a combination of tradition and innovation. All this took place during three evenings in the state of Santa Caterina, one at Jonville, one at Blumenau, and one at Florianopolis. In all the locations and on each of the evenings, there was a cooking demonstration by Marco Valletta who explained tricks, secrets and tips to cook pasta to a public of about 100, accompanied by guided tastings of pasta and wine. All strictly Italian! Chef Nicola Vizzarri from Campobasso proposed pasta with ideas based on fish and shellfish, skilfully combined with frothy sauces based on wine and extra virgin olive oil. Kronos Zara durum wheat pasta was chosen, tossed with experience to the fascination of those present. Chef Paolo Piovan from Padua created recipes using whole wheat pasta in the Zara line with a sauce based on vegetables and white meat. According to those attending, guests of the Angeloni supermarkets, the evenings were an occasion of great cultural and gastronomic interest where they learnt that pasta is not just a secondary food to accompany Brazilian dishes, but also a food in its own right. The chefs were guests of Sabrina and Gustavo Angeloni, who were so impressed by our performance they want the full NIC to take part in celebrations marking their 50 years of activity in 2008, again at Florianopolis. 75 Nel mondo Around the world di Simona Ceresani L’anatra laccata o alla pechinese n Cina c’è un detto che dice che chi non sale sulla Grande Muraglia non è un vero uomo e chi visita Pechino senza gustare l’anatra laccata è come se non avesse visitato la città. Questo rende l’idea dell’importanza che questo piatto tradizionale riveste per il popolo cinese, tanto che oggi vengono consumate ogni giorno a Pechino circa 3.000 anatre in 60 ristoranti diversi. Fin dall’antichità abbiamo notizia di preparazioni a base di anatra grigliata e sembra che il primo riferimento scritto risalga al periodo della Dinastia del Sud e del Nord (420589 d.C.). Durante la dinastia dei Tang (618-907 d.C.) venivano consumate altre preparazioni curiose come le oche ed anatre arrostite direttamente sul fuoco, che l’Imperatrice Wu Zetian (624 - 750) era solita ordinare ai cuochi di corte per ringraziare i suoi cortigiani e i suoi amanti. Durante la dinastia mongola degli Yuan (1279-1368) l’anatra, riempita con un misto di trippa di pecora, prezzemolo e scalogno, veniva arrostita direttamente sulla fiamma ed era consigliata dai dietisti di corte e definita come una rara prelibatezza. E’ proprio a questa preparazione che molti fanno risalire l’origine dell’anatra alla pechinese. All’inizio quindi l’anatra laccata era un piatto esclusivamente riservato alla tavola degli imperatori, mentre in seguito si diffuse pian piano fra gli strati più bassi della popolazione. Aprirono di conseguenza molti ristoranti pronti a soddisfare l’aumento della domanda di questo particolare piatto ed attirati dagli elevati profitti che potevano trarne. Sembra che risalga alla dinastia Ming (1368-1644) il primo ristorante aperto a Pechino specializzato esclusivamente nella preparazione dell’anatra laccata. Durante la dinastia Qing (1644-1911) l’anatra laccata era ormai divenuto uno dei piatti più famosi serviti a corte ed anche la tecnica di preparazione si era evoluta e perfezionata. La giovane anatra veniva infatti posta su di uno spiedo e cotta all’interno di un forno. Per la preparazione dell’anatra laccata ancora oggi sono scelte solo quelle anatre che sono allevate intorno a Pechino e nutrite in maniera particolare. L’anatra viene macellata dopo circa 65 giorni o comunque quando raggiunge il peso di due chili e mezzo. La carne a questo punto è tenera e particolarmente abbondante sul petto, mentre la pelle è sottile. I Per la cottura dell’anatra fin dal passato sono state seguite due diverse tecniche, che si distinguono nell’utilizzo di un forno aperto a metà oppure chiuso (cottura a irraggiamento). Il primo metodo è anche quello più popolare e si dice provenga direttamente dalle cucine imperiali della dinastia Qing. Dopo che l’anatra è stata spennata, pulita e scottata viene iniettata aria compressa (un tempo era il cuoco che soffiava aria all’interno dell’animale, attraverso una canna di bambù) in modo da espandere al massimo il grasso sotto la pelle e garantire l’aspetto gradevole ed il gusto croccante. L’anatra viene poi laccata per la prima volta con uno sciroppo, che le regala il tipico ed intenso colore rosso e rende la sua pelle croccante. La fase successiva è quella dell’asciugatura, che rappresenta un’altra procedura chiave per la buona riuscita della preparazione. L’anatra è infatti posta ad asciugare appesa per 12-24 ore, per separare ancora meglio la pelle dalla carne. Dopo una seconda laccatura, l’anatra viene messa nel forno dove è arrostita ad una temperatura di 230°C-250°C. Il forno è ancora oggi alimentato esclusivamente con legno di pesco o di pero. Questi tipi di legno non producono molto fumo, hanno una fiamma facilmente controllabile e soprattutto regalano alla carne un piacevole aroma fruttato. L’anatra, a seconda della sua dimensione, rimane in forno per circa 30-40 minuti e viene spesso girata per controllare la cottura ed evitare che bruci. L’anatra è pronta per essere consumata solo quando ha acquistato all’esterno un intenso ed uniforme colore rosso e Glazed or Pekinese duck become one of the most famous dishes at court and the preparation method had gradually been developed and improved. The young duck was put on a spit and cooked inside the oven, and still today to prepare this glazed duck only those that are bred around Peking and fed in a certain way are used. The duck is butchered after 65 days, or when it weighs around 2 ½ kilos, when the meat is very tender and very abundant on the breast, while the skin is still very thin. There have always been two ways for cooking the duck, depending on whether the oven is half open or completely closed (cooking by irradiation). The former method is the most popular and seemingly comes directly from the imperial kitchens of the Qing Dynasty. After the duck has been plucked, cleaned and scorched, compressed air is blown into it (once upon a time the chef blew air into the bird through a bamboo cane) so that the fat under the skin expands as far as possible to ensure the attractive crisp finish. The duck is then glazed for the first time with syrup, which gives it the typical deep red colour and makes the skin crisp. The next phase is drying, which is another key factor for the good outcome. The duck is left hanging to dry for 12-24 hours, to separate the skin further from the meat. After a second glaze, the duck is put in the oven and roasts at 230-250°C. The ovens burn exclusively peach or pear wood, which do not produce much smoke, the flame is very easy to control and they give the meat a pleasant fruity aroma. Depending on the size of the duck, it is cooked for 30-40 minutes and is turned constantly to check the cooking level and ensure it does not burn. The duck is ready only when inside it has a deep even red colour and the meat is really tender. There is a saying in China, which says that if you don’t climb on the Great Wall you are not a real man, and if you go to Peking without trying the glazed duck then you have not really visited the city. This gives us an idea of the importance that the Chinese give to this dish, to the extent that nowadays around 3,000 ducks are eaten every day in Peking in the 60 different restaurants. Right back in ancient times there are writings about preparing grilled duck and the first written reference dates back to the period of the South and North Dynasties (420-589 A.D.). During the Tang Dynasty (618-907 A.D.) other unusual dishes were eaten, such as goose and duck roasted directly in the fire that Empress Wu Zetian (624 - 750) used to order from her court chefs to thank her courtesans and lovers. During the Mongolian Dynasty of Yuan (1279-1368) duck used to be stuffed with sheep’s tripe, parsley and shallots, and was roasted directly over the flame and highly recommended by court dieticians, and was considered a rare delicacy. In fact, this recipe is the one that many consider to be the real origins of Pekinese duck. Initially therefore glazed duck was reserved exclusively for the tables of emperors, but later it slowly spread to the lower ranks of the population. Numerous restaurants opened ready to satisfy the increasing demand for this particular dish encouraged by the high profits that were involved. It seems that the first restaurant, specialised exclusively in glazed duck which opened in Peking, dates back to the Ming Dynasty (1368-1644). During the Qing Dynasty (1644-1911) glazed duck had 76 la sua carne risulta essere tenera. Il secondo metodo di cottura prevede l’utilizzo di un forno chiuso. L’anatra, riempita con una zuppa speciale, viene posta all’interno del forno dopo che le sue pareti sono state riscaldate (in passato si usavano steli di sorgo). La cottura avviene attraverso il calore rilasciato dalle pareti del forno, cioè a irraggiamento. In questa maniera la carne dell’anatra risulta croccante e dorata all’esterno e bollendo diviene tenera e saporita all’interno. Recarsi in uno dei ristoranti dove viene servita l’anatra laccata è come essere iniziati ad un nuovo rituale. I cuochi di Pechino sono stati capaci di creare oltre 100 piatti diversi, che permettono di gustare un menù tutto a base di anatra. Si utilizzano infatti tutte le parti di questo volatile, dalle interiora alle ossa. Si inizia solitamente con gli antipasti freddi preparati con fegato, ali, stomaco e uova, poi ci sono i cuori fritti e saltati con sale e pepe, la lingua, i rognoni e la zuppa preparata con le ossa dell’anatra. Il piatto principale è ovviamente l’anatra laccata che viene servita in maniera unica. La carne è tagliata in sottili fette (dovrebbero essere circa 120) e normalmente è il cuoco che si vicina al tavolo dei commensali e si esibisce in uno spettacolo di taglio e preparazione della carne che non ha eguali per maestria e precisione. Per gustare ed accompagnare l’anatra laccata, vengono servite delle sottili focacce, scalogno (tagliato nel senso della lunghezza) e salsa di soia dolce. Esiste anche una tecnica particolare per mangiare questa delizia. Normalmente con la mano destra che regge le bacchette si prende lo scalogno, che viene utilizzato come un pennello per distribuire la salsa di soia sopra la focaccia posta sopra la mano sinistra. Si dovrà poi mettere lo scalogno al centro della focaccia, con le bacchette aggiungere dei pezzi di anatra ed alla fine arrotolare la focaccia per poter finalmente assaggiare il suo prezioso contenuto. Per la complessità di preparazione e per la tipologia di forno utilizzato, ovviamente l’anatra laccata non può essere realizzata in casa. Può essere invece gustata in uno dei moltissimi ristoranti di Pechino e nel resto della Cina, anche se spesso la qualità dell’anatra e la preparazione lasciano a desiderare. Fortunatamente esistono ancora ristoranti fedeli alla tradizione e all’antica ricetta, che permettono di sperimentare questo piatto che racchiude l’essenza della cucina imperiale cinese. The second method is in a closed oven. The duck is stuffed with a special soup, and is put in the oven after the walls have been heated up (in the past they used broomcorn). The duck is therefore cooked by the heat that the oven walls give off, i.e. irradiation. This way the duck is crisp and golden on the inside and, as it boils, it becomes tender and tasty inside. If you go to a restaurant serving glazed duck, it is like an initiation to a new ritual. Peking chefs are able to create more than 100 different dishes, to present a menu entirely based on duck. In fact all the parts of the bird are used, from its innards, to the bones. Usually you begin with cold starters using liver, wings, stomach and eggs, to then continue with fried heart sautéed with salt and pepper, tongue, kidneys and soup made from the bones. The main dish is of course glazed duck, served in a unique way. The meat is sliced very fine (there should be around 120 slices) and the chef normally approaches the diners’ table for his exhibition of cutting and preparing the meat, which has no equals in expertise and precision. Normally, to accompany glazed duck, fine focaccia are served, shallots (cut lengthways) and sweet soya sauce. There is also a special way to eat this delicious dish. Normally the right hand holds the chopsticks and picks up the shallot, which is used like a brush to spread the soya sauce over the focaccia that is held in the left hand. The shallot is then put in the middle of the focaccia, and the chopsticks are used to add the pieces of duck before finally rolling the focaccia up to taste its precious contents. Given the complex preparation and type of oven that is used, glazed duck cannot be prepared at home. However it can be tasted in any of the numerous restaurants throughout Peking and China, although often the quality of the duck and its preparation are not up to par. Luckily restaurants still survive that are faithful to the traditions and ancient recipes, where you can savour this dish that encloses all the essence of imperial Chinese cooking. Prodotti per la ristorazione, progettati e realizzati in piena conformità alle direttive CE in fatto di sicurezza alimentare. ITALSERVICE srl Via Vanoni 14 35010 Curtarolo (PD) - Italy Tel. +39 049-9630654 Fax +39 049-9639021 www.ital-service.it e-mail: [email protected] Eventi Events Viaggio-premio con la Sirman in Lettonia ed Estonia Baltico, tra cultura e gastronomia 78 receduti, accompagnati e seguiti dal delizioso Prosecco di Casa Marzaro, 150 ospiti della Sirman, operatori del settore, agenti, distributori, ristoratori e qualche amico, hanno partecipato al viaggio-premio che l’azienda padovana di Pieve di Curtarolo ha organizzato dal 7 all’11 settembre nelle capitali di Lettonia, Riga e di Estonia, Tallin nell’estrema Europa dei grandi boschi che si affaccia al Mar Baltico. Volo privato da Malpensa e arrivo nella grigia ma bella Riga e subito una prima visita al centro storico della città. Un’immediata immersione storica, seguita dalla cena al Kalcu Varti (patè con fagioli e formaggio caprino, insalata con salsa di rucola, crema di funghi selvatici, filetto di salmone su letto di melanzane e pomodoro con salsa di spinaci, dolce al cioccolato con salsa al lampone, birra locale). In questo primo incontro si sono rafforzate vecchie amicizie e scoperte delle nuove, tra i brindisi e le note della Live Jazz Band. Il mattino seguente visita alla città, parte in pullman e parte a piedi, sempre accompagnati dalle preziose guide locali. Palazzi antichi, vecchi e nuovi dalle eleganti facciate dal barocco al neo classico. Tanti modi di interprestare il Liberty per aggraziare la città ma soprat- P ti e brindisi finale, con Processo ovviamente. Serata di gala allo Small Guild House, nel cuore del centro storico (gamberoni al vapore in insalata di cetriolo fresco, gelatina di pomodoro e salsa di yogurt alla menta, vellutata di fungi porcini con formaggio di capra e salsa di carciofi, filetto di rombo su letto di pomodoro e melanzane, crema “brulle” con ciliegie e Cointreau alla fiamma, il tutto accompagnato da un Gavi della Bersano). Tutti eleganti, atmosfera d’altri tempi, orchestra sul soppalco, bandiere lettone e italiana, clima festoso. Qui Nereo Marzaro ha ringraziato gli ospiti portati dall’Italia e quelli del posto (agenti e rappresentati Sirman in Lettonia), ha illustrato le ulteriori tappe della crescita dell’azienda e dei suoi prodotti, e ha assegnato una serie di “Premi alla Fedeltà” a: Gianni Spadoni della ditta Spadoni di Ferrara, Gianni Cimarelli della ditta Tecnobar di Tolentino (Mc), Domenico Caruso della ditta Libra di Alba (Cn) e Costantino Cuccuru della ditta Trasparenze di Nuoro. Un plauso particolare è poi andato all’agente Stefano Pallaro per la continuità di aumento percentuale negli ultimi 5 anni. Le ‘spillette d’oro’ per i 25 anni di anzianità e l’apporto fondamentale alla crescita dell’azienda sono tutto per confondere i brutti esempi urbanistici lasciati dall’occupazione sovietica. Quindi pranzo al Lido, una specie di Disneyland ridotta, con una casona tutto in legno circondata da sale e saloni, giostre e giochi all’aperto, per una presa diretta della cucina tradizionale lettone a self service (salmone affumicato e marinato, halibut e sgombro affumicato, gamberi impanati, pesce del Baltico con uova e fagiolini, filetti di manzo, delizioso involtini di carne e formaggio tenero, insalate di funghi, di pollo, di gamberi, di pomodoro e formaggio, frutta e tantissimi dolci). Una indimenticabile abbuffata per accontentare le troppe tentazioni. Nel primo pomeriggio un eccezionale evento culturale, un tour guidato nel back stage del famoso palazzo dell’Opera di Riga, il National Opera House dove gli ospiti italiani hanno goduto di un’esibizione riservata di un duo soprano-tenore con famose liriche tratte dalle opere Donizzetti, Puccini, Mozart, Bizet. Applausi merita- andate a Luca Bizzo e Luca Marzaro. E un particolare ringraziamento al concessionario Sirman a Riga Yuri Baskakov della ditta Vitrum. Sabato 9 settembre tutti al Riga Food, la fiera dell’alimentazione, delle macchine e delle attrezzature, dove lo stesso personale dello stand Sirman con lo chef Michele Gilebbi ha provveduto a offrire un apprezzato buffet (un’orzotta fredda con piselli con accanto una cucchiaiata di una salsa lettone con panna acida e una gustosa serie di piccoli toast e l’immancabile Prosecco) del quale hanno approfittato, senza tanta insistenza, decine di visitatori pazientemente in fila. Qui Nereo Marzaro non ha perso l’occasione, come sempre, per contattare probabili futuri clienti e illustrare le validità tecnica e operativa delle sue macchine e delle sue attrezzature. Nel primo pomeriggio la carovana di quattro pullman ha trasferito tutti a Tallin percorrendo per oltre cinque ore la lunga strada che, costeggiando il Mar Baltico sempre nero e freddo, collega le due capitali. Boschi infiniti, prati verdi, rare fattorie, mucche al pascolo, e ancora boschi, boschi, boschi. Una sola tappa a Parno, cittadina balneare, tanto per uno spuntino (tartine al formaggio, alla carne affumicata, dolcetti e succhi di frutta e…Prosecco Marzaro). Dopo la notte al Tallink Hotel, a due passi dal centro storico di questa antica capitale del Nord occidentale, una lunga visita a piedi in un completo coinvolgimento medioevale, tra strade di pietre, altissime mura, bancarelle, botteghe tentatrici, ragazze in costume. Una caccia al tesoro (trovare le chiavi della città) non ha distratto più di tanto i viaggiatori italiani rapiti dalle bellezze architettoniche (e anche da quelle con i tacchi a spillo e le audaci minigonne…). Una chiesa dopo l’altra, luterane, ortodosse, cattoliche, un parco, una fila di negozi, tra un traffico sostenuto ma ordinato e tranquillo. Il pranzo della domenica al Peppersack, un locale dall’arredamento moderno capace di soddisfare fino a duecento coperti (crema di pesce e verdurine, carne secca arrosto con crauti, sottaceti, patate al forno con salsa alla senape, torta di mele con crema). Interessante, sempre nel pomeriggio di domenica 10 settembre, la lunga visita al Museo Etnografico del Parco Kopli, appena fuori della città, un’ampia area tra il bosco e il mare dove sono state trasferite o parzialmente ricostruite le antiche abitazioni rurali, ma anche le fattorie e perfino una taverna. Qui il gruppo, disperso prima tra stradine, sentieri, prati e boschi, si è ritrovato per uno incontri, ha ricordato le ultime tappe della crescita Sirman e la sua diffusione nel mondo e non ha mancato di ringraziare tutti i collaboratori. Ferruccio Ruzzante ha quindi annunciato la parentesi storico-gastronomica della serata affidata al direttore di Zafferano, Carlo Mocci, e al gourmet Alfredo Pelle. Mocci ha sintetizzato le origini storiche della cucina del Mediterraneo e la sua diffusione che però non ha mai raggiunto l’estremo Nord europeo, mentre Pelle ha approfondito i legami della cucina lettone con quella germanica (le infinite zuppe, tra cui la pelekie zirni con piselli e pancetta, gli antipasti freddi, la carne prima lessata e poi cotta, l’immancabile uso delle patate, i frutti di bosco, i funghi, i pesci dei mari freddi) e poi quelli della estone retaggio evidente degli atichi legami con i Paesi scandinavi (il pane nero e quello lievitato all’orzo, la kashal specie di pappa di granaglie condita con burro e la panna acida, zuppe e stufati, immancabili il salmone, il merluzzo, le aringhe). Qualche battuta spiritosa, tanti complimenti al patron Marzaro e poi musiche, canzoni e cabaret con l’imprevisto can-can che ha dato una nota prima sudamericana e poi mediterranea alla splendida serata. Lunedì, giornata praticamente dedicata allo shopping nella città vecchia alla scoperta dei tessuti delle lane e dei lini, ma anche dei piccoli oggetti di legno e ceramica, di un artigianato tradizionale sempre curato e allettante. Pranzo al Maikrav, nella grande e, grazie a una splendida e rara giornata di sole, affollata piazza del municipio; un locale a cave, buio, dopo scalini ripidi, tavoli rotondi e grosse poltrone dallo schienale altissimo (insalata di spettacolo folcloristico dove sono stati presentati i balletti tradizionali di questo popolo che nel canto e nelle musica ha identificato la sopravvivenza delle sue radici storiche. La cena dell’arrivederci è stata tenuta all’Estonian Concert Hall House, storica struttura che ospitò l’esordio della State Philarmonica Society e successivamente è stata dedicata ai concerti e agli eventi culturali. Al welcome cocktail, flute di Prosecco ghiacciato. Ambiente raffinato, grandi tavoli, musiche al pianoforte prima, cabaret e canzoni durante e a fine pasto allestito dalla House Brottherhoodsbof Black Heads (insalata alla Waldorf Astoria, zuppa di pomodoro cappuccino con crostini alle erbe, fletto di maiale al pepe verde con salsa di senape, dessert mille foglie proposto dal maestro pasticcere con sala di ciliegie e mirtilli, Cabernet di Castellani e Pinot Grigio di Tommasi). Nereo Marzaro ha dato il benvenuto agli ospiti estoni, ha sottolineato il valore di questi pollo, zuppa di cipolle, fettina con salsa di senape e patate al forno, crema di mirtilli con gelato alla vaniglia, la solita birrona). Poi tutti a spasso in attesa dell’appuntamento all’aeroporto protratto di ore causa di un “incidente tecnico”di cui nessuno (o quasi…) ha saputo niente fino all’arrivo in Italia, che ha consentito comunque di apprezzare una cena imprevista ma con una scelta eccezionale di piatti nella sala a serf service dell’Hotel Tallink nella Tallin moderna. Un viaggio in stile Sirman perfetto nell’organizzazione e nella scelta dei posti dove si sono mischiate cultura, informazioni ambientali, storia, gastronomia, concedendo conoscenze, certamente non approfondite, ma sufficientemente capaci di dare l’immagine di un Paese. E Lettonia ed Estonia per noi europei sono terre lontane e sconosciute. Sirman ha offerto a tutti un’occasione da ricordare. E sarà così anche la prossima… 79 “Elefantino d’Oro”: tutti i premiati Un nuovo prestigioso premio internazionale “L’ELEFANTINO D’ORO 2006” , promosso dalla nostra rivista Zafferano magazine, è stato assegnato, nel corso di una splendida serata a Tallin in Lettonia, a tre personaggi del settore della ristorazione che si sono particolarmente evidenziati. Una prestigiosa giuria - composta dal presidente del Consorzio Zafferano, Ferruccio Ruzzante, dal direttore Carlo Mocci, dagli chef Giorgio Nardelli e Marco Valletta, nonché dall’imprenditore di Sirman, Nereo Marzaro - ha premiato il rivenditore Renzo Scaroni, lo chef Paolo Rossetti e, a sorpresa, lo stesso Nereo Marzaro. Di seguito le motivazioni: Nereo Marzaro Imprenditore illuminato e infaticabile innovatore Un riconoscimento al suo spirito di sperimentazione, alla sua grande passione per la gastronomia italiana, agli strumenti più all’avanguardia per realizzarla nel modo migliore, alla sua professionalità e al suo impegno nell’offrire sempre nuove opportunità ai grandi nomi della ristorazione per esprimere tutta la creatività del cucinare made in Italy. Un omaggio alla sua versatilità, al suo entusiasmo e alla singolare capacità di guardare avanti per scoprire sempre nuovi traguardi da oltrepassare con successo. Un tributo a Nereo Marzaro appassionato uomo d’impresa e grande sognatore. Nereo Marzaro, Carlo Mocci, Ferruccio Ruzzante L’idea di questo “Premio” - ha detto Marzaro - mi è piaciuta fin dall’inizio. Ho con gioia e soddisfazione accettato di far parte della prestigiosa giuria. L’escamotage perché l’Elefantino arrivasse anche a me da parte dei colleghi della giuria mi ha fatto ancora più piacere. Con orgoglio da sempre offro una mano ai Grandi Chef della Cucina made in Italy, della quale sono un appassionato fruitore come provano i miei chili di sovrappeso. Lusingato di essere descritto “grande sognatore” penso infatti che per poter vincere le battaglie bisogna rincorrere i sogni senza arrendersi mai. Paolo Rossetti Illustre esponente della miglior arte culinaria italiana Un omaggio alla sua vivace creatività gastronomica, alla profonda conoscenza delle applicazioni della tecnologia all’alta cucina, alla dinamica e generosa collaborazione con l’azienda Sirman. Un riconoscimento ad un’esperienza che spazia dalla pratica di alto livello nella ristorazione alla trasmissione del suo sapere agli allievi del rinomato istituto alberghiero Panzini di Senigallia. Un sentito ringraziamento a Paolo Rossetti. Chef di straordinaria flessibilità e grande organizzatore della ristorazione. Paolo Rossetti, Nereo Marzaro Renzo Scaroni Il Migliore dei Migliori Un riconoscimento alla grande fedeltà dimostrata nel tempo ai prodotti dell’azienda Sirman, all’attenzione per le novità del settore e all’entusiasmo e competenza nel promuoverle nel mercato,alla scrupolosa assistenza tecnica sempre rapida e altamente qualificata, alla piena e totale disponibilità nei confronti del cliente e dell’azienda che rappresenta. Un riconoscimento a Renzo Scaroni, alle sue doti di uomo onesto e grande professionista della vendita. Renzo Scaroni, Nereo Marzaro, Ferruccio Ruzzante 80