2014
quindicinale di attualità e documenti
CEI
Annuncio
e catechesi
La Parola
cresce nella storia
Supplemento a IL REGNO - ATTUALITà n. 8 - 15 aprile 2014 - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa
Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” - Cod. 978-8810-91957-6 - Una copia € 1,50
quindicinale di attualità e documenti
S
upplemento
a Il Regno - Attualità n. 8
15 aprile 2014
Caro lettore,
questo numero speciale de Il Regno che le consegniamo è
interamente dedicato alla catechesi in Italia, e al processo che
nel corso degli ultimi 10 anni ha portato vescovi e comunità
ecclesiali a interrogarsi sulle trasformazioni sociali e culturali
che interpellano la trasmissione della fede, e sulla recezione del
«Documento di base» del 1970, che applicava all’ambito della
catechesi il rinnovamento conciliare.
Il percorso compiuto dalla Chiesa italiana è ricostruito in
apertura da un saggio a cura della redazione de Il Regno.
A seguire Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la
carità, la missione e l’azione sociale della diocesi di Milano e
docente di teologia pastorale presso la Facoltà teologica dell’Italia
settentrionale, raccorda il tema della catechesi con quello
dell’educazione, che è al centro degli Orientamenti pastorali della
Conferenza episcopale italiana per il decennio 2010-2020.
Infine Erio Castellucci, vicario episcopale della diocesi di ForlìBertinoro, teologo pastoralista e docente all’Istituto superiore
di scienze religiose della Romagna, ricollega un cammino
sviluppatosi durante il pontificato di Benedetto XVI agli stimoli
offerti dal documento programmatico di Francesco Evangelii
gaudium.
Lo speciale «CEI - Annuncio e catechesi. La Parola cresce nella
storia», che è un supplemento a Il Regno - Attualità n. 8 di
aprile 2014, è disponibile nelle librerie cattoliche e per vendita
diretta (051 3941522; [email protected]), al costo
di € 1,50.
Le auguriamo una buona lettura.
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(a cura della redazione
de Il Regno)
Annuncio e catechesi in Italia:
la Parola cresce nella storia
283
(Il Regno)
I nuovi «Orientamenti
per la catechesi»:
nella Chiesa di Francesco
288
(L. Bressan)
Iniziazione cristiana:
educare alla fede oggi
294
(E. Castellucci)
A partire dall’Evangelii gaudium:
la catechesi dal popolo di Dio
Colophon a p. 293
S
speciale
Annuncio
e catechesi
in Italia
La Parola
cresce
nella storia
Negli ultimi 10 anni, la catechesi in Italia si
è rivelata un ambito pastorale intensamente
creativo e riflessivo, nonostante i silenzi in cui
spesso è stata relegata. Da un lato infatti è stata
tra gli osservatori più attenti ai cambiamenti che
attraversano la società, e ha reagito sperimentando
un modello d’iniziazione cristiana ispirato al
percorso catecumenale e al secondo annuncio;
dall’altro ha avviato un cammino corale di
riflessione sulla recezione del «Documento di
base», il testo del 1970 che applicava alla catechesi
le novità del Concilio. Questi due percorsi stanno
per convergere nei nuovi «Orientamenti per la
catechesi», che verranno presentati nella loro
stesura definitiva all’Assemblea generale di
maggio della Conferenza episcopale italiana.
Essi concluderanno la fase di sperimentazione,
proponendo le linee guida unitarie per la catechesi
e l’annuncio nella Chiesa italiana nei prossimi
anni. Nell’attesa dei nuovi «Orientamenti» è
necessario fare memoria del percorso compiuto
(testo a cura della redazione de Il Regno), così come
del collegamento tra annuncio ed educazione, che
innerva anche gli Orientamenti pastorali della
CEI per il decennio (L. Bressan); e sintonizzarsi
sulla prospettiva popolare e missionaria indicata
programmaticamente dall’esortazione apostolica
Evangelii gaudium di papa Francesco (E. Castellucci).
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nnuncio e catechesi in Italia
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nche se il testo di «Orientamenti per la catechesi» è ancora in fieri e non se ne conosce la stesura definitiva che verrà presentata alla prossima assemblea generale della
Conferenza episcopale italiana, giova tuttavia tracciarne il percorso, anche perché
esso mostra un cammino di discernimento
e condivisione. L’esigenza infatti di un ripensamento de Il
rinnovamento della catechesi del 1970 – il cosiddetto «Documento di base» del rinnovamento della catechesi in Italia –
risale già sin dall’anno 2000, quando il 28-30 settembre a
Viterbo l’Associazione italiana catecheti (AICA) promuove
un convegno a Viterbo dal titolo: «Il Documento di base e il
futuro della catechesi in Italia nel 30° dalla sua pubblicazione». Negli atti del convegno si legge: «Il “Documento di
base” […] segna un punto di non ritorno e tuttavia ha bisogno di una sua “riscrittura”. Il convegno ha voluto mettere
insieme felicemente le due dimensioni accennate: la celebrazione del “Documento di base” e le analisi per il futuro.
Ha cercato di far interagire intelligentemente e in modo
preparato l’analisi del passato e le ipotesi per il futuro».1
Anche se il seme è stato gettato, dovrà trascorrere quasi un intero decennio perché la tematica – alla vigilia del
40° del «Documento di base» – venga ripresa a opera della
rivista Evangelizzare e della Facoltà teologica del Triveneto, con un convegno su «La catechesi a un nuovo bivio?»
celebratosi a Padova l’8-9 maggio 2009, con il chiaro intento di un ripensamento del «Documento di base». Nelle
conclusioni del convegno si legge: «Proprio l’attualità del
“Documento di base” chiede in un certo senso si sia disposti a farne una “riscrittura” entro le provocazioni di questo
nostro tempo, accogliendo una sfida che è insieme teoricopratica. L’impresa non va affidata né solo ai catecheti con
aggiornate teorizzazioni, né solo ai pastori con nuove sperimentazioni; deve essere esperienza globale di Chiesa, come
del resto è avvenuto per il “Documento di base”».2
La riflessione verrà così raccolta e rielaborata dalla
Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, che pubblica il 4 aprile 2010 – sotto
la presidenza di mons. Bruno Forte – una lettera in occasione del 40° del «Documento di base»,3 che ne manifesta
la validità e i limiti. La necessaria riflessione viene così ripresa il 14-15 aprile successivi in un seminario (promosso
dalla stessa Commissione episcopale e dall’Ufficio catechistico nazionale), rivolto ai vescovi delegati per la catechesi
delle regioni; ai membri della Consulta nazionale UCN; ai
direttori degli uffici e servizi CEI per la scuola e l’università, l’insegnamento della religione cattolica, la liturgia, la
Caritas, i giovani, la famiglia, le missioni, l’ecumenismo, le
comunicazioni sociali, gli studi di teologia e scienze religiose; e a esperti invitati dalla Commissione.
Un nuovo documento progettuale condiviso
Il seminario si proponeva non solo di celebrare l’anniversario del documento di base, ma anche di rivisitare il
testo in vista della tematica educativa del decennio 20102020; verificare come alcune idee «cardine» de Il rinnovamento della catechesi siano entrate nella pastorale e possano
essere fonte di riflessione per l’oggi, e quali dimensioni invece aspettino ancora di essere attuate; confrontare il «Do-
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cumento di base» con l’idea di pastorale nata dal Convegno
di Verona; riconsegnare ai catechisti e alle comunità il testo
per una nuova stagione di progettualità catechistica.
È proprio nel suo saluto inaugurale di questo seminario
che il segretario generale della CEI mons. Crociata afferma: «È però impossibile guardare alle prospettive che si
aprono, senza tornare a riflettere sull’impianto della catechesi italiana in riferimento non solo al catecumenato e al
primo annuncio, ma anche al rinnovamento dell’iniziazione cristiana, di cui sono sempre più evidenti le difficoltà che
da qualche tempo si trova ad attraversare. […] Una prospettiva così esigente potrebbe condurre anche a un nuovo documento progettuale condiviso che stabilisca un punto
di riferimento per tutti i responsabili dell’azione pastorale in
questa nuova stagione della vita della Chiesa in Italia».4 A
conclusione del seminario mons. Forte, accogliendo questa istanza, annuncia: «L’idea di un possibile “nuovo documento progettuale condiviso” per il rinnovamento della
catechesi […] è uno stimolo importante a sviluppare la recezione creativa del “Documento di base” nell’orizzonte
del piano decennale della CEI dedicato all’educazione».5
Il testimone viene così raccolto dalla nuova Commissione episcopale per la dottrina della fede, presieduta da
mons. Marcello Semeraro,6 che in riunione ad Assisi il 9
novembre 2010 decide all’unanimità di orientare il piano
di lavoro quinquennale in armonia con il piano decennale
della CEI, auspicando che si possa procedere a un nuovo
«Documento», condiviso dai vescovi nell’Assemblea, tenendo conto della sensibilità cresciuta intorno alle sperimentazioni, al primo annuncio e alla mistagogia.
Il documento dovrà anche riflettere e delineare il ruolo dei soggetti della catechesi (comunità cristiana, famiglie,
adulti, educatori-catechisti) per orientare il futuro rinnovamento degli strumenti catechistici. La decisione è ratificata dal Consiglio episcopale permanente della CEI del
marzo 2011. Per raggiungere l’obiettivo la Commissione
episcopale decide di indire un’ampia consultazione attraverso due momenti seminariali di riflessione (celebrati nel
novembre 2011 e nel gennaio 2013), nei quali coinvolgere
i vescovi delegati per la catechesi delle singole regioni, la
Consulta UCN, altri esperti di varie discipline ritenuti idonei, in sinergia con altre Commissioni episcopali, soprattutto quella della liturgia e della famiglia, e la Caritas. Il
lavoro della Commissione procede sincronicamente con la
preparazione alla XIII Assemblea generale ordinaria del
Sinodo dei vescovi su «La nuova evangelizzazione per la
trasmissione della fede cristiana», prevista per l’autunno
2012. Contemporaneamente l’Ufficio catechistico nazionale indice e coordina per l’anno 2011-2012 la celebrazione di sedici convegni regionali di verifica sulla catechesi, in
cui sono coinvolti i vescovi, gli uffici catechistici diocesani,
i parroci e i catechisti.7
Il primo seminario della Commissione episcopale per
la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, dal significativo titolo «L’ascolto per il discernimento», si celebra
a Roma il 28-30 novembre 2011 e vede la partecipazione
di 78 tra vescovi ed esperti.8 Nelle conclusioni e nella successiva convocazione della Commissione, mons. Semeraro traccia alcune linee per il futuro testo: dalla riflessione
emerge l’invito a ridefinire il compito della catechesi rispet-
II
I
nuovi
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«Orientamenti
per la catechesi»
Nella Chiesa di Francesco
opo un cammino corale di discernimento, stanno per essere
discussi dai vescovi in Assemblea generale i nuovi «Orientamenti per l’annuncio e la catechesi», che daranno alle comunità ecclesiali i riferimenti unitari per la trasmissione e la testimonianza della fede in questa nuova stagione della Chiesa italiana. Il
documento tiene conto delle sperimentazioni condotte nell’ultimo decennio, e deve orientare il futuro rinnovamento dei catechismi, oltre che l’azione pastorale delle comunità.
Dal cammino sin qui compiuto emergono alcuni punti fondamentali:
– visti l’interesse e l’attenzione che la consultazione sulla
catechesi e l’evangelizzazione ha mostrato, è importante che la
riflessione e il dibattito nell’assemblea episcopale siano ampi e approfonditi, anche tenendo conto che solo alla fine del percorso
preparatorio il documento incontra la novità pastorale del pontificato di papa Francesco, dopo essere stato impostato sull’impianto
culturale e dottrinale del pontificato di Benedetto XVI;
– il progetto catechistico italiano, dal «Documento di base»
del 1970 in poi, ha interiorizzato alcuni valori che, radicati e attuati-
to all’evangelizzazione secondo una prospettiva che orienti
la catechesi per quello che le compete e che la aiuti a ridefinire i suoi compiti.
Nel settembre 2012 il Consiglio episcopale permanente
dà un ampio spazio al tema della catechesi: «Alla luce dei
16 convegni regionali promossi dall’Ufficio catechistico nazionale – una sorta di convegno diffuso che, da aprile a settembre 2012, ha animato in maniera capillare il territorio
nazionale – il Consiglio permanente si è soffermato sulla
catechesi, quale forma decisiva nell’educazione alla fede.
La responsabilità di comunicare e testimoniare la fede alle
nuove generazioni ha il suo soggetto nell’intera comunità
cristiana: questa consapevolezza richiede un forte investimento sulla formazione e l’accompagnamento degli adulti, a partire da quanti già partecipano alla vita ecclesiale.
Compito prioritario della Chiesa, del resto, rimane la riscrittura della proposta cristiana nelle coscienze delle persone e nel loro vissuto».9 I vescovi sottolineano l’importanza di concludere la fase di sperimentazione, facendo unità
attorno al progetto catechistico della CEI, e di mantenere
prioritario l’impegno di formazione dei catechisti.
Rilanciare l’unitarietà della catechesi
in Italia
Il secondo seminario della Commissione, dal titolo
«Verso orientamenti condivisi», si celebra a Roma il 10-11
gennaio 2013 e vede la partecipazione di 102 tra vescovi ed
esperti.10
Nel marzo 2013 il Consiglio episcopale permanente
della CEI ha stabilito che la bozza presentata degli «Orientamenti» venisse inviata nell’estate a tutte le sedici conferenze episcopali regionali, perché la Commissione episcopale
per la dottrina della fede potesse raccogliere emendamenti
e suggerimenti e dare così corso a una stesura organica del
testo. Ovviamente la pubblicazione nel novembre scorso
dell’esortazione apostolica di papa Francesco offre ulteriori
istanze di riflessione per la stesura di tale documento.
Prima ancora di sottolineare alcuni punti precisi di riflessione, è necessario considerare il valore stesso di questo
cammino che ha visto una consultazione amplissima (sono
III
vi del concilio Vaticano II, appaiono ancora oggi capaci di rilanciare
la missione evangelizzatrice del popolo di Dio, se coniugati con
l’ispirazione catecumenale e l’importanza prioritaria attribuita alla
catechesi per e con gli adulti. Si tratta in particolare della centratura cristologica, del riferimento vitale alla Scrittura, della proposta
unitaria di educazione alla fede e alla vita cristiana con un’attenzione ai contenuti e al vissuto dei destinatari;
– la parrocchia, soggetto della catechesi, come indicato da
papa Francesco nell’Evangelii gaudium necessita di un rinnovamento che la renda capace di accoglienza, accompagnamento e
annuncio;
– è necessario esplicitare come, all’interno del processo di
evangelizzazione, annuncio e catechesi siano momenti distinti ma
entrambi necessari e complementari;
– è necessario ridefinire quello del catechista come un ministero riconosciuto a pieno titolo;
– la formazione dei catechisti dev’essere permanente, narrativa, kerygmatica e mistagogica, come sottolinea papa Francesco
nell’Evangelii gaudium (cf. nn. 163 – 168).
stati calcolati almeno 250 contributi scritti di singoli o realtà ecclesiali nelle varie fasi preparatorie; hanno partecipato
ai vari momenti di riflessione in totale circa 700 persone).
Questa stessa partecipazione testimonia l’interesse, la vitalità, l’attenzione nei confronti della catechesi e dell’evangelizzazione. Sarebbe dunque interessante che il documento,
sia che venga sancito con un voto assembleare dei vescovi
(così come avvenne per il «Documento di base»), sia che
venga fatto proprio dal Consiglio episcopale permanente,
venisse comunque proposto alla riflessione e al dibattito
dell’intera assemblea episcopale.
In particolare sarebbe bene che il documento rilanciasse – con le opportune distinzioni e sottolineature pastorali
locali – i valori che il progetto catechistico italiano ha mostrato dal «Documento di base» in poi: una forte caratterizzazione cristocentrica, un vitale e continuo riferimento
alla Scrittura, una proposta unitaria di educazione alla fede
e alla vita cristiana con una forte attenzione ai contenuti, al messaggio ai destinatari alle loro situazioni di vita, ai
loro vissuti. Tali valori trovano nel «Documento di base»
una formulazione ancora valida per lucidità espressiva e
fedeltà al magistero del concilio Vaticano II. È indubbio
che in questi anni si è andato sviluppando l’interesse per
l’annuncio cristiano in tutte le sue forme, per l’ispirazione
catecumenale della catechesi, per l’importanza – primaria
e prioritaria – della catechesi per e con gli adulti. In tal
senso questi orientamenti possono diventare momento di
rilancio della missione evangelizzatrice delle comunità cristiane, soprattutto delle comunità parrocchiali, in dialogo
con la realtà e con tutte le persone.
Tra i tanti elementi che andrebbero sottolineati – spigolando qua e là nei contributi emersi soprattutto nei due
seminari della Commissione – possiamo enucleare alcuni
«nodi» fondamentali sui quali il testo potrebbe dare un
significativo contributo. Ne evidenziamo in particolare
quattro: la comunità cristiana, particolarmente animata da
adulti nella fede, come soggetto di catechesi nella sua interezza; il rapporto tra annuncio e catechesi nell’orizzonte di
un’azione evangelizzatrice; una pastorale davvero biblica;
la formazione e il ministero del catechista.
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nnuncio e catechesi in Italia
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Prima la comunità, ma chi «fa» la comunità?
«Prima sono i catechisti e poi i catechismi; anzi, prima
ancora, sono le comunità ecclesiali. Infatti […] non è pensabile una buona catechesi senza la partecipazione dell’intera comunità»:11 con questo auspicio si concludeva il «Documento di base» nel 1970, e ancora questo è un punto sul
quale è necessario lavorare. Anzitutto è necessario richiamare la fisionomia e l’identità della comunità cristiana ponendo chiaramente la distinzione tra la comunità (diocesi?
parrocchia? aggregazioni ecclesiali?) e le comunità (gruppi?
associazioni? …). Sta di fatto che la comunità cristiana (intesa come habitat in cui il catecumeno o il catechizzando
è inserito) è «l’origine, il luogo e la meta della catechesi. È
sempre dalla comunità cristiana che nasce l’annunzio del
Vangelo, che invita gli uomini e le donne a convertirsi e a
seguire Cristo. Ed è la stessa comunità che accoglie coloro
che desiderano conoscere il Signore e impegnarsi in una
vita nuova. Essa accompagna i catecumeni e i catechizzandi nel loro itinerario catechistico e, con materna sollecitudine, li rende partecipi della propria esperienza di fede e li
incorpora nel suo seno».12
Un ruolo primario e fondamentale ha, proprio in questa prospettiva di comunità, la famiglia cristiana in quanto Chiesa domestica; essa va sostenuta, rafforzata in questa
sua prerogativa, aiutata a esprimerla – senza nascondere
le sue fragilità e gli stessi problemi che le famiglie oggi incontrano –. La comunità parrocchiale «è, senza dubbio,
il luogo più significativo, in cui si forma e si manifesta la
comunità cristiana. Essa è chiamata a essere una casa di
famiglia, fraterna e accogliente, dove i cristiani diventano
consapevoli di essere popolo di Dio. Nella parrocchia, infatti, si fondono insieme tutte le differenze umane che vi si
trovano e si innestano nell’universalità della Chiesa. Essa è
d’altra parte l’ambito ordinario dove si nasce e si cresce nella fede. Costituisce, perciò, uno spazio comunitario molto
adeguato affinché il ministero della Parola realizzato in essa
sia – contemporaneamente – insegnamento, educazione ed
esperienza vitale».13
Tuttavia la parrocchia deve rinnovarsi – come ci ricorda il papa stesso nella sua esortazione – diventando capace
di accoglienza, annuncio, simpatia e accompagnamento.
Soprattutto ci sembra importante – in questo contesto –
richiamare il valore di una comunità in cui coesistono due
caratteristiche: la capacità di armonizzare tutti i carismi e
le funzioni al loro interno (sacerdoti, diaconi, laici, religiosi)
e la capacità di esprimere figure di fede adulta, cioè persone che sappiano narrare la propria fede e darne ragione nei
loro contesti di vita. Solo in tale prospettiva una proposta
catechistica può essere veramente inserita nell’orizzonte
dell’intera comunità e la cura educativa delle nuove generazioni può attingere a proposte di senso esistenzialmente
affascinanti.
Annuncio e catechesi: sovrapposizione
o irriducibile distinzione?
La questione può sembrare teorica ma non lo è. Se il
mandato missionario tocca tutta la vita ecclesiale e l’intera comunità cristiana riguardando non solo alcuni ambiti
e neppure soltanto alcuni soggetti, è necessario esplicitare
come all’interno del processo di evangelizzazione l’annun-
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cio sia prioritario e la catechesi sia un «momento essenziale».14 Spesso si assiste a uno sbilanciamento – specie nella
pastorale rivolta ai giovani e agli adulti – verso occasioni e
attività di primo annuncio, ma che poi non trovano seguito nella necessaria paziente cura verso un cammino permanente e stabile di approfondimento della vita di fede.
Viceversa – nelle attività classiche di catechesi rivolta ai
più piccoli – si «salta» la fase del primo annuncio ai più
piccoli, dandolo per scontato (e non lo è più) o addirittura
colpevolizzando famiglie e società, senza rendersi conto
che proprio il fatto che le famiglie stesse ci affidano i loro
figli è proprio una grande opportunità di primo annuncio! Al primo annuncio, che ha la funzione di annunciare il
Vangelo e di chiamare a conversione, segue la catechesi, che
fa maturare la conversione iniziale. È indubbio che queste
due azioni nella pratica pastorale si compenetrano, pur rimanendo distinte.
La catechesi d’iniziazione è «l’anello necessario tra l’azione missionaria che chiama alla fede e l’azione pastorale
che alimenta continuamente la comunità cristiana»,15 si
tratta pertanto di un’azione «basilare e fondamentale». Fa
parte di questo momento l’azione specificamente mistagogica, cioè il momento in cui il cristiano iniziato è istruito ai
misteri ricevuti e alla loro azione nella vita cristiana. L’educazione (o formazione) permanente della fede (che ha carattere biblico, liturgico, caritativo, spirituale e di aggiornamento con oggetto la dottrina sociale della Chiesa), suppone la
catechesi d’iniziazione. Come si vede si tratta di un processo
armonico, organico e globale, dove i singoli passaggi (che
richiedono attenzioni e formazione distinte) si compenetrano in vista della maturazione del cristiano. Si deve così osservare che è fondamentale, accanto alla traditio fidei, cioè
alla consegna del messaggio cristiano, riscoprire la redditio
fidei, cioè la capacità del soggetto di ridire e attuare con
la sua vita quanto gli è stato consegnato (non è un fatto
meramente intellettuale, bensì fortemente esistenziale), ma
proprio perché sovente tale redditio è mancante va anche
considerata attentamente la receptio fidei, cioè le condizioni
reali in cui si trova la persona, e dunque anche gli ambiti
di vita che necessitano di essere toccati dal messaggio del
Vangelo e dalla conversione dei cristiani.
Per una pastorale veramente biblica
Uno dei fondamentali aspetti della catechesi, richiamati anche nell’esortazione apostolica di Francesco Evangelii
gaudium, soprattutto ai nn. 174-175, è che risulta «fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la
catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede».16 Dobbiamo seriamente chiederci quanto la pastorale in Italia sia
davvero fecondata dal messaggio biblico. Anzitutto attraverso la proclamazione liturgica, poi attraverso l’azione di
annuncio e di catechesi. Stupisce come la pastorale stessa
della cultura e dei luoghi di riflessione sia spesso molto più
caratterizzata da un approccio sociologico o filosofico e assai meno da un confronto con il messaggio biblico. Non si
tratta di istituire «gare» tra discipline, ma di armonizzare
la necessità di rendere ragione della fede con una seria capacità di narrare la propria fede.
La pastorale biblica (che trova nell’apostolato biblico
– rettamente concepito – uno strumento efficace) non è
IV
dunque solo comunicazione popolare della Bibbia. Essa è e
può diventare un’operazione culturale di altissimo profilo,
capace di rimuovere incrostazioni ideologiche e far risplendere quel sostrato decisamente biblico della cultura e della
tradizione italiana, estremamente fecondo perché mostra
come le radici bibliche dell’età moderna siano ancora capaci di dare calore alla fede e alimento al pensiero. Un dato
poi non trascurabile è il fatto che la dimensione biblica può
chiamare a un felice confronto cristianesimo ed ebraismo,
nonché instaurare un dialogo con l’islam e – in un sano
confronto – con le altre esperienze religiose.
Il ministero del catechista
In quanto parte integrante della ministerialità della
Chiesa, il servizio catechistico nasce da una chiamata: «Il
catechista è consacrato e inviato da Cristo» per mezzo della
Chiesa.17 La ministerialità del servizio catechistico rimanda
a una grazia particolare che sostiene colui che è scelto per
il servizio, una grazia che investe il catechista nel suo essere
e, quindi, nel suo agire. La fecondità dell’accompagnamento in catechesi è determinata da quanto egli fonda la sua
identità e l’efficacia della sua azione sulla matura adesione
a Gesù Cristo assunto come principio determinante. La
responsabilità ecclesiale intrinseca al servizio della catechesi richiede una matura e responsabile appartenenza alla
comunità ecclesiale. L’appartenenza anima la capacità di
annuncio che, introducendo l’educando all’incontro personale con Cristo, lo accompagna alla condivisione dell’esperienza fatta con la comunità ecclesiale, condizione necessaria per la vita della stessa fede.
La nota dei vescovi italiani del 1982 sulla formazione
dei catechisti affermava: «Va ricordato comunque il fatto
che il servizio catechistico non deve essere l’unica possibilità di partecipazione offerta dalle comunità, ma si inserisce all’interno di una pluralità di proposte di ministerialità
laicale e, anzi, se ne fa promotore. Perciò i vescovi italiani
hanno voluto collocare il ministero dei catechisti fra i cosiddetti “ministeri di fatto”, quei ministeri cioè “che senza
titoli ufficiali compiono, nella prassi pastorale, consistenti
e costanti servizi pubblici alla Chiesa” (Evangelizzazione e
ministeri, n. 67), a sostegno e sviluppo della ministerialità
di tutta la Chiesa. In questo senso vanno delineati i tratti
fondamentali dell’identità del catechista, la quale costituisce
a sua volta il punto di partenza di ogni progetto e iniziativa
di formazione».18
L’importanza di accompagnare la maturazione di
un’appartenenza responsabile comporta il fatto di collocare il servizio catechistico in un orizzonte ecclesiologico
rinnovato, centrato sul servizio di salvezza che la Chiesa,
discepola del Crocifisso, realizza ai piedi dell’umanità. Cristo centro e forza dell’agire ecclesiale è il cuore del servizio
catechistico il cui fine è mediare l’incontro con lui.19 I catechisti devono pensare e progettare l’azione catechistica al
servizio di tale fine, per garantire una formazione cristiana
integrale,20 sintetizzata nella capacità di «narrare la propria
esperienza di salvezza e di liberazione, di testimoniare, di
leggere la Scrittura e di attualizzarla, di situare la propria
esperienza religiosa in rapporto alla tradizione cristiana, di
cercare le ragioni del credere e sviluppare l’intelligenza della fede, di condividere la sua fede e di renderne ragione, di
V
prendere la parola all’interno della propria fede cristiana,
di dialogare con differenti categorie di persone, di discernere i segni dei tempi».21
Pare opportuno in tale contesto ridefinire il ministero
del catechista come un’espressione particolare della vocazione battesimale, legato al mandato del vescovo. Non è
una disponibilità occasionale o sovrastrutturale, ma è un
servizio specifico nel quale, per il tempo in cui si è chiamati,
si esprime la propria responsabilità battesimale per l’edificazione del Regno. Questo esige la proposta di un ministero riconosciuto a pieno titolo. Riconosciuto non significa
solo un’istituzione formalmente riconosciuta, ma significa
anche attivare – nelle diocesi – tutta una qualità formativa che deve impegnare cuore, mente e risorse. Se infatti
rimane un segno molto evangelico il fatto che la catechesi
sia opera gratuita e volontaria, deve essere preoccupazione
di parrocchie, diocesi e istituzioni ecclesiali che non vengano a mancare ai catechisti strumenti e occasioni formativi, senza gravare su di loro o sulle loro famiglie. Questo
comporta una chiara configurazione della formazione dei
catechisti.
Formazione narrativa, kerygmatica
e catecumenale
La parola chiave è: integrare. Le cinque prerogative del
catechista (essere, sapere, saper fare, saper stare con, saper stare in) vanno integrate tra di loro in un processo formativo
che accompagna il catechista nella sua formazione e nella
maturazione di una visione sintetica del servizio catechistico, necessaria a un esercizio fecondo del suo ministero. Il
cuore del processo formativo è accompagnare il catechista
nella progressiva conformazione a Cristo. La progressiva
tensione a realizzare un’esistenza evangelica introduce il
catechista nel cuore del suo servizio: accompagnare i catechizzandi all’incontro vero e coinvolgente con Gesù e introdurli alla comunione e alla vita della comunità. La profondità di questa motivazione alimenta la tensione formativa
per l’acquisizione, progressiva e graduale, delle cinque macrocompetenze.
In sintesi, un percorso di formazione base per i catechisti
può essere definito: narrativo, kerygmatico e catecumenale.
La prospettiva narrativa invita i catechisti a essere
protagonisti della loro formazione raccontando sé stessi e
facendo della propria storia di vita il luogo più sicuro di
formazione aperto a un costante apprendimento stimolato
dall’intreccio del proprio racconto, del racconto evangelico e del racconto della comunità. La tensione narrativa è
garanzia di un processo formativo trasformante, perché si
racconta ciò che è interiorizzato, ciò che tocca profondamente le strutture di significato. Il raccontarsi appassionato
è, in sintesi, la condivisione di un’esperienza fondamentale
e originante, un’esperienza di grazia che ristruttura continuamente la vita del catechista. Il raccontare è l’ascesi originata dalla profondità dell’esperienza mistica, esperienza
profonda e sincera di Gesù, che genera necessariamente la
condivisione della Bellezza contemplata.
L’esperienza mistica e la tensione ascetica costituiscono
il binomio spirituale che descrive in profondità la ricchezza
di una spiritualità ecclesiale di comunione. La spiritualità
del catechista è costituita da questi due fulcri fondamentali:
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nnuncio e catechesi in Italia
A
l’esperienza personale di Gesù, la vita in Cristo, racconto costante e attuale del sempre rinnovato incontro con il
Maestro nella sua storia, e l’appartenenza a una comunità
ecclesiale. Maturare una spiritualità ecclesiale di comunione richiede: coltivare la virtù evangelica del servizio e del
discernimento per partecipare, secondo la peculiarità del
proprio carisma, alla costruzione della comunità; vivere la
disponibilità al dialogo e al confronto per crescere nell’approfondimento della fede; appartenere alla comunità in
modo responsabile e attento per dire il proprio amore alla
Chiesa e contribuire con la propria vita al compito educativo della comunità intera; purificare le proprie motivazioni
e maturare l’attitudine alla preghiera per accompagnare ed
educare alla preghiera.22
La prospettiva kerygmatica evidenzia la necessità di un
costante annunzio della fede per una rinnovata adesione di
fede. Ascoltare e accogliere in modo costante i contenuti
del Simbolo apostolico conferma nella vita la propria fede
e la propria scelta vocazionale. In tal senso il percorso formativo deve essere innervato di momenti di annuncio della
fede, perché la forza performativa della Parola trasformi
sempre più la vita del catechista. Il catechista che accoglie
con regolarità l’annunzio della fede nella sua comunità,
partecipando con passione alla liturgia, incontrando la Parola e ascoltando con assiduità l’insegnamento dei pastori,
apre il suo cuore e la sua intelligenza alla grazia che sostiene e accompagna il pensare la fede. La fede pensata e
personalizzata determina l’impegno civico del catechista,
il quale è chiamato ad abitare cristianamente il contesto
socio-culturale. Nell’orizzonte di una formazione integrale,
l’accoglienza della fede, come principio determinate l’orientamento della persona, determina l’assunzione di comportamenti sociali nella linea di una cittadinanza attiva e
responsabile.
L’impostazione catecumenale caratterizza, infine, il percorso formativo in quanto, attraverso l’ingresso al percorso
con riti di accoglienza, i passaggi, le tappe, le celebrazioni e
il mandato, il catechista è iniziato al servizio della catechesi.
Successivamente all’assunzione del servizio catechistico è
interessante introdurre il catechista in un adeguato tempo
di mistagogia catechistica, durante il quale accompagnarlo
nella progressiva maturazione nel servizio della catechesi,
nella consapevolezza delle proprie responsabilità e nell’esercizio dell’esperienza cristiana nei diversi abiti della vita e
dei contesti missionari.
L’assunzione responsabile delle competenze specifiche
del servizio per la catechesi determina la peculiarità della
presenza del catechista in ambito di progettazione pastorale. La comunità discerne, riflette, progetta e programma
il proprio agire al servizio del Regno nel contesto socioculturale in cui è inserita, attraverso la sinergia di carismi e
ministeri che la compongono, per garantire un agire missionario incisivo e attento all’integralità della persona. La
scelta della logica catecumenale per il processo formativo,
in conclusione, ha come finalità aiutare i catechisti a maturare un’impostazione catecumenale nel loro impegno catechistico: formati in una prassi di stile catecumenale per
impostare percorsi di iniziazione cristiana e di catechesi
permanente di ispirazione catecumenale. Una triplice impostazione, quella narrativa, kerygmatica e catecumenale,
che aiuta i catechisti a sviluppare motivazioni, atteggiamenti e contenuti.
Le diocesi sono così chiamate a progettare una formazione dei catechisti per competenze specifiche e quindi non
più una formazione occasionale.
a cura della redazione
de Il Regno
atti di altre iniziative collaterali: G. Alcamo (a cura di), Il compito educativo della catechesi. Il contributo del «Documento di base», Paoline, Milano
2011; Catechesi 82(2012-2013) 2; C. Cacciato, R. Siboldi (a cura di), Io
credo. Noi crediamo. Il dinamismo dell’Atto di fede, LEV, Città del Vaticano 2013.
8 I testi sono disponibili in www.chiesacattolica.it/ucn.
9 Regno-doc. 1,2012,551s. Si veda anche il Comunicato finale
del Consiglio episcopale permanente dello scorso marzo; Regno-doc.
7,2014,232.
10 I testi sono disponibili in www.chiesacattolica.it/ucn.
11 Episcopato italiano, documento pastorale Il rinnovamento della
catechesi, 2.2.1970, n. 200; ECEI 1/2972.
12 Congregazione per il clero, direttorio generale per la catechesi Concilium Vaticanum II, 15.8.1997, nn. 253-254; EV 16/1088.
13 Direttorio generale per la catechesi, n. 257; EV 16/1091.
14 Cf. Direttorio generale per la catechesi, nn. 63-64; EV 16/822ss.
15 Direttorio generale per la catechesi, n. 64; EV 16/823.
16 Francesco, es. apost. Evangelii gaudium sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24.11.2013, n. 175; Regno-doc. 21,2013,674.
17 Episcopato italiano, Il rinnovamento della catechesi, n. 185;
ECEI 1/2929.
18 Commissione episcopale per la dottrina della fede, la catechesi e la cultura, orientamenti pastorali La formazione dei catechisti nella comunità cristiana, 25.3.1982, n. 11; ECEI 3/864.
19 Cf. Direttorio generale per la catechesi, n. 235; EV 16/1067.
20 Cf. Direttorio generale per la catechesi, n. 237; EV 16/1069.
21 Assemblée des évêques du Québec, Jésus Christ chemin d’humanisation. Orientations pour la formation à la vie chrétienne, Médiaspaul, Montréal 2004, 33-34.
22 Ufficio catechistico nazionale, La formazione dei catechisti
per la comunità cristiana. Formazione per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, 4.6.2006, n. 23; ECEI 8/490.
1
L. Meddi, «Introduzione», in Associazione italiana catecheIl «Documento di base» e il futuro della catechesi in Italia, Luciano
Editore, Napoli 2001, 7. Si veda anche L. Meddi, «Il rinnovamento
della catechesi: riscriverlo per rilanciarlo?», in Itinerarium 8(2000) 16,
15-43.
2 D. Vivian, «Rileggendo il “Documento di base”. Conclusioni dei
laboratori», in G. Ziviani, G. Barbon (a cura di), La catechesi a un nuovo bivio? Atti del convegno a 40 anni dal «Documento di base», Padova,
8-9.5.2009, Messaggero - Facoltà teologica del Triveneto, Padova 2010,
240. La rivista Evangelizzare aveva accompagnato la preparazione del
convegno con degli articoli raccolti nel volume R. Paganelli (a cura di),
Visitare e riesprimere il «Documento di base», «Quaderni di Evangelizzare»
22, EDB, Bologna 2010.
3 Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, lett. Annuncio e catechesi per la vita cristiana.
Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del documento di base Il rinnovamento della catechesi, 4.4.2010; ECEI 8/35663584.
4 M. Crociata, «Saluto al seminario per il 40° del “Documento di
base”», in Catechesi 79(2009-2010) 6, 6.
5 B. Forte, «Un decalogo per rinnovare la catechesi a 40 anni dal
“Documento di base”. Conclusioni del seminario sul 40° de Il rinnovamento della catechesi», in Catechesi 79(2009-2010) 6, 65.
6 Ne fanno parte mons. M. Semeraro (presidente), mons. L. Soravito
(segretario), mons. F. G. Brambilla, mons. G. Cavallotto, mons. D. Coletti, mons. S. Dho, mons. D. Lafranconi, mons. L. Monari, mons. L. Negri,
mons. I. Sanna.
7 Un quadro ampio e riassuntivo di questi convegni regionali è stato
tracciato in C. Sciuto, S. Soreca, «Un quadro della catechesi in Italia.
Una lettura dopo i Convegni catechistici regionali 2012», in Regno-doc.
19,2012,603ss. Si veda anche G. Benzi, «I convegni catechistici: un “bel
respiro” di Chiesa», in Settimana n. 38, 21.10.2012, 1.16. Cf. anche gli
ti,
286
Il Regno - Supplemento 8/2014
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nnuncio e catechesi in Italia
Iniziazione cristiana
A
Educare
alla fede oggi
288
U
n nuovo documento sulla catechesi e
sull’iniziazione cristiana? La domanda attraversa in questi mesi con la sua
energia i nostri ambienti ecclesiali:
suscita le attese dei tanti che in questi
campi ci operano, in modo volontario
e con tanta dedizione, e s’accorgono
degli sfasamenti che il cambiamento culturale ha creato
nei nostri processi di trasmissione della fede, indebolendoli e inibendo in modo consistente la loro capacità iniziatica ed educativa. Suscita anche apprensione, un simile interrogativo: la paura, difficile da verbalizzare ma
facile da percepire, che un ennesimo cambiamento in
un terreno già molto lavorato provochi lo smottamento
di quello che a giusta ragione viene ritenuto lo zoccolo
duro del nostro cattolicesimo popolare, il volto visibile
del cristianesimo in Italia, un volto così tanto rassicurante e allo stesso tempo così fragile, anch’esso in profonda mutazione.
L’annuncio di un nuovo ennesimo documento sulla catechesi suscita infine la pacata rassegnazione dei
più: ci verrà consegnato un testo a partire dal quale nei
mesi successivi organizzeremo incontri, percorsi di recezione, probabili sperimentazioni, per poi tornare in
modo impercettibile ma ineluttabile alla consuetudine,
all’inerzia tipica dei grandi dispositivi. Continueremo
cioè, magari con qualche aggiustamento, a riproporre
la struttura di iniziazione cristiana che, pur tra alti e
bassi, ci ha accompagnato in questi ultimi decenni e
che poi non è nemmeno così male – argomenta questo
gruppo – perché, smentendo alcuni profeti di sventura,
alla fine questo dispositivo di iniziazione così ibrido e
anche non sempre ben equilibrato ha introdotto generazioni di ragazzi alla vita cristiana, consentendo addirittura ad alcuni di loro di non arrestarsi alla superficie,
ma di avere gli strumenti per poi, cresciuti in età e maturità, addentrarsi in cammini spirituali e vocazionali
che consentono alle nostre istituzioni di avere ancora
oggi energie per testimoniare la nostra fede.
In effetti sono ormai parecchi decenni che la Chiesa italiana si trova confrontata ai quesiti e ai dilemmi
che sorgono dal mondo della catechesi, soprattutto da
quello legato all’educazione religiosa e all’iniziazione
cristiana dei ragazzi. I primi interrogativi ci portano
addirittura a prima del concilio Vaticano II: già all’inizio degli anni Sessanta del XX secolo ci si poneva il
problema di un cambiamento del catechismo dei ragazzi. E questo interrogativo ha attraversato l’evento
conciliare uscendone rafforzato, e dando vita a uno dei
cantieri che, insieme a quello liturgico, hanno contri-
Il Regno - Supplemento 8/2014
buito a ridisegnare di molto il volto del cristianesimo
postconciliare, italiano ma non solo.
Una pastorale da abitare e riformare
I tempi che viviamo sono per certi versi molto simili
al periodo che portò alla costruzione del «Documento
di base» del 1970: vi era una proposta ufficiale di educazione alla fede ritenuta datata e poco comprensibile,
e di conseguenza poco conosciuta e praticata (allora
si trattava del catechismo di Pio X, oggi dei catechismi CEI); un pullulare di iniziative spontanee di rinnovamento, non molto coordinate e non sempre capaci di una proposta integrale, capace d’introdurre in
modo pieno nella Tradizione cristiana; una cultura di
cui s’intravedono i grandi assi in trasformazione, ma
di cui si fatica a cogliere la portata profonda, la forza di ricomprensione in atto del dato antropologico e
del modo di porsi di fronte alla questione della verità
dell’uomo, del mondo, della storia.
Rispetto a quel periodo ciò che è diversa (e di molto!) è l’attitudine ecclesiale: la speranza che segnava
quegli anni, la voglia di entrare nella nuova cultura,
la voglia di costruire nuove vie per annunciare la fede
cristiana ha lasciato il posto a un atteggiamento molto più dimesso e stanco, un po’ ripiegato, tipico di un
corpo sociale che viene da un periodo di grandi sperimentazioni (durate quasi cinquant’anni) di cui fatica
a raccogliere il frutto, vista la distanza tra l’obiettivo
sognato e il risultato raggiunto.
Se questo è lo scenario, che cosa attendersi da un
nuovo documento sulla catechesi? Come accoglierlo?
Come disporsi, perché da tutto questo processo in atto
possa risgorgare l’energia di cui ha bisogno il corpo
ecclesiale, per continuare con impegno a lavorare in
un campo decisivo per il proprio futuro? Proveremo a
costruire l’attitudine corretta per porci di fronte a questa nuova proposta compiendo alcuni passi: partiremo
da un esercizio di osservazione dei progressi fatti, per
cogliere le dimensioni corrette del cantiere dell’iniziazione cristiana,1 così come ci si presenta oggi, dopo le
tante svolte vissute in questo lungo periodo di riforma; in un momento successivo ci confronteremo con
le grandi questioni che lungo il percorso sono emerse
come gli snodi decisivi, attorno ai quali si va enucleando il dispositivo d’iniziazione cristiana, così come la
Chiesa oggi è chiamata a viverlo; per arrivare in un
punto finale a mettere in luce gli effetti, i guadagni che
ci si attende dalla pubblicazione di un nuovo testo sulla
catechesi, e dai passi che ci permetterà di compiere.
Tracce di un cammino da ricordare
Qualche anno fa Enzo Biemmi ha proposto una
rilettura di tutto il movimento postconciliare di rinnovamento della catechesi che vale la pena riascoltare.
Secondo il suo pensiero, tutto il lavoro svolto dal «Documento di base» in qua è consistito anzitutto in un
lavoro decostruttivo, di uscita da un modello (quello
tridentino) che funziona ancora da mito fondatore, pur
non essendo più vissuto nella realtà concreta. Occorreva ai suoi occhi un lungo periodo di gestazione, per
VIII
uscire in modo voluto e compiuto da un modello che
ha segnato la nostra pastorale in modo così profondo e
duraturo.2
Cinquant’anni di apprendistato. Il nostro modo attuale di vivere l’iniziazione cristiana non è più il modello della catechesi tridentina, e da più di una generazione; e tuttavia siamo in un contesto di sperimentazione prolungata e non ancora compiuta, che chiede di
essere guidata, accompagnata a raccogliere i passi fatti,
a rileggere errori e ingenuità, a condividere guadagni e
certezze maturate. Questo lungo travaglio è costellato
di segnali di maturazione e allo stesso tempo di fatica:
come guadagno possiamo ormai vantare un approccio
sempre più competente alla problematica; come fatica non possiamo non segnalare il restringimento degli attori interessati (i catechisti sono sempre quelli, e
con qualche anno in più), e una costante e progressiva
emarginazione del soggetto comunitario nei processi di
rielaborazione dell’iniziazione cristiana (anche l’ultima
recente fase di sperimentazione che molte diocesi hanno conosciuto è stata pensata e messa in atto da pochi,
incapace di coinvolgere secondo uno stile sinodale il
più ampio contesto ecclesiale).
Tra i segni di maturazione vanno collocati tutti quei
tentativi di superamento della frammentazione e della
dispersione, con i quali in questi decenni abbiamo saputo contenere le ripetute crisi culturali ed educative
(quella del ’68 e più in generale degli anni Settanta)
con cui la Chiesa italiana ha dovuto misurarsi, nel suo
lavoro di ricostruzione della pratica catechistica; mentre tra le fatiche non possiamo non segnalare il rischio
di un idealismo spirituale che con le sue esuberanze
sopporta con fatica il peso della storia quotidiana (molte mete che ci siamo prefissi di raggiungere con la riforma dell’iniziazione cristiana sono davvero eccessive,
se comparate con le risorse, gli strumenti e lo spazio
d’intervento a nostra disposizione).
Al di là dei singoli elementi analitici rimane come
dato diffuso un forte clima d’insoddisfazione, se da più
di un catecheta – in occasione del quarantennale del
«Documento di base» Il rinnovamento della catechesi
– è stata avanzata l’ipotesi di abbandonare il progetto
nel suo insieme, per tentare nuove strade. Ci troviamo
immersi in un contesto ecclesiale che preme per una
riforma di questa pratica ecclesiale, ma che non sempre è riuscito a dotarsi degli strumenti e a raccogliere le
energie necessarie a un simile compito. Anche perché il
passaggio dal momento decostruttivo alla fase costruttiva e generatrice di futuro ha messo in luce come le
scienze deputate a questo compito, vista la loro giovane
età, necessitassero loro stesse di un supplemento di riflessione e di comprensione della complessità dell’atto
della traditio. Il pedagogismo che ha segnato in modo
forte tutto il progetto di rinnovamento della catechesi
è risultato in più di una circostanza debole e non sempre attrezzato per affrontare le derive di una cultura
secolarizzata sempre più nichilista.3 Questo mutamento culturale metterebbe in luce da un lato il compito
a cui la Chiesa non può assolutamente rinunciare, un
annuncio della verità che sia il più possibile integrale e
IX
sinfonico, e dall’altro le fatiche di un percorso di riforma che, impegnato nell’aggiustamento delle didattiche
d’insegnamento e di trasmissione della fede, ha incontrato più di un ostacolo nel ricostruire atti di tradizione
che raggiungano il giusto livello di profondità.4
Un triplice shock
Cinquant’anni di apprendistato. Le sperimentazioni
che si sono succedute in questi decenni, e anche alcune
loro traduzioni istituzionali, mettono bene in luce come
i dispositivi d’iniziazione cristiana rispondano a logiche
plurali e ad accentuazioni diverse: ecclesiali, storiche,
simboliche, sistematiche, pedagogiche, istituzionali e
sociali. La combinazione diversa di questi ingredienti e
la maggiore o minore accentuazione dei loro contenuti
ha dato vita a un’iniziazione cristiana che si presenta
come uno spazio variopinto e molto articolato, che per
facilità di presentazione organizziamo in tre grandi insiemi: si va da chi vede l’iniziazione cristiana come lo
strumento per superare un cattolicesimo popolare ritenuto inadeguato alla cultura e alla società in cui abita
la Chiesa, a chi invece vede l’iniziazione cristiana come
uno strumento pedagogico per formare dei cristiani finalmente adulti, maturi e autonomi, a chi ritiene l’iniziazione cristiana lo spazio adatto per reintrodurre una
figura tradizionale di cristianesimo, individuale, devozionale e volontarista.
Le nostre pratiche sono lo specchio di una Chiesa
che non ha ancora sufficientemente e in modo consapevole elaborato e fissato i tratti fondamentali dell’identità
cristiana odierna, la figura di cristianesimo da vivere in
questo nostro presente storico. Anche perché al primo
shock, al primo fattore di aggiornamento, tutto endogeno (il concilio Vaticano II come evento che chiede al
nostro cattolicesimo l’assunzione di uno stile più qualitativo, maggiormente capace di incidere nel presente
attraverso la forma della testimonianza), si è aggiunto
un secondo shock, un secondo fattore di trasformazione
e di crisi: la crisi culturale seguita al maggio ’68, che
in un attimo ha reso obsoleti linguaggi, riti, strumenti
pedagogici, sui quali contavamo di poter appoggiare il
nostro lavoro di riforma e di ricostruzione degli itinerari
di generazione alla fede.
A questi due stimoli alla riforma occorre infine aggiungere un terzo shock che il breve percorso di rilettura storica ci consegna: il mutamento antropologico
radicale innescato dalla rivoluzione tecnologica e digitale di questi ultimi decenni. I destinatari dei nostri
gesti di riconsegna della fede cristiana sono ormai
coloro che la vulgata definisce come «nativi digitali»:
ovvero quei ragazzi cresciuti in ambienti sociali dentro i quali la presenza dei media e dei nuovi dispositivi
digitali è incessante, creando una sorta di continuum
di sottofondo che fa apparire questi strumenti e i linguaggi da essi veicolati come un elemento indispensabile dell’ambiente che li circonda e che contribuisce in
modo determinante a fornire loro gli ingredienti (valori, linguaggi, riti, simboli, obiettivi) per costruire le loro
identità individuali e collettive. Davvero una rivoluzione antropologica!
Il Regno - Supplemento 8/2014
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nnuncio e catechesi in Italia
A
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Un lavoro di ricomprensione della tradizione e delle
sue dinamiche di riconsegna è perciò reso necessario e
ancora più urgente da tutti i mutamenti antropologici
che stanno segnando la cultura di questo inizio del terzo millennio, e che s’impongono come il nuovo contesto
entro il quale vivere oggi la fede cristiana. La comparsa
di questi «nativi digitali», i cattolici immigrati di seconda generazione, come anche le profonde trasformazioni
che stanno destrutturando molte famiglie italiane sono
tutti elementi che ci obbligano ad assumere con responsabilità il compito di re-immaginare una traditio della
nostra fede adeguata al contesto culturale nel quale ci
troviamo immersi.
Nuclei di condensazione dell’esperienza
Il cammino percorso, brevemente richiamato poco
sopra, ha permesso all’esperienza ecclesiale di individuare alcuni perni attorno ai quali ricostruire per condensazione i propri dispositivi iniziatici e le proprie
azioni di annuncio della fede e di educazione alla vita
cristiana. Vale la pena che in questa nostra riflessione
ne richiamiamo tre: l’intrinseco legame tra forma Ecclesiae e trasmissione della fede; un’intelligenza dell’uomo
e delle sue forme di esperienza e di conoscenza adeguate alla cultura digitale e avvolte in una spirale secolarizzatrice che si va radicalizzando sempre più; una
forma popolare della fede da tenere come patrimonio
da custodire.
Il legame tra forma Ecclesiae
e trasmissione della fede
Per comprendere l’importanza di questo nesso è
sufficiente riandare all’ultimo Sinodo dei vescovi, e vedere quale rilievo esso abbia avuto agli occhi di papa
Benedetto XVI. Definendo il contenuto del concetto di
«nuova evangelizzazione», chiudendo il Sinodo papa
Benedetto compie volutamente un «falso» storico: «La
stagione conciliare ci ha aiutato a riconoscere che la
nuova evangelizzazione non è una nostra invenzione,
ma è un dinamismo che si è sviluppato nella Chiesa
in modo particolare dagli anni Cinquanta del secolo
scorso, quando apparve evidente che anche i paesi di
antica tradizione cristiana erano diventati, come si suol
dire, “terra di missione”».5 In questo breve passaggio
Benedetto XVI accende volutamente un’operazione di
reinterpretazione del concetto di nuova evangelizzazione che stupisce per il suo carattere allo stesso tempo
ardito e denso di prospettive.
Legando il tema della nuova evangelizzazione ai
tentativi di riforma della Chiesa avviati dalla Mission
de France, Benedetto XVI stravolge sia il modo abituale di comprendere questo termine sia la sua genesi storica, che l’ha visto emergere come «un secondo
paradigma» di declinazione della riforma ecclesiale,
seguito al primo paradigma, detto della «secolarizzazione», per via di sostituzione oppositiva.6 Quali le ragioni di una simile operazione? Benedetto XVI vuole
che il concetto di nuova evangelizzazione, immaginato
come uno strumento per il rinnovamento della Chiesa,
assuma dalla Mission de France tre dati fondamenta-
Il Regno - Supplemento 8/2014
li: l’intuizione che non è possibile trasmettere la fede
senza pensare questo gesto in collegamento stretto con
la forma che la Chiesa assume dentro la società; la
constatazione che l’avvento della cultura urbana non
è una semplice evoluzione per via lineare della cultura
umana, ma piuttosto l’avvento di un nuovo paradigma
che chiede anche al cristianesimo un ripensamento radicale delle forme culturali attraverso le quali esprime
la sua identità dentro la storia; la certezza che una simile trasformazione non può non assumere anche per
la Chiesa i tratti di una riforma dai contorni estesi e
radicali.
L’operazione ermeneutica di papa Benedetto XVI
ci fa comprendere in modo immediato le ragioni della
centralità di questo nesso per qualsiasi progetto di riforma della catechesi: la traditio fidei è un’operazione
linguistica globale, che chiama in causa i contenuti,
come anche gli strumenti, i soggetti e i vettori utilizzati.
Non basta quindi immaginare in vitro nuove formule o
piccoli espedienti; occorre avere la forza di aiutare un
corpo ecclesiale nella sua interezza a interrogarsi, perché ogni singola componente di questo corpo gioca un
ruolo nell’annuncio e nella testimonianza della fede.
Un’intelligenza dell’uomo
digitale e secolarizzato
La Chiesa italiana, impegnata in questo decennio
sul tema dell’educazione, si trova ben posizionata per
comprendere il legame tra questo secondo nucleo e
qualsiasi progetto di riforma della catechesi e dell’educazione alla fede: non si può evangelizzare senza
al tempo stesso educare l’uomo a essere veramente se
stesso. Questo legame tra annuncio ed educazione oggi
siamo chiamati a realizzarlo in un momento e in un
contesto culturale in cui ogni forma di azione educativa
appare più difficoltosa e critica, al punto da aver parlato di emergenza educativa, intendendo alludere alla
sempre maggiore fatica con cui si riesce a trasmettere
alle nuove generazioni i valori base dell’esistenza e di
un retto comportamento.
In un simile contesto l’impegno della Chiesa per
educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del
Vangelo assume più che mai anche il valore di un contributo per una nuova intelligenza dell’uomo, un aiuto
dato perché l’uomo riesca a ridire la propria identità
nel nuovo contesto culturale digitale e secolarizzato
che segna le nostre società. Una pedagogia che sia
capace di liberare l’uomo dai lacci di un individualismo che condanna ogni essere umano alla solitudine
e all’isolamento, come anche dalle conseguenze di un
relativismo che ci rende cinici e incapaci di sognare, di
avere delle mete e degli ideali da condividere, potrebbe
essere il frutto di una trasmissione della fede che sa declinare con parole aggiornate l’antropologia relazionale che sta alla base della rivelazione cristiana. Qualsiasi
progetto catechistico passa inevitabilmente dalla riscoperta della creaturalità della natura e della dimensione
intrinsecamente relazionale dell’uomo che è se stesso
soltanto quando approda al Tu di Dio. Riscoperta
della centralità della dimensione educativa e rilancio
X
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della trasmissione della fede sono i due lati dello stesso
complicato processo di narrazione dell’identità umana
nella nostra cultura.
La forma popolare
della trasmissione della fede
La forma popolare della trasmissione della fede
è un patrimonio da custodire. Ovunque nel mondo si
assiste alla forte crescita di un «cristianesimo di conversione» caldo, comunicativo, esigente. Lo testimonia
l’espansione delle Chiese evangelicali e pentecostali.7 E
il fenomeno tocca anche le Chiese tradizionali (alcune
nuove esperienze comunitarie anche dentro il cattolicesimo dipendono da questa forma di cristianesimo). Una
Chiesa che riflette sulle proprie pratiche di trasmissione
della fede non può non sentirsi toccata da un simile fenomeno: questi nuovi stili di cristianesimo si presentano
attrattivi, moderni, efficaci. Hanno forza comunicativa,
mettono al centro la scelta del singolo e le esigenze della
sequela evangelica, sanno esprimere una forte condanna
del mondo e delle sue seduzioni, sembrano sapere tradurre in termini contemporanei il concetto di conversione. Perché quindi non lasciare che i nuovi progetti di
catechesi si lascino ispirare da simile nuove forme di annuncio e di testimonianza della fede cristiana?
Eppure la forma popolare della fede che ci ha generato contiene elementi che meritano di essere custoditi
come un tesoro da non disperdere. Anzitutto l’esperienza della durata. Una simile forma di Chiesa introduce
a una fede che ha attraversato i secoli, che ha saputo
affrontare contesti diversi, sviluppando saggezza e capacità di cattolicità. Introduce a una fede il cui linguaggio è stato elaborato nel corso dei secoli, plasmato col
contributo di numerose generazioni. Dispiega tutto un
patrimonio di simboli, riti, gesti, modi di porre questioni
al fine di renderle accessibili a tutti, cosa che permette
che i grandi appuntamenti dell’esistenza siano davvero
onorati. Una fede che quindi sa parlare a molti livelli,
che sa prendersi cura dei popoli e dei singoli individui,
a partire dai più deboli; una fede che accoglie tutti, che
sa far coesistere al proprio interno delle sensibilità culturali, ecclesiali, spirituali e teologiche diverse, che insegnano a non richiudersi mai in sé stessi, ma ad accettare
umilmente di essere reciprocamente corretti. Una simile
forma di Chiesa insegna che alla fede cristiana non si accede per scelta ma per chiamata; che si è discepoli grazie
all’ascolto: questa è la ragione per cui ogni pratica di
trasmissione della fede non può non avere come punto
di partenza una simile forma popolare di esperienza cristiana.
Una forma che papa Francesco descrive in questo
modo nell’Evangelii gaudium: «La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi
sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che
non imponga la verità e che faccia appello alla libertà,
che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed
un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizio-
XI
Il Regno - Supplemento 8/2014
291
M ASS I M O S A L A N I
A TAVoLA
CON LE
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nnuncio e catechesi in Italia
A
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ni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale
che non condanna» (n. 165; Regno-doc. 21,2013,673).
In attesa attiva del documento
I nuclei di condensazione appena descritti ci permettono di intuire come la realtà ecclesiale viva un clima
di intensa attesa nei confronti del testo annunciato. Ci si
aspetta che il documento, con i suoi contenuti (dimensione informativa) ma anche con il suo livello di ufficialità e
di autorevolezza (dimensione performativa), aiuti la pastorale a compiere passi significativi all’interno delle tante
sfide che abbiamo analizzato, permettendo alle pratiche
di trasmissione della fede di trovare la forma adeguata
all’annuncio e all’educazione della fede nel mondo e nella
cultura di oggi. Senza voler anticipare il documento, i suoi
contenuti come pure le sue dinamiche di recezione, perché una simile attesa non venga sminuita occorre vigilare
su alcuni tratti.
Anzitutto occorre vigilare perché si eviti quella che più
volte ho definito nei termini di sindrome di onnipotenza
dell’osservatore/riformatore. L’impressione che ci sia un
luogo e un punto a partire dal quale è possibile decidere
in modo tecnico e astratto i cambiamenti da operare in
questa pratica ecclesiale è sbagliata ecclesiologicamente e
impossibile da realizzare nella pratica. Decidere in modo
astratto quale sia il modello da seguire nella riforma in
atto dell’iniziazione cristiana è davvero pericoloso. È invece molto più utile (oltre che intellettualmente più sensato) sviluppare attitudini ermeneutiche per comprender in
profondità i movimenti di trasformazione già all’opera nel
quotidiano, per consentire alla pratica, al popolo di Dio
che cammina nella storia, di realizzare la propria sintesi,
che solo la storia successiva potrà leggere e interpretare.
Ciò che occorre fare è aiutare la Chiesa del presente a continuare a vivere la dimensione della generazione,
prendendo i paradigmi e i modelli che ci vengono consegnati dalla tradizione come strumenti per interrogare la
pratica, osservando che cosa funziona, cosa manca, cosa
sarebbe utile introdurre, quali dinamiche attivare … piuttosto che in modo ideologico dedurre dal modello il funzionamento concreto. Il compito di portare consapevolezza e competenza in una trasformazione che ha già ben
conosciuto i rischi dell’improvvisazione, dell’inesperienza,
della mancanza di conoscenza della nostra tradizione è
ciò che ci è chiesto oggi.
Un’attesa attiva ci domanda perciò di lavorare molto
per ridare ai diversi soggetti che già operano in questo
campo lo spazio per un loro maggiore coinvolgimento e
una loro più piena attivazione. Si possono così coinvolgere in modo nuovo, rimotivare e ridefinire ruoli e compiti: della comunità parrocchiale (nelle sue figure: consigli,
gruppi, assemblea domenicale), dei catechisti (non più
individui ma gruppo di accompagnamento, non più soltanto legati al singolo momento della proposta ma alla
famiglia, alla scuola, alle tante attività e dimensioni che
popolano il mondo dei ragazzi oggi), i genitori (alleanza
educativa), i preti (nel ruolo di regia del percorso, promozione, discernimento sui candidati e sui vari educatori),
il vescovo (la Chiesa diocesana e il suo compito di strut-
Il Regno - Supplemento 8/2014
turare, nutrire, gestire lo spazio dei percorsi di iniziazione cristiana). Si possono legare tra di loro questi soggetti,
aiutandoli a percepire la comunione che deriva dalla condivisione del compito di trasmissione della fede, strutturando anche attraverso forme visibili questa comunione
(comunità educante).
A partire dal quadro che si viene a creare diventa così
possibile lavorare a una ristrutturazione dei percorsi di
iniziazione cristiana rivedendo i tempi, i ritmi e gli obiettivi reali dei cammini. Sapendo che il nostro scopo, più che
disegnare un quadro sintetico difficilmente attuabile, è intuire il punto da cui cominciare a trasfigurare la pastorale.
L’obiettivo non è avere in mente tutto, ma coinvolgere e
motivare, per poi intuire in modo comunitario la meta
verso la quale ci si sta indirizzando. Potrebbe infatti capitare che l’obiettivo che un singolo ha in mente sia proprio
bello, ma che poi la comunità non abbia le risorse, le energie per raggiungerlo: un ideale positivo si trasformerebbe
in questo modo in un vincolo e un peso per tutti. Se invece
di fissare una meta motiviamo dei soggetti, essi potranno
poi camminare fornendo energie, sviluppando intuizioni
e percorsi che potranno andare al di là delle mete e degli
obiettivi di chi ha seminato quegli ideali.
Un’attesa attiva permette di cogliere anche quali
sono gli obiettivi a partire dai quali sarà utile accendere
la riflessione che la lettura e la recezione del documento
stimolerà in modo vivace e profondo. Obiettivi a breve
termine (la ricostruzione di una grammatica religiosa e
cristiana che parli la lingua dei ragazzi e dei giovani di
oggi): siamo chiamati a immaginare un’iniziazione cristiana che dia come livello minimo, anche a coloro che non
vedremo più o che già adesso vediamo con difficoltà durante l’eucaristia domenicale, gli strumenti fondamentali
per incontrare il Dio di Gesù Cristo.
Una logica della relazione
e dell’itineranza
Obiettivi a medio termine: l’immaginazione di percorsi di maturazione e di crescita del cristiano: ingredienti, strumenti, attori, riti, passaggi, regole, obiettivi.
Questo è ciò che sostanzialmente ci attendiamo dal documento e dalla sua recezione: aiutarci a ricostruire i
percorsi di iniziazione alla fede, superando i logoramenti
e le stanchezze che rendono poco efficaci gli attuali . La
ricostruzione sarà molto meno destrutturante o rivoluzionaria di quanto pensiamo. Si tratta, tante volte, di fare
le cose che già facciamo rendendo maggiormente visibili
ed evidenti le motivazioni per cui le si fa. Spesso molti
gesti sono diventati automatismi che non sono più capaci
di trasmettere i significati per cui sono stati pensati.
Obiettivi a lungo termine, senza i quali gli altri obiettivi non reggono: riaffrontare in modo sistematico la
questione della trasmissione della fede, la custodia della
memoria cristiana come strumento che edifica la Chiesa.
È la sfida che la Chiesa mondiale si è data dal Sinodo sulla catechesi, dalla Catechesi tradendae in qua. Cambiando la razionalità, cambiando la cultura, come assumere
le nuove forme di razionalità per rendere ragione della
speranza che ci abita, della fede che viviamo? Dobbiamo
prestare attenzione al fatto che mentre noi ragioniamo
XII
con i nostri concetti storici, i ragazzi pensano con nuovi
strumenti e nuovi concetti culturali, come abbiamo già
detto nel punto precedente, descrivendo i nuclei di condensazione.
Questi obiettivi tengono conto del contesto attuale
del nostro cristianesimo: un cattolicesimo popolare di cui
farsi carico. Questi obiettivi tengono conto anche del necessario mutamento di paradigma: da una logica organizzativa e di appartenenza a una della relazione, dell’itineranza (un annuncio e un’iniziazione da svolgere non
tanto in termini temporali, ma spaziali, rideclinando in
campo catechetico una felice intuizione ecclesiologica),8
facendo così nostre le riflessioni di papa Francesco sulla
catechesi.9
In questa linea di un cattolicesimo popolare di cui
farsi carico, un’attesa attiva chiede di sostenere un luogo esemplare delle nostre pratiche di trasmissione della
fede: la cura per il battesimo dei bambini. Il momento
della richiesta del battesimo si presenta come un nodo
ecclesiale interessante: permette di entrare in relazione
con una famiglia, prendendosene cura; pone il problema della trasmissione della fede; consente di verificare
la capacità della comunità cristiana di raccogliere i suoi
fedeli; apre la comunità all’ascolto delle fatiche e dei bisogni di chi è impegnato a generare il futuro della Chiesa
e della società. Consente in una parola di far comprendere a una comunità locale in cosa consista il compito
di «dare corpo» alla fede della Chiesa: prospettare una
prassi pastorale nella quale i genitori vengono aiutati a
lavorare (non solo riflettendo, ma vivendo esperienze reali) sul senso della loro richiesta, accompagnandoli in un
compito di educazione alla fede cui, da soli, non sarebbero in grado di far fronte.
Dopo più di quarant’anni molti cristiani ricordano
con entusiasmo la lettura e lo studio del «Documento di
base» Il Rinnovamento della catechesi. Il confronto con
questo testo fu per loro un’esperienza forte di maturazione nella fede e di crescita nella comprensione del mistero della Chiesa, della missione dei cristiani nel mondo,
dello stile con cui lo Spirito ci guida (Chiesa e mondo)
verso il Regno che Gesù Cristo e il Padre preparano per
noi. Questo testo fu per loro lo strumento su cui fondare
la loro vita cristiana, attingendo da esso gli ingredienti
essenziali per il loro quotidiano (parola di Dio, preghiera, discernimento, vita comunitaria, apostolato). Proprio
questa sua capacità strutturante ha fatto del «Documento di base» un testo che ha trasmesso serenità, speranza,
capacità di futuro. Vivere un’attesa attiva significa prepararsi a porre al documento annunciato le stesse domande, a rivolgergli le stesse attese, a cercare in esso gli
ingredienti che ci consentano di attrezzarci come cristiani a vivere la nostra fede oggi, trasmettendola con gioia
ai nostri figli e nipoti. Figli e nipoti non soltanto grazie ai
legami di sangue, ma in seguito ai legami che solo lo Spirito sa creare, suscitando un popolo di adoratori anche
tra tutti quei nuovi italiani che popolano le nostre città
e che spesso non hanno nemmeno sentito parlare della
bellezza di avere un Padre che abita quei cieli verso i
quali camminiamo in pellegrinaggio su questa terra, sentendosi così figli e acquistando come dono una fraternità
XIII
che avvolge tutti i popoli. È questa l’esperienza della fede
a cui siamo chiamati e che la Chiesa è tenuta a tradere.
Luca Bressan
1 Ho usato la metafora del cantiere, applicandola all’iniziazione cristiana, per la prima volta in un testo del 2001 (in La Scuola cattolica, n.
129), divenuto poi libretto (L. Bressan, Iniziazione cristiana e parrocchia.
Suggerimenti per ripensare una prassi pastorale, Ancora, Milano 2002):
l’intenzione era di sviluppare una lettura più complessa della transizione
in atto in questo settore della pastorale, superando lo schema deduttivo
che animava molte delle riflessioni a esso dedicate, almeno sino a quel
momento.
2 E. Biemmi, «L’iniziazione cristiana in Italia tra cambiamento e tradizione», in La Rivista del clero italiano 86(2005), 610-623.
3 G. Angelini, «La catechesi dal Vaticano II a oggi», in Catechisti
testimoni. Atti del IV Convegno catechistico diocesano, Centro ambrosiano,
Milano 1985; J. Ratzinger, Trasmissione delle fede e fonti della fede, Piemme, Casale Monferrato 1985.
4 Cf C. Cacciato Insilla, L’iniziazione cristiana in Italia dal concilio Vaticano II a oggi. Prospettiva pedagogico-catechetica, LAS, Roma 2009.
5 Benedetto XVI, Allocuzione all’Angelus, 28.10.2012.
6 R. Luneau, P. Ladrière (a cura di), Le retour des certitudes. Évènements et orthodoxie depuis Vatican II, Centurion, Paris, 1987; N. Mette,
«Von Säkularisierungs- zum Evangelisierungsparadigma», in Diakonia
21(1990), 420-429.
7 Rinvio allo studio illuminante di E. Grieu, «La Chiesa cattolica e il
“cristianesimo di conversione”», in La Rivista del clero italiano 92(2011),
18-29; 117-130.
8 Cf. L. Bressan, «Quali esperienze di annuncio proporre?», in CEI
Notiziario – Ufficio catechistico nazionale 36(2007) 1, 61-68.
9 Francesco, es. apost. Evangelii gaudium, 24.11.2013, nn. 160-174;
Regno-doc. 21,2013,671ss.
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Registrazione del Tribunale di Bologna Palermo, Galleria regionale della Sicilia.
N. 2237 del 24.10.1957.
Associato all’Unione Stampa
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nella citazione delle fonti iconografiche riprodotte nella rivista.
Il Regno - Supplemento 8/2014
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nnuncio e catechesi in Italia
A partire dall’Evangelii gaudium
A
La catechesi
dal popolo di Dio
294
N
ell’Evangelii gaudium di papa Francesco il termine «catechesi» compare 14
volte (escluse le citazioni), delle quali
12 nel c. III: «L’annuncio del Vangelo» (nn. 110-175; Regno-doc. 21,2013,
662ss). Cercarvi una trattazione sistematica sarebbe tuttavia alieno sia dal
tema centrale del documento, che riguarda più che la catechesi appunto l’annuncio – nell’ottica della «nuova
evangelizzazione» trattata dal Sinodo del 2012 (cf. n. 14)
–, sia dall’intento esplicito del papa, che non ha voluto
«trattare in modo particolareggiato» l’argomento (n. 16)
e neppure «offrire un trattato» (n. 18), ma solo «proporre
alcune linee che possano incoraggiare e orientare in tutta
la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice, piena di fervore e dinamismo» (n. 17; Regno-doc. 21,2014,644).
Quanto il papa scrive anche a proposito della catechesi, però, non deve essere considerato una semplice
serie di consigli, se è vero che l’esortazione sulla gioia
del Vangelo mira a «invitare i fedeli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare
vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni» (n.
1). Non un trattato, quindi – com’era invece la Catechesi
tradendae di Giovanni Paolo II (16 ottobre 1979) – menzionata una sola volta, nella nota 90, ma un documento
comunque impegnativo e scritto con l’intenzione di marcare un cammino pastorale per tutta la Chiesa.
La tentazione del teologo e del pastoralista, di fronte all’ultimo documento, è sempre quella di cercarvi le
«novità»: e da un certo punto di vista, nell’Evangelii gaudium vere e proprie cose nuove sulla catechesi non si
trovano. Tutte le considerazioni che vi compaiono erano
già state avanzate prima, e non sarebbe difficile dimostrarlo. Ma da un altro punto di vista, più globale, gli
spunti di papa Francesco sulla catechesi sono talmente
innovatori da suggerire probabilmente un nuovo paradigma per la catechesi. Vorrei solo evidenziare alcuni
di questi spunti e rilanciarli sotto forma di domande, a
volte scomode e provocatorie secondo lo stile del papa,
per aiutarci a riflettere sulle possibili «nuove» piste da lui
suggerite.
Il filo conduttore del c. III è la sottolineatura del «popolo di Dio» come soggetto dell’annuncio e della catechesi (cf. in particolare nn. 111-118). La parola «popolo», che già nel primo discorso dal balcone di piazza San
Pietro, il 13 marzo 2013, Francesco pronunciò per ben
tre volte in pochi minuti, per il papa argentino ha una
risonanza non puramente «essenziale», ma veramente
«esistenziale». Quando cioè utilizza la categoria di «po-
Il Regno - Supplemento 8/2014
polo di Dio» non dà l’impressione di pensare – come
talvolta accade – a un’idea astratta e quasi «platonica»,
ma a una realtà concreta e viva; e non a un «resto» selezionato, ma alla totalità dei battezzati.
Il Concilio: comunione e missione
In quest’ottica, più che teorizzare sul «popolo di
Dio», lo interpella nella sua interezza: «Mi piacerebbe
dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa,
a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama anche te a essere parte del suo popolo e lo
fa con grande rispetto e amore!» (n. 113); «La Chiesa
dev’essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti
possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati
a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (n. 114).
Non un popolo monolitico, ma «dai molti volti»: lo
Spirito Santo «suscita una molteplice e varia ricchezza
di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è
mai uniformità ma multiforme armonia che attrae» (n.
117). Infine, non un popolo dove alcuni siano «specialisti» dell’annuncio e altri siano «destinatari», ma dove
tutti siano soggetti, anche senza una preparazione tecnica approfondita: «La presenza dello Spirito concede
ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine
e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione» (n. 119); per questo il
papa rivolge «un appello diretto a ogni cristiano, perché
nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione,
dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza
dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto
tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non
può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o
lunghe istruzioni» (n. 120).
Questa insistenza sul «popolo di Dio», in chiave concreta, come soggetto e ambito insieme dell’annuncio
e della catechesi, rappresenta una novità, almeno per
il nostro continente. Finora infatti – nonostante che il
concilio Vaticano II avesse scelto proprio la nozione di
«popolo di Dio» come piattaforma sulla quale costruire l’ecclesiologia e innestare le diverse immagini della
Chiesa (cf. Lumen gentium, c. II) – le riflessioni sul soggetto dell’annuncio e della catechesi venivano impostate
prevalentemente in chiave di «comunità». Anche questa nozione è presente nell’Evangelii gaudium, dove il
termine ricorre una cinquantina volte: di queste pochissime, però, nel c. III, dove sembra essere sostituita da
«popolo di Dio».
La prospettiva comunitaria, per quanto fondata sul
Vaticano II, fa leva sull’ecclesiologia di comunione; la
prospettiva popolare fa leva piuttosto sull’ecclesiologia di
missione, che costituisce la «novità» più rilevante dell’ecclesiologia conciliare. È vero che a partire dall’ultimo
Concilio non si possono contrapporre in alcun modo
comunione e missione e che semmai occorre parlare di
«comunione missionaria»;1 ma è anche vero che troppo spesso, nel dopo-Concilio, la comunione è stata intesa come perno dell’ecclesiologia del Vaticano II in un
modo che lasciava in ombra la missione. L’interpretazione comunionale del Vaticano II, del resto, venne san-
XIV
cita ufficialmente dal Sinodo straordinario a vent’anni
dalla conclusione del Concilio, con questo famoso passaggio: «L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale
e fondamentale dei documenti del Concilio».2 Questa
interpretazione è perlomeno parziale, perché il perno
dell’ecclesiologia conciliare non può non inglobare la
nozione centrale di «popolo di Dio» e il suo legame con
la missionarietà.
Le conseguenze e in parte le cause di questa restrizione, rispetto alla dottrina conciliare, sono probabilmente
da ricercare in una sorta di autoreferenzialità che ha afflitto e forse tuttora affligge il cattolicesimo italiano ed
europeo. Troppo tempo e troppe energie vengono spesi
per definire, all’interno della Chiesa, i rispettivi campi
d’azione, le competenze, la distribuzione degli spazi. Le
innumerevoli e a volte sfibranti – e solo in parte necessarie – discussioni degli anni Ottanta e Novanta sul rapporto tra carisma e istituzione, diocesi e gruppi, parrocchie
e movimenti, preti e laici e così via, viste ora da una sufficiente distanza, appaiono il sintomo di un’autoreferenzialità che ha perso per strada l’intuizione fondamentale
del Vaticano II, così espressa da papa Giovanni XXIII
nel documento d’indizione del Concilio: «mettere a contatto con le energie vivificatrici e perenni del Vangelo il
mondo moderno».3 La cura della «comunione» è importante, anzi è essenziale nella Chiesa: purché non venga
scambiata per un’operazione rivolta esclusivamente ad
intra, ma venga intesa come un momento della missione, che comprende inscindibilmente dialogo e annuncio.
Sono le esigenze della missione a fissare l’agenda della
comunione, e non viceversa: altrimenti sotto l’ombrello
della comunione si rifugiano tutte quelle tendenze intimistiche e quelle strategie per la spartizione del potere
che serpeggiano continuamente anche tra i cristiani.
A partire dai testimoni
e dalla vita vissuta
Si usi pure il termine comunità; ma lo si intenda –
sembra dire papa Francesco – nel senso più ampio possibile di popolo, quando ci si domanda il soggetto e l’ambito
dell’annuncio del Vangelo e della catechesi. Spesso infatti
la «comunità» viene intesa in termini ristretti: o per indicare i soli praticanti o per designare, addirittura, la cerchia di coloro che assumono un compito operativo in una
parrocchia. Se pensata in termini di «popolo», la comunità è molto più grande e comprende tutti i battezzati che si
trovano in un determinato territorio: in questo senso occorrerebbe parlare, ad esempio, di «comunità diocesana»
o «parrocchiale». Il papa sembra superare decisamente la
restrizione della comunità ai soli «operatori» specializzati, chiamando tutti all’annuncio e alla catechesi.
Che cosa significano questi spunti per la nostra prassi
catechistica? Forse è necessaria una maggiore attenzione
ai testimoni presenti sul territorio in mezzo al popolo di
Dio, più che ai catechismi spesso utilizzati come «libri
di testo»? Forse occorre costituire dei luoghi di ascolto
più attenti ai problemi e alle ricchezze che si trovano
nel popolo di Dio e farne dei momenti di vera e propria
catechesi «dal basso»? Forse la figura stessa dei catechisti,
senza eliminare quella esistente, va intesa in maniera più
XV
allargata, comprendendovi altre figure meno istituzionali, che si possono incontrare e dalle quali si può imparare
qualcosa?
Certamente dal primato del popolo di Dio proviene
uno stimolo a inglobare nella catechesi un ampio ventaglio di testimonianze, incontri e relazioni. «I discepoli
missionari accompagnano i discepoli missionari» (n. 173).
Non una catechesi che rinunci ai contenuti – sarebbe un
controsenso –, ma una catechesi che rifletta sui contenuti
a partire dalla vita vissuta del popolo di Dio. Una catechesi, per parafrasare un famosissimo passaggio di papa
Paolo VI, che non sia portata avanti dai soli maestri, ma
da maestri che siano prima di tutto testimoni.4 La riflessione, in un certo senso, è riflessione a partire dalla prassi
del popolo di Dio e non a prescindere da essa.
In questa prospettiva papa Francesco valorizza «la
forza evangelizzatrice della pietà popolare», che definisce «la vita teologale presente nella pietà dei popoli
cristiani, specialmente nei poveri» (n. 125). Secondo lui,
infatti, «le espressioni della pietà popolare hanno molto
da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un
luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova
evangelizzazione» (n. 126). E nella medesima ottica, a
proposito dell’omelia – ma vale anche per la catechesi –
il papa afferma che «il predicatore deve anche porsi in
ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno
bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola e anche un contemplativo del popolo»
(n. 154).
L’annuncio e la catechesi suppongono dunque, a tutti i livelli, una contemplazione binoculare: della Parola e
del popolo. I pericoli di una contemplazione monoculare
sono ben noti. Quando si contempla solamente il popolo,
e la Parola rimane in sordina, l’annuncio patisce una deriva populista e ideologica e si allontana dal Vangelo. Non
sembra questo, però, il rischio che corre l’annuncio dalle
nostre parti, ma piuttosto quello di una contemplazione
della Parola «in se stessa», sganciata dalla vita del popolo
di Dio; una contemplazione, per così dire, «da scrivania»,
mentre «essere discepolo significa avere la disposizione
permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo
avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada» (n. 127).
Nel fiume della parola di Dio
Forse la nostra catechesi è troppo scolastica? Non
tende a mimare troppo anche nel linguaggio – classe,
banchi, registro, quaderno, libro, presenze, assenze, ora
di lezione – l’esperienza della scuola? Sembra che il papa
inviti non troppo sommessamente a descolarizzare l’annuncio e la catechesi, pensando più alla strada che alla
scrivania. Lo afferma esplicitamente per i teologi, ma
vale per tutti coloro che in qualsiasi maniera annunciano il Vangelo: «Non si accontentino di una teologia da
tavolino» (n. 133).
La catechesi non dovrebbe diventare parte di un’esperienza più globale e meno scolastica, in modo da
sganciarla dal solo riferimento all’«ora di catechismo»
e associarla anche a incontri «nella vita, nella piazza, in
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nnuncio e catechesi in Italia
A
una strada», ad attività, giochi, canti, teatro, celebrazioni liturgiche (cf. n. 166), forme di servizio ai poveri (cf.
nn. 123 e 125) e ai malati, visite ai luoghi nei quali la
fede è diventata arte, secondo l’auspicio che «la formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede» (n. 167)? I concetti non sarebbero messi
in soffitta, ma elaborati a partire da queste esperienze,
confrontando con esse la parola di Dio; e non ne risulterebbero affatto concetti «deboli», slegati dalla verità perenne, ma semmai concetti incarnati e rafforzati dall’esperienza vissuta.
Sarebbe interessante, ma supererebbe i limiti di questo
contributo, affrontare anche altri aspetti del nostro tema
che papa Francesco evidenzia e specialmente il carattere
kerygmatico, ossia la connessione diretta con Cristo risorto e vivo (cf. n. 164), che per lui non connota solamente
il primo annuncio ma anche la catechesi, la quale non
deve essere preoccupata di trasmettere tante dottrine,
di differente peso, ma di ricondurre al Cristo (cf. nel
c. I i nn. 35 e 36). E dunque la catechesi, quando
presenta la morale cristiana, «deve indicare sempre il bene desiderabile, la proposta di vita, di
maturità, di realizzazione, di fecondità, alla cui
luce si può comprendere la nostra denuncia dei
mali che possono oscurarla. Più che come esperti in
diagnosi apocalittiche o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione, è bene che
possano vederci come gioiosi messaggeri di proposte alte,
custodi del bene e della bellezza che risplendono in una
vita fedele al Vangelo» (n. 168).
Il carattere kerygmatico viene custodito, secondo il
papa, dall’immersione dell’annuncio e della catechesi
nel fiume della parola di Dio: «È fondamentale che
la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi
e tutti gli sforzi per trasmettere la fede. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la parola di Dio
e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le
aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio
e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria» (n. 175).
Lo sforzo di rinnovamento dell’iniziazione cristiana in Italia, in atto ormai da molti anni e tradotto in alcune sperimentazioni interessanti in alcune
diocesi, sarà certamente spronato dalle indicazioni
di papa Francesco a una maggiore attenzione alle
risorse offerte dall’esperienza vissuta del «popolo di
Dio» e potrà originare nuove prassi abbandonando
«il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre
così”», per essere invece più «audaci e creativi in questo
compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i
metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (n. 33).
Erio Castellucci
1 Cf. Giovanni Paolo II, es. apost. Christifideles laici, 30.12.1988,
n. 32; EV 11/1742.
2 II Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, Relatio finalis, 7.12.1985, n. C.1; EV 9/1800.
3 Giovanni XXIII, cost. apost. Humanae salutis, 25.12.1961;
EV 1/3*.
4 Cf. Paolo VI, es. apost. Evangelii nuntiandi, 8.12.1975, n. 41;
EV 5/1634.
296
Il Regno - Supplemento 8/2014
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