Nāṉ Yār? - Chi sono io? Prosa originale Tamil di Bhagavan Sri Ramana Tradotto da Michael James INTRODUZIONE Nel 1901, quando Bhagavan Sri Ramana aveva solo ventun anni e viveva in una caverna nella santa collina di Arunachala, un umile e modesto devoto chiamato Sri Sivaprakasam Pillai iniziò a fargli visita e a chiedergli molte domande riguardo la filosofia e la pratica spirituale. Sri Ramana, che in quei primi tempi parlava raramente, rispose alla maggioranza delle sue domande scrivendo sulla sabbia, o su una piccola lavagna o su foglietti di carta che gli forniva lo stesso Sivaprakasam Pillai. Sivaprakasam Pillai copiò molte di queste domande e risposte in un quaderno di appunti, ma per più di venti anni non le pubblicò. Tuttavia nel 1923, su richiesta di altri devoti, pubblicò una compilazione di ventisette di esse con il titolo நானா? (Nāṉ-ār?), o forse நா யா? (Nāṉ Yār?), che entrambi significano "Chi Sono Io?", come un'appendice alla prima edizione di Śrī Ramaṇa Carita Ahaval, un poema Tamil nel quale egli narrava la biografia di Sri Ramana. Durante i circa dieci anni che seguirono a questa prima pubblicazione di Nāṉ Yār? furono pubblicate varie versioni di esso, e varie altre versioni di esso esistono in forma manoscritta nel quaderno di appunti di Sivaprakasam Pillai. Ciascuna di queste versioni ha un numero differente di domande e risposte, con leggere variazioni nella loro reale formulazione, e con una variabile quantità di concetti in alcune particolari risposte. La versione standard e la più autentica, comunque, è la versione di saggio che lo stesso Sri Ramana scrisse qualche anno dopo la pubblicazione della prima versione avvenuta circa nel 1927 o precedentemente. Sri Ramana compose questa versione di saggio, che è chiamata நானா? (Nāṉ-ār?) e che consiste di venti paragrafi, riscrivendo la più completa versione di domande e risposte (che consisteva di trenta domande e risposte e undici paragrafi miscellanei e che fu stampata probabilmente tre o quattro volte tra l'anno 1924 e il 1936), e facendo questo egli fece diversi miglioramenti, rimuovendo tutte le domande eccetto la prima, riordinando l'ordine in cui le idee nelle sue risposte erano presentate, e facendo alcuni cambiamenti significativi nelle espressioni. Sebbene questa versione di saggio è la sola che fu effettivamente scritta da Sri Ramana ed è quindi la versione che è inclusa in Śrī Ramaṇa Nūṯṟiraṭṭu (la sua collezione di opere in Tamil), c'è un'altra versione che è distribuita come un libretto che contiene ventotto domande e risposte. Questa versione, che è chiamata நா யா? (Nāṉ Yār?), fu prima pubblicata nel 1932 come la quarta edizione, e fu compilata modificando l'iniziale versione di trenta domande-risposte in conformità con molti dei cambiamenti che Sri Ramana fece quando scrisse la sua versione di saggio. Benché l'esistenza di due titoli, நானா? (Nāṉ-ār?) e நா யா? (Nāṉ Yār?), per differenti versioni della stessa opera possa sembrare confondente, entrambi significano "Chi Sono Io?", o più precisamente "Io [sono] Chi?", perché நா (nāṉ) significa 'Io' e sia யா (yār) che ஆ (ār) significano 'chi'. யா (yār) è usato più comunemente, in modo particolare nel Tamil parlato, ma sebbene usato meno frequentemente ஆ (ār) è spesso preferito nel Tamil letterario. Alcune delle prime versioni di domande e risposte (inclusa una manoscritta datata 21.2.24) furono chiamate நானா? (Nāṉ-ār'), mentre altre furono chiamate நா யா? (Nāṉ Yār?), così non possiamo dire che நானா? (Nāṉ-ār?) è un nome che è sempre stato usato esclusivamente per la versione di saggio di Sri Ramana, ma dato che essa è sempre stata pubblicata con il titolo நானா? (Nāṉ-ār?), è più preciso chiamarla நானா? (Nāṉ-ār?) piuttosto che நா யா? (Nāṉ Yār?). Di tutti i cambiamenti che Sri Ramana fece nella sua versione di saggio, il più significativo fu l'aggiungere interamente un nuovo paragrafo all'inizio del saggio. Questo paragrafo di apertura serve come un'opportuna introduzione al soggetto 'Chi sono Io?', perché spiega che la ragione per cui abbiamo la necessità di conoscere chi siamo è che la felicità è la nostra reale natura, e che possiamo quindi sperimentare vera e perfetta felicità solo conoscendo noi stessi come siamo realmente. La prima domanda che Sivaprakasam Pillai chiese a Sri Ramana fu 'Chi sono io?', alla quale egli rispose semplicemente, 'Conoscenza [o consapevolezza] solo è Io'. Le reali parole Tamil pronunciate da Sivaprakasam Pillai furono நானா? (Nāṉ-ār?), o forse நா யா? (nāṉ yār?), che significa letteralmente 'Io [sono] chi?', e le parole di risposta che Sri Ramana scrisse con il dito sulla sabbia furono அறிேவ நா (aṟivē nāṉ). La parola Tamil அறி (aṟivu) significa 'conoscenza' nel senso più ampio, ed è quindi usata per indicare molte forme differenti di conoscenza, incluso consapevolezza, saggezza, intelligenza, apprendimento, percezione sensoriale, qualsiasi cosa che è conosciuta, ed anche ātmā, il nostro sé reale, che è la nostra fondamentale conoscenza 'Io Sono'. In questo contesto, comunque, essa significa solo la nostra fondamentale conoscenza 'Io sono' - l'essenziale consapevolezza del nostro essere. Il suffisso ஏ (ē) che è apposto ad aṟivu è un'intensificazione che è comunemente usata in Tamil per aggiungere enfasi a una parola, trasmettendo il senso 'esso stesso', 'solamente' o 'davvero', e la parola நா (nāṉ) significa 'io'. In queste due semplici parole, aṟivē nāṉ, Sri Ramana sintetizzò l'essenza della sua esperienza di vera conoscenza di sé, che è la base dell'intera filosofia e della scienza che egli insegnò. Con queste semplici parole egli intendeva che la nostra vera ed essenziale natura è solo la fondamentale conoscenza o consapevolezza 'io sono', che è la conclusione a cui dobbiamo arrivare se analizziamo criticamente l'esperienza di noi stessi nei tre ordinari stati di consapevolezza (come spiegato in (Happiness and the Art of Being, in modo particolare nel capitolo due, 'Chi sono io?'.) La domanda successiva che Sivaprakasam Pillai gli pose fu 'Qual'è la natura di [tale] conoscenza?', a cui egli rispose o 'La natura della conoscenza è sat-cit-ānanda’ o più probabilmente solo ‘sat-citānanda’. La parola composita sat-cit-ānanda, che è effettivamente fusa in un'unica parola, traslitterata correttamente come saccidānanda, è un termine filosofico ben conosciuto, di origine Sanscrita, ma che è largamente inteso e usato frequentemente in Tamil e in tutte le altre lingue Indiane. E' un termine usato per descrivere la natura della realtà assoluta, e sebbene è composta da tre parole, non si sottintende che la realtà assoluta è composta da tre elementi distinti, ma solo che la singola natura non-duale dell'unica realtà assoluta può essere descritta in tre modi differenti. La parola sat significa basilarmente 'essere' o 'esistere', ma in aggiunta significa anche la 'sostanza esistente', 'ciò che realmente è', 'realtà', 'verità', 'esistenza', 'essenza', 'reale', 'vero', 'buono', 'giusto', o 'ciò che è reale, vero, buono o giusto'. La parola cit significa 'coscienza' o 'consapevolezza', da una radice verbale che significa 'conoscere', 'essere conscio di', 'percepire', 'osservare', 'assistere' o 'essere attento', ma piuttosto che significare precisamente la qualità di essere conscio o consapevole (come la parola Inglese 'coscienza' o 'consapevolezza' tende a significare), essa significa ciò che è conscio o consapevole (in altre parole, essa denota una sostanza - quella che è inerentemente consapevole - piuttosto che una mera qualità). E la parola ānanda significa 'felicità', o 'gioia' o 'beatitudine'. Così saccidānanda, o come è più comunemente composta in carattere romano, sat-citānanda, che significa 'essere-consapevolezza-beatitudine': cioè, essere che è sia conscio che beato, o consapevolezza che è sia esistente che beata, o beatitudine che è sia esistente che consapevole - in altre parole, una singola sostanza o realtà che è esistente, consapevole e felice. In questo modo, attraverso queste due prime risposte, Sri Ramana ha rivelato tre importanti verità riguardo la natura del nostro sé o reale 'io'. Innanzitutto ha rivelato che il nostro sé essenziale è solo consapevolezza o ciò-che-è-consapevole. In secondo luogo ha rivelato che questa consapevolezza non è la nostra consapevolezza di qualsiasi altra cosa ma solo la consapevolezza di noi stessi la consapevolezza del nostro essere, il nostro essere-consapevolezza o sat-chit. In questo modo egli voleva dire che dato che in essenza noi siamo solo questa consapevolezza del nostro essere, né la nostra consapevolezza né il nostro essere sono separati da noi stessi, e quindi la nostra essenziale consapevolezza è il nostro vero essere, e il nostro essere è esso stesso la consapevolezza del nostro essere. In altre parole, non c'è assolutamente distinzione tra il nostro essere e la nostra consapevolezza. Il nostro essere e la nostra consapevolezza di essere sono quindi uno, e perciò il nostro sé reale è solo questo essere essenziale consapevole di sé, che noi sempre sperimentiamo come 'io sono'. In terzo luogo egli ha rivelato che questa essenziale consapevolezza di sé o essereconsapevolezza non è solo il nostro vero essere e la fondamentale consapevolezza del nostro essere, ma è anche ciò che sperimentiamo come felicità. In altre parole, noi siamo essere, noi siamo consapevolezza, e noi siamo felicità, e quindi il nostro essere, la nostra consapevolezza e la nostra felicità non sono tre cose separate, ma sono un insieme non duale e indivisibile - il nostro singolo, vero ed essenziale sé. Quando siamo apparentemente consapevoli dell’alterità, come siamo nella veglia e nel sogno, sperimentiamo una mistura di felicità e infelicità relative, ma quando siamo consapevoli di nient'altro che di noi stessi, come siamo nel sonno senza sogni, sperimentiamo felicità assoluta e incondizionata. Dato che nel sonno non sperimentiamo assolutamente dualità o alterità - cioè, dato che nel sonno non conosciamo altro che 'io sono' - ciò che sperimentiamo nel sonno deve essere il nostro sé essenziale. Poiché nel sonno sappiamo di esistere, il nostro sé essenziale è sia il nostro essere sia la consapevolezza del nostro essere, e poiché sappiamo di essere felici nel sonno, il nostro sé essenziale è anche felicità - la felicità di essere consapevoli di niente altro che il nostro essere, 'io sono'. Quando Sri Ramana riscrisse la versione originale in domande e risposte di Nāṉ Yār? come il presente saggio, mise in risalto la prima domanda, நானா? (nāṉ-ār?), che significa 'Io [sono] chi?', e le sue prime due risposte, அறிேவ நா (aṟivē nāṉ), che significa 'conoscenza [o consapevolezza] solo è io', e அறிவி ெசாப சசிதானத (aṟiviṉ sorūpam sat-citānandam), che significa 'la natura di [questa] conoscenza è essere-consapevolezza-beatitudine', in carattere evidenziato. La ragione per cui egli fece così è che il resto del secondo paragrafo, nel quale questa domanda e le due risposte sono contenute, consiste di idee che non furono effettivamente parte delle risposte che egli diede a Sivaprakasam Pillai. Prima della sua pubblicazione, una bozza dell'originale versione a domande e risposte fu mostrata a Sri Ramana per la sua approvazione, e quando egli la lesse notò che Sivaprakasam Pillai aveva espanso la sua originale risposta alla prima domanda, aggiungendo una lista dettagliata di cose che confondiamo con l'essere noi stessi, ma che di fatto non siamo. Vedendo questo, egli osservò che non aveva risposto in un modo così dettagliato, ma poi spiegò che, dal momento che Sivaprakasam Pillai aveva familiarità con il nēti nēti, aveva aggiunto tali dettagli pensando che ciò lo avrebbe aiutato a comprendere più chiaramente la sua risposta. Con il termine nēti nēti, Sri Ramana intendeva il processo razionale di auto-analisi descritto negli antichi testi di vēdānta, un processo che include l'eliminazione e la negazione analitica di ogni cosa che non è 'io'. La parola nēti è composta da due parole Sanscrite, na, che significa 'non', e iti, che significa 'così' o 'in questo modo', e quindi nēti nēti significa letteralmente 'non così, non così'. Gli antichi testi del vēdānta usano queste parole nēti nēti quando spiegano le basi razionali per la teoria che il nostro corpo, i nostri sensi, la nostra forza vitale, la nostra mente ed anche l'ignoranza che apparentemente sperimentiamo nel sonno sono tutti non 'io'. Il processo razionale ed analitico che è così descritto negli antichi testi del vēdānta come nēti nēti o 'non così, non così' è essenzialmente come l'analisi logica dell'esperienza di noi stessi che Sri Bhagavan ci ha insegnato (che è descritta nel capitolo due di Happiness and the Art of Being). Se inizialmente non analizziamo criticamente l'esperienza di noi stessi in questo modo, non saremo in grado di comprendere sia la ragione del perché dovremmo cercare la vera conoscenza di sé, o cosa esattamente dovremmo esaminare al fine di conoscere il nostro sé reale. Fino a che immaginiamo di essere veramente il nostro corpo fisico, la nostra mente pensante o qualsiasi altro oggetto, immagineremo di poter conoscere noi stessi occupandoci di tali cose, e quindi non saremo in grado di comprendere cosa si intende realmente con il termine ātma-vicāra, investigazione - introspezione - esame - ricerca - attenzione - ricordo di sé. Solo quando comprenderemo la teoria essenziale che non siamo niente altro che la nostra fondamentale consapevolezza di sé non duale - la consapevolezza senza attributi del nostro puro essere, che sperimentiamo esattamente come 'io sono' e non come 'io sono questo' - saremo in grado di comprendere ciò che è il 'sé' o l''io' che dovremmo investigare, esaminare o di cui occuparci. Una volta che abbiamo compreso che veramente non siamo il nostro corpo fisico, la nostra mente pensante o qualsiasi altro oggetto da noi conosciuto, non dovremmo continuare a pensare 'questo corpo non sono io', 'questa mente non è io', e così via, ma dovremmo ritirare la nostra attenzione da tutte queste cose, e focalizzarla pienamente ed esclusivamente sul nostro essere reale ed essenziale, 'io sono'. Non possiamo conoscere il nostro reale sé pensando a qualsiasi cosa che non è 'io', ma solo investigando, esaminando o occupandoci accuratamente di quello che 'io' è realmente - di quello che noi siamo realmente, cioè, del nostro essere essenziale consapevole di sé. Se non ritiriamo interamente l'attenzione da tutte le altre cose, non saremo in grado di focalizzarla pienamente ed esclusivamente sul nostro essere essenziale consapevole di sé, che sperimentiamo sempre come 'io sono', e se non la focalizziamo in questo modo sul nostro essere essenziale, non saremo in grado di ottenere l'esperienza non duale della vera conoscenza di sé. Comunque, sebbene Sri Ramana ci insegnò come dovremmo analizzare criticamente l'esperienza di noi stessi nei tre stati ordinari di consapevolezza al fine di comprendere che non siamo altro che il nostro essere essenziale, non duale, cosciente di sé, 'io sono', che è la sola cosa che sperimentiamo in tutti questi tre stati, e sebbene questo processo di auto-analisi è essenzialmente lo stesso processo che è descritto negli antichi testi di vēdānta come nēti nēti, egli non avrebbe detto, "Avendo fatto nēti [negazione, eliminazione o rifiuto di qualsiasi cosa non è noi stessi pensando] in questo modo, a tutte le suddette cose che non sono 'io', non 'io', la conoscenza che [quindi] rimane unica e sola è 'io'", come Sivaprakasam Pillai scrisse quando espanse la prima risposta aṟivē nāṉ (la conoscenza solo è Io) per proprio chiarimento. La qualifica della parola 'conoscenza' per mezzo dell'aggiunta della frase relativa 'che rimane distaccato [separato o solo] avendo fatto nēti in questo modo, tutte le suddette cose sono non io, non io' è potenzialmente ingannevole, perché potrebbe generare l'impressione che semplicemente pensando nēti nēti, 'non così, non così' o 'questo non è io, questo non è io', possiamo distaccare la nostra essenziale consapevolezza o conoscenza 'io sono' da ogni cosa con cui ora la confondiamo. Di fatto, molti studiosi che tentano di spiegare gli antichi testi di vēdānta, che spesso descrivono questo processo di nēti nēti o negazione di tutto ciò che non è il nostro sé reale, lo interpretano come l'effettivo strumento con il quale possiamo ottenere conoscenza del sé. Comunque, i saggi che per primi insegnarono il processo razionale di auto-analisi chiamato nēti nēti non si proponevano che venisse inteso come l’effettiva tecnica o pratica o ricerca empirica, ma solo come le basi teoriche su cui la pratica empirica di ātma-vicāra o investigazione di sé dovesse essere basata. La ragione per cui confondiamo noi stessi - la nostra essenziale consapevolezza 'io sono' - con il nostro corpo, mente e altre simili aggiunte, è che non conosciamo chiaramente cosa noi siamo. Se conoscessimo noi stessi come realmente siamo, non potremmo immaginarci essere qualcosa che non siamo. Quindi l'unico mezzo pratico con il quale possiamo separare la nostra essenziale consapevolezza di sé 'io sono' da ogni cosa con cui ora la scambiamo essere, è conoscere noi stessi come siamo realmente. Al fine di conoscere noi stessi chiaramente come siamo realmente, solo "jñana-vicāra [esaminare la nostra consapevolezza di conoscere] 'chi sono io' solamente è lo strumento principale", come Sri Ramana dice nella frase finale del primo paragrafo, che evidenziò in grassetto. Il termine jñanavicāra significa letteralmente 'conoscenza-investigazione', ed è il processo (o piuttosto lo stato) di investigare l’essenziale consapevolezza di sé 'io sono', che è la nostra primaria conoscenza e la base di tutta la nostra altra conoscenza, al fine di ottenere vera conoscenza del nostro sé reale. Questa pratica di jñana-vicāra è descritta da Sri Ramana nel verso 19 di Upadēśa Undiyār : Quando [noi] esaminiamo all'interno [di noi stessi] 'qual'è il luogo in cui essa [la nostra mente] sorge come io?' [questo falso] ‘io' morirà. Questa [solo] è jñana-vicāra. Ciò che Sri Ramana descrive in questo verso come eṙum iḍam, il 'luogo sorgente' o origine della mente o senso limitato di 'io', è il nostro sé essenziale, l’essenziale consapevolezza di sé, senza attributi, 'io sono'. Quando esaminiamo il nostro essere essenziale cosciente di sé, 'io sono', che è la sorgente da cui sorge il nostro 'io' limitato e costretto da attributi, questo 'io morirà', cioè cesserà di esistere come tale, perché scopriremo che esso non è altro che la consapevolezza di sé libera da attributi. Quando osserviamo attentamente un serpente che immaginiamo di vedere a terra nella fioca luce della notte, scopriremo che non è realmente un serpente ma solo una corda. In modo simile, quando esaminiamo attentamente la nostra basilare consapevolezza 'io sono', che ora sperimentiamo come la nostra mente, la nostra consapevolezza limitata che immagina se stessa essere un corpo, scopriremo che non siamo realmente questa mente limitata o questo corpo, ma solo quell'infinita consapevolezza non duale - l'essenziale consapevolezza senza attributi nel nostro essere. Perciò ciò che Sri Ramana intende in questo primo paragrafo con il termine நானா எ ஞான விசார (nāṉ-ār eṉṉum jñana-vicāra, che significa letteralmente 'conoscenzainvestigazione chiamata chi sono io') non è una semplice analisi intellettuale della nostra conoscenza 'io sono', ma è una reale investigazione o esame profondo della nostra conoscenza fondamentale 'io sono' (la consapevolezza del nostro essere) al fine di conoscere per mezzo dell'esperienza diretta ciò che è realmente. Una tale investigazione o esame non può essere fatto pensando, ma solo rivolgendo la nostra attenzione all'indietro verso noi stessi per conoscere la realtà di ciò che ora sembra essere consapevole di pensare. Quando la nostra attenzione o potere di conoscere è rivolto all'esterno per conoscere cose oltre che noi stessi, essa diviene la nostra mente pensante, ma quando essa si rivolge all'interno per conoscere il nostro sé essenziale, essa rimane nel suo stato naturale come nostro sé essenziale - cioè, come il nostro vero essere non duale e cosciente di sé. La stessa verità che Sri Ramana esprime in questa frase finale del primo paragrafo, ‘jñana-vicāra chi sono io solamente è lo strumento principale' per conoscere noi stessi, è da lui ripetuto in molti degli altri paragrafi. Per esempio, egli inizia il sesto paragrafo dicendo, 'Solo per [mezzo de] l'investigazione chi sono io la mente diminuirà [si ritirerà, si calmerà, diverrà ferma, scomparirà o cesserà di essere]; egli inizia l'ottavo paragrafo dicendo, 'Per fare cessare la mente [permanentemente], non ci sono mezzi adeguati oltre che vicāra [investigazione, cioè, investigazione di sé: la pratica di vigilante esame o attenzione di sé]. Se trattenuta con altri mezzi, la mente rimarrà come se cessata [ma] emergerà nuovamente'; ed egli inizia l'undicesimo paragrafo dicendo, 'Fino a che viṣaya-vāsanās [propensioni o desideri di sperimentare cose oltre che sé stessi] esistono nella [nostra] mente, l'investigazione chi sono io è necessaria. Oltre a usare questo termine Sanscrito vicāra, che significa 'investigazione', 'esame' o 'scrutinio', Sri Ramana usava molte altre parole Tamil o Sanscrite per descrivere la pratica di investigazione di sé. Per esempio, nel sesto paragrafo egli la descrive non solo come நானா எ விசாரைண (nāṉar eṉṉum vicāranai), che significa l' 'investigazione chiamata chi sono io', ma anche come அகக (ahamukham), che significa 'guardare verso l'io' o 'attenzione di sé', அதக (antarmukham), che significa 'guardare all'interno', 'introspezione' o 'introversione', e மா வி"#ப$ (summā-v-iruppadu), che significa 'solo essere', 'essere silenziosamente', 'essere pacificamente', 'essere immobile' o 'essere senza fare niente'; nel decimo paragrafo la descrive come ெசாப%யான (sorūpa-dhyāna), un adattamento Tamil del termine Sanscrito svarūpa-dhyāna), che significa 'contemplazione di sé' o 'attenzione di sé'; nell'undicesimo paragrafo la descrive come ெசாப &மரைண (svarūpa-smaraṇa), che significa 'ricordo di sé'; e nel tredicesimo paragrafo la descrive come ஆ%மநி'ைட (ātma-niṣṭhā), che significa 'dimorare in sé', e ஆமசிதைன (ātma-cintana), che significa 'contemplazione di sé' o il 'pensiero di sé'. Tutte queste parole descrivono lo stesso stato di pratica, vale a dire lo stato senza pensiero di solo essere cosciente - consapevole - attento a sé. Questa semplice pratica di mantenere la mente o l'attenzione fissata fermamente nel nostro sé essenziale - cioè, nel nostro essere senza pensiero e cosciente di sé - è da lui descritto chiaramente nel sedicesimo paragrafo, nel quale dice: [...] சதாகால மன%ைத ஆ%மாவி* ைவ%தி"#பத+,% தா ‘ஆ%மவிசார’ ெமெபய; [...] [...] Il nome ‘ātma-vicāra’ [si riferisce] solo a [la pratica di] essere sempre [dimorare o rimanere] mantenendo [fissando o stabilendo] la mente in [o sull'] ātmā [sé]; [...] Sia in Sanscrito che in Tamil la parola ātmā, che letteralmente significa 'sé', è un termine filosofico che in contesti come questo denota ciò che realmente siamo: il nostro vero essere essenziale, consapevole di sé e perfettamente non-duale 'io sono'. Quindi lo stato che Sri Ramana descrive in questa frase come சதாகால மன%ைத ஆ%மாவி* ைவ%தி"#ப$ (sadākālamum maṉattai ātmāvil vaittiruppadu, che significa 'mantenere la mente ne [o su] il sé') è lo stato di solo 'essere', nel quale manteniamo la mente fermamente fissata su, e così stabilita in, e come, ātmā, il nostro essere essenziale, non-duale e consapevole di sé. La parola composta சதாகால (sadākālamum) significa 'sempre' o 'immancabilmente', மன%ைத (maṉattai) è la forma accusativa di manam, che significa 'mente', ஆ%மாவி* (ātmāvil) è la forma locativa di ātmā e perciò significa 'ne [o su] il sé, e ைவ%தி"#ப$ (vaittiruppadu) è il composto di due parole, vaittu, che è un participio che significa 'mettere', 'porre', 'tenere', 'insediare', 'fissare' o 'stabilire', e iruppadu, che è una forma gerundio costituita dalla radice verbale iru, che significa 'essere'. Quando essa è usata sola, questo gerundio iruppadu significa 'essere', ma quando è apposta a un participio verbale per formare un gerundio composto, serve come un sostantivo verbale ausiliario che indica una continuità di qualsiasi azione o stato indicato dal participio. Quindi la parola composta vaittiruppadu può essere interpretata sia nel significato di 'mantenere' sia di 'mantenere con continuità' (o più liberamente come 'mantenere fissato'). Comunque non c'è effettivamente differenza essenziale tra queste due interpretazioni, perché lo stato in cui manteniamo la nostra mente continuamente in, o fissata su, ātmā o sé non è uno stato di attività o di fare, ma solo lo stato di essere solamente come realmente siamo. Così in questa frase Sri Ramana definisce chiaramente l'esatto significato del termine ātma-vicāra, dicendo che esso indica unicamente lo stato di solo essere - la pratica spirituale di mantenere la mente (il nostro potere di attenzione) fermamente fissata su, e così stabilita in, e come ātmā, il nostro reale 'sé' o essere essenziale consapevole di sé, 'io sono'. In altre parole, ātma-vicāra o investigazione 'chi sono io?' è solo la pratica di essere semplicemente come realmente siamo - cioè, essere semplicemente nel nostro vero stato naturale, nel quale la mente si è abbandonata pacificamente nel, e come, nostro sé essenziale, il nostro essere consapevole di sé, libero dal pensiero e quindi assolutamente privo di azione. Questa semplice pratica di ātma-vicāra, investigazione - esame - attenzione - essere consapevole di sé, è l'unico strumento con il quale possiamo sperimentare noi stessi come realmente siamo, e quindi è il tema centrale che scorre attraverso questo profondo ma chiaro trattato sulla filosofia, la scienza e l'arte della vera conoscenza di sé. La traduzione che offro di seguito è simile alla traduzione che ho fornito in Happiness and the Art of Being, in cui, in vari contesti, ho citato e discusso il significato di ciascun paragrafo di Nāṉ Yār?. Sebbene questa traduzione è fondamentalmente realizzata da me, in larga misura è basata sui significati che Sri Sadhu Om mi spiegò, e quindi è del tutto simile ad una precedente traduzione che lui ed io realizzammo insieme, e che è inclusa nell'appendice uno della Parte Uno di The Path of Sri Ramana. Nessuna traduzione può essere perfetta, ma in questa traduzione, come in tutte le mie traduzioni, ho tentato di esprimere in Inglese più chiaramente e più accuratamente possibile sia il vācyārtha sia il lakṣyārtha - il significato letterale e il significato inteso - delle parole di Sri Ramana. Quindi per certe parole ho spesso fornito significati alternativi nelle parentesi quadre. Inoltre, poiché la grammatica Tamil è molto differente dalla grammatica Inglese, e poiché la struttura di una frase Tamil è perciò molto differente dalla struttura di una frase Inglese, e le idee sono espresse in Tamil in un modo che è del tutto dissimile dal modo in cui vengono espresse in Inglese, ho spesso dovuto aggiunto parole nelle parentesi quadre che non sono esplicitamente presenti nell'originale Tamil, ma il cui senso è implicito nel modo idiomatico in cui Sri Bhagavan si espresse in Tamil. Spero quindi che questa traduzione riesca, almeno a un certo grado, a trasmettere la vera profondità del significato che Sri Ramana esprime in questo profondo e importante testo. Nell'originale Tamil, i paragrafi non sono numerati, ma per la facilità di riferimento ho aggiunto il numero di ciascun paragrafo come un sotto-titolo. நானா? நானா Nāṉ-ār o Nāṉ Yār? (Chi sono io?) Prosa originale Tamil di Bhagavan Sri Ramana con traduzione Inglese di Michael James Paragrafo Uno சகல ஜீவக1 $2கெமப திறி எ#ேபா$ கமாயி"2க வி"3வதா4, யாவ"2, தனிட%திேலேய பரம பி6ய மி"#பதா4, பி6ய%தி+, நி%திைரயி* தின மபவி2, த பாவமான அ கேம காரண மாதலா4, மனம+ற க%ைத யைடய% தைன% தானறித* ேவ78அத+, . நானா எ ஞான விசாரேம 2கிய சாதன. சாதன Dato che tutti gli esseri viventi desiderano sempre essere felici e liberi dalla sofferenza, dato che per ognuno il più grande amore è solo per se stessi, e dato che solo la felicità è la causa dell'amore, [al fine] di conseguire quella felicità, che è la propria [vera natura] sperimentata quotidianamente nel sonno [senza sogni], che è privo della mente, è per essi necessario conoscere se stessi. Per questo, jñāna-vicāra [conoscenza-investigazione] 'chi sono io' soltanto è il mezzo principale. Paragrafo Due நானா? நானா ஸ#த ெம தா$2களா ப=ச லாகிய விஷய?கைள@ &<ல ேதக தனி%தனிேய நான-ச#த அறிகிற ., &ப6ச, ப, ரஸ, கத ேரா%திர, $வ2,, சAு&, ஜிCைவ, கிராண ெமகிற ஞாேனதி6ய?க ைள$ நான- .வசன, கமன, தான, மல விசஜன, ஆனதி%த* எ ஐ$ ெதாழி*கைள@ ெசFகிற வா2,, பாத, பாணி, பா@,உப&த எ கேமதி6ய?க ைள$ நான- வாஸாதி ஐெதாழி*கைள@ . ெசFகிற பிராணாதி . ப=ச வா@2க1 நான-நிைன2கிற மன நான .-சவ விஷய?க1 சவ ெதாழி*க1 ம+-, விஷய வாசைனக1ட மா%திர ெபா"தியி"2, அ=ஞான நான-ேம+ெசா*லிய யா நான*ல ., நான*ல ெவ- ேநதிெசF$ தனி%$ நி+, அறிேவ நா. நா அறிவி ெசாப சசிதானத. சசிதானத Chi sono Io? Sthūla dēha [il corpo fisico o 'grossolano'], che è [composto] di sapta dhātus [i sette costituenti, vale a dire chilo, sangue, carne, grasso, midollo, ossa e sperma], non è 'Io'. I cinque jñānēndriyas [organi di senso], vale a dire orecchie, pelle, occhi, lingua e naso, che individualmente [e rispettivamente] conoscono i cinque viṣayas ['domini' di senso o tipi di percezione sensoriale], vale a dire suono, tatto, [struttura e altre qualità percepite dal tatto], forma [figura, colore e altre qualità percepite dalla vista], gusto e odorato, anche non sono 'Io'. I cinque karmēndriyas [organi di azione], vale a dire la voce, i piedi [o gambe], mani [o braccia], ano e genitali, che [rispettivamente] compiono le cinque azioni, vale a dire parlare, camminare, dare, defecare e godimento [sessuale], anche non sono 'Io'. I pañca vāyus [i cinque 'venti', 'arie vitali' o forze metaboliche], cominciando con prāṇa [respiro], che esegue le cinque funzioni [metaboliche], partendo dalla respirazione, anche non sono 'Io'. La mente, che pensa, anche non è 'Io'. L'ignoranza [l'assenza di tutta la conoscenza dualistica] che è combinata solo con viṣaya-vāsanās [caratteri, propensioni, tendenze, inclinazioni, impulsi, desideri, preferenza o predilezione a sperimentare gli oggetti di percezione sensoriale] quando tutte le viṣayas [percezioni sensoriali] e tutte le azioni sono cessate [come nel sonno], anche non è 'Io'. Avendo eliminato ogni cosa menzionata come non 'Io', non 'Io', l'aṟivu [conoscenza o consapevolezza] che resta in solitudine, solo è 'Io'. La natura di [questa] conoscenza ['Io sono'] è sat-cit-ananda [essere-consapevolezza-beatitudine]. Paragrafo Tre சவ அறிவி+, சவ ெதாழி+,? காரண மாகிய மன மட?கினா* ஜகதி"'H நீ?,க+பித . ஸ#ப ஞான ேபானா ெலாழிய அதி'டானரIஜு ஞான உ7டாகாத$ ேபால, க+பிதமான ஜகதி"'H நீ?கினா ெலாழிய அதி'டான ெசாப தசன 7டாகா$. Se la mente, che è la causa di tutta la conoscenza [oggettiva] e di tutta l'attività, cessa, jagaddṛṣṭi [la percezione del mondo] cesserà. Esattamente come la conoscenza della corda, che è la base [che costituisce il fondamento e supporta l'immaginaria apparenza di un serpente], non sorgerà a meno che cessi la conoscenza dell'immaginario serpente, svarūpa-darśana [la vera conoscenza empirica della nostra natura essenziale o sé reale], che è la base [che costituisce il fondamento e supporta l'immaginaria apparenza di questo mondo], non sorgerà a meno cessi che la percezione del mondo, che è un'immaginazione [o falsificazione]. Paragrafo Quattro மன ெமப$ ஆ%ம ெசாப%தி 4Jள ஓ அதிசய ச2திஅ$ சகல நிைனகைள@ . ேதா+-வி2கிற$நிைனகைள ெய*லா நீ2கி# பா2கிறேபா$ ., தனியாF மனெம ேறா ெபா"ளி*ைல; ஜகெமேறா ஆைகயா* ெபா"J நிைனேவ அனியமா மனதி ெசாபநிைனகைள% யி*ைல2க%தி* நிைனகளி*ைல< . தவி%$ ., ஜகமி*ைல; ஜா2ர ெசா#பன?களி* நிைனக1ள, ஜக உ78. சிலதி#Lசி எ#பH% தனிடமி"$ ெவளியி* Mைல M+- ம-பH@ தJ இO%$2 ெகாJ1கிறேதா, அ#பHேய மன தனிட%திலி"$ ஜக%ைத% ேதா+-வி%$ ம-பH@ தனிடேம ஒ82கி2ெகாJ1கிற$ . மன ஆ%ம ேதா-ேபா$ ெசாப%தினிெசாப ெவளி#ப8ேபா$ ேதாறா$; ெசாப ஜக ேதா-ஆைகயா* ேதா- ேபா$ ., ஜக (பிரகாசி2,) ஜக ேதாறா$ மனதி ெசாப%ைத விசா6%$2ெகா7ேட .ேபானா* தாேன மனமாF H@ . ‘தா’ எப$ ஆ%மெசாபேமமன எ#ேபா$ ஒ" &<ல%ைத . யச6%ேத நி+,; தனியாF நி*லா$மனேம STமசUர ெம- ஜீவ . ென- ெசா*ல#ப8கிற$. Ciò che è chiamata 'mente', è un atiśaya śakti [un potere straordinario o meraviglioso] che esiste in ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale]. Esso proietta [o causa l'apparenza di] tutti i pensieri. Quando si mettono da parte tutti i pensieri e si osserva, da sola non c'è una cosa come 'la mente'; quindi solo il pensiero è la svarūpa [la 'forma propria' o natura fondamentale] della mente. Eccetto i pensieri [o idee] non c'è indipendentemente una cosa come il 'mondo'. Nel sonno non ci sono pensieri, [e conseguentemente] anche non c'è mondo; nella veglia e nel sogno ci sono pensieri, [e conseguentemente] c'è anche un mondo. Esattamente come un ragno produce il filo della tela da sé stesso ed anche ritira il filo in sé stesso, così la mente proietta il mondo da sé stessa ed anche lo dissolve in sé stessa. Quando la mente esce da ātma-svarūpa, il mondo appare. Perciò quando il mondo appare, svarūpa [la nostra 'forma' o sé essenziale] non appare [come realmente è]; quando svarūpa appare (risplende) [come realmente è], il mondo non appare. Se si continua a investigare la natura della mente, solo il sé risulterà essere [ciò che ora appare come] la mente. Ciò che [qui] è chiamato 'sé' (tāṉ) è solo ātma-svarūpa. La mente si regge soltanto cercando sempre [attaccando sé stessa a] un oggetto grossolano [un corpo fisico]; da sola essa non si regge. La mente da sola è descritta come sūkṣma sarīra [il 'corpo sottile'] e come jīva [l' 'anima’ o sé individuale]. Paragrafo Cinque இத% ேதக%தி* நா எ- கிள3வ$ எ$ேவா அஃேத மனமாநாெனகிற . நிைன ேதக%தி* தலி* எதவிட%தி+ ேறா-கிற ெத- விசா6%தா*, C"தய%தி ெலெத6ய வ"நா .அ$ேவ மனதி பிற#பிட ., நா எ- க"தி2ெகா7H"தா4?Wட அXவிட%தி+ ெகா78ேபாF விY8வி8மனதி* . ேதா- நிைனக ெள*லாவ+றி+, நாென நிைனேவ த* நிைன. நிைன இ$ எOத பிறேக ஏைனய நிைனகJ எOகிறன . தைம ேதாறிய பிறேக னிைல பட2ைககJ ேதா-கிறன; தைம யிறி னிைல பட2ைகக ளிரா. Ciò che sorge in questo corpo come 'Io', questo solo è la mente. Se si investiga in quale punto nel corpo il pensiero chiamato 'Io' sorge inizialmente, si giungerà a conoscere che [esso sorge] nel cuore [il nucleo più interno del proprio essere]. Questo solo è il luogo di nascita della mente. Anche se si continua a pensare 'io, io', ciò condurrà in questo luogo. Di tutti i pensieri che appaiono [o sorgono] nella mente, il pensiero chiamato 'Io' solo è il pensiero primo [primario, basico, originale o causale]. Solo dopo che questo pensiero sorge, sorgono gli altri pensieri. Solo dopo che appare la prima persona, la seconda e la terza persona appaiono, senza la prima persona, la seconda e la terza persona non esistono. Paragrafo Sei நானா எ விசாரைணயினாேலேய மன மட?,; நானா எ நிைன ம+ற நிைனகைள ெய*லா மழி%$# பிண= 8 தHேபா* Hவி* தா மழி@பிற . ெவ7ண?க ெளOதா லவ+ைற# L%தி ப7Zவத+, எ%தனியாம* அைவ யா"2 ,7டாயின எவிசா62க ேவ78எ%தைன ெர7ண ேதா- எ7ண?க கிள3ேபாேத தநானா இ$ எ- ெளழி ெமன யா"2,7டாயி+- விசா6%தா* மன .? எ- ஜா2கிரைதயாF விசா6%தா* . பிற#பிட%தி+,% ஒXேவா என2ெக- தி"பிவி8; எOத ெவ7ண மட?கிவி8இ#பH# . பழக# பழக மன%தி+,% த பிற#பிட%தி+ ற?கி நி+, ச2தி யதிக62கிற$STமமான மன ., [ைள இதி6ய?கJ வாயிலாF ெவளி#ப8 ேபா$ &<லமான நாமப?கJ மைறகிறனமன%ைத ேதா-கிறன; ெவளிவிடாம* ஹி"தய%தி* ஹி"தய%தி* . த?,ேபா$ நாமப?கJ ைவ%$2ெகா7H"#பத+,%தா ‘அகக’ அ*ல$ ‘அதக’ எ- ெபய C"தய%திலி"$ ெவளிவி8வத+,%தா . ‘பகிக’ ெம- ெபய. இXவிதமாக மன C"தய%தி+ ற?கேவ, எ*லா நிைனக12, [லமான நா எப$ ேபாF எ#ெபாO$ Jள தா மா%திர விள?,நா . எ நிைன கி=சி%$ மி*லா விடேம ெசாபமா, அ$ேவ .‘ெமௗன’ ெமன#ப8இXவாமா வி"#பத+,%தா‘ஞான ஆமெசாப%தி* லயி2க தி"'H’ எ- ெபயைத ெசFவேத. அறி, பிற மா வி"#பதாவ$ க"%தறித*, 2கால மன% . . ணத*, <ர ேதச%தி* நட#பன வறித* ஆகிய இைவ ஞான தி"'H யாகமாYடா. Solo per [mezzo de] l'investigazione ‘chi sono io’ la mente cederà [si calmerà, diventerà immobile, scomparirà o cesserà di essere]; il pensiero ‘chi sono io’ [cioè, il desiderio di conoscere chi sono io e lo sforzo conseguente che si compie per esaminare se stessi], avendo distrutto tutti gli altri pensieri, esso stesso alla fine sarà distrutto come il bastone usato per bruciare un cadavere [un bastone che è usato per smuovere una pira funeraria e per garantire che il cadavere bruci completamente]. Se altri pensieri sorgono, senza cercare di completarli, è necessario investigare a chi sono venuti in mente. Per quanti pensieri sorgono, cosa [importa]? Non appena si presenta ogni pensiero, se si investiga in modo vigilante a chi esso viene in mente, sarà chiaro che la risposta sarà 'a me'. Così se si investiga ‘chi sono io?’, la mente ritornerà al proprio luogo di nascita [il più interno nucleo del proprio essere, che è la sorgente dalla quale essa è sorta]; [e poiché in tal modo ci si astiene dall'occuparci di ciò] il pensiero che è sorto anche cesserà. Quando si pratica e pratica in questo modo, il potere della mente di rimanere fermamente stabilita nel proprio luogo di nascita aumenterà [cioè, praticando ripetutamente il rivolgere l'attenzione verso il nostro puro essere, che è il luogo di nascita della nostra mente, l'abilità della mente stessa di rimanere come puro essere aumenterà]. Quando la mente sottile esce attraverso il portale del cervello e degli organi di senso, nomi e forme grossolane [i pensieri che costituiscono la mente e gli oggetti che costituiscono questo mondo] appaiono; quando essa rimane nel cuore [il centro del nostro essere], nomi e forme scompaiono. Il nome ‘ahamukham’ [guardare all'io o attenzione a sé] o ‘antarmukham’ [guardare all'interno, introspezione o introversione] [si riferisce] solo a [questo stato di] trattenere la mente nel cuore senza lasciarla andare all'esterno. Il nome ‘bahirmukham’ [guardare all'esterno o estroversione] [si riferisce] solo a [lo stato di] lasciare la mente andare all'esterno. Solo quando la mente rimane fermamente stabilita nel cuore in questo modo ciò che è chiamato 'io' [l'ego], che è la radice [base, fondamento o origine] di tutti i pensieri, se ne andrà [scomparirà o cesserà] e risplenderà solo il sé sempre esistente. Il luogo [spazio o stato] privo anche del minimo pensiero chiamato 'io' è svarūpa [la 'propria forma' o il sé essenziale]. Questo solo è chiamato ‘mauna’ [silenzio]. Il nome ‘jñāna-dṛṣṭi’ ['conoscenza-vedere', l'esperienza della vera conoscenza] si riferisce così solo a [lo stato di] solo essere. Essere soltanto (summā-v-iruppadu) significa solo fare sprofondare la mente in ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale]. Oltre a [questo stato di solo essere], conoscere i pensieri di altri, conoscere i tre tempi [passato, presente, futuro], e conoscere ciò che sta accadendo in luoghi distanti non può essere jñāna-dṛṣṭi. Paragrafo Sette யதா%தமா அதி+ @Jள$ ஆ%மெசாப க+பைனகJஇைவ [- ெமாேறஜக ஏககால%தி* ஜீவ ஈவரகJ ேதாறி ., சி#பியி* ெவJளிேபா* ஏககால%தி* . மைறகிறன . ெசாபேம ஜக; ெசாபேம நா; ெசாபேம ஈவர; எ*லா சிவ ெசாபமா. Quello che realmente esiste è solo ātma-svarūpa [il nostro sé essenziale]. Il mondo, l'anima e Dio sono kalpanaigaḷ [immaginazioni, costruzioni, creazioni mentali o sovrapposizioni illusorie] in esso, come l'argento [immaginario] [visto] in una conchiglia. Questi tre appaiono simultaneamente e scompaiono simultaneamente. Svarūpa [la nostra 'forma' o sé essenziale] solamente è il mondo, svarūpa solo è 'io' [la nostra mente, l'anima o sé individuale]; svarūpa solo è Dio; ogni cosa è śivasvarūpa [il nostro sé essenziale, che è śiva, l'assoluta e sola realtà realmente esistente]. Paragrafo Otto மன அட?,வத+, உபாய?களினா* மன மட?, விசாரைணைய% அட2கினா* மன தவிர ேவ- அட?கினா+ேபா பிராணாயாம%தா4; ஆனா* த,த உபாய?களி*ைலம+ற லி"$, ம-பH@ கிளபிவி8 பிராண னட?கியி"2, வைரயி* . . மன மட?கியி"$, பிராண ெவளி#ப8ேபா$ தா ெவளி#பY8 வாசைன வய%தா யைல@ . மன%தி+, பிராண2, பிற#பிட ெமாேறநாென .நிைனேவ மன%தி ெசாப . நிைனேவ மன%தி த* நிைன; அ$ேவ யக?காரஅக?கார ெம?கி"$ உ+ப%திேயா ., அ?கி"$தா [ கிள3கிற$ஆைகயா* மன மட?,ேபா$ . பிராண, பிராண னட?,ேபா$ மன மட?,. ஆனா* O%தியி* மன மட?கி யி"தேபாதி4 பிராண னட?கவி*ைலேதக%தி . பா$கா#பி நிமி%த ேதகமான$ ம6%$ விYடேதா ெவபிற ஐ@றாவ7ண சமாதியி4 மன இXவா- மட?,கிறேபா$ பெமன#ப8மரணகால வைரயி* ஈவர பிராண மன நியதியா* ஏ+பYH"2கிற$ஜா2கிர%தி4 னட?,கிற$. பிராணைன பிராண உடலி* மன%தி . &<ல . ைவ%$2ெகா7H"$, உட* ம62,? கால%தி* அதைன2 கவ$ெகா78 ேபாகிற$ஆைகயா* பிராணாயாம . மன%ைத யட2க சகாயமா,ேம யறி மேனாநாச= ெசFயா$. Per far cessare la mente [interamente e permanentemente], non ci sono mezzi adeguati oltre che vicāraṇā [investigazione di sé]. Se trattenuta con altri mezzi, la mente rimarrà come se fosse quietata, [ma] emergerà nuovamente. Anche per mezzo di prāṇāyāma [controllo del respiro], la mente si quieterà; tuttavia, [sebbene] la mente rimane controllata fino a che il respiro è controllato, quando il respiro emerge [o diviene manifesto] essa anche emerge e vaga sotto l'influenza delle [sue] vāsanās [disposizioni, inclinazioni, impulsi o desideri]. Il luogo di nascita sia della mente sia del prāṇa [il respiro e gli altri processi vitali] è uno. Solo il pensiero è svarūpa [la 'propria forma'] della mente. Solo il pensiero chiamato 'io' è il primo pensiero della mente; esso solo è l'ego. Da dove l'ego sorge, da lì ha origine anche il respiro. Quindi quando le mente si quieta anche il prāṇa [si quieta], [e] quando il prāṇa si quieta anche la mente si quieta. Tuttavia nel sonno, sebbene la mente si sia fermata, il respiro non si ferma. E' disposto così per ordine di Dio, allo scopo di proteggere il corpo, così che altre persone non si chiedano se il corpo è morto. Quando la mente si quieta nella veglia e nel samādhi [qualsiasi dei vari tipi di assorbimento mentale che risulta dallo yoga o altre forme di pratica spirituale], il prāṇa si quieta. Il prāṇa è detto essere la forma grossolana della mente. Fino al tempo della morte la mente mantiene il prāṇa nel corpo, e nel momento in cui il corpo muore essa [la mente] lo afferra e lo porta [il prāṇa] via. Quindi prāṇāyāma è semplicemente un aiuto per trattenere la mente, ma non determinerà manō-nāśa [l'annientamento della mente]. Nota del traduttore: le tre frasi che ho evidenziato in rosso in questo paragrafo non erano nell'originale versione di saggio scritta da Sri Ramana, ma furono inserite successivamente, o nella metà del 1930 o più tardi. Esse non erano nel saggio scritto a mano da Sri Ramana, che fu riprodotto in The Mountain Path, del Giugno 1993, da pagina 44 a pagina 47, neppure erano incluse nella versione saggio della prima edizione (1931) di _ ரமண M+றிரY8 (Śrī Ramaṇa Nūṯṟiraṭṭu, la sua collezione di opere in Tamil) né nelle edizioni del 1932 di trenta e ventotto domanderisposte. Non ho potuto trovarle in nessuna delle versioni pubblicate prima di quella che ho visto, o nei quaderni di appunti di Sivaprakasam Pillai. La prima edizione in cui le ho viste incluse fu quella del 1936 di ventotto domanderisposte, così furono probabilmente aggiunte prima in quella versione e successivamente in questa versione di saggio. Secondo i principali insegnamenti di Sri Ramana, il corpo e il mondo sono entrambi creazioni mentali, così essi sembrano esistere solo fino a che li sperimentiamo, e quindi essi non esistono quando la nostra mente è sprofondata nel sonno. Per coloro che sono disposti ad accettare questo insegnamento, l'idea che 'nel sonno, sebbene la mente sia quietata, il respiro non si ferma' non è un problema, perché se l'esistenza del corpo (e quindi della sua respirazione) è dipendente dall'attività della mente, è chiaro che nel sonno 'quando la mente si ferma anche il prāṇa [...] si ferma', come Sri Ramana ha indicato esplicitamente nella frase precedente. Quindi, se queste tre frasi inserite furono ciò che effettivamente Sri Ramana disse, lo fece presumibilmente come una concessione in risposta a qualcuno che non era in grado o non disposto ad accettare (anche a titolo di prova come una possibilità) il suo insegnamento che il corpo, il prāṇa, il mondo e ogni altra cosa sembrano esistere solo nella visione auto-illusa della mente, e quindi cessano di esistere quando la mente si ferma, come nel sonno senza sogni. Paragrafo Nove பிரணாயாம ேபாலேவ [%தி%தியான, மதிரஜப, ஆகார நியம ெமபைவக1 மன%ைத அட2, சகாய?கேள[%தி%தியான%தா4 யைடகிற$சதாசலி%$2 ெகா8%தா* அXயாைன ெச*4ேமா, அ#பHேய அ*ல$ ெகா7H"2, ப%தி+ எ#பH ., யாைன மதிரஜப%தா4 .யி ேவெறாைற@ ப+றாம சதாசலி%$2 ெகா7H"2, பழ2கினா* அைதேய ப+றி2 மன $தி2ைகயி* ஒ" லைதேய மன, அதைன ஏகா2கிர%ைத ச?கிலிைய2 ப+றி2 ஏேதா ெகா7H"2,மன ெகா78 ஒ" நாம அளவிறத . நிைனகளாF வி6கிறபHயா* ஒXெவா" நிைன அதிபலவனமாக# ீ ேபாகிற$நிைனக . ளட?க வட?க ஆ%மவிசார ஏகாககிர%தைம லபமாF யைட$, சி%தி2,எ*லா அதனா+ நியம?களி4= பல%ைத சிறத யைடத மித மன%தி+, ஸா%விக ஆகார . நியம%தா* மன%தி ச%வ ,ண வி"%தியாகி, ஆ%மவிசார%தி+, சகாய 7டாகிற$. Proprio come prāṇāyāma, mūrti-dhyāna [meditazione su una forma di Dio], mantra-japa [ripetizione di parole sacre come un nome di Dio] e āhāra-niyama [restrizione della dieta, in modo particolare la restrizione di consumare solo cibo vegetariano] sono solo aiuti che contengono la mente [ma non determineranno il suo annientamento]. Per mezzo sia di mūrti-dhyāna sia di mantra-japa la mente acquisisce acutezza [o concentrazione]. Proprio come se [qualcuno] porge una catena alla proboscide di un elefante, che è sempre in movimento [dondolando alla ricerca di qualcosa da afferrare], quell'elefante comincerà ad afferrare la catena senza più cercare di afferrare qualche altra cosa, così in effetti, la mente, che si muove continuamente [vagando nel pensare a una cosa o a un'altra], se addestrata ne [la pratica di pensare a] qualche nome o forma, si fermerà afferrando ciò [senza pensare inutilmente a qualcos'altro]. Poiché la mente sparge innumerevoli pensieri [disperdendo quindi la sua energia], a ogni pensiero essa s’indebolisce. Per la mente che ha raggiunto la concentrazione, quando i pensieri diminuiscono sempre di più [cioè, che ha ottenuto concentrazione a causa della progressiva riduzione dei suoi pensieri] e che ha perciò ottenuto forza, ātma-vicāra [che è lo stato di essere attenti a sé] sarà facilmente compiuta. Per mezzo di mita sāttvika āhāra-niyama [la restrizione di consumare solo una moderata quantità di cibo sattvico], che è la migliore tra tutte le restrizioni, il sattva-guṇa [la qualità dell'essere, calma e chiarezza] della mente aumenterà e [in tal modo] ne deriverà un aiuto per l’investigazione di sé. Paragrafo Dieci ெதா-ெதாY8 ேறாறி வ"கிற அைவயா விஷயவாசைனகJ ெசாப%யான அளவ+றனவாF2 கிளப2 கிளப கடலைலகJ ேபா+ அழி$வி8அ%தைன . வாசைனக1 ெமா8?கி, ெசாபமா%திரமா யி"2க H@மா ெவ சேதக நிைன2, மிட?ெகாடாம*, ெசாப%யான%ைத விடா#பிHயாF# பிH2க ேவ78ஒ"வ எXவள . பாபியாயி"தா4, ‘நா பாபியா யி"2கிேறேன! எ#பH2 கைட%ேதற# ேபாகிேற’ ெனேற?கி யO$ெகா7Hராம*, தா பாபி எ ெம7ண%ைத@ மறேவ ெயாழி%$ ெசாப%யான%தி a2க Jளவனாக வி"தா* அவ நிசயமா @"#ப8வா. Anche se viṣaya-vāsanās [inclinazioni o desideri di sperimentare cose altro da se stessi], che vengono da tempo immemorabile, sorgono [come pensieri] innumerevoli come onde dell'oceano, essi saranno tutti distrutti quando svarūpa-dhyāna [attenzione di sé] aumenterà sempre di più. Senza dare spazio al dubbio 'E' possibile dissolvere così tante vāsanās ed essere [o rimanere] solo come il sé?' è necessario aggrapparsi tenacemente all'attenzione di sé. Per quanto peccatore una persona possa essere, se invece di lamentarsi e strillare 'io sono un peccatore! Come posso essere salvato?' egli rifiuta completamente il pensiero di essere un peccatore ed è zelante [o risoluto] nell'attenzione di sé, egli sarà certamente rimesso sulla retta via [trasformato nella vera 'forma' dell'essere cosciente di sé e libero dal pensiero]. Paragrafo Undici மன%திக7 எ$வைரயி* விஷயவாசைனக ளி"2கிறனேவா, அ$வைரயி* நானா ெர விசாரைண@ ேவ78நிைனகJ அைவகைளெய*லா ேதாற% உ+ப%தி&தான%திேலேய ேதாற அ#ேபாைத2க#ேபாேத விசாரைணயா* நசி#பி2க . ேவ78. அனிய%ைத நாடாதி"%த* ைவரா2கிய அ*ல$ நிராைச; தைன விடாதி"%த* ஞான . %$2,ளி#ேபா தமிைடயி+ க*ைல2 .உ7ைமயி லிர78 ெமாேற கYH2ெகா78 [bகி2 கடலHயி+ கிைட2, %ைத எ#பH எ82கிறாகேளா, அ#பHேய ஒXெவா"வ ைவரா2கிய%$ட ெசாப%ைத அ$ெவாேற தJ யைட@ ேபா$. ளாb$ [bகி வைரயி* நிரதர ேகாYைட2,J வ$ெகா7ேட யி"#பாகJவர வர ஆ%ம%ைத ெசாப எதி6க அவகைள யைடயலா &மரைணைய2 1Jளவைரயி* .ெய*லா ஒ"வ தா . ைக#ப+-வானாயி அதிலி"$ ெவளிேய ெவYH2ெகா7ேட யி"தா* ேகாYைட ைகவச#ப8. Fino a che viṣaya-vāsanās esistono nella mente, l'investigazione 'chi sono io' è necessaria. Come e quando i pensieri sorgono, in quel momento è necessario annientarli per mezzo di vicāraṇā [investigazione o vigilante attenzione di sé] proprio nel luogo dove essi sorgono. Essere senza occuparsi di [qualsiasi cosa] altro [che sé stessi] è vairāgya [distacco] o nirāśā [essere senza desideri]; essere senza dimenticare [separarsi da o lasciarsi andare da] il sé è jana [vera conoscenza]. In verità [questi] due [essere senza desideri e vera conoscenza] sono solo uno. Proprio come un pescatore di perle, legandosi una pietra alla vita e immergendosi, raccoglie una perla che si trova sul fondo dell'oceano, così ogni persona, immergendosi [sotto l'attività di superficie della propria mente] e affondando [in profondità] all'interno di se stessa con vairāgya [libertà dal desiderio di sperimentare qualcosa oltre che il sé], può ottenere la perla del sé. Se ci si stringe fermamente all'ininterrotto svarūpa-smaraṇa [ricordo di sé] fino a che si ottiene svarūpa [il proprio sé essenziale], questo solo è [sarà] sufficiente. Fino a che i nemici sono dentro il forte, essi continueranno ad apparire da esso. Se [si] continua ad abbatterli [o distruggerli] tutti come e quando appaiono, il forte [infine] entrerà in [proprio] possesso. Paragrafo Dodici கட1 அXவாேற ," உ7ைமயி* ேவற*ல3லிவாயி+ ,"வின"Yபாைவயி+ பYடவகJ பYட$ அவரா* எXவா- . தி"பாேதா, ரAி2க#ப8வேர யறி ெயா"2கா4 ைகவிட#படா; எனி, ," காYHய வழி#பH தவறா$ நட2க ேவ78. Dio e guru in verità non sono differenti. Proprio come quella [preda] che è stata presa nelle fauci di una tigre non farà ritorno, nello stesso modo coloro che sono stati presi nello sguardo della grazia del guru saranno da lui sicuramente salvati e mai saranno abbandonati; nondimeno, è necessario [per essi] procedere [comportarsi o agire] infallibilmente secondo il sentiero che il guru ha mostrato. Paragrafo Tredici ஆமசிதைனைய% தவிர ேவ- சிதைன கிள3வத+, ச+- மிட?ெகாடாம* ஆ%மநி'டாபரனா யி"#பேத தைன ஈச2 களி#பதாஈசேப6* எXவள . பார%ைத# ேபாYடா4, பரேமவர அXவளைவ@ ச2தி அவ வகி%$2ெகாJ1கிறாசகல நட%தி2ெகா7H"கிறபHயா*, ெசFயேவ78; அ#பH ெசFயேவ78’ ெம- பார?கைள@ தா?கி2ெகா78 நா மத+ . கா6ய?கைள@ கட?கியிராம*, ஸதா சிதி#பேத? 3ைக ேபாவ$ ெத6தி"$, அதி நைடய சிறிய [Yைடைய@ மதி+ ேபாY8விY8 ‘இ#பH வ7H ேலறி2ெகா78 ஒ" சகல ேபா, நா கமா யிராம*, அைத நம$ தைலயி+ றா?கி2ெகா78 ஏ க'ட#படேவ78? Essere completamente assorbiti in ātma-niṣṭhā [dimorare nel sé, lo stato di solo essere come siamo realmente], non dando il minimo spazio al sorgere di qualsiasi pensiero oltre che ātma-cintana [contemplazione di sé, il 'pensiero' di sé, che è ciò che realmente siamo], è donare noi stessi a Dio. Anche se poniamo qualsiasi quantità di peso su Dio, quell'intera quantità sarà sopportata. Dato che una paramēśvara śakti [supremo potere dominante o potere di Dio] guida tutte le attività [cioè, dato che essa causa e controlla ogni cosa che accade in questo mondo], perché dovremmo pensare incessantemente, 'è [per me] necessario agire in questo modo; è [per me] necessario agire in quel modo', invece di essere [calmi, pacifici e felici] avendo arreso [noi stessi con il nostro intero carico] a quel [dominante potere supremo]? Sebbene sappiamo che il treno sta portando tutto il carico, perché viaggiando su di esso dovremmo patire portando il nostro modesto bagaglio sulla testa invece di restare felici lasciando il bagaglio posato sul [treno]? Paragrafo Quattordici கெமப$ ஆ%மாவி ெசாபேம; @Jள$; அ$ேவ *அைவகளிலி"$ ெவளியி* ஸ%யபிரப=ச#ெபா"J க கிைட#பதாக வ"ேபா$ $2க%ைத L%தியா,ேபாெத*லா யபவி2கிற$அ#பHேய கிைட2கிறேபா$, க ஆ%மெசாப ேவற-ஆ%ம க . ஒேற அ$ . நா நம$ கெமப$ சமாதி, ெபா"12, . கிைடயா$ அவிேவக%தா நிைன2கிேறாமன யபவி2கிற$. உ7ைமயி* தைடய யதா&தான%தி+,% <2க, ெவ-%த ஒறிலாவ$ [ைச நம$ தி"பி கால?களி4, ேக87டா, ேபா$, . . எ7ண?கJ ஆ%ம க%ைதேய இசி%த மன ெபா"J அதகமாகி ஆ%ம க%ைதேய யபவி2கிற$இ#பH மன ஆ%மாைவ விY8 ெவளிேய ேபாவ$ ., உJேள தி"3வ$மாக ஓFவிறி யைலகிற$.மர%தHயி* நிழ* கமா யி"2கிற$ . ெவளியி* S6யெவ#ப ெகா8ைமயா யி"2கிற$ெவளியி லைல@ ெமா"வ நிழலி+ . ெச- ,ளிசி யைடகிறாசிறி$ ம-பH@ ேநர%தி+,# மர%தH2, பி ெவளி2கிளபி வ"கிறா. இXவா- ெவயிலினி- நிழலி+ ெச*வ$மாயி"2கிறாஆனா* . ெவ#ப%தி ெகா8ைம2 நிழலினி- ெவயிலி+ ேபாவ$, ெசFகிறவ அவிேவகி . .இ#பH கா+றா$, விேவகிேயா நிழைலவிY8 நீ?காஅ#பHேய ஞானியி மன பிரம%ைத விY8 நீ?,வ . தி*ைலஆனா* அ=ஞானியி மனேமா பிரப=ச%தி 4ழ- $2க#ப8வ$ ., சிறி$ ேநர பிரம%தி+,% தி"பி க மைடவ$மா மைற@ேபா$ அதாவ$ நிைனவ+ற யி"2கிற$ஜக ேபா$ மன . ெமப$ நிைனேவஜக . ஆனத%ைத யபவி2கிற$; ஜக ேதா- ேபா$ அ$ $2க%ைத யபவி2கிற$. Ciò che è chiamata felicità è solo svarūpa [la 'propria forma' o natura essenziale] di ātmā [sé]; felicità e ātma-svarūpa non sono differenti. Solo Ātma-sukha [la felicità di sé] esiste; quello solo è reale. La felicità non è ottenuta da un qualsiasi oggetto del mondo. Noi pensiamo che la felicità sia ottenuta da essi a causa della nostra mancanza di discriminazione. Quando la [nostra] mente esce fuori, essa sperimenta infelicità. In verità, ogni volta che i nostri pensieri [o desideri] sono realizzati, essa [la nostra mente] torna indietro al suo giusto posto [il centro del nostro essere, il nostro sé reale, che è la sorgente da cui essa è sorta] e sperimenta solo la felicità di sé. Nello stesso modo, nel momento del sonno, del samādhi [uno stato di intensa contemplazione o assorbimento della mente], dello svenimento, quando una cosa desiderata è ottenuta, e quando accade la fine di una cosa non gradita [cioè, quando la nostra mente evita o è alleviata da esperienze che non gradisce], [la nostra] mente diviene introvertita e sperimenta solo la felicità di sé. In questo modo [la nostra] mente oscilla senza quiete, andando all'esterno e lasciando il sé, e [poi] tornando [indietro] all'interno. Ai piedi di un albero l'ombra è deliziosa. Fuori il calore del sole è gravoso. Una persona che vaga al di fuori si rinfresca andando all'ombra. Uscendo all'esterno dopo un breve tempo, egli non è in grado di sopportare il caldo, così nuovamente torna ai piedi dell'albero. In questo modo egli continua, andando dall'ombra al sole, e tornando [indietro] dal sole all'ombra. Una persona che agisce in questo modo manca di discriminazione. Ma una persona di discriminazione non lascerà l'ombra. In modo simile, la mente di uno jñāni [una persona di vera conoscenza di sé] non lascia brahman [la realtà fondamentale e assoluta, che è il nostro sé essenziale e l'unica sostanza di ogni cosa]. Ma la mente di un ajñāni [una persona mancante di vera conoscenza di sé] continua a sopportare la miseria girovagando nel mondo, e a ottenere la felicità tornando a brahman per un breve tempo. Ciò che è chiamato il mondo è solo pensiero [perché come il 'mondo' che noi sperimentiamo in un sogno, tutto ciò che sperimentiamo come il 'mondo' in questo stato di veglia non è altro che una serie di immagini mentali, idee o pensieri che abbiamo formato nella mente con il nostro potere di immaginazione]. Quando il mondo scompare, cioè, quando il pensiero cessa, [la nostra] mente sperimenta felicità; quando il mondo appare, essa sperimenta infelicità. Paragrafo Quindici இசா ஸ?க*ப ய%நமிறி ெயOத ஆதி%த சனிதி மா%திர%தி* காத2க* அ2கினிைய2 க2,வ$, தாமைர யலவ$, நீ வ+-வ$, உலேகா த%த? கா6ய?களி+ பிரவி"%தி%$ இய+றி யட?,வ$, காத%தி ஊசி ேச'H#ப$ ேபால ஸ?க*ப ரகிதராயி"2, ஈச சனிதான ,YபYட ஜீவகJ ஸஹித ர*ல; ெயாYடாத$, விேசஷ மா%திர%தா* நட2, த%த கமாசார ேச'H% தட?,கிறன ஒ" ஏைனய க"ம மவைர ச$Lத?களி %ெதாழி* ெயாYடா$அ$ அ*ல$ ப=சகி"%திய?கY .அறி, அவ ேலாகக"ம?கJ ,ணா,ண?கJ வியாபகமான ஸ?க*ப S6யைன . ஆகாய%ைத ெயாYடாத$ ேபா4. Proprio come nella semplice presenza del sole, che sorge senza icchā [richiesta, desiderio o preferenza], saṁkalpa [volizione o intento], [o] yatna [sforzo o esercizio], un cristallo [o lente di ingrandimento] trasmetterà fuoco, un loto fiorirà, l'acqua evaporerà, e le persone del mondo si impegneranno [o inizieranno] le loro rispettive attività, compiranno [queste attività] e si quieteranno [o cesseranno di essere attive], e [proprio come] di fronte a un magnete un ago si muoverà, [così] gli jīvas [esseri viventi], che sono catturati ne [lo stato limitato governato da] muttoṙil [la triplice funzione di Dio, vale a dire la creazione, il sostentamento e la dissoluzione del mondo] o pañcakṛtyas [le cinque funzioni di Dio, vale a dire creazione, sostentamento, dissoluzione, occultamento e grazia], che accadono a causa di null'altro che la speciale natura della presenza di Dio, si muovono [impegnano loro stessi, realizzano attività, compiono sforzi o si adoperano] e si quietano [cessano di essere attivi, divengono fermi o dormono] in accordo con i loro rispettivi karma [cioè, in accordo non solo con il loro prārabdha karma o destino, che li obbliga a compiere qualunque azione sia necessaria al fine di sperimentare tutte le cose piacevoli e non piacevoli che essi sono destinati a sperimentare, ma anche con le loro karma-vāsanās, le loro inclinazioni o impulsi a desiderare, pensare, parlare e agire in modi particolari, che li obbliga a compiere sforzi per sperimentare certe cose piacevoli che essi non sono destinati a sperimentare, e a evitare di sperimentare certe cose non piacevoli che essi sono destinati a sperimentare]. Nondimeno, egli [Dio] non è saṁkalpa sahitar [una persona connessa con o che possiede volizione o intenzione]; nessun karma si attacca a lui [cioè, egli non è legato o influenzato da alcun karma o azione]. Cioè come le azioni del mondo [le azioni che accadono qui sulla terra] non si attaccano a [o influenzano] il sole, e [come] le qualità e i difetti degli altri quattro elementi [terra, acqua, aria e fuoco] non si attaccano allo spazio onnipervadente. Paragrafo Sedici எMலி4 2தி யைடவத+, மன%ைத யட2க ேவ78ெம- ெசா*ல#பY 8JளபHயா*, மேனாநி2ரகேம M*களி Hவான க"%$ எ றறி$ெகா7ட பி3 M*கைள யளவிறி# பH#பதா+ பயனி*ைலமன%ைத யட2,வத+,% . தைன யாெர- விசா62க ேவ78ேம ய*லாம* எ#பH M*களி* விசா6#ப$? தைன% தைடய ஞான2க7ணா+றாேன யறிய ேவ78ராம தைன . ராமெனறறிய2 க7ணாH ேவ78மா? ‘தா’ ப=ச ேகாச?க12,J ளி"#ப$; M*கேளா அவ+றி+, ெவளியி லி"#பைவஆைகயா* ., ப=ச ேகாச?கைள@ நீ2கி விசா62க ேவ7Hய தைன M*களி* விசா6#ப$ வேண ீ பத%தி லி"2, . தா யாெரவிசா6%$ த யதா%த ெசாப%ைத% ெத6$ெகாJவேத 2திசதாகால மன%ைத ஆ%மாவி* ஸசிதானத ைவ%தி"#பத+,% பிரமமாக தா‘ஆ%மவிசார’ பாவி#ப$ .க+றைவ ெம- ெபய; யைன%ைத@ தியானேமா ஒ"கால%தி* . தைன மற2க ேவ7Hவ". Dato che in ogni testo [che spiega il mezzo con il quale possiamo sperimentare noi stessi come realmente siamo] è detto che per ottenere mukti [emancipazione spirituale, liberazione o salvezza] è necessario trattenere la mente, dopo aver conosciuto che manō-nigraha [tenere giù, tenere all'interno, trattenere, sottomettere o distruggere la mente] è il fondamentale proposito [o fine] di [tali] testi, non c'è beneficio [da essere ottenuto] studiando senza limiti [un infinito numero di] testi. Per trattenere la mente è necessario investigare se stessi [al fine di sperimentare] chi [si è realmente], [ma] invece [di fare così] come [si può sperimentare se stessi] investigando nei testi? E' necessario conoscere se stessi solo con il proprio occhio di jñāna [vera conoscenza, cioè, per mezzo della propria consapevolezza rivolta a sé stessi]. [Una persona chiamata] Raman ha bisogno di uno specchio per conoscere se stesso come Raman? Il 'Sé' è all'interno dei pañca-kōśas [i 'cinque involucri' che sembrano ricoprire e oscurare ciò che realmente siamo, vale a dire il nostro corpo fisico, il nostro prāṇa o processi vitali, la nostra mente, il nostro intelletto e l'apparente oscurità o ignoranza del sonno]; al contrario, i testi sono al di fuori di essi. Perciò investigare nei testi [sperando di essere in grado quindi di sperimentare] se stessi, ovvero chi è necessario investigare [con un'attenzione rivolta all'interno] avendo rimosso [accantonato, abbandonato o staccato] tutti i pañca-kōśas, è inutile [o infruttuoso]. Conoscere il proprio yathārtha svarūpa [il proprio sé reale o essere essenziale] investigando chi è [questo falso limitato] sé, che è in schiavitù [essendo obbligato all'interno degli immaginari confini della mente], è mukti [emancipazione]. Il nome 'ātma-vicāra’ [si riferisce] solo a [la pratica di] essere sempre [dimorare o rimanere] mantenendo la mente nell' [o sull'] ātmā [sé]; al contrario, dhyāna [meditazione] è immaginare se stessi essere sat-cit-ānanda brahman [la realtà assoluta, che è essere-consapevolezza-beatitudine]. A un certo punto diventerà necessario dimenticare tutto quello che è stato imparato. Paragrafo Diciassette ,#ைபைய2 WYH% தJளேவ7Hய ஒ"வ அைத யாராFவதா ெல#பH# பயனி*ைலேயா அ#பHேய தைன யறியேவ7Hய ஒ"வ தைன மைற%$ெகா7H"2, த%$வ?க ளைன%ைத@ ேச%$% தJளிவிடாம* அைவ இ%தைனெய- கண2கி8வதா4, அவ+றி ,ண?கைள ஆராFவதா4 பயனி*ைல. பிரப=ச%ைத ஒ" ெசா#பன%ைத#ேபா ெல7ணி2ெகாJள ேவ78. Proprio come una persona che dovendo spazzare e gettare la spazzatura [ricaverebbe] nessun beneficio analizzandola, così una persona dovendo conoscere se stesso [ricaverebbe] nessun beneficio calcolando che i tattvas, che stanno nascondendo il sé, sono così tanti, e analizzando le loro qualità, invece di respingerle tutte collettivamente. E' necessario [per noi] considerare il mondo [che è composto di questi tattvas] come un sogno. Paragrafo Diciotto ஜா2ர தீ2க, ெசா#பன Aணிக ெமப$ தவிர ேவ- ேபதமி*ைல. ஜா2ர%தி* நட2, விவகார?க ெள*லா உ7ைமயாகேவ ெசா#பன%தி* எXவள ெசா#பன%தி* மன உ7ைமயாக% நட2, ேவெறா" ேதா-கிறனேவா விவகார?க1 அ2கால%தி+ ேதக%ைத அXவள ேறா-கிறன ெய8%$2ெகாJ1கிற$ஜா2ர ெசா#பன . . H4 நமிர7◌ிைனக1 நாமப?க1 ஏககால%தி* நிகbகிறன. Eccetto che la veglia è dīrgha [durevole a lungo] e il sogno è kṣaṇika [momentaneo o durevole solo per un breve periodo], non c'è altra differenza [tra questi due stati creati dalla mente]. Nella misura in cui tutti i vyavāhāras [fare, attività, affari o avvenimenti] che accadono nella veglia sembrano [in questo momento presente] essere reali, nella [stessa] misura anche i vyavāhāras che accadono in sogno sembrano in quel momento essere reali. Nel sogno la mente prende un altro corpo [essere se stesso]. Sia nella veglia sia nel sogno i pensieri, i nomi e le forme [gli oggetti dell'apparente mondo esterno] avvengono in un momento [cioè, simultaneamente]. Paragrafo Diciannove ந*ல மன வாசைனகேள ெம- ப ெகYட ெம- மன அ ப ெமெம- மிர78 மன?களி*ைல.மன மிர78விதமன பவாசைன ெமாேற . வய%தாF . நி+,ேபா$ ந*ல மன ெம-, அ பவாசைன வய%தாF நி+,ேபா$ ெகYடமன ெம- ெசா*ல#ப8ைளபிற எXவள ெகYடவகளாF% ேதாறி அவக . ெவ-%தலாகா$ . பிரப=ச .வி"#3 ெவ-#3க ளிர78 ெவ-2க% த2கன விஷய?களி லதிகமாF மன%ைத விட2 Wடா$சா%தியமானவைரயி* ., அனிய கா6ய%தி+ பிரேவசி2க2 Wடா$பிற"2 . ெகா"வ ெகா8#ப ெத*லா தன2ேக ெகா8%$2ெகாJ1கிறா* இX 7ைமைய யறிதா . எவதா ெகாடா ெதாழிவா? Non ci sono due [tipi di] menti, vale a dire un buon [tipo di] mente e un cattivo [tipo di] mente. La mente è solo una. Solo le vāsanās [temperamenti, propensioni o impulsi] sono di due generi, cioè śubha [buona o gradevole] e aśubha [cattiva o sgradevole]. Quando la mente [di una persona] è sotto l'influenza di śubha-vāsanās [propensioni gradevoli] è detta essere una buona mente, e quando è sotto l'influenza di aśubha-vāsanās [propensioni sgradevoli] una mente cattiva. Per quanto cattive altre persone possano apparire, provare antipatia verso di essi non è opportuno [o appropriato]. Piaceri e avversioni sono entrambi adatti da ripudiare [o rinunciare]. Non è opportuno lasciare [la propria] mente [soffermarsi] troppo sulle questioni del mondo. Per quanto è possibile, non è opportuno entrare nelle faccende di altre persone [un idiomatico modo di dire che dovremmo occuparci dei nostri affari e non interferire negli affari di altre persone]. Tutto ciò che si da agli altri lo si da solo a sé stessi. Se [tutti] conoscessero questa verità, chi davvero si rifiuterebbe di dare? Paragrafo Venti தாெனOதா* தாb$ சகல நட2கிேறாேமா ெமO; தானட?கினா* அXவள2கXவள சகல மட?,. எXவள2ெகXவள நைம@78. மன%ைத யட2கி2ெகா7 H"தா*, எ?ேக யி"தா4 மி"2கலா. Se il se stesso [l'ego o mente] sorge, ogni cosa sorge; se il se stesso sprofonda [o cessa], ogni cosa sprofonda [o cessa]. Nella misura in cui ci comportiamo umilmente, nella stessa misura c'è bontà [o virtù]. Se [noi] stiamo contenendo [tenendo a freno, soggiogando, concentrando, contraendo o riducendo] la mente, ovunque [noi] possiamo essere [noi] possiamo essere [o, ovunque noi possiamo essere siamo]. Traduzione Inlgese dal Tamil di Michael James Nāṉ Yār? (Who am I?) http://www.happinessofbeing.com/ http://happinessofbeing.blogspot.it/