EDIZIONE MENSILE N. 4 DELLA RIVISTA DELLA FONDAZIONE CRISTOFORO COLOMBO PER LE LIBERTÀ Un nuovo Ice per esportare l’Italia di Claudio Scajola L
e nostre esportazioni valgono circa 300 miliardi l'anno, il 25 per cento circa del Pil nazionale e sono l'unica grandezza economica tornata ai li‐
velli pre‐crisi, con un aumento del 16 per cento circa ri‐
spetto all'anno passato. Sono una leva essenziale per riportare l'Italia su un sentiero di sviluppo, bilanciando, almeno in parte, la stagnazione della domanda interna e l'effetto recessivo che le manovre di quest'anno, pur in‐
dispensabili, avranno fatalmente sui consumi degli italia‐
ni. È vero che anche le economie di Brasile, Russia, India e Cina (i famosi Bric) stanno sperimentando un certo ral‐
lentamento. Ma è altrettanto vero che il Made in Italy e Italian style si confermano come il vero "oggetto del de‐
siderio" dei milioni di consumatori che ogni anno entra‐
no nel circuito del benessere in tutti i Continenti. Alla luce di queste valutazioni è apparso del tutto irrazio‐
nale lo scioglimento dell'Istituto del commercio estero deciso improvvisamente in virtù di una riduzione di costi ed è oggi del tutto condivisibile pensare a un "nuovo Ice" che accompagni le imprese, anche le più' piccole, sui mercati mondiali. Intendiamoci, il "vecchio Ice" non era esente da difetti: troppi dipendenti in Italia, errata distribuzione delle sedi estere, rapporti non organici con le ambasciate, le Regio‐
ni, le Camere di commercio e gli altri enti per l'interna‐
zionalizzazione come Sace e Simest. E, proprio per questo, la Legge Sviluppo da me predispo‐
sta e approvata dal parlamento nell'agosto 2009 aveva Nel
numero di Dicembre
Un nuovo Ice per esportare l’Italia
di Claudio Scajola
Luci e ombre della terapia Monti
di Salvatore Zecchini
Ora aspettiamo misure per la crescita
PDL, una centralità a portata di mano
di Andrea Camaiora
L’interventismo di Napolitano tocchi la Magistratura
di Sebastiano Sorbello
Europa: questione di classe dirigente!
di Giovanni Calabresi
Roberto Saviano, débâcle di un guru
di Carlo Sacchetti
L’ignoranza ideologica del linguista Simone
Il Belgio si aggrappa all’uomo col farfallino
di Fabrizio Anselmo
Si avvicina Natale, qualche contenuto in regalo
Midnight in Paris, nostalgia dei tempi andati
di Silvana Murgia
Mille battute 1
«Vivere da grandi»
Mille battute 2
«Borges e Camilla. Gatti, amori e altri disastri»
Benigni, senza Berlusconi non fa ridere più nessuno
Caravella è una testata giornalistica iscritta al tribunale di Roma, N° 235 del 26 luglio 2011 - Editore: Fondazione Cristoforo
Colombo per le libertà – Presidente: Claudio Scajola – Segretario generale: Paolo Russo - Direttore: Andrea Camaiora
- Stampa: CRD Camera dei Deputati
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avviato una profonda ristrutturazione dell’ente, rifor‐
ma strozzata nella culla dallo scioglimento, che ha affidato alle ambasciate gli uffici esteri. Ora si tratta di recuperare, seguendo le indicazioni della Legge Sviluppo: un nuova Ice "cabina di regia" dell'internazionalizzazione del Paese, con la collabora‐
zione di Stato, Regioni, Camere di commercio, impre‐
se, che sappia selezionare gli interventi promozionali e sia in grado di fornire al sistema produttivo una con‐
sulenza di alto livello. Basta guardare quel che fanno i nostri vicini: la Fran‐
cia nell'alimentare e la Germania, che ha appena ta‐
gliato il traguardo dei mille miliardi di esportazioni. Certamente puntare sull’internazionalizzazione dell’I‐
talia significa fare squadra. Anche nel recente passato abbiamo saputo dare buona prova creando una siner‐
gia positiva ed efficace tra Ice, ministero per lo Svilup‐
po economico e ministero degli Esteri. Viviamo ormai in una società globale e ad essa dobbiamo conforma‐
re i nostri comportamenti e le nostre strategie. La crisi economica mondiale che si è ripercossa sull’I‐
talia non ha minimamente intaccato l’aspirazione di molti popoli a mangiare, a bere, a vestire italiano. Ma non solo questo: le nostre aziende producono ancora prodotti di eccellenza in molti settori industriali. Oc‐
corre uno sforzo di sistema per supportare queste meraviglie. seguenza di un disavanzo, seppur ridotto rispetto a quest’anno, che è reso possibile solo dalla copertura fornita dalla BCE e dalla speranza che con l’austera te‐
rapia varata giorni or sono si riesca a convincere i fi‐
nanziatori privati a riaprire il rubinetto del credito. Quindi conquistarsi la fiducia della BCE e dei mercati finanziari è cruciale per il Paese per sfuggire alla banca‐
rotta. In una situazione di emergenza come l’attuale solo su questo criterio è legittimo valutare la bontà dell’azione intrapresa dal Governo. E su questa base va riconosciu‐
to senza esitazioni che gli ultimi provvedimenti vanno nel senso giusto, sono necessari e serviranno ad evita‐
re il baratro dell’insolvenza. In particolare, si sono adottate correzioni al bilancio di portata permanente, si è completata la riforma previ‐
denziale tagliando la progressione della spesa, si è po‐
sto un freno ai trasferimenti di risorse a Regioni, Co‐
muni ed altri enti pubblici, si è aggiornata la tassazione del patrimonio immobiliare, si sono riavviati gli investi‐
menti in infrastrutture, si è iniziato a liberalizzare la concorrenza in settori protetti, si è dato sostegno alle imprese sui fronti del costo del lavoro e dell’accesso al credito, si è usata abbastanza equità nei sacrifici. Tuttavia, dato atto di tanto, il Paese non si può illudere di aver fatto abbastanza; piuttosto, deve essere consa‐
pevole che molto di più deve ancora fare e che va fatto da tutti, sia che i sindacati lo comprendano o no, per‐
Luci e ombre della terapia Monti di Salvatore Zecchini * Q
uando un soggetto indebitato fino al collo e con i bilanci in rosso non trova più finanziatori disposti a concedergli altre risorse, non gli ri‐
mane altra scelta che tornare a vivere entro i mezzi che riesce a generare o col suo lavoro, o vendendo beni di cui dispone. È una realtà inesorabile a cui non sfugge nessuno. Non può decidere semplicemente di fermare il rapporto tra debito accumulato e disponibilità, o tra debito e reddi‐
to, perché si trova ormai nell’impossibilità di aggiunge‐
re nuovo debito. Deve piuttosto ridurre tout court l’‐
ammontare stesso del debito, o cominciando a rimbor‐
sarlo, o dichiarando l’insolvenza. A questa condizione si è avvicinata attualmente anche l’Italia, dopo avere accumulato un debito stimato que‐
st’anno attorno al 120% del PIL. Una cruda realtà che stenta a penetrare nella testa di gran parte degli italia‐
ni e che neanche l’attuale governo “tecnico” sembra voler immediatamente accettare e spiegare in tutta la sua crudezza al Paese. In effetti, anche il prossimo an‐
no il debito pubblico tenderà ad aumentare come con‐
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ché il problema è così immane che solo con l’apporto di tutti, senza eccezioni ed in equa misura, si può uscir‐
ne. Il Governo per la sua parte è chiamato ad ogni mo‐
do a fare ordine nella sua strategia economico‐
finanziaria. Si avverte in particolare il bisogno di ricomporre tutti gli interventi attuati o in cantiere in un quadro più or‐
ganico, chiarendo quale è la scala di priorità tra le esi‐
genze, quale la sequenza degli interventi, i tempi d’im‐
patto, la coerenza tra le diverse azioni e verso quale assetto economico si marcia. A tal fine può essere utile riflettere su alcuni punti. Troppi gli obiettivi messi a fuoco nel primo round della terapia, mentre sarebbe meglio concentrarsi sulle più urgenti priorità, abbandonando le diffuse illusioni che si possa tagliare il deficit pubblico e rilanciare la cresci‐
ta economica al tempo stesso. L’esperienza internazionale conferma che solo in un contesto internazionale estremamente favorevole e con il deprezzamento del valore esterno della moneta si possono coniugare i due termini in un orizzonte di un paio di anni, ma nessuna delle due condizioni è al mo‐
mento ipotizzabile per l’Italia. L’euro debole e la sten‐
tata ripresa degli USA potrebbero attenuare, non inver‐
tire l’effetto depressivo sulla crescita che avrà la corre‐
zione dei conti pubblici. Dovendo puntare su poche priorità essenziali, la scelta dovrebbe cadere sui tre obiettivi più importanti. Primo, mantenere il debito pubblico nel 2012 entro il livello nominale raggiunto a fine 2011, il che implica rinnova‐
re solo il debito in scadenza senza aggiungerne altro, costi quel che costi. Quale miglior prova di questa per riottenere la fiducia dei mercati? Secondo, avviare un’azione risoluta di riduzione della spesa pubblica, già troppo elevata (51% PIL) in rappor‐
to ai servizi che il cittadino ne trae, correggendo la di‐
storsione della terapia Monti, che poggia per due terzi su prelievi, portando la pressione fiscale al picco del 45% del PIL. Ad esempio, i tagli dei trasferimenti statali agli enti sul territorio non si traducono in minore spesa, perché in assenza di incrementi di efficienza e produttività, sa‐
ranno compensati da aggravi fiscali a livello locale. Ad essi si sommano tariffe più care per servizi pubblici ed assistenza sanitaria. Si aggrava, inoltre, la tassazione sulla ricchezza finan‐
ziaria, quando invece bisognerebbe elevare la propen‐
sione al risparmio e all’acquisto di titoli. Per altro verso, non si incide sulla spesa sanitaria, che cresce a dismisura ed è costellata da malversazioni. Ridurre la spesa è invece necessario per abbassare sia il debito, sia la tassazione, che oggi si colloca al di sopra della media euro. Al tempo stesso manca un vincolo a dismettere parti consistenti del patrimonio pubblico, quando questi proventi potrebbero rappresentare il mezzo per abbat‐
tere una quota consistente del debito, senza dover ri‐
correre a nuove imposte o tariffe, deleterie per il po‐
tenziale di crescita economica. Terzo, occorre sin d’ora porre le premesse per un nuo‐
vo modello di crescita, puntando risolutamente su un salto di competitività di costo, d’innovazione e di reddi‐
tività delle imprese. L’alleggerimento previsto dell’IRAP è ancora troppo tenue per incidere sul costo del lavoro, né vi sono sti‐
moli forti all’avanzamento della produttività e dell’in‐
novazione. Le liberalizzazioni appaiono più sulla carta che sul ter‐
reno e le resistenze ne postergano ancora l’attuazione. Ad esempio, nonostante il decreto Monti, i tassisti ro‐
mani hanno ottenuto un’esenzione dalla liberalizzazio‐
ne della concorrenza. Parimenti, i trasporti locali restano imbrigliati nelle a‐
ziende pubbliche, gli autotrasportatori sono messi al riparo delle maggiorazioni delle accise sui carburanti e alla scure sui privilegi sembrano già sfuggire molti. Se non si spezzano tutti questi interessi corporativi senza distinzione, ben difficilmente si potrà ricreare quel cli‐
ma nuovo di cui il Paese, la società e l’economia hanno bisogno per uscire dal declino. Ma non disperiamo: aspettiamo fiduciosi i prossimi rounds di misure per capire se il Paese avanza sulla ret‐
ta via, o sta tornando alle vecchie politiche fallimentari. *Docente di Politica Economica Internazionale Università di Roma Tor Vergata 3
Passera ha detto di aver trovato i progetti pronti: e so‐
no i nostri progetti. Vanno aperti dunque i cantieri. Quanto al mercato del lavoro, è anch’esso un provvedi‐
mento già messo a punto dal governo Berlusconi, all’‐
articolo 8 della manovra di agosto, e confermato nella legge di stabilità. Senza questi due passaggi l’Italia potrà forse blindare il bilancio nei prossimi due anni, ma rischia di andare in recessione. Non si vive certo di solo tasse: occorre dare ai cittadini e soprattutto ai giovani prospettive certe. Noi abbiamo lasciato un indice di disoccupazione poco sopra l’8%, due punti meno della media europea. Sta ora al governo Monti migliorare queste performan‐
ce. Tassare è facile; far ripartire il Paese molto più im‐
pegnativo. Benché tecnico, il governo può contare in questo sul nostro appoggio leale e convinto, in Parla‐
mento e nel Paese. Ora aspettiamo misure per la crescita P
rese le misure di cassa – peraltro rese possibili dalle altre manovre del centrodestra (373 mi‐
liardi dal 2008, compresi gli effetti da qui al 2014; 77 dei quali sono con i decreti di luglio e agosto e la legge di stabilità) – ora ci aspettiamo le promesse misure di crescita e sviluppo. Le stesse del resto su cui il governo Berlusconi si era impegnato con la Bce e con l’Unione europea: al primo punto la riforma del mercato del lavoro, con flessibilità in uscita per maggiori garanzie ai giovani in entrata; e congiuntamente il rilancio delle infrastrutture e della semplificazione burocratica. La nostra attesa non è critica, ma vigile e fiduciosa. Questo governo, non avendo vincoli di partito, può agi‐
re in libertà. Dunque lo faccia. Il piano infrastrutture è già fatto, il ministro Corrado za nel futuro. Ciò è accaduto perché alla fine Berlusconi ha ascoltato queste campane, che suonavano il rintoc‐
co magari sgradito, ma sicuramente schietto, amico e leale di chi non parla avendo la volpe sotto l’ascella, ma cerca di consigliare per il meglio. Rispetto ad un mese fa la situazione è completamente ribaltata: Casini – che aveva chiuso tutte le porte – ra‐
giona ora su quel che accadrà da qui a fine legislatura, mentre Bersani, che giocava al tiro al piccione dalla facile poltrona di oppositore, fa adesso i conti con i provvedimenti concreti, i problemi seri e le grane con la Cgil. Questo quadro spiega le ragioni per le quali il Pdl, dopo le dimissioni del governo, non è stato relegato ai margi‐
ni della scena politica, come molti probabilmente si auguravano. In primo luogo, non è accaduto questa volta il fenome‐
no che si era registrato con il governo Dini, che era di fatto divenuto un governo della sinistra, complice il Pdl, una centralità a portata di mano di Andrea Camaiora I
l Pdl sembra aver riconquistato una certa centrali‐
tà politica sia nel Ppe, come si è visto a Marsiglia, sia nei confronti del governo tecnico di Monti. Ciò è frutto della validità della scelta di sostenere il nuovo governo – sostenuta con forza da Claudio Scajola e da un nutrito gruppo di deputati e senatori, ma soprattut‐
to dal senso di responsabilità dimostrato dal Presidente Berlusconi. Il nuovo profilo politico di Berlusconi, inoltre, privo di risentimenti e ispirato unicamente al bene dell’Italia, è apprezzato e piace alla gente. Anche il nuovo corso del Pdl, impersonato da Angelino Alfano, ha successo e rappresenta un motivo di speran‐
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ruolo del Presidente Scalfaro. Se poi qualcuno, anche tra i nostri amici, se la prende per qualche complimen‐
to o apertura di credito nei confronti di un governo sostenuto dal nostro partito, pazienza. Siamo abituati a ben altro. Oggi la maggioranza che sostiene il governo Monti è rappresentata dal Pdl, dal Pd e dal Terzo polo, senza che nessuno prevalga né dal punto di vista politico né da quello dei contenuti dell’azione del governo. Domani, come si suole dire, chi ha più filo da tessere, tesserà. L’interventismo di Napolitano tocchi anche la Giustizia Di Sebastiano Sorbello* N
on vi è dubbio che Napolitano, dall’inizio del suo mandato, abbia esercitato le prerogative presidenziali, ben al di là di quanto previsto dalla Costituzione formale. Innumerevoli e consistenti, infatti, sono stati i suoi interventi spesso apprezzati e condivisi, che hanno toccato l’azione di governo, l’attivi‐
tà parlamentare, i rapporti fra maggioranza ed opposi‐
zione, la politica estera, il sociale e, soprattutto, l’econo‐
mia fino a diventare garante nei confronti di alcuni Paesi dell’Eurozona e degli Stati Uniti rispetto al raggiungi‐
mento degli obiettivi del risanamento del debito e della crescita economica. Siamo in presenza, indubbiamente, di un ruolo di sup‐
plenza della classe politica: materia per costituzionalisti, in questi giorni. Tale interventismo, che ha dilatato gli spazi della Costituzione materiale, si è però fermato sul‐
l’uscio della Giustizia. Certo, non sono mancati, nei con‐
fronti di P.M. e Giudici, richiami ed esortazioni per un più corretto esercizio dei loro ruoli, nel rispetto delle sfere di competenza degli altri Poteri dello Stato. Tutti questi appelli, però, sono caduti nel vuoto. Lo stes‐
so codice deontologico per i magistrati, recentemente invocato dal Presidente della Repubblica, rischia di risol‐
versi in un surrogato o, peggio, in un palliativo. L’espe‐
rienza, infatti, dimostra come i codici deontologici previ‐
sti da alcuni ordini professionali, in quanto costituiti da un coacervo di generici e fumosi principi, siano solita‐
mente rimasti, di fatto, disapplicati. Ci vuole ben altro. Ecco perché ci si aspettava e ci si aspetta dal Capo dello Stato qualcosa di più significativo ed incisivo. Anche la sua veste di Presidente del C.S.M. legittimerebbe ancor più il suo interventismo anche su questo terreno. Si deve partire da una realistica constatazione: normalmente, gli illeciti, sia di natura penale che disciplinare, ascritti ai magistrati sono rimasti (e rimangono) non puniti. È dun‐
que urgente una tipicizzazione normativa degli illeciti disciplinari, con relative sanzioni; non solo: la valutazio‐
ne degli stessi deve essere rimessa ad un organo discipli‐
nare esterno al C.S.M.. Ancor più indifferibile è un intervento legislativo in tema di responsabilità civile dei magistrati, in ottemperanza all’ennesimo (recente) richiamo della Corte europea di Giustizia, che si è soffermata sui danni prodotti ai citta‐
dini dalla violazione delle norme comunitarie. Tale re‐
sponsabilità non può essere più limitata alle sole ipotesi di dolo e colpa grave. I magistrati debbono, comunque, rispondere dei loro illeciti comportamenti e degli errori commessi. Ai cittadini dev’essere assicurata piena tute‐
la. Per la verità, anche sul terreno giudiziario il Capo dello Stato ha fatto pesare il suo interventismo, quando ha fatto trapelare il suo (peraltro, comprensibile) dissenso in ordine ad alcuni provvedimenti d’iniziativa governati‐
va in materia di intercettazioni telefoniche e di durata (breve o lunga) dei processi. In effetti, si trattava di in‐
terventi settoriali (sganciati del tutto da una visione or‐
ganica di riforma della Giustizia), che rischiavano di inde‐
bolire la risposta dello Stato al crimine organizzato. D’altra parte, va considerato che la tesi di Berlusconi di essere delegittimato dall’azione politicizzata di certe Procure non era del tutto infondata. In realtà, molte di queste iniziative giudiziarie sono state contrassegnate da varie (e talvolta gravi) anomalie sostanziali e proces‐
suali, che si sono innervate in perversi circuiti mediatici‐
giudiziari. I reiterati sconfinamenti nelle sfere degli altri Poteri, operati da alcuni P.M. nella debolezza degli altri Poteri dello Stato. E diventa, dunque, interessante chie‐
dersi se l’interventismo di Napolitano possa fare rientra‐
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(spesso, con una tempistica ad horologeria) condizion‐
ano pesantemente, da tempo, la vita politica ed istituzi‐
onale del Paese. È casuale, ad esempio, che a seguito delle dimissioni da premier di Berlusconi sia percepibile una minore pressione giudiziaria nei suoi confronti? E che dire, poi, della discutibile nomina del giudice Grisolia a capo‐gabinetto del ministro di Giustizia Severino: la propensione di molti magistrati a costruirsi un’immagine politica è tanto forte da prevalere, come in questo caso, sul conseguente «azzeramento» di un deli‐
catissimo processo di mafia, con il concreto rischio di rimettere in libertà, per decorrenza dei termini, peri‐
colosi criminali. A ciò si aggiunge un’abnorme dilatazi‐
one del ruolo del C.S.M. con la deprecabile prassi di es‐
primere pareri (che finiscono con il diventare giudizi di valenza politica) su ogni progetto di riforma che Gov‐
erno e Parlamento si apprestano a varare. Tale prassi – è bene precisarlo – non è radicata in alcuna legge, ma trova fondamento in regolamenti interni all’organo di autogoverno della Magistratura.Ciò non può essere accettato. Soltanto una legge può prevedere quando e come possono essere richiesti pareri esclu‐
sivamente tecnici al C.S.M. dal Governo o dal Parla‐
mento. Al Presidente della Repubblica, quale garante dell’equilibrio fra i Poteri dello Stato, non può sfuggire che tali anomalie non sono episodiche e casuali, ma ri‐
conducibili ad un forte sbilanciamento dell’equilibrio stesso in favore dell’Ordine giudiziario. La radice di questa distorsione istituzionale va ravvisata da molti studiosi nella costante espansione del potere di supplenza conferito ai giudici da una legislazione sem‐
pre più lacunosa e compromissoria. E’ davvero singolare che Capo dello Stato e Magistratura si trovino, in questo momento, ad esercitare distinti ruoli di supplenza, che hanno, però, una radice comune nella debolezza degli altri Poteri dello Stato. E diventa, dunque, interessante chiedersi se l’interventi‐
smo di Napolitano possa fare rientrare nei ranghi i giudici politicizzati. Penso che ciò sia possibile attraverso un’incisiva azione di impulso e di indirizzo che il Presi‐
dente della Repubblica può svolgere nei riguardi del Par‐
lamento e del Governo per l’attuazione di un grande progetto di riforma della Giustizia.Ci troviamo di fronte ad una vera e propria emergenza. Tanti e importanti sono i nodi da sciogliere. Innanzi tutto, non è più accet‐
tabile la durata biblica dei processi civili e penali, nonostante i reiterati richiami e condanne, rispettiva‐ mente, della Comunità europea e della Corte europea 6
di Giustizia. Non sono più tollerabili la grave lesione dei diritti individuali e la produzione di ingenti danni al tes‐
suto economico del Paese. Servono immediatamente procedure razionali, semplificate ed agili, che assicurino una rapida risposta alla diffusa domanda di giustizia della società civile; sul fronte penale va garantita la certezza della pena, evitando che molti (e spesso gravi) reati vadano in prescrizione. È una priorità assoluta, poi, affidare ad una valutazione collegiale l’adozione delle misure restrittive o invasive (quali le intercettazioni telefoniche/ambientali) della libertà personale. Servono immediatamente procedure razionali, semplificate ed agili, che assicurino una rapida risposta alla diffusa domanda di giustizia della società civile; sul fronte penale, in particolare, va garantita la certezza della pena, evitando che molti (e spesso gravi) reati vadano in prescrizione. E’ una priorità assoluta, poi, affidare ad una valutazione collegiale l’adozione delle misure restrittive o invasive (quali le intercettazi‐
oni telefoniche/ambientali) della libertà personale. È una priorità assoluta, poi, affidare ad una valutazione collegiale l’adozione delle misure restrittive o invasive (quali le intercettazioni telefoniche/ambientali) della libertà personale. E’ evidente che nuovi modelli proces‐
suali siano finalizzati all’applicazione di norme sostan‐
ziali, civili e penali, conformi alle esigenze di una società in continua evoluzione sul piano socio‐economico. L’obi‐
ettivo di una Giustizia moderna può essere raggiunto anche con un ottimale impiego delle risorse umane e materiali. Non è vero che vi sia carenza dei magistrati; vi è soltanto una pessima distribuzione degli stessi in forza di un’ottocentesca mappa giudiziaria. È urgente, quindi, modificare tale mappa secondo le varie esigenze territo‐
riali, ma con una drastica riduzione delle sedi giudiziarie. Non meno importante è trovare adeguate garanzie nor‐
mative per migliorare professionalità e produttività dei magistrati, scese, oggi, a preoccupanti livelli di medioc‐
rità. Inoltre, l’introduzione di un efficace sistema di san‐
zioni alternative alla reclusione ed un consistente ade‐
guamento dell’edilizia carceraria debbono, al più presto, evitarci l’attuale, disumano sovraffollamento delle car‐
ceri. Tutte queste riforme ed altre ancora possono oggi giungere a buon fine, considerato che l’attuale governo tecnico è in grado di promuovere ampie convergenze parlamentari. *Magistrato E da questo
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la Bussola di Claudio Scajola
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Rotta per l’Italia:
la rubrica dedicata alle rappresentanze
diplomatiche straniere in Italia
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mese….
Un mese di Caravella
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Orizzonti: la nota quindicinale per
amministratori locali
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Diario di Bordo: i pamphlet della
fondazione Cristoforo Colombo per
le Libertà
Una sconfitta, una débâcle del concetto stesso di Unio‐
ne, dovuta ad una classe dirigente che guarda al pro‐
prio orticello e che non ha una visione. Non ce l’ha Frau Merkel, condizionata dalle elezioni imminenti e non ce l’ha neppure Sarkò, anch’egli influenzato inti‐
mamente dallo spettro elettorale ma, direi, da un’in‐
trinseca incapacità di uscire dall’ottica della grandeur francese, peraltro mal metabolizzata e mal interpretata alla luce dei nuovi scenari sovranazionali. E per l’Italia? Stendiamo un pietoso velo: siamo passati da un Prodi che ha vissuto l’avvio dell’Euro come un risultato da raggiungere a qualsiasi costo, da spendere in chiave di posizionamento personale all’interno di un centrosinistra diviso e conflittuale nonché lontano se‐
coli luce dall’assetto socialdemocratico europeo, ad un Berlusconi, delegittimato in modo strumentale sia sul piano nazionale che europeo a causa di note vicende costruite dai detrattori a tavolino, al ragionier Monti da ingoiare come una pillola amara per scongiurare il rischio di default. Adesso, forse, a distanza di 10 anni dalla partenza dell’‐
Euro, si è capito che i parametri di stabilità della mone‐
ta unica sono da rivedere, cosa che avrebbe compreso anche un bambino delle elementari che inizia a far di conto. Insomma, non c’è da star tranquilli, almeno fin‐
ché avremo questa classe dirigente! Europa: questione di classe dirigente! di Giovanni Calabresi S
e si pensa alla classe dirigente che ha avviato il concetto di Europa e che ha gettato le basi della Comunità Europea, trasformatasi in Unione, risalta subito agli occhi la grande differenza di spessore culturale e politico tra Schumann, Adenauer e De Ga‐
speri, da una parte e Merkel, Sarkozy e chi tra gli Italia‐
ni non si sa, dall’altra. Quello che è stato iniziato con i Trattati di Roma aveva certamente un respiro diverso da ciò che è scaturito successivamente con l’avvento della moneta unica. Per non parlare della gestione della crisi attuale, frutto del‐
la negoziazione sbagliata delle condizioni necessarie alla stabilità dell’Euro. Adesso siamo quasi al ridicolo: non si riescono a chiudere accordi a 27 Stati e si rischia di creare un’Europa di serie A e una di serie B, riprodu‐
cendo quello che negli anni ’70 e ’80 si ebbe in Italia: una sorta di scala mobile con un potere di acquisto –
allora della lira, adesso dell’Euro – più forte o più debo‐
le a seconda della posizione geo‐economica all’interno dell’Unione. Roberto Saviano, débâcle di un guru di Carlo Sacchetti R
oberto Saviano, classe 1979, è oggi un fenome‐
no divistico milionario, che ha costruito la sua intera e fortunata carriera sul successo del suo unico best seller anti mafia, che lo ha costretto alla pro‐
tezione e alla perenne visibilità della ribalta per avere salva la vita. Per tal ragione egli è di continuo in televisione, in pro‐
mozione nei Feltrinelli point, intervistato da settimanali glamour come Vanity Fair urlando “rivoglio la mia vita!”, 8
o in giro per il mondo a tenere conferenze. Ora, Roberto avrebbe potuto fare come John Grisham – pur non es‐
sendo lui ‐, godersi milioni e jet personali, regalarci un best seller all’anno, evitandoci così Benedetta Parodi e Fabio Volo. Ma ha deciso di fare altrimenti, perseguen‐
do i nobili obiettivi, non sempre chiarissimi, della sua missione, ma lavorando anche – e sodo – dietro un posi‐
zionamento politico del suo pensiero. Alla fine dell’anno scorso, infatti, il bimbo prodigio si è fatto risucchiare dalla sinistrina televisiva di Fabio Fazio, senza troppo successo d’immagine, per la verità, volen‐
dosi trasformare in un’icona dell’antiberlusconismo ma pigiando un po’ troppo sul pedale delle esternazioni os‐
sessivamente ieratiche da tele‐guru, prese di mira da il Fatto Quotidiano, che lo ha cannoneggiato su presenzia‐
lismo ed eccessiva mancanza di sostanza degli argomen‐
ti monologati. Da lì un po’ di iella si riversa sul nostro, a partire dal coinvolgimento del babbo medico in una vicenda di ri‐
cette e prestazioni false nel casertano, e continuando con le accuse di plagio da parte del settimanale albanese Investigim, che nel marzo scorso ha rivendicato la pater‐
nità dell’inchiesta savianea sui rapporti tra Camorra e Sigurimi, la polizia segreta della dittatura comunista in Albania. Arriviamo all’intervento di Zuccotti Park, con un discorso da Armageddon, tra bodyguard e giornalisti di Repubbli‐
ca, davanti agli indignati di “Occupy Wall Street”, che guardavano l’anti‐mafia author con occhi lievemente interrogativi mentre sciorinava un discorso il cui succo era: Americani, guardate alla rovina dell’Italia berlusco‐
niana – con il Cav già dimessosi ‐, e alla sua economia controllata dalle Mafie, per evitare, voi, il baratro. Qualche balla, insomma. Termi‐
niamo con l’ultima apparizione significativa a La7, da Mentana, in occasione dell’arresto del super boss Mi‐
chele Zagaria: un misero 4% di share per il sermone di Roberto, spento e sotto tono. Ed è qui che è sorto il dub‐
bio: non sarà che Roberto, andatosene Berlusconi e ar‐
restato l’ultimo dei Casalesi soffra della crisi depressiva da riposizionamento che sta colpendo la maggior parte della sinistra culturale radical chic? Probabile. E allora un consiglio terapeutico, un po’ sulla scia di quello che gli diede Goffredo Fofi a inizio carriera, quando scimmiottava Tommaso Landolfi, mandandolo simbolicamente a quel paese: provi a scrivere e basta. E ci regali un altro bel libro. L’ignoranza ideologica cera denigrazione dell’avversario, ottenuta attribuendo‐
gli intenzioni maligne (“odio personale”) o sentimenti volgari (invidia e gelosia) e rivolgendogli inconcepibili epiteti e gesti ingiuriosi». Si potrebbe andare avanti, ma possiamo fermarci qui. Ma come, il professore non ha studiato storia? È digiuno di storia contemporanea? Non ha forse vissuto consape‐
volmente gli ultimi 60 anni della storia repubblicana? È per furore ideologico allora che dimentica il linguaggio violento con il quale Palmiro Togliatti attaccava Alcide De Gasperi e la Democrazia Cristiana per l’adesione alla Nato: un’alleanza liberticida, guerrafondaia, pericolosa, reazionaria. Vada a leggersi i discorsi parlamentari e le denunce rac‐
colte dai quotidiani del tempo. E pensi al martirio me‐
diatico agitato dalla sinistra contro il successore desi‐
gnato di De Gasperi, Attilio Piccioni. È per furore ideologico che il professor Simone dimenti‐
ca l’aggressione verbale, personale, da odio vero verso il nemico, che fu rivolta nell’ordine verso De Gasperi, Sa‐
ragat, Nenni, Leone e che arrivò a Gui – facendo gridare a Moro che la Dc non si sarebbe fatta processare nelle piazze – e poi a Tambroni. E l’odio verso i ministri di po‐
lizia «sanguinari assassini», professore? Anche del trat‐
tamento riservato a Scelba, Taviani e Kossiga si è dimen‐
ticato? È per furore ideologico che il linguista dimentica il voca‐
bolario violento riservato a Bettino Craxi e forse anche quella gustosa «trippa alla Bettino» che veniva servita del linguista Simone I
l linguista Raffaele Simone oggi dalle colonne del quotidiano della sinistra limitante (non è un lapsus, Repubblica non è soltanto un giornale militante ma anche un organo che limita le possibilità di crescita elet‐
torale e politica della sinistra italiana da quando fu fon‐
data) firma un commento dal titolo “Il linguaggio da bo‐
nificare”. In perfetto stile Gad Lerner, il professor Simone abban‐
dona i panni di studioso e si lascia andare ad una livoro‐
sa sequela di esempi attraverso i quali il berlusconismo avrebbe corrotto il linguaggio pulito, nobile, colto, utiliz‐
zato negli anni precedenti. Non ricorda evidentemente il professor Simone che non è di Berlusconi l’espressione forte secondo la quale la politica sarebbe «sangue e merda», bensì di Rino Formi‐
ca. E l’insigne studioso, preso com’è dal livore ideologi‐
co, tralascia anche lo sterminato e sistematico ricorso a strafalcioni di uno dei leader della sinistra, Antonio Di Pietro. Ma ciò che colpisce di più e decreta l’assoluta faziosità e inattendibilità del ragionamento di Raffaele Simone è quando scrive: «Infine, la rappresentazione dell’altro, l’avversario trasformato in nemico malvagio e incorreg‐
gibile. Dopo il fascismo non s’era mai vista una così be‐
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alle feste dell’Unità. Suvvia, professore, il comunismo ha ben ereditato il concetto di nemico da Carl Schmidt, intorno al quale ha sempre costruito la propria unità e azione politica. Prima De Gasperi, poi Fanfani, Moro, Andreotti, quindi Berlusconi e domani chiunque si op‐
porrà alla dittatura di quella che una volta era il partito comunista con la sua corte di intellettuali e oggi è Re‐
pubblica con la medesima corte e i medesimi intellet‐
tuali. Sia Repubblica, sotto la dotta supervisione del linguista Simone, a bonificare il linguaggio violento e spesso volgare riservato non all’avversario ma al nemico poli‐
tico da sempre combattuto, senza riserve di natura personale, dal partito comunista e dai suoi sodali. A sessant’anni suonati, caro professor Simone, occor‐
rerebbe meno indignazione a corrente alternata e più obiettività. Altrimenti si finisce coll’essere, indiscutibil‐
mente, cattivi maestri. Il Belgio si aggrappa “maratona”, durato 20 ore, sono entrati a fare parte del‐
la coalizione di governo i socialisti francofoni, i liberali, i democratici cristiani e, novità rispetto al passato, anche i socialisti fiamminghi. Contrari alla coalizione, e quindi all’opposizione, i verdi ed il nucleo duro degli indipen‐
dentisti fiamminghi. E la curiosità di questo accordo sta che, se confrontato con il governo precedente, i nomi sono praticamente sempre gli stessi. Unico elemento di rilievo è lo “scambio di poltrone” tra il liberale francofono Didier Reynders, che lascia il Ministero delle Finanze per approdare alla guida della diplomazia, e il democratico cristiano Steven Wanackere, che compie il percorso inverso. Ma cosa dovrà fare ora Di Rupo? A parte il cronico pro‐
blema del debito pubblico, il Belgio, in realtà, sembra non avere patito particolarmente la lunga assenza di un governo in carica. Il tasso di disoccupazione è infatti sce‐
so e Bruxelles ha mantenuto fedelmente il proprio impe‐
gno in Libia. Al neo capo di governo, quindi, spetterà il difficile compito di rimettere in sesto le finanze dello Stato per potersi poi concentrare sulle numerose riforme istituzionali promesse, prima fra tutte quella di togliere le concessioni francofone a comuni geograficamente fiamminghi. Nel frattempo Di Rupo potrà, a partire da giovedì, seder‐
si al tavolo dei grandi partecipando al meeting dei leader dei paesi membri dell’Unione Europea. Qualche giorno di gloria e di relax, in attesa del d‐day fissato per sabato. Il giorno della fiducia in Parlamento. 86 seggi su 150 dispo‐
nibili dovrebbero garantirgli una certa tranquillità. Ma vista la storia degli ultimi 18 mesi, in Belgio può sempre succedere di tutto. all’uomo col farfallino di Fabrizio Anselmo A
lla fine ce l’ha fatta. Elio Di Rupo, sessant’anni, figlio di immigrati abruzzesi, noto anche come l’uomo col farfallino (soprannome che gli deriva dal suo accessorio preferito) è riuscito a formare il nuovo governo belga e si è presentato dinanzi al re Alberto II con la lista dei ministri. Una vera e propria impresa, tenuto conto della grave crisi politica che aveva colpito il Paese. Diciotto mesi fa, infatti, cadeva il governo presieduto dal democratico cristiano di origine fiamminga Yves Leterme. E da allora il Belgio è rimasto senza governo. Il 13 giugno 2010 si sono tenute le elezioni legislative, le quali hanno sancito la vittoria della Nuova Alleanza Fiamminga guidata da Bart de Wever nelle Fiandre e del partito socialista di Elio Di Rupo nella Vallonia. Il 30% dei consensi raccolto dal partito di De Wever ha costituito un grande risultato per il leader fiammingo, il quale però non riuscì a formare il governo a causa delle forti e storiche differenze politiche, sociali e culturali tra le due “parti” del Belgio. E sono quindi trascorsi ben 540 giorni da quel 13 giugno prima che si riuscisse a giungere ad un accordo finale. Di Rupo, primo premier francofono dopo oltre trent’anni (l’ultimo capo di governo belga di lingua francese risale all’aprile 1974), presiederà un governo composto da 12 ministri e 6 segretari di Stato. Dopo un negoziato, che sarebbe forse più corretto definire col termine di 10
a oggi i lettori della Caravella noteranno di‐
verse novità nei contenuti della nostra tes‐
tata. Ed è d’altra parte sui contenuti ragionati, approfonditi, misurati, e non sui toni scop‐
piettanti che poi però spesso non portano da nessuna parte, che abbiamo puntato fin dall’inizio. Ci scusiamo anticipatamente per qualche difetto di funzionamento del sito, qualche incongruenza, ma fa parte dell’avven‐
tura di questo agile veliero un po’ corsaro: ci avvaliamo anche dell’aiuto volontario di tanti amici che prendono parte alle nostre traversate ma a cui non è possibile chiedere di trasformare un’adesione libera, convinta e generosa ad un progetto in un lavoro vero e proprio. Ad ogni modo questa nostra Caravella, fin dal suo esor‐
dio in sordina di luglio, ha cercato di navigare bene, dando voce ad un sentimento forte e sempre più forte che anima il nostro centro destra in evoluzione: un giornale aperto all’opinione di tutti, un giornale con un filo diretto con il mondo cattolico, un giornale capace di offrire spunti di approfondimento e anche di qual‐
che puntura, quando è necessaria. Da questo mese vedrete pubblicate sul nostro quotid‐
iano online nuovi elaborati frutto del lavoro congiunto della redazione della Caravella e della fondazione Cristoforo Colombo per le Libertà. Alle notizie e alle riflessioni pubblicate ogni giorno da questa rivista si è aggiunta da settembre la nostra versione mensile che non è soltanto la rassegna degli articoli pubblicati in un dato arco di tempo, ma un’occasione di approfondire certi argomenti e di osservare con una prospettiva più ampia i fenomeni sociali, economici, politici e culturali. Da oggi sarà regolarmente pubblicata, però, anche la nota per amministratori locali, “Orizzonti”, che si pro‐
pone di offrire spunti per lo svolgimento del loro man‐
dato a donne e uomini impegnati nei nostri enti locali. Dalla prossima settimana inizieranno ad essere pubbli‐
cati anche i “Diari di Bordo” della Caravella, ovvero i pamphlet della fondazione Cristoforo Colombo per le Libertà, che si concentreranno principalmente su al‐
cuni settori di approfondimento e ricerca: affari costi‐
tuzionali, politica estera e relazioni internazionali, poli‐
tica economica, ambiente, storia politica. Infine la rubrica “La Bussola”, firmata dal nostro presi‐
dente Claudio Scajola, contribuirà a valorizzare e ad attribuire prestigio ad una testata giovane, aperta ai giovani che intende contribuire in modo determinante al percorso di costruzione in Italia di una forza che si chiama – perdonate la testardaggine – Partito popo‐
lare europeo. Midnight in Paris, nasce attraverso la magia creativa di una Ville Lumiere immersa nel fervore artistico dei leggendari anni ’20. Si avvicina Natale, qualche contenuto in regalo D
ames Berardinelli su Reelviews ne ha parlato co‐
me di «…una favola romantica, un parfait di fanta‐
sia»; per Anthony Oliver Scott, conosciuto come A.O. Scott, critico cinematografico del New York Times, si tratta di «un film meravigliosamente romantico» nel quale, secondo Chris Cabin di Filmcritic.com, «Woody Allen celebra il fascino senza tempo di Parigi». E proprio in quell’atmosfera retrò, partecipando a una festa con Scott e Zelda Fitzgerald, sorseggiando un drink e discorrendo di letteratura insieme a Hemingway o di pittura con l’impetuoso Pablo Picasso e finendo per far leggere il proprio libro alla sapiente Gertrude Stein per ottenere preziosi consigli di scrittura, Gil (ottimamente interpretato da Owen Wilson), uomo sensibile e roman‐
tico, aspirante romanziere “imprigionato” in una vita lontana dai suoi ideali e in una relazione nella quale non riesce a ritrovarsi, realizza, scena dopo scena, tutte le insoddisfazioni professionali e sentimentali del suo pre‐
sente. Riscoprendo la stessa dimensione fantasiosa e incantata di opere come “La rosa purpurea del Cairo” e “Manhattan”, tra incanto e ironia “Midnight in Paris” si rivela sicuramente come uno dei film più affascinanti di Woody Allen sin dai tempi di “Match Point”, nel quale le dimensioni del sogno e della vita finiscono per confon‐
dersi quando, allo scoccare della mezzanotte, Parigi ri‐
Un film delizioso nel quale spiccano una grandissima Kathy Bates nei panni della vigorosa Gertrude Stein, una conturbante Marion Cotillard nell’interpretazione di Adriana, la «grupie dei geni» della quale lo stesso Gil rimane stregato. E uno strepitoso Adrien Brody che raf‐
figura un Salvador Dalì semplicemente indimenticabile. Carla Bruni? Mah... nostalgia dei tempi andati di Silvana Murgia J
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cace al catechismo che viene insegnato nelle nostre parrocchie talvolta in modo un po’ tiepido. Poiché Benedetto XVI ci ha insegnato ad andare al fondo dell’essere cristiani, cioè ad affrontare senza reticenze o giri di parole la questione della fede, nello scorrere questo libro – valido per bambini quanto per adulti – siamo corsi al sesto capitolo: «Perché vale la pena di credere». Prova superata a pieni voti! Essere amici di Gesù, si legge nel libro, significa anche «passare sopra alle piccole ingiustizie». Non meno stimolanti abbiamo giudicato i capitoli «Sarete miei testimoni», «Botta e risposta nel sacramento della Confermazione» e il Post Scriptum dedicato alle ragazze, che proietta la maturità del pensiero di Scola nella modernità, rius‐
cendo ad affrontare in modo semplice e incisivo il tema dell’amore tra uomini e donne. Il libro di Angelo Scola è uno splendido regalo per un Santo Natale. Mille battute su... «Vivere da grandi» I
l nuovo arcivescovo di Milano è stato Patriarca di Venezia. Marcianum Press ha stampato un libro piacevole, bello, ben curato, che va dritto al cuore di chi legge: «Vivere da grandi». Le illustrazioni di Lele Vianello rendono accattivante un volumetto che affronta in modo semplice grandi questioni. L’ex Patriarca di Venezia si è trovato a ris‐
pondere alle domande genuine e schiette di ragazze e ragazzi, incontrati durante il periodo vissuto nella città lagunare. Non c’è dunque malizia, non c’è ipocrisia, né nelle parole dei giovani intervistatori né in quelle del cardinale. Il libretto è per questo un compendio effi‐
Mille battute su... «Borges e Camilla. Gatti, amori e altri disastri» D
ifficilmente si può regalare ad una fidanzata, un amico, alla propria mamma, tutti purché convinti amanti dei gatti, un libricino più gradevole di questo firmato da Stefano Di Michele. Forse essere stati a lungo comunisti, finisce con l’in‐
tenerire il cuore. Sarà quel che sarà ma questi brevi rac‐
conti di Di Michele, impreziositi dai disegni di Giosetta Fioroni, si presentano bene fin dalla veste grafica curata dall’editore Il notes magico. Ebbene, è un notes magico divertente, commovente, pieno di sentimento questo che racconta in poche pagine le avventure di Borges e Camilla, mici straordinari. Perché chi ha avuto mai la fortuna di possedere un gatto sa quanto sia vero ciò che scrive l’autore: «Tutti i gattofili hanno la seguente carat‐
teristica: si osserva il micio altrui (che bello! Che tesoro!, tutte cose peraltro vere), poi si passa immediatamente a lodare il proprio, di gatto: autore di meraviglie mai viste, responsabile di gesta mai sentite prima, sempre di inarrivabile bellezza». Da regalare. laro, forse lo stesso Antonio Di Pietro, tra due mesi? È proprio vero che avevamo di fronte una serie di perso‐
naggi in cerca d’autore che avevano trovato nell’anti‐
berlusconismo la loro principale e forse unica ragione È lui, Roberto Benigni, la prima dolorosa vittima del di gloria! Fiorello – eccezionale showman – ha imme‐
diatamente capito che era meglio farsi da parte e la‐
dopo Berlusconi. sciare la scena, per un quarto d’ora a Benigni. Ieri, durante lo straordinario show di Fiorello, non è stato in grado di far ridere nessuno, ma proprio nessu‐ I due Oscar sono svaniti nel nulla di una serie di ovvie‐
no. Quando si è capito che la battuta su Berlusconi tà e banalità mal pronunciate e mal arrangiate, da che si era dimesso, che dunque ‘non c’è più’, non era vecchio trombone dell’avanspettacolo. solo una battuta ma l’asse portante della sua perfor‐ Non a caso, il mattatore del più grande spettacolo mance, su Twitter sono iniziate a piovere le critiche dopo il week end, per salvare Benigni e la sua parteci‐
all’indirizzo del comico toscano. pazione alla trasmissione, ha finito col buttarla in vac‐
Benigni, senza Berlusconi non fa ridere più nessuno Che fine faranno Guzzanti, Travaglio, Santoro, Padel‐ ca. O, meglio, in cacca. 12
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Un nuovo Ice per esportare l`Italia