“Basta con i programmi tvche parlano sempre delle cose che non vanno e mai
di ciò che abbiamo fatto in questi 4 mesi”. Ma Renzi li paga i diritti d’autore a B.?
Venerdì 11 luglio 2014 – Anno 6 – n° 189
e 1,30 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
ALTRO CHE TAGLI
Ferriboat
400MILA EURO ESENTASSE
PER OGNI ONOREVOLE
Oltre ai 5mila euro netti al mese di stipendio, i parlamentari ne intascano 7mila
di rimborsi forfettari senza obbligo di giustificarli. In una legislatura ciascun eletto
mette da parte un tesoretto di quasi mezzo milione (la metà se è in carcere) Palombi » pag. 2
GIUSTIZIA DOMESTICA
RIFORMA IN AULA LUNEDÌ
Senato, l’accordo Ferri si elegge il suo Csm
e il governo acconsente
rinvia la rissa
Il 14 si ricomincia
Passano i candidati sponsorizzati via
sms dal sottosegretario alla Giustizia
Il premier – che aveva tuonato dicendo
“comportamento indifendibile” – però
non fa una piega. Tutte le relazioni
di Magistratura Indipendente e del suo
patron
Mascali e Roselli » pag. 3
» GUERRA FREDDA » Una crisi mai vista con gli Usa
Merkel caccia la Cia
dalla Germania:
“Fuori gli spioni”
Due 007 infedeli scoperti
in pochi giorni,
il peso dello scandalo Nsa
che aveva intercettato
anche la Cancelliera:
ora Berlino espelle il capo
della sicurezza a stelle
e strisce e convoca
l’ambasciatore. Scene
da “epoca Muro”
Eleggere gli inquilini del nuovo Palazzo Madama o farli
nominare dalle Regioni? Dopo una giornata di bagarre
si decide di non decidere: tutto rimandato a una legge
ordinaria ancora da scrivere
Marra » pag. 4
Udi Daniela Ranieri
BOSCHI, LA RENZI IN ROSA
CHIACCHIERE E DISTINTIVO
» pag. 18
Angela Merkel e Barack Obama Ansa
SESSO, COCA E VIDEOTAPE
LA FINALE MONDIALE
sassino: una prostituta
stakanovista - un portafoglio clienti da 200
nomi – che, all’occorrenza, fa anche da spacciatrice.
» pag . 13
Domenica al Maracanã
resa dei conti tra due paesi
opposti, dall’economia allo
stile di vita. E una partita
tra donne: Cristina Kirchner
da una parte, Frau Angela
l’intransigente dall’altra
Chierici e Seminerio » pag. 12
Eccheli e Gramaglia » pag. 13
» ATENEI PROIBITI
Alix, la escort-killer
Ecco Argentina-Germania
e la dose finale
la supersfida fra tango bond
per il dirigente Google e valzer del rigore teutonico
è l’alto manager
C’
con i soldi, lo yacht, i vizi. E c’è il suo as-
y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!"!_!=!#
Messina, la prof
che ti boccia
anche 15 volte
Fazio » pag. 10
LA CATTIVERIA
“La sinistra è morta”, ha detto
Bertinotti mentre puliva con un
panno il coltello sporco di sangue
Tifosi argentini Ansa
» www.forum.spinoza.it
di Marco Travaglio
unque il pm Forteleoni e il giudice PonteD
corvo, candidati al Csm per la corrente di
Magistratura Indipendente e sponsorizzati dal
sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, sono
stati puntualmente eletti con una barcata di voti.
In un paese normale, alla notizia che un membro
del governo fa campagna elettorale per il Csm, il
premier l’avrebbe licenziato in tronco. E nessun
magistrato, a tutela dell’organo di autogoverno
(non del governo), avrebbe votato per i due favoriti del sottosegretario. Invece Ferri rimane imperterrito al suo posto e i suoi protegé entrano
trionfalmente a Palazzo dei Marescialli: Forteleoni con 1571 preferenze (il più votato fra i pm) e
Pontecorvo con 616. È il nuovo modello di divisione dei poteri, che anticipa la riforma della
Costituzione. Ora, a prescindere dalle qualità certamente eccelse dei due interessati, bisognerà detrarre 2 unità alla quota di due terzi riservata ai
membri togati, cioè ai rappresentanti della magistratura. E, se non ascriverle al terzo riservato ai
laici (eletti dal Parlamento cioè dai partiti), almeno collocarle a metà strada. Una quota inedita:
quella dei membri laicati o togaici. Quanto ai due
membri di diritto, il presidente della Cassazione
Giorgio Santacroce e il Pg Gianfranco Ciani, hanno rispettivamente 73 e 72 anni, e sono sotto
schiaffo del governo che improvvisamente vuole
prepensionare le toghe a 70 anni. Poi ci sono i 10
laici, che saranno espressione della maggioranza
più bulgara della storia repubblicana: renziani pidini, renziani centristi, renziani forzisti, renziani
leghisti e renziani ex-Sel (salvo forse un 5Stelle).
Più che un organo di autogoverno, quello di Palazzo dei Marescialli diventa così un organo di
governo. E dire che solo tre giorni fa, tramite gli
appositi trombettieri a mezzo stampa, Renzi aveva definito “indifendibile” Ferri: talmente indifendibile che se l’è tenuto ben stretto al governo. E
dire che solo una settimana fa Renzi aveva annunciato la supercazzola della riforma della giustizia con un attacco alzo zero alle correnti della
magistratura e ai presunti conflitti d’interessi nel
Csm: “Chi nomina non giudica e chi giudica non
nomina”. E ora non muove un dito contro un magistrato sottosegretario che fa eleggere chi nomina e giudica. Non solo: Ferri continua imperterrito a fare il leader-ombra di MI da sottosegretario, e proprio da quel ministero della Giustizia
che è titolare dell’azione disciplinare sui magistrati: cioè di quell’azione che dovrebbe colpire
proprio lui per la sua condotta indifendibile.
Ma Ferri non si può toccare: Berlusconi non vuole. Diventò sottosegretario 14 mesi fa nel governo
Letta, in quota Pdl. Il suo grande sponsor era ed è
Denis Verdini, originario come lui della Lunigiana. Infatti a novembre, quando Forza Italia ritirò
ministri e sottosegretari, Ferri restò al suo posto
spacciandosi per “tecnico”. E quando Renzi rottamò Letta, rimase imbullonato alla poltrona:
prova vivente, in tandem con la ministra Guidi,
che le larghe intese sono vive e lottano insieme a
loro, e che B. sta all’opposizione solo per finta.
Che il nome di Ferri (mai indagato) uscisse dalle
intercettazioni di ben tre scandali – Calciopoli, P3
e Agcom-Annozero – non è certo un handicap,
anzi. E il fatto che abbia due fratelli condannati –
Jacopo, consigliere FI in Toscana, per tentata
truffa; e Filippo, ex poliziotto ora capo della sicurezza del Milan, per falso aggravato nella mattanza alla Diaz di Genova – fa curriculum. Resta
da capire che ne pensa il presidente della Repubblica e del Csm Giorgio Napolitano, così prodigo
di moniti e sdegni quando si diedero alla politica
altri tipi di magistrati, come Ingroia e De Magistris. Appena Renzi gli propose come Guardasigilli Nicola Gratteri, pm valoroso e lontano dalle
correnti, Sua Altezza inorridì e lo depennò in base
a una non meglio precisata “regola non scritta”
che vieterebbe ai magistrati di fare i ministri della
Giustizia. Ma non, evidentemente, i sottosegretari. Non è fantastico? Chi calpesta ogni giorno le
regole scritte (Costituzione compresa) diventa
inflessibile su quelle non scritte. Tanto nessuno le
conosce, tranne lui.
2
BUSTA PAGA
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
V
isco: “Nella crisi
le banche si sono
comportate male”
LA NOTIZIA POSITIVA riguarda il Pil:
all’assemblea annuale dell’Abi, l’associazione delle banche, il governatore di
Bankitalia Ignazio Visco spiega che le
misure prese dalla Bce possono spingere l’economia italiana. Gli interventi
di Mario Draghi indeboliscono il cambio e aumentano la liquidità, questo
spingerà il Pil dello 0,5%, se poi le banche faranno la loro parte usando gli oltre 200 miliardi disponibili da girare alle
imprese (con le operazioni TLTRO) allora il Pil salirà di un altro 0,5. Una spinta
che aiuterebbe parecchio i conti pubblici, evitando (forse) al governo la manovra in autunno. Giudizio pesante, in-
il Fatto Quotidiano
vece, sul settore del credito: “La crisi ha
fatto emergere comportamenti inadeguati, imprudenti, talora scorretti. Nella
grande maggioranza dei casi di crisi
conclamata o di difficoltà, il deterioramento degli equilibri è dovuto alle carenze nel governo della banca e nel processo di erogazione del credito”.
di Marco Palombi
altrimenti le cifre si abbassano
un po’) incassa circa 11.770 euro
L’
ultima volta ci ha
provato, giusto un
anno fa, Stefano
D’Ambruoso, deputato questore della Camera
del gruppo di Scelta Civica. È
andato in Ufficio di presidenza
e ha proposto una via per ridurre il costo dei parlamentari: via
le indennità accessorie e i servizi agli eletti (ufficio, segreteria, telefono) li paga direttamente l’istituzione. Risposta:
vedremo. L’allora suo collega di
partito, Ferdinando Adornato,
fu l’unico a dire pubblicamente
no: “Per selezionare un personale politico di qualità occorre
essere consapevoli che il talento
ha un prezzo di mercato”. Ancor peggio andò alla commissione che Mario Monti incaricò
a dicembre 2011 di risolvere la
questione-stipendi: siano livellati sulla media Ue. Cinque mesi
dopo Enrico Giovannini,
all’epoca presidente dell’Istat,
gettò la spugna: non si può fare,
troppe variabili. A tagliare le
pensioni e rinviare sine die quella di chi è ancora al lavoro, invece, erano bastate poche ore e
qualche lacrima. Risultato: siamo ancora lì. A parte qualche
taglietto, i soldi che entrano nelle tasche dei parlamentari sono
sempre gli stessi e per la maggior parte sfuggono – legalmente – al fisco. È stato Giancarlo
Galan, nella sua intervista al Fatto Quotidiano, a ricordarlo involontariamente: “La Finanza dice che vivo al di sopra delle mie
possibilità? Non hanno calcolato la parte non imponibile dei
miei stipendi di deputato, che è
più cospicua dell’imponibile”.
Vero: sono oltre 400mila euro a
legislatura, un tesoretto.
Una vita tranquilla
e 12 mila euro netti
Ci spiega il sito del Senato: “In
tutti gli ordinamenti ispirati alla
concezione democratica dello
Stato è garantito ai parlamentari un trattamento economico
adeguato ad assicurarne l’indipendenza”. È un modo di metterla. L’altro è raccontare come
funziona il sistema attraverso la
settimana perfetta (e i relativi
guadagni) di un eventuale parlamentare scansafatiche (si tratta di un’astrazione, ovviamente,
visto che tutti i nostri parlamentari lavorano continuamente,
rimettendoci spesso del proprio). In sostanza - per ottenere
il jackpot da 12 mila euro netti
circa (le cifre precise sono nella
tabella a centro pagina) - gli basta partecipare al 30% delle votazioni giornaliere e farsi vedere, ma poco, nella commissione
di cui fa parte.
È lunedì mattina. L’eletto si sveglia nel suo letto, nella sua regione, lontano dalla Capitale.
Spegne la sveglia e si riaddormenta: “Tanto oggi pomeriggio
c’è solo una discussione generale, non si vota”. Martedì mattina arriva a Roma, passa nel
suo appartamento, va a pranzo
con un amico e verso le 15 entra
in Parlamento: si fa vedere, un
attimo, in commissione, poi va
in Aula e vota un po’, giusto quel
che serve. Nel frattempo telefona, chiacchiera con gli amici di
ogni colore e grado, forse occhieggia galante a qualche fun-
al mese, cioè oltre 140.000 euro l’anno. A questi soldi, peral-
tro, vanno aggiunti 1.200 euro
l’anno di spese telefoniche certificate e 1.850 euro circa al mese per il cosiddetto “esercizio di
mandato” (anche queste devono però essere certificate e comprendono cose come lo stipendio di un collaboratore, l’organizzazione di un convegno, eccetera). Fanno altri 23.400 euro
ogni dodici mesi. In tutto, insomma, parliamo di oltre 163
mila euro. Il costo lordo, cioè
comprensivo di trattenute, per
la Camera sfiora i 230 mila euro
l’anno. Per i 630 deputati totali
Ecco il tesoretto dell’eletto:
80 mila euro esentasse l’anno
I GUADAGNI DEI PARLAMENTARI SFIORANO I 20MILA EURO LORDI AL MESE: 5MILA
SONO STIPENDIO, ALTRI 7MILA NETTI SONO RIMBORSI E NON VANNO DICHIARATI
zionaria di bell’aspetto (ma su
questo non potremmo scommettere). Mercoledì passa più o
meno alla stessa maniera e pure
giovedì, ma quando arriva la sera l’indolente eletto sfodera uno
scatto felino, mentre il trolley
rumoreggia al suo fianco. Ve-
235
mln 145mila
SPESA 2013
IL NETTO
TOTALE
ANNUO
TAGLI? NO, GRAZIE
La commissione
Giovannini (2012)
gettò la spugna
Un anno fa ci provò il
questore D’Ambrosio
alla Camera: respinto
nerdì non si vota e lui corre in
aeroporto: ha un convegno a Siracusa sul “Sud come risorsa”.
Sabato sera riesce infine a tornare a casa, così la domenica
può curare il rapporto con la famiglia se non quello col collegio. È di nuovo lunedì e, giustamente, l’eletto si riposa: “Tanto
oggi non si vota”. Questa settimana vale quasi 4 mila euro netti, 12 mila al mese, la maggior
parte dei quali - ricorda Galan esentasse.
Oltre 400 mila euro
che il Fisco non vede
Ricapitolando. A Montecitorio,
netti e senza dover presentare
fatture e scontrini, un deputato
(che non abbia un altro lavoro,
significa circa 145 milioni l’anno di soli stipendi e rimborsi (a
bilancio per il 2013, però, ci sono 154,3 milioni, perché in questa voce vanno calcolati anche i
contributi a carico del “datore
di lavoro” Montecitorio).
La busta paga dei senatori è più
o meno simile, anche se leggermente più ricca, forse per via del
fatto che gli inquilini di Palazzo
Madama sono più onusti d’anni
e d’esperienza: incassano - netti
e senza neanche una fattura 12.250 euro mensili, vale a dire
147 mila euro l’anno. Se ci ag-
giungiamo però gli altri 2.090
euro al mese a cui gli eletti a Palazzo Madama hanno diritto
dietro certificazione quadrimestrale, il conto sale a 172 mila
euro annui che garantiscono,
com’è noto, l’indipendenza del
senatore. Il lordo, ovviamente,
anche in questo caso è maggiore: 236.500 euro l’anno circa.
Nel bilancio 2013 di palazzo
Madama il costo totale è di oltre
80 milioni per 320 senatori.
Ultimo capitolo. Se consideriamo il solo netto dei rimborsi automatici - cioè quelli pagati dalle rispettive Camere senza nemmeno la presentazione di un
contratto/scontrino/biglietto - i
deputati vedono arrivare in
banca all’ingrosso 6.779 euro al
mese e i senatori 7.240 euro.
L’anno fa, rispettivamente,
81.588 e 86.880 euro; in una le-
gislatura 407.940 e 434.400
euro. Tutto esentasse. Il talento,
d’altronde, “ha un suo prezzo di
mercato”.
Un momento non proprio esaltante di vita politica a Montecitorio Ansa
PORTFOLIO
Foto di Umberto
Pizzi
La varia umanità bancaria
CIVIL
SERVANT?
Il vicepresidente
del Csm, Michele
Vietti, intrattiene
Paola Severino,
ex Guardasigilli,
avvocato di clienti
potenti. Non solo
un duo: il nuovo
che è avanzato
LASCIA
STARE...
ADOLESCENZA
Ieri, all’assemblea Abi,
Franco Bassanini (classe 1940) spiegava a
Giovanni Bazoli (classe 1932) e Giuseppe Guzzetti
(classe 1934) come sia possibile che lui, così giovane,
sia già presidente di Cassa depositi e prestiti
Guzzetti, capo delle fondazioni bancarie,
vorrebbe
omaggiarlo in
piedi. Pier Ferdinando Casini
lo blocca: non
è (più) il caso
FASCINO DELLA DIVISA Gianni Letta,
solitamente riservatissimo, si esibisce per i comandanti di Carabinieri e Gdf, Gallitelli e Capolupo
I MEGLIO
POSTI Sono
quelli preferiti
da Guglielmo
Epifani: l’alzataccia per conquistarli, però,
lo ha provato.
L’ex segretario
Cgil è tentato
dalla pennica
VOSTRO ONORE
il Fatto Quotidiano
V
ito D’Ambrosio:
“Liberare le toghe
dalle correnti”
BERLUSCONI era un “collante” per la
compattezza e la capacità di reazione
della magistratura quando era attaccata, adesso il suo venir meno ci obbliga a creare una nuova strategia per
far capire al Paese che una giustizia
funzionante è nell’interesse di tutto il
Paese. I cittadini vogliono giudici one-
sti, preparati e prevedibili nelle decisioni: per arrivare a questo occorre liberare il Csm dall’occupazione della
magistratura associata”. A parlare è il
sostituto procuratore generale della
Cassazione, Vito D’Ambrosio (in foto),
uno degli uomini più autorevoli della
procura di legittimità, commentando
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
3
l’assenza del guardasigilli Andrea Orlando all’assemblea indetta dagli “ermellini” contro le norme sul pensionamento a 70 anni e riferendosi "soprattutto" alla scarsissima presenza degli
stessi supremi giudici. Una cinquantina, sì e no, su un organico di oltre 400
toghe.
GLI SMS DI FERRI FUNZIONANO
ELETTI I DUE GIUDICI AMICI
FORTELEONI E PONTECORVO, SPINTI DAL SOTTOSEGRETARIO, ENTRANO AL CSM
di Antonella Mascali
L’
effetto Cosimo
Ferri si riversa sul
Csm. Magistratura Indipendente,
corrente di destra, cresce e
guadagna un componente in
più, da 3 passa a 4, così come
Area, corrente di sinistra, la
vincitrice di queste elezioni,
con il più alto numero di consiglieri: passa da 6 a 7 membri
togati. Perde Unicost, la corrente di centro, che scende da
6 a 5 consiglieri. Con questi
numeri, solo con l’elezione degli 8 membri laici sapremo se
avremo un Consiglio più progressista o più conservatore,
ammesso che si possa ancora
applicare questo schema, almeno in magistratura.
I CANDIDATI sponsorizzati a
colpi di sms da Ferri ce l’hanno
fatta entrambi: il pm di Nuoro
Luca Forteleoni (1571 preferenze) è stato il più votato delle
correnti; ce l’ha fatta anche il
presidente di sezione del tribunale di Roma, Lorenzo Pontecorvo, segretario di Mi, accusato dagli anti-ferriani di
non aver neppure fiatato
quando si è dimesso il presidente Schirò, in disaccordo
con la direzione di fatto della
corrente da parte del sottosegretario alla Giustizia. Pontecorvo ha avuto 616 voti, più
delle primarie, quando ne aveva presi 379. Ma l’effetto Ferri
si fa sentire anche tra i dissidenti dentro alla corrente più
conservatrice delle toghe: Sergio Amato, pm anticamorra di
Napoli annuncia al Fatto Quotidiano le dimissioni da Mi:
“Non per il risultato elettorale”.
dentro Mi ma anche fuori. Vedo una forma di collateralismo
con la politica inaccettabile
perché fa pagare un prezzo alto
in termini di indipendenza”.
Ed è un altro “ferriano” anche
se non pubblicizzato dagli sms
dell’esponente di governo, il
giudice di merito più votato a
queste elezioni: Claudio Galoppi, del tribunale di Milano. Già
alle primarie era arrivato primo. È passato da 657 a 792 preferenze. Il secondo giudice più
votato è Francesco Cananzi,
del tribunale di Napoli, di Unicost, ha ottenuto 702 voti. Terzo, Piergiorgio Morosini di
Milano (Unicost) e Nicola Clivio (Area) giudice a Lanusei.
Restano fuori dal nuovo Csm
Francesco D’Alessandro (Unicost) giudice del tribunale di
Catania; Adriana De Tommaso, giudice al tribunale di
Trento, di Altraproposta e l’indipendente Fernanda Cervetti, consigliere alla Corte d’appello di Trento.
PER QUANTO riguarda i quat-
tro pubblici ministeri, sono
stati confermati i risultati parziali di mercoledì sera. Dunque sono stati eletti Forteleoni,
Luca Palamara di Unicost, pm
IMBARAZZO DI GOVERNO
LOTTE INTERNE
Cresce Magistratura
Indipendente,
la componente di destra,
ma Sergio Amato
si dimette: “Irrisolto
il rapporto con la politica”
Orlando tace. E Renzi
rimane immobile
di Gianluca Roselli
Cosimo Ferri Ansa
Area, con 665 voti. È il gip di
Palermo che ha rinviato a giudizio gli imputati del processo
sulla trattativa Stato-mafia. A
seguire Massimo Forciniti, del
tribunale di Crotone (Unicost); Pontecorvo; Lucio Aschettino, del tribunale di Nola
(Area) ha avuto incarichi in
Anm; Aldo Morgigni, candidato antiferriano di Mi e gip a
Roma dell’inchiesta Mokbel;
Valerio Fracassi (Area), giudice al tribunale di Brindisi, segretario di Movimento per la
Giustizia; Rosario Spina, consigliere alla Corte d’appello di
scegliere i candidati, e gli indipendenti. Gli eletti sono tutti
uomini tranne la consigliera di
Cassazione Maria Rosaria Sangiorgio di Unicost. Nel precedente consiglio le donne erano
due. L’altro consigliere di Cassazione eletto è Ercole Aprile di
Area.
Fumata nera, invece, per la nomina degli otto membri laici,
tra i quali dovrà essere eletto il
vicepresidente. Anche la seconda votazione del Parlamento, riunito ieri, è andata a
vuoto. Stessa sorte per l’elezione dei due giudici della Corte
costituzionale.
di Roma ed ex presidente
dell’Anm, con 1236 voti; Antonello Ardituro, di Area, pm
di Napoli, con 1163 voti; Fabio
Napoleone, di Area, procuratore di Sondrio, con 1127 voti.
Sono rimasti fuori Amato, l’indipendente Carlo Fucci (508
voti) ex segretario dell’Anm e
Francesca Borzanica, pm a
Palmi (439 voti) indicata da
Altraproposta. Dunque, in
nessuna categoria (Cassazione, pm e giudici di merito) ce
l’hanno fatta Altraproposta
che aveva fatto le primarie
online, dopo un sorteggio per
n Italia, si sa, avere un amiI
co al ministero fa sempre
comodo. Può sempre servire,
prima o poi. E ai due magistrati
“sponsorizzati” dal sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri tramite sms ai colleghi, infatti, è servito, visto che sono
stati eletti entrambi al Csm.
Luca Forteleoni ha preso una
valanga di voti, 1.571. Mentre
Lorenzo Pontecorvo, presidente di sezione al tribunale di
Roma e segretario di Magistratura indipendente, ne ha ottenuti 616. Entrambi fanno parte
di Mi, la corrente conservatrice di cui fa parte anche Ferri.
La vicenda degli sms – “solo
molti voti. La storia, per certi
versi, ricorda quella recente di
Dario Franceschini. Che, durante le elezioni per il Campidoglio vinte da Ignazio Marino, dalla sua posizione di forza
all’interno del Pd (ma era pure
ministro), ha fatto campagna
elettorale tramite sms per la
sua compagna, Michela Di
Biase, poi eletta al Comune di
Roma e diventata presidente di
commissione.
La vicenda di oggi è ancora più
complicata, perché tira in ballo
i delicati rapporti tra politica e
giustizia. E della guerra tra le
correnti delle toghe. Anche
perché qui si parla di un magistrato fuori ruolo entrato come tecnico di area Forza Italia
luto commentare. “La nostra
linea resta quella di lunedì sera”, dicono da Via Arenula. E
pure Palazzo Chigi tace.
Ma l’imbarazzo è palpabile. Sia
alla Presidenza del consiglio
che nel Partito democratico.
“Non siamo di fronte a un reato o un illecito. Detto questo, il
comportamento di Ferri è stato inopportuno e di cattivo gusto”, commenta l’ex pm ora senatore democratico, Felice
Casson. “Io credo nella divisione dei poteri. Tanto che sul
Csm voterò solo per eleggere i
membri che spettano al Parlamento”, aggiunge. Per poi far
notare come “Ferri debba essere molto potente visto che è
passato da un governo all’altro
senza colpo ferire”.
Il ministro della Giustizia,
Andrea Orlando.
Il guardasigilli ha visto
Ferri lunedì sera Dlm
LA VICENDA, però, non scan-
È IL PRIMO dei pubblici mi-
nisteri non eletti con 806 preferenze: “Lascio Magistratura
Indipendente – dice scandendo le parole – perché il gruppo
che è stato di Paolo Borsellino
è cambiato, non ha più il modello del magistrato indipendente e autonomo. Al di là del
risultato elettorale, resta intatto il problema di fondo della
chiarezza sul rapporto politica
e magistratura. Nel caso specifico, si tratta di capire quale
sia l’interesse del sottosegretario di egemonizzare un gruppo
consiliare, se matureranno debiti di riconoscenza di chi è
stato sostenuto, se e in che termini sarà adempiuto il debito
di riconoscenza”.
Ma la maggioranza dei magistrati che hanno votato Mi evidentemente non vede alcun
conflitto di interesse... “Non so
quanta consapevolezza ci sia di
questa realtà e comunque non
mi permetto di giudicare gli altri. Le mie dimissioni vogliono
essere un segnale di allarme
per stimolare la riflessione
SEGRETARI COMUNALI
In piazza contro i tagli
entinaia di segretari comunali e provinciali da
C
tutta Italia hanno manifestato ieri davanti a
Montecitorio. Un sit di protesta contro quella che il
premier Matteo Renzi ha definito “rottamazione della burocrazia” ma che, per un esercito di segretari
comunali e provinciali, suona come “una caccia alle
streghe” contro i dipendenti della pubblica amministrazione, per dirla con Giampiero Vangi, uno degli organizzatori della manifestazione. “Noi – spiega
Vangi – svolgiamo una funzione di garanzia di legalità per i cittadini. Già la nostra categoria è stata
mortificata con la soppressione dei diritti di rogito
che comportava risparmi per le imprese e per i privati. Oggi, con il provvedimento sulla PA annunciato
da Renzi, dovremmo assistere all’ingresso di direttori
generali nei comuni che non sono vincitori di concorsi ma segnalati dalla politica”. “Questa riforma –
aggiunge Maria Concetta Giardina – svilisce il nostro
ruolo, da sempre garante di legalità. I segretari hanno
una funzione di monitoraggio e responsabilità giuridica che rischia di essere snaturata. Spero che Renzi
torni sui suoi passi”.
qualche messaggino inviato
agli amici più stretti”, si è difeso Ferri – aveva suscitato un
mare di polemiche. Intendiamoci, la legge non lo vieta. La
questione è tutta di opportunità. Può un magistrato ora sottosegretario alla Giustizia,
quindi in una posizione di
grande potere, fare campagna
elettorale per sponsorizzare la
candidatura di ex colleghi al
Csm? Tanto più che l’obbiettivo è stato centrato: i due “ferriani” sono stati eletti. E con
nel governo Letta e poi confermato a via Arenula da Matteo
Renzi. Il quale, quando il caso è
scoppiato, ha manifestato notevole nervosismo. “Ferri è indifendibile”, ha fatto trapelare
il premier. L’impressione era
che il sottosegretario avesse le
ore contate. Lunedì sera Ferri –
figlio dell’ex ministro dei 110
all’ora – è stato convocato da
Andrea Orlando. Il quale gli ha
preteso spiegazioni, senza però
chiedergli le dimissioni. E passando la palla a Palazzo Chigi.
“È una questione delicata, sarà
Renzi a decidere”, è stata la linea tenuta a Via Arenula. Poi,
però, Matteo non ha deciso
nulla. Forse sperava che il caso
passasse in cavalleria. Ma non
è andata così. Visto che i due
magistrati sono stati eletti.
Orlando anche ieri non ha vo-
dalizza troppo l’altro sottosegretario alla Giustizia, Enrico
Costa, ex Pdl ora Ncd. “È un caso di opportunità e non di legittimità, visto che la legge non
lo vieta. Ma il rapporto tra magistratura ed ex toghe va disciplinato per legge”, osserva.
Spiegando che in Senato è già
passata una proposta di legge,
ora alla Camera, che normerebbe la questione. Secondo il
testo, se un magistrato prestato
alla politica decide di tornare a
indossare la toga, lo può fare
ma a determinate condizioni.
Anche Ferri non parla. “È fuori, impegnato a un convegno”,
dicono dal suo ufficio. Ma la
sua difesa è già nota. “Non ho
mai confuso i due ruoli. Sono e
resto un magistrato. È normale
che mantenga rapporti con i
miei ex colleghi. Gli sms sono
un fatto privato, li ho mandati
solo a qualche amico”, ha dichiarato allo scoppiare del caso. Così si torna a bomba: che
farà ora Matteo Renzi?
4
PASTICCIONI
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
Ein cco
la riforma
pillole, dal titolo V
al referendum
SE LA RIFORMA arriverà indenne alle
quattro letture, il futuro Senato sarà
composto da 95 eletti dai Consigli regionali e da cinque nominati dal Quirinale (in carica per 7 anni). Avrà competenza legislativa piena solo su riforme e leggi costituzionali, e potrà
chiedere alla Camera la modifica delle
leggi ordinarie (Montecitorio potrà
non tenerne conto). Su una serie di
leggi che riguardano il rapporto tra
Stato e Regioni, la Camera potrà non
dar seguito alle richieste del Senato
ma solo respingendo a maggioranza
assoluta. I 95 senatori saranno ripartiti tra Regioni sulla base del peso de-
il Fatto Quotidiano
mografico di queste ultime. Le Regioni
più piccole ne avranno due. I Consigli
Regionali eleggeranno i senatori tra i
propri componenti; uno per ciascuna
Regione dovrà essere un sindaco. Sul
Titolo V sono riportate in capo allo
Stato Energia e Infrastrutture strategiche. Il presidente della Repubblica
lo eleggeranno i 630 deputati e i 100
senatori (senza i rappresentanti delle
Regioni previsti oggi). Nei primi quattro scrutini servono i due terzi, nei successivi quattro i tre quinti; dal nono il
50%. Per i referendum serviranno
800.000 firme. 250.000 per le leggi
di iniziativa popolare.
PALAZZO MADAMA, IL GOVERNO
CI METTE UN’ALTRA TOPPA
LUNEDÌ IL TESTO IN AULA, MA SUL SISTEMA DI VOTO SI ATTENDE UNA LEGGE AD HOC
di Wanda Marra
N
on ho paura del voto dell’Aula perché
se al Senato ci sarà
qualcuno che vuole
frenare....”. Palazzo Chigi, conferenza stampa post-Cdm. Lascia in sospeso la frase Matteo
Renzi. Gli avvertimenti, nei
giorni scorsi, si sono sprecati.
Dalle elezioni anticipate in giù.
Ma tutto sommato fa fede la prima parte, perché il premier lo
dice e lo ripete più volte: “Oggi è
stata una giornata importante,
segnata dal sì in Commissione
Affari Costituzionali alle riforme”. Mette i puntini sulle “i”: “È
assurdo parlare di torsione autoritaria”. D’altra parte, “la gente vuole la speranza. È il pensiero che ho la sera quando vado a
dormire e la mattina quando mi
sveglio”. Perché “se corrispondiamo alla speranza l’Italia torna a crescere, se alimentiamo lo
scetticismo, la stanchezza, la
rabbia, tradiremo la fiducia”. Il
racconto è chiarissimo, la determinazione è forte. Pazienza se la
strada delle grandi riforme sia
stata lastricata di incidenti e di
intoppi e che lo sarà ancora.
CHE SPERANZA sia, dunque.
Ieri il Senato ha vissuto l’ennesima giornata rocambolesca e
convulsa. Complice un emendamento sull’elettività dei nuovi
senatori, il nodo centrale. Si dovrebbe essere agli ultimi sgoccioli in Commissione quando
Roberto Calderoli - in forma
smagliante e combattiva, nonostante la mano ingessata - ritira
la firma dal testo in cui si dice
che i membri della nuova Camera verranno eletti con sistema proporzionale, “tenuto conto della consistenza dei gruppi
parlamentari”. Insieme alla Lega, sul piede di guerra c’è Ncd:
questo significherebbe che non
è possibile per i partiti piccoli
avere alcun senatore. Non solo:
detta così, sembra pure che a designarli saranno i capigruppo.
Riparte il pallottoliere dei no, si
contano tutte le assi possibili
della dissidenza. Ma il governo
lavora indefessamente a una
mediazione. “Così è un
iper-Porcellum”, commenta
Paolo Corsini, ex sindaco di
Brescia, uno dei presunti dissidenti dem. Affonda: “Non ci sto
a farmi dare del gufo. Un presidente del Consiglio dovrebbe
fare un uso più attento delle parole. Discuta del merito”. Augusto Minzolini annuncia la richiesta con 25 firme di rimandare ulteriormente il voto in
Aula. Il Pd Miguel Gotor diffonde interpretazioni: “Vogliono
arrivare in Aula in concomitanza con la sentenza della Corte
d’Appello su Ruby”. Ore concitate. Poi, ecco l’accordo (o l’accrocco): “I seggi sono attribuiti
in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio”. Si terrà conto non solo
dei seggi effettivamente conquistati dai singoli partiti, con ogni
legge regionale, grazie al premio
di maggioranza, ma anche dei
voti. FI su questo non ha mollato, consapevole della sua debolezza sui territori. E dunque,
da una parte in Costituzione si
mettono dei paletti di una precisione inedita, per il sistema
elettorale, dall’altra si rimanda
tutto ancora una volta a una legge ordinaria.
FINE dei listini bloccati? Insom-
ma. In sede di prima applicazione (prima che la legge sia fatta),
si prevede che “ogni consigliere
può votare per una sola lista di
candidati, formata da consiglieri e da sindaci dei rispettivi ter-
STATO DI CONFUSIONE
IL PREMIER
In conferenza stampa
Renzi ostenta fiducia:
“Non ho paura,
stiamo cambiando
il paese, non c’è
torsione autoritaria”
Il nodo dell’elezione, in arrivo
95 “nominati” dalle Regioni
IL PASTICCIO di ieri in commissione
Affari costituzionali del Senato è scoppiato sui metodi di elezione della nuova assise di Palazzo Madama. La formulazione del testo della relatrice Anna Finocchiaro prevedeva che i seggi
per l’elezione del nuovo Senato fossero attribuiti “con sistema proporzionale, tenuto conto anche della composizione del Consiglio regionale”. Ncd e Lega si sono
messi sulle barricate, Calderoli che ha ritirato la propria
firma dal provvedimento ha spiegato: “Così come è impostata, che i consiglieri votino o non votino non cambia nulla, né sul numero di coloro che andranno in Senato né su chi vi andrà. Chi sceglie? Sceglie il capogruppo. Neanche in Russia succede così”. Dovendo infatti
rispettare la proporzionalità, e non prevedendo un voto,
non si tratterebbe più di una elezione (seppur di secondo livello), ma di una nomina. Il testo, così come riformulato dai relatori dopo le proteste di Lega e Ncd
(peraltro ancora passibile di modifica da parte dell’aula),
inserisce un listino attraverso cui eleggere i senatori
spettanti alla regione. Calderoli annuncia comunque
modifiche in aula. Si discute anche di una futura legge
elettorale per il Senato.
ritori”. Esce Quagliariello, rivendicando la vittoria. Esce la
Finocchiaro, ribadendo il lavoro svolto. Chi gongola però è
Calderoli: “Gli accordi bilaterali
non reggono quando scrivi la
Costituzione”. Il riferimento al
Patto del Nazareno non è puramente casuale. Giocando di
sponda con Minzolini, facendo
pressioni sul governo, alleandosi con Ncd ha ottenuto un certo
peso. Ma poi sono giochi incrociati, come dicono tutti in Senato: il punto è l’Italicum. La guerra alle soglie di entrata troppo
basse per i piccoli condotta da
I RELATORI Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega)
ancora “infortunato” davanti all’ascensore di Palazzo Madama. Ieri il
senatore del Carroccio ha ritirato la firma da un emendamento Ansa
VA TUTTO BENE
Matteo Renzi ieri a Palazzo Chigi Ansa
Ncd è capitanata da Calderoli.
Non a caso Renzi in conferenza
stampa gli “regala” un ringraziamento speciale: “Per la
straordinaria tenacia che ha dimostrato arrivando persino ingessato a darci una mano”. Lui
aveva detto: “Gridare al lupo al
lupo è servito”. Tanto che continua: “In Aula presenterò delle
modifiche”. Trattativa Renzi-Lega evidentemente aperta.
Lunedì comunque, forte del
mandato della Commissione ai
relatori, il testo arriva in Aula. Si
comincia a votare mercoledì.
Tra dissidenti dem, bersaniani
un po’ ribelli, frondisti di Fi, leghisti frizzanti, e neocentristi
preoccupati sarà tutto da vedere. “Al Senato ci verranno contro sulle riforme? Non credo”,
dice il premier. “Stiamo dando
un grande segnale di cambiamento al paese: stiamo dicendo
che l’Italia può cambiare e che
alcuni tabù possono esser vinti”.
Poi se la prende con chi critica e
basta. “Oggi mentre facevo ginnastica, ho sentito alcune trasmissioni del mattino che parlano solo delle cose che non vanno". Omnibus e Agorà sono avvertiti.
ASCESE
Effetto Di Maio: pace tra Grillo e Pizzarotti
di Luca De Carolis
irresistibile ascesa del numero tre. Il predeL’
stinato, che lunedì aveva fatto virare rotta a
Grillo in un amen. E che ieri ha fatto sdoganare sul
“sacro” blog Federico Pizzarotti, fino a un pugno di
ore fa il nemico numero uno dei fondatori. Perché
con il sindaco di Parma e i dissidenti che gli fanno
sponda vuole costruire una nuova filiera. Magari
una nuova maggioranza, in quel gruppo parlamentare dove tanti falchi lo contestano. Luigi Di Maio,
28enne di Avellino ma cresciuto a Pomigliano
d’Arco, studi in Giurisprudenza, vale molto più di
uno: dentro e fuori i Cinque Stelle. La linea del Movimento ormai la disegna in gran parte lui: figlio di
un ex dirigente del Msi e di An, consigliere di facoltà
a Napoli, il più giovane vicepresidente della Camera nella storia repubblicana. In perenne, diretto
contatto con Gianroberto Casaleggio. E pure con
Grillo, che lunedì pomeriggio aveva rovesciato il
tavolo con il Pd. Ma che poi si è riallineato di corsa
come un discolo pentito, con il Di Maio pontiere e
con Casaleggio. Sta composto perfino il volto dei 5
Stelle, davanti al numero tre che fa riabilitare Pizzarotti, proprio sul blog di Grillo che l’aveva scomunicato infinite volte.
IL SEGNO PREMONITORE sono alcune frasi del
mico, il “moloch” per cui i fondatori del M5S pretendevano lo stop e che Pizzarotti ha lasciato aprire,
suo malgrado. Il sindaco scrive di controlli certosini
sull’impianto, promette un Osservatorio. Rivendica “gli atti concreti”dell’M5S a Parma. È la pace con
i vertici. Voluta da Di Maio. Negli scorsi mesi era
intervenuto varie volte su Grillo e Casaleggio in favore di Pizzarotti. Ne apprezzava il lavoro, ne sapeva il peso. E negli ultimi giorni ha rafforzato i
sindaco, ieri a Roma per una riunione dell’Anci. Gli
chiedono che ne pensa di Di Maio a capo della delegazione M5S per il tavolo con i Dem. E Pizzarotti,
solitamente cautissimo, va dritto: “Non si tratta di
una decisione calata
dall’alto, ma dell’identificazione di una figura
CORTESIE
che, per profilo istituzionale e per capacità, è
Il sindaco di Parma
la persona più adatta a
confrontarsi con i Deloda il lavoro
mocratici”. Un paio
del giovane
d’ore dopo, il post. Una
lettera in cui il sindaco
vicepresidente
di Parma assicura che
“la battaglia contro l’inPoi viene sdoganato
ceneritore non conosce
sul blog Cinque Stelle
soste”. È ancora un ne-
Luigi Di Maio LaPresse
contatti, con lui e con i dissidenti. L’uomo della
mediazione è il deputato triestino Walter Rizzetto.
Si parlavano da giorni, con il Di Maio che cerca
alleati interni. Perché molti ortodossi sono infuriati
per le aperture al Pd sul doppio turno, non concordate con l’assemblea. E non sopportano la visibilità mediatica del 28 enne campano, “l’unico
che va in tv”. I dissidenti, vecchi fautori del dialogo
con i Dem, hanno intravisto il varco. E sono andati
a vedere le sue carte.
Federico Pizzarotti LaPresse Con Pizzarotti, il loro
punto di riferimento, a
osservare da lontano. Il
primo punto d’accordo
con Di Maio l’hanno
trovato sul post per riabilitare il sindaco.
Un’idea nata la scorsa
settimana. Pizzarotti era
a Roma già mercoledì
sera. Probabile che abbia sentito Di Maio, almeno al telefono. Di
PASTICCIONI
il Fatto Quotidiano
Cdi antone
chiede
commissariare
la Maltauro su Expo
IL PRESIDENTE dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha inviato al prefetto di
Milano il provvedimento con la richiesta di commissariamento della società Maltauro, la principale
azienda coinvolta nell’inchiesta Expo e il cui patron
è stato carcerato perché ha collaborato alle indagini
della Procura di Milano. In questo modo la società
potrà continuare a svolgere i lavori all'interno del
IL MINISTRO
Maria Elena Boschi, titolare delle Riforme, ieri
si è detta “molto soddisfatta” per il testo e per il rispetto dei tempi
“di questo – ha detto – ringrazio la commissione Ansa
METAFORE AZZURRE
di
fd’e
Gasparri, bimbo
in gita con Silvio
M
aurizio Gasparri ricama talvolta metafore
strepitose sul caos interno di Forza Italia,
dalle riforme a tutto il resto. Prima un calcistico
“sembriamo il Brasile”, nel senso del Sette a Uno
teutonico, adesso l’autobus con l’autista maldestro
e inesperto. Ieri a Palazzo Madama i senatori azzurri si sono riuniti per l’ennesima volta. Solito
sfogatoio e divisioni tra nazareni e frondisti e pressing del Condannato per recuperare quanti più voti possibili alla causa renziana. All’uscita Gasparri,
nei panni del mediatore, ha consegnato la seguente
metafora: “Siamo come un autobus che deve affrontare gli ultimi tornanti di una salita difficile. Se
l’autista è bravo e ha una guida dolce e morbida, fila
tutto liscio, al contrario, se non è bravo i passeggeri
si affacciano al finestrino e vomitano tutti. Tutto
dipende dalla guida”. Per la cronaca il guidatore
maldestro sarebbe il capogruppo Paolo Romani.
certo ha cenato con alcuni parlamentari, dissidenti
e non, ostentando “tranquillità”. Sempre mercoledì
sera, Rizzetto e Di Maio hanno parlato a lungo nel
chiostro della Camera.
PROVE TECNICHE di intesa, per trovare nuovi
equilibri dentro il gruppo di Montecitorio. Di
Maio, i dissidenti (15, forse 20) assieme chi ci sta, tra
gli ortodossi. Si spera nel supporto di nomi di peso,
come Roberta Lombardi. E Alessandro Di Battista.
Fino alle Europee, lui e Di Maio erano i due dioscuri
del Movimento, i gioielli di famiglia di Grillo. Dopo
il tonfo nelle urne Di Battista è scivolato ai margini,
mentre Di Maio saliva, ancora. Ma da qualche giorno il deputato romano ha riguadagnato spazio, anche sul blog. E nell’assemblea di martedì ha lanciato
parole di pace al vicepresidente della Camera. Opposte ai dardi dei falchi, che a Di Maio hanno rimproverato di “non essere più lo stesso”, le “fughe in
avanti”. Ma il numero tre è forte, fortissimo. Ieri
Grillo ha mandato mail di fuoco a un paio di ortodossi critici. “Luigi va sostenuto, non sono tollerate spaccature su di lui” il senso dei messaggi.
Bisogna stare con Di Maio, l’uomo che tratta direttamente con Renzi e Guerini, anche tramite sms.
Per investitura diretta di chi comanda. Con lui.
Twitter @lucadecarolis
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
cantiere dell’Expo, ma dovrà rendere conto a un
commissario straordinario. Il magistrato anticorruzione - che nel testo esprime anche alcuni dubbi
sulle norme della legge (90/2014) che dà i poteri
all'Autorità - ha rilevato che “non è assolutamente
escluso che Maltauro avesse posto in essere un vero e proprio modus operandi che gli consentiva di
ottenere commesse pubbliche con la corruzione”.
IL CAPOGRUPPO
Paolo Romani ha provato ieri a domare l’assemblea del gruppo di Forza Italia. Non sono mancate accese rivendicazioni.
La fronda per adesso pare sotto controllo Ansa
IL PADRE COSTITUENTE
Il senatore Denis Verdini ieri a Palazzo Madama. È lui uno degli artefici del “patto del Nazareno” che ha
messo assieme Forza Italia e Partito democratico Ansa
Grasso, l’ultimo
chiude il Senato
IL PRESIDENTE CHE AVEVA AVVERTITO “RESTI UN’ASSEMBLEA ELETTIVA”
ORA È COSTRETTO A RISPETTARE I TEMPI STRETTI DEL ROTTAMATORE
PRESSATO ANCHE DALL’ANSIA DI NAPOLITANO AL QUIRINALE
di Fabrizio d’Esposito
L
a solitudine di Pietro Grasso. Dalla resistenza alla rassegnazione, al quasi
silenzio. Il Senato sta morendo
per mano del renzusconismo,
letale sintesi tra lo Spregiudicato e il Pregiudicato, e il siculo
Grasso è costretto ad assistere
passivamente al funerale della
creatura che presiede. I nuovi e
vecchi “saggi”, da Calderoli a
Boschi, che compulsano testi,
emendamenti, scadenze e
Il presidente
del Senato,
Pietro
Grasso Ansa
5
direttive lo trattano con istituzionale sufficienza. Come se la
seconda carica dello Stato, presidente della Repubblica supplente in caso di necessità, fosse una semplice formalità tra
loro e il Cambiamento annunciato. Lui, a dire il vero, prova
ad avere quantomeno un sussulto d’orgoglio. L’ultimo ieri,
quando è stato chiaro a tutti
che l’ulteriore fretta dei rivoluzionari del Nazareno stava
provocando un mezzo pasticcio. La seduta è durata meno di
trenta minuti e questo è stato il
LO SCONTRO
Calderoli
voleva fissare
il calendario d’accordo
con la sua commissione
Lui: “Non può, questo
lo decide il Presidente”
botta e risposta finale tra Grasso e Calderoli, dopo uno spassoso minuetto sul braccio ingessato del senatore leghista.
Calderoli: “Signor Presidente,
volevo segnalarle che i relatori
ritengono che data e orario definiti per l’attività emendativa
possano e debbano essere riconfermati. Così ha deciso la
commissione all’unanimità.
Pertanto, salvo restando qualunque evento eccezionale, ritengo che la data stabilita sia
congrua con i tempi prefissati”. Secca e infastidita la rispo-
sta di Grasso: “La ringrazio,
anche se i poteri su questo non
li ha la commissione ma il presidente”.
UN SEGNALE di ribellione, un
dettaglio nei resoconti parlamentari, ma che misura il mal
di pancia del magistrato antimafia scelto a suo tempo da
Bersani. Altra era geopolitica.
Il renzismo non fa prigionieri e
lui è condannato a chiudere
per sempre la porta di Palazzo
Madama. Malachia predisse
che l’ultimo papa della storia si
chiamerà Pietro II, come il
principe degli apostoli. Ecco,
Grasso si chiama Pietro e sarà
l’ultimo presidente del Senato
secondo la profezia di Matteo.
È stato lasciato solo anche da
Giorgio Napolitano. Anche il
Monarca del Quirinale vuole
fare subito e il povero “Pietro”
è costretto finanche a smentire
la notizia di un incontro con il
capo dello Stato.
Alle cinque del pomeriggio, la
seduta è già tolta. In Transatlantico passano i protagonisti
della battaglia rivoluzionaria.
Nessuno si cura di Grasso.
Nessuno parla di lui. Per i democratici il vero presidente in
questo frangente, garante del
patto con il Condannato, è il
canuto Luigi Zanda, capogruppo. “Ieri sera (mercoledì per
chi legge, ndr) è stato Zanda a
imporre l’accelerazione di oggi. Grasso si è adeguato”. A sua
volta a premere sul capogruppo democratico sarebbe stata
Maria Elena Boschi, onnipresente vestale del renzismo. La
cinghia di trasmissione della
rivoluzione che cambia verso
al Senato è questa. Grasso è
l’ultima rotella del meccanismo. Alla fine di marzo non
sembrava così. Con un’intervistona a Repubblica, house organ
del renzismo, il presidente di
Palazzo Madama mostrava il
petto ai fucilatori del nuovo
corso democratico: “Non abolite il Senato, resti un’assemblea elettiva”. Parole che ancora oggi vengono tradotte crudelmente nei capannelli dei senatori: “Diciamo la verità,
quando Grasso è stato eletto
non conosceva nulla di questo
posto. Si è consegnato all’amministrazione del Senato che
oggi è in prima fila nella resistenza della conservazione”.
IN OGNI CASO a rimettere al
suo posto Grasso, pubblico ministero che ha fatto la guerra
alle cosche, ci pensò la gentile
vicesegretaria del Pd, Debora
Serracchiani, che gli ricordò il
neocentralismo
renziano:
“Grasso è un presidente di garanzia ma credo anche che, essendo stato eletto nel Pd, debba
accettarne le indicazioni”. Vero in parte. Perché Grasso la
spuntò su Schifani grazie ai voti grillini. Nel Movimento 5
Stelle scoppiò il primo casino
sul soccorso amico ma poi i
rapporti si sono distesi, se non
ribaltati. Il feeling con M5S è
costante e reciproco e forse
questo è l’unico tesoretto accumulato dal presidente del Senato nella funesta corsa verso
la distruzione del vecchio Senato.
A meno che la rassegnazione di
questi giorni non nasconda il
prezzo da pagare per l’ambizione mai sopita di farsi issare
quando sarà sul trono del Quirinale. Prima o poi il patto del
Nazareno approderà all’inciucio finale sul nuovo capo dello
Stato (ah, quante grazie da reclamare) e Grasso potrebbe essere un candidato autorevole.
In fondo, politicamente, è giovane ed è adattabile alle stagioni che passano. E l’onta di essere l’ultimo presidente, una
sorta di Madamazo brasiliano,
diventerà un peccatuccio veniale.
6
EFFETTO ANNUNCIO
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
Ialla
l Nobel Yunus
Camera: servono
banche per i poveri
PERCHÉ NON FARE LEGGI ad hoc per dar vita a
un sistema bancario per i poveri? È questa la
proposta avanzata dal premio Nobel per la Pace
Muhammad Yunus, durante la sua lectio magistralis alla Camera. "La gente nel mondo non è
legata alle banche - ha spiegato - ma abbiamo
bisogno di un sistema bancario che sia inclusivo,
che possa accogliere tutti. Sinora però il sistema
bancario non è cambiato. Abbiamo bisogno di
provvedimenti legislativi che creino un quadro
giuridico, perché le banche siano banche per i
poveri, per gli indigenti. Mi sembra un proposito
estremamente semplice ma non è cambiato nulla". "Chiedo al parlamento italiano - ha proseguito il premio Nobel -: perché non creiamo delle
leggi ad hoc affinché le banche siano anche per gli
ALITALIA E STATALI, RENZI
PROVOCA ANCORA I SINDACATI
TAGLIO AI PERMESSI SINDACALI E ACCORDO SULLA COMPAGNIA: “OPPURE SI CHIUDE”
G
li spot e il tono
sono quelli di
sempre, anche il
nemico, utile ad
attenuare la percezione che
dietro gli slogan ci sia poco: i
sindacati. “Non abbiamo
paura di dimezzare il monte
ore dei permessi sindacali,
stiamo attuando un percorso
di riforme così radicale e significativo al Senato che figuriamoci se abbiamo paura.
Se hanno il 50 per cento dei
permessi in meno nessuno
soffrirà”, dice il premier dopo il Consiglio dei ministri
parlando della riforma della
pubblica amministrazione
che dovrebbe rappresentare
una “rivoluzione copernicana” (anche se si tratta di una
legge delega, quindi con
tempi lunghi).
SECONDO RING: Alitalia.
Entro poche ore si devono
chiudere i negoziati con la
compagnia araba per Etihad,
ultima speranza per l’azienda
dei “capitani coraggiosi” che
perde mezzo miliardo all’anno. “Oggi il rischio non è sugli esuberi, ma il fallimento.
L’alternativa è tra un numero
x o y di esuberi e la chiusura”,
è il messaggio che il premier
manda ai sindacati che stanno passando la giornata
chiusi a negoziare nel ministero dei Trasporti di Maurizio Lupi.
Sulle misure concrete è, come sempre, difficile distinguere tra vaghe promesse e
comunicazioni di provvedimenti adottati. Ne è consapevole anche Renzi, che spiega: “Inutile fare le leggi se
non si applicano”. Il riferimento è alle 752 norme che
SENZA LAVORO
Jobs Act,
l’incompiuta
del premier
oveva essere il lavoro. Non la Pubblica amministrazione,
D
le tasse, il Senato. Doveva essere il lavoro la grande riforma di Matteo Renzi, la sfida generazionale, una rottura ra-
Matteo Renzi e il ministro Maria Elena Boschi Ansa
cutiva: c’era il decreto, adesso
c’è anche la legge delega, che
avrà tempi lunghi nell’approvazione. “Alla fine dei
1.000 giorni il rapporto tra
pubblica amministrazione e
cittadino è rovesciato, alla fine di questo percorso la P.a.
avrà il dovere di mettere online tutti i tipi di certificati o,
altrimenti, di inviarli a casa
entro 48 ore”, è la promessa.
Meno carta, più computer,
accorpamento del registro
dell’Aci con quello della motorizzazione, ruolo unico per
i dirigenti pubblici così da
poterli spostare e licenziare
più facilmente. Tutte novità
indigenti? Si può partire da una piccola banca che
poi può dar vita all’attività di altre banche con il
microcredito. Perché le Ong non possono entrare
a far parte del sistema per sostenere la crescita?".
"Ritengo che il Parlamento debba giocare un ruolo forte e propulsivo" per favorire il microcredito a
sostegno della lotta alla povertà, ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini.
di Stefano Feltri
aspettano i decreti attuativi
dai tempi dell’esecutivo tecnico di Monti. Per rimediare
a questa situazione “allucinante”, Renzi ha una strategia: all’inizio di ogni Consiglio dei ministri, Maria Elena
Boschi (titolare delle Riforme) farà la conta. E ognuno
dei colleghi di governo dovrà
spiegare quanti decreti attuativi gli mancano e perché non
li ha ancora ottenuti.
La riforma della pubblica
amministrazione adesso è
completa, anche se non ese-
LEGGI DELEGA
Il governo promette
di rendere stabili
le risorse del cinque
per mille, c’è il testo della
riforma della Pubblica
amministrazione
il Fatto Quotidiano
che dovranno diventare poi
provvedimenti specifici da
negoziare con il Parlamento.
IL CONSIGLIO dei ministri ha
approvato anche un’altra legge delega, quella che riguarda
la riforma del terzo settore (il
no-profit). In attesa di leggere il testo del provvedimento, se ne conoscono le
principali novità. Cambia la
disciplina delle imprese sociali (una via di mezzo tra
cooperative e aziende normali), arriveranno i “bond
della solidarietà”, una forma
di finanziamento agevolata, e
cambia anche la disciplina
del cinque per mille, quella
quota delle proprie tasse che i
contribuenti possono destinare ad associazioni ed enti.
In teoria il meccanismo dovrebbe diventare permanente, superando la perversione
attuale per cui in ogni legge
di stabilità viene assegnato
agli enti scelti dal contribuente solo una quota del
gettito teorico (il resto viene
dirottato dove serve a tappa-
DECISIONISMO
Mancano i decreti
attuativi? A ogni riunione
dell’esecutivo la Boschi
interrogherà i colleghi
e farà la conta di quanti
ne restano da approvare
re buchi nel bilancio). Vedremo il testo finale se manterrà
la promessa. C’è poi un tentativo di promuovere il servizio civile europeo di cui
spesso parla Renzi, con “una
programmazione
almeno
triennale” e il coinvolgimento di cittadini stranieri, con la
promessa difficile da decifrare che “farà curriculum”.
Ultima novità: gli enti del
terzo settore dovranno poter
utilizzare con maggiore facilità rispetto a oggi gli immobili pubblici che lo Stato non
usa. Ma anche questa, per
ora, è soltanto una promessa.
dicale fin dal nome, Jobs Act, modello Obama. Invece niente o
quasi: il Senato rinvia l’esame del disegno di legge delega che –
comunque con tempi biblici – dovrà essere la premessa per una
vera riforma. Per ora si è visto solo un decretino che liberalizza
un po’ i contratti a tempo determinato (era più liberista, poi la
minoranza di sinistra del Pd lo ha neutralizzato in Parlamento).
Una volta Renzi si presentava come l’ariete di Pietro Ichino, il
giuslavorista eletto quasi per sbaglio senatore del Pd che continuava a trovarsi in minoranza con le sue idee di contratto a
tutele crescenti e superamento dell’articolo 18. Poi Ichino è
passato a Scelta Civica, Renzi ha capito che per conquistare il Pd doveva
sfidare le burocrazie sindacali ma
conquistare il voto dei loro iscritti. E
quindi addio alle promesse ai giovani precari e alle partite Iva e avanti
con rassicurazioni a impiegati statali
a fine carriera e insegnanti. Il ministro del Welfare Giuliano Poletti doveva essere il volto pacioso della rivoluzione renziana. Invece ora lo
scopriamo uguale a tutti i suoi predecessori, a denunciare in apposite
interviste che “manca un miliardo
Giuliano Poletti LaPresse
per la cassa integrazione”. Per forza:
il governo non ha neppure cominciato a riformare gli ammortizzatori sociali e quindi le Regioni
continuano a presentare le loro discutibili richieste di fondi per
la cassa integrazione in deroga (che, come dice il nome, dovrebbe essere una misura tampone, non strutturale).
Certo, il contesto non aiuta: il progetto di Garanzia Giovani
voluto dal governo Letta (e rivendicato da quello Renzi) non
sta funzionando bene, le agenzie per l’impiego mettono in contatto domanda e offerta di lavoro, ma a fronte di 110 mila
candidature le imprese hanno da riempire solo 4mila posti.
Pochini. La Commissione europea continua a sollecitare il governo a fare un bilancio della riforma Fornero: se la revisione
dell’articolo 18 non ha dato i risultati sperati, perché i licenziamenti più facili non hanno fatto aumentare investimenti e
assunzioni, bisogna intervenire ancora. Ma il Renzi rottamatore è diverso da quello di governo. Da premier ha capito che il
lavoro è un tema che è meglio evocare piuttosto che affrontare,
sperando che la Bce, la buona sorte, l’inversione del ciclo economico, migliorino un po’ le statistiche sull’occupazione. Il
governo potrà comunque prendersene il merito.
INCHIESTA MOSE
La Giunta vota: sì all’arresto di Galan
on c'è fumus persecutionis.
N
L'inchiesta è seria e mette
le mani in vicende gravissime.
Le stesse intercettazioni sono
state usate nel pieno rispetto
della legge e in modo "non invasivo". Per queste ragioni può
essere concessa l'autorizzazione all'arresto di Giancarlo Galan. Lo ha deciso ieri la Giunta
per le autorizzazioni a procedere della Camera con 16 sì e 3 no.
Contrari i deputati di Forza Italia, Ncd e del Psi, a favore tutti
gli altri, compreso il relatore
Mariano Rabino (Sc), mentre il
presidente della giunta, Ignazio La Russa, non ha partecipato al voto. “Non si può riconoscere il fumus perecutionis in
un provvedimento giudiziario
per il fatto, del tutto opinabile,
che esso in ipotesi non sia conforme a una disposizione che
non esisteva al momento della
sua emanazione” è il pensiero
di Rabino. Che ha anche smontato ogni contestazione sul modo in cui è stata condotta l'inchiesta sul Mose dalla Procura
di Venezia. “L'inchiesta – ha
detto – non ha abusato di mezzi
invasivi di ricerca delle prove.
Anzi, per certi versi, l'azione investigativa è stata persino portata ad esempio di legittimo
uso delle intercettazioni”.
PRIMA del voto sull'autorizza-
zione all'arresto si era votato
sulla richiesta avanzata dal deputato Marco Di Lello, Psi, per
la remissione degli atti alla magistratura. Anche in questo caso un no, 16 contrari e 3 favorevoli. Chiara la posizione del
Pd. “Tenendo presente che il
compito della Giunta è quello
di accertare se il Gip manifesti
un intento persecutorio verso
un parlamentare, posso affermare che nel caso Galan non si
ravvisa fumus persecutionis”.
Così la deputata Sofia Amoddio
nel suo intervento in Giunta.
“Studiando il fascicolo è chiaro
che il giudice non richiede la
custodia cautelare in carcere
IL 15 LUGLIO
Ora alla Camera
il voto finale. L’ex
governatore: “Spero
che i colleghi dell’aula
leggano le carte
Io sono innocente”
solo per il parlamentare Galan
ma per tutti i soggetti indagati
di corruzione, con una motivazione che equipara la condotta
del Galan a quella di altri indagati. Escludo il fumus da parte
del Gip, anche alla luce delle tesi
difensive illustrate dall’onorevole Galan che, ad esempio, lamenta come il pm non abbia disposto il suo interrogatorio. È
utile precisare che nessun pm
ha l’obbligo di interrogare la
persona nei cui confronti sta
svolgendo le indagini. Ricordo
che ancora oggi le indagini non
sono chiuse e l’obbligo per il pm
di sentire l'imputato - solo su
sua richiesta - nasce dal momento in cui l'indagato riceve
l’avviso di conclusione indagini
e non prima”. Si difende Galan
e spera nel voto dell'Aula il
prossimo 15 luglio. “Purtroppo
l’esito del voto della Giunta era
stato ampiamente annunciato afferma l’ex governatore - da
numerose (incaute e poco istituzionali) dichiarazioni. Ho
voluto credere fino in fondo che
valutare in merito alla libertà di
una persona, che valutare l’applicazione della massima misura cautelare, prescindesse da
orientamenti politici. Così non
è stato, non posso che prenderne atto con amarezza e sconcerto. Resto fiducioso che i colleghi
d’aula abbiano letto la documentazione che ho prodotto e
votino secondo coscienza, personale. Io sono innocente, un
politico innocente, non smetterò di ripeterlo semplicemente
perché è la verità". L'ultima speranza, quindi, è che in Aula
qualcuno chieda il voto segreto.
“E non saremo certamente noi -
Giancarlo Galan Dlm
sottolinea Danilo Leva del Pd -,
forse altri parlamentari lo faranno, ma non temo imboscate,
l'ordinanza non lascia spazi a
dubbi”. Per Mario Giarrusso,
senatore M5S “Galan deve andare in galera per direttissima e
lo devono portare fuori dalla
Camera con le manette ai polsi,
come cosa simbolica per dare
un esempio”.
E. F.
L’APPELLO
il Fatto Quotidiano
Lpera voce
di tutti
bloccare
un patto scellerato
SEMPRE più lettere in redazione
per condividere l’appello de il Fatto
Quotidiano – lanciato domenica
scorsa, 6 luglio – su come opporsi
alla svolta autoritaria del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con
il sostegno del leader di Forza Italia,
Silvio Berlusconi.
Nell’articolo venivano ricordati i dieci punti attraverso i
quali si intende imprimere la
svolta: riguardano Camera,
Senato, ruolo dell’opposizione, la scelta del capo dello
Stato, il controllo sulla Corte
costituzionale, l’influenza su
Cortei, appelli e tv:
insieme per fermare Renzi
LE PROPOSTE DEI LETTORI PER CONTRASTARE IL DISEGNO USCITO DAL NAZARENO
”RIFORME SÌ, MA NON QUESTE. STOPPIAMO LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA”
Quattro punti per le riforme
senza dimenticare i vitalizi
Il consenso alle elezioni europee non equivale a consenso su
queste riforme. Si potrebbe cominciare con una raccolta firme e una manifestazione già ai
primi di settembre. La prima richiesta dovrebbe essere l’abolizione dello sbarramento perché
porta al ricatto del voto utile. Il
secondo punto è la libera scelta
dei parlamentari: i cittadini devono poter decidere chi mandare alle Camere. Il terzo è una
diversa riforma del Senato: la
proposta uscita dal Nazareno è
inaccettabile, ma la riduzione
del numero dei suoi membri
può essere accettata, l’importante è che rimanga elettivo e
con le stesse funzioni. La quarta
questione riguarda il premio di
maggioranza: se un partito non
riesce a convincere la maggioranza, per quale motivo deve
essere premiato? Si resta in attesa anche di un provvedimento che riduca i compensi e dei
vitalizi dei parlamentari.
Albarosa Raimondi
Scendiamo in piazza contro
le istituzioni dei nominati
Con la proposta di riforma di
Renzi, cinque o al massimo sei
segretari di partito decideran-
Articoli in saldo
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
7
Csm e magistrati, il ruolo del procuratore capo
“padre-padrone” dei pm, l’immunità per senatori e deputati, le mani sull’informazione (il
governo domina la Rai e B. controlla Mediaset)
e i cittadini che restano senza armi se non i
referendum abrogativi e leggi d’iniziativa popolare (per proporle serviranno non più 50 mila ma 250 mila firme).
LA LETTERA
La svolta che deve
far riflettere
chi ha votato Pd
L’INTERVENTO DI UN CONSIGLIERE COMUNALE
DI FIRENZE CHE CONOSCE BENE IL PREMIER
aro Direttore, pur condividendo molto delle vostre riflesC
sioni sulla “democrazia autoritaria”, non so quanto possa
aiutare una rappresentazione tanto drammatizzante rispetto
no chi siederà alla Camera.
Anche i consiglieri delle aree
metropolitane verranno eletti
con elezioni di secondo grado.
Un partigiano cattolico più
volte si chiedeva,e mi chiedeva, a cosa fosse valsa la lotta armata che aveva combattuto
con l’intento di ristabilire la
democrazia. La domanda è rimasta senza risposta. Propongo di fare il prossimo settembre una festa del quotidiano
per chiedere di restituire ai
cittadini la possibilità di vota-
re i rappresentanti nelle istituzioni.
Sergio Gaiotti
Attenzione a Napolitano
Interviene a gamba tesa
Ritengo che oltre alle petizioni e
alle raccolte di firme su documenti redatti da giuristi e costituzionalisti, sia necessario portare avanti una campagna di informazione continua e capillare sulle poche televisioni libere e stilare
un programma di manifestazioni popolari, non solo a Roma, ma
anche in altre città. È necessario,
altresì, continuare a martellare il
presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano: ha giurato
fedeltà alla Costituzione, ma stravolge spesso le sue prescrizioni
entrando a gamba tesa sull’operato degli altri poteri. Infine, tutti
i movimenti politici della sinistra
italiana e le associazioni della società civile devono partecipare a
questo processo, se non vogliono
sparire, schiacciati dalle riforme
di Renzi e Berlusconi.
all’obiettivo di rianimare uno spirito critico in questo nostro
addormentato Paese. Ovviamente spero di sbagliare e, comunque, ringrazio il vostro (mio) quotidiano per avere sollevato
una questione di cultura democratica e di difesa dei principi
costituzionali.
Vengo al punto: io non credo (non voglio credere) a un disegno
autoritario di Matteo Renzi. Per come lo conosco, per quanto
sia in grado di leggere, vedo senz’altro atteggiamenti populisti
coniugati a una straordinaria capacità di entrare in sintonia con
la “pancia” del cittadino-elettore, il quale però – mi par di capire
– non vedeva l’ora che si profilasse all’orizzonte dell’ennesimo
uomo della provvidenza. Provvidenziale, quest’uomo, soprattutto a sinistra, dove le delusioni e le frustrazioni del ventennio
berlusconiano (in verità dieci anni di governo e dieci di inciucio) fanno immaginare che il sol dell’avvenire possa finalmente giungere e illuminare il decennio (o ventennio) del ragazzo di Rignano sull’Arno. Quindi vorrei richiamare l’attenzione sul rischio di una democrazia autoritaria che non avverrà
“a insaputa” del popolo italiano, ma con il suo convinto sostegno.
Durante tutta la parabola di Silvio Berlusconi non ho mai avuto
seri timori sulla tenuta democratica, perché ne vedevo attivi e
reattivi tutti i necessari anticorpi. Ora, invece, sembra proprio
che il Potere stia vincendo il suo “gran gioco” perché mentre
Berlusconi aveva da fare i conti con una serie di contropoteri,
niente sembra oggi volersi opporre alla marcia trionfale di Renzi. Al punto che quello che dovrebbe essere il suo principale
antagonista spera vivamente (e lo fa dire al figlio) che il giovane
premier faccia il gioco sporco al posto suo e sistemi come si deve
le sue aziende e, soprattutto, quel cancro dei giudici politicizzati. Che fare, dunque? Sfidare Renzi sul piano dei contenuti e
delle contraddizioni fra promesse e cose fatte, perché quanto a
parlantina e disinvoltura il ragazzo non ha eguali al mondo.
Rosario Marano
Cristina Scaletti - Consigliere comunale per “La Firenze Viva”
Il giurista Massimo Villone
“È una bestemmia alla Costituzione”
di Silvia Truzzi
on sarà un Belpaese l’ItaN
lia controriformata dallo
stravolgimento costituziona-
le. “Guai a valutare separatamente la legge elettorale e la
riforma del Senato. Si azzera il
Senato e pure la Camera, che
attraverso l’Italicum garantisce al leader eletto un obbediente parco buoi. Il parlamento non conta più, e nemmeno l’esecutivo. Conta il leader, già si vede con il governo
Renzi dove i ministri sono la
sua squadra personale. Il disegno è proprio questo: un governo personale”, spiega Massimo Villone, ordinario di diritto Costituzionale all’Università Federico II di Napoli,
ex senatore prima del Pds e poi
dei Ds.
Professore, i cittadini non capiscono perché per sanare una
situazione causata da una legge elettorale dichiarata incostituzionale se ne predisponga
un’altra fortemente sospettata
degli stessi limiti.
L’incostituzionalità dell’Italicum è evidente. Le censure che
la corte rivolge al Porcellum su
liste bloccate e premio di maggioranza valgono tal quale per
il nuovo sistema. L’Italicum
risponde esattamente al disegno politico e agli interessi dei
due attori, Renzi e Berlusconi,
che trovano la risposta a quello che, secondo loro, è il problema della competizione politica oggi. Non so se questa
analisi resiste, considerando
che Forza Italia non è più la
seconda forza. È un sistema
pensato per i due maggiori
partiti: gli altri possono anche
morire.
Dopo la sentenza della Corte
sul Porcellum era chiaro che
bisognava fare la legge elettorale, ma sarebbe stato molto
più rispettoso verso i cittadini
lasciar fare le riforme costituzionali a un parlamento di
eletti e non di nominati.
È arroganza politica e mancanza di cultura costituzionale. Questo Parlamento manca
di legittimazione sostanziale,
anche se non di legittimità formale. E la maggioranza che
vuole le riforme – costruita
sulle norme incostituzionali –
scassa la legge fondamentale
in base alla quale è priva di legittimazione. Per un costituzionalista è una bestemmia
contro la Carta.
Il suo collega Alessandro Pace
al Fatto di ieri ha dichiarato:
“Una siffatta concentrazione
di poteri, in capo a un solo organo e a una sola coalizione
(per non dire in capo a un solo
partito e al suo leader) è impensabile in una democrazia liberale. Lo affermò esplicitamente lo stesso presidente
Napolitano nel discorso per il
60° anniversario della Costituzione, allorché prese le distanze dal semipresidenzialismo
francese”.
Credo che Napolitano sia genuinamente preoccupato della salute delle istituzioni, ma
non si può dire “riforme co-
RIDUZIONE
DEI COSTI
Le spese reali
sono gli immobili,
i servizi, il personale
Usare questo pretesto
per giustificare
il nuovo Senato
è una boiata pazzesca
munque”. “Quali riforme” è
pregiudiziale. Qui si mette in
campo una cosa che non ha
riscontri, nemmeno nel modello francese, che conserva la
possibilità d’identità politiche
diverse tra Parlamento e presidente. Nel modello che si
prefigura per noi il leader è
eletto sostanzialmente in modo diretto, comanda la sua
maggioranza, si fa le liste, cioè
porta alle Camere chi vuole.
Un sistema più riduttivo degli
spazi di democrazia rispetto al
semipresidenzialismo e al presidenzialismo. Un’assemblea
elettiva con una maggioranza
prefabbricata e blindata è un
vuoto simulacro di democrazia.
Renzi dice: il Senato non elettivo fa risparmiare. Non era
meglio ridurre il numero complessivo dei parlamentari?
Certo. Ma era più difficile perché si disturbava la Camera, i
cui numeri sopperiscono alle
fragilità della maggioranza in
Senato. Le indennità dei senatori – cui si aggiungono comunque i costi di permanenza
a Roma – sono alla fine spiccioli. Basta leggere i bilanci del
Senato per vedere che i costi
veri – e questi rimangono – so-
no la gestione e manutenzione
degli immobili, i servizi, il personale. È una boiata pazzesca.
Il premier dice anche che il sistema del bicameralismo, con
la navetta tra una Camera e
l’altra, fa perdere tempo.
Guardate le statistiche sul sito
del Senato. La quasi totalità
della produzione legislativa fa
capo al governo, con decreti
delegati o legge. Al voto finale
per la conversione di un decreto legge si arriva in ciascuna camera in un tempo medio
di 14 giorni.
L’immunità è una garanzia prevista dai padri della patria, dicono.
Massimo Villone in Senato LaPresse
La garanzia originaria è stata
importante per la sinistra. Un
tempo, deputati e senatori si
mettevano a capo delle manifestazioni perché avevano la
copertura parlamentare. Poi,
la garanzia è uscita dall’orbita
dell’agire politico ed è entrata
nei meccanismi corruttivi.
Oggi, è sensato mantenere (sia
per i deputati che per i senatori
di seconda scelta non eletti)
solo l’insindacabilità delle opinioni espresse e i voti dati
nell’esercizio delle funzioni, e
forse l’autorizzazione per l’arresto, che può incidere sugli
equilibri politici dell’assemblea.
Cosa succederà?
La prima lettura della legge costituzionale si svolge esattamente come una legge ordinaria, con maggioranza non
qualificata. Dopo l’eventuale
navetta, la prima deliberazione si chiude con l’approvazione di un identico testo. Nella
seconda si può solo dire sì o
no. Non ci sono emendamenti, questioni pregiudiziali, sospensive: prendere o lasciare.
Dunque, si decide tutto qui e
ora.
8
TRA PALCO E REALTÀ
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
N
apoli: 45 avvisi
di garanzia per
il crollo in Galleria
LA PROCURA di Napoli ha emesso
45 avvisi di garanzia per indagare
sulle responsabilità della morte di
Salvatore Giordano, il quattordicenne vittima dei calcinacci caduti
all’interno della Galleria Umberto I.
Le ipotesi di accusa, formulate dal
procuratore aggiunto Luigi Frunzio e
dai pm Stefania Di Dona e Lucio Gugliano, sono omicidio colposo e crollo colposo. I Carabinieri della compagnia Napoli Centro si stanno occupando in queste ore di notificare
gli avvisi di garanzia. Dalle prime informazioni si apprende che tra i
coinvolti ci figurano tre funzionari
il Fatto Quotidiano
dell’ufficio tecnico del Comune e gli
amministratori e i proprietari di alcuni locali posizionati nell’ala della
galleria dove si è verificato il crollo.
Intanto i pm hanno disposto una superperizia sia sul crollo della facciata
che sulle condizioni di altri elementi
di valutazione dei cornicioni.
Cairo vuole nuovi canali
e sogna una Rai3 privata
IL PATRON DI LA7 SVELA I PALINSESTI DELLA NUOVA STAGIONE, MA NON RIVELA
LO STIPENDIO DEL NUOVO ACQUISTO FLORIS STRAPPATO ALLA TV PUBBLICA
La processione del 2 luglio a Oppido Mamertina Ansa
di Carlo Tecce
T
inviato a Milano
re anni fa, non venti,
sala più ampia e meno sfarzosa, Urbano
Cairo sgranocchiava
noccioline e agguantava tartine,
mentre l’amministratore delegato Gianni Stella, il temuto er
canaro di La7, gridava i palinsesti. Tre anni fa, non venti, Cairo
gestiva la pubblicità di La7, e la
proprietà (Telecom) non stramazzava per l’entusiasmo. Il
contrario. Oggi Cairo ha prenotato uno stanzone di un albergo
milanese a cinque stelle, ha convocato i giornalisti, ha diluito
un’attesa (mediatica) e ha declamato l’accordo: “I prossimi
cinque anni Giovanni Floris li
passerà da noi”.
opinioni. Ha messo insieme un
sacco di prime punte, da Enrico
Mentana a Michele Santoro, da
Giovanni Floris a Lilli Gruber,
ma in conferenza stampa non è
accompagnato. Più che uno vale
uno, ciascuno vale qualcosa. Il
canale monotematico ti fa editore figo, docente ordinario e
non più supplente di un servizio
pubblico che ha abdicato: interessante, però conta il denaro. E
questo è un modo di Cairo per
PER RAGIONI di profilo del pub-
NON SCOPRE le cifre, smentisce
quei 4 milioni di euro in 3 anni:
non era così, sbagliato, ma il
giornalista avrà più spazio (e più
soldi) che in passato su Rai3.
Avrà il martedì sera con Maurizio Crozza in copertina e
15-20 minuti prima del TgLa7.
Cairo ha messo insieme un canale d’informazione, ha scippato a Rai3 (senza dover lottare,
invero) il ruolo di produttore di
notizie e, soprattutto, di parole e
fare denaro. Perché l’omonima
società di raccolta pubblicitaria
– la Cairo Communication – ai
lettori popolari dei periodici
può sommare i telespettatori di
fascia alta di La7: non per caso,
da operatore integrato, può
sfoggiare 70 aziende che hanno
deciso di investire in esclusiva
su Gruber&C. I volti di La7, capitanati da Mentana, sono esposti agli inserzionisti, non ai cronisti. Più redditizio. Già, Mentana. Cairo lo nomina, lo elogia,
racconta le telefonate, le consultazioni: vuol far capire che la
striscia quotidiana di Floris non
darà fastidio al direttore.
Urbano Cairo Ansa
blico e di ascolti, La7 non farà la
cronaca gialla di Salvo Sottile,
convertito al dibattito politico
con buoni riscontri di share, ma
un mercoledì al femminile: si alternano Myrta Merlino (L’Aria che
tira), Giulia Innocenzi (Announo)
e Daria Bignardi (Invasioni Barbariche). Non c’è una logica editoriale. Ma è molto efficace per vivere meglio: così, dentro, ci stanno tutti. La7 ha prenotato un
pubblico potenziale per attrarre
le società che staccano assegni e
riempiono i 4 minuti di stacco
pubblicitario, poi dovrà sperimentare un modello a sua volta
innovativo: la concorrenza interna. In viale Mazzini, per anni, si
sono lamentati per la concorrenza orizzontale tra Rai1 - Rai2 Rai3, qui sarà verticale: lo share è
un trofeo per chiunque, non esistono amichevoli con l’Auditel. E
La7 ha un gruppo competitivo.
Cairo ha comprato la tv per un
milione, Telecom non sapeva come arrestare una macchina mangia-soldi. Il patron del Torino ha
ricevuto pure una dote per ristrutturare il debito e ora, assicura, da metà 2015 potrà utilizzare
quel denaro per investire: scaduto il vincolo, portato il bilancio in
utile, può disporre di 88 milioni
di euro. Vuole fare nuovi canali.
Per due motivi: differenziare il
profilo di spettatori non paganti
ma acquirenti; sfruttare le frequenze che ha comprato all’asta –
e a prezzi di saldo – dal ministero
per lo Sviluppo economico. Cairo offre più versioni di sé: rabdomante di pubblicità, fabbricatore
di riviste, azionista di Rcs, patron
del Toro e di La7. Adesso ci gioca,
tanto. Scherza su Rcs, che derubrica ad attività secondaria, o anche più laterale. E fa l’imprenditore vorace: “Non chiedetemi di
Rai3, non è la nostra. Ma se privatizzano, ci candidiamo”. I pronomi personali spiegano il mondo. Altro che noccioline.
PIANA DI GIOIA TAURO
Il vescovo: “Estate
senza processioni”
MONSIGNOR MILITO PROIBISCE LE CELEBRAZIONI
MA ATTACCA LA STAMPA: “NOTIZIE TENDENZIOSE”
di Lucio Musolino
Reggio Calabria
ha definita “un atto d’amore per la nostra Chiesa tra pasL’
sato e futuro”. Alla fine è arrivato il provvedimento del
vescovo Francesco Milito dopo le polemiche sulla processione
di Oppido Mamertina dove il 2 luglio la statua della Madonna
delle Grazie si è inchinata davanti all’abitazione dell’ergastolano della ’ndrangheta Peppe Mazzagatti. Da ieri, infatti, sono
state sospese a tempo indeterminato tutte le processioni della
diocesi. Tutte le parrocchie della Piana di Gioia Tauro, quindi,
interromperanno i preparativi delle varie celebrazioni previste
per l’estate. “La scelta del vescovo – dice il vicario Giuseppe
Acquaro – è finalizzata ad avviare una riflessione sullo svolgimento delle processioni dopo quanto accaduto a Oppido”. Il
vescovo Milito, però, attacca la stampa: la Diocesi deve essere
“confortata e salvaguardata dalla sovraesposizione mediatica,
non esente, purtroppo, e alimentata da notizie tendenziose false e provocatorie”. E ritornando sulla decisione: “Si tratta di un
gesto di cautela, di invito alla riflessione e al silenzio. Nessuno è
autorizzato a vedervi un gesto di sfiducia o di giudizio verso
coloro che alle processioni contribuiscono con dedizione e rettitudine. Una comunità adulta nella fede comprende sempre e
condivide scelte per le quali non sono ammissibili interpretazioni arbitrarie e, tanto meno, comportamenti autonomi”.
TERZA REPUBBLICA
Nasce Cinelandia, vip in coda sulla Pontina
di Giorgio Meletti
spiega che il progetto è nato nel
2003 ed è rimasto fermo per cinque anni in attesa del cambio di
destinazione dell’area, nella quale era esplicitamente vietato fare
attività di “intrattenimento”. Fu
l’assessore regionale Esterino
Montino, dicono dalla Regione, a
firmare nel 2010 la modifica.
“Erano tutti d’accordo, destra e
sinistra”, assicura Abete. Nessuno ne dubitava.
Castel Romano
lle cinque della sera arrivaA
no per fortuna Gianni Letta e Walter Veltroni. Stormi di
cameramen si gettano sui due
blasonati ex per consolarsi della
tragica notizia appena giunta
da Roma centro: “Matteo non
verrà”. Avevano fatto tutto per
lui, con tanto di prove generali e
orario bloccato alle 17 per consentire al premier il consueto
coordinamento con i tg delle
20. E invece Renzi è trattenuto a
Palazzo Chigi, e così si appalesa
il senso profondo dell’inaugurazione di Cinecittà World,
ambizioso parco tematico alla
periferia della Capitale: qui non
si celebrano i fasti del cinema
italiano degli anni ’50 e ’60, ma
si consuma una rimpatriata di
reduci degli anni 90, epoca meravigliosa in cui, vent’anni più
giovani, dovevano ricostruire
l’Italia del dopo Tangentopoli e
invece hanno concepito nuove
e peggiori devastazione.
ECCO Veltroni affettuosamente
abbracciato dall’amministratore delegato di Cinecittà Parchi
Spa, il francese Emmanuel Gout.
Sì, proprio lui: nel 1997 faceva il
IL PUNTO è che in località Castel
Da sx. Aurelio De Laurentiis, Dante Ferretti, Luigi Abete, Emmanuel Gout
lobbista di Telepiù, la pay-tv che
precedette Sky. Il governo Prodi
doveva mandare Telepiù sul satellite insieme a Rete4, poi accadde il miracolo, la legge Maccanico fu cambiata quando
Gout promise al vice premier e
ministro dei Beni culturali Veltroni di investire sul cinema italiano che gli era così caro. Allora
Gianni Letta aveva iniziato la
carriera da gran ciambellano di
Palazzo Chigi, e Luigi Abete, lasciata la presidenza di Confindustria, fu mandato a occuparsi
di Cinecittà in grave crisi. Doveva privatizzare gli studi cinematografici, effettivamente Cinecittà oggi è privata, di Abete.
O meglio, è sua (per il 16 per
cento) e dei suoi amici e sociDiego Della Valle (32 per cento)
e Aurelio De Laurentiis (23 per
cento).
Abete ringrazia Veltroni, che
come sindaco (2001-2008) ha
seguito la nascita del progetto,
ma anche i successori Gianni
Alemanno e Ignazio Marino,
nessuno si è messo di traverso.
Gout dà prova di abilità comunicativa. Alla domanda “Quanti
dei 500 posti di lavoro che avete
creato con il parco tematico sono
a tempo indeterminato?”, risponde che ci sono “una certa varietà di tipi di contratto”, cioè zero a tempo indeterminato. Abete
Romano, c’è un budello chiamato strada Pontina che per decenni ha consigliato di vietare attività ad alta affluenza di pubblico.
Poi magicamente è stato aperto
un gigantesco Outlet da quattro
milioni di visitatori all’anno.
Adesso Abete punta a un milione
e mezzo di persone all’anno: “La
strada sarà presto allargata, ci sono già tutti i progetti”, annuncia.
I conti di Cinecittà World sono
chiari. Mille posti di lavoro, tra
diretti e indiretti, 250 milioni di
investimento dichiarati, di cui
circa metà preso in banca,
l’obiettivo di incassare 40 milioni
per andare in pareggio e 60 per
ottenere la stessa profittabilità
degli altri grandi parchi tematici
in giro per il mondo. Per centrare
l’obiettivo bisogna che ciascuno
del milione e mezzo di visitatori
ipotizzati spenda 40 euro, cioè il
biglietto d’ingresso che ne costa
29 più cibi, bevande e gadget vari.
Come dice Abete, “l’entertainment è l’autostrada per lo sviluppo”, e oggi, spiega il presidente
della Bnl, “nella vita delle persone il tempo libero è più di quello
occupato”. Parole sante, soprattutto per il popolo dei disoccupati, che però potendo spendere
29 euro forse preferiranno entrare nel cancello accanto per comprarsi una scarpa all’Outlet anziché al Cinecittà World per vedere le scenografie del tre volte
Oscar Dante Ferretti e ascoltare
le musiche di Ennio Morricone.
In ogni caso papà, mamma e
creatura per entrare devono pagare 81 euro, così non solo sapranno come passare il tempo,
ma anche come spendere gli 80
euro di Renzi se trovano quello in
più: forse è proprio Abete nega
che dietro l’operazione ci sia un
interesse immobiliare. “La nostra è una start up sul mercato
dell’entertainment”, taglia corto, e
giura che non sa ancora se vorrà
costruire davvero l’albergo da
200 camere subito fuori del arco
tematico, come l’iniziativa di un
albergo di eguale stazza dentro i
terreni della vecchia Cinecittà è
motivata solo con il desiderio di
offrire un alloggio a tiro di set alle
stelle del cinema e relative maestranze. Fatto sta che a Castel Romano, sui terreni che un tempo
ospitarono Dinocittà, la cine-cittadella di Dino De Laurentiis, oggi ci sono 45 ettari edificabili a
disposizione di Abete e soci, e
forse pensava a questo Montino
quando, passato all’opposizione,
nel 2012 ha definito il parco di
Abete “una grande ludoteca a
cielo aperto, buona al circuito
delle speculazioni edilizie”.
POTERI DEBOLI
il Fatto Quotidiano
Pin ortogallo,
banca
difficoltà
e le Borse tremano
di Virginia
S
Della Sala
embrava fosse un accordo già fatto quello per la creazione di
una concessionaria
di pubblicità online tra i
gruppi di Silvio Berlusconi
(Mediamond e Publitalia) e
Carlo De Benedetti (Manzoni), insieme a Banzai Media e
Rcs. Per due giorni non si è
parlato d’altro. Fino a ieri,
quando con una nota il gruppo editoriale L’Espresso ha definito “del tutto infondate” le
illazioni su un tale accordo,
precisando che “eventuali
progetti tra concessionarie di
pubblicità di diversi operatori del settore potranno avere
una natura circoscritta e un
carattere puramente operativo e commerciale”.
Una frenata dettata forse dal
risvolto politico dell’operazione, come nel 2005 quando
le firme di Repubblica si opposero all’apertura di De Benedetti verso i figli di Berlusconi per ilo sviluppo del fondo salva-imprese Management & Capitali. Il progetto
di sfidare di sfidare Facebook
e Google sul web sembra comunque un po’ velleitario..
E SE STESSE PER TORNARE una crisi
bancaria in Europa? La domanda ieri se la
sono posta in tanti sui mercati vedendo le
notizie in arrivo dal Portogallo. La principale banca del Paese, il Banco Espirito
Santo, è stata sospesa a lungo dalle quotazioni a Lisbona dopo un calo del 20 per
cento. La fuga dal titolo è dovuta al ritar-
dato pagamento “a pochi clienti” degli interessi sulle obbligazioni della controllata
lussemburghese, la Espirito Santo International. Secondo un comunicato, “attualmente sta valutando l'impatto finanziario della sua esposizione”. Tradotto:
come minimo c’è un problema di liquidità,
si capirà presto se anche di insolvenza.
PUBBLICITÀ SUL WEB,
A RISCHIO L’INCIUCIO
TRA DE BENEDETTI & B.
IL GRUPPO ESPRESSO SMENTISCE L’ALLEANZA CON MEDIASET
(PIÙ BANZAI E RCS) PER CERCARE DI ARGINARE LO STRAPOTERE
DI GOOGLE E FACEBOOK NEL MERCATO DELLE INSERZIONI ON LINE
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
Potrebbe trattarsi di un problema di comunicazione o di qualcosa di molto peggio, nel dubbio gli investitori fuggono. E c’è
il rischio che le conseguenze si diffondano
nel sistema finanziario europeo. Visto il
clima, il Banco Popular Espagnol ha annullato un’emissione obbligazionaria. La
Borsa di Milano ha perso l’1,9 per cento.
Ilva, no al risanamento
coi soldi dei Riva
PER SALVARE l’Ilva di Taranto Il Governo Renzi è costretto
a tutelare le banche, ormai le uniche in grado di garantire il
salvataggio della fabbrica ionica. Il nuovo decreto, il sesto
dal luglio 2012, approvato ieri dal Consiglio dei ministri,
infatti, oltre a escludere la promozione del subcommissario
ambientale Edo Ronchi a commissario, ha scelto di tenere
fuori dal testo definitivo l’ipotesi di utilizzare i soldi sequestrati alla famiglia Riva dalla Procura di Milano per le
opere di risanamento degli impianti dell’acciaieria di Taranto. Una decisione maturata probabilmente alla luce
sull’ipotesi di incostituzionalità della norma ventilata da più
parti e che, secondo iniscrezioni, la famiglia Riva era pronta
a far valere dinanzi alla Consulta. Come ha spiegato il
premier in conferenza stampa il testo contiene anche “la
riorganizzazione dei tempi di risanamento”: entro il 31 luglio 2015, cioè, dovrà essere “attuato almeno l'ottanta per
cento delle prescrizioni in scadenza prima di quella data”
mentre rimane invariato “il termine ultimo già previsto del
4 agosto 2016 per l'attuazione di tutte le altre prescrizioni”.
Fra. Cas.
Secondo gli ultimi dati Nielsen, in Italia nei primi cinque
mesi del 2014 il volume di
mercato della pubblicità sul
web è stato pari a 191,8 milioni di euro, raggiungendo
quasi il valore delle inserzioni
nei giornali periodici. Una
crescita che quasi compensa
le perdite di ricavi della stampa cartacea quotidiana, che ha
avuto un calo del 12,8 per
cento.
“SE DEVO SCEGLIERE a chi
rivolgermi per pubblicizzare i
prodotti dei miei clienti - racconta Nino Salemme, direttore generale dell’agenzia
pubblicitaria S&PH Italia, che
si occupa di marketing per le
imprese – cerco ciò che è più
vicino alle esigenze del mio
cliente. Google è imbattibile.
È il motore di ricerca più usato al mondo e detta le regole
del web. Quando si cerca
qualcosa, le prime indicizzazioni sono quelle sponsorizzate da Google. Nessuno potrebbe mai raggiungere il suo
impatto”.
Secondo l’ultima indagine
dell’Agcom, l’autorità delle
comunicazioni, nel 2012 i ricavi netti della pubblicità
online in Italia sono stati pari
a 982 milioni di euro. Di questi circa la metà è andata a
Google, il resto si divide tra
Italia Online, Facebook, Microsoft, Rcs, Gruppo Editoriale L’Espresso, Mediaset,
9
IN ESPANSIONE
Google è il supporto più ambito dalle aziende; a fianco, Pier Silvio Berlusconi Ansa
IN TRINCEA
L’intesa tra i gruppi
editoriali doveva servire
a non perdere terreno
rispetto ai motori
di ricerca
e ai social network
Banzai media, Gruppo 24 Ore
e altri operatori. Anche unendo il loro fatturato pubblicitario, Rcs, Gruppo Espresso,
Mediaset e Banzai Media si
unissero, non riuscirebbero
mai a raggiungere la quota di
Google.
“Le agenzie pubblicitarie
puntano soprattutto alla qualità della strategia di marketing – spiega Salemme –.
Quindi, se devo pubblicizzare
un pomodoro mi rivolgo a un
blog di cucina, se devo pubblicizzare una borsa contatto
un giornale online che si occupi di moda. Nel mezzo ci
sono i centri media che comprano spazi in grandi quantità e li vendono a caso, senza
una strategia. È questa la parte che garantisce il maggiore
introito alle concessionarie
che così si assicurano quasi
sempre la vendita di almeno il
50 per cento degli spazi. E se
Google può permettersi di distribuire qualsiasi tipo di pubblicità in qualsiasi parte del
web, per un editore è più difficile”. Il mercato online cresce a ritmi sostenuti, nonostante una complessiva tendenza negativa del comparto
pubblicità. “Sotto il profilo
della ripartizione dei ricavi tra
i principali operatori in Italia,
emerge chiaramente la posizione di forza di Google –
spiega l’Agcom – seguito da
Facebook e da ItaliaOnline,
che include i ricavi conseguiti
dalla concessionaria di pubblicità Matrix e dalla società
Libero”.
L’ALTRO ATTORE nel merca-
to delle pubblicità sul web è il
social network più diffuso al
mondo, cioè Facebook che
non teme la competizione di
una possibile nuova grande
concessionaria. “Ogni media
ha i suoi punti di forza – spiegano da Facebook Italia – e la
nostra è una piattaforma capace di entrare in relazione
con le persone attraverso
amici e famigliari, li connette
e consente la condivisione di
esperienze”. Una strategia che
si basa sui rapporti interpersonali e la catalogazione dei
singoli utenti in base ai loro
interessi e con cui è ancora
più difficile competere. “Così
– spiegano – rispondiamo ai
bisogni del mercato e riusciamo ad anticipare le tendenze
di consumo emergenti la piattaforma si è evoluta, sviluppando innovazione anche per
le aziende”.
IL FUTURO della pubblicità è
una questione di strategia:
“Ormai tablet e smartphone
sono il secondo schermo in
Italia, dopo la tv e prima del
computer – spiega Carlo Noseda, presidente di IAB Italia
(Associazione
dedicata
all’Advertising Interattivo) –
e hanno una forte penetrazione tra i giovani, coinvolgendo
anche un target più adulto:
quello di chi decide gli acquisti. Un dato che si può trasformare in una grande opportunità per il mercato e per
gli investitori”. Per l’alleanza
De
Benedetti-Berlusconi-Rcs-Banzai non sarebbe
stato facile conquistare un
mercato che cambia in fretta e
così ben presidiato.
10
ALL’ITALIANA
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
A
litalia raddoppia
le perdite: nel 2013
oltre mezzo miliardo
ALITALIA-CAI ha chiuso il bilancio consolidato 2013 con una perdita netta raddoppiata a 568,6 milioni di euro e un patrimonio netto negativo per 27,17 milioni.
Questo significa che le perdite del gruppo
presieduto da Roberto Colaninno al 31 dicembre avevano mangiato il capitale e, nonostante l’iniezione di 300 milioni con il
il Fatto Quotidiano
sono stati pubblicati dal Sole 24 Ore. Nei
cinque anni di cavalcata dei Capitani coraggiosi, Alitalia-Cai ha totalizzato perdite
per 1 miliardo e 526 milioni: una media di
25 milioni al mese di perdite, più della vecchia Alitalia pubblica, che aveva perso
20,83 milioni al mese in vent'anni. I ricavi
sono diminuiti del 5,2% a 3.406 milioni.
salvataggio di dicembre, con il quale lo Stato è tornato azionista di Alitalia (le Poste
hanno versato 75 milioni), la società
avrebbe dovuto portare i libri in tribunale.
Oppure chiedere altri soldi ai soci. I dati
emergono dal progetto di bilancio 2013 di
Alitalia, approvato dal cda il 13 giugno. I
contenuti del documento tenuto riservato
TABACCO, ECCO QUANTO CI COSTA
LA GUERRA DELLE LOBBY
IL DECRETO CHE REGOLAVA LE ACCISE ERA PRONTO, MA LA PRESSIONE DEI PRODUTTORI
HA BLOCCATO TUTTO: SI RISCHIANO AUMENTI FINO A UN EURO A PACCHETTO
di Carlo Di Foggia
F
orse il prezzo delle sigarette aumenterà
già ad agosto. O forse
no. Dopo giorni di
annunci, il pasticcio: come previsto, l’aumento delle accise
non è uscito dal Consiglio dei
ministri di ieri. La grande
“guerra del tabacco” ha impallinato all’ultimo il decreto più
atteso dal settore. Una partita
che sembrava finita con un sostanziale pareggio tra i produttori delle marche meno costose,
come British american tobacco
(Bat), che vende Lucky Strike e
Pall Mall, e la Philip Morris, con
le sue Marlboro: un aumento di
20 centesimi per le prime, e 10
per le seconde. Risultato di un
lavorio sotterraneo che Bat ha
portato avanti negli utlimi mesi.
QUALCHE settimana fa il pre-
mier Matteo Renzi ha incontrato il gran capo della compagnia
inglese, Nicandro Durante, ma
le pressioni si sono ripetute a
tutti i livelli. Le bozze del decreto
virtualmente sono nelle mani
del sottosegretario all'Economia Giovanni Legnini, ma secondo fonti del Tesoro la partita
è curata soprattutto dall'insostituibile Vieri Ceriani, massimo
esperto di tasse ed ex consigliere
particolare del ministro Fabrizio Saccomanni. Riconfermato
nello staff dal suo successore,
Piercarlo Padoan, è ora incari-
cato di supervisionare i decreti
attuativi della delega fiscale,
quindi anche quello - attesissimo - sui tabacchi. Fonti romane
riferiscono che negli ultimi tempi diversi responsabili di Bat
avrebbero incontrato - unici tra
ESTATE SALATA
Se entro luglio
non arriverà la legge
scattano i rincari
Stangate le sigarette
elettroniche, settore
già in crisi dopo il boom
le categorie coinvolte - Ceriani
per fermare quello che diversi
produttori consideravano un
palese regalo alla Philip Morris e
che fino a pochi mesi fa sembrava cosa fatta: un pesante aumento a danno delle fasce basse, che
avrebbe favorito i marchi più
costosi. Già nell’ottobre scorso
nel collegato alla legge di stabilità era comparso un incremento di 40 centesimi sui pacchetti
più economici - poi saltato - ottenuto grazie ad una rimodulazione delle accise che sembrava
studiata apposta per favorire
Philip Morris. Finora gli americani hanno trattato in posizione
di forza. Entro il 2016 avvieranno a Bologna un nuovo stabili-
mento per la produzione delle
sigarette di nuova generazione
(quelle con la cialda senza combustione): un investimento da
500 milioni di euro e da 600 posti di lavoro. E con la promessa
di nuovi investimenti in Toscana si erano garantiti l’appoggio
di tutte le anime del Pd. Sembrava tutto fatto, e invece gli sforzi
di Bat hanno guastato i piani e
contenuto l’entità del regalo. Gli
inglesi avrebbero promesso un
investimento da un miliardo di
euro, da attuare nei prossimi anni. A patto, si intende, che il governo non gli confezioni un aumento che metterebbe a rischio
il suo segmento di mercato, che
in Italia vale il 18% delle vendite.
Una manovra che per ora sembra riuscita. Il decreto infatti
prevede sì un aumento delle accise nella sua componente “fissa”, o specifica - per sua natura
regressiva, proprio perché fissa,
dunque più pesante per chi vende a prezzi medio-bassi - ma assai più contenuto di quello auspicato da Philip Morris: dal 7,5
al 10%, invece del 30 chiesto dalla multinazionale americana.
Che però è riuscita a incassare
uno sconto del 40% sulle sigarette di nuova generazione, cioè
proprio quelle che produrrà
nello stabilimento bolognese.
Una misura vantaggiosa, ma insufficiente. Negli ultimi giorni
gli uomini di Philip Morris
avrebbero intensificato i contatti con gli uffici di via XX settembre, e riaperto all’ultimo una
partita considerata ormai chiusa. E così il decreto è stato sfilato
all’ultimo dalla lista dei testi entrata nel pre-Consiglio dei ministri, dove di norma si affrontano i dettagli tecnici e poi si lascia ai ministri il compito di
prendere le decisioni politiche.
Ma nell’era Renzi queste riunioni spesso sfuggono al controllo
degli uffici legislativi. Una sponda è arrivata addirittura dagli
ambienti più vicini al premier.
Palazzo Chigi avrebbe infatti
chiesto informazioni più dettagliate sul provvedimento, ipotizzando un intervento ad ampio raggio che coinvolga anche
le accise sugli alcolici.
UN SENTIERO che appare dif-
ficile. I tempi sono stretti. Il
prossimo mese scatteranno gli
aumenti previsti dal decreto
cultura varato dal governo Letta. Un piccolo ritocco che vale
23 milioni nel 2014 e 50 l’anno
successivo, a copertura degli interventi previsti per mettere in
sicurezza gli scavi di Pompei. Le
pressioni in ordine sparso delle
lobby del tabacco stanno però
bloccando l’altro grande ritocco. A protestare sono anche i
produttori delle sigarette elettroniche aderenti a Confindustria (Anafe): nel decreto c’è infatti un aumento dell’imposta di
consumo da 6 a 24 euro, in barba
a un’ordinanza del Tar che aveva già fermato il governo in passato. Negli ultimi mesi il settore
è crollato: i negozi sono passati
Guerra delle lobby sugli aumenti delle sigarette Ansa
da 5 mila a 1600, con duemila
posti persi. Il buco per l’Erario è
di 117 milioni di euro.
La conseguenza paradossale è
che, senza interventi di riordino, dal primo ottobre i prezzi
aumenteranno comunque, con
incrementi fino a un euro a pacchetto. Le accise infatti sono
modulate sulla base del prezzo calcolato ogni tre mesi - della fascia più venduta: oggi è ferma a
4,30 euro, ma il mercato sta deviando verso marche più costose, come la Marlboro (5 euro).
Proprio il prezzo del suo pacchetto più venduto è l’arma che
Philip Morris è intenzionata a
usare come leva per ottenere
rincari maggiori per i concor-
renti. In risposta al congelamento del decreto gli americani
avrebbero minacciato di abbassare il prezzo di Marlboro di un
euro, portandolo a 4, sulla scia di
quanto già fatto per le Chesterfield (scese da 4,60 a 4 euro).
Una mossa che avrebbe un impatto devastante sul mercato e
costringerebbe i concorrenti ad
abbassare i prezzi, facendo crollare gli incassi per l’Erario (che
oggi valgono 13,5 miliardi). Nel
2013, le entrate hanno mostrato
una preoccupante inversione di
tendenza, con un calo di 670 milioni di euro. Rispetto agli ultimi
decenni, il settore non riesce più
ad assorbire gli aumenti delle
accise.
Messina, professoressa dei record: in bocciatura
A BIOLOGIA MARINA LO SCOGLIO È CHIMICA, LA DOCENTE FA RIPETERE L’ESAME ANCHE 15 VOLTE. L’UNIVERSITÀ: ORA INDAGHEREMO
di Gabriele Fazio
n ogni facoltà ci sono materie più ostiche o
I
professori dal carattere impossibile, scogli insormontabili nel cammino verso la laurea: c’è un
Nella vita gli esami non finiscono mai, ma se per
superarli di fronte a te siede la professoressa Lo
Schiavo, sono guai. La docente spiega di avere
degli studenti regolarmente impreparati: “C’è
gente che legge e non capisce quello che legge.
Hanno proprio difficoltà ad afferrare i concetti.
Non sanno neanche fare le equazioni di primo
grado”. Effettivamente ci sono studenti che tentano la fortuna la prima volta sedendosi all’esame “bianchi”, cioè totalmente impreparati. Ma il
discorso non regge per chi lo ripete per la quindicesima volta (ma si è tranquillamente andati
anche oltre).
prima e un dopo quella materia. Nel corso di Biologia Marina dell'Università di Messina quella
materia è Chimica e quel professore si chiama
Sandra Lo Schiavo, ed è quel genere di docente
che non si vorrebbe mai avere davanti in sede
d’esame. La professoressa, infatti, detiene un impressionante record di bocciature. Tecnicamente sarebbero, come da prassi, “inviti” a ripresentarsi alla sessione successiva, ma il dato, condiviso anche dalla coordinatrice del corso di laurea, IL CARATTERE brusco della professoressa Lo
non cambia. In Rete gira perfino la storia, poco Schiavo è stato confermato anche dalle coordinatrici del corso di laurea, attuacredibile, di uno studente rile ed ex, che, pur sottolineando
mandato ben 43 volte prima di
“la serietà, la preparazione e la
riuscire ad alzarsi dalla sedia
BANCHI ETERNI
professionalità della collega”,
con una firma della professopossono negare che la colpa
ressa sul libretto. Una leggenda.
Sul web girano storie di non
di questo problema, che si è paMa i dati, questi invece sì conlesato fin dall’inaugurazione del
fermati da studenti e colleghi,
studenti rimandati 43
corso, sta da entrambe le parti:
fanno sospettare che la realtà
volte. Lei si difende:
gli studenti, forse anche intimonon sia molto diversa. Perché
riti dall’atteggiamento della
per superare la materia si deve
“Non capiscono quello professoressa, studiano e freaffrontare la temibile Lo Schiavo una media di 12/15 volte. E la
che leggono, non sanno quentano poco, ma è anche vero
che alla docente più volte è stato
materia è propedeutica, cioè
fare le equazioni”
consigliato, in maniera non ufobbligatoria.
Un’aula universitaria Ansa
ficiale, di cambiare atteggiamento per non spaventarli. Per qualche anno le è stato addirittura
affiancato, in sede d’esame, un professore molto
amato dagli studenti al solo scopo di metterli a
proprio agio, ma neanche lui è riuscito ad arginare la “carneficina”.
Il professor Pietro Perconti, prorettore alla didattica dell’ateneo messinese spiega di non aver
ricevuto segnalazioni in merito alla vicenda né da
studenti né professori: “Naturalmente, se vengono evidenziate delle anomalie, l’Università è interessata ad adottare tutte le misure necessarie
perchè anche gli esami riflettano un clima sereno
e collaborativo”. Ma le voci raccolte dal Fattoconfermano le anomalie. “Con almeno 10 per-
sone abbiamo fatto amicizia perchè sono due anni che ci incontriamo sempre all’appello della Lo
Schiavo”, spiega Roberto, uno degli studenti
coinvolti. Il problema poi si aggrava se si pensa a
studenti come Ambra, che racconta esausta: “Ho
fatto lezioni a casa per anni, quanti soldi... È stato
tutto inutile, anche il mio professore privato non
riusciva a capire come potesse ogni volta bocciarmi”. O a studenti che all’ennesima sessione
andata male desistono e cambiano facoltà, come
Paolo, messinese che oggi si sta laureando in Antropologia a Roma, ma che sognava di studiare
Biologia Marina nella sua città. La docente trova
ogni volta una motivazione per le sue bocciature a
raffica: “Non era cosa sua”; “Quella me la ricordo:
era una cretinetta”; “Ho saputo che si spendeva i
soldi delle ripetizioni che le dava il padre”.
INTANTO però, nel corso di laurea triennale in
Biologia Marina l’età media di chi ha conseguito
il titolo è oltre la media (26,4 anni contro i 24 degli
altri atenei, secondo i dati di Almalaurea). E le
raccomandazioni? Neanche a parlarne, come
confermano alcuni studenti che, disperati, avevano provato anche quella strada. “Storie di ordinaria miseria”, spiega la Lo Schiavo. Alessandro, studente all’ottavo tentativo, la pensa diversamente: “La professoressa deve avere la Red Bull
come sponsor tecnico perché dare Chimica ormai è diventato uno sport estremo”.
ALTRI MONDI
il Fatto Quotidiano
Pianeta terra
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
11
UCRAINA RIPARTE L’OFFENSIVA A EST
Le truppe di Kiev hanno rilanciato l’offensiva a est,
ignorando gli sforzi per un cessate il fuoco. L’ultimo attacco è partito a 30 km da Donetsk, nei pressi di Karlivka, sulla strada verso la principale roccaforte degli insorti. Dall’inizio delle ostilità le vittime civili sono state 478, tra cui 7 bambini. Ansa
FILIPPINE L’AMBASCIATORE BOSIO LIBERO SU CAUZIONE
Daniele Bosio, l’ex ambasciatore in Turkmenistan arrestato in
aprile nelle Filippine con l’accusa di abusi sui minori, ha ottenuto
la libertà su cauzione. Secondo il suo legale, l’uomo sarebbe stato
scarcerato perché “non ci sono forti indizi di colpevolezza”. LaPresse
DUE PAESI, UNA GUERRA, DUE PAURE
STRISCIA DI GAZA
TEL AVIV
La trappola palestinese Tra spiagge e autostrade
chiusa al mondo
la nuova fobia dei razzi
di Roberta Zunini
di Cosimo Caridi
S
T
Striscia di Gaza
aracinesche chiuse e
strade sgombre, Gaza
sembra dormire. Come rintocchi in lontananza si sentono le esplosioni.
Squilla il telefono. “Allon-ta-na-tevi subito, la casa
sta per essere distrutta dalle
nostre forze armate”. Questione di qualche minuto, un razzo
piove dal cielo e trasforma gli
edifici in cumuli di macerie.
Sono oltre 80 i morti e almeno
500 i gazawi feriti nei bombardamenti “chirurgici” ordinati
da Netanyahu. L’operazione
Margine Protettivo, iniziata 4
giorni fa, vuole colpire Hamas,
ma a pagare il prezzo più alto
sono i civili. Ieri Arye Shalica,
portavoce dell’esercito israeliano, ha ammesso che martedì
un’intera famiglia è stata sterminata per errore.
I Karawe, abitavano a Khan
Yunis, la seconda città più popolosa della striscia. Una telefonata li ha avvertiti dell’arrivo
di un razzo. La famiglia ha abbandonato la casa, subito il
missile ha colpito la loro abitazione: un piccolo ordigno
che non trasportava esplosivo,
per “bussare sul tetto” come
viene chiamata questa procedura in gergo militare. Il missile doveva confermare la serietà dell’avvertimento telefonico, ma in 8 hanno pensato il
pericolo fosse passato e sono
corsi dentro. Mentre rientravano in casa viene lanciato un
secondo missile, questo più
grande e micidiale, capace di
distruggere l’edificio. Muoiono tutti. L’obbiettivo dell’esercito israeliano era Odeh Kawa-
10 MILA MISSILI
“SCUDI UMANI”
Hamas chiede ai cittadini
di salire sui tetti per
impedire i raid. “Chi non
muore sotto le macerie si
spegne lentamente sotto
l’occupazione”, dice Nail
re, uno dei capi di Hamas a
Khan Yunis. Il miliziano non
era in casa al momento dell’attacco. I leader di Hamas sono
spariti da giorni e si fanno sentire solo tramite portavoce o attraverso messaggi video. Proprio da una tv Hamas ha chiesto ai civili di fare da scudo
umano, salendo sui tetti delle
case. Impendendo così il lancio
dei razzi israeliani.
“I BOMBARDAMENTI su Gaza
sono più frequenti degli anni
bisestili” dice Nail con un sorriso amaro. “Ma ora noi siamo
stanchi – continua, scrutando il
cielo - chi non muore sotto le
macerie si spegne lentamente
schiacciato dall’occupazione”.
Le scorte di Hamas Ansa
Tornato dagli Stati Uniti nel
2005 Nail ha tentato di investire nella Striscia i suoi risparmi
d’espatriato. “Sto ancora pagando per i danni che ho subito
nei bombardamenti del 2012”.
Mentre parla si sente il frastuono di un enorme combustione.
È un missile che dalla Striscia
viene lanciato contro Israele.
Secondo l’intelligence di Gerusalemme i miliziani di Hamas
sarebbero in possesso di circa
10mila “razzi artigianali”.
Nei primi 3 giorni dall’inizio
dell’operazione il movimento
islamico ha lanciato oltre 350
missili tra cui gli M302, ordigni
con una gittata di oltre 100 chilometri che compromettono la
sicurezza di Gerusalemme e Tel
Aviv. L’esercito dichiara che il
90% dei missili a lunga gittata
sono stati abbattuti dal sistema
di difesa Iron Dome. Sono però le
città nel sud d’Israele le più
esposte agli attacchi. Hamas
non telefona ai suoi bersagli
prima di lanciare i razzi. Secondo le istruzioni dell’esercito chi
vive ad Ashkelon ha 15 secondi,
dall’inizio delle sirene antiaeree, per correre nei rifugi. Ogni
casa ha una stanza di sicurezza,
sovvenzionata dallo Stato.
e la ricordi la lavanderia dove ci nascondevamo ai tempi dei
razzi di Saddam? Ieri
ci siamo andati di nuovo, questi
razzi iniziano a ricordarci quelli
del rais”. “Quando mi sono svegliato questa mattina ho scoperto che un pezzo di razzo era
caduto davanti nel giardino. La
mia fidanzata mi ha detto che
questa notte, quando la sirena
aveva iniziato a dare l'allarme,
aveva provato a svegliarmi in
tutti i modi. Mentre stava per
buttarmi in faccia una secchiata
d’acqua, ha visto qualcosa dalla
finestra che è caduta per terra
facendo un bel rumore. Poi la
sirena ha smesso di suonare e
anche lei è tornata a letto”.
VOCI DA TEL AVIV. Iftach, Lior,
Yeremy, Shira, Oree, Sharon,
Michal, sono amici che abitano
nella capitale israeliana dove anche ieri sono suonate le sirene
per avvertire la popolazione che
il 5° razzo nel giro di due giorni,
era stato lanciato dalla Striscia di
Gaza. Son stati tutti intercettati
dal sistema di difesa antimissile
ma i pezzi di uno sono arrivati
dentro la zona sud della città, finendo su un auto, in autostrada
e davanti a una casa, quella dell’
amico dal sonno inscalfibile.
Nella casa-ufficio di Iftach – un
avvocato che si batte contro l'occupazione dei Territori palestinesi e ha difeso più volte in tribunale i giovani palestinesi di
Gerusalemme Est incarcerati
per il lancio di pietre contro i coloni – ero stata più volte per intervistare i suoi clienti e un giorno mi fece scendere nell'attuale
lavanderia per mostrarmi la ‘ca-
NEL MIRINO
Auto danneggiata da una scheggia a Tel Aviv LaPresse
SINDROME SADDAM
“Ci ricordano i giorni
della guerra in Iraq
Ma se non punissimo
ogni giorno gli arabi
staremmo meglio”
dice l’avvocato Cohen
mera di protezione’. “Non mi
sorprende che Hamas sia in grado di lanciare tali razzi. L'Iran ha
continuato a fornirglieli e nessuno è stato in grado di fermarlo. A dimostrazione che bombardando la Striscia si ottengono solo morti tra i civili ma non
si blocca la capacità militare del
movimento islamico. Ma se la
forza fosse davvero efficace, allora perché dopo ‘Piombo fuso’
o ‘Colonna di difesa’ (nomi delle
ultime due operazioni aeree
israeliane contro Gaza, la più recente avvenuta un anno e mezzo
fa, ndr) tutto è ricominciato come prima, anzi peggio, considerato che Hamas ora dispone di
missili che riescono a raggiungere anche Haifa, a 150 chilo-
metri dalla Striscia?”. La domanda retorica dell'avvocato
Cohen non se la pongono in
molti, soprattutto nelle ultime
24 ore, quando s’è registrato
l'arrivo di un razzo ogni 10 minuti. “Se noi israeliani togliessimo il blocco delle frontiere di
Gaza e non impedissimo l'ingresso di cibo, medicinali e materiale edile, insomma se non
punissimo ogni giorno tutta la
popolazione di Gaza col nostro
assedio criminale, Hamas non
avrebbe più scuse per lanciare i
razzi. In realtà il nostro governo
ha bisogno di un nemico come
Hamas per evitare di concludere
gli accordi di pace e distrarre i
cittadini dai veri problemi del
Paese”, conclude Cohen.
Ma ora gli israeliani, soprattutto
quelli che vivono a ridosso della
Striscia, nel sud-ovest di Israele,
sono terrorizzati e passano ormai il loro tempo dentro i rifugi.
L'ingresso delle truppe di terra a
gaza si avvicina dunque sempre
più e suona alle orecchie di tutti,
assieme al suono delle sirene,
come un'operazione di autodifesa. Finora non ci son state vittime, eccetto una signora scivolata nella doccia mentre cercava
rifugio al suono delle sirene.
12
ALTRI MONDI
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
MONDIALI È ANCHE IL DERBY DEI PAPI
Più che al Maracanã, la finale tra Germania e Argentina dovrebbe giocarsi in Vaticano. Se infatti,
per la prima volta dopo secoli, la città-Stato ospita
due pontefici, la casualità ha voluto che uno sia tedesco, l’altro argentino. Di Bergoglio si conosce la
passione per il calcio, non così per Ratzinger LaPresse
USA LA TARIFFA DI CHELSEA CLINTON: 75 MILA $ A DISCORSO
Chelsea ha preso tutto da papà Bill e mamma Hillary, anche l’attitudine a fare soldi con i convegni. La rampolla Clinton guadagna
75 mila dollari per ogni intervento pubblico anche se, ha precisato
un portavoce, vengono donati alla fondazione di famiglia. Ansa
TANGO BOND CONTRO VALZER DEL RIGORE
ARGENTINA
GERMANIA
I cugini del Sud
tra default
e ‘mano de Dios’
Dall’euro al gol
la forza algebrica
dei ‘più bravi’
di Mario Seminerio
di Mattia Eccheli
P
oche cose possono
stimolare la fantasia
di torme di sociologi
da dopolavoro come
una finale Mondiale tra un paese del ricco Nord del pianeta,
profondamente cartesiano e incline al moralismo, e uno del
Sud del mondo, altrettanto profondamente sgarrupato, da
sempre incline a quella forma di
autoindulgenza che fatalmente
produce teorie del complotto e
nemici esterni in quantità industriale. Questo logoro stereotipo, che tanto piace a noi italiani,
che in maggioranza tendiamo
(soprattutto in questa deprimente congiuntura sociale ed
economica) a simpatizzare con
i deboli e cercare nemici da
odiare, avrà la sua apoteosi domenica, con la finale tra Germania ed Argentina. E sarà un
grande classico, anche della sociologia da dopolavoro, quanto
e più della scioccante gara tra tedeschi e brasiliani, che ha già indotto numerosi commentatori
nostrani a parlare di “tragedia
di un paese e di un popolo”, peraltro non riferendosi ai fondamentali economici brasiliani
che, pur prossimi alla recessione, sono certamente ben più solidi del disastro permanente argentino.
CHE ACCADRÀ, quindi, in caso
di vittoria dell’albiceleste sui ro-
bot senz’anima, per usare lo stile
letterario prevalente che leggerete sui nostri giornali? Al netto
del fremito patriottico e del lavacro di retorica sul riscatto degli Ultimi, per gli argentini assai
poco. Il loro governo negozierà
alla fine un accordo con gli “avvoltoi” che detengono il suo debito non ristrutturato, perché
l’alternativa del default su vasta
scala sarebbe disastrosa, ora che
il paese sta faticosamente cercando di normalizzare la propria politica economica per attrarre gli investimenti esteri di
cui ha disperato bisogno. Per
proseguire sulla strada della
normalizzazione, l’Argentina
dovrà inoltre lasciare andare ulteriormente il cambio del peso,
allineandolo a quella realtà “imperialista” che da sempre è
l’aguzzina dei piccoli paradisi
popolari. Ciò innalzerà l’inflazione, che trarrà alimento anche
dalla necessità di ridurre l’enorme deficit pubblico con mezzi
meno fantasiosi e autolesionistici della stampa di moneta, a
esempio con tagli ai sussidi pubblici su alimentari, carburanti e
combustibili. L’area di povertà,
ben presente ma mascherata da
statistiche ufficiali addomesticate, tornerà prepotente ad assumere visibilità. Nel periodo di
transizione, in definitiva, si soffrirà non poco. Questo offrirà il
destro a quanti sostengono da
sempre che il liberismo produce
sofferenze, anche quando di liberismo non vi è traccia.
Non sappiamo se l’eventuale
vittoria mondiale argentina
porterà con sé anche un aumento della fiducia dei consumatori
e delle vendite al dettaglio. Ci
stupiremmo se accadesse. Quello di cui non ci stupiremo sarà la
ricerca affannosa di significati
moralmente risarcitori di una
eventuale vittoria, soprattutto
da parte di una sinistra alter-
Christina Kirchner Ansa
mondialista engagée e onirica
che da noi ha da sempre una robusta guarnigione. Se poi la vittoria arrivasse nuovamente con
una “mano de Dios” o qualche altra mossa fuori dai regolamenti,
ancor meglio: sarebbe, ne siam
certi, il trionfo della “fantasia latina” sul “freddo e arido calcolo”
del Nord. Dopo di che, la traversata del deserto, per gli argentini, sarebbe solo all’inizio.
P
Berlino
anzer
economico
prima ancora che
calcistico. La Germania ha un prodotto
interno lordo che, nel 2013, ha
sfiorato i 2.740 miliardi di euro,
ovvero il 29% dell'area Euro e
poco più di un quinto dell'Europa. La corazzata tedesca vende armi e importa giocatori. Tra
il 20028 e il 2012 l'export militare era il 3° del pianeta con una
quota del 7%, dietro solo a Usa e
Russia. Nella Bundesliga (la Serie
A tedesca) gli stranieri oscillano
tra il 35% e il 55% del totale, a
seconda dei club. Nel Bayern
sono la metà. Qualche stella
giocata anche all'estero, come i
“polacchi” Klose e Podolski,
Özil (di origine turca) o Kedira
(che è anche cittadino tunisino). La Federcalcio tedesca è un
colosso da 25.500 squadre, quasi 7 milioni di tesserati e oltre
165.000 squadre.
QUASI TUTTE multietniche.
Come dimostra anche la selezione guidata da Joachim Löw
che ha asfaltato il Brasile forte
anche di una rosa con con Boateng (ghanese) e Mustafi (figlio
di genitori albanesi). È un riconoscimento ad un'integrazione
che, almeno in parte, funziona.
Dal Mondiale del 2006, l'atteg-
Il pallone sgonfio della Rousseff
IL FLOP VERDEORO COMPLICA LA RIELEZIONE DELLA ‘PRESIDENTA’ BRASILIANA IN OTTOBRE
di Maurizio Chierici
l Brasile perde il pallone e la
I
signora presidente sfuma i
cattivi pensieri ma non li can-
cella: il contraccolpo della sconfitta potrebbe inquietare l’economia e minacciarne la rielezione di ottobre. Le sue preferenze
aumentavano di 2 punti ogni
vittoria della squadra tragicamente liquefatta. Gi oppositori
riprendono fiato nella finzione
di una tranquillità tartufesca:
politica estranea al naufragio
della Nazionale...
In silenzio governo e opposizione provano a rimescolare le carte. Intanto si riaccendono i fuochi a San Paolo. Macabra allegria di chi sfilava con cartelli di
malaugurio: “Dobbiamo perdere”. Confermano il disamore
per i Mondiali di una classe media cresciuta negli anni della
speranza del primo Lula. Ma la
crisi annacqua il benessere, Pil
che dimezza e dubbi nella sinistra impegnata in una trasformazione sociale (“Fome Zero”,
scuole, edilizia popolare, trasporti) ormai insostenibile per
l’intiepidirsi dell’ economia e
l’aggressione delle esportazioni
cinesi. Senza contare lo ‘scandalo’ che aveva scatenato le piazze
alla vigilia del calcio d’inizio:
quei 3 miliardi e 500 milioni di
dollari versati negli stadi. Diverranno più di 6 nei conti finali.
Torna la rabbia per il momento
annacquata
dall’autunno:
pioggia che raffredda le piazze.
Ma da lunedì il pallone diventa
un brutto ricordo, si spengono
le luci e la campagna elettorale
sfuocata dalla grande boucle
riaccende le prime pagine.
E LA ROUSSEFF scende in cam-
po per acquietare gli scontento
incalzati da chi declama il
“cambiamento”. Disamore ormai profondo che l’infortunio
della Copa contribuisce ad esaperare. Il Pt trionfante di Lula
ha una certa età: 12 anni. La
Rousseff ne ha preso il posto e
l’ex presidente si sbraccia per
puntellarla eppure 12 anni dopo la gestione del potere ha inquinato il profilo del partito.
Appesantito, burocratizzato. E
le macchie della corruzione. La
Rousseff governa al di sopra dei
sospetti, ma a differenza di Lula, mediatore per vocazione
sindacale, la sua rigidità cultu-
rale l’ allontana necessità quotidiane della gente. Anche il
movimento base della popolarità Pt – Sem Terra – vive l’impaccio dell’equilibrio tra chi
contesta e chi governa.
In 12 anni gli obiettivi di lotta si
sono allargati. Non solo smembramento dei latifondi da distribuire ai contadini senza
proprietà: l’urbanizzazione selvaggia li coinvolge nei problemi
delle città-mostro mescolando
l’Mst ai movimenti di protesta
contro le scelte del governo .
Giovani, soprattutto.
Ostilità che preoccupa il vecchio Lula: perché non riusciamo più a parlare con loro? Poi
lo sgombero delle favelas:
“Umiliano il decoro delle città”.
Trasferimento di migliaia di famiglie in periferie lontane,
ghetti dai quali non usciranno
mai mentre 80 mila militari segnano con la vernice gialla le
baracche da cancellare. Disperdere le “crackolandie” in paranoica moltiplicazione vuol dire
perdere il controllo della droga
nei lazzaretti abbandonati,
quindi codificare una separazione inaccettabile non solo dai
movimenti soprattutto dalla
Dilma Rousseff con Jospeh ‘Sepp’ Blatter Ansa
BOOMERANG
La crisi annacqua
il benessere della
nuova classe media
delusa dalla mancata
trasformazione sociale
del piano “Fame zero”
nuova piccola borghesia.
Quando la Rousseff si preoccupa per riflessi economici del 7 a
1 nel paese che prepara le Olimpiadi 2016, mette il dito sull’altra minaccia in arrivo: l’assalto
delle grandi imprese Usa e
l’avanzata cinese nel tessuto
della nazione guida del continente latino. Il Brasile se ne era
affrancato. Ritornano. Il dubbio del Lula che aveva salvato
un paese quasi alle corde non
riguarda la ristrutturazione del
partito, addirittura l’opportunità di rifondarlo.
VECCHIE E NUOVE guardie
soffiano silenziosamente. Per
ora l’ex presidente non ascolta:
“Dilma dev esser rieletta”. Proposte e risposte che l’umiliazione calcistica rilancia: i prossimi
giorni diranno se le scelte possono essere modificate. Certo
che il “miracolo” di Lula nella
elezioni amministrative di San
Paolo diventa la fata morgana
alla quale gli ortodossi Pt si aggrappano: 8 mesi fa la sinistra
andava male in tutto il paese eppure salva il sindaco di San Paolo malgrado le previsioni disastrose: Serra (battuto dalla
Rousseff nella corsa presidenziale) vola nei sondaggi e Lula
viene invocato come bagnino
salvagente. Tira fuori Fernando
Haddad, appena 2% di fiducia,
un nessuno di 49 anni che insegna all’università. Gli tira la
campagna elettorale su ogni
palco e lui conquista la poltrona
col 56 %. Ora prepara la volata
per la Rousseff, ma se i sondaggi
diventano neri e le nuove facce
del partito lo rivogliono, cosa
farà?
Angela Merkel LaPresse
giamento dei tedeschi è cambiato anche pubblicamente con feste di piazza, macchine decorate, con bandiere (a Colonia un
tifoso ha appeso oltre 150 tricolori tedeschi sulla palazzina dove abita) e rumorosi cortei di auto. Il pudore dell'esasperazione
nazionalistica è ormai un ricordo.
La Germania esporta anche allenatori. Jürgen Klinsmann ha
portato gli Stati Uniti fino agli
ottavi così come Ottmar Hitzfeld ha fatto con la Svizzera.
Löw è appena il 6° mister più pagato della rassegna iridata con
2,66 milioni l'anno: il primo di
quelli ancora in gioco. Il suo
precedessore Klinsmann è 10°
(1,94) e Hitzfled addirittura 5°
(2,76). I primi 3 sono a casa: Capello con 8,29 milioni, Hodgson
con 4,34 e Prandelli con 3,19.
Felipe Scolari è ai piedi del podio
con 2,93.
LA CORAZZATA in casacca
bianca è una vera armata: la rosa
vanta ingaggi totali annui per oltre 102 milioni con un controvalore di mercato di 526. Il più
pagato è Mario Götze che ha
strappato un milione al mese.
La Germania era già andata nel
pallone dopo il trionfale esordio
con il Portogallo. Poi è tornata a
esaltarsi, anche se ha tremato
davanti alla tv per la sfida con
l'Algeria. Si è sentita in dovere di
incoraggiare e sostenere in ogni
modo la sua squadra. Tanto che
diversi esercizi commerciali ne
hanno approfittato per solleticare i propri clienti. Per ogni rete segnata contro il Brasile in semifinale, il panificio Büsch aveva annunciato una spaccatina
omaggio, un negozio di articoli
sportivi uno sconto del 10% ed
una farmacia il 5% di riduzione
a ricetta (con un tetto al 25%).
Mercoledì l'assalto. La Germania può permettersi questo ed
anche altro. Il presidente federale Joachim Gauck, un pastore,
e la cancelliera Merkel, figlia di
un pastore, saranno a Rio. All'esordio, la tifosa numero uno
(anche per ragioni elettorali, dicono i maliziosi) aveva portato
bene. Volerà con il cruccio degli
americani che spiano lei, il Bundestag e pure l'esercito. La Germania medita “ritorsioni”: l'unica finora riuscita è stata l'eliminazione della squadra a stelle
e strisce dal Mondiale.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
USA UCCIDE 4 BIMBI E SI BARRICA IN AUTO
Una lite in famiglia è sfociata in tragedia nella cittadina di Spring, nei pressi di Houston, in Texas.
Un uomo si è arreso alla polizia dopo una breve
fuga in auto, dopo avere ucciso sei persone a colpi
di arma da fuoco, tra cui la cognata e i suoi quattro figli. L’uomo cercava la propria moglie. Ansa
BIRMANIA LAVORI FORZATI AI GIORNALISTI
Cinque giornalisti birmani sono stati condannati a
10 anni di reclusione e ai lavori forzati per il loro lavoro investigativo su una fabbrica di armi chimiche
gestita dall’esercito. I condannati sono quattro giovani reporter – tra i 22 e i 28 anni – e il direttore
della pubblicazione, Unity Weekly News. LaPresse
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
13
Le vite degli altri
spiate da Washington
BERLINO CACCIA IL CAPO DELLA SICUREZZA USA E CONVOCA
L’AMBASCIATORE A STELLE E STRISCE. LO SPIONAGGIO AMERICANO
COSTA ALLE AZIENDE TEDESCHE TRA I 30 E I 60 MILIARDI L’ANNO
di Mattia
Eccheli
P
Berlino
rima la convocazione dell’ambasciatore americano al ministero
degli Esteri. Adesso la sollecitazione all’incaricato americano per il servizio informazioni presso la sede diplomatica di Berlino di lasciare
il Paese. Sgomenta per le intercettazioni di cui era rimasta vittima Angela Merkel,
irritata per la scoperta di un
agente che passava informazioni agli americani sulle attività della Commissione
parlamentare
d’inchiesta
sulla scandalo Nsa e adesso
decisamente arrabbiata perché anche il ministero della
Difesa è stato violato dagli
americani, la Germania ha
reagito con un’azione che ricorda relazioni da Guerra
fredda. “Adesso viviamo nel
Ventunesimo secolo”, ha
ammonito la cancelliera.
Che solo pochi mesi fa si era
sentita promettere dal presidente Barack Obama di “non
doversi più preoccupare”.
DUE AGENTI in una settima-
na si sono dimostrati troppi
anche per il presidente federale Joachim Gauck che aveva tuonato “adesso basta, però”.
Il primo, funzionario di livello intermedio del servizio segreto (Bnd), avrebbe passato
218 documenti alla Cia tra il
2008 ed il 2012, incassando
25 mila euro. Il secondo è un
civile impiegato presso il dipartimento delle politiche di
sicurezza del ministero della
Difesa: gli analisti stanno
cercando di capire l’entità
della “falla” e il valore delle
informazioni finite Oltreoceano.
Già prima dell’inizio dell’incontro straordinario del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, i rappresentanti delle opposizioni
avevano chiesto provvedimenti. André Hahn (Linke)
si era esposto più di altri invocando indagini su cittadini
americani
“sicuramente
coinvolti” e non tutelati dal
passaporto diplomatico. Al
termine della seduta, il presidente Clemens Binninger
ha annunciato l’“allontanamento” del funzionario Usa.
Potrebbe anche venire “rispolverata” l’ipotesi dell’audizione di Edward Snowden
in Germania, finora esclusa
C’ERAVAMO TANTO AMATI
A QUATTR’OCCHI
Due 007 “pizzicati”
in una settimana
Solo pochi mesi fa
Obama aveva promesso
a Merkel: “Non ti devi
preoccupare più”
Barack Obama e Angela Merkel alla Casa Bianca Ansa
per ragioni di opportunità e
problemi di diritto internazionale. Ma la doppia violazione da parte dell’alleato
americano impone a Berlino
una reazione forte sul fronte
esterno e visibile su quello interno.
Gli imprenditori avevano più
volte rilanciato l’allarme circa lo spionaggio industriale,
lamentando casi specifici. Il
servizio segreto ha stimato il
danno fra i 30 e i 60 miliardi
di euro l’anno tra sottrazioni
di liste di clienti ed offerte,
notizie su sviluppo di materiali e tecnologie e nuovi sistemi di produzioni. Le rivelazioni di Snowden avevano
confermato i timori anche
dei più scettici sulla forte interconnessione tra il “sistema
America” e i suoi 007.
RITORNO AL FUTURO
Guerra fredda tra alleati
di Giampiero Gramaglia
entra un po’ anche
C’
l’ubris’ da Mondiali dopo
la vittoria per 7 a 1 sul Brasile,
nell’impennata d’orgoglio della
Germania,
sfociata
nell’espulsione del capo della
stazione della Cia a Berlino:
senza quella vertigine d’onnipotenza che un successo così
clamoroso dà, i tedeschi
avrebbero magari scelto di
aspettare ancora; o avrebbero
optato per un trasferimento
concordato, lui altrove, noi
contenti. Invece, si sono comportati da grande potenza, da
pari a pari con gli Stati Uniti, in
quest’ultima propaggine giuridico-diplomatica del Datagate. Angela Merkel, la cancelliera, il suo telefonino intercettato non l’aveva mai digerito:
lo aveva detto chiaro e tondo al
presidente Barack Obama. E lo
ha ripetuto: “Spiare gli alleati è
uno spreco di energia”. E, se
proprio lo fai, almeno fallo bene. Invece no: recluti gente
“tonta da far piangere” – la frase è del ministro dell’Economia Wolfgang Schaeuble – e
pretendi di infinocchiare i tedeschi. Che anche per questo,
se non soprattutto per questo,
si offendono.
GLI USA non collaborano? E
loro, come ti annichiliscono
Hulk, ti mettono alla porta
l’uomo della Cia. Ché i tedeschi, in fatto di spionaggio,
non sono dei dilettanti. Dopo
la stagione di Vienna, nel primo dopoguerra, quella del Terzo Uomo di Orson Welles, Berlino nella Guerra Fredda è stata
la capitale dell’intrigo internazionale. Il ponte di Glienicke,
sul fiume Havel, che collega
Postdam alla capitale, veniva
usato da Usa e Urss per scambiarsi le rispettive spie prigioniere. Sui media, e al cinema,
divenne il ponte delle Spie -Funerale a Berlino, con Michael
Caine.
ro compromettere la sicurezza
nazionale. L’ambasciata degli
Usa a Berlino sottolinea che la
partnership con la Germania è
indispensabile e non può quindi essere compromessa da questo episodio (“La cooperazione
va avanti”). La Merkel, invece,
denuncia “una grande diversità di principio tra Usa e Ger-
UN SECOLO DI SPY STORY
Il rapporto tedesco con i servizi segreti è lungo e intenso
Il ponte di Glienicke, quello in cui est e ovest per anni si sono
scambiati gli agenti, fu ribattezzato “ponte delle spie”
Il primo scambio avviene il 10
febbraio del ’62: fra i protagonisti, il colonnello Rudolf Abel,
spia russa, e il pilota americano
Francis Gary Powers, catturato
dopo essere stato abbattuto nel
1960 con il proprio U-2 in missione di spionaggio sui cieli
russi. L’ultimo scambio risale
all’undici febbraio del ’86, ripreso dalle tv occidentali: Anatoly Sharansky, prigioniero
politico, e tre agenti occidentali sono barattati con Karl
Koecher ed altre quattro spie
Kgb. I tedeschi non digeriscono di essere trattati da alleati di
serie B, da “repubblica delle
banane”, come dice l’Spd, alleato di governo della Cdu della Merkel. E sono gli americani, che stanno dalla parte del
torto, se non altro perché si sono fatti prendere con le mani
nella marmellata, che si preoccupano di trasformare lo sgarbo in strappo. La Casa Bianca
evita commenti che potrebbe-
mania sull’intelligence” e il ministro della difesa Ursula von
der Leyen parla di “fiducia profondamente scossa” – e, incalza la Merkel, più fiducia significa migliore sicurezza. Per la
cancelliera, Obama ha sempre
avuto un rispetto che confina
con il timore: economicamente, agli Usa serve un’Ue che
cresca. Incapace di convincere
la Merkel ad allentare la morsa
del rigore sull’Unione, il presidente è ricorso a vari emissari, tra cui il presidente Giorgio Napolitano e i premier Mario Monti ed Enrico Letta. Certo, non si tornerà, tra Usa e
ICH BIN EIN BERLINER Kennedy a Berlino nel giugno ‘63 al
check-point Charlie, frontiera della ‘Cortina di Ferro’ tra Ovest ed Est Ansa
Germania, al clima dei mesi
precedenti
l’invasione
dell’Iraq. Il 23 gennaio 2003,
Donald Rumsfeld, il capo del
Pentagono, bollò Francia e
Germania, contrarie all’attacco, come la Vecchia Europa. Il
cancelliere Gerhard Schröeder
non riusciva a nascondere una
sorta d’imbarazzo fisico, quando faceva visita al presidente
George W. Bush, nello Studio
Ovale. Ed alle buvette del Campidoglio di Washington le patatine fritte – french fries, patatine francesi, in inglese - erano
state sostituite dalle freedom
fries patatine della libertà.
Mr. Google glass e la prostituta-killer
Forrest ucciso da un’overdose di Alix
è l’alto manager in carriera con i soldi, lo yacht, i vizi. E c’è
C’
il suo assassino: una prostituta stakanovista – il portafoglio clienti conta oltre 200 nomi – che, all’occorrenza, fa anche da
perto che, quello consumato a bordo del panfilo da 50 piedi, non
è il primo crimine compiuto dalla 26enne con la passione per
film horror e thriller. Anche il suo precedente fidanzato (e prospacciatrice (di eroina, non liquirizie). Lei gli infila una siringa prietario di un night), Dean Riopelle, era morto due mesi prima
nel braccio, gli spara in vena una dose e – quana causa di un’overdose di alcol ed eroina e, ando lui perde conoscenza in preda all’overdose Alix Catherine Tichelman, 26 anni che in quel caso, Alix era in casa.
L’esito del processo per la morte del manager
– se ne sta li a guardarlo. Beve il suo vino, fuma
appare scontato: tutta la scena è stata ripresa
una sigaretta, poi se ne va, lasciandolo morire
dalle telecamere di sicurezza dello yacht. Di
senza chiamare i soccorsi. E, ovviamente, prifronte ad una storia così romanzesca, anche la
ma di andarsene porta via tutto quello che c’è
polizia ha deciso di scrivere un bel copione.
di valore sulla barca più le tracce del crimine:
Per attirare la mantide religiosa nella trappola
siringhe ed eroina. Gli elementi di un noir
che l’ha portata all’arresto, un poliziotto si è
scritto per Hollywood ci sono tutti, il filmato
finto un potenziale cliente d’élite tanto perso
che documenta tutto pure, ma questa non è
della bella Alix da essere disposto a pagare milfiction: è accaduto realmente in California nel
le dollari per una sua prestazione. Lei, che oltre
novembre scorso. Ieri è iniziato il processo a
alle droghe e ai thriller, ama i soldi, non sa dire
carico di Alix Catherine Tichelman, la prostidi no. Rimanda i propositi di fuga dallo Stato e
tuta accusata della morte di Forrest Timothy
finisce in manette. Questa volta però non per
Hayes, un ricco manager di Google con 51 anni
un gioco erotico.
e 5 figli. Dalle indagini della polizia si è sco-
14
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
RYUICHI SAKAMOTO: HO IL CANCRO:
CANCELLO TUTTI GLI IMPEGNI”
Il compositore giapponese ha un cancro alla
gola e lo annuncia con una lunga lettera ai fan
pubblicata sul suo sito: “Abbiate pazienza,
prometto che tornerò”è l’ultima frase
TOUR DE FRANCE, VINCE GREIPEL
NIBALI RESTA IN MAGLIA GIALLA
DELLA VALLE CONTRO PRANDELLI:
“COME SEMPRE SCAPPA DOPO I CASINI”
André Greipel ha vinto in volata la sesta
tappa del Tour de France, da Arras a Reims
Vincenzo Nibali resta in maglia gialla con
2’’ sul compagno di squadra, Fuglsang
SECONDO
Durissima polemica da parte del proprietario
della Fiorentina contro l’ex ct azzurro ora al
Galatasaray: “Via dopo i casini che ha fatto, io
non mi meraviglio perché l’ho visto all’opera”
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Con gli occhi di un ultras
IN UN DOCUMENTARIO LA STORIA DI PAOLO SCARONI, TIFOSO DEL BRESCIA FINITO IN COMA PER UN PESTAGGIO DELLA POLIZIA
L
di Silvia D’Onghia
o sguardo di Paolo è perso nel vuoto di
quella vita che gli è stata strappata il 24
settembre 2005. Poche ore prima che a
Ferrara venisse massacrato e ucciso
Federico Aldrovandi, nella stazione di
Verona una carica impazzita di poliziotti assetati di lividi lasciava a terra
oltre trenta persone, e in coma un ragazzo di 28 anni, Paolo Scaroni. Un ultras del Brescia, in trasferta per vedere
la partita. Solo che la partita era finita
da un pezzo e i bresciani stavano tornando a casa. La macelleria ha colpito
nel mucchio, tre volte, con i soliti manganelli impugnati al contrario. “È l’ultimo ricordo che ho, i laccetti davanti
agli occhi. Poi, il buio”, racconta Paolo
a Valentina, la fisioterapista che come
un’ostetrica lo ha restituito alla vita, o a
quello che può assomigliare alla vecchia cara vita.
PAOLO SCARONI è invalido al 100 per
cento, dopo due mesi di coma e infiniti
e massacranti esercizi quotidiani, in
palestra e in piscina. Fatica a deambulare, perché non controlla una gamba,
della mano destra usa solo tre dita, non
riesce ad articolare il linguaggio. Il suo
sguardo è perso nella sua amata montagna, quella che un tempo scalava e
che adesso simboleggia la vita stessa.
Alcune immagini
Aspra e faticosa, dove ogni passo è un
tratte dal
affanno. Nessuno ha pagato per quella
documentario
macelleria, perché il processo di primo
“A volto
grado si è chiuso a Verona il 18 gennaio
scoperto”.
2013 con otto agenti assolti per non
Accanto, Paolo
aver commesso il fatto, ma con una riScaroni insieme
conosciuta responsabilità oggettiva
con un gruppo di
delle forze dell’ordine. Come a dire: si
ultras al processo
sa chi è Stato, ma non chi è stato.
di primo grado
Oggi la storia di Paolo è
raccontata in un bellissimo documentario, A volMANGANELLI
to scoperto, firmato dal
regista Francesco CoroStazione di Verona, 2005:
na e prodotto da Gaetano
Di Vaio col patrocinio di
le cariche delle forze
Amnesty International,
dell’ordine lasciano a terra
Articolo 21 e della Fondazione Federico Aldro30 feriti. A distanza di
vandi. In attesa e nella
speranza di conoscere se
9 anni nessuno ha pagato
e in quale Festival sarà
per quella macelleria
ospitato (Venezia o Torino), il Fatto lo ha visto in
anteprima.
“Il mio coma è stato sfigato, non ho
neanche visto il tunnel bianco – scherza Paolo con Valentina, cui è affidato il
compito di riportare alla memoria
quello che la memoria ha cancellato –.
Pensa che mi sono svegliato con la voglia di fumare. La prima persona che ho
visto, e riconosciuto, è stata mia madre.
Mi sono ricordato subito il numero di
partita Iva della mia azienda, ma poi
nient’altro. Mi hanno portato via 15
anni della mia vita, per quei 15 minuti potuti identificare con certezza i madi filmato che dal processo sono spa- cellai.
riti”. Scaroni si riferisce ai video delle Le immagini indugiano sui lineamenti
telecamere a circuito chiuso della sta- di Paolo, sui suoi capelli rossi, sulle sue
zione di Verona e a quei 15 minuti, pro- lentiggini. Sulla penombra del coma –
prio quelli, grazie ai quali si sarebbero il regista ha cominciato a girare subito
dopo il pestaggio –, sulla sedia a rotelle,
sulla piscina della riabilitazione. Il respiro è sospeso, trattenuto, avvolto da
un silenzio consapevole.
Ma il documentario si chiama A volto
scoperto perché messo a nudo non è solo il corpo fragile di Paolo. Per la prima
volta, a mostrare i propri lineamenti
sono anche gli ultras. Del Brescia,
dell’Atalanta, della Cavese. Curve coi
loro codici, con la loro violenza “a mani
nude”, con il loro tifo “impegnato” e
con la loro contestazione, sempre e comunque, contro le “istituzioni”. Ma per
gli amici si fa questo e altro, si legge sulle loro magliette, e allora a volto scoperto per testimoniare solidarietà a
INNI E CURVE
De Santis e la guerra di “Gambadilegno”
di Gabriele
Fazio
ho una gamba di meno, ma ce
l'ho fatta a tornare. Che vi creC’
devate? Di potermi fermare? Finché
mi reggo in piedi, finché mi riesco a
trascinare, anche con mezza gamba
ve la farò pagare!”. Non è un testo
scritto per il tifoso Daniele De Santis,
l’ultrà romanista presunto responsabile della morte del napoletano Ciro
Esposito, ma il dubbio potrebbe anche venire.
SI TRATTA infatti del testo di una
canzone di ispirazione fascista che
racconta le vicende di Gambadilegno,
un criminale che, stando al testo, non
si fa fermare da chi gli mette i bastoni
fra le ruote, neanche dopo essere stato
ferito. Proprio quello che potrebbe
pensare De Santis, che – durante gli
scontri fuori dall’Olimpico in occasione della finale di Coppa Italia tra
Fiorentina e Napoli – è rimasto ferito pezzo il proprio compagno di bat- campionati di calcio possano tornare
alla gamba. Una canzone, Gambadi- taglie Daniele De Santis e l’abbiano gli scontri. Il successo di Gambadilelegno, suonata dai “SottoFasciaSem- adottato come proprio inno. Ciò ov- gno tra i forum e i profili facebook
plice”, il cui frontman è Mario Vat- viamente non fa che alimentare le delle tifoserie organizzate della capitani, 47 anni, detto “Katanga”, che ha preoccupazioni circa gli sviluppi e le tale, non fa presagire niente di buono.
diviso la sua vita tra la carriera di- possibili ritorsioni dopo gli incidenti La madre di Ciro Esposito ci mette la
plomatica e i circoli di estrema destra del 3 maggio e l’omicidio di Ciro faccia e prega i ragazzi di non condove si esibiva con la sua band. È riu- Esposito. Mancano solo le due finali tinuare su quella stessa strada che ha
scito a mantenere il suo incarico di alla fine del Mondiale in Brasile e la portato alla morte del figlio, ma la
console a Osaka fino a quando il go- polizia teme che col riprendere dei politica ultrà, si sa e lo sanno anche le
verno, venuto a conoautorità, è difficile da
L’autore della canzone, Mario Vattani, e a destra gli scontri di Roma Ansa
scenza delle sue discucomprendere e da gestitibili performance a
re. Su internet gira voce
braccio teso a Casache sia così tanta e tale la
Pound con il suo grupvolontà di romanisti e
po, ha deciso di richianapoletani di scontrarsi
marlo in patria. La canche, per non essere “disturbati” dalle forze
zone assume oggi un significato nuovo e
dell’ordine, potrebbero
anche decidere di attacpreoccupante. Le frange
più estreme del tifo rocarsi in occasione di
scontri minori o lontani
manista avrebbero rinosciuto nel “Gambadida manifestazioni sporlegno” protagonista del
tive.
Paolo, nelle manifestazioni nazionali
come al processo. Con gli striscioni
srotolati allo stadio e sotto l’ospedale,
“Il tuo risveglio, la nostra gioia”. Con i
loro volti e le loro barbe incolte, con le
loro parole: “Quello che è capitato a
Paolo è capitato a tutti noi. Siamo gente
che non si piega. Un ultras non diventa
martire, resta sempre ultras anche se
non ci sta più”. Uno sguardo laico su un
universo di solito ostile alle telecamere.
“SE IL MIO MONDO mi avesse tradito
sarei stato nella merda”, confessa Paolo, la cui azienda agricola è stata salvata
dal padre Pietro, che ha smesso la sua
attività edile ed è diventato contadino,
perché altrimenti, oltre alla salute e alla
fidanzata, avrebbe perso anche la piccola impresa. “Più passa il tempo, più la
rabbia cresce. Incontro la sofferenza a
ogni passo, in ogni parola. Non posso
perdonare”. Si sente un messaggio inciso sulla segreteria telefonica: “Sono
Patrizia, la mamma di Federico. Tu devi continuare la tua battaglia, la tua voce è anche quella di mio figlio”.
L’appello comincerà a Venezia entro la
fine dell’anno. “Cosa mi aspetto? Giustizia, finalmente – racconta Scaroni al
Fatto –. Mi aspetto di trovare un giudice
che abbia un po’ di coraggio. Ne avrei
davvero bisogno, servirebbe a restituirmi fiducia nello Stato. Ora ne ho ben
poca. Guarda questo Stato cosa mi ha
fatto”. Camminare accanto a Paolo significa procedere con passo lento. E
quando lo si vede, come nel documentario, riuscire finalmente ad arrampicarsi sulla parete della montagna, col
respiro corto e le braccia stanche, non si
ritrova la pace. Al contrario. Sale la rabbia contro uno Stato che non è in grado
di tutelare i suoi figli (anche gli ultras
sono figli), ma che sa ben coprire i macellai. In una spirale che, se non si ferma, raderà al suolo il senso delle istituzioni. E non solo quello degli ultras.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
15
Copacabana l’Albiceleste
SOGNO ARGENTINO: VINCERE LA COPPA IN CASA DEL “NEMICO”. MA NON TUTTI IN BRASILE TIFERANNO GERMANIA
di Valeria Saccone
M
Rio de Janeiro
adre Santissima, ti
prego, fai vincere
l’Argentina”. Sulla spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro, un
tifoso si afferra a un rosario come un naufrago in mezzo a una
marea bianco-azzurra. I rigori
già sono iniziati e ogni gol si vive come un miracolo tra i migliaia di argentini (61.000, secondo i dati della Fifa) che
dall’inizio dei Mondiali affollano le strade e le spiagge della Cidade Maravilhosa.
Copacabana era tutta argentina
durante una semifinale che, tra
mille emozioni, ha portato la
squadra di Messi a un epilogo
contro la Germania che sarà
tragico indipendentemente dal
risultato, perché gli argentini
vivono il calcio con una mistura
di misticismo, religiosità e fede.
L’esplosione di allegria dopo la
vittoria è durata ore: festa in
spiaggia, bandiere al vento, facce dipinte, molta allegria e molto alcool. Nel frattempo, i brasiliani, umiliati da un 7-1 che
scotta ancora e che monopolizza le conversazioni nei bar, ne-
gli uffici e negli autobus, sono
divisi sull’esito di questi Mondiali.
Nota è la rivalità storica tra i due
paesi vicini, rappresentata dal
binomio Maradona-Pelé e ricca
di centinaia di aneddoti che alimentano l’antagonismo. Durante la partita, il canale della
Globo citava un sondaggio con
il 76% di tifosi a favore
dell’Olanda nello stadio di São
Paulo.
“Noi brasiliani siamo divisi, ma
credo che la maggioranza non
sopporteremmo una vittoria
dell’Argentina in suolo patrio”,
dice Pedro Serra, cameraman e
tifoso della Germania, tanto
che ha cambiato il suo nome in
Facebook. Adesso usa il cognome di sua madre e si fa chiamare
Pedro Grunert, sfoggiando gli
avi teutonici. “È una rivalità
atavica, come quella che separa
Rio de Janeiro e São Paulo, o
Madrid e Barcellona”, aggiunge.
“Ovviamente a questo punto tifo per la Germania. Se gli argentini vincono in casa nostra, ci
prenderanno in giro per anni”,
dichiara Alexandre Corrêa,
abitante del Complexo do Alemão, una delle maggiori favelas
de Rio de Janeiro. “A molti non
piacciono i trucchetti degli argentini: fingono i falli, trattengono il pallone quando stanno
vincendo... Sono troppo furbi”,
aggiunge Gilson ‘Fumaça’, guida turistico di Santa Marta, la
prima favela pacificata di Rio de
Janeiro.
Tuttavia non è difficile vedere a
Rio brasiliani con la maglietta
dell’Argentina. Alcuni credono
che la rivalità sia solo una leggenda urbana. “Io tifo per l’Argentina perché sono latinoamericana”, assicura Bel Mercês,
sceneggiatrice di São Paulo e residente a Rio de Janeiro. “Amo
il popolo argentino: sono persone meravigliose, accoglienti,
con una cultura enorme, amanti del buon vino e poi gli uomini
sono un vero schianto! Buenos
FESTA IN SPIAGGIA
Tifosi argentini durante la semifinale contro l’Olanda sulla spiaggia di Copacabana. Erano già in
60 mila, se ne attendono almeno
100 mila per la finale LaPresse
Romero eroe (quasi) per caso
UN ESUBERO DELLA SAMP PORTA IN FINALE MESSI. UNA STORIA SIMILE AL GOYCOCHEA DI ITALIA 90
di Malcom Pagani
i chiamava Sergio anche
S
l’altro eroe argentino con i
guanti, Goycochea, il portiere
di Italia 90. Quello che spezzò le
notti magiche mandando fuori
l’Italia di Vicini in una notte
campana e come il Romero del
2014, al Mondiale, non avrebbe
dovuto giocare. All’epoca in cui
Sergio iniziò a respingere calci
di rigore spingendo i gauchos
nella finale poi persa contro la
Germania, il titolare dell’Argentina era Nery Pumpido.
Trionfatore sulle ali di Maradona nel 1986, ma abbonato alle
sfortune, Pumpido si ruppe tibia e perone con la Russia nelle
fasi eliminatorie, a Napoli. Lo
portarono fuori in barella.
Pumpido, come Neymar, si teneva il volto tra le mani. In carriera, a partire da un dito granguignolisticamente mozzato
dalla fede nuziale impigliata nei
ganci della rete, Pumpido non si
era fatto mancare nessuna sventura. L’ultima della serie gli costò per sempre la Nazionale e
aprì la porta all’inatteso matrimonio tra un calciatore che non
giocava da 8 mesi, Goycochea e
l’Argentina. Nozze rapide e festose, lieto fine sporcato dal rigore di Andreas Brehme allo
stadio Olimpico di Roma. Gol
tedesco, gloria e storia che potrebbe cambiare di segno domenica sera, quando con l’eredità dei Fillol o dei pazzi alla
Hugo Gatti alle spalle, Sergio
Romero proverà a diventare
campione del mondo. Prima
della giostra brasiliana, Sergio
era rimasto a guardare gli altri
divertirsi da una panchina. A
Montecarlo, sotto la reggenza
Ranieri, in campo andava il collega croato Subasic. Nel Principato, Sergio era arrivato in prestito dalla Sampdoria.
DICONO che a Genova questo
argentino di frontiera, nato al
crocevia tra tre nazioni e scoperto da Van Gaal che lo volle
nell’Az Alkmaar (“Gli ho inseSergio Romero para il rigore di Wesley Sneijder LaPresse
IL BLUCERCHIATO
A Genova gli era stato
preferito il modestissimo
Da Costa, i tifosi
dopo qualche errore
gli avevano fatto ritrovare
la macchina senza ruote
gnato io a parare i rigori” rimpiange il maestro) bevesse mate
in solitudine e non facesse gruppo. A Bogliasco gli era stato preferito il modestissimo brasiliano Da Costa, i tifosi dopo qualche errore gli avevano fatto ritrovare la macchina senza ruote
e Sergio si era buttato giù. Con il
suo pesante contratto da quasi 2
milioni di euro, croce del neo
presidente Massimo Ferrero,
vagava in cerca di una rivincita.
Per la gioia di Ferrero, l’ha trovata. Ora con reciproca soddisfazione potranno monetizzare
in due e ridere persino, padrone
e dipendente, degli antichi errori definitivamente cancellati
dall’avventura brasiliana e delle
scaramanzie che qualche esegeta del doppio prodigio di Romero contro l’Olanda ha messo in
evidenza. Romero custodiva un
foglietto con i nomi dei rigoristi
avversari nei pantaloncini, lo
consultava come fosse nell’imminenza di un esame e poi, trovata la soluzione, si tuffava felice, a destra e a sinistra. Alla fine, al pari del suo allenatore, da
salvatore della Patria, Romero
ha guardato in alto. C’era aria di
entità superiore, di miracolo, di
colpo di culo. In Romero, a eccezione del dottor Sabella, non
credeva nessuno. Stringendolo
al suo destino, nello scetticismo
che abbracciava entrambi, Sabella non lo ha schiacciato. Ha
scommesso sul chiquito, sulla
sua faccia da bambino, ed è stato
ripagato. Migliore in campo
contro l’Iran, migliore in campo
contro la Bosnia, migliore in
campo contro l’Olanda. Quando Messi latita, Romero dice
messa. Su Twitter, Rihanna già
gli ha cantato un laico omaggio e
la moglie di Sergito, Eliana
Guercio, sportivamente, si è
detta disposta a prestargli il marito per una settimana. Forse
anche a casa, Sergito, non era
poi persona così grata.
Aires è la capitale con più charme del continente. Questa rivalità tra i due paesi mi sembra
una vera stupidaggine. Siamo
vicini e abbiamo una storia simile: siamo stati colonizzati e
abbiamo sofferto dittature molto dure. Siamo entrambi popoli
che sanno lottare. Io credo che
dovremmo essere più uniti.
L’America Latina intera dovrebbe unirsi”, continua Bel.
“Nel mio gruppo di amici, molti
stanno con l’Argentina solo a
causa della promessa di Paes”,
racconta il fotografo Luiz Baltar. Fa riferimento a una battuta
del sindaco di Rio di Janeiro,
che arrivò a dichiarare che se
l’Argentina vincesse i Mondiali, si sarebbe suicidato. “In realtà credo che il vero brasiliano
tiferà per chi dimostrerà di aver
più razza sul campo”, sostiene
Luiz.
GLI ARGENTINI nel frattempo
si alloggiano nell’accampamento che il Comune di Rio ha abilitato vicino al Sambodromo.
Per la finale, si aspetta che arrivino altri 70.000 argentini,
pazzi di felicità e disposti a tutto
pur di assistere alla partita al
Maracaná. Alcuni hanno venduto la macchina e tutto quello
che possedevano pur di poter
vivere il sogno dei Mondiali in
Brasile. Una volta qui, sbarcano
il lunario come possono: pittu-
TIFO DIVISO
C’è chi rispolvera
addirittura i cognomi
materni perché
tedeschi, eppure la
solidarietà continentale
non è così rara
rando le bandiere dei vari paesi
sulle facce di migliaia di tifosi;
vendendo empanadas fatte in
casa o suonando jazz in strada.
L’importante è partecipare, anche se poi bisogna andare al ristorante popolare di Rio, con
pranzo a 1 real (30 centesimi).
“Ti dirò una cosa. Il Para è argentino. Il genio del calcio,
Messi, è argentino. E adesso ti
do una notizia in esclusiva: anche Dio è argentino”. Pablo sussurra il suo dogma dal camper
con cui è arrivato in Brasile, insieme a suo fratello, suo nipote e
due amici: tre giorni di viaggio
dalla città di Entre Ríos.
L’Argentina ha bisogno di vincere perché vive il calcio con la
stessa intensità di un Via Crucis.
Domenica fremeranno, piangeranno, grideranno e pregeranno il Dio del pallone per raggiungere il quarto titolo mondiale.
COPPA
CABANA
di Oliviero Beha
Van Gaal e il saliscendi
dal carro mediatico
CREDO di essermi assopito durante Olanda-Argentina, ma
neppure tanto giacché il pallone rantolava nella stessa metà
campo del dormiveglia. Partita penosa, e nemesi ai rigori per
gli olandesi con il Romero, guardiano argentino che faceva il
Krul orange contro la Costa Rica. Impossibile per i venerandi
non ricordare la vignetta di Forattini nell’80, quando il Napoli
sfidava la Juventus e la Roma per lo scudetto e ci fu il terremoto dell’Irpinia: “Avete visto: vulimmo a’ Krol, vulimmo a’
Krol e così…”, laddove Ruud Krol era quel meraviglioso “libero”
olandese i cui lanci arrivavano al piede da cinquanta metri. Ma
questo è Krul, o era Krul… Perché il suo puparo Van Gaal, assurto a Cagliostro per la trovata del cambiaportieri istantaneo
per i rigori finali, adesso è trattato alla stregua di un povero
deficiente che ha fatto giocare ai suoi la peggiore semifinale
vista negli ultimi anni. Naturalmente con il concorso di colpa
degli argentini, o malvini, che però su Van Gaal hanno un leggerissimo vantaggio: hanno vinto loro e dunque sono in finale,
contro il tifo carioca che considera l’eventuale vittoria argentina praticamente alla pari con la catastrofe della propria
squadra. Insomma, Van Gaal è l’ultima (per ora) dimostrazione di come ci si diverta a edificare e distruggere in gran fretta
Erme del Gianicolo, in tutto ma nel calcio, popolare ed estemporaneo per eccellenza, ancora di più. Perché? Oltre alla serqua di analisi sociologiche, che richiederebbero un Diamanti
(ma Ilvo) o un De Masi, direi semplicemente perché nessuno
analizza davvero come si giochi e quali meriti e demeriti si abbiano, bensì esclusivamente il risultato finale.
È UNA FOOT-POLITIK elevata a potenza, un po’ ridicola se
vogliamo, ma che non richiede sforzi intellettuali particolari e
ha sempre l’alibi del risultato. È come se i media, o meglio il
tifo mediatico perché all’incirca di quello si tratta, cercassero
sempre di muoversi all’ombra di qualcosa o di qualcuno, del
vincente e quindi del potere, dei numeri, del vantaggio di carriera o di imbonimento (cfr. il Mondiale dei Mondiali dei Mondiali dei Mondiali periodico), mentre se rimanessero al sole a
capo scoperto rischierebbero intollerabili insolazioni… Alla
parola parlata e a quella scritta. P.S. Commentando in Rete il
mio articolo di ieri c’è chi si è schierato con Agnelli contro Macalli: fantastico, non credevo ai miei occhi. A parte le meravigliose assonanze cognomastiche, se è così, per citare il principe De Curtis, “ho detto tutto…”.
www.olivierobeha.it
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SECONDO TEMPO
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
il Fatto Quotidiano
MASTERIZZATI
IL CONCERTO
Massive Attack
di musica e politica
IL “COLLETTIVO” DI BRISTOL IN TOUR IN ITALIA,
ULTIMA TAPPA ALL’ARENA DEL MARE DI GENOVA
di Chiara
Ingrosso
L
oro non si definiscono una band,
ma un collettivo
musicale. Ed è proprio questo il segreto della
lunga vita dei Massive Attack
che, dal momento della loro
composizione a Bristol nel
1987 fino al loro ultimo album Heligoland del 2010, non
hanno mai sbagliato un colpo. Questa sera, i padri del
trip hop suoneranno sul palco
dell'Arena del Mare a Genova, ancora freschi della performance di martedì scorso
nella Cavea dell'Auditorium a
Roma, parte della rassegna
estiva “Luglio suona bene”.
Lo spettacolo capitolino ha
seguito un copione, nonostante qualche intoppo audio,
fatto di musica dai risvolti ipnotici, colorazioni monocro-
mo abbaglianti e messaggi
che fanno presa sulle coscienze. Un copione aggiornato,
ma pur sempre lo stesso da
cinque anni, sebbene le date
dei Massive Attack siano ormai rare.
Ma si sa, squadra vincente
non si cambia e il pubblico ne
ha approfittato, superando l'iniziale imbarazzo dei posti a
sedere in Cavea e lasciandosi
scivolare sotto il palco. Nell'arco di quasi trent'anni il
gruppo, di cui sono fondatori
Robert “3D” Del Naja e Grant
“Daddy G” Marshall, ha saputo cambiarsi la pelle a ogni
nuova tendenza musicale.
Questo è l'ingrediente segreto
del trip-hop, un genere che
non ha genere ma solo contaminazioni, una categoria
che non ha tempo e luogo, ma
solo divenire. Nelle loro canzoni, abbondantemente pre-
IL DJ
L’ambizioso
topo elettronico
state al cinema e alla pubblicità, convergono in modo armonioso hip hop, jazz, rock e
soul, le chitarre, i sintetizzatori e le voci dei compagni di
questo tour, Horace Andy,
Deborah Miller e Martina Topley Bird. Nella scaletta diversi i brani più appezzati mancanti all'appello, tra cui Special cases, Protection e Karmacoma, per lasciare più spazio alle sonorità di Heligoland
e del più amato Mezzanine,
album del 1999.
SONO
RIMASTI a bocca
asciutta, invece, coloro che si
aspettavano anticipazioni dal
nuovo album dove, si vocifera, tornerà la calda voce del
britannico Tricky, che deve il
suo esordio proprio al collettivo di Bristol. Chi conosce i
Massive Attack sa bene che il
loro nome è sinonimo di cri-
di Pasquale Rinaldis
Massive Attack Ansa
tica e impegno sociale. “La
vuoi una notizia?” recita la
grande scritta luminosa sui
pannelli roteanti della scenografia. Ed ecco che sulle note
cupe di Inertia creeps sono
passate in rassegna le notizie
italiane e internazionali di
questi ultimi giorni. Dagli ultimi risvolti dell'omicidio di
Yara Gambirasio, alle vicende
giudiziarie di Sarkozy, dalle
telecamere antispaccio al Pigneto, all'inchino della Madonna davanti alla casa del
boss calabrese. Particolare il
CANTAUTORATO
Area nuova
senza spina
WHILE (1<2) ©
GHEMON ©
ORChIdee
Macro Beats
CI SONO più rapper in Italia che funghi in Val
Brembana in ottobre. Fa bene quindi Ghemon a
cercarealtre strade, tra molto funk, soul, jazz,
pop e qualcos'altro. “ORCHIdee” è un album molto “black”, realizzato
con la collaborazione del producer Tommaso Colliva (Muse, Calibro
35, Afterhours, Ministri) e dal giovane e talentuoso Marco Olivi. I musicisti coinvolti? Patrick Benifei (Casino Royale e Bluebeaters), Enrico
Gabrielli (Calibro 35, Vinicio Capossela, Mike Patton), Fabio Rondanini
(Calibro 35 e John Parish), Rodrigo D'Erasmo (Afterhours), Daniel e
Ramiro (Selton), Gabriele Lazzarotti (Daniele Silvestri, Niccolò Fabi),
Paolo Ranieri e Francesco Bucci (Baustelle, Dente, Le Luci della Centrale Elettrica). E un trionfo di Fender Rhodes, di fiati, di bassi rotondi e
batterie vintage. Tredici canzoni calde, qualche spunto nei testi, come
in “Fuoriluogo ovunque”, buona qualità musicale. Niente culi, pistole,
esposizioni bling bling. Not for kidz.
Valerio Venturi
IL DUO
Generazioni
in blues
Psychic Twins
FF
IL CANADESE Joel Zimmermann, poco più che
trentenne, ha esordito sulla scena elettronica
con un numero sterminato di tracce, vinili, Ep e
Remix da lasciare disorientati. In una manciata di anni, grazie alla sua
maschera da topo, ha conquistato il podio dei club mondiali ed è diventato protagonista della nuova scena Edm (Electronic Dance Music). Oggi si concede con il contagocce, chiede compensi stellari e
pubblica un doppio album con un ambizioso obiettivo: diventare il The
Wall della sua generazione. In realtà la vena compositiva del topo si è
un po’ affievolita – pecca di manierismo nei suoni e negli arrangiamenti
– anche se “Avaritia” e “Pets” sono due evoluzioni dell’artista e infiammeranno i dancefloor. Manca un singolo come “The Veldt”, una
delle migliori produzioni degli ultimi anni; ci sono molti interludi e troppe divagazioni chillout e down tempo. Si sente la sua grande voglia di
cambiare direzione: recentemente a sparato a zero su una scena ormai
vampirizzata da discografici e promoter dei concerti. Il suo live passerà
nell’unica data italiana al Cocoricò di Riccione l’11 agosto.
Guido Biondi
Ghemon contro
gli ultrarapper
momento in cui la Cavea si è
illuminata con un solo nome,
quello Ciro Esposito, che è restato lì, fermo nella sua grandezza, a raccogliere fino all'ultimo gli applausi. D'impatto
anche le visual che collezionano le dichiarazioni dei detenuti nel campo di prigionia
di Guantanamo e il messaggio
finale che pulsava sulle note di
Unfinished simapthy, brano
con il quale si è concluso il
concerto: “Apprezzare, condividere, aggregare, e amare”.
A SMALL WORLD
IN BLACK & WHITE ©
Deadmau5
mau5strap
FUSION
The Black
Keys,
perfezione
alla
tedesca
SQUADRA che vince non si
cambia. Il connubio artistico
tra il chitarrista Fabrizio Friggione e l’autore Massimo Monti – separati da un’età tipica di padre e
figlio – torna dopo l’album di esordio Crossings con
11 nuove tracce di blues puro, con qualche virata
funky e un paio di omaggi sottili a Springsteen.
“Small world” è la vetta, frutto del collaudato sodalizio tra Friggione e Jack Jaselli: inizia come una
rock ballad e si sviluppa in chiave pop; romantica e
densa senza mai essere mielosa. In “Even If You
Don’t Care” si parla di un amore non corrisposto;
“Brothers And Sisters” è un invito a vedere gli altri
come parte della soluzione anziché del problema.
La toccante “Sometimes You Do It Right” racconta
del desiderio di seguire un figlio per tutta la vita.
G. Bio.
AREA765 ©
Altro da Fare
Fuori dal Centro
SUCCEDE che un cambiamento solo non sia sufficiente. Come se la consapevolezza non bastasse, e ci fosse bisogno di
una nuova conferma: non di voler essere diversi,
ma di esserlo già. Così gli Area765 capitanati da
Stefano Fiori e sorti dalle ceneri dei Ratti della
Sabina – dei quali portano ancora i segni, in
forma di canzoni – dopo “Volume Uno” (2012),
primo lavoro della nuova band, rimescola le carte con il nuovo “Altro da fare”, che è, soprattutto, un “altro da essere”. Diciotto tracce, di cui
sedici ripescate dal loro repertorio (dei Ratti, e
degli Area) e completamente arrangiate in
chiave acustica. La versione unplugged dona
nuova linfa, esaltando la matrice folk dei brani.
Alcune derive di classico cantautorato gettano
qualche ombra sulla libido musicale, ma un sapiente posizionamento degli archi rende sensuali molti brani. Tra i due inediti, meglio “L’ultimo tango” (l’altra è la title track). Preferite:
“Sarà per questo”, “Galleggiare”. Consiglio: vederli live.
Diletta Parlangeli
NELLO STESSO preciso istante
in cui allo stadio Mineirão di Belo Horizonte l’arbitro messicano
Rodriguez fischiava il calcio
d’inizio della semifinale Brasile-Germania, al Postepay Rock
in Roma, dagli amplificatori
usciva il riff di chitarra che dava
inizio al concerto dei The Black
Keys. Per il duo originario
dell’Ohio, composto da Dan
Auerbach e Patrick Carney, si
trattava della prima volta nella
Capitale, dove sono giunti per
l’occasione circa 13 mila spettatori da ogni parte della Penisola.
Su un palco scarno e illuminato
da centinaia di lampadine, i due
partono a testa bassa, con ritmi
serrati, proprio come la Germania contro la Seleção. Uno dopo
l’altro vengono eseguiti i grandi
successi della band: Dead and
Gone, Next Girl, Run Right Back,
Same Old Thing e Gold On The
Ceiling. Nonostante la perfezione con cui suonano i propri pezzi, musicalmente ineccepibili,
l’unica nota stonata è l’incapacità dei The Black Keys di entrare
in empatia con un pubblico che
invece mostra una gran passione e attaccamento. Da parte loro emerge come una volontà di
non voler surriscaldare troppo
gli animi. Intanto, dopo poco più
di mezz’ora, nonostante la mancanza di Rete e quindi di connessione, fra il pubblico comincia a
circolare la notizia – accolta come una bufala – che la Germania
vinceva per 5 gol a zero contro il
Brasile. Malgrado la diffidenza,
però, qualcuno azzarda il paragone fra l’andamento del concerto e quello della partita: proprio come i tedeschi, i due con il
loro rock-blues sono esageratamente freddi e razionali e mostrano poco trasporto emotivo.
Anche quando eseguono il singolone Fever e la splendida Lonely Boy. E dopo tanti gol c’è il rischio poi che qualcuno chieda di
fermarsi e di porre fine allo show.
IL LIBRO
Transumanza rock
Manuale spagnolo
MADRID & BARCELLONA
LA GUIDA ROCK ©
Roberto Calabrò
Arcana
IL TURISMO rock è un fenomeno in grande crescita, favorito dai voli low cost e dal
proliferare di festival in ogni parte d’Europa. Per chi pratica la transumanza da
concerto – o semplicemente per quei
viaggiatori che neppure in vacanza sanno
liberarsi dalla “scimmia” musicale – le guide di Arcana dedicate a quelle che una
volta si definivano “mecche della cultura
giovanile” come Londra, Berlino, New York
e Amsterdam sono quello che i Baedeker
rilegati in pelle erano per le dame vittoriane con cappello e ombrellino durante i
loro grand tour a Firenze e Roma. L’ultima
arrivata, argomento Madrid e Barcellona,
oltre a fornire tutte le dritte utili su negozi
di dischi, club, locali e shopping alternativo fa persino qualcosa di più. L’autore
Roberto Calabrò, giornalista de L’Espresso
e Repubblica da sempre attento al lato più
underground dell’universo rock, indaga
tra le pieghe di quel fenomeno spesso
frainteso che fu la Movida. Il terremoto
culturale che nell’immediato post-franchismo generò in Spagna un nuovo modo
di fare arte e di stare insieme, nel quale la
percentuale della creatività superava di
gran lunga quella dello sballo fine a se
stesso, viene trattato in maniera sintetica
ma esaustiva, incorniciando storicamente
la realtà odierna di due città che, nonostante la crisi, rimangono centrali (con i
loro festival e la loro vivacità culturale)
sulla mappa dell’Europa rock’n’roll.
Carlo Bordone
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MAURIZIO COSTANZO
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
17
torna
su Canale 5 per otto serate Ansa
ANIMAL PLANET
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Anche i gatti hanno
un’anima (diabolica)
di Patrizia Simonetti
ell’Antico Egitto se la godevano alla grande, ma nel Medio
N
Evo, scomunicati dal Papa come
animali delle streghe e del demonio,
furono torturati e arsi vivi in tutta
Europa. Altri tempi. Eppure ancora
oggi se un gatto nero ci attraversa la
strada, eccoci a fare gli scongiuri.
Magari non ci danno la zampa a comando o non ci portano le pantofole, ma da qui a farli arrivare
dall’Inferno.... My cat from Hell è
l’ironico titolo del factual di Animal
Planet che il 21 luglio sbarca su Real
Time come Il mio gatto indemoniato
per la gioia di chi si schiera sempre e
comunque dalla loro parte. Perché
il supertatuato Jackson Galaxy, musicista di notte, comportamentista
felino di giorno, è fermamente convinto che se un gatto impazzisce,
una ragione c’è e sta sempre nel rapporto con gli umani, così ora gira
per gli States a salvare coppie messe
in crisi da gattoni feroci e mici incompresi da padroni distratti, perché gli umani hanno diritto alla loro
vita, ma i gatti pure.
CERTO CHE a guardare Bear, pelo
dritto e nero, abbarbicato sullo scaffale che soffia e rantola minaccioso
come un gremlin, te lo aspetti pure
che all’improvviso giri la testolina di
360 gradi e vomiti verde come Re-
gan ne L’esorcista e ti chiedi da dove
escano i detti “micio micio” e “gatton gattoni”. È il gatto di Hannah
che da adorabile micetto si è trasformato in una tigre selvatica che distrugge casa e graffia chiunque si avvicini, soprattutto il compagno di
lei, Johnny, e il suo povero cane
Frank. Jackson lo trova chiuso in camera, rifugiato sotto il letto che fa
versi inquietanti e tira zampate, ma
quando lui si stende a terra e parlando sottovoce gli offre robetta
buona da mangiare, Bear si calma ed
esce dalla tana. Anche Lulù sembra
posseduta quando Amanda e Matt
vanno a dormire e lei miagolando di
brutto infila le zampe sotto la porta
chiusa della loro camera prendendola a testate, così come Snickers
che ti aggredisce se solo lo tocchi,
ma Jackson scopre che Laura lo infila a forza in una borsa e lo tiene
stretto per tagliargli le unghie,
chiunque si incazzerebbe un po’.
Ecco dunque qualche buon consiglio firmato Galaxy: i gatti non amano essere presi in braccio come fagotti né rinchiusi o messi all’angolo
senza vie di fuga, hanno energia da
vendere che va scaricata, per cui
qualche tiragraffi qua e là per arrampicarsi e grattarsi gli artigli non
guasta, e anche qualche giochino
per divertirsi con gli umani di casa,
ma soprattutto quando dicono “basta coccole”, basta coccole.
Il ritorno del Costanzo Show
nostalgia della buona tv
di Luigi Galella
l “Maurizio Costanzo Show” aspirava all’eternità. Chi lo ha visto naI
scere, nel 1982, lo ha vissuto, sera dopo
sera, come una parte naturale e permanente del paesaggio televisivo. Come se ci fosse sempre stato e sempre,
ineffabile e familiare, fosse destinato a
esserci. Come le valli e i monti, consueti
e sconosciuti, per quel pastore errante,
che nella tarda serata, guardando in alto, viene catturato da felicità e sgomento e incredulo interroga il cielo: “Che
fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai”.
A fare, il “Costanzo Show” faceva.
Creava personaggi, li plasmava traendoli dal fango dell’impopolarità, come
dei Golem, e li consegnava alla celebrità; raccontava storie, presentava casi
umani, inscatolava piccoli mostri da
osservare incuriositi, come al circo, e
deliziose fanciulle alla ricerca di miliardari da sposare; determinava il successo di romanzi, romanzieri, attori, filosofi, medici, psicanalisti, viaggiatori,
poeti, indovini, comici. E di chiunque
appartenesse, con un tratto caratteriale
distintivo, alla multiforme comédie hu-
maine. Perché è vero, le apparizioni te-
levisive sono decisive, ma non tutti i
palchi hanno uguale risonanza: quello
del “Parioli” di Roma, che mescolava
abilmente cultura alta e bassa, era autorevole senza sussiego. Quasi sempre
con ironia, con quella postura del fare
ed essere tv di “sguincio”, come direbbe
il suo inventore. Non era, tuttavia, solo
tv. Perché insieme conteneva se stessa,
osservandosi e sorridendo: summa e
riepilogo, avanspettacolo e dramma,
miseria e nobiltà. In passerella.
RITORNA OGGI, il talk-show più lon-
gevo della storia, in seconda serata,
sempre su Canale5, per otto settimane.
Lo fa, perché forse non è mai andato via,
via dal paesaggio televisivo, apparentemente cambiato dopo l’avvento dei
reality, che però devono molto a quel
proto-format, che ne rappresenta l’antico ceppo e suggerisce i migliori spunti. Reality che si fondano sulla necessità
ingenua e velleitaria di raccontare la vita, così come essa è. Il “Costanzo Show”,
invece, la trasferiva sul palcoscenico,
col doppio filtro del teatro e della tv,
come a ricordarci che se proprio vo-
Gli ascolti
di mercoledì
OLANDA – ARGENTINA
Spettatori 9,2 mln Share 45,6%
SE SCAPPI TI SPOSO
Spettatori 1,8 mln Share 8%
gliamo assistere alla “vita”, se è questo
che ci interessa, paradossalmente non
possiamo prescindere dal suo “spettacolo”.
Il primo degli otto lunedì previsti viene
dedicato a Giorgio Faletti, la cui scomparsa così Costanzo ricorda. L’artista
dalle mille facce, ultima delle quali la
scrittura romanzesca, con cui ha conseguito uno dei più grandi successi editoriali italiani di tutti i tempi, era divenuto popolare con “Drive in” ed era
presente sul palco romano, soprattutto
negli anni 80 e 90. Vedere spezzoni dello show, distribuiti negli anni, ha l’effetto spiazzante di contrarre la storia e
l’evoluzione personale e artistica del
personaggio, di appiattire brutalmente
la diacronia nella sincronia, come se i
volti che cambiano non fossero che diversi abiti di scena di un’unica serata.
Inevitabile, la fitta nostalgica, il rimpianto di ciò che si è perduto. Anche se,
nel caso di Faletti, la nostalgia è resa
dolce dal carattere stesso della persona,
che una sera confessò una colpa imperdonabile per il mondo dell’arte cui apparteneva: d’essere un buono.
[email protected]
CHI L’HA VISTO?
Spettatori 2,6 mln Share 11%
TEMPESTA POLARE
Spettatori 1,6 mln Share 6,7%
18
SECONDO TEMPO
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
il Fatto Quotidiano
TURBOGOVERNO
LA RIFORMA/3
Intercettazioni:
il diritto di sapere
di Bruno
A
QUESTA DECISIONE deve essere motivata: l’indagato ha il
diritto di sapere perché lo vogliono mettere in prigione; sia
per difendersi negando o precisando circostanze; sia per ricorrere al Tribunale della Libertà o in Cassazione. Dunque il Gip deve trascrivere le
intercettazioni nel suo provvedimento. E qui sta il problema: perché (art. 328 codice
di procedura) a questo punto
le intercettazioni non sono
più segrete e, se un giornalista
ne viene a conoscenza (in genere perché gliene parla l’avvocato; o anche perché poliziotti, segretari e giudici glielo
raccontano, che non è una
bella cosa ma ogni tanto succede) le pubblica. Centinaia di
giuristi (e migliaia di gente
che di diritto non capisce
niente) si sono affannati per
20 anni (da quando arrivò B.)
a cercare una soluzione a questo problema: come si fa a impedire la pubblicazione delle
intercettazioni quando queste
sono pubbliche? Prima che lo
diventino è semplice: la cosa
costituisce un reato, il giornalista e le sue fonti – se si
scoprono – sono condannati.
Ma dopo?
IPOTESI A: si vieta la pubblicazione delle intercettazioni.
Non si può, c’è l’art. 21 della
Costituzione, libertà di stampa.
IPOTESI B: si impedisce che
indagato e avvocato le possa-
di Daniela
Ranieri
l fatto che il ministro BoI
schi (a Le invasioni barbariche chiese di non esser chiamata ministra, e sia) sia insopportabile, non costituisce
criterio di giudizio. Né siamo
di quelli tanto accecati dalla
sua bellezza da perdere lucidità d’analisi.
Se malgrado 20 anni di efferato barzellettismo al potere e
a dispetto degli sforzi umoristici di Renzi la simpatia non è
una categoria politica, non lo è
manco l’avvenenza, su cui disse tutto l’inarrivabile manifesto Il favoloso mondo di Nicole
stilato dalla consigliera regionale Minetti contro i politici
bruttarelli seppur onesti e capaci.
Tinti
l punto 10 dei 12
sulla riforma della
giustizia si parla di
“intercettazioni:
diritto all’informazione e tutela della privacy”. Fortunatamente non vi è traccia delle
demenziali riforme di B. che
voleva permettere le intercettazioni solo “quando esistono
prove di colpevolezza”, cioè
quando non servivano più; e
dunque sembra che acchiappare i delinquenti sarà ancora
consentito. Qui ci si preoccupa della conoscibilità dei
contenuti delle intercettazioni.
Quello che Renzi non ha capito è che si tratta di una riforma impossibile; sempre
che si voglia rispettare la Costituzione. Le intercettazioni
servono per acquisire le prove
della sussistenza del reato e
della colpevolezza o dell’innocenza dell’indagato. Nel
caso che il pm lo ritenga colpevole e pensi che sia opportuno impedirgli di scappare,
inquinare le prove o commettere altri reati, deve chiedere
al Gip di metterlo in prigione;
e dunque deve trasmettergli
la trascrizione delle intercettazioni. Se il Gip concorda
con il pm, emette un’ordinanza con cui dispone la carcerazione preventiva (adesso
si chiama applicazione della
misura cautelare della detenzione in casa circondariale;
ma sempre la stessa cosa è).
Maria Elena, l’alter ego
chiacchiere e distintivo
LA BOSCHI, della cui onestà
La riforma della giustizia prevede una norma sulle intercettazioni Ansa
no conoscere, il Gip ne parlerà “di striscio”, dicendo e
non dicendo, ne farà un riassunto più o meno articolato.
Non si può, c’è l’art. 13 della
Costituzione, libertà personale inviolabile se non con provvedimento giudiziario “motivato”. Un riassunto di una
prova non è una prova: è l’interpretazione di quella prova
data dal giudice. E come si fa a
contestarla se non si conosce
la prova in originale? Un
provvedimento del genere
non è “motivato”; se il giudice
lo adotta perché è pigro o incapace, si può impugnare in
Cassazione; se è previsto dalla
SOLO PRIVACY?
L’esecutivo vuole
modificare le regole
per la pubblicazione
delle telefonate
Ma i cittadini devono
poter sapere
legge, è incostituzionale.
IPOTESI C: si fa un’udienza in
camera di consiglio, non pubblica: Gip, pm e avvocato
ascoltano le intercettazioni
(magari servono mesi ma non
importa, anno più anno meno...) e poi il Gip decide quali
trascrivere; le altre si distruggono. Non va bene: che libertà
di stampa è quella in cui è il
giudice a decidere cosa si può
pubblicare e cosa no? Saranno
i giudici a dirigere gli organi
di informazione? Nuova violazione dell’art. 21.
Insomma, Renzi non capisce
che, essendo lecito informare
i cittadini di arresti, perizie,
interrogatori e ogni altra cosa
che riguarda i processi penali
(ricordiamoci le 157 puntate
di Porta a Porta sul delitto di
Cogne), diventa irragionevole
vietare di informarli sulle intercettazioni.
Ma almeno non si pubblichi-
no quelle che non hanno rilevanza penale. Potrebbe intendere questo Renzi quando
parla di conciliare informazione e privacy. Solo che, prima di tutto, si ricade nella situazione precedente: non tocca al giudice stabilire quello
che si può pubblicare. E poi:
chi lo ha detto che le informazioni che non hanno rilevanza penale non si devono
pubblicare? Se una fotografia
che mostra un parlamentare
che si fa una riga di coca è
pubblicabile (e certamente lo
è); perché non dovrebbe essere pubblicabile un’intercettazione dello stesso parlamentare che chiede al suo pusher di portargli la stessa riga
di coca (il che, per il parlamentare, non costituisce reato e non ha dunque rilevanza
penale)? Il diritto all’informazione e il dovere di darla sono
l’essenza della democrazia: i
cittadini devono sapere per
poter decidere. Può stargli bene oppure no che un parlamentare si faccia di coca; e lo
voteranno oppure no anche
in base a questa circostanza.
Ma, se gliela si nasconde, li si
priva del diritto di scegliere.
LA SOLUZIONE del problema
non sta a monte ma a valle. I
giudici (italiani ed europei)
hanno elaborato in migliaia di
sentenze i principi che stabiliscono quali sono i limiti di
una corretta informazione:
verità, pertinenza (utilità
dell’informazione), continenza (modalità di espressione).
Se non sono rispettati, ci saranno condanne penali e civili. E non è colpa di giornalisti o cittadini se il sistema
giudiziario italiano garantisce
l’impunità a questi e ad altri
ben più gravi reati.
Renzi deve capire che i diritti
costituzionali non sono comprimibili; quello che deve essere impedito è l’abuso. Vero,
a questo punto il danno è fatto; ma questo vale per tutti i
reati, a cominciare dall’omicidio. Diventa insopportabile
solo quando si tratta di intercettazioni?
non c’è motivo di dubitare, deve ancora dimostrare la sua
competenza. Se i maschi hanno fatto le peggio cose, e persino i finti miti come Forlani
erano “conigli mannari”, chissà quali vette di sublime cinismo istituzionale può agevolare l’eterea determinazione di
una first lady di fatto col polso
della Thatcher e il volto da copertina di Lady D.
Per ora ciò che offre, nonostante il suo (?) slogan “voglio
essere giudicata per le riforme
e non per le forme”, non va
oltre la sua immagine e una
certa permalosità alle critiche,
in linea col premier-Pigmalione che dal quasi nulla di una
consulenza legale su cose di Firenze l’ha creata ministro e
quindi madrina costituente.
Appena arrivata a Roma, chiese all’Huffington Post di cancellare un articolo che la voleva a inciuciare con quelle di
FI (ripresa dalla Annunziata,
negò, s’impuntò, s’arrese), poi
mostrò una vellutata sportività per l’imitazione della Raffaele lasciando al braccio armato del Pd twitterino l’onere
di sparare a zero contro il sessismo di certa satira, mentre
col sorriso accusava i “professori” come Rodotà di “bloccare le riforme da 30 anni”. Gli
episodi rivelarono l’arroganza
da parvenu, forse fisiologica al
rodaggio istituzionale: a parte
l’organizzazione della Leopol-
da, infatti, non risulta che Boschi abbia fatto un solo giorno
di scuola o gavetta politica prima di essere messa a riscrivere
la Costituzione.
Chissà se ha imparato: si può
criticare i politici anche se
donne, trasecolare per i provvedimenti “honcrethi”, esprimere dubbi sulla bigiotteria
brillocca di un potere pieno di
donne gradevoli, ma dopo 6
mesi ancora troppo istituzionalmente trasparenti e teleguidate dal carisma di un premier
maschio nel senso biologico e
nell’altro. Il potere la fa serena:
la liturgia della stampa filo-renziana prevede una foto
di lei che avanza gioconda dal
fondo in primo piano, o da sinistra verso destra, o esce da
Palazzo Chigi in beige, col telefono in mano; sotto, una
scritta, come nei santini. Mentre i fashion blog commentano
i suoi completi Zara, lei sorvola con sprezzatura sul pasticcio dell’immunità per i
neo-senatori (“non la volevo”); intanto con falcate assertive da red carpet sfila in Transatlantico, davanti a quella Camera dove andò a dire tutto
d’un fiato che il Pd crede nella
presunzione d’innocenza e
perciò distribuisce nomine tra
gli indagati.
IL SUCCESSO
Con il ministro Boschi
il renzismo è riuscito
dove il berlusconismo
ha fallito: dare
credibilità istituzionale
alla mera apparenza
Maria Elena Boschi Ansa
La Boschi è la punta di diamante del new deal informato
sul modello del gineceo al lavoro, rispettabile e glam. Non
la mandammo noi in Congo a
prendere i bambini adottati
trasformando il volo nella fiera della photo opportunity, ma
Renzi. Che non spedì i ministri competenti Alfano o Mogherini né la sua legittima moglie come usa nelle monarchie
e in America, ma appunto lei,
riconoscendole la telegenia
quale dote più chiara, con una
mossa di squisita, machiavellica marca politica.
Fisiognomicamente speculare
alla Santanchè, lei articola
concetti istituzionali scostandosi una ciocca di capelli dagli
occhioni, rimarcando con pedanteria da esame biennalizzato una implicita differenza
rispetto alle donne di quel regno burlesco di cui B. era signore e schiavo, fatte bersaglio
delle peggiori illazioni da quegli stessi che oggi agitano il
vessillo delle quote rosa.
Certo il renzismo è riuscito
dove il berlusconismo ha fallito, anche nel dare credibilità
istituzionale alla mera apparenza.
LA BOSCHI, ambizioso alter
ego mitologico di Renzi e sua
faccia “secchiona” (ipse dixit),
si intesta fiera il ddl sul Senato
che rischiava di passare come
il Finocchiaro-Calderoli e lo
gnommero della legge elettorale scritta con Verdini, presentando un dossier-emendamento inverosimile (capilista
nominati e candidati scelti con
preferenze per chi vince le elezioni; per gli altri, liste bloccate) che ha fatto arrabbiare le
frattaglie riottose del Pd e dato
a noi l’impressione che la ragazza punti al potere vero e
non a quello rosaquotato applicandosi sulla Costituzione
con lo stesso corruccio fanciullesco di quando da bambina montava la cucina di Barbie. Certo ha distolto l’attenzione dalle altre insensatezze
contenute nel suo testo e questo, lo ammettiamo, è un risultato politico. Antipatica,
caruccia, inesperta: al momento, l’unica che potrebbe
farle ombra è Francesca Pascale.
Musa Cerantonio, il jihadista di Calabria
ANNUNCIO SU TWITTER: “SONO IN IRAQ A COMBATTERE”
Si chiama Musa Cerantonio, ha 29 anni, è nato e cresciuto in Australia ma ha il
papà calabrese. È un imam “duro e puro”, popolare sul web: “Grazie ad Allah”
scrive lui su Twitter, è arrivato in Iraq per combattere la “guerra santa dell’Isis”
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 11 LUGLIO 2014
19
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
In Italia c'è obbligo
e obbligo
In Italia c’è obbligo e obbligo. L’obbligo dell’azione penale, ad esempio, è
affermato con l’art. 112
della Costituzione composto di un solo brevissimo comma. L’obbligo di
non dimettersi da un incarico pubblico non è invece scritto da nessuna
parte, ma a differenza del
primo qui richiamato, che
spesso rimane in “porti
nebbiosi” e non prende
mai il largo, è invece applicato con un rigore in altri campi del tutto sconosciuto. Da ultimo suona
davvero a sproposito l’invito che il Pd a una voce ha
rivolto a Vasco Errani di
non dimettersi da presidente dell’Emilia Romagna , perché la sua onestà
non può essere scalfita da
una sentenza di condanna
non ancora passata al vaglio del terzo grado di giudizio. Semmai ci fosse stato bisogno di qualche dimostrazione a sostegno
della “profonda sintonia”
fra il Pd, ovvero il suo “pastore” Matteo Renzi, e il
Silvio Berlusconi pregiudicato in “esecuzione pena”, questa è ‘ad abundantiam” arrivata. Quello
scelto ancora una volta è
la dimostrazione di quanto la politica italiana tutta
consideri non pertinente,
inadatta, sino a essere
inutile, la possibilità di difendere le proprie convinzioni... nei processi e
non dai processi.
zionalisti per sfornare alcune proposte di riforma
rispettose dei principi
ispiratori della nostra Costituzione e dei valori essenziali di democrazia e
rappresentatività.
Umberto Bovo
Renzi deve leggere
la Costituzione
Renzi è continuamente
impegnato in televisione,
ma nei momenti liberi
trova il tempo di leggere e
infatti ieri ha dichiarato:
rispettiamo la Costituzione per le garanzie agli imputati. Ha ragione infatti
l’art 27 della Costituzione
che recita: l’imputato non
è considerato colpevole
fino alla sentenza definitiva. Il rispetto della Costituzione è sacrosanto. Ma
lui, dato gli impegni, non
è arrivato a leggere fino
all’art 48 altrimenti
avrebbe letto: il diritto di
tante farlo, visto che la
vuole modificare.
Francesco Degni
A quando una vera
democrazia?
Tutte le recenti iniziative
del governo rappresentano ormai il crepuscolo dei
principi democratici di
questo Paese. Tali principi, per poter essere affermati, hanno visto tanti dei
nostri avi affrontare il carcere, le torture, le guerre
anche civili restando incrollabili anche di fronte
alla morte nella certezza
che solo la loro conquista
costituisce il presupposto
irrinunciabile della libertà
e della dignità di un popolo. Ma oggi basta aver acquisito il 40% dei voti
espressi, e quindi non di
coloro che hanno diritto al
voto! I criteri ispiratori
dell'azione governativa
sono ormai solo quello de-
Alberi
e cittadini
non contano
CARO COLOMBO, a Roma, dietro i palazzoni di Viale Eritrea esiste un bellissimo giardino pubblico. È il Parco Nemorense, contiguo alla Scuola Mazzini. Il
parco accoglie nugoli di bimbi e parecchi
anziani. È un bene culturale che dovrebbe essere conservato e protetto. Invece
la Sovrintendenza ha autorizzato un garage interrato di 184 box auto, uno scavo
di 36 mila metri cubi, l'abbattimento di
22 alberi d'alto fusto e di una fitta vegetazione. I cittadini (tutti) sono indignati
e si oppongono, hanno presentato suppliche e raccolto firme. Il ministro Franceschini, il sindaco Marino, gli assessori,
tutti tacciono. O “non sono competenti”.
Paola Mariotti, Comitato Strade Verdi
QUESTA DENUNCIA non riguarda solo
un quartiere e un luogo di grandissima
importanza per la città di Roma. È una
lettera esemplare per due disperanti motivi che riguardano tutto il Paese. Il primo è
che qualunque progetto che riguarda il cemento e il traffico viene prima degli alberi.
L'argomento “alberi” o “natura” sembrano frivoli, femminili, a confronto con la virile serietà di un parcheggio o di una autostrada. Il secondo è che evidentemente,
fin dal momento della presentazione del
primo disegno, una bella costruzione di cemento che comporta scavi ed eliminazione
di verde appare subito molto più moderno
e coraggioso segnale di futuro, della protezione della natura, che è roba vecchia. Potete anche sentirvi dire che un albero ricresce (affermazione vera solo in teoria, dato
lo stato delle nostre città) ma un parcheggio o si fa adesso o mai più. È anche il momento in cui scattano fondi e bilanci e approvazioni irreversibili, e non c'è bisogno
di immaginare che non tutto sia rigorosa-
la vignetta
Vittorio Melandri
I principi ispiratori della
nostra Costituzione
Grazie per l'attenzione e la
continuità con cui Il Fatto
Quotidiano segnala limiti, difetti e pericoli di queste pessime proposte di
modifiche costituzionali.
Oltre alla sacrosanta protesta bisogna togliere a
Renzi & C. l’odioso argomento di bollare chiunque si opponga alle proposte messe in campo come un immobilista che
non vuole migliorare la situazione italiana. Propongo che assieme alla
decisa protesta si mettano
in campo validi costitu-
mente corretto. È la visione della città che
è sbagliata. Si concepisce la crescita solo se
è di cemento, se include opere pubbliche
che hanno ingombrato il suolo, sradicato
il verde e costruito ostacoli perenni. Il degrado del cemento, un male inflitto a tutte
le città italiane. Le forze in campo, quando
c'è una costruzione da fare, sono sempre
sbilanciate a favore del cemento. Perché
da una parte ci sono moltissimi cittadini
che si mobilitano per la salvezza della natura (succede intorno a tutti i dannosi e
deleteri progetti di nuove autostrade). Ma
dall'altra, insieme ai pochi cittadini che
hanno interesse a quel tipo di “nuovo” che
elimina la natura, siede il cemento, con
l'immensa forza dei costruttori. E anche se
i mandanti appaiono miti rappresentanti
eletti, una volta che il cemento ha messo il
piede sulla natura (o pregusta la nuova
espansione) non si ritira più. O meglio,
aspetta la sfida del politico coraggioso che
non c'è. Il mistero delle Sovrintendenze è
impenetrabile. A Roma autorizzano con
inspiegabile leggerezza interventi costruttivi che dovrebbero essere respinti con
scandalo. Sorgono all'improvviso sbarramenti, cancelli, alterazioni di luoghi pubblici che non si sa chi ha voluto e perché.
Ogni assessore nega, ma l'ingombro è per
sempre. Forse una via d'uscita, per tutti
coloro che invocano o promettono trasparenza in Parlamento c'è: la motivazione di
una o dell'altra Sovrintendenza, che di
volta in volta i deturpatori esibiscono, sia
motivata, firmata e pubblicata obbligatoriamente sul principale giornale della città
e in Rete prima che si ponga mano alla costruzione-distruzione.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
[email protected]
rio dimensionale della
legge statale censurato
dalla Commissione europea. Di tale situazione,
ben più rilevante ed a diffusione nazionale, non
risulta che il solerte giornalista si sia mai occupato, pur potendo, senza il
minimo sforzo d’indagine, acquisire dati dal Gestore nazionale dell’energia (GSE), pubblicati
sull’apposito sito. L’art.
15, D.L. n. 91/2014 detta
finalmente una disciplina della V.I.A. postuma,
valevole per tutto il territorio nazionale, in attuazione dell’art. 117 della
Costituzione con lo scopo di porre rimedio alla
procedura di infrazione.
Tale disciplina non appare in contrasto con le direttive comunitarie, alla
luce della sentenza della
Corte Costituzionale n.
209/2013 (...)”.
Gian Mario Spacca
Presidente Regione Marche
Il decreto Ambiente del
governo Renzi forse servirà in futuro ad altre regioni, oggi - come ricorda anche il presidente Spacca serve soprattutto alle
Marche. Come forse il governatore ricorderà, nel
primo pezzo che la mia solerzia di giornalista mi
spinse a dedicare alle autorizzazioni per le centrali a biogas si parlò della
sua regione proprio in
quanto capofila di una distorsione che interessava
l’intero territorio nazionale (e si citavano i casi di
Lombardia, Emilia, Veneto, eccetera).
m. pa.
voto non può essere limitato... E non ha letto la
sentenza della Cassazione
del 4 aprile 2014 che dice
che il diritto di voto nelle
ultime elezioni fatte con il
porcellum è stato non solo limitato, ma vietato ai
cittadini, quindi il Parlamento dove lui ha la maggioranza esce da una votazione illegale, lo invitiamo a rispettare la costituzione. La Costituzione
prima se la legga tutta e
poi la nomini. È impor-
magogico e quello populista, notoriamente componenti essenziali della vera
democrazia! Ma mi chiedo: questo grand'uomo,
chi lo ha mai eletto al posto
che occupa? Quali elezioni
nazionali ne hanno decretato il trionfo al punto da
autorizzarlo a riscrivere la
Costituzione? Prepariamoci, temo, alla lunga notte, con la speranza però del
grande Eduardo De Filippo: “Adda passà”.
Dr Antonio Amendola
DIRITTO DI REPLICA
“Il D.L. n. 91/2014, emanato dal governo Renzi, è
diretto a salvare lo Stato
italiano e non la Regione
Marche, per superare sia
una sperequazione di
trattamento giuridico tra
territori regionali all’interno dello stesso Paese,
sia una contraddizione
tra normativa nazionale
ed europea. Ogni altra interpretazione è priva di
fondamento”. È l’inizio
di una lunga lettera - che
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Antonio Padellaro
Condirettore Marco Travaglio
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Caporedattore centrale Ettore Boffano
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Redazione
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Editoriale il Fatto S.p.A.
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Consiglio di Amministrazione:
Luca D’Aprile, Peter Gomez,
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I NOSTRI ERRORI
riassumiamo in parte per
ragioni di spazio - del
presidente della Regione
Marche, Gian Mario
Spacca, riferito all’articolo “Il comma di Renzi salva le centrali a biogas del
governatore”, apparso
mercoledì sull’inserto
economico del “Fatto
Quotidiano” a firma
Marco Palombi. Spacca
prima ricorda i termini
della questione (le autorizzazioni per le centrali
nella sua regione sono
state annullate dalla Corte costituzionale, anche
sulla scorta di una direttiva Ue, perché concesse
senza Valutazione d’impatto ambientale), poi
conclude: “La vicenda ha
provocato una situazione
paradossale: infatti, in
tutte le altre regioni d’Italia, sono state e vengono
rilasciate autorizzazioni
per impianti di potenza
in MW ben superiore a
quelle realizzate nelle
Marche, secondo il crite-
Nell’intervista a Fausto
Bertinotti pubblicata sul
giornale di ieri è saltata
una parola che ha modificato il suo pensiero. Bertinotti parlava del suo lavoro “nel movimento
operaio” e naturalmente
non del suo lavoro “di
operaio”. Mi scuso con
l’interessato e con i lettori
a.cap.
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