“Basta con i programmi tvche parlano sempre delle cose che non vanno e mai di ciò che abbiamo fatto in questi 4 mesi”. Ma Renzi li paga i diritti d’autore a B.? Venerdì 11 luglio 2014 – Anno 6 – n° 189 e 1,30 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 ALTRO CHE TAGLI Ferriboat 400MILA EURO ESENTASSE PER OGNI ONOREVOLE Oltre ai 5mila euro netti al mese di stipendio, i parlamentari ne intascano 7mila di rimborsi forfettari senza obbligo di giustificarli. In una legislatura ciascun eletto mette da parte un tesoretto di quasi mezzo milione (la metà se è in carcere) Palombi » pag. 2 GIUSTIZIA DOMESTICA RIFORMA IN AULA LUNEDÌ Senato, l’accordo Ferri si elegge il suo Csm e il governo acconsente rinvia la rissa Il 14 si ricomincia Passano i candidati sponsorizzati via sms dal sottosegretario alla Giustizia Il premier – che aveva tuonato dicendo “comportamento indifendibile” – però non fa una piega. Tutte le relazioni di Magistratura Indipendente e del suo patron Mascali e Roselli » pag. 3 » GUERRA FREDDA » Una crisi mai vista con gli Usa Merkel caccia la Cia dalla Germania: “Fuori gli spioni” Due 007 infedeli scoperti in pochi giorni, il peso dello scandalo Nsa che aveva intercettato anche la Cancelliera: ora Berlino espelle il capo della sicurezza a stelle e strisce e convoca l’ambasciatore. Scene da “epoca Muro” Eleggere gli inquilini del nuovo Palazzo Madama o farli nominare dalle Regioni? Dopo una giornata di bagarre si decide di non decidere: tutto rimandato a una legge ordinaria ancora da scrivere Marra » pag. 4 Udi Daniela Ranieri BOSCHI, LA RENZI IN ROSA CHIACCHIERE E DISTINTIVO » pag. 18 Angela Merkel e Barack Obama Ansa SESSO, COCA E VIDEOTAPE LA FINALE MONDIALE sassino: una prostituta stakanovista - un portafoglio clienti da 200 nomi – che, all’occorrenza, fa anche da spacciatrice. » pag . 13 Domenica al Maracanã resa dei conti tra due paesi opposti, dall’economia allo stile di vita. E una partita tra donne: Cristina Kirchner da una parte, Frau Angela l’intransigente dall’altra Chierici e Seminerio » pag. 12 Eccheli e Gramaglia » pag. 13 » ATENEI PROIBITI Alix, la escort-killer Ecco Argentina-Germania e la dose finale la supersfida fra tango bond per il dirigente Google e valzer del rigore teutonico è l’alto manager C’ con i soldi, lo yacht, i vizi. E c’è il suo as- y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!"!_!=!# Messina, la prof che ti boccia anche 15 volte Fazio » pag. 10 LA CATTIVERIA “La sinistra è morta”, ha detto Bertinotti mentre puliva con un panno il coltello sporco di sangue Tifosi argentini Ansa » www.forum.spinoza.it di Marco Travaglio unque il pm Forteleoni e il giudice PonteD corvo, candidati al Csm per la corrente di Magistratura Indipendente e sponsorizzati dal sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, sono stati puntualmente eletti con una barcata di voti. In un paese normale, alla notizia che un membro del governo fa campagna elettorale per il Csm, il premier l’avrebbe licenziato in tronco. E nessun magistrato, a tutela dell’organo di autogoverno (non del governo), avrebbe votato per i due favoriti del sottosegretario. Invece Ferri rimane imperterrito al suo posto e i suoi protegé entrano trionfalmente a Palazzo dei Marescialli: Forteleoni con 1571 preferenze (il più votato fra i pm) e Pontecorvo con 616. È il nuovo modello di divisione dei poteri, che anticipa la riforma della Costituzione. Ora, a prescindere dalle qualità certamente eccelse dei due interessati, bisognerà detrarre 2 unità alla quota di due terzi riservata ai membri togati, cioè ai rappresentanti della magistratura. E, se non ascriverle al terzo riservato ai laici (eletti dal Parlamento cioè dai partiti), almeno collocarle a metà strada. Una quota inedita: quella dei membri laicati o togaici. Quanto ai due membri di diritto, il presidente della Cassazione Giorgio Santacroce e il Pg Gianfranco Ciani, hanno rispettivamente 73 e 72 anni, e sono sotto schiaffo del governo che improvvisamente vuole prepensionare le toghe a 70 anni. Poi ci sono i 10 laici, che saranno espressione della maggioranza più bulgara della storia repubblicana: renziani pidini, renziani centristi, renziani forzisti, renziani leghisti e renziani ex-Sel (salvo forse un 5Stelle). Più che un organo di autogoverno, quello di Palazzo dei Marescialli diventa così un organo di governo. E dire che solo tre giorni fa, tramite gli appositi trombettieri a mezzo stampa, Renzi aveva definito “indifendibile” Ferri: talmente indifendibile che se l’è tenuto ben stretto al governo. E dire che solo una settimana fa Renzi aveva annunciato la supercazzola della riforma della giustizia con un attacco alzo zero alle correnti della magistratura e ai presunti conflitti d’interessi nel Csm: “Chi nomina non giudica e chi giudica non nomina”. E ora non muove un dito contro un magistrato sottosegretario che fa eleggere chi nomina e giudica. Non solo: Ferri continua imperterrito a fare il leader-ombra di MI da sottosegretario, e proprio da quel ministero della Giustizia che è titolare dell’azione disciplinare sui magistrati: cioè di quell’azione che dovrebbe colpire proprio lui per la sua condotta indifendibile. Ma Ferri non si può toccare: Berlusconi non vuole. Diventò sottosegretario 14 mesi fa nel governo Letta, in quota Pdl. Il suo grande sponsor era ed è Denis Verdini, originario come lui della Lunigiana. Infatti a novembre, quando Forza Italia ritirò ministri e sottosegretari, Ferri restò al suo posto spacciandosi per “tecnico”. E quando Renzi rottamò Letta, rimase imbullonato alla poltrona: prova vivente, in tandem con la ministra Guidi, che le larghe intese sono vive e lottano insieme a loro, e che B. sta all’opposizione solo per finta. Che il nome di Ferri (mai indagato) uscisse dalle intercettazioni di ben tre scandali – Calciopoli, P3 e Agcom-Annozero – non è certo un handicap, anzi. E il fatto che abbia due fratelli condannati – Jacopo, consigliere FI in Toscana, per tentata truffa; e Filippo, ex poliziotto ora capo della sicurezza del Milan, per falso aggravato nella mattanza alla Diaz di Genova – fa curriculum. Resta da capire che ne pensa il presidente della Repubblica e del Csm Giorgio Napolitano, così prodigo di moniti e sdegni quando si diedero alla politica altri tipi di magistrati, come Ingroia e De Magistris. Appena Renzi gli propose come Guardasigilli Nicola Gratteri, pm valoroso e lontano dalle correnti, Sua Altezza inorridì e lo depennò in base a una non meglio precisata “regola non scritta” che vieterebbe ai magistrati di fare i ministri della Giustizia. Ma non, evidentemente, i sottosegretari. Non è fantastico? Chi calpesta ogni giorno le regole scritte (Costituzione compresa) diventa inflessibile su quelle non scritte. Tanto nessuno le conosce, tranne lui. 2 BUSTA PAGA VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 V isco: “Nella crisi le banche si sono comportate male” LA NOTIZIA POSITIVA riguarda il Pil: all’assemblea annuale dell’Abi, l’associazione delle banche, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco spiega che le misure prese dalla Bce possono spingere l’economia italiana. Gli interventi di Mario Draghi indeboliscono il cambio e aumentano la liquidità, questo spingerà il Pil dello 0,5%, se poi le banche faranno la loro parte usando gli oltre 200 miliardi disponibili da girare alle imprese (con le operazioni TLTRO) allora il Pil salirà di un altro 0,5. Una spinta che aiuterebbe parecchio i conti pubblici, evitando (forse) al governo la manovra in autunno. Giudizio pesante, in- il Fatto Quotidiano vece, sul settore del credito: “La crisi ha fatto emergere comportamenti inadeguati, imprudenti, talora scorretti. Nella grande maggioranza dei casi di crisi conclamata o di difficoltà, il deterioramento degli equilibri è dovuto alle carenze nel governo della banca e nel processo di erogazione del credito”. di Marco Palombi altrimenti le cifre si abbassano un po’) incassa circa 11.770 euro L’ ultima volta ci ha provato, giusto un anno fa, Stefano D’Ambruoso, deputato questore della Camera del gruppo di Scelta Civica. È andato in Ufficio di presidenza e ha proposto una via per ridurre il costo dei parlamentari: via le indennità accessorie e i servizi agli eletti (ufficio, segreteria, telefono) li paga direttamente l’istituzione. Risposta: vedremo. L’allora suo collega di partito, Ferdinando Adornato, fu l’unico a dire pubblicamente no: “Per selezionare un personale politico di qualità occorre essere consapevoli che il talento ha un prezzo di mercato”. Ancor peggio andò alla commissione che Mario Monti incaricò a dicembre 2011 di risolvere la questione-stipendi: siano livellati sulla media Ue. Cinque mesi dopo Enrico Giovannini, all’epoca presidente dell’Istat, gettò la spugna: non si può fare, troppe variabili. A tagliare le pensioni e rinviare sine die quella di chi è ancora al lavoro, invece, erano bastate poche ore e qualche lacrima. Risultato: siamo ancora lì. A parte qualche taglietto, i soldi che entrano nelle tasche dei parlamentari sono sempre gli stessi e per la maggior parte sfuggono – legalmente – al fisco. È stato Giancarlo Galan, nella sua intervista al Fatto Quotidiano, a ricordarlo involontariamente: “La Finanza dice che vivo al di sopra delle mie possibilità? Non hanno calcolato la parte non imponibile dei miei stipendi di deputato, che è più cospicua dell’imponibile”. Vero: sono oltre 400mila euro a legislatura, un tesoretto. Una vita tranquilla e 12 mila euro netti Ci spiega il sito del Senato: “In tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato è garantito ai parlamentari un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza”. È un modo di metterla. L’altro è raccontare come funziona il sistema attraverso la settimana perfetta (e i relativi guadagni) di un eventuale parlamentare scansafatiche (si tratta di un’astrazione, ovviamente, visto che tutti i nostri parlamentari lavorano continuamente, rimettendoci spesso del proprio). In sostanza - per ottenere il jackpot da 12 mila euro netti circa (le cifre precise sono nella tabella a centro pagina) - gli basta partecipare al 30% delle votazioni giornaliere e farsi vedere, ma poco, nella commissione di cui fa parte. È lunedì mattina. L’eletto si sveglia nel suo letto, nella sua regione, lontano dalla Capitale. Spegne la sveglia e si riaddormenta: “Tanto oggi pomeriggio c’è solo una discussione generale, non si vota”. Martedì mattina arriva a Roma, passa nel suo appartamento, va a pranzo con un amico e verso le 15 entra in Parlamento: si fa vedere, un attimo, in commissione, poi va in Aula e vota un po’, giusto quel che serve. Nel frattempo telefona, chiacchiera con gli amici di ogni colore e grado, forse occhieggia galante a qualche fun- al mese, cioè oltre 140.000 euro l’anno. A questi soldi, peral- tro, vanno aggiunti 1.200 euro l’anno di spese telefoniche certificate e 1.850 euro circa al mese per il cosiddetto “esercizio di mandato” (anche queste devono però essere certificate e comprendono cose come lo stipendio di un collaboratore, l’organizzazione di un convegno, eccetera). Fanno altri 23.400 euro ogni dodici mesi. In tutto, insomma, parliamo di oltre 163 mila euro. Il costo lordo, cioè comprensivo di trattenute, per la Camera sfiora i 230 mila euro l’anno. Per i 630 deputati totali Ecco il tesoretto dell’eletto: 80 mila euro esentasse l’anno I GUADAGNI DEI PARLAMENTARI SFIORANO I 20MILA EURO LORDI AL MESE: 5MILA SONO STIPENDIO, ALTRI 7MILA NETTI SONO RIMBORSI E NON VANNO DICHIARATI zionaria di bell’aspetto (ma su questo non potremmo scommettere). Mercoledì passa più o meno alla stessa maniera e pure giovedì, ma quando arriva la sera l’indolente eletto sfodera uno scatto felino, mentre il trolley rumoreggia al suo fianco. Ve- 235 mln 145mila SPESA 2013 IL NETTO TOTALE ANNUO TAGLI? NO, GRAZIE La commissione Giovannini (2012) gettò la spugna Un anno fa ci provò il questore D’Ambrosio alla Camera: respinto nerdì non si vota e lui corre in aeroporto: ha un convegno a Siracusa sul “Sud come risorsa”. Sabato sera riesce infine a tornare a casa, così la domenica può curare il rapporto con la famiglia se non quello col collegio. È di nuovo lunedì e, giustamente, l’eletto si riposa: “Tanto oggi non si vota”. Questa settimana vale quasi 4 mila euro netti, 12 mila al mese, la maggior parte dei quali - ricorda Galan esentasse. Oltre 400 mila euro che il Fisco non vede Ricapitolando. A Montecitorio, netti e senza dover presentare fatture e scontrini, un deputato (che non abbia un altro lavoro, significa circa 145 milioni l’anno di soli stipendi e rimborsi (a bilancio per il 2013, però, ci sono 154,3 milioni, perché in questa voce vanno calcolati anche i contributi a carico del “datore di lavoro” Montecitorio). La busta paga dei senatori è più o meno simile, anche se leggermente più ricca, forse per via del fatto che gli inquilini di Palazzo Madama sono più onusti d’anni e d’esperienza: incassano - netti e senza neanche una fattura 12.250 euro mensili, vale a dire 147 mila euro l’anno. Se ci ag- giungiamo però gli altri 2.090 euro al mese a cui gli eletti a Palazzo Madama hanno diritto dietro certificazione quadrimestrale, il conto sale a 172 mila euro annui che garantiscono, com’è noto, l’indipendenza del senatore. Il lordo, ovviamente, anche in questo caso è maggiore: 236.500 euro l’anno circa. Nel bilancio 2013 di palazzo Madama il costo totale è di oltre 80 milioni per 320 senatori. Ultimo capitolo. Se consideriamo il solo netto dei rimborsi automatici - cioè quelli pagati dalle rispettive Camere senza nemmeno la presentazione di un contratto/scontrino/biglietto - i deputati vedono arrivare in banca all’ingrosso 6.779 euro al mese e i senatori 7.240 euro. L’anno fa, rispettivamente, 81.588 e 86.880 euro; in una le- gislatura 407.940 e 434.400 euro. Tutto esentasse. Il talento, d’altronde, “ha un suo prezzo di mercato”. Un momento non proprio esaltante di vita politica a Montecitorio Ansa PORTFOLIO Foto di Umberto Pizzi La varia umanità bancaria CIVIL SERVANT? Il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, intrattiene Paola Severino, ex Guardasigilli, avvocato di clienti potenti. Non solo un duo: il nuovo che è avanzato LASCIA STARE... ADOLESCENZA Ieri, all’assemblea Abi, Franco Bassanini (classe 1940) spiegava a Giovanni Bazoli (classe 1932) e Giuseppe Guzzetti (classe 1934) come sia possibile che lui, così giovane, sia già presidente di Cassa depositi e prestiti Guzzetti, capo delle fondazioni bancarie, vorrebbe omaggiarlo in piedi. Pier Ferdinando Casini lo blocca: non è (più) il caso FASCINO DELLA DIVISA Gianni Letta, solitamente riservatissimo, si esibisce per i comandanti di Carabinieri e Gdf, Gallitelli e Capolupo I MEGLIO POSTI Sono quelli preferiti da Guglielmo Epifani: l’alzataccia per conquistarli, però, lo ha provato. L’ex segretario Cgil è tentato dalla pennica VOSTRO ONORE il Fatto Quotidiano V ito D’Ambrosio: “Liberare le toghe dalle correnti” BERLUSCONI era un “collante” per la compattezza e la capacità di reazione della magistratura quando era attaccata, adesso il suo venir meno ci obbliga a creare una nuova strategia per far capire al Paese che una giustizia funzionante è nell’interesse di tutto il Paese. I cittadini vogliono giudici one- sti, preparati e prevedibili nelle decisioni: per arrivare a questo occorre liberare il Csm dall’occupazione della magistratura associata”. A parlare è il sostituto procuratore generale della Cassazione, Vito D’Ambrosio (in foto), uno degli uomini più autorevoli della procura di legittimità, commentando VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 3 l’assenza del guardasigilli Andrea Orlando all’assemblea indetta dagli “ermellini” contro le norme sul pensionamento a 70 anni e riferendosi "soprattutto" alla scarsissima presenza degli stessi supremi giudici. Una cinquantina, sì e no, su un organico di oltre 400 toghe. GLI SMS DI FERRI FUNZIONANO ELETTI I DUE GIUDICI AMICI FORTELEONI E PONTECORVO, SPINTI DAL SOTTOSEGRETARIO, ENTRANO AL CSM di Antonella Mascali L’ effetto Cosimo Ferri si riversa sul Csm. Magistratura Indipendente, corrente di destra, cresce e guadagna un componente in più, da 3 passa a 4, così come Area, corrente di sinistra, la vincitrice di queste elezioni, con il più alto numero di consiglieri: passa da 6 a 7 membri togati. Perde Unicost, la corrente di centro, che scende da 6 a 5 consiglieri. Con questi numeri, solo con l’elezione degli 8 membri laici sapremo se avremo un Consiglio più progressista o più conservatore, ammesso che si possa ancora applicare questo schema, almeno in magistratura. I CANDIDATI sponsorizzati a colpi di sms da Ferri ce l’hanno fatta entrambi: il pm di Nuoro Luca Forteleoni (1571 preferenze) è stato il più votato delle correnti; ce l’ha fatta anche il presidente di sezione del tribunale di Roma, Lorenzo Pontecorvo, segretario di Mi, accusato dagli anti-ferriani di non aver neppure fiatato quando si è dimesso il presidente Schirò, in disaccordo con la direzione di fatto della corrente da parte del sottosegretario alla Giustizia. Pontecorvo ha avuto 616 voti, più delle primarie, quando ne aveva presi 379. Ma l’effetto Ferri si fa sentire anche tra i dissidenti dentro alla corrente più conservatrice delle toghe: Sergio Amato, pm anticamorra di Napoli annuncia al Fatto Quotidiano le dimissioni da Mi: “Non per il risultato elettorale”. dentro Mi ma anche fuori. Vedo una forma di collateralismo con la politica inaccettabile perché fa pagare un prezzo alto in termini di indipendenza”. Ed è un altro “ferriano” anche se non pubblicizzato dagli sms dell’esponente di governo, il giudice di merito più votato a queste elezioni: Claudio Galoppi, del tribunale di Milano. Già alle primarie era arrivato primo. È passato da 657 a 792 preferenze. Il secondo giudice più votato è Francesco Cananzi, del tribunale di Napoli, di Unicost, ha ottenuto 702 voti. Terzo, Piergiorgio Morosini di Milano (Unicost) e Nicola Clivio (Area) giudice a Lanusei. Restano fuori dal nuovo Csm Francesco D’Alessandro (Unicost) giudice del tribunale di Catania; Adriana De Tommaso, giudice al tribunale di Trento, di Altraproposta e l’indipendente Fernanda Cervetti, consigliere alla Corte d’appello di Trento. PER QUANTO riguarda i quat- tro pubblici ministeri, sono stati confermati i risultati parziali di mercoledì sera. Dunque sono stati eletti Forteleoni, Luca Palamara di Unicost, pm IMBARAZZO DI GOVERNO LOTTE INTERNE Cresce Magistratura Indipendente, la componente di destra, ma Sergio Amato si dimette: “Irrisolto il rapporto con la politica” Orlando tace. E Renzi rimane immobile di Gianluca Roselli Cosimo Ferri Ansa Area, con 665 voti. È il gip di Palermo che ha rinviato a giudizio gli imputati del processo sulla trattativa Stato-mafia. A seguire Massimo Forciniti, del tribunale di Crotone (Unicost); Pontecorvo; Lucio Aschettino, del tribunale di Nola (Area) ha avuto incarichi in Anm; Aldo Morgigni, candidato antiferriano di Mi e gip a Roma dell’inchiesta Mokbel; Valerio Fracassi (Area), giudice al tribunale di Brindisi, segretario di Movimento per la Giustizia; Rosario Spina, consigliere alla Corte d’appello di scegliere i candidati, e gli indipendenti. Gli eletti sono tutti uomini tranne la consigliera di Cassazione Maria Rosaria Sangiorgio di Unicost. Nel precedente consiglio le donne erano due. L’altro consigliere di Cassazione eletto è Ercole Aprile di Area. Fumata nera, invece, per la nomina degli otto membri laici, tra i quali dovrà essere eletto il vicepresidente. Anche la seconda votazione del Parlamento, riunito ieri, è andata a vuoto. Stessa sorte per l’elezione dei due giudici della Corte costituzionale. di Roma ed ex presidente dell’Anm, con 1236 voti; Antonello Ardituro, di Area, pm di Napoli, con 1163 voti; Fabio Napoleone, di Area, procuratore di Sondrio, con 1127 voti. Sono rimasti fuori Amato, l’indipendente Carlo Fucci (508 voti) ex segretario dell’Anm e Francesca Borzanica, pm a Palmi (439 voti) indicata da Altraproposta. Dunque, in nessuna categoria (Cassazione, pm e giudici di merito) ce l’hanno fatta Altraproposta che aveva fatto le primarie online, dopo un sorteggio per n Italia, si sa, avere un amiI co al ministero fa sempre comodo. Può sempre servire, prima o poi. E ai due magistrati “sponsorizzati” dal sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri tramite sms ai colleghi, infatti, è servito, visto che sono stati eletti entrambi al Csm. Luca Forteleoni ha preso una valanga di voti, 1.571. Mentre Lorenzo Pontecorvo, presidente di sezione al tribunale di Roma e segretario di Magistratura indipendente, ne ha ottenuti 616. Entrambi fanno parte di Mi, la corrente conservatrice di cui fa parte anche Ferri. La vicenda degli sms – “solo molti voti. La storia, per certi versi, ricorda quella recente di Dario Franceschini. Che, durante le elezioni per il Campidoglio vinte da Ignazio Marino, dalla sua posizione di forza all’interno del Pd (ma era pure ministro), ha fatto campagna elettorale tramite sms per la sua compagna, Michela Di Biase, poi eletta al Comune di Roma e diventata presidente di commissione. La vicenda di oggi è ancora più complicata, perché tira in ballo i delicati rapporti tra politica e giustizia. E della guerra tra le correnti delle toghe. Anche perché qui si parla di un magistrato fuori ruolo entrato come tecnico di area Forza Italia luto commentare. “La nostra linea resta quella di lunedì sera”, dicono da Via Arenula. E pure Palazzo Chigi tace. Ma l’imbarazzo è palpabile. Sia alla Presidenza del consiglio che nel Partito democratico. “Non siamo di fronte a un reato o un illecito. Detto questo, il comportamento di Ferri è stato inopportuno e di cattivo gusto”, commenta l’ex pm ora senatore democratico, Felice Casson. “Io credo nella divisione dei poteri. Tanto che sul Csm voterò solo per eleggere i membri che spettano al Parlamento”, aggiunge. Per poi far notare come “Ferri debba essere molto potente visto che è passato da un governo all’altro senza colpo ferire”. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Il guardasigilli ha visto Ferri lunedì sera Dlm LA VICENDA, però, non scan- È IL PRIMO dei pubblici mi- nisteri non eletti con 806 preferenze: “Lascio Magistratura Indipendente – dice scandendo le parole – perché il gruppo che è stato di Paolo Borsellino è cambiato, non ha più il modello del magistrato indipendente e autonomo. Al di là del risultato elettorale, resta intatto il problema di fondo della chiarezza sul rapporto politica e magistratura. Nel caso specifico, si tratta di capire quale sia l’interesse del sottosegretario di egemonizzare un gruppo consiliare, se matureranno debiti di riconoscenza di chi è stato sostenuto, se e in che termini sarà adempiuto il debito di riconoscenza”. Ma la maggioranza dei magistrati che hanno votato Mi evidentemente non vede alcun conflitto di interesse... “Non so quanta consapevolezza ci sia di questa realtà e comunque non mi permetto di giudicare gli altri. Le mie dimissioni vogliono essere un segnale di allarme per stimolare la riflessione SEGRETARI COMUNALI In piazza contro i tagli entinaia di segretari comunali e provinciali da C tutta Italia hanno manifestato ieri davanti a Montecitorio. Un sit di protesta contro quella che il premier Matteo Renzi ha definito “rottamazione della burocrazia” ma che, per un esercito di segretari comunali e provinciali, suona come “una caccia alle streghe” contro i dipendenti della pubblica amministrazione, per dirla con Giampiero Vangi, uno degli organizzatori della manifestazione. “Noi – spiega Vangi – svolgiamo una funzione di garanzia di legalità per i cittadini. Già la nostra categoria è stata mortificata con la soppressione dei diritti di rogito che comportava risparmi per le imprese e per i privati. Oggi, con il provvedimento sulla PA annunciato da Renzi, dovremmo assistere all’ingresso di direttori generali nei comuni che non sono vincitori di concorsi ma segnalati dalla politica”. “Questa riforma – aggiunge Maria Concetta Giardina – svilisce il nostro ruolo, da sempre garante di legalità. I segretari hanno una funzione di monitoraggio e responsabilità giuridica che rischia di essere snaturata. Spero che Renzi torni sui suoi passi”. qualche messaggino inviato agli amici più stretti”, si è difeso Ferri – aveva suscitato un mare di polemiche. Intendiamoci, la legge non lo vieta. La questione è tutta di opportunità. Può un magistrato ora sottosegretario alla Giustizia, quindi in una posizione di grande potere, fare campagna elettorale per sponsorizzare la candidatura di ex colleghi al Csm? Tanto più che l’obbiettivo è stato centrato: i due “ferriani” sono stati eletti. E con nel governo Letta e poi confermato a via Arenula da Matteo Renzi. Il quale, quando il caso è scoppiato, ha manifestato notevole nervosismo. “Ferri è indifendibile”, ha fatto trapelare il premier. L’impressione era che il sottosegretario avesse le ore contate. Lunedì sera Ferri – figlio dell’ex ministro dei 110 all’ora – è stato convocato da Andrea Orlando. Il quale gli ha preteso spiegazioni, senza però chiedergli le dimissioni. E passando la palla a Palazzo Chigi. “È una questione delicata, sarà Renzi a decidere”, è stata la linea tenuta a Via Arenula. Poi, però, Matteo non ha deciso nulla. Forse sperava che il caso passasse in cavalleria. Ma non è andata così. Visto che i due magistrati sono stati eletti. Orlando anche ieri non ha vo- dalizza troppo l’altro sottosegretario alla Giustizia, Enrico Costa, ex Pdl ora Ncd. “È un caso di opportunità e non di legittimità, visto che la legge non lo vieta. Ma il rapporto tra magistratura ed ex toghe va disciplinato per legge”, osserva. Spiegando che in Senato è già passata una proposta di legge, ora alla Camera, che normerebbe la questione. Secondo il testo, se un magistrato prestato alla politica decide di tornare a indossare la toga, lo può fare ma a determinate condizioni. Anche Ferri non parla. “È fuori, impegnato a un convegno”, dicono dal suo ufficio. Ma la sua difesa è già nota. “Non ho mai confuso i due ruoli. Sono e resto un magistrato. È normale che mantenga rapporti con i miei ex colleghi. Gli sms sono un fatto privato, li ho mandati solo a qualche amico”, ha dichiarato allo scoppiare del caso. Così si torna a bomba: che farà ora Matteo Renzi? 4 PASTICCIONI VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 Ein cco la riforma pillole, dal titolo V al referendum SE LA RIFORMA arriverà indenne alle quattro letture, il futuro Senato sarà composto da 95 eletti dai Consigli regionali e da cinque nominati dal Quirinale (in carica per 7 anni). Avrà competenza legislativa piena solo su riforme e leggi costituzionali, e potrà chiedere alla Camera la modifica delle leggi ordinarie (Montecitorio potrà non tenerne conto). Su una serie di leggi che riguardano il rapporto tra Stato e Regioni, la Camera potrà non dar seguito alle richieste del Senato ma solo respingendo a maggioranza assoluta. I 95 senatori saranno ripartiti tra Regioni sulla base del peso de- il Fatto Quotidiano mografico di queste ultime. Le Regioni più piccole ne avranno due. I Consigli Regionali eleggeranno i senatori tra i propri componenti; uno per ciascuna Regione dovrà essere un sindaco. Sul Titolo V sono riportate in capo allo Stato Energia e Infrastrutture strategiche. Il presidente della Repubblica lo eleggeranno i 630 deputati e i 100 senatori (senza i rappresentanti delle Regioni previsti oggi). Nei primi quattro scrutini servono i due terzi, nei successivi quattro i tre quinti; dal nono il 50%. Per i referendum serviranno 800.000 firme. 250.000 per le leggi di iniziativa popolare. PALAZZO MADAMA, IL GOVERNO CI METTE UN’ALTRA TOPPA LUNEDÌ IL TESTO IN AULA, MA SUL SISTEMA DI VOTO SI ATTENDE UNA LEGGE AD HOC di Wanda Marra N on ho paura del voto dell’Aula perché se al Senato ci sarà qualcuno che vuole frenare....”. Palazzo Chigi, conferenza stampa post-Cdm. Lascia in sospeso la frase Matteo Renzi. Gli avvertimenti, nei giorni scorsi, si sono sprecati. Dalle elezioni anticipate in giù. Ma tutto sommato fa fede la prima parte, perché il premier lo dice e lo ripete più volte: “Oggi è stata una giornata importante, segnata dal sì in Commissione Affari Costituzionali alle riforme”. Mette i puntini sulle “i”: “È assurdo parlare di torsione autoritaria”. D’altra parte, “la gente vuole la speranza. È il pensiero che ho la sera quando vado a dormire e la mattina quando mi sveglio”. Perché “se corrispondiamo alla speranza l’Italia torna a crescere, se alimentiamo lo scetticismo, la stanchezza, la rabbia, tradiremo la fiducia”. Il racconto è chiarissimo, la determinazione è forte. Pazienza se la strada delle grandi riforme sia stata lastricata di incidenti e di intoppi e che lo sarà ancora. CHE SPERANZA sia, dunque. Ieri il Senato ha vissuto l’ennesima giornata rocambolesca e convulsa. Complice un emendamento sull’elettività dei nuovi senatori, il nodo centrale. Si dovrebbe essere agli ultimi sgoccioli in Commissione quando Roberto Calderoli - in forma smagliante e combattiva, nonostante la mano ingessata - ritira la firma dal testo in cui si dice che i membri della nuova Camera verranno eletti con sistema proporzionale, “tenuto conto della consistenza dei gruppi parlamentari”. Insieme alla Lega, sul piede di guerra c’è Ncd: questo significherebbe che non è possibile per i partiti piccoli avere alcun senatore. Non solo: detta così, sembra pure che a designarli saranno i capigruppo. Riparte il pallottoliere dei no, si contano tutte le assi possibili della dissidenza. Ma il governo lavora indefessamente a una mediazione. “Così è un iper-Porcellum”, commenta Paolo Corsini, ex sindaco di Brescia, uno dei presunti dissidenti dem. Affonda: “Non ci sto a farmi dare del gufo. Un presidente del Consiglio dovrebbe fare un uso più attento delle parole. Discuta del merito”. Augusto Minzolini annuncia la richiesta con 25 firme di rimandare ulteriormente il voto in Aula. Il Pd Miguel Gotor diffonde interpretazioni: “Vogliono arrivare in Aula in concomitanza con la sentenza della Corte d’Appello su Ruby”. Ore concitate. Poi, ecco l’accordo (o l’accrocco): “I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio”. Si terrà conto non solo dei seggi effettivamente conquistati dai singoli partiti, con ogni legge regionale, grazie al premio di maggioranza, ma anche dei voti. FI su questo non ha mollato, consapevole della sua debolezza sui territori. E dunque, da una parte in Costituzione si mettono dei paletti di una precisione inedita, per il sistema elettorale, dall’altra si rimanda tutto ancora una volta a una legge ordinaria. FINE dei listini bloccati? Insom- ma. In sede di prima applicazione (prima che la legge sia fatta), si prevede che “ogni consigliere può votare per una sola lista di candidati, formata da consiglieri e da sindaci dei rispettivi ter- STATO DI CONFUSIONE IL PREMIER In conferenza stampa Renzi ostenta fiducia: “Non ho paura, stiamo cambiando il paese, non c’è torsione autoritaria” Il nodo dell’elezione, in arrivo 95 “nominati” dalle Regioni IL PASTICCIO di ieri in commissione Affari costituzionali del Senato è scoppiato sui metodi di elezione della nuova assise di Palazzo Madama. La formulazione del testo della relatrice Anna Finocchiaro prevedeva che i seggi per l’elezione del nuovo Senato fossero attribuiti “con sistema proporzionale, tenuto conto anche della composizione del Consiglio regionale”. Ncd e Lega si sono messi sulle barricate, Calderoli che ha ritirato la propria firma dal provvedimento ha spiegato: “Così come è impostata, che i consiglieri votino o non votino non cambia nulla, né sul numero di coloro che andranno in Senato né su chi vi andrà. Chi sceglie? Sceglie il capogruppo. Neanche in Russia succede così”. Dovendo infatti rispettare la proporzionalità, e non prevedendo un voto, non si tratterebbe più di una elezione (seppur di secondo livello), ma di una nomina. Il testo, così come riformulato dai relatori dopo le proteste di Lega e Ncd (peraltro ancora passibile di modifica da parte dell’aula), inserisce un listino attraverso cui eleggere i senatori spettanti alla regione. Calderoli annuncia comunque modifiche in aula. Si discute anche di una futura legge elettorale per il Senato. ritori”. Esce Quagliariello, rivendicando la vittoria. Esce la Finocchiaro, ribadendo il lavoro svolto. Chi gongola però è Calderoli: “Gli accordi bilaterali non reggono quando scrivi la Costituzione”. Il riferimento al Patto del Nazareno non è puramente casuale. Giocando di sponda con Minzolini, facendo pressioni sul governo, alleandosi con Ncd ha ottenuto un certo peso. Ma poi sono giochi incrociati, come dicono tutti in Senato: il punto è l’Italicum. La guerra alle soglie di entrata troppo basse per i piccoli condotta da I RELATORI Anna Finocchiaro (Pd) e Roberto Calderoli (Lega) ancora “infortunato” davanti all’ascensore di Palazzo Madama. Ieri il senatore del Carroccio ha ritirato la firma da un emendamento Ansa VA TUTTO BENE Matteo Renzi ieri a Palazzo Chigi Ansa Ncd è capitanata da Calderoli. Non a caso Renzi in conferenza stampa gli “regala” un ringraziamento speciale: “Per la straordinaria tenacia che ha dimostrato arrivando persino ingessato a darci una mano”. Lui aveva detto: “Gridare al lupo al lupo è servito”. Tanto che continua: “In Aula presenterò delle modifiche”. Trattativa Renzi-Lega evidentemente aperta. Lunedì comunque, forte del mandato della Commissione ai relatori, il testo arriva in Aula. Si comincia a votare mercoledì. Tra dissidenti dem, bersaniani un po’ ribelli, frondisti di Fi, leghisti frizzanti, e neocentristi preoccupati sarà tutto da vedere. “Al Senato ci verranno contro sulle riforme? Non credo”, dice il premier. “Stiamo dando un grande segnale di cambiamento al paese: stiamo dicendo che l’Italia può cambiare e che alcuni tabù possono esser vinti”. Poi se la prende con chi critica e basta. “Oggi mentre facevo ginnastica, ho sentito alcune trasmissioni del mattino che parlano solo delle cose che non vanno". Omnibus e Agorà sono avvertiti. ASCESE Effetto Di Maio: pace tra Grillo e Pizzarotti di Luca De Carolis irresistibile ascesa del numero tre. Il predeL’ stinato, che lunedì aveva fatto virare rotta a Grillo in un amen. E che ieri ha fatto sdoganare sul “sacro” blog Federico Pizzarotti, fino a un pugno di ore fa il nemico numero uno dei fondatori. Perché con il sindaco di Parma e i dissidenti che gli fanno sponda vuole costruire una nuova filiera. Magari una nuova maggioranza, in quel gruppo parlamentare dove tanti falchi lo contestano. Luigi Di Maio, 28enne di Avellino ma cresciuto a Pomigliano d’Arco, studi in Giurisprudenza, vale molto più di uno: dentro e fuori i Cinque Stelle. La linea del Movimento ormai la disegna in gran parte lui: figlio di un ex dirigente del Msi e di An, consigliere di facoltà a Napoli, il più giovane vicepresidente della Camera nella storia repubblicana. In perenne, diretto contatto con Gianroberto Casaleggio. E pure con Grillo, che lunedì pomeriggio aveva rovesciato il tavolo con il Pd. Ma che poi si è riallineato di corsa come un discolo pentito, con il Di Maio pontiere e con Casaleggio. Sta composto perfino il volto dei 5 Stelle, davanti al numero tre che fa riabilitare Pizzarotti, proprio sul blog di Grillo che l’aveva scomunicato infinite volte. IL SEGNO PREMONITORE sono alcune frasi del mico, il “moloch” per cui i fondatori del M5S pretendevano lo stop e che Pizzarotti ha lasciato aprire, suo malgrado. Il sindaco scrive di controlli certosini sull’impianto, promette un Osservatorio. Rivendica “gli atti concreti”dell’M5S a Parma. È la pace con i vertici. Voluta da Di Maio. Negli scorsi mesi era intervenuto varie volte su Grillo e Casaleggio in favore di Pizzarotti. Ne apprezzava il lavoro, ne sapeva il peso. E negli ultimi giorni ha rafforzato i sindaco, ieri a Roma per una riunione dell’Anci. Gli chiedono che ne pensa di Di Maio a capo della delegazione M5S per il tavolo con i Dem. E Pizzarotti, solitamente cautissimo, va dritto: “Non si tratta di una decisione calata dall’alto, ma dell’identificazione di una figura CORTESIE che, per profilo istituzionale e per capacità, è Il sindaco di Parma la persona più adatta a confrontarsi con i Deloda il lavoro mocratici”. Un paio del giovane d’ore dopo, il post. Una lettera in cui il sindaco vicepresidente di Parma assicura che “la battaglia contro l’inPoi viene sdoganato ceneritore non conosce sul blog Cinque Stelle soste”. È ancora un ne- Luigi Di Maio LaPresse contatti, con lui e con i dissidenti. L’uomo della mediazione è il deputato triestino Walter Rizzetto. Si parlavano da giorni, con il Di Maio che cerca alleati interni. Perché molti ortodossi sono infuriati per le aperture al Pd sul doppio turno, non concordate con l’assemblea. E non sopportano la visibilità mediatica del 28 enne campano, “l’unico che va in tv”. I dissidenti, vecchi fautori del dialogo con i Dem, hanno intravisto il varco. E sono andati a vedere le sue carte. Federico Pizzarotti LaPresse Con Pizzarotti, il loro punto di riferimento, a osservare da lontano. Il primo punto d’accordo con Di Maio l’hanno trovato sul post per riabilitare il sindaco. Un’idea nata la scorsa settimana. Pizzarotti era a Roma già mercoledì sera. Probabile che abbia sentito Di Maio, almeno al telefono. Di PASTICCIONI il Fatto Quotidiano Cdi antone chiede commissariare la Maltauro su Expo IL PRESIDENTE dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha inviato al prefetto di Milano il provvedimento con la richiesta di commissariamento della società Maltauro, la principale azienda coinvolta nell’inchiesta Expo e il cui patron è stato carcerato perché ha collaborato alle indagini della Procura di Milano. In questo modo la società potrà continuare a svolgere i lavori all'interno del IL MINISTRO Maria Elena Boschi, titolare delle Riforme, ieri si è detta “molto soddisfatta” per il testo e per il rispetto dei tempi “di questo – ha detto – ringrazio la commissione Ansa METAFORE AZZURRE di fd’e Gasparri, bimbo in gita con Silvio M aurizio Gasparri ricama talvolta metafore strepitose sul caos interno di Forza Italia, dalle riforme a tutto il resto. Prima un calcistico “sembriamo il Brasile”, nel senso del Sette a Uno teutonico, adesso l’autobus con l’autista maldestro e inesperto. Ieri a Palazzo Madama i senatori azzurri si sono riuniti per l’ennesima volta. Solito sfogatoio e divisioni tra nazareni e frondisti e pressing del Condannato per recuperare quanti più voti possibili alla causa renziana. All’uscita Gasparri, nei panni del mediatore, ha consegnato la seguente metafora: “Siamo come un autobus che deve affrontare gli ultimi tornanti di una salita difficile. Se l’autista è bravo e ha una guida dolce e morbida, fila tutto liscio, al contrario, se non è bravo i passeggeri si affacciano al finestrino e vomitano tutti. Tutto dipende dalla guida”. Per la cronaca il guidatore maldestro sarebbe il capogruppo Paolo Romani. certo ha cenato con alcuni parlamentari, dissidenti e non, ostentando “tranquillità”. Sempre mercoledì sera, Rizzetto e Di Maio hanno parlato a lungo nel chiostro della Camera. PROVE TECNICHE di intesa, per trovare nuovi equilibri dentro il gruppo di Montecitorio. Di Maio, i dissidenti (15, forse 20) assieme chi ci sta, tra gli ortodossi. Si spera nel supporto di nomi di peso, come Roberta Lombardi. E Alessandro Di Battista. Fino alle Europee, lui e Di Maio erano i due dioscuri del Movimento, i gioielli di famiglia di Grillo. Dopo il tonfo nelle urne Di Battista è scivolato ai margini, mentre Di Maio saliva, ancora. Ma da qualche giorno il deputato romano ha riguadagnato spazio, anche sul blog. E nell’assemblea di martedì ha lanciato parole di pace al vicepresidente della Camera. Opposte ai dardi dei falchi, che a Di Maio hanno rimproverato di “non essere più lo stesso”, le “fughe in avanti”. Ma il numero tre è forte, fortissimo. Ieri Grillo ha mandato mail di fuoco a un paio di ortodossi critici. “Luigi va sostenuto, non sono tollerate spaccature su di lui” il senso dei messaggi. Bisogna stare con Di Maio, l’uomo che tratta direttamente con Renzi e Guerini, anche tramite sms. Per investitura diretta di chi comanda. Con lui. Twitter @lucadecarolis VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 cantiere dell’Expo, ma dovrà rendere conto a un commissario straordinario. Il magistrato anticorruzione - che nel testo esprime anche alcuni dubbi sulle norme della legge (90/2014) che dà i poteri all'Autorità - ha rilevato che “non è assolutamente escluso che Maltauro avesse posto in essere un vero e proprio modus operandi che gli consentiva di ottenere commesse pubbliche con la corruzione”. IL CAPOGRUPPO Paolo Romani ha provato ieri a domare l’assemblea del gruppo di Forza Italia. Non sono mancate accese rivendicazioni. La fronda per adesso pare sotto controllo Ansa IL PADRE COSTITUENTE Il senatore Denis Verdini ieri a Palazzo Madama. È lui uno degli artefici del “patto del Nazareno” che ha messo assieme Forza Italia e Partito democratico Ansa Grasso, l’ultimo chiude il Senato IL PRESIDENTE CHE AVEVA AVVERTITO “RESTI UN’ASSEMBLEA ELETTIVA” ORA È COSTRETTO A RISPETTARE I TEMPI STRETTI DEL ROTTAMATORE PRESSATO ANCHE DALL’ANSIA DI NAPOLITANO AL QUIRINALE di Fabrizio d’Esposito L a solitudine di Pietro Grasso. Dalla resistenza alla rassegnazione, al quasi silenzio. Il Senato sta morendo per mano del renzusconismo, letale sintesi tra lo Spregiudicato e il Pregiudicato, e il siculo Grasso è costretto ad assistere passivamente al funerale della creatura che presiede. I nuovi e vecchi “saggi”, da Calderoli a Boschi, che compulsano testi, emendamenti, scadenze e Il presidente del Senato, Pietro Grasso Ansa 5 direttive lo trattano con istituzionale sufficienza. Come se la seconda carica dello Stato, presidente della Repubblica supplente in caso di necessità, fosse una semplice formalità tra loro e il Cambiamento annunciato. Lui, a dire il vero, prova ad avere quantomeno un sussulto d’orgoglio. L’ultimo ieri, quando è stato chiaro a tutti che l’ulteriore fretta dei rivoluzionari del Nazareno stava provocando un mezzo pasticcio. La seduta è durata meno di trenta minuti e questo è stato il LO SCONTRO Calderoli voleva fissare il calendario d’accordo con la sua commissione Lui: “Non può, questo lo decide il Presidente” botta e risposta finale tra Grasso e Calderoli, dopo uno spassoso minuetto sul braccio ingessato del senatore leghista. Calderoli: “Signor Presidente, volevo segnalarle che i relatori ritengono che data e orario definiti per l’attività emendativa possano e debbano essere riconfermati. Così ha deciso la commissione all’unanimità. Pertanto, salvo restando qualunque evento eccezionale, ritengo che la data stabilita sia congrua con i tempi prefissati”. Secca e infastidita la rispo- sta di Grasso: “La ringrazio, anche se i poteri su questo non li ha la commissione ma il presidente”. UN SEGNALE di ribellione, un dettaglio nei resoconti parlamentari, ma che misura il mal di pancia del magistrato antimafia scelto a suo tempo da Bersani. Altra era geopolitica. Il renzismo non fa prigionieri e lui è condannato a chiudere per sempre la porta di Palazzo Madama. Malachia predisse che l’ultimo papa della storia si chiamerà Pietro II, come il principe degli apostoli. Ecco, Grasso si chiama Pietro e sarà l’ultimo presidente del Senato secondo la profezia di Matteo. È stato lasciato solo anche da Giorgio Napolitano. Anche il Monarca del Quirinale vuole fare subito e il povero “Pietro” è costretto finanche a smentire la notizia di un incontro con il capo dello Stato. Alle cinque del pomeriggio, la seduta è già tolta. In Transatlantico passano i protagonisti della battaglia rivoluzionaria. Nessuno si cura di Grasso. Nessuno parla di lui. Per i democratici il vero presidente in questo frangente, garante del patto con il Condannato, è il canuto Luigi Zanda, capogruppo. “Ieri sera (mercoledì per chi legge, ndr) è stato Zanda a imporre l’accelerazione di oggi. Grasso si è adeguato”. A sua volta a premere sul capogruppo democratico sarebbe stata Maria Elena Boschi, onnipresente vestale del renzismo. La cinghia di trasmissione della rivoluzione che cambia verso al Senato è questa. Grasso è l’ultima rotella del meccanismo. Alla fine di marzo non sembrava così. Con un’intervistona a Repubblica, house organ del renzismo, il presidente di Palazzo Madama mostrava il petto ai fucilatori del nuovo corso democratico: “Non abolite il Senato, resti un’assemblea elettiva”. Parole che ancora oggi vengono tradotte crudelmente nei capannelli dei senatori: “Diciamo la verità, quando Grasso è stato eletto non conosceva nulla di questo posto. Si è consegnato all’amministrazione del Senato che oggi è in prima fila nella resistenza della conservazione”. IN OGNI CASO a rimettere al suo posto Grasso, pubblico ministero che ha fatto la guerra alle cosche, ci pensò la gentile vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani, che gli ricordò il neocentralismo renziano: “Grasso è un presidente di garanzia ma credo anche che, essendo stato eletto nel Pd, debba accettarne le indicazioni”. Vero in parte. Perché Grasso la spuntò su Schifani grazie ai voti grillini. Nel Movimento 5 Stelle scoppiò il primo casino sul soccorso amico ma poi i rapporti si sono distesi, se non ribaltati. Il feeling con M5S è costante e reciproco e forse questo è l’unico tesoretto accumulato dal presidente del Senato nella funesta corsa verso la distruzione del vecchio Senato. A meno che la rassegnazione di questi giorni non nasconda il prezzo da pagare per l’ambizione mai sopita di farsi issare quando sarà sul trono del Quirinale. Prima o poi il patto del Nazareno approderà all’inciucio finale sul nuovo capo dello Stato (ah, quante grazie da reclamare) e Grasso potrebbe essere un candidato autorevole. In fondo, politicamente, è giovane ed è adattabile alle stagioni che passano. E l’onta di essere l’ultimo presidente, una sorta di Madamazo brasiliano, diventerà un peccatuccio veniale. 6 EFFETTO ANNUNCIO VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 Ialla l Nobel Yunus Camera: servono banche per i poveri PERCHÉ NON FARE LEGGI ad hoc per dar vita a un sistema bancario per i poveri? È questa la proposta avanzata dal premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, durante la sua lectio magistralis alla Camera. "La gente nel mondo non è legata alle banche - ha spiegato - ma abbiamo bisogno di un sistema bancario che sia inclusivo, che possa accogliere tutti. Sinora però il sistema bancario non è cambiato. Abbiamo bisogno di provvedimenti legislativi che creino un quadro giuridico, perché le banche siano banche per i poveri, per gli indigenti. Mi sembra un proposito estremamente semplice ma non è cambiato nulla". "Chiedo al parlamento italiano - ha proseguito il premio Nobel -: perché non creiamo delle leggi ad hoc affinché le banche siano anche per gli ALITALIA E STATALI, RENZI PROVOCA ANCORA I SINDACATI TAGLIO AI PERMESSI SINDACALI E ACCORDO SULLA COMPAGNIA: “OPPURE SI CHIUDE” G li spot e il tono sono quelli di sempre, anche il nemico, utile ad attenuare la percezione che dietro gli slogan ci sia poco: i sindacati. “Non abbiamo paura di dimezzare il monte ore dei permessi sindacali, stiamo attuando un percorso di riforme così radicale e significativo al Senato che figuriamoci se abbiamo paura. Se hanno il 50 per cento dei permessi in meno nessuno soffrirà”, dice il premier dopo il Consiglio dei ministri parlando della riforma della pubblica amministrazione che dovrebbe rappresentare una “rivoluzione copernicana” (anche se si tratta di una legge delega, quindi con tempi lunghi). SECONDO RING: Alitalia. Entro poche ore si devono chiudere i negoziati con la compagnia araba per Etihad, ultima speranza per l’azienda dei “capitani coraggiosi” che perde mezzo miliardo all’anno. “Oggi il rischio non è sugli esuberi, ma il fallimento. L’alternativa è tra un numero x o y di esuberi e la chiusura”, è il messaggio che il premier manda ai sindacati che stanno passando la giornata chiusi a negoziare nel ministero dei Trasporti di Maurizio Lupi. Sulle misure concrete è, come sempre, difficile distinguere tra vaghe promesse e comunicazioni di provvedimenti adottati. Ne è consapevole anche Renzi, che spiega: “Inutile fare le leggi se non si applicano”. Il riferimento è alle 752 norme che SENZA LAVORO Jobs Act, l’incompiuta del premier oveva essere il lavoro. Non la Pubblica amministrazione, D le tasse, il Senato. Doveva essere il lavoro la grande riforma di Matteo Renzi, la sfida generazionale, una rottura ra- Matteo Renzi e il ministro Maria Elena Boschi Ansa cutiva: c’era il decreto, adesso c’è anche la legge delega, che avrà tempi lunghi nell’approvazione. “Alla fine dei 1.000 giorni il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino è rovesciato, alla fine di questo percorso la P.a. avrà il dovere di mettere online tutti i tipi di certificati o, altrimenti, di inviarli a casa entro 48 ore”, è la promessa. Meno carta, più computer, accorpamento del registro dell’Aci con quello della motorizzazione, ruolo unico per i dirigenti pubblici così da poterli spostare e licenziare più facilmente. Tutte novità indigenti? Si può partire da una piccola banca che poi può dar vita all’attività di altre banche con il microcredito. Perché le Ong non possono entrare a far parte del sistema per sostenere la crescita?". "Ritengo che il Parlamento debba giocare un ruolo forte e propulsivo" per favorire il microcredito a sostegno della lotta alla povertà, ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini. di Stefano Feltri aspettano i decreti attuativi dai tempi dell’esecutivo tecnico di Monti. Per rimediare a questa situazione “allucinante”, Renzi ha una strategia: all’inizio di ogni Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi (titolare delle Riforme) farà la conta. E ognuno dei colleghi di governo dovrà spiegare quanti decreti attuativi gli mancano e perché non li ha ancora ottenuti. La riforma della pubblica amministrazione adesso è completa, anche se non ese- LEGGI DELEGA Il governo promette di rendere stabili le risorse del cinque per mille, c’è il testo della riforma della Pubblica amministrazione il Fatto Quotidiano che dovranno diventare poi provvedimenti specifici da negoziare con il Parlamento. IL CONSIGLIO dei ministri ha approvato anche un’altra legge delega, quella che riguarda la riforma del terzo settore (il no-profit). In attesa di leggere il testo del provvedimento, se ne conoscono le principali novità. Cambia la disciplina delle imprese sociali (una via di mezzo tra cooperative e aziende normali), arriveranno i “bond della solidarietà”, una forma di finanziamento agevolata, e cambia anche la disciplina del cinque per mille, quella quota delle proprie tasse che i contribuenti possono destinare ad associazioni ed enti. In teoria il meccanismo dovrebbe diventare permanente, superando la perversione attuale per cui in ogni legge di stabilità viene assegnato agli enti scelti dal contribuente solo una quota del gettito teorico (il resto viene dirottato dove serve a tappa- DECISIONISMO Mancano i decreti attuativi? A ogni riunione dell’esecutivo la Boschi interrogherà i colleghi e farà la conta di quanti ne restano da approvare re buchi nel bilancio). Vedremo il testo finale se manterrà la promessa. C’è poi un tentativo di promuovere il servizio civile europeo di cui spesso parla Renzi, con “una programmazione almeno triennale” e il coinvolgimento di cittadini stranieri, con la promessa difficile da decifrare che “farà curriculum”. Ultima novità: gli enti del terzo settore dovranno poter utilizzare con maggiore facilità rispetto a oggi gli immobili pubblici che lo Stato non usa. Ma anche questa, per ora, è soltanto una promessa. dicale fin dal nome, Jobs Act, modello Obama. Invece niente o quasi: il Senato rinvia l’esame del disegno di legge delega che – comunque con tempi biblici – dovrà essere la premessa per una vera riforma. Per ora si è visto solo un decretino che liberalizza un po’ i contratti a tempo determinato (era più liberista, poi la minoranza di sinistra del Pd lo ha neutralizzato in Parlamento). Una volta Renzi si presentava come l’ariete di Pietro Ichino, il giuslavorista eletto quasi per sbaglio senatore del Pd che continuava a trovarsi in minoranza con le sue idee di contratto a tutele crescenti e superamento dell’articolo 18. Poi Ichino è passato a Scelta Civica, Renzi ha capito che per conquistare il Pd doveva sfidare le burocrazie sindacali ma conquistare il voto dei loro iscritti. E quindi addio alle promesse ai giovani precari e alle partite Iva e avanti con rassicurazioni a impiegati statali a fine carriera e insegnanti. Il ministro del Welfare Giuliano Poletti doveva essere il volto pacioso della rivoluzione renziana. Invece ora lo scopriamo uguale a tutti i suoi predecessori, a denunciare in apposite interviste che “manca un miliardo Giuliano Poletti LaPresse per la cassa integrazione”. Per forza: il governo non ha neppure cominciato a riformare gli ammortizzatori sociali e quindi le Regioni continuano a presentare le loro discutibili richieste di fondi per la cassa integrazione in deroga (che, come dice il nome, dovrebbe essere una misura tampone, non strutturale). Certo, il contesto non aiuta: il progetto di Garanzia Giovani voluto dal governo Letta (e rivendicato da quello Renzi) non sta funzionando bene, le agenzie per l’impiego mettono in contatto domanda e offerta di lavoro, ma a fronte di 110 mila candidature le imprese hanno da riempire solo 4mila posti. Pochini. La Commissione europea continua a sollecitare il governo a fare un bilancio della riforma Fornero: se la revisione dell’articolo 18 non ha dato i risultati sperati, perché i licenziamenti più facili non hanno fatto aumentare investimenti e assunzioni, bisogna intervenire ancora. Ma il Renzi rottamatore è diverso da quello di governo. Da premier ha capito che il lavoro è un tema che è meglio evocare piuttosto che affrontare, sperando che la Bce, la buona sorte, l’inversione del ciclo economico, migliorino un po’ le statistiche sull’occupazione. Il governo potrà comunque prendersene il merito. INCHIESTA MOSE La Giunta vota: sì all’arresto di Galan on c'è fumus persecutionis. N L'inchiesta è seria e mette le mani in vicende gravissime. Le stesse intercettazioni sono state usate nel pieno rispetto della legge e in modo "non invasivo". Per queste ragioni può essere concessa l'autorizzazione all'arresto di Giancarlo Galan. Lo ha deciso ieri la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera con 16 sì e 3 no. Contrari i deputati di Forza Italia, Ncd e del Psi, a favore tutti gli altri, compreso il relatore Mariano Rabino (Sc), mentre il presidente della giunta, Ignazio La Russa, non ha partecipato al voto. “Non si può riconoscere il fumus perecutionis in un provvedimento giudiziario per il fatto, del tutto opinabile, che esso in ipotesi non sia conforme a una disposizione che non esisteva al momento della sua emanazione” è il pensiero di Rabino. Che ha anche smontato ogni contestazione sul modo in cui è stata condotta l'inchiesta sul Mose dalla Procura di Venezia. “L'inchiesta – ha detto – non ha abusato di mezzi invasivi di ricerca delle prove. Anzi, per certi versi, l'azione investigativa è stata persino portata ad esempio di legittimo uso delle intercettazioni”. PRIMA del voto sull'autorizza- zione all'arresto si era votato sulla richiesta avanzata dal deputato Marco Di Lello, Psi, per la remissione degli atti alla magistratura. Anche in questo caso un no, 16 contrari e 3 favorevoli. Chiara la posizione del Pd. “Tenendo presente che il compito della Giunta è quello di accertare se il Gip manifesti un intento persecutorio verso un parlamentare, posso affermare che nel caso Galan non si ravvisa fumus persecutionis”. Così la deputata Sofia Amoddio nel suo intervento in Giunta. “Studiando il fascicolo è chiaro che il giudice non richiede la custodia cautelare in carcere IL 15 LUGLIO Ora alla Camera il voto finale. L’ex governatore: “Spero che i colleghi dell’aula leggano le carte Io sono innocente” solo per il parlamentare Galan ma per tutti i soggetti indagati di corruzione, con una motivazione che equipara la condotta del Galan a quella di altri indagati. Escludo il fumus da parte del Gip, anche alla luce delle tesi difensive illustrate dall’onorevole Galan che, ad esempio, lamenta come il pm non abbia disposto il suo interrogatorio. È utile precisare che nessun pm ha l’obbligo di interrogare la persona nei cui confronti sta svolgendo le indagini. Ricordo che ancora oggi le indagini non sono chiuse e l’obbligo per il pm di sentire l'imputato - solo su sua richiesta - nasce dal momento in cui l'indagato riceve l’avviso di conclusione indagini e non prima”. Si difende Galan e spera nel voto dell'Aula il prossimo 15 luglio. “Purtroppo l’esito del voto della Giunta era stato ampiamente annunciato afferma l’ex governatore - da numerose (incaute e poco istituzionali) dichiarazioni. Ho voluto credere fino in fondo che valutare in merito alla libertà di una persona, che valutare l’applicazione della massima misura cautelare, prescindesse da orientamenti politici. Così non è stato, non posso che prenderne atto con amarezza e sconcerto. Resto fiducioso che i colleghi d’aula abbiano letto la documentazione che ho prodotto e votino secondo coscienza, personale. Io sono innocente, un politico innocente, non smetterò di ripeterlo semplicemente perché è la verità". L'ultima speranza, quindi, è che in Aula qualcuno chieda il voto segreto. “E non saremo certamente noi - Giancarlo Galan Dlm sottolinea Danilo Leva del Pd -, forse altri parlamentari lo faranno, ma non temo imboscate, l'ordinanza non lascia spazi a dubbi”. Per Mario Giarrusso, senatore M5S “Galan deve andare in galera per direttissima e lo devono portare fuori dalla Camera con le manette ai polsi, come cosa simbolica per dare un esempio”. E. F. L’APPELLO il Fatto Quotidiano Lpera voce di tutti bloccare un patto scellerato SEMPRE più lettere in redazione per condividere l’appello de il Fatto Quotidiano – lanciato domenica scorsa, 6 luglio – su come opporsi alla svolta autoritaria del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con il sostegno del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Nell’articolo venivano ricordati i dieci punti attraverso i quali si intende imprimere la svolta: riguardano Camera, Senato, ruolo dell’opposizione, la scelta del capo dello Stato, il controllo sulla Corte costituzionale, l’influenza su Cortei, appelli e tv: insieme per fermare Renzi LE PROPOSTE DEI LETTORI PER CONTRASTARE IL DISEGNO USCITO DAL NAZARENO ”RIFORME SÌ, MA NON QUESTE. STOPPIAMO LA DEMOCRAZIA AUTORITARIA” Quattro punti per le riforme senza dimenticare i vitalizi Il consenso alle elezioni europee non equivale a consenso su queste riforme. Si potrebbe cominciare con una raccolta firme e una manifestazione già ai primi di settembre. La prima richiesta dovrebbe essere l’abolizione dello sbarramento perché porta al ricatto del voto utile. Il secondo punto è la libera scelta dei parlamentari: i cittadini devono poter decidere chi mandare alle Camere. Il terzo è una diversa riforma del Senato: la proposta uscita dal Nazareno è inaccettabile, ma la riduzione del numero dei suoi membri può essere accettata, l’importante è che rimanga elettivo e con le stesse funzioni. La quarta questione riguarda il premio di maggioranza: se un partito non riesce a convincere la maggioranza, per quale motivo deve essere premiato? Si resta in attesa anche di un provvedimento che riduca i compensi e dei vitalizi dei parlamentari. Albarosa Raimondi Scendiamo in piazza contro le istituzioni dei nominati Con la proposta di riforma di Renzi, cinque o al massimo sei segretari di partito decideran- Articoli in saldo VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 7 Csm e magistrati, il ruolo del procuratore capo “padre-padrone” dei pm, l’immunità per senatori e deputati, le mani sull’informazione (il governo domina la Rai e B. controlla Mediaset) e i cittadini che restano senza armi se non i referendum abrogativi e leggi d’iniziativa popolare (per proporle serviranno non più 50 mila ma 250 mila firme). LA LETTERA La svolta che deve far riflettere chi ha votato Pd L’INTERVENTO DI UN CONSIGLIERE COMUNALE DI FIRENZE CHE CONOSCE BENE IL PREMIER aro Direttore, pur condividendo molto delle vostre riflesC sioni sulla “democrazia autoritaria”, non so quanto possa aiutare una rappresentazione tanto drammatizzante rispetto no chi siederà alla Camera. Anche i consiglieri delle aree metropolitane verranno eletti con elezioni di secondo grado. Un partigiano cattolico più volte si chiedeva,e mi chiedeva, a cosa fosse valsa la lotta armata che aveva combattuto con l’intento di ristabilire la democrazia. La domanda è rimasta senza risposta. Propongo di fare il prossimo settembre una festa del quotidiano per chiedere di restituire ai cittadini la possibilità di vota- re i rappresentanti nelle istituzioni. Sergio Gaiotti Attenzione a Napolitano Interviene a gamba tesa Ritengo che oltre alle petizioni e alle raccolte di firme su documenti redatti da giuristi e costituzionalisti, sia necessario portare avanti una campagna di informazione continua e capillare sulle poche televisioni libere e stilare un programma di manifestazioni popolari, non solo a Roma, ma anche in altre città. È necessario, altresì, continuare a martellare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: ha giurato fedeltà alla Costituzione, ma stravolge spesso le sue prescrizioni entrando a gamba tesa sull’operato degli altri poteri. Infine, tutti i movimenti politici della sinistra italiana e le associazioni della società civile devono partecipare a questo processo, se non vogliono sparire, schiacciati dalle riforme di Renzi e Berlusconi. all’obiettivo di rianimare uno spirito critico in questo nostro addormentato Paese. Ovviamente spero di sbagliare e, comunque, ringrazio il vostro (mio) quotidiano per avere sollevato una questione di cultura democratica e di difesa dei principi costituzionali. Vengo al punto: io non credo (non voglio credere) a un disegno autoritario di Matteo Renzi. Per come lo conosco, per quanto sia in grado di leggere, vedo senz’altro atteggiamenti populisti coniugati a una straordinaria capacità di entrare in sintonia con la “pancia” del cittadino-elettore, il quale però – mi par di capire – non vedeva l’ora che si profilasse all’orizzonte dell’ennesimo uomo della provvidenza. Provvidenziale, quest’uomo, soprattutto a sinistra, dove le delusioni e le frustrazioni del ventennio berlusconiano (in verità dieci anni di governo e dieci di inciucio) fanno immaginare che il sol dell’avvenire possa finalmente giungere e illuminare il decennio (o ventennio) del ragazzo di Rignano sull’Arno. Quindi vorrei richiamare l’attenzione sul rischio di una democrazia autoritaria che non avverrà “a insaputa” del popolo italiano, ma con il suo convinto sostegno. Durante tutta la parabola di Silvio Berlusconi non ho mai avuto seri timori sulla tenuta democratica, perché ne vedevo attivi e reattivi tutti i necessari anticorpi. Ora, invece, sembra proprio che il Potere stia vincendo il suo “gran gioco” perché mentre Berlusconi aveva da fare i conti con una serie di contropoteri, niente sembra oggi volersi opporre alla marcia trionfale di Renzi. Al punto che quello che dovrebbe essere il suo principale antagonista spera vivamente (e lo fa dire al figlio) che il giovane premier faccia il gioco sporco al posto suo e sistemi come si deve le sue aziende e, soprattutto, quel cancro dei giudici politicizzati. Che fare, dunque? Sfidare Renzi sul piano dei contenuti e delle contraddizioni fra promesse e cose fatte, perché quanto a parlantina e disinvoltura il ragazzo non ha eguali al mondo. Rosario Marano Cristina Scaletti - Consigliere comunale per “La Firenze Viva” Il giurista Massimo Villone “È una bestemmia alla Costituzione” di Silvia Truzzi on sarà un Belpaese l’ItaN lia controriformata dallo stravolgimento costituziona- le. “Guai a valutare separatamente la legge elettorale e la riforma del Senato. Si azzera il Senato e pure la Camera, che attraverso l’Italicum garantisce al leader eletto un obbediente parco buoi. Il parlamento non conta più, e nemmeno l’esecutivo. Conta il leader, già si vede con il governo Renzi dove i ministri sono la sua squadra personale. Il disegno è proprio questo: un governo personale”, spiega Massimo Villone, ordinario di diritto Costituzionale all’Università Federico II di Napoli, ex senatore prima del Pds e poi dei Ds. Professore, i cittadini non capiscono perché per sanare una situazione causata da una legge elettorale dichiarata incostituzionale se ne predisponga un’altra fortemente sospettata degli stessi limiti. L’incostituzionalità dell’Italicum è evidente. Le censure che la corte rivolge al Porcellum su liste bloccate e premio di maggioranza valgono tal quale per il nuovo sistema. L’Italicum risponde esattamente al disegno politico e agli interessi dei due attori, Renzi e Berlusconi, che trovano la risposta a quello che, secondo loro, è il problema della competizione politica oggi. Non so se questa analisi resiste, considerando che Forza Italia non è più la seconda forza. È un sistema pensato per i due maggiori partiti: gli altri possono anche morire. Dopo la sentenza della Corte sul Porcellum era chiaro che bisognava fare la legge elettorale, ma sarebbe stato molto più rispettoso verso i cittadini lasciar fare le riforme costituzionali a un parlamento di eletti e non di nominati. È arroganza politica e mancanza di cultura costituzionale. Questo Parlamento manca di legittimazione sostanziale, anche se non di legittimità formale. E la maggioranza che vuole le riforme – costruita sulle norme incostituzionali – scassa la legge fondamentale in base alla quale è priva di legittimazione. Per un costituzionalista è una bestemmia contro la Carta. Il suo collega Alessandro Pace al Fatto di ieri ha dichiarato: “Una siffatta concentrazione di poteri, in capo a un solo organo e a una sola coalizione (per non dire in capo a un solo partito e al suo leader) è impensabile in una democrazia liberale. Lo affermò esplicitamente lo stesso presidente Napolitano nel discorso per il 60° anniversario della Costituzione, allorché prese le distanze dal semipresidenzialismo francese”. Credo che Napolitano sia genuinamente preoccupato della salute delle istituzioni, ma non si può dire “riforme co- RIDUZIONE DEI COSTI Le spese reali sono gli immobili, i servizi, il personale Usare questo pretesto per giustificare il nuovo Senato è una boiata pazzesca munque”. “Quali riforme” è pregiudiziale. Qui si mette in campo una cosa che non ha riscontri, nemmeno nel modello francese, che conserva la possibilità d’identità politiche diverse tra Parlamento e presidente. Nel modello che si prefigura per noi il leader è eletto sostanzialmente in modo diretto, comanda la sua maggioranza, si fa le liste, cioè porta alle Camere chi vuole. Un sistema più riduttivo degli spazi di democrazia rispetto al semipresidenzialismo e al presidenzialismo. Un’assemblea elettiva con una maggioranza prefabbricata e blindata è un vuoto simulacro di democrazia. Renzi dice: il Senato non elettivo fa risparmiare. Non era meglio ridurre il numero complessivo dei parlamentari? Certo. Ma era più difficile perché si disturbava la Camera, i cui numeri sopperiscono alle fragilità della maggioranza in Senato. Le indennità dei senatori – cui si aggiungono comunque i costi di permanenza a Roma – sono alla fine spiccioli. Basta leggere i bilanci del Senato per vedere che i costi veri – e questi rimangono – so- no la gestione e manutenzione degli immobili, i servizi, il personale. È una boiata pazzesca. Il premier dice anche che il sistema del bicameralismo, con la navetta tra una Camera e l’altra, fa perdere tempo. Guardate le statistiche sul sito del Senato. La quasi totalità della produzione legislativa fa capo al governo, con decreti delegati o legge. Al voto finale per la conversione di un decreto legge si arriva in ciascuna camera in un tempo medio di 14 giorni. L’immunità è una garanzia prevista dai padri della patria, dicono. Massimo Villone in Senato LaPresse La garanzia originaria è stata importante per la sinistra. Un tempo, deputati e senatori si mettevano a capo delle manifestazioni perché avevano la copertura parlamentare. Poi, la garanzia è uscita dall’orbita dell’agire politico ed è entrata nei meccanismi corruttivi. Oggi, è sensato mantenere (sia per i deputati che per i senatori di seconda scelta non eletti) solo l’insindacabilità delle opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni, e forse l’autorizzazione per l’arresto, che può incidere sugli equilibri politici dell’assemblea. Cosa succederà? La prima lettura della legge costituzionale si svolge esattamente come una legge ordinaria, con maggioranza non qualificata. Dopo l’eventuale navetta, la prima deliberazione si chiude con l’approvazione di un identico testo. Nella seconda si può solo dire sì o no. Non ci sono emendamenti, questioni pregiudiziali, sospensive: prendere o lasciare. Dunque, si decide tutto qui e ora. 8 TRA PALCO E REALTÀ VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 N apoli: 45 avvisi di garanzia per il crollo in Galleria LA PROCURA di Napoli ha emesso 45 avvisi di garanzia per indagare sulle responsabilità della morte di Salvatore Giordano, il quattordicenne vittima dei calcinacci caduti all’interno della Galleria Umberto I. Le ipotesi di accusa, formulate dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio e dai pm Stefania Di Dona e Lucio Gugliano, sono omicidio colposo e crollo colposo. I Carabinieri della compagnia Napoli Centro si stanno occupando in queste ore di notificare gli avvisi di garanzia. Dalle prime informazioni si apprende che tra i coinvolti ci figurano tre funzionari il Fatto Quotidiano dell’ufficio tecnico del Comune e gli amministratori e i proprietari di alcuni locali posizionati nell’ala della galleria dove si è verificato il crollo. Intanto i pm hanno disposto una superperizia sia sul crollo della facciata che sulle condizioni di altri elementi di valutazione dei cornicioni. Cairo vuole nuovi canali e sogna una Rai3 privata IL PATRON DI LA7 SVELA I PALINSESTI DELLA NUOVA STAGIONE, MA NON RIVELA LO STIPENDIO DEL NUOVO ACQUISTO FLORIS STRAPPATO ALLA TV PUBBLICA La processione del 2 luglio a Oppido Mamertina Ansa di Carlo Tecce T inviato a Milano re anni fa, non venti, sala più ampia e meno sfarzosa, Urbano Cairo sgranocchiava noccioline e agguantava tartine, mentre l’amministratore delegato Gianni Stella, il temuto er canaro di La7, gridava i palinsesti. Tre anni fa, non venti, Cairo gestiva la pubblicità di La7, e la proprietà (Telecom) non stramazzava per l’entusiasmo. Il contrario. Oggi Cairo ha prenotato uno stanzone di un albergo milanese a cinque stelle, ha convocato i giornalisti, ha diluito un’attesa (mediatica) e ha declamato l’accordo: “I prossimi cinque anni Giovanni Floris li passerà da noi”. opinioni. Ha messo insieme un sacco di prime punte, da Enrico Mentana a Michele Santoro, da Giovanni Floris a Lilli Gruber, ma in conferenza stampa non è accompagnato. Più che uno vale uno, ciascuno vale qualcosa. Il canale monotematico ti fa editore figo, docente ordinario e non più supplente di un servizio pubblico che ha abdicato: interessante, però conta il denaro. E questo è un modo di Cairo per PER RAGIONI di profilo del pub- NON SCOPRE le cifre, smentisce quei 4 milioni di euro in 3 anni: non era così, sbagliato, ma il giornalista avrà più spazio (e più soldi) che in passato su Rai3. Avrà il martedì sera con Maurizio Crozza in copertina e 15-20 minuti prima del TgLa7. Cairo ha messo insieme un canale d’informazione, ha scippato a Rai3 (senza dover lottare, invero) il ruolo di produttore di notizie e, soprattutto, di parole e fare denaro. Perché l’omonima società di raccolta pubblicitaria – la Cairo Communication – ai lettori popolari dei periodici può sommare i telespettatori di fascia alta di La7: non per caso, da operatore integrato, può sfoggiare 70 aziende che hanno deciso di investire in esclusiva su Gruber&C. I volti di La7, capitanati da Mentana, sono esposti agli inserzionisti, non ai cronisti. Più redditizio. Già, Mentana. Cairo lo nomina, lo elogia, racconta le telefonate, le consultazioni: vuol far capire che la striscia quotidiana di Floris non darà fastidio al direttore. Urbano Cairo Ansa blico e di ascolti, La7 non farà la cronaca gialla di Salvo Sottile, convertito al dibattito politico con buoni riscontri di share, ma un mercoledì al femminile: si alternano Myrta Merlino (L’Aria che tira), Giulia Innocenzi (Announo) e Daria Bignardi (Invasioni Barbariche). Non c’è una logica editoriale. Ma è molto efficace per vivere meglio: così, dentro, ci stanno tutti. La7 ha prenotato un pubblico potenziale per attrarre le società che staccano assegni e riempiono i 4 minuti di stacco pubblicitario, poi dovrà sperimentare un modello a sua volta innovativo: la concorrenza interna. In viale Mazzini, per anni, si sono lamentati per la concorrenza orizzontale tra Rai1 - Rai2 Rai3, qui sarà verticale: lo share è un trofeo per chiunque, non esistono amichevoli con l’Auditel. E La7 ha un gruppo competitivo. Cairo ha comprato la tv per un milione, Telecom non sapeva come arrestare una macchina mangia-soldi. Il patron del Torino ha ricevuto pure una dote per ristrutturare il debito e ora, assicura, da metà 2015 potrà utilizzare quel denaro per investire: scaduto il vincolo, portato il bilancio in utile, può disporre di 88 milioni di euro. Vuole fare nuovi canali. Per due motivi: differenziare il profilo di spettatori non paganti ma acquirenti; sfruttare le frequenze che ha comprato all’asta – e a prezzi di saldo – dal ministero per lo Sviluppo economico. Cairo offre più versioni di sé: rabdomante di pubblicità, fabbricatore di riviste, azionista di Rcs, patron del Toro e di La7. Adesso ci gioca, tanto. Scherza su Rcs, che derubrica ad attività secondaria, o anche più laterale. E fa l’imprenditore vorace: “Non chiedetemi di Rai3, non è la nostra. Ma se privatizzano, ci candidiamo”. I pronomi personali spiegano il mondo. Altro che noccioline. PIANA DI GIOIA TAURO Il vescovo: “Estate senza processioni” MONSIGNOR MILITO PROIBISCE LE CELEBRAZIONI MA ATTACCA LA STAMPA: “NOTIZIE TENDENZIOSE” di Lucio Musolino Reggio Calabria ha definita “un atto d’amore per la nostra Chiesa tra pasL’ sato e futuro”. Alla fine è arrivato il provvedimento del vescovo Francesco Milito dopo le polemiche sulla processione di Oppido Mamertina dove il 2 luglio la statua della Madonna delle Grazie si è inchinata davanti all’abitazione dell’ergastolano della ’ndrangheta Peppe Mazzagatti. Da ieri, infatti, sono state sospese a tempo indeterminato tutte le processioni della diocesi. Tutte le parrocchie della Piana di Gioia Tauro, quindi, interromperanno i preparativi delle varie celebrazioni previste per l’estate. “La scelta del vescovo – dice il vicario Giuseppe Acquaro – è finalizzata ad avviare una riflessione sullo svolgimento delle processioni dopo quanto accaduto a Oppido”. Il vescovo Milito, però, attacca la stampa: la Diocesi deve essere “confortata e salvaguardata dalla sovraesposizione mediatica, non esente, purtroppo, e alimentata da notizie tendenziose false e provocatorie”. E ritornando sulla decisione: “Si tratta di un gesto di cautela, di invito alla riflessione e al silenzio. Nessuno è autorizzato a vedervi un gesto di sfiducia o di giudizio verso coloro che alle processioni contribuiscono con dedizione e rettitudine. Una comunità adulta nella fede comprende sempre e condivide scelte per le quali non sono ammissibili interpretazioni arbitrarie e, tanto meno, comportamenti autonomi”. TERZA REPUBBLICA Nasce Cinelandia, vip in coda sulla Pontina di Giorgio Meletti spiega che il progetto è nato nel 2003 ed è rimasto fermo per cinque anni in attesa del cambio di destinazione dell’area, nella quale era esplicitamente vietato fare attività di “intrattenimento”. Fu l’assessore regionale Esterino Montino, dicono dalla Regione, a firmare nel 2010 la modifica. “Erano tutti d’accordo, destra e sinistra”, assicura Abete. Nessuno ne dubitava. Castel Romano lle cinque della sera arrivaA no per fortuna Gianni Letta e Walter Veltroni. Stormi di cameramen si gettano sui due blasonati ex per consolarsi della tragica notizia appena giunta da Roma centro: “Matteo non verrà”. Avevano fatto tutto per lui, con tanto di prove generali e orario bloccato alle 17 per consentire al premier il consueto coordinamento con i tg delle 20. E invece Renzi è trattenuto a Palazzo Chigi, e così si appalesa il senso profondo dell’inaugurazione di Cinecittà World, ambizioso parco tematico alla periferia della Capitale: qui non si celebrano i fasti del cinema italiano degli anni ’50 e ’60, ma si consuma una rimpatriata di reduci degli anni 90, epoca meravigliosa in cui, vent’anni più giovani, dovevano ricostruire l’Italia del dopo Tangentopoli e invece hanno concepito nuove e peggiori devastazione. ECCO Veltroni affettuosamente abbracciato dall’amministratore delegato di Cinecittà Parchi Spa, il francese Emmanuel Gout. Sì, proprio lui: nel 1997 faceva il IL PUNTO è che in località Castel Da sx. Aurelio De Laurentiis, Dante Ferretti, Luigi Abete, Emmanuel Gout lobbista di Telepiù, la pay-tv che precedette Sky. Il governo Prodi doveva mandare Telepiù sul satellite insieme a Rete4, poi accadde il miracolo, la legge Maccanico fu cambiata quando Gout promise al vice premier e ministro dei Beni culturali Veltroni di investire sul cinema italiano che gli era così caro. Allora Gianni Letta aveva iniziato la carriera da gran ciambellano di Palazzo Chigi, e Luigi Abete, lasciata la presidenza di Confindustria, fu mandato a occuparsi di Cinecittà in grave crisi. Doveva privatizzare gli studi cinematografici, effettivamente Cinecittà oggi è privata, di Abete. O meglio, è sua (per il 16 per cento) e dei suoi amici e sociDiego Della Valle (32 per cento) e Aurelio De Laurentiis (23 per cento). Abete ringrazia Veltroni, che come sindaco (2001-2008) ha seguito la nascita del progetto, ma anche i successori Gianni Alemanno e Ignazio Marino, nessuno si è messo di traverso. Gout dà prova di abilità comunicativa. Alla domanda “Quanti dei 500 posti di lavoro che avete creato con il parco tematico sono a tempo indeterminato?”, risponde che ci sono “una certa varietà di tipi di contratto”, cioè zero a tempo indeterminato. Abete Romano, c’è un budello chiamato strada Pontina che per decenni ha consigliato di vietare attività ad alta affluenza di pubblico. Poi magicamente è stato aperto un gigantesco Outlet da quattro milioni di visitatori all’anno. Adesso Abete punta a un milione e mezzo di persone all’anno: “La strada sarà presto allargata, ci sono già tutti i progetti”, annuncia. I conti di Cinecittà World sono chiari. Mille posti di lavoro, tra diretti e indiretti, 250 milioni di investimento dichiarati, di cui circa metà preso in banca, l’obiettivo di incassare 40 milioni per andare in pareggio e 60 per ottenere la stessa profittabilità degli altri grandi parchi tematici in giro per il mondo. Per centrare l’obiettivo bisogna che ciascuno del milione e mezzo di visitatori ipotizzati spenda 40 euro, cioè il biglietto d’ingresso che ne costa 29 più cibi, bevande e gadget vari. Come dice Abete, “l’entertainment è l’autostrada per lo sviluppo”, e oggi, spiega il presidente della Bnl, “nella vita delle persone il tempo libero è più di quello occupato”. Parole sante, soprattutto per il popolo dei disoccupati, che però potendo spendere 29 euro forse preferiranno entrare nel cancello accanto per comprarsi una scarpa all’Outlet anziché al Cinecittà World per vedere le scenografie del tre volte Oscar Dante Ferretti e ascoltare le musiche di Ennio Morricone. In ogni caso papà, mamma e creatura per entrare devono pagare 81 euro, così non solo sapranno come passare il tempo, ma anche come spendere gli 80 euro di Renzi se trovano quello in più: forse è proprio Abete nega che dietro l’operazione ci sia un interesse immobiliare. “La nostra è una start up sul mercato dell’entertainment”, taglia corto, e giura che non sa ancora se vorrà costruire davvero l’albergo da 200 camere subito fuori del arco tematico, come l’iniziativa di un albergo di eguale stazza dentro i terreni della vecchia Cinecittà è motivata solo con il desiderio di offrire un alloggio a tiro di set alle stelle del cinema e relative maestranze. Fatto sta che a Castel Romano, sui terreni che un tempo ospitarono Dinocittà, la cine-cittadella di Dino De Laurentiis, oggi ci sono 45 ettari edificabili a disposizione di Abete e soci, e forse pensava a questo Montino quando, passato all’opposizione, nel 2012 ha definito il parco di Abete “una grande ludoteca a cielo aperto, buona al circuito delle speculazioni edilizie”. POTERI DEBOLI il Fatto Quotidiano Pin ortogallo, banca difficoltà e le Borse tremano di Virginia S Della Sala embrava fosse un accordo già fatto quello per la creazione di una concessionaria di pubblicità online tra i gruppi di Silvio Berlusconi (Mediamond e Publitalia) e Carlo De Benedetti (Manzoni), insieme a Banzai Media e Rcs. Per due giorni non si è parlato d’altro. Fino a ieri, quando con una nota il gruppo editoriale L’Espresso ha definito “del tutto infondate” le illazioni su un tale accordo, precisando che “eventuali progetti tra concessionarie di pubblicità di diversi operatori del settore potranno avere una natura circoscritta e un carattere puramente operativo e commerciale”. Una frenata dettata forse dal risvolto politico dell’operazione, come nel 2005 quando le firme di Repubblica si opposero all’apertura di De Benedetti verso i figli di Berlusconi per ilo sviluppo del fondo salva-imprese Management & Capitali. Il progetto di sfidare di sfidare Facebook e Google sul web sembra comunque un po’ velleitario.. E SE STESSE PER TORNARE una crisi bancaria in Europa? La domanda ieri se la sono posta in tanti sui mercati vedendo le notizie in arrivo dal Portogallo. La principale banca del Paese, il Banco Espirito Santo, è stata sospesa a lungo dalle quotazioni a Lisbona dopo un calo del 20 per cento. La fuga dal titolo è dovuta al ritar- dato pagamento “a pochi clienti” degli interessi sulle obbligazioni della controllata lussemburghese, la Espirito Santo International. Secondo un comunicato, “attualmente sta valutando l'impatto finanziario della sua esposizione”. Tradotto: come minimo c’è un problema di liquidità, si capirà presto se anche di insolvenza. PUBBLICITÀ SUL WEB, A RISCHIO L’INCIUCIO TRA DE BENEDETTI & B. IL GRUPPO ESPRESSO SMENTISCE L’ALLEANZA CON MEDIASET (PIÙ BANZAI E RCS) PER CERCARE DI ARGINARE LO STRAPOTERE DI GOOGLE E FACEBOOK NEL MERCATO DELLE INSERZIONI ON LINE VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 Potrebbe trattarsi di un problema di comunicazione o di qualcosa di molto peggio, nel dubbio gli investitori fuggono. E c’è il rischio che le conseguenze si diffondano nel sistema finanziario europeo. Visto il clima, il Banco Popular Espagnol ha annullato un’emissione obbligazionaria. La Borsa di Milano ha perso l’1,9 per cento. Ilva, no al risanamento coi soldi dei Riva PER SALVARE l’Ilva di Taranto Il Governo Renzi è costretto a tutelare le banche, ormai le uniche in grado di garantire il salvataggio della fabbrica ionica. Il nuovo decreto, il sesto dal luglio 2012, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, infatti, oltre a escludere la promozione del subcommissario ambientale Edo Ronchi a commissario, ha scelto di tenere fuori dal testo definitivo l’ipotesi di utilizzare i soldi sequestrati alla famiglia Riva dalla Procura di Milano per le opere di risanamento degli impianti dell’acciaieria di Taranto. Una decisione maturata probabilmente alla luce sull’ipotesi di incostituzionalità della norma ventilata da più parti e che, secondo iniscrezioni, la famiglia Riva era pronta a far valere dinanzi alla Consulta. Come ha spiegato il premier in conferenza stampa il testo contiene anche “la riorganizzazione dei tempi di risanamento”: entro il 31 luglio 2015, cioè, dovrà essere “attuato almeno l'ottanta per cento delle prescrizioni in scadenza prima di quella data” mentre rimane invariato “il termine ultimo già previsto del 4 agosto 2016 per l'attuazione di tutte le altre prescrizioni”. Fra. Cas. Secondo gli ultimi dati Nielsen, in Italia nei primi cinque mesi del 2014 il volume di mercato della pubblicità sul web è stato pari a 191,8 milioni di euro, raggiungendo quasi il valore delle inserzioni nei giornali periodici. Una crescita che quasi compensa le perdite di ricavi della stampa cartacea quotidiana, che ha avuto un calo del 12,8 per cento. “SE DEVO SCEGLIERE a chi rivolgermi per pubblicizzare i prodotti dei miei clienti - racconta Nino Salemme, direttore generale dell’agenzia pubblicitaria S&PH Italia, che si occupa di marketing per le imprese – cerco ciò che è più vicino alle esigenze del mio cliente. Google è imbattibile. È il motore di ricerca più usato al mondo e detta le regole del web. Quando si cerca qualcosa, le prime indicizzazioni sono quelle sponsorizzate da Google. Nessuno potrebbe mai raggiungere il suo impatto”. Secondo l’ultima indagine dell’Agcom, l’autorità delle comunicazioni, nel 2012 i ricavi netti della pubblicità online in Italia sono stati pari a 982 milioni di euro. Di questi circa la metà è andata a Google, il resto si divide tra Italia Online, Facebook, Microsoft, Rcs, Gruppo Editoriale L’Espresso, Mediaset, 9 IN ESPANSIONE Google è il supporto più ambito dalle aziende; a fianco, Pier Silvio Berlusconi Ansa IN TRINCEA L’intesa tra i gruppi editoriali doveva servire a non perdere terreno rispetto ai motori di ricerca e ai social network Banzai media, Gruppo 24 Ore e altri operatori. Anche unendo il loro fatturato pubblicitario, Rcs, Gruppo Espresso, Mediaset e Banzai Media si unissero, non riuscirebbero mai a raggiungere la quota di Google. “Le agenzie pubblicitarie puntano soprattutto alla qualità della strategia di marketing – spiega Salemme –. Quindi, se devo pubblicizzare un pomodoro mi rivolgo a un blog di cucina, se devo pubblicizzare una borsa contatto un giornale online che si occupi di moda. Nel mezzo ci sono i centri media che comprano spazi in grandi quantità e li vendono a caso, senza una strategia. È questa la parte che garantisce il maggiore introito alle concessionarie che così si assicurano quasi sempre la vendita di almeno il 50 per cento degli spazi. E se Google può permettersi di distribuire qualsiasi tipo di pubblicità in qualsiasi parte del web, per un editore è più difficile”. Il mercato online cresce a ritmi sostenuti, nonostante una complessiva tendenza negativa del comparto pubblicità. “Sotto il profilo della ripartizione dei ricavi tra i principali operatori in Italia, emerge chiaramente la posizione di forza di Google – spiega l’Agcom – seguito da Facebook e da ItaliaOnline, che include i ricavi conseguiti dalla concessionaria di pubblicità Matrix e dalla società Libero”. L’ALTRO ATTORE nel merca- to delle pubblicità sul web è il social network più diffuso al mondo, cioè Facebook che non teme la competizione di una possibile nuova grande concessionaria. “Ogni media ha i suoi punti di forza – spiegano da Facebook Italia – e la nostra è una piattaforma capace di entrare in relazione con le persone attraverso amici e famigliari, li connette e consente la condivisione di esperienze”. Una strategia che si basa sui rapporti interpersonali e la catalogazione dei singoli utenti in base ai loro interessi e con cui è ancora più difficile competere. “Così – spiegano – rispondiamo ai bisogni del mercato e riusciamo ad anticipare le tendenze di consumo emergenti la piattaforma si è evoluta, sviluppando innovazione anche per le aziende”. IL FUTURO della pubblicità è una questione di strategia: “Ormai tablet e smartphone sono il secondo schermo in Italia, dopo la tv e prima del computer – spiega Carlo Noseda, presidente di IAB Italia (Associazione dedicata all’Advertising Interattivo) – e hanno una forte penetrazione tra i giovani, coinvolgendo anche un target più adulto: quello di chi decide gli acquisti. Un dato che si può trasformare in una grande opportunità per il mercato e per gli investitori”. Per l’alleanza De Benedetti-Berlusconi-Rcs-Banzai non sarebbe stato facile conquistare un mercato che cambia in fretta e così ben presidiato. 10 ALL’ITALIANA VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 A litalia raddoppia le perdite: nel 2013 oltre mezzo miliardo ALITALIA-CAI ha chiuso il bilancio consolidato 2013 con una perdita netta raddoppiata a 568,6 milioni di euro e un patrimonio netto negativo per 27,17 milioni. Questo significa che le perdite del gruppo presieduto da Roberto Colaninno al 31 dicembre avevano mangiato il capitale e, nonostante l’iniezione di 300 milioni con il il Fatto Quotidiano sono stati pubblicati dal Sole 24 Ore. Nei cinque anni di cavalcata dei Capitani coraggiosi, Alitalia-Cai ha totalizzato perdite per 1 miliardo e 526 milioni: una media di 25 milioni al mese di perdite, più della vecchia Alitalia pubblica, che aveva perso 20,83 milioni al mese in vent'anni. I ricavi sono diminuiti del 5,2% a 3.406 milioni. salvataggio di dicembre, con il quale lo Stato è tornato azionista di Alitalia (le Poste hanno versato 75 milioni), la società avrebbe dovuto portare i libri in tribunale. Oppure chiedere altri soldi ai soci. I dati emergono dal progetto di bilancio 2013 di Alitalia, approvato dal cda il 13 giugno. I contenuti del documento tenuto riservato TABACCO, ECCO QUANTO CI COSTA LA GUERRA DELLE LOBBY IL DECRETO CHE REGOLAVA LE ACCISE ERA PRONTO, MA LA PRESSIONE DEI PRODUTTORI HA BLOCCATO TUTTO: SI RISCHIANO AUMENTI FINO A UN EURO A PACCHETTO di Carlo Di Foggia F orse il prezzo delle sigarette aumenterà già ad agosto. O forse no. Dopo giorni di annunci, il pasticcio: come previsto, l’aumento delle accise non è uscito dal Consiglio dei ministri di ieri. La grande “guerra del tabacco” ha impallinato all’ultimo il decreto più atteso dal settore. Una partita che sembrava finita con un sostanziale pareggio tra i produttori delle marche meno costose, come British american tobacco (Bat), che vende Lucky Strike e Pall Mall, e la Philip Morris, con le sue Marlboro: un aumento di 20 centesimi per le prime, e 10 per le seconde. Risultato di un lavorio sotterraneo che Bat ha portato avanti negli utlimi mesi. QUALCHE settimana fa il pre- mier Matteo Renzi ha incontrato il gran capo della compagnia inglese, Nicandro Durante, ma le pressioni si sono ripetute a tutti i livelli. Le bozze del decreto virtualmente sono nelle mani del sottosegretario all'Economia Giovanni Legnini, ma secondo fonti del Tesoro la partita è curata soprattutto dall'insostituibile Vieri Ceriani, massimo esperto di tasse ed ex consigliere particolare del ministro Fabrizio Saccomanni. Riconfermato nello staff dal suo successore, Piercarlo Padoan, è ora incari- cato di supervisionare i decreti attuativi della delega fiscale, quindi anche quello - attesissimo - sui tabacchi. Fonti romane riferiscono che negli ultimi tempi diversi responsabili di Bat avrebbero incontrato - unici tra ESTATE SALATA Se entro luglio non arriverà la legge scattano i rincari Stangate le sigarette elettroniche, settore già in crisi dopo il boom le categorie coinvolte - Ceriani per fermare quello che diversi produttori consideravano un palese regalo alla Philip Morris e che fino a pochi mesi fa sembrava cosa fatta: un pesante aumento a danno delle fasce basse, che avrebbe favorito i marchi più costosi. Già nell’ottobre scorso nel collegato alla legge di stabilità era comparso un incremento di 40 centesimi sui pacchetti più economici - poi saltato - ottenuto grazie ad una rimodulazione delle accise che sembrava studiata apposta per favorire Philip Morris. Finora gli americani hanno trattato in posizione di forza. Entro il 2016 avvieranno a Bologna un nuovo stabili- mento per la produzione delle sigarette di nuova generazione (quelle con la cialda senza combustione): un investimento da 500 milioni di euro e da 600 posti di lavoro. E con la promessa di nuovi investimenti in Toscana si erano garantiti l’appoggio di tutte le anime del Pd. Sembrava tutto fatto, e invece gli sforzi di Bat hanno guastato i piani e contenuto l’entità del regalo. Gli inglesi avrebbero promesso un investimento da un miliardo di euro, da attuare nei prossimi anni. A patto, si intende, che il governo non gli confezioni un aumento che metterebbe a rischio il suo segmento di mercato, che in Italia vale il 18% delle vendite. Una manovra che per ora sembra riuscita. Il decreto infatti prevede sì un aumento delle accise nella sua componente “fissa”, o specifica - per sua natura regressiva, proprio perché fissa, dunque più pesante per chi vende a prezzi medio-bassi - ma assai più contenuto di quello auspicato da Philip Morris: dal 7,5 al 10%, invece del 30 chiesto dalla multinazionale americana. Che però è riuscita a incassare uno sconto del 40% sulle sigarette di nuova generazione, cioè proprio quelle che produrrà nello stabilimento bolognese. Una misura vantaggiosa, ma insufficiente. Negli ultimi giorni gli uomini di Philip Morris avrebbero intensificato i contatti con gli uffici di via XX settembre, e riaperto all’ultimo una partita considerata ormai chiusa. E così il decreto è stato sfilato all’ultimo dalla lista dei testi entrata nel pre-Consiglio dei ministri, dove di norma si affrontano i dettagli tecnici e poi si lascia ai ministri il compito di prendere le decisioni politiche. Ma nell’era Renzi queste riunioni spesso sfuggono al controllo degli uffici legislativi. Una sponda è arrivata addirittura dagli ambienti più vicini al premier. Palazzo Chigi avrebbe infatti chiesto informazioni più dettagliate sul provvedimento, ipotizzando un intervento ad ampio raggio che coinvolga anche le accise sugli alcolici. UN SENTIERO che appare dif- ficile. I tempi sono stretti. Il prossimo mese scatteranno gli aumenti previsti dal decreto cultura varato dal governo Letta. Un piccolo ritocco che vale 23 milioni nel 2014 e 50 l’anno successivo, a copertura degli interventi previsti per mettere in sicurezza gli scavi di Pompei. Le pressioni in ordine sparso delle lobby del tabacco stanno però bloccando l’altro grande ritocco. A protestare sono anche i produttori delle sigarette elettroniche aderenti a Confindustria (Anafe): nel decreto c’è infatti un aumento dell’imposta di consumo da 6 a 24 euro, in barba a un’ordinanza del Tar che aveva già fermato il governo in passato. Negli ultimi mesi il settore è crollato: i negozi sono passati Guerra delle lobby sugli aumenti delle sigarette Ansa da 5 mila a 1600, con duemila posti persi. Il buco per l’Erario è di 117 milioni di euro. La conseguenza paradossale è che, senza interventi di riordino, dal primo ottobre i prezzi aumenteranno comunque, con incrementi fino a un euro a pacchetto. Le accise infatti sono modulate sulla base del prezzo calcolato ogni tre mesi - della fascia più venduta: oggi è ferma a 4,30 euro, ma il mercato sta deviando verso marche più costose, come la Marlboro (5 euro). Proprio il prezzo del suo pacchetto più venduto è l’arma che Philip Morris è intenzionata a usare come leva per ottenere rincari maggiori per i concor- renti. In risposta al congelamento del decreto gli americani avrebbero minacciato di abbassare il prezzo di Marlboro di un euro, portandolo a 4, sulla scia di quanto già fatto per le Chesterfield (scese da 4,60 a 4 euro). Una mossa che avrebbe un impatto devastante sul mercato e costringerebbe i concorrenti ad abbassare i prezzi, facendo crollare gli incassi per l’Erario (che oggi valgono 13,5 miliardi). Nel 2013, le entrate hanno mostrato una preoccupante inversione di tendenza, con un calo di 670 milioni di euro. Rispetto agli ultimi decenni, il settore non riesce più ad assorbire gli aumenti delle accise. Messina, professoressa dei record: in bocciatura A BIOLOGIA MARINA LO SCOGLIO È CHIMICA, LA DOCENTE FA RIPETERE L’ESAME ANCHE 15 VOLTE. L’UNIVERSITÀ: ORA INDAGHEREMO di Gabriele Fazio n ogni facoltà ci sono materie più ostiche o I professori dal carattere impossibile, scogli insormontabili nel cammino verso la laurea: c’è un Nella vita gli esami non finiscono mai, ma se per superarli di fronte a te siede la professoressa Lo Schiavo, sono guai. La docente spiega di avere degli studenti regolarmente impreparati: “C’è gente che legge e non capisce quello che legge. Hanno proprio difficoltà ad afferrare i concetti. Non sanno neanche fare le equazioni di primo grado”. Effettivamente ci sono studenti che tentano la fortuna la prima volta sedendosi all’esame “bianchi”, cioè totalmente impreparati. Ma il discorso non regge per chi lo ripete per la quindicesima volta (ma si è tranquillamente andati anche oltre). prima e un dopo quella materia. Nel corso di Biologia Marina dell'Università di Messina quella materia è Chimica e quel professore si chiama Sandra Lo Schiavo, ed è quel genere di docente che non si vorrebbe mai avere davanti in sede d’esame. La professoressa, infatti, detiene un impressionante record di bocciature. Tecnicamente sarebbero, come da prassi, “inviti” a ripresentarsi alla sessione successiva, ma il dato, condiviso anche dalla coordinatrice del corso di laurea, IL CARATTERE brusco della professoressa Lo non cambia. In Rete gira perfino la storia, poco Schiavo è stato confermato anche dalle coordinatrici del corso di laurea, attuacredibile, di uno studente rile ed ex, che, pur sottolineando mandato ben 43 volte prima di “la serietà, la preparazione e la riuscire ad alzarsi dalla sedia BANCHI ETERNI professionalità della collega”, con una firma della professopossono negare che la colpa ressa sul libretto. Una leggenda. Sul web girano storie di non di questo problema, che si è paMa i dati, questi invece sì conlesato fin dall’inaugurazione del fermati da studenti e colleghi, studenti rimandati 43 corso, sta da entrambe le parti: fanno sospettare che la realtà volte. Lei si difende: gli studenti, forse anche intimonon sia molto diversa. Perché riti dall’atteggiamento della per superare la materia si deve “Non capiscono quello professoressa, studiano e freaffrontare la temibile Lo Schiavo una media di 12/15 volte. E la che leggono, non sanno quentano poco, ma è anche vero che alla docente più volte è stato materia è propedeutica, cioè fare le equazioni” consigliato, in maniera non ufobbligatoria. Un’aula universitaria Ansa ficiale, di cambiare atteggiamento per non spaventarli. Per qualche anno le è stato addirittura affiancato, in sede d’esame, un professore molto amato dagli studenti al solo scopo di metterli a proprio agio, ma neanche lui è riuscito ad arginare la “carneficina”. Il professor Pietro Perconti, prorettore alla didattica dell’ateneo messinese spiega di non aver ricevuto segnalazioni in merito alla vicenda né da studenti né professori: “Naturalmente, se vengono evidenziate delle anomalie, l’Università è interessata ad adottare tutte le misure necessarie perchè anche gli esami riflettano un clima sereno e collaborativo”. Ma le voci raccolte dal Fattoconfermano le anomalie. “Con almeno 10 per- sone abbiamo fatto amicizia perchè sono due anni che ci incontriamo sempre all’appello della Lo Schiavo”, spiega Roberto, uno degli studenti coinvolti. Il problema poi si aggrava se si pensa a studenti come Ambra, che racconta esausta: “Ho fatto lezioni a casa per anni, quanti soldi... È stato tutto inutile, anche il mio professore privato non riusciva a capire come potesse ogni volta bocciarmi”. O a studenti che all’ennesima sessione andata male desistono e cambiano facoltà, come Paolo, messinese che oggi si sta laureando in Antropologia a Roma, ma che sognava di studiare Biologia Marina nella sua città. La docente trova ogni volta una motivazione per le sue bocciature a raffica: “Non era cosa sua”; “Quella me la ricordo: era una cretinetta”; “Ho saputo che si spendeva i soldi delle ripetizioni che le dava il padre”. INTANTO però, nel corso di laurea triennale in Biologia Marina l’età media di chi ha conseguito il titolo è oltre la media (26,4 anni contro i 24 degli altri atenei, secondo i dati di Almalaurea). E le raccomandazioni? Neanche a parlarne, come confermano alcuni studenti che, disperati, avevano provato anche quella strada. “Storie di ordinaria miseria”, spiega la Lo Schiavo. Alessandro, studente all’ottavo tentativo, la pensa diversamente: “La professoressa deve avere la Red Bull come sponsor tecnico perché dare Chimica ormai è diventato uno sport estremo”. ALTRI MONDI il Fatto Quotidiano Pianeta terra VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 11 UCRAINA RIPARTE L’OFFENSIVA A EST Le truppe di Kiev hanno rilanciato l’offensiva a est, ignorando gli sforzi per un cessate il fuoco. L’ultimo attacco è partito a 30 km da Donetsk, nei pressi di Karlivka, sulla strada verso la principale roccaforte degli insorti. Dall’inizio delle ostilità le vittime civili sono state 478, tra cui 7 bambini. Ansa FILIPPINE L’AMBASCIATORE BOSIO LIBERO SU CAUZIONE Daniele Bosio, l’ex ambasciatore in Turkmenistan arrestato in aprile nelle Filippine con l’accusa di abusi sui minori, ha ottenuto la libertà su cauzione. Secondo il suo legale, l’uomo sarebbe stato scarcerato perché “non ci sono forti indizi di colpevolezza”. LaPresse DUE PAESI, UNA GUERRA, DUE PAURE STRISCIA DI GAZA TEL AVIV La trappola palestinese Tra spiagge e autostrade chiusa al mondo la nuova fobia dei razzi di Roberta Zunini di Cosimo Caridi S T Striscia di Gaza aracinesche chiuse e strade sgombre, Gaza sembra dormire. Come rintocchi in lontananza si sentono le esplosioni. Squilla il telefono. “Allon-ta-na-tevi subito, la casa sta per essere distrutta dalle nostre forze armate”. Questione di qualche minuto, un razzo piove dal cielo e trasforma gli edifici in cumuli di macerie. Sono oltre 80 i morti e almeno 500 i gazawi feriti nei bombardamenti “chirurgici” ordinati da Netanyahu. L’operazione Margine Protettivo, iniziata 4 giorni fa, vuole colpire Hamas, ma a pagare il prezzo più alto sono i civili. Ieri Arye Shalica, portavoce dell’esercito israeliano, ha ammesso che martedì un’intera famiglia è stata sterminata per errore. I Karawe, abitavano a Khan Yunis, la seconda città più popolosa della striscia. Una telefonata li ha avvertiti dell’arrivo di un razzo. La famiglia ha abbandonato la casa, subito il missile ha colpito la loro abitazione: un piccolo ordigno che non trasportava esplosivo, per “bussare sul tetto” come viene chiamata questa procedura in gergo militare. Il missile doveva confermare la serietà dell’avvertimento telefonico, ma in 8 hanno pensato il pericolo fosse passato e sono corsi dentro. Mentre rientravano in casa viene lanciato un secondo missile, questo più grande e micidiale, capace di distruggere l’edificio. Muoiono tutti. L’obbiettivo dell’esercito israeliano era Odeh Kawa- 10 MILA MISSILI “SCUDI UMANI” Hamas chiede ai cittadini di salire sui tetti per impedire i raid. “Chi non muore sotto le macerie si spegne lentamente sotto l’occupazione”, dice Nail re, uno dei capi di Hamas a Khan Yunis. Il miliziano non era in casa al momento dell’attacco. I leader di Hamas sono spariti da giorni e si fanno sentire solo tramite portavoce o attraverso messaggi video. Proprio da una tv Hamas ha chiesto ai civili di fare da scudo umano, salendo sui tetti delle case. Impendendo così il lancio dei razzi israeliani. “I BOMBARDAMENTI su Gaza sono più frequenti degli anni bisestili” dice Nail con un sorriso amaro. “Ma ora noi siamo stanchi – continua, scrutando il cielo - chi non muore sotto le macerie si spegne lentamente schiacciato dall’occupazione”. Le scorte di Hamas Ansa Tornato dagli Stati Uniti nel 2005 Nail ha tentato di investire nella Striscia i suoi risparmi d’espatriato. “Sto ancora pagando per i danni che ho subito nei bombardamenti del 2012”. Mentre parla si sente il frastuono di un enorme combustione. È un missile che dalla Striscia viene lanciato contro Israele. Secondo l’intelligence di Gerusalemme i miliziani di Hamas sarebbero in possesso di circa 10mila “razzi artigianali”. Nei primi 3 giorni dall’inizio dell’operazione il movimento islamico ha lanciato oltre 350 missili tra cui gli M302, ordigni con una gittata di oltre 100 chilometri che compromettono la sicurezza di Gerusalemme e Tel Aviv. L’esercito dichiara che il 90% dei missili a lunga gittata sono stati abbattuti dal sistema di difesa Iron Dome. Sono però le città nel sud d’Israele le più esposte agli attacchi. Hamas non telefona ai suoi bersagli prima di lanciare i razzi. Secondo le istruzioni dell’esercito chi vive ad Ashkelon ha 15 secondi, dall’inizio delle sirene antiaeree, per correre nei rifugi. Ogni casa ha una stanza di sicurezza, sovvenzionata dallo Stato. e la ricordi la lavanderia dove ci nascondevamo ai tempi dei razzi di Saddam? Ieri ci siamo andati di nuovo, questi razzi iniziano a ricordarci quelli del rais”. “Quando mi sono svegliato questa mattina ho scoperto che un pezzo di razzo era caduto davanti nel giardino. La mia fidanzata mi ha detto che questa notte, quando la sirena aveva iniziato a dare l'allarme, aveva provato a svegliarmi in tutti i modi. Mentre stava per buttarmi in faccia una secchiata d’acqua, ha visto qualcosa dalla finestra che è caduta per terra facendo un bel rumore. Poi la sirena ha smesso di suonare e anche lei è tornata a letto”. VOCI DA TEL AVIV. Iftach, Lior, Yeremy, Shira, Oree, Sharon, Michal, sono amici che abitano nella capitale israeliana dove anche ieri sono suonate le sirene per avvertire la popolazione che il 5° razzo nel giro di due giorni, era stato lanciato dalla Striscia di Gaza. Son stati tutti intercettati dal sistema di difesa antimissile ma i pezzi di uno sono arrivati dentro la zona sud della città, finendo su un auto, in autostrada e davanti a una casa, quella dell’ amico dal sonno inscalfibile. Nella casa-ufficio di Iftach – un avvocato che si batte contro l'occupazione dei Territori palestinesi e ha difeso più volte in tribunale i giovani palestinesi di Gerusalemme Est incarcerati per il lancio di pietre contro i coloni – ero stata più volte per intervistare i suoi clienti e un giorno mi fece scendere nell'attuale lavanderia per mostrarmi la ‘ca- NEL MIRINO Auto danneggiata da una scheggia a Tel Aviv LaPresse SINDROME SADDAM “Ci ricordano i giorni della guerra in Iraq Ma se non punissimo ogni giorno gli arabi staremmo meglio” dice l’avvocato Cohen mera di protezione’. “Non mi sorprende che Hamas sia in grado di lanciare tali razzi. L'Iran ha continuato a fornirglieli e nessuno è stato in grado di fermarlo. A dimostrazione che bombardando la Striscia si ottengono solo morti tra i civili ma non si blocca la capacità militare del movimento islamico. Ma se la forza fosse davvero efficace, allora perché dopo ‘Piombo fuso’ o ‘Colonna di difesa’ (nomi delle ultime due operazioni aeree israeliane contro Gaza, la più recente avvenuta un anno e mezzo fa, ndr) tutto è ricominciato come prima, anzi peggio, considerato che Hamas ora dispone di missili che riescono a raggiungere anche Haifa, a 150 chilo- metri dalla Striscia?”. La domanda retorica dell'avvocato Cohen non se la pongono in molti, soprattutto nelle ultime 24 ore, quando s’è registrato l'arrivo di un razzo ogni 10 minuti. “Se noi israeliani togliessimo il blocco delle frontiere di Gaza e non impedissimo l'ingresso di cibo, medicinali e materiale edile, insomma se non punissimo ogni giorno tutta la popolazione di Gaza col nostro assedio criminale, Hamas non avrebbe più scuse per lanciare i razzi. In realtà il nostro governo ha bisogno di un nemico come Hamas per evitare di concludere gli accordi di pace e distrarre i cittadini dai veri problemi del Paese”, conclude Cohen. Ma ora gli israeliani, soprattutto quelli che vivono a ridosso della Striscia, nel sud-ovest di Israele, sono terrorizzati e passano ormai il loro tempo dentro i rifugi. L'ingresso delle truppe di terra a gaza si avvicina dunque sempre più e suona alle orecchie di tutti, assieme al suono delle sirene, come un'operazione di autodifesa. Finora non ci son state vittime, eccetto una signora scivolata nella doccia mentre cercava rifugio al suono delle sirene. 12 ALTRI MONDI VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 Pianeta terra il Fatto Quotidiano MONDIALI È ANCHE IL DERBY DEI PAPI Più che al Maracanã, la finale tra Germania e Argentina dovrebbe giocarsi in Vaticano. Se infatti, per la prima volta dopo secoli, la città-Stato ospita due pontefici, la casualità ha voluto che uno sia tedesco, l’altro argentino. Di Bergoglio si conosce la passione per il calcio, non così per Ratzinger LaPresse USA LA TARIFFA DI CHELSEA CLINTON: 75 MILA $ A DISCORSO Chelsea ha preso tutto da papà Bill e mamma Hillary, anche l’attitudine a fare soldi con i convegni. La rampolla Clinton guadagna 75 mila dollari per ogni intervento pubblico anche se, ha precisato un portavoce, vengono donati alla fondazione di famiglia. Ansa TANGO BOND CONTRO VALZER DEL RIGORE ARGENTINA GERMANIA I cugini del Sud tra default e ‘mano de Dios’ Dall’euro al gol la forza algebrica dei ‘più bravi’ di Mario Seminerio di Mattia Eccheli P oche cose possono stimolare la fantasia di torme di sociologi da dopolavoro come una finale Mondiale tra un paese del ricco Nord del pianeta, profondamente cartesiano e incline al moralismo, e uno del Sud del mondo, altrettanto profondamente sgarrupato, da sempre incline a quella forma di autoindulgenza che fatalmente produce teorie del complotto e nemici esterni in quantità industriale. Questo logoro stereotipo, che tanto piace a noi italiani, che in maggioranza tendiamo (soprattutto in questa deprimente congiuntura sociale ed economica) a simpatizzare con i deboli e cercare nemici da odiare, avrà la sua apoteosi domenica, con la finale tra Germania ed Argentina. E sarà un grande classico, anche della sociologia da dopolavoro, quanto e più della scioccante gara tra tedeschi e brasiliani, che ha già indotto numerosi commentatori nostrani a parlare di “tragedia di un paese e di un popolo”, peraltro non riferendosi ai fondamentali economici brasiliani che, pur prossimi alla recessione, sono certamente ben più solidi del disastro permanente argentino. CHE ACCADRÀ, quindi, in caso di vittoria dell’albiceleste sui ro- bot senz’anima, per usare lo stile letterario prevalente che leggerete sui nostri giornali? Al netto del fremito patriottico e del lavacro di retorica sul riscatto degli Ultimi, per gli argentini assai poco. Il loro governo negozierà alla fine un accordo con gli “avvoltoi” che detengono il suo debito non ristrutturato, perché l’alternativa del default su vasta scala sarebbe disastrosa, ora che il paese sta faticosamente cercando di normalizzare la propria politica economica per attrarre gli investimenti esteri di cui ha disperato bisogno. Per proseguire sulla strada della normalizzazione, l’Argentina dovrà inoltre lasciare andare ulteriormente il cambio del peso, allineandolo a quella realtà “imperialista” che da sempre è l’aguzzina dei piccoli paradisi popolari. Ciò innalzerà l’inflazione, che trarrà alimento anche dalla necessità di ridurre l’enorme deficit pubblico con mezzi meno fantasiosi e autolesionistici della stampa di moneta, a esempio con tagli ai sussidi pubblici su alimentari, carburanti e combustibili. L’area di povertà, ben presente ma mascherata da statistiche ufficiali addomesticate, tornerà prepotente ad assumere visibilità. Nel periodo di transizione, in definitiva, si soffrirà non poco. Questo offrirà il destro a quanti sostengono da sempre che il liberismo produce sofferenze, anche quando di liberismo non vi è traccia. Non sappiamo se l’eventuale vittoria mondiale argentina porterà con sé anche un aumento della fiducia dei consumatori e delle vendite al dettaglio. Ci stupiremmo se accadesse. Quello di cui non ci stupiremo sarà la ricerca affannosa di significati moralmente risarcitori di una eventuale vittoria, soprattutto da parte di una sinistra alter- Christina Kirchner Ansa mondialista engagée e onirica che da noi ha da sempre una robusta guarnigione. Se poi la vittoria arrivasse nuovamente con una “mano de Dios” o qualche altra mossa fuori dai regolamenti, ancor meglio: sarebbe, ne siam certi, il trionfo della “fantasia latina” sul “freddo e arido calcolo” del Nord. Dopo di che, la traversata del deserto, per gli argentini, sarebbe solo all’inizio. P Berlino anzer economico prima ancora che calcistico. La Germania ha un prodotto interno lordo che, nel 2013, ha sfiorato i 2.740 miliardi di euro, ovvero il 29% dell'area Euro e poco più di un quinto dell'Europa. La corazzata tedesca vende armi e importa giocatori. Tra il 20028 e il 2012 l'export militare era il 3° del pianeta con una quota del 7%, dietro solo a Usa e Russia. Nella Bundesliga (la Serie A tedesca) gli stranieri oscillano tra il 35% e il 55% del totale, a seconda dei club. Nel Bayern sono la metà. Qualche stella giocata anche all'estero, come i “polacchi” Klose e Podolski, Özil (di origine turca) o Kedira (che è anche cittadino tunisino). La Federcalcio tedesca è un colosso da 25.500 squadre, quasi 7 milioni di tesserati e oltre 165.000 squadre. QUASI TUTTE multietniche. Come dimostra anche la selezione guidata da Joachim Löw che ha asfaltato il Brasile forte anche di una rosa con con Boateng (ghanese) e Mustafi (figlio di genitori albanesi). È un riconoscimento ad un'integrazione che, almeno in parte, funziona. Dal Mondiale del 2006, l'atteg- Il pallone sgonfio della Rousseff IL FLOP VERDEORO COMPLICA LA RIELEZIONE DELLA ‘PRESIDENTA’ BRASILIANA IN OTTOBRE di Maurizio Chierici l Brasile perde il pallone e la I signora presidente sfuma i cattivi pensieri ma non li can- cella: il contraccolpo della sconfitta potrebbe inquietare l’economia e minacciarne la rielezione di ottobre. Le sue preferenze aumentavano di 2 punti ogni vittoria della squadra tragicamente liquefatta. Gi oppositori riprendono fiato nella finzione di una tranquillità tartufesca: politica estranea al naufragio della Nazionale... In silenzio governo e opposizione provano a rimescolare le carte. Intanto si riaccendono i fuochi a San Paolo. Macabra allegria di chi sfilava con cartelli di malaugurio: “Dobbiamo perdere”. Confermano il disamore per i Mondiali di una classe media cresciuta negli anni della speranza del primo Lula. Ma la crisi annacqua il benessere, Pil che dimezza e dubbi nella sinistra impegnata in una trasformazione sociale (“Fome Zero”, scuole, edilizia popolare, trasporti) ormai insostenibile per l’intiepidirsi dell’ economia e l’aggressione delle esportazioni cinesi. Senza contare lo ‘scandalo’ che aveva scatenato le piazze alla vigilia del calcio d’inizio: quei 3 miliardi e 500 milioni di dollari versati negli stadi. Diverranno più di 6 nei conti finali. Torna la rabbia per il momento annacquata dall’autunno: pioggia che raffredda le piazze. Ma da lunedì il pallone diventa un brutto ricordo, si spengono le luci e la campagna elettorale sfuocata dalla grande boucle riaccende le prime pagine. E LA ROUSSEFF scende in cam- po per acquietare gli scontento incalzati da chi declama il “cambiamento”. Disamore ormai profondo che l’infortunio della Copa contribuisce ad esaperare. Il Pt trionfante di Lula ha una certa età: 12 anni. La Rousseff ne ha preso il posto e l’ex presidente si sbraccia per puntellarla eppure 12 anni dopo la gestione del potere ha inquinato il profilo del partito. Appesantito, burocratizzato. E le macchie della corruzione. La Rousseff governa al di sopra dei sospetti, ma a differenza di Lula, mediatore per vocazione sindacale, la sua rigidità cultu- rale l’ allontana necessità quotidiane della gente. Anche il movimento base della popolarità Pt – Sem Terra – vive l’impaccio dell’equilibrio tra chi contesta e chi governa. In 12 anni gli obiettivi di lotta si sono allargati. Non solo smembramento dei latifondi da distribuire ai contadini senza proprietà: l’urbanizzazione selvaggia li coinvolge nei problemi delle città-mostro mescolando l’Mst ai movimenti di protesta contro le scelte del governo . Giovani, soprattutto. Ostilità che preoccupa il vecchio Lula: perché non riusciamo più a parlare con loro? Poi lo sgombero delle favelas: “Umiliano il decoro delle città”. Trasferimento di migliaia di famiglie in periferie lontane, ghetti dai quali non usciranno mai mentre 80 mila militari segnano con la vernice gialla le baracche da cancellare. Disperdere le “crackolandie” in paranoica moltiplicazione vuol dire perdere il controllo della droga nei lazzaretti abbandonati, quindi codificare una separazione inaccettabile non solo dai movimenti soprattutto dalla Dilma Rousseff con Jospeh ‘Sepp’ Blatter Ansa BOOMERANG La crisi annacqua il benessere della nuova classe media delusa dalla mancata trasformazione sociale del piano “Fame zero” nuova piccola borghesia. Quando la Rousseff si preoccupa per riflessi economici del 7 a 1 nel paese che prepara le Olimpiadi 2016, mette il dito sull’altra minaccia in arrivo: l’assalto delle grandi imprese Usa e l’avanzata cinese nel tessuto della nazione guida del continente latino. Il Brasile se ne era affrancato. Ritornano. Il dubbio del Lula che aveva salvato un paese quasi alle corde non riguarda la ristrutturazione del partito, addirittura l’opportunità di rifondarlo. VECCHIE E NUOVE guardie soffiano silenziosamente. Per ora l’ex presidente non ascolta: “Dilma dev esser rieletta”. Proposte e risposte che l’umiliazione calcistica rilancia: i prossimi giorni diranno se le scelte possono essere modificate. Certo che il “miracolo” di Lula nella elezioni amministrative di San Paolo diventa la fata morgana alla quale gli ortodossi Pt si aggrappano: 8 mesi fa la sinistra andava male in tutto il paese eppure salva il sindaco di San Paolo malgrado le previsioni disastrose: Serra (battuto dalla Rousseff nella corsa presidenziale) vola nei sondaggi e Lula viene invocato come bagnino salvagente. Tira fuori Fernando Haddad, appena 2% di fiducia, un nessuno di 49 anni che insegna all’università. Gli tira la campagna elettorale su ogni palco e lui conquista la poltrona col 56 %. Ora prepara la volata per la Rousseff, ma se i sondaggi diventano neri e le nuove facce del partito lo rivogliono, cosa farà? Angela Merkel LaPresse giamento dei tedeschi è cambiato anche pubblicamente con feste di piazza, macchine decorate, con bandiere (a Colonia un tifoso ha appeso oltre 150 tricolori tedeschi sulla palazzina dove abita) e rumorosi cortei di auto. Il pudore dell'esasperazione nazionalistica è ormai un ricordo. La Germania esporta anche allenatori. Jürgen Klinsmann ha portato gli Stati Uniti fino agli ottavi così come Ottmar Hitzfeld ha fatto con la Svizzera. Löw è appena il 6° mister più pagato della rassegna iridata con 2,66 milioni l'anno: il primo di quelli ancora in gioco. Il suo precedessore Klinsmann è 10° (1,94) e Hitzfled addirittura 5° (2,76). I primi 3 sono a casa: Capello con 8,29 milioni, Hodgson con 4,34 e Prandelli con 3,19. Felipe Scolari è ai piedi del podio con 2,93. LA CORAZZATA in casacca bianca è una vera armata: la rosa vanta ingaggi totali annui per oltre 102 milioni con un controvalore di mercato di 526. Il più pagato è Mario Götze che ha strappato un milione al mese. La Germania era già andata nel pallone dopo il trionfale esordio con il Portogallo. Poi è tornata a esaltarsi, anche se ha tremato davanti alla tv per la sfida con l'Algeria. Si è sentita in dovere di incoraggiare e sostenere in ogni modo la sua squadra. Tanto che diversi esercizi commerciali ne hanno approfittato per solleticare i propri clienti. Per ogni rete segnata contro il Brasile in semifinale, il panificio Büsch aveva annunciato una spaccatina omaggio, un negozio di articoli sportivi uno sconto del 10% ed una farmacia il 5% di riduzione a ricetta (con un tetto al 25%). Mercoledì l'assalto. La Germania può permettersi questo ed anche altro. Il presidente federale Joachim Gauck, un pastore, e la cancelliera Merkel, figlia di un pastore, saranno a Rio. All'esordio, la tifosa numero uno (anche per ragioni elettorali, dicono i maliziosi) aveva portato bene. Volerà con il cruccio degli americani che spiano lei, il Bundestag e pure l'esercito. La Germania medita “ritorsioni”: l'unica finora riuscita è stata l'eliminazione della squadra a stelle e strisce dal Mondiale. il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI USA UCCIDE 4 BIMBI E SI BARRICA IN AUTO Una lite in famiglia è sfociata in tragedia nella cittadina di Spring, nei pressi di Houston, in Texas. Un uomo si è arreso alla polizia dopo una breve fuga in auto, dopo avere ucciso sei persone a colpi di arma da fuoco, tra cui la cognata e i suoi quattro figli. L’uomo cercava la propria moglie. Ansa BIRMANIA LAVORI FORZATI AI GIORNALISTI Cinque giornalisti birmani sono stati condannati a 10 anni di reclusione e ai lavori forzati per il loro lavoro investigativo su una fabbrica di armi chimiche gestita dall’esercito. I condannati sono quattro giovani reporter – tra i 22 e i 28 anni – e il direttore della pubblicazione, Unity Weekly News. LaPresse VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 13 Le vite degli altri spiate da Washington BERLINO CACCIA IL CAPO DELLA SICUREZZA USA E CONVOCA L’AMBASCIATORE A STELLE E STRISCE. LO SPIONAGGIO AMERICANO COSTA ALLE AZIENDE TEDESCHE TRA I 30 E I 60 MILIARDI L’ANNO di Mattia Eccheli P Berlino rima la convocazione dell’ambasciatore americano al ministero degli Esteri. Adesso la sollecitazione all’incaricato americano per il servizio informazioni presso la sede diplomatica di Berlino di lasciare il Paese. Sgomenta per le intercettazioni di cui era rimasta vittima Angela Merkel, irritata per la scoperta di un agente che passava informazioni agli americani sulle attività della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scandalo Nsa e adesso decisamente arrabbiata perché anche il ministero della Difesa è stato violato dagli americani, la Germania ha reagito con un’azione che ricorda relazioni da Guerra fredda. “Adesso viviamo nel Ventunesimo secolo”, ha ammonito la cancelliera. Che solo pochi mesi fa si era sentita promettere dal presidente Barack Obama di “non doversi più preoccupare”. DUE AGENTI in una settima- na si sono dimostrati troppi anche per il presidente federale Joachim Gauck che aveva tuonato “adesso basta, però”. Il primo, funzionario di livello intermedio del servizio segreto (Bnd), avrebbe passato 218 documenti alla Cia tra il 2008 ed il 2012, incassando 25 mila euro. Il secondo è un civile impiegato presso il dipartimento delle politiche di sicurezza del ministero della Difesa: gli analisti stanno cercando di capire l’entità della “falla” e il valore delle informazioni finite Oltreoceano. Già prima dell’inizio dell’incontro straordinario del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, i rappresentanti delle opposizioni avevano chiesto provvedimenti. André Hahn (Linke) si era esposto più di altri invocando indagini su cittadini americani “sicuramente coinvolti” e non tutelati dal passaporto diplomatico. Al termine della seduta, il presidente Clemens Binninger ha annunciato l’“allontanamento” del funzionario Usa. Potrebbe anche venire “rispolverata” l’ipotesi dell’audizione di Edward Snowden in Germania, finora esclusa C’ERAVAMO TANTO AMATI A QUATTR’OCCHI Due 007 “pizzicati” in una settimana Solo pochi mesi fa Obama aveva promesso a Merkel: “Non ti devi preoccupare più” Barack Obama e Angela Merkel alla Casa Bianca Ansa per ragioni di opportunità e problemi di diritto internazionale. Ma la doppia violazione da parte dell’alleato americano impone a Berlino una reazione forte sul fronte esterno e visibile su quello interno. Gli imprenditori avevano più volte rilanciato l’allarme circa lo spionaggio industriale, lamentando casi specifici. Il servizio segreto ha stimato il danno fra i 30 e i 60 miliardi di euro l’anno tra sottrazioni di liste di clienti ed offerte, notizie su sviluppo di materiali e tecnologie e nuovi sistemi di produzioni. Le rivelazioni di Snowden avevano confermato i timori anche dei più scettici sulla forte interconnessione tra il “sistema America” e i suoi 007. RITORNO AL FUTURO Guerra fredda tra alleati di Giampiero Gramaglia entra un po’ anche C’ l’ubris’ da Mondiali dopo la vittoria per 7 a 1 sul Brasile, nell’impennata d’orgoglio della Germania, sfociata nell’espulsione del capo della stazione della Cia a Berlino: senza quella vertigine d’onnipotenza che un successo così clamoroso dà, i tedeschi avrebbero magari scelto di aspettare ancora; o avrebbero optato per un trasferimento concordato, lui altrove, noi contenti. Invece, si sono comportati da grande potenza, da pari a pari con gli Stati Uniti, in quest’ultima propaggine giuridico-diplomatica del Datagate. Angela Merkel, la cancelliera, il suo telefonino intercettato non l’aveva mai digerito: lo aveva detto chiaro e tondo al presidente Barack Obama. E lo ha ripetuto: “Spiare gli alleati è uno spreco di energia”. E, se proprio lo fai, almeno fallo bene. Invece no: recluti gente “tonta da far piangere” – la frase è del ministro dell’Economia Wolfgang Schaeuble – e pretendi di infinocchiare i tedeschi. Che anche per questo, se non soprattutto per questo, si offendono. GLI USA non collaborano? E loro, come ti annichiliscono Hulk, ti mettono alla porta l’uomo della Cia. Ché i tedeschi, in fatto di spionaggio, non sono dei dilettanti. Dopo la stagione di Vienna, nel primo dopoguerra, quella del Terzo Uomo di Orson Welles, Berlino nella Guerra Fredda è stata la capitale dell’intrigo internazionale. Il ponte di Glienicke, sul fiume Havel, che collega Postdam alla capitale, veniva usato da Usa e Urss per scambiarsi le rispettive spie prigioniere. Sui media, e al cinema, divenne il ponte delle Spie -Funerale a Berlino, con Michael Caine. ro compromettere la sicurezza nazionale. L’ambasciata degli Usa a Berlino sottolinea che la partnership con la Germania è indispensabile e non può quindi essere compromessa da questo episodio (“La cooperazione va avanti”). La Merkel, invece, denuncia “una grande diversità di principio tra Usa e Ger- UN SECOLO DI SPY STORY Il rapporto tedesco con i servizi segreti è lungo e intenso Il ponte di Glienicke, quello in cui est e ovest per anni si sono scambiati gli agenti, fu ribattezzato “ponte delle spie” Il primo scambio avviene il 10 febbraio del ’62: fra i protagonisti, il colonnello Rudolf Abel, spia russa, e il pilota americano Francis Gary Powers, catturato dopo essere stato abbattuto nel 1960 con il proprio U-2 in missione di spionaggio sui cieli russi. L’ultimo scambio risale all’undici febbraio del ’86, ripreso dalle tv occidentali: Anatoly Sharansky, prigioniero politico, e tre agenti occidentali sono barattati con Karl Koecher ed altre quattro spie Kgb. I tedeschi non digeriscono di essere trattati da alleati di serie B, da “repubblica delle banane”, come dice l’Spd, alleato di governo della Cdu della Merkel. E sono gli americani, che stanno dalla parte del torto, se non altro perché si sono fatti prendere con le mani nella marmellata, che si preoccupano di trasformare lo sgarbo in strappo. La Casa Bianca evita commenti che potrebbe- mania sull’intelligence” e il ministro della difesa Ursula von der Leyen parla di “fiducia profondamente scossa” – e, incalza la Merkel, più fiducia significa migliore sicurezza. Per la cancelliera, Obama ha sempre avuto un rispetto che confina con il timore: economicamente, agli Usa serve un’Ue che cresca. Incapace di convincere la Merkel ad allentare la morsa del rigore sull’Unione, il presidente è ricorso a vari emissari, tra cui il presidente Giorgio Napolitano e i premier Mario Monti ed Enrico Letta. Certo, non si tornerà, tra Usa e ICH BIN EIN BERLINER Kennedy a Berlino nel giugno ‘63 al check-point Charlie, frontiera della ‘Cortina di Ferro’ tra Ovest ed Est Ansa Germania, al clima dei mesi precedenti l’invasione dell’Iraq. Il 23 gennaio 2003, Donald Rumsfeld, il capo del Pentagono, bollò Francia e Germania, contrarie all’attacco, come la Vecchia Europa. Il cancelliere Gerhard Schröeder non riusciva a nascondere una sorta d’imbarazzo fisico, quando faceva visita al presidente George W. Bush, nello Studio Ovale. Ed alle buvette del Campidoglio di Washington le patatine fritte – french fries, patatine francesi, in inglese - erano state sostituite dalle freedom fries patatine della libertà. Mr. Google glass e la prostituta-killer Forrest ucciso da un’overdose di Alix è l’alto manager in carriera con i soldi, lo yacht, i vizi. E c’è C’ il suo assassino: una prostituta stakanovista – il portafoglio clienti conta oltre 200 nomi – che, all’occorrenza, fa anche da perto che, quello consumato a bordo del panfilo da 50 piedi, non è il primo crimine compiuto dalla 26enne con la passione per film horror e thriller. Anche il suo precedente fidanzato (e prospacciatrice (di eroina, non liquirizie). Lei gli infila una siringa prietario di un night), Dean Riopelle, era morto due mesi prima nel braccio, gli spara in vena una dose e – quana causa di un’overdose di alcol ed eroina e, ando lui perde conoscenza in preda all’overdose Alix Catherine Tichelman, 26 anni che in quel caso, Alix era in casa. L’esito del processo per la morte del manager – se ne sta li a guardarlo. Beve il suo vino, fuma appare scontato: tutta la scena è stata ripresa una sigaretta, poi se ne va, lasciandolo morire dalle telecamere di sicurezza dello yacht. Di senza chiamare i soccorsi. E, ovviamente, prifronte ad una storia così romanzesca, anche la ma di andarsene porta via tutto quello che c’è polizia ha deciso di scrivere un bel copione. di valore sulla barca più le tracce del crimine: Per attirare la mantide religiosa nella trappola siringhe ed eroina. Gli elementi di un noir che l’ha portata all’arresto, un poliziotto si è scritto per Hollywood ci sono tutti, il filmato finto un potenziale cliente d’élite tanto perso che documenta tutto pure, ma questa non è della bella Alix da essere disposto a pagare milfiction: è accaduto realmente in California nel le dollari per una sua prestazione. Lei, che oltre novembre scorso. Ieri è iniziato il processo a alle droghe e ai thriller, ama i soldi, non sa dire carico di Alix Catherine Tichelman, la prostidi no. Rimanda i propositi di fuga dallo Stato e tuta accusata della morte di Forrest Timothy finisce in manette. Questa volta però non per Hayes, un ricco manager di Google con 51 anni un gioco erotico. e 5 figli. Dalle indagini della polizia si è sco- 14 il Fatto Quotidiano VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 RYUICHI SAKAMOTO: HO IL CANCRO: CANCELLO TUTTI GLI IMPEGNI” Il compositore giapponese ha un cancro alla gola e lo annuncia con una lunga lettera ai fan pubblicata sul suo sito: “Abbiate pazienza, prometto che tornerò”è l’ultima frase TOUR DE FRANCE, VINCE GREIPEL NIBALI RESTA IN MAGLIA GIALLA DELLA VALLE CONTRO PRANDELLI: “COME SEMPRE SCAPPA DOPO I CASINI” André Greipel ha vinto in volata la sesta tappa del Tour de France, da Arras a Reims Vincenzo Nibali resta in maglia gialla con 2’’ sul compagno di squadra, Fuglsang SECONDO Durissima polemica da parte del proprietario della Fiorentina contro l’ex ct azzurro ora al Galatasaray: “Via dopo i casini che ha fatto, io non mi meraviglio perché l’ho visto all’opera” TEMPO SPETTACOLI.SPORT.IDEE Con gli occhi di un ultras IN UN DOCUMENTARIO LA STORIA DI PAOLO SCARONI, TIFOSO DEL BRESCIA FINITO IN COMA PER UN PESTAGGIO DELLA POLIZIA L di Silvia D’Onghia o sguardo di Paolo è perso nel vuoto di quella vita che gli è stata strappata il 24 settembre 2005. Poche ore prima che a Ferrara venisse massacrato e ucciso Federico Aldrovandi, nella stazione di Verona una carica impazzita di poliziotti assetati di lividi lasciava a terra oltre trenta persone, e in coma un ragazzo di 28 anni, Paolo Scaroni. Un ultras del Brescia, in trasferta per vedere la partita. Solo che la partita era finita da un pezzo e i bresciani stavano tornando a casa. La macelleria ha colpito nel mucchio, tre volte, con i soliti manganelli impugnati al contrario. “È l’ultimo ricordo che ho, i laccetti davanti agli occhi. Poi, il buio”, racconta Paolo a Valentina, la fisioterapista che come un’ostetrica lo ha restituito alla vita, o a quello che può assomigliare alla vecchia cara vita. PAOLO SCARONI è invalido al 100 per cento, dopo due mesi di coma e infiniti e massacranti esercizi quotidiani, in palestra e in piscina. Fatica a deambulare, perché non controlla una gamba, della mano destra usa solo tre dita, non riesce ad articolare il linguaggio. Il suo sguardo è perso nella sua amata montagna, quella che un tempo scalava e che adesso simboleggia la vita stessa. Alcune immagini Aspra e faticosa, dove ogni passo è un tratte dal affanno. Nessuno ha pagato per quella documentario macelleria, perché il processo di primo “A volto grado si è chiuso a Verona il 18 gennaio scoperto”. 2013 con otto agenti assolti per non Accanto, Paolo aver commesso il fatto, ma con una riScaroni insieme conosciuta responsabilità oggettiva con un gruppo di delle forze dell’ordine. Come a dire: si ultras al processo sa chi è Stato, ma non chi è stato. di primo grado Oggi la storia di Paolo è raccontata in un bellissimo documentario, A volMANGANELLI to scoperto, firmato dal regista Francesco CoroStazione di Verona, 2005: na e prodotto da Gaetano Di Vaio col patrocinio di le cariche delle forze Amnesty International, dell’ordine lasciano a terra Articolo 21 e della Fondazione Federico Aldro30 feriti. A distanza di vandi. In attesa e nella speranza di conoscere se 9 anni nessuno ha pagato e in quale Festival sarà per quella macelleria ospitato (Venezia o Torino), il Fatto lo ha visto in anteprima. “Il mio coma è stato sfigato, non ho neanche visto il tunnel bianco – scherza Paolo con Valentina, cui è affidato il compito di riportare alla memoria quello che la memoria ha cancellato –. Pensa che mi sono svegliato con la voglia di fumare. La prima persona che ho visto, e riconosciuto, è stata mia madre. Mi sono ricordato subito il numero di partita Iva della mia azienda, ma poi nient’altro. Mi hanno portato via 15 anni della mia vita, per quei 15 minuti potuti identificare con certezza i madi filmato che dal processo sono spa- cellai. riti”. Scaroni si riferisce ai video delle Le immagini indugiano sui lineamenti telecamere a circuito chiuso della sta- di Paolo, sui suoi capelli rossi, sulle sue zione di Verona e a quei 15 minuti, pro- lentiggini. Sulla penombra del coma – prio quelli, grazie ai quali si sarebbero il regista ha cominciato a girare subito dopo il pestaggio –, sulla sedia a rotelle, sulla piscina della riabilitazione. Il respiro è sospeso, trattenuto, avvolto da un silenzio consapevole. Ma il documentario si chiama A volto scoperto perché messo a nudo non è solo il corpo fragile di Paolo. Per la prima volta, a mostrare i propri lineamenti sono anche gli ultras. Del Brescia, dell’Atalanta, della Cavese. Curve coi loro codici, con la loro violenza “a mani nude”, con il loro tifo “impegnato” e con la loro contestazione, sempre e comunque, contro le “istituzioni”. Ma per gli amici si fa questo e altro, si legge sulle loro magliette, e allora a volto scoperto per testimoniare solidarietà a INNI E CURVE De Santis e la guerra di “Gambadilegno” di Gabriele Fazio ho una gamba di meno, ma ce l'ho fatta a tornare. Che vi creC’ devate? Di potermi fermare? Finché mi reggo in piedi, finché mi riesco a trascinare, anche con mezza gamba ve la farò pagare!”. Non è un testo scritto per il tifoso Daniele De Santis, l’ultrà romanista presunto responsabile della morte del napoletano Ciro Esposito, ma il dubbio potrebbe anche venire. SI TRATTA infatti del testo di una canzone di ispirazione fascista che racconta le vicende di Gambadilegno, un criminale che, stando al testo, non si fa fermare da chi gli mette i bastoni fra le ruote, neanche dopo essere stato ferito. Proprio quello che potrebbe pensare De Santis, che – durante gli scontri fuori dall’Olimpico in occasione della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli – è rimasto ferito pezzo il proprio compagno di bat- campionati di calcio possano tornare alla gamba. Una canzone, Gambadi- taglie Daniele De Santis e l’abbiano gli scontri. Il successo di Gambadilelegno, suonata dai “SottoFasciaSem- adottato come proprio inno. Ciò ov- gno tra i forum e i profili facebook plice”, il cui frontman è Mario Vat- viamente non fa che alimentare le delle tifoserie organizzate della capitani, 47 anni, detto “Katanga”, che ha preoccupazioni circa gli sviluppi e le tale, non fa presagire niente di buono. diviso la sua vita tra la carriera di- possibili ritorsioni dopo gli incidenti La madre di Ciro Esposito ci mette la plomatica e i circoli di estrema destra del 3 maggio e l’omicidio di Ciro faccia e prega i ragazzi di non condove si esibiva con la sua band. È riu- Esposito. Mancano solo le due finali tinuare su quella stessa strada che ha scito a mantenere il suo incarico di alla fine del Mondiale in Brasile e la portato alla morte del figlio, ma la console a Osaka fino a quando il go- polizia teme che col riprendere dei politica ultrà, si sa e lo sanno anche le verno, venuto a conoautorità, è difficile da L’autore della canzone, Mario Vattani, e a destra gli scontri di Roma Ansa scenza delle sue discucomprendere e da gestitibili performance a re. Su internet gira voce braccio teso a Casache sia così tanta e tale la Pound con il suo grupvolontà di romanisti e po, ha deciso di richianapoletani di scontrarsi marlo in patria. La canche, per non essere “disturbati” dalle forze zone assume oggi un significato nuovo e dell’ordine, potrebbero anche decidere di attacpreoccupante. Le frange più estreme del tifo rocarsi in occasione di scontri minori o lontani manista avrebbero rinosciuto nel “Gambadida manifestazioni sporlegno” protagonista del tive. Paolo, nelle manifestazioni nazionali come al processo. Con gli striscioni srotolati allo stadio e sotto l’ospedale, “Il tuo risveglio, la nostra gioia”. Con i loro volti e le loro barbe incolte, con le loro parole: “Quello che è capitato a Paolo è capitato a tutti noi. Siamo gente che non si piega. Un ultras non diventa martire, resta sempre ultras anche se non ci sta più”. Uno sguardo laico su un universo di solito ostile alle telecamere. “SE IL MIO MONDO mi avesse tradito sarei stato nella merda”, confessa Paolo, la cui azienda agricola è stata salvata dal padre Pietro, che ha smesso la sua attività edile ed è diventato contadino, perché altrimenti, oltre alla salute e alla fidanzata, avrebbe perso anche la piccola impresa. “Più passa il tempo, più la rabbia cresce. Incontro la sofferenza a ogni passo, in ogni parola. Non posso perdonare”. Si sente un messaggio inciso sulla segreteria telefonica: “Sono Patrizia, la mamma di Federico. Tu devi continuare la tua battaglia, la tua voce è anche quella di mio figlio”. L’appello comincerà a Venezia entro la fine dell’anno. “Cosa mi aspetto? Giustizia, finalmente – racconta Scaroni al Fatto –. Mi aspetto di trovare un giudice che abbia un po’ di coraggio. Ne avrei davvero bisogno, servirebbe a restituirmi fiducia nello Stato. Ora ne ho ben poca. Guarda questo Stato cosa mi ha fatto”. Camminare accanto a Paolo significa procedere con passo lento. E quando lo si vede, come nel documentario, riuscire finalmente ad arrampicarsi sulla parete della montagna, col respiro corto e le braccia stanche, non si ritrova la pace. Al contrario. Sale la rabbia contro uno Stato che non è in grado di tutelare i suoi figli (anche gli ultras sono figli), ma che sa ben coprire i macellai. In una spirale che, se non si ferma, raderà al suolo il senso delle istituzioni. E non solo quello degli ultras. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 15 Copacabana l’Albiceleste SOGNO ARGENTINO: VINCERE LA COPPA IN CASA DEL “NEMICO”. MA NON TUTTI IN BRASILE TIFERANNO GERMANIA di Valeria Saccone M Rio de Janeiro adre Santissima, ti prego, fai vincere l’Argentina”. Sulla spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro, un tifoso si afferra a un rosario come un naufrago in mezzo a una marea bianco-azzurra. I rigori già sono iniziati e ogni gol si vive come un miracolo tra i migliaia di argentini (61.000, secondo i dati della Fifa) che dall’inizio dei Mondiali affollano le strade e le spiagge della Cidade Maravilhosa. Copacabana era tutta argentina durante una semifinale che, tra mille emozioni, ha portato la squadra di Messi a un epilogo contro la Germania che sarà tragico indipendentemente dal risultato, perché gli argentini vivono il calcio con una mistura di misticismo, religiosità e fede. L’esplosione di allegria dopo la vittoria è durata ore: festa in spiaggia, bandiere al vento, facce dipinte, molta allegria e molto alcool. Nel frattempo, i brasiliani, umiliati da un 7-1 che scotta ancora e che monopolizza le conversazioni nei bar, ne- gli uffici e negli autobus, sono divisi sull’esito di questi Mondiali. Nota è la rivalità storica tra i due paesi vicini, rappresentata dal binomio Maradona-Pelé e ricca di centinaia di aneddoti che alimentano l’antagonismo. Durante la partita, il canale della Globo citava un sondaggio con il 76% di tifosi a favore dell’Olanda nello stadio di São Paulo. “Noi brasiliani siamo divisi, ma credo che la maggioranza non sopporteremmo una vittoria dell’Argentina in suolo patrio”, dice Pedro Serra, cameraman e tifoso della Germania, tanto che ha cambiato il suo nome in Facebook. Adesso usa il cognome di sua madre e si fa chiamare Pedro Grunert, sfoggiando gli avi teutonici. “È una rivalità atavica, come quella che separa Rio de Janeiro e São Paulo, o Madrid e Barcellona”, aggiunge. “Ovviamente a questo punto tifo per la Germania. Se gli argentini vincono in casa nostra, ci prenderanno in giro per anni”, dichiara Alexandre Corrêa, abitante del Complexo do Alemão, una delle maggiori favelas de Rio de Janeiro. “A molti non piacciono i trucchetti degli argentini: fingono i falli, trattengono il pallone quando stanno vincendo... Sono troppo furbi”, aggiunge Gilson ‘Fumaça’, guida turistico di Santa Marta, la prima favela pacificata di Rio de Janeiro. Tuttavia non è difficile vedere a Rio brasiliani con la maglietta dell’Argentina. Alcuni credono che la rivalità sia solo una leggenda urbana. “Io tifo per l’Argentina perché sono latinoamericana”, assicura Bel Mercês, sceneggiatrice di São Paulo e residente a Rio de Janeiro. “Amo il popolo argentino: sono persone meravigliose, accoglienti, con una cultura enorme, amanti del buon vino e poi gli uomini sono un vero schianto! Buenos FESTA IN SPIAGGIA Tifosi argentini durante la semifinale contro l’Olanda sulla spiaggia di Copacabana. Erano già in 60 mila, se ne attendono almeno 100 mila per la finale LaPresse Romero eroe (quasi) per caso UN ESUBERO DELLA SAMP PORTA IN FINALE MESSI. UNA STORIA SIMILE AL GOYCOCHEA DI ITALIA 90 di Malcom Pagani i chiamava Sergio anche S l’altro eroe argentino con i guanti, Goycochea, il portiere di Italia 90. Quello che spezzò le notti magiche mandando fuori l’Italia di Vicini in una notte campana e come il Romero del 2014, al Mondiale, non avrebbe dovuto giocare. All’epoca in cui Sergio iniziò a respingere calci di rigore spingendo i gauchos nella finale poi persa contro la Germania, il titolare dell’Argentina era Nery Pumpido. Trionfatore sulle ali di Maradona nel 1986, ma abbonato alle sfortune, Pumpido si ruppe tibia e perone con la Russia nelle fasi eliminatorie, a Napoli. Lo portarono fuori in barella. Pumpido, come Neymar, si teneva il volto tra le mani. In carriera, a partire da un dito granguignolisticamente mozzato dalla fede nuziale impigliata nei ganci della rete, Pumpido non si era fatto mancare nessuna sventura. L’ultima della serie gli costò per sempre la Nazionale e aprì la porta all’inatteso matrimonio tra un calciatore che non giocava da 8 mesi, Goycochea e l’Argentina. Nozze rapide e festose, lieto fine sporcato dal rigore di Andreas Brehme allo stadio Olimpico di Roma. Gol tedesco, gloria e storia che potrebbe cambiare di segno domenica sera, quando con l’eredità dei Fillol o dei pazzi alla Hugo Gatti alle spalle, Sergio Romero proverà a diventare campione del mondo. Prima della giostra brasiliana, Sergio era rimasto a guardare gli altri divertirsi da una panchina. A Montecarlo, sotto la reggenza Ranieri, in campo andava il collega croato Subasic. Nel Principato, Sergio era arrivato in prestito dalla Sampdoria. DICONO che a Genova questo argentino di frontiera, nato al crocevia tra tre nazioni e scoperto da Van Gaal che lo volle nell’Az Alkmaar (“Gli ho inseSergio Romero para il rigore di Wesley Sneijder LaPresse IL BLUCERCHIATO A Genova gli era stato preferito il modestissimo Da Costa, i tifosi dopo qualche errore gli avevano fatto ritrovare la macchina senza ruote gnato io a parare i rigori” rimpiange il maestro) bevesse mate in solitudine e non facesse gruppo. A Bogliasco gli era stato preferito il modestissimo brasiliano Da Costa, i tifosi dopo qualche errore gli avevano fatto ritrovare la macchina senza ruote e Sergio si era buttato giù. Con il suo pesante contratto da quasi 2 milioni di euro, croce del neo presidente Massimo Ferrero, vagava in cerca di una rivincita. Per la gioia di Ferrero, l’ha trovata. Ora con reciproca soddisfazione potranno monetizzare in due e ridere persino, padrone e dipendente, degli antichi errori definitivamente cancellati dall’avventura brasiliana e delle scaramanzie che qualche esegeta del doppio prodigio di Romero contro l’Olanda ha messo in evidenza. Romero custodiva un foglietto con i nomi dei rigoristi avversari nei pantaloncini, lo consultava come fosse nell’imminenza di un esame e poi, trovata la soluzione, si tuffava felice, a destra e a sinistra. Alla fine, al pari del suo allenatore, da salvatore della Patria, Romero ha guardato in alto. C’era aria di entità superiore, di miracolo, di colpo di culo. In Romero, a eccezione del dottor Sabella, non credeva nessuno. Stringendolo al suo destino, nello scetticismo che abbracciava entrambi, Sabella non lo ha schiacciato. Ha scommesso sul chiquito, sulla sua faccia da bambino, ed è stato ripagato. Migliore in campo contro l’Iran, migliore in campo contro la Bosnia, migliore in campo contro l’Olanda. Quando Messi latita, Romero dice messa. Su Twitter, Rihanna già gli ha cantato un laico omaggio e la moglie di Sergito, Eliana Guercio, sportivamente, si è detta disposta a prestargli il marito per una settimana. Forse anche a casa, Sergito, non era poi persona così grata. Aires è la capitale con più charme del continente. Questa rivalità tra i due paesi mi sembra una vera stupidaggine. Siamo vicini e abbiamo una storia simile: siamo stati colonizzati e abbiamo sofferto dittature molto dure. Siamo entrambi popoli che sanno lottare. Io credo che dovremmo essere più uniti. L’America Latina intera dovrebbe unirsi”, continua Bel. “Nel mio gruppo di amici, molti stanno con l’Argentina solo a causa della promessa di Paes”, racconta il fotografo Luiz Baltar. Fa riferimento a una battuta del sindaco di Rio di Janeiro, che arrivò a dichiarare che se l’Argentina vincesse i Mondiali, si sarebbe suicidato. “In realtà credo che il vero brasiliano tiferà per chi dimostrerà di aver più razza sul campo”, sostiene Luiz. GLI ARGENTINI nel frattempo si alloggiano nell’accampamento che il Comune di Rio ha abilitato vicino al Sambodromo. Per la finale, si aspetta che arrivino altri 70.000 argentini, pazzi di felicità e disposti a tutto pur di assistere alla partita al Maracaná. Alcuni hanno venduto la macchina e tutto quello che possedevano pur di poter vivere il sogno dei Mondiali in Brasile. Una volta qui, sbarcano il lunario come possono: pittu- TIFO DIVISO C’è chi rispolvera addirittura i cognomi materni perché tedeschi, eppure la solidarietà continentale non è così rara rando le bandiere dei vari paesi sulle facce di migliaia di tifosi; vendendo empanadas fatte in casa o suonando jazz in strada. L’importante è partecipare, anche se poi bisogna andare al ristorante popolare di Rio, con pranzo a 1 real (30 centesimi). “Ti dirò una cosa. Il Para è argentino. Il genio del calcio, Messi, è argentino. E adesso ti do una notizia in esclusiva: anche Dio è argentino”. Pablo sussurra il suo dogma dal camper con cui è arrivato in Brasile, insieme a suo fratello, suo nipote e due amici: tre giorni di viaggio dalla città di Entre Ríos. L’Argentina ha bisogno di vincere perché vive il calcio con la stessa intensità di un Via Crucis. Domenica fremeranno, piangeranno, grideranno e pregeranno il Dio del pallone per raggiungere il quarto titolo mondiale. COPPA CABANA di Oliviero Beha Van Gaal e il saliscendi dal carro mediatico CREDO di essermi assopito durante Olanda-Argentina, ma neppure tanto giacché il pallone rantolava nella stessa metà campo del dormiveglia. Partita penosa, e nemesi ai rigori per gli olandesi con il Romero, guardiano argentino che faceva il Krul orange contro la Costa Rica. Impossibile per i venerandi non ricordare la vignetta di Forattini nell’80, quando il Napoli sfidava la Juventus e la Roma per lo scudetto e ci fu il terremoto dell’Irpinia: “Avete visto: vulimmo a’ Krol, vulimmo a’ Krol e così…”, laddove Ruud Krol era quel meraviglioso “libero” olandese i cui lanci arrivavano al piede da cinquanta metri. Ma questo è Krul, o era Krul… Perché il suo puparo Van Gaal, assurto a Cagliostro per la trovata del cambiaportieri istantaneo per i rigori finali, adesso è trattato alla stregua di un povero deficiente che ha fatto giocare ai suoi la peggiore semifinale vista negli ultimi anni. Naturalmente con il concorso di colpa degli argentini, o malvini, che però su Van Gaal hanno un leggerissimo vantaggio: hanno vinto loro e dunque sono in finale, contro il tifo carioca che considera l’eventuale vittoria argentina praticamente alla pari con la catastrofe della propria squadra. Insomma, Van Gaal è l’ultima (per ora) dimostrazione di come ci si diverta a edificare e distruggere in gran fretta Erme del Gianicolo, in tutto ma nel calcio, popolare ed estemporaneo per eccellenza, ancora di più. Perché? Oltre alla serqua di analisi sociologiche, che richiederebbero un Diamanti (ma Ilvo) o un De Masi, direi semplicemente perché nessuno analizza davvero come si giochi e quali meriti e demeriti si abbiano, bensì esclusivamente il risultato finale. È UNA FOOT-POLITIK elevata a potenza, un po’ ridicola se vogliamo, ma che non richiede sforzi intellettuali particolari e ha sempre l’alibi del risultato. È come se i media, o meglio il tifo mediatico perché all’incirca di quello si tratta, cercassero sempre di muoversi all’ombra di qualcosa o di qualcuno, del vincente e quindi del potere, dei numeri, del vantaggio di carriera o di imbonimento (cfr. il Mondiale dei Mondiali dei Mondiali dei Mondiali periodico), mentre se rimanessero al sole a capo scoperto rischierebbero intollerabili insolazioni… Alla parola parlata e a quella scritta. P.S. Commentando in Rete il mio articolo di ieri c’è chi si è schierato con Agnelli contro Macalli: fantastico, non credevo ai miei occhi. A parte le meravigliose assonanze cognomastiche, se è così, per citare il principe De Curtis, “ho detto tutto…”. www.olivierobeha.it 16 SECONDO TEMPO VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 il Fatto Quotidiano MASTERIZZATI IL CONCERTO Massive Attack di musica e politica IL “COLLETTIVO” DI BRISTOL IN TOUR IN ITALIA, ULTIMA TAPPA ALL’ARENA DEL MARE DI GENOVA di Chiara Ingrosso L oro non si definiscono una band, ma un collettivo musicale. Ed è proprio questo il segreto della lunga vita dei Massive Attack che, dal momento della loro composizione a Bristol nel 1987 fino al loro ultimo album Heligoland del 2010, non hanno mai sbagliato un colpo. Questa sera, i padri del trip hop suoneranno sul palco dell'Arena del Mare a Genova, ancora freschi della performance di martedì scorso nella Cavea dell'Auditorium a Roma, parte della rassegna estiva “Luglio suona bene”. Lo spettacolo capitolino ha seguito un copione, nonostante qualche intoppo audio, fatto di musica dai risvolti ipnotici, colorazioni monocro- mo abbaglianti e messaggi che fanno presa sulle coscienze. Un copione aggiornato, ma pur sempre lo stesso da cinque anni, sebbene le date dei Massive Attack siano ormai rare. Ma si sa, squadra vincente non si cambia e il pubblico ne ha approfittato, superando l'iniziale imbarazzo dei posti a sedere in Cavea e lasciandosi scivolare sotto il palco. Nell'arco di quasi trent'anni il gruppo, di cui sono fondatori Robert “3D” Del Naja e Grant “Daddy G” Marshall, ha saputo cambiarsi la pelle a ogni nuova tendenza musicale. Questo è l'ingrediente segreto del trip-hop, un genere che non ha genere ma solo contaminazioni, una categoria che non ha tempo e luogo, ma solo divenire. Nelle loro canzoni, abbondantemente pre- IL DJ L’ambizioso topo elettronico state al cinema e alla pubblicità, convergono in modo armonioso hip hop, jazz, rock e soul, le chitarre, i sintetizzatori e le voci dei compagni di questo tour, Horace Andy, Deborah Miller e Martina Topley Bird. Nella scaletta diversi i brani più appezzati mancanti all'appello, tra cui Special cases, Protection e Karmacoma, per lasciare più spazio alle sonorità di Heligoland e del più amato Mezzanine, album del 1999. SONO RIMASTI a bocca asciutta, invece, coloro che si aspettavano anticipazioni dal nuovo album dove, si vocifera, tornerà la calda voce del britannico Tricky, che deve il suo esordio proprio al collettivo di Bristol. Chi conosce i Massive Attack sa bene che il loro nome è sinonimo di cri- di Pasquale Rinaldis Massive Attack Ansa tica e impegno sociale. “La vuoi una notizia?” recita la grande scritta luminosa sui pannelli roteanti della scenografia. Ed ecco che sulle note cupe di Inertia creeps sono passate in rassegna le notizie italiane e internazionali di questi ultimi giorni. Dagli ultimi risvolti dell'omicidio di Yara Gambirasio, alle vicende giudiziarie di Sarkozy, dalle telecamere antispaccio al Pigneto, all'inchino della Madonna davanti alla casa del boss calabrese. Particolare il CANTAUTORATO Area nuova senza spina WHILE (1<2) © GHEMON © ORChIdee Macro Beats CI SONO più rapper in Italia che funghi in Val Brembana in ottobre. Fa bene quindi Ghemon a cercarealtre strade, tra molto funk, soul, jazz, pop e qualcos'altro. “ORCHIdee” è un album molto “black”, realizzato con la collaborazione del producer Tommaso Colliva (Muse, Calibro 35, Afterhours, Ministri) e dal giovane e talentuoso Marco Olivi. I musicisti coinvolti? Patrick Benifei (Casino Royale e Bluebeaters), Enrico Gabrielli (Calibro 35, Vinicio Capossela, Mike Patton), Fabio Rondanini (Calibro 35 e John Parish), Rodrigo D'Erasmo (Afterhours), Daniel e Ramiro (Selton), Gabriele Lazzarotti (Daniele Silvestri, Niccolò Fabi), Paolo Ranieri e Francesco Bucci (Baustelle, Dente, Le Luci della Centrale Elettrica). E un trionfo di Fender Rhodes, di fiati, di bassi rotondi e batterie vintage. Tredici canzoni calde, qualche spunto nei testi, come in “Fuoriluogo ovunque”, buona qualità musicale. Niente culi, pistole, esposizioni bling bling. Not for kidz. Valerio Venturi IL DUO Generazioni in blues Psychic Twins FF IL CANADESE Joel Zimmermann, poco più che trentenne, ha esordito sulla scena elettronica con un numero sterminato di tracce, vinili, Ep e Remix da lasciare disorientati. In una manciata di anni, grazie alla sua maschera da topo, ha conquistato il podio dei club mondiali ed è diventato protagonista della nuova scena Edm (Electronic Dance Music). Oggi si concede con il contagocce, chiede compensi stellari e pubblica un doppio album con un ambizioso obiettivo: diventare il The Wall della sua generazione. In realtà la vena compositiva del topo si è un po’ affievolita – pecca di manierismo nei suoni e negli arrangiamenti – anche se “Avaritia” e “Pets” sono due evoluzioni dell’artista e infiammeranno i dancefloor. Manca un singolo come “The Veldt”, una delle migliori produzioni degli ultimi anni; ci sono molti interludi e troppe divagazioni chillout e down tempo. Si sente la sua grande voglia di cambiare direzione: recentemente a sparato a zero su una scena ormai vampirizzata da discografici e promoter dei concerti. Il suo live passerà nell’unica data italiana al Cocoricò di Riccione l’11 agosto. Guido Biondi Ghemon contro gli ultrarapper momento in cui la Cavea si è illuminata con un solo nome, quello Ciro Esposito, che è restato lì, fermo nella sua grandezza, a raccogliere fino all'ultimo gli applausi. D'impatto anche le visual che collezionano le dichiarazioni dei detenuti nel campo di prigionia di Guantanamo e il messaggio finale che pulsava sulle note di Unfinished simapthy, brano con il quale si è concluso il concerto: “Apprezzare, condividere, aggregare, e amare”. A SMALL WORLD IN BLACK & WHITE © Deadmau5 mau5strap FUSION The Black Keys, perfezione alla tedesca SQUADRA che vince non si cambia. Il connubio artistico tra il chitarrista Fabrizio Friggione e l’autore Massimo Monti – separati da un’età tipica di padre e figlio – torna dopo l’album di esordio Crossings con 11 nuove tracce di blues puro, con qualche virata funky e un paio di omaggi sottili a Springsteen. “Small world” è la vetta, frutto del collaudato sodalizio tra Friggione e Jack Jaselli: inizia come una rock ballad e si sviluppa in chiave pop; romantica e densa senza mai essere mielosa. In “Even If You Don’t Care” si parla di un amore non corrisposto; “Brothers And Sisters” è un invito a vedere gli altri come parte della soluzione anziché del problema. La toccante “Sometimes You Do It Right” racconta del desiderio di seguire un figlio per tutta la vita. G. Bio. AREA765 © Altro da Fare Fuori dal Centro SUCCEDE che un cambiamento solo non sia sufficiente. Come se la consapevolezza non bastasse, e ci fosse bisogno di una nuova conferma: non di voler essere diversi, ma di esserlo già. Così gli Area765 capitanati da Stefano Fiori e sorti dalle ceneri dei Ratti della Sabina – dei quali portano ancora i segni, in forma di canzoni – dopo “Volume Uno” (2012), primo lavoro della nuova band, rimescola le carte con il nuovo “Altro da fare”, che è, soprattutto, un “altro da essere”. Diciotto tracce, di cui sedici ripescate dal loro repertorio (dei Ratti, e degli Area) e completamente arrangiate in chiave acustica. La versione unplugged dona nuova linfa, esaltando la matrice folk dei brani. Alcune derive di classico cantautorato gettano qualche ombra sulla libido musicale, ma un sapiente posizionamento degli archi rende sensuali molti brani. Tra i due inediti, meglio “L’ultimo tango” (l’altra è la title track). Preferite: “Sarà per questo”, “Galleggiare”. Consiglio: vederli live. Diletta Parlangeli NELLO STESSO preciso istante in cui allo stadio Mineirão di Belo Horizonte l’arbitro messicano Rodriguez fischiava il calcio d’inizio della semifinale Brasile-Germania, al Postepay Rock in Roma, dagli amplificatori usciva il riff di chitarra che dava inizio al concerto dei The Black Keys. Per il duo originario dell’Ohio, composto da Dan Auerbach e Patrick Carney, si trattava della prima volta nella Capitale, dove sono giunti per l’occasione circa 13 mila spettatori da ogni parte della Penisola. Su un palco scarno e illuminato da centinaia di lampadine, i due partono a testa bassa, con ritmi serrati, proprio come la Germania contro la Seleção. Uno dopo l’altro vengono eseguiti i grandi successi della band: Dead and Gone, Next Girl, Run Right Back, Same Old Thing e Gold On The Ceiling. Nonostante la perfezione con cui suonano i propri pezzi, musicalmente ineccepibili, l’unica nota stonata è l’incapacità dei The Black Keys di entrare in empatia con un pubblico che invece mostra una gran passione e attaccamento. Da parte loro emerge come una volontà di non voler surriscaldare troppo gli animi. Intanto, dopo poco più di mezz’ora, nonostante la mancanza di Rete e quindi di connessione, fra il pubblico comincia a circolare la notizia – accolta come una bufala – che la Germania vinceva per 5 gol a zero contro il Brasile. Malgrado la diffidenza, però, qualcuno azzarda il paragone fra l’andamento del concerto e quello della partita: proprio come i tedeschi, i due con il loro rock-blues sono esageratamente freddi e razionali e mostrano poco trasporto emotivo. Anche quando eseguono il singolone Fever e la splendida Lonely Boy. E dopo tanti gol c’è il rischio poi che qualcuno chieda di fermarsi e di porre fine allo show. IL LIBRO Transumanza rock Manuale spagnolo MADRID & BARCELLONA LA GUIDA ROCK © Roberto Calabrò Arcana IL TURISMO rock è un fenomeno in grande crescita, favorito dai voli low cost e dal proliferare di festival in ogni parte d’Europa. Per chi pratica la transumanza da concerto – o semplicemente per quei viaggiatori che neppure in vacanza sanno liberarsi dalla “scimmia” musicale – le guide di Arcana dedicate a quelle che una volta si definivano “mecche della cultura giovanile” come Londra, Berlino, New York e Amsterdam sono quello che i Baedeker rilegati in pelle erano per le dame vittoriane con cappello e ombrellino durante i loro grand tour a Firenze e Roma. L’ultima arrivata, argomento Madrid e Barcellona, oltre a fornire tutte le dritte utili su negozi di dischi, club, locali e shopping alternativo fa persino qualcosa di più. L’autore Roberto Calabrò, giornalista de L’Espresso e Repubblica da sempre attento al lato più underground dell’universo rock, indaga tra le pieghe di quel fenomeno spesso frainteso che fu la Movida. Il terremoto culturale che nell’immediato post-franchismo generò in Spagna un nuovo modo di fare arte e di stare insieme, nel quale la percentuale della creatività superava di gran lunga quella dello sballo fine a se stesso, viene trattato in maniera sintetica ma esaustiva, incorniciando storicamente la realtà odierna di due città che, nonostante la crisi, rimangono centrali (con i loro festival e la loro vivacità culturale) sulla mappa dell’Europa rock’n’roll. Carlo Bordone SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MAURIZIO COSTANZO VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 17 torna su Canale 5 per otto serate Ansa ANIMAL PLANET IL PEGGIO DELLA DIRETTA Anche i gatti hanno un’anima (diabolica) di Patrizia Simonetti ell’Antico Egitto se la godevano alla grande, ma nel Medio N Evo, scomunicati dal Papa come animali delle streghe e del demonio, furono torturati e arsi vivi in tutta Europa. Altri tempi. Eppure ancora oggi se un gatto nero ci attraversa la strada, eccoci a fare gli scongiuri. Magari non ci danno la zampa a comando o non ci portano le pantofole, ma da qui a farli arrivare dall’Inferno.... My cat from Hell è l’ironico titolo del factual di Animal Planet che il 21 luglio sbarca su Real Time come Il mio gatto indemoniato per la gioia di chi si schiera sempre e comunque dalla loro parte. Perché il supertatuato Jackson Galaxy, musicista di notte, comportamentista felino di giorno, è fermamente convinto che se un gatto impazzisce, una ragione c’è e sta sempre nel rapporto con gli umani, così ora gira per gli States a salvare coppie messe in crisi da gattoni feroci e mici incompresi da padroni distratti, perché gli umani hanno diritto alla loro vita, ma i gatti pure. CERTO CHE a guardare Bear, pelo dritto e nero, abbarbicato sullo scaffale che soffia e rantola minaccioso come un gremlin, te lo aspetti pure che all’improvviso giri la testolina di 360 gradi e vomiti verde come Re- gan ne L’esorcista e ti chiedi da dove escano i detti “micio micio” e “gatton gattoni”. È il gatto di Hannah che da adorabile micetto si è trasformato in una tigre selvatica che distrugge casa e graffia chiunque si avvicini, soprattutto il compagno di lei, Johnny, e il suo povero cane Frank. Jackson lo trova chiuso in camera, rifugiato sotto il letto che fa versi inquietanti e tira zampate, ma quando lui si stende a terra e parlando sottovoce gli offre robetta buona da mangiare, Bear si calma ed esce dalla tana. Anche Lulù sembra posseduta quando Amanda e Matt vanno a dormire e lei miagolando di brutto infila le zampe sotto la porta chiusa della loro camera prendendola a testate, così come Snickers che ti aggredisce se solo lo tocchi, ma Jackson scopre che Laura lo infila a forza in una borsa e lo tiene stretto per tagliargli le unghie, chiunque si incazzerebbe un po’. Ecco dunque qualche buon consiglio firmato Galaxy: i gatti non amano essere presi in braccio come fagotti né rinchiusi o messi all’angolo senza vie di fuga, hanno energia da vendere che va scaricata, per cui qualche tiragraffi qua e là per arrampicarsi e grattarsi gli artigli non guasta, e anche qualche giochino per divertirsi con gli umani di casa, ma soprattutto quando dicono “basta coccole”, basta coccole. Il ritorno del Costanzo Show nostalgia della buona tv di Luigi Galella l “Maurizio Costanzo Show” aspirava all’eternità. Chi lo ha visto naI scere, nel 1982, lo ha vissuto, sera dopo sera, come una parte naturale e permanente del paesaggio televisivo. Come se ci fosse sempre stato e sempre, ineffabile e familiare, fosse destinato a esserci. Come le valli e i monti, consueti e sconosciuti, per quel pastore errante, che nella tarda serata, guardando in alto, viene catturato da felicità e sgomento e incredulo interroga il cielo: “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai”. A fare, il “Costanzo Show” faceva. Creava personaggi, li plasmava traendoli dal fango dell’impopolarità, come dei Golem, e li consegnava alla celebrità; raccontava storie, presentava casi umani, inscatolava piccoli mostri da osservare incuriositi, come al circo, e deliziose fanciulle alla ricerca di miliardari da sposare; determinava il successo di romanzi, romanzieri, attori, filosofi, medici, psicanalisti, viaggiatori, poeti, indovini, comici. E di chiunque appartenesse, con un tratto caratteriale distintivo, alla multiforme comédie hu- maine. Perché è vero, le apparizioni te- levisive sono decisive, ma non tutti i palchi hanno uguale risonanza: quello del “Parioli” di Roma, che mescolava abilmente cultura alta e bassa, era autorevole senza sussiego. Quasi sempre con ironia, con quella postura del fare ed essere tv di “sguincio”, come direbbe il suo inventore. Non era, tuttavia, solo tv. Perché insieme conteneva se stessa, osservandosi e sorridendo: summa e riepilogo, avanspettacolo e dramma, miseria e nobiltà. In passerella. RITORNA OGGI, il talk-show più lon- gevo della storia, in seconda serata, sempre su Canale5, per otto settimane. Lo fa, perché forse non è mai andato via, via dal paesaggio televisivo, apparentemente cambiato dopo l’avvento dei reality, che però devono molto a quel proto-format, che ne rappresenta l’antico ceppo e suggerisce i migliori spunti. Reality che si fondano sulla necessità ingenua e velleitaria di raccontare la vita, così come essa è. Il “Costanzo Show”, invece, la trasferiva sul palcoscenico, col doppio filtro del teatro e della tv, come a ricordarci che se proprio vo- Gli ascolti di mercoledì OLANDA – ARGENTINA Spettatori 9,2 mln Share 45,6% SE SCAPPI TI SPOSO Spettatori 1,8 mln Share 8% gliamo assistere alla “vita”, se è questo che ci interessa, paradossalmente non possiamo prescindere dal suo “spettacolo”. Il primo degli otto lunedì previsti viene dedicato a Giorgio Faletti, la cui scomparsa così Costanzo ricorda. L’artista dalle mille facce, ultima delle quali la scrittura romanzesca, con cui ha conseguito uno dei più grandi successi editoriali italiani di tutti i tempi, era divenuto popolare con “Drive in” ed era presente sul palco romano, soprattutto negli anni 80 e 90. Vedere spezzoni dello show, distribuiti negli anni, ha l’effetto spiazzante di contrarre la storia e l’evoluzione personale e artistica del personaggio, di appiattire brutalmente la diacronia nella sincronia, come se i volti che cambiano non fossero che diversi abiti di scena di un’unica serata. Inevitabile, la fitta nostalgica, il rimpianto di ciò che si è perduto. Anche se, nel caso di Faletti, la nostalgia è resa dolce dal carattere stesso della persona, che una sera confessò una colpa imperdonabile per il mondo dell’arte cui apparteneva: d’essere un buono. [email protected] CHI L’HA VISTO? Spettatori 2,6 mln Share 11% TEMPESTA POLARE Spettatori 1,6 mln Share 6,7% 18 SECONDO TEMPO VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 il Fatto Quotidiano TURBOGOVERNO LA RIFORMA/3 Intercettazioni: il diritto di sapere di Bruno A QUESTA DECISIONE deve essere motivata: l’indagato ha il diritto di sapere perché lo vogliono mettere in prigione; sia per difendersi negando o precisando circostanze; sia per ricorrere al Tribunale della Libertà o in Cassazione. Dunque il Gip deve trascrivere le intercettazioni nel suo provvedimento. E qui sta il problema: perché (art. 328 codice di procedura) a questo punto le intercettazioni non sono più segrete e, se un giornalista ne viene a conoscenza (in genere perché gliene parla l’avvocato; o anche perché poliziotti, segretari e giudici glielo raccontano, che non è una bella cosa ma ogni tanto succede) le pubblica. Centinaia di giuristi (e migliaia di gente che di diritto non capisce niente) si sono affannati per 20 anni (da quando arrivò B.) a cercare una soluzione a questo problema: come si fa a impedire la pubblicazione delle intercettazioni quando queste sono pubbliche? Prima che lo diventino è semplice: la cosa costituisce un reato, il giornalista e le sue fonti – se si scoprono – sono condannati. Ma dopo? IPOTESI A: si vieta la pubblicazione delle intercettazioni. Non si può, c’è l’art. 21 della Costituzione, libertà di stampa. IPOTESI B: si impedisce che indagato e avvocato le possa- di Daniela Ranieri l fatto che il ministro BoI schi (a Le invasioni barbariche chiese di non esser chiamata ministra, e sia) sia insopportabile, non costituisce criterio di giudizio. Né siamo di quelli tanto accecati dalla sua bellezza da perdere lucidità d’analisi. Se malgrado 20 anni di efferato barzellettismo al potere e a dispetto degli sforzi umoristici di Renzi la simpatia non è una categoria politica, non lo è manco l’avvenenza, su cui disse tutto l’inarrivabile manifesto Il favoloso mondo di Nicole stilato dalla consigliera regionale Minetti contro i politici bruttarelli seppur onesti e capaci. Tinti l punto 10 dei 12 sulla riforma della giustizia si parla di “intercettazioni: diritto all’informazione e tutela della privacy”. Fortunatamente non vi è traccia delle demenziali riforme di B. che voleva permettere le intercettazioni solo “quando esistono prove di colpevolezza”, cioè quando non servivano più; e dunque sembra che acchiappare i delinquenti sarà ancora consentito. Qui ci si preoccupa della conoscibilità dei contenuti delle intercettazioni. Quello che Renzi non ha capito è che si tratta di una riforma impossibile; sempre che si voglia rispettare la Costituzione. Le intercettazioni servono per acquisire le prove della sussistenza del reato e della colpevolezza o dell’innocenza dell’indagato. Nel caso che il pm lo ritenga colpevole e pensi che sia opportuno impedirgli di scappare, inquinare le prove o commettere altri reati, deve chiedere al Gip di metterlo in prigione; e dunque deve trasmettergli la trascrizione delle intercettazioni. Se il Gip concorda con il pm, emette un’ordinanza con cui dispone la carcerazione preventiva (adesso si chiama applicazione della misura cautelare della detenzione in casa circondariale; ma sempre la stessa cosa è). Maria Elena, l’alter ego chiacchiere e distintivo LA BOSCHI, della cui onestà La riforma della giustizia prevede una norma sulle intercettazioni Ansa no conoscere, il Gip ne parlerà “di striscio”, dicendo e non dicendo, ne farà un riassunto più o meno articolato. Non si può, c’è l’art. 13 della Costituzione, libertà personale inviolabile se non con provvedimento giudiziario “motivato”. Un riassunto di una prova non è una prova: è l’interpretazione di quella prova data dal giudice. E come si fa a contestarla se non si conosce la prova in originale? Un provvedimento del genere non è “motivato”; se il giudice lo adotta perché è pigro o incapace, si può impugnare in Cassazione; se è previsto dalla SOLO PRIVACY? L’esecutivo vuole modificare le regole per la pubblicazione delle telefonate Ma i cittadini devono poter sapere legge, è incostituzionale. IPOTESI C: si fa un’udienza in camera di consiglio, non pubblica: Gip, pm e avvocato ascoltano le intercettazioni (magari servono mesi ma non importa, anno più anno meno...) e poi il Gip decide quali trascrivere; le altre si distruggono. Non va bene: che libertà di stampa è quella in cui è il giudice a decidere cosa si può pubblicare e cosa no? Saranno i giudici a dirigere gli organi di informazione? Nuova violazione dell’art. 21. Insomma, Renzi non capisce che, essendo lecito informare i cittadini di arresti, perizie, interrogatori e ogni altra cosa che riguarda i processi penali (ricordiamoci le 157 puntate di Porta a Porta sul delitto di Cogne), diventa irragionevole vietare di informarli sulle intercettazioni. Ma almeno non si pubblichi- no quelle che non hanno rilevanza penale. Potrebbe intendere questo Renzi quando parla di conciliare informazione e privacy. Solo che, prima di tutto, si ricade nella situazione precedente: non tocca al giudice stabilire quello che si può pubblicare. E poi: chi lo ha detto che le informazioni che non hanno rilevanza penale non si devono pubblicare? Se una fotografia che mostra un parlamentare che si fa una riga di coca è pubblicabile (e certamente lo è); perché non dovrebbe essere pubblicabile un’intercettazione dello stesso parlamentare che chiede al suo pusher di portargli la stessa riga di coca (il che, per il parlamentare, non costituisce reato e non ha dunque rilevanza penale)? Il diritto all’informazione e il dovere di darla sono l’essenza della democrazia: i cittadini devono sapere per poter decidere. Può stargli bene oppure no che un parlamentare si faccia di coca; e lo voteranno oppure no anche in base a questa circostanza. Ma, se gliela si nasconde, li si priva del diritto di scegliere. LA SOLUZIONE del problema non sta a monte ma a valle. I giudici (italiani ed europei) hanno elaborato in migliaia di sentenze i principi che stabiliscono quali sono i limiti di una corretta informazione: verità, pertinenza (utilità dell’informazione), continenza (modalità di espressione). Se non sono rispettati, ci saranno condanne penali e civili. E non è colpa di giornalisti o cittadini se il sistema giudiziario italiano garantisce l’impunità a questi e ad altri ben più gravi reati. Renzi deve capire che i diritti costituzionali non sono comprimibili; quello che deve essere impedito è l’abuso. Vero, a questo punto il danno è fatto; ma questo vale per tutti i reati, a cominciare dall’omicidio. Diventa insopportabile solo quando si tratta di intercettazioni? non c’è motivo di dubitare, deve ancora dimostrare la sua competenza. Se i maschi hanno fatto le peggio cose, e persino i finti miti come Forlani erano “conigli mannari”, chissà quali vette di sublime cinismo istituzionale può agevolare l’eterea determinazione di una first lady di fatto col polso della Thatcher e il volto da copertina di Lady D. Per ora ciò che offre, nonostante il suo (?) slogan “voglio essere giudicata per le riforme e non per le forme”, non va oltre la sua immagine e una certa permalosità alle critiche, in linea col premier-Pigmalione che dal quasi nulla di una consulenza legale su cose di Firenze l’ha creata ministro e quindi madrina costituente. Appena arrivata a Roma, chiese all’Huffington Post di cancellare un articolo che la voleva a inciuciare con quelle di FI (ripresa dalla Annunziata, negò, s’impuntò, s’arrese), poi mostrò una vellutata sportività per l’imitazione della Raffaele lasciando al braccio armato del Pd twitterino l’onere di sparare a zero contro il sessismo di certa satira, mentre col sorriso accusava i “professori” come Rodotà di “bloccare le riforme da 30 anni”. Gli episodi rivelarono l’arroganza da parvenu, forse fisiologica al rodaggio istituzionale: a parte l’organizzazione della Leopol- da, infatti, non risulta che Boschi abbia fatto un solo giorno di scuola o gavetta politica prima di essere messa a riscrivere la Costituzione. Chissà se ha imparato: si può criticare i politici anche se donne, trasecolare per i provvedimenti “honcrethi”, esprimere dubbi sulla bigiotteria brillocca di un potere pieno di donne gradevoli, ma dopo 6 mesi ancora troppo istituzionalmente trasparenti e teleguidate dal carisma di un premier maschio nel senso biologico e nell’altro. Il potere la fa serena: la liturgia della stampa filo-renziana prevede una foto di lei che avanza gioconda dal fondo in primo piano, o da sinistra verso destra, o esce da Palazzo Chigi in beige, col telefono in mano; sotto, una scritta, come nei santini. Mentre i fashion blog commentano i suoi completi Zara, lei sorvola con sprezzatura sul pasticcio dell’immunità per i neo-senatori (“non la volevo”); intanto con falcate assertive da red carpet sfila in Transatlantico, davanti a quella Camera dove andò a dire tutto d’un fiato che il Pd crede nella presunzione d’innocenza e perciò distribuisce nomine tra gli indagati. IL SUCCESSO Con il ministro Boschi il renzismo è riuscito dove il berlusconismo ha fallito: dare credibilità istituzionale alla mera apparenza Maria Elena Boschi Ansa La Boschi è la punta di diamante del new deal informato sul modello del gineceo al lavoro, rispettabile e glam. Non la mandammo noi in Congo a prendere i bambini adottati trasformando il volo nella fiera della photo opportunity, ma Renzi. Che non spedì i ministri competenti Alfano o Mogherini né la sua legittima moglie come usa nelle monarchie e in America, ma appunto lei, riconoscendole la telegenia quale dote più chiara, con una mossa di squisita, machiavellica marca politica. Fisiognomicamente speculare alla Santanchè, lei articola concetti istituzionali scostandosi una ciocca di capelli dagli occhioni, rimarcando con pedanteria da esame biennalizzato una implicita differenza rispetto alle donne di quel regno burlesco di cui B. era signore e schiavo, fatte bersaglio delle peggiori illazioni da quegli stessi che oggi agitano il vessillo delle quote rosa. Certo il renzismo è riuscito dove il berlusconismo ha fallito, anche nel dare credibilità istituzionale alla mera apparenza. LA BOSCHI, ambizioso alter ego mitologico di Renzi e sua faccia “secchiona” (ipse dixit), si intesta fiera il ddl sul Senato che rischiava di passare come il Finocchiaro-Calderoli e lo gnommero della legge elettorale scritta con Verdini, presentando un dossier-emendamento inverosimile (capilista nominati e candidati scelti con preferenze per chi vince le elezioni; per gli altri, liste bloccate) che ha fatto arrabbiare le frattaglie riottose del Pd e dato a noi l’impressione che la ragazza punti al potere vero e non a quello rosaquotato applicandosi sulla Costituzione con lo stesso corruccio fanciullesco di quando da bambina montava la cucina di Barbie. Certo ha distolto l’attenzione dalle altre insensatezze contenute nel suo testo e questo, lo ammettiamo, è un risultato politico. Antipatica, caruccia, inesperta: al momento, l’unica che potrebbe farle ombra è Francesca Pascale. Musa Cerantonio, il jihadista di Calabria ANNUNCIO SU TWITTER: “SONO IN IRAQ A COMBATTERE” Si chiama Musa Cerantonio, ha 29 anni, è nato e cresciuto in Australia ma ha il papà calabrese. È un imam “duro e puro”, popolare sul web: “Grazie ad Allah” scrive lui su Twitter, è arrivato in Iraq per combattere la “guerra santa dell’Isis” SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 19 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo In Italia c'è obbligo e obbligo In Italia c’è obbligo e obbligo. L’obbligo dell’azione penale, ad esempio, è affermato con l’art. 112 della Costituzione composto di un solo brevissimo comma. L’obbligo di non dimettersi da un incarico pubblico non è invece scritto da nessuna parte, ma a differenza del primo qui richiamato, che spesso rimane in “porti nebbiosi” e non prende mai il largo, è invece applicato con un rigore in altri campi del tutto sconosciuto. Da ultimo suona davvero a sproposito l’invito che il Pd a una voce ha rivolto a Vasco Errani di non dimettersi da presidente dell’Emilia Romagna , perché la sua onestà non può essere scalfita da una sentenza di condanna non ancora passata al vaglio del terzo grado di giudizio. Semmai ci fosse stato bisogno di qualche dimostrazione a sostegno della “profonda sintonia” fra il Pd, ovvero il suo “pastore” Matteo Renzi, e il Silvio Berlusconi pregiudicato in “esecuzione pena”, questa è ‘ad abundantiam” arrivata. Quello scelto ancora una volta è la dimostrazione di quanto la politica italiana tutta consideri non pertinente, inadatta, sino a essere inutile, la possibilità di difendere le proprie convinzioni... nei processi e non dai processi. zionalisti per sfornare alcune proposte di riforma rispettose dei principi ispiratori della nostra Costituzione e dei valori essenziali di democrazia e rappresentatività. Umberto Bovo Renzi deve leggere la Costituzione Renzi è continuamente impegnato in televisione, ma nei momenti liberi trova il tempo di leggere e infatti ieri ha dichiarato: rispettiamo la Costituzione per le garanzie agli imputati. Ha ragione infatti l’art 27 della Costituzione che recita: l’imputato non è considerato colpevole fino alla sentenza definitiva. Il rispetto della Costituzione è sacrosanto. Ma lui, dato gli impegni, non è arrivato a leggere fino all’art 48 altrimenti avrebbe letto: il diritto di tante farlo, visto che la vuole modificare. Francesco Degni A quando una vera democrazia? Tutte le recenti iniziative del governo rappresentano ormai il crepuscolo dei principi democratici di questo Paese. Tali principi, per poter essere affermati, hanno visto tanti dei nostri avi affrontare il carcere, le torture, le guerre anche civili restando incrollabili anche di fronte alla morte nella certezza che solo la loro conquista costituisce il presupposto irrinunciabile della libertà e della dignità di un popolo. Ma oggi basta aver acquisito il 40% dei voti espressi, e quindi non di coloro che hanno diritto al voto! I criteri ispiratori dell'azione governativa sono ormai solo quello de- Alberi e cittadini non contano CARO COLOMBO, a Roma, dietro i palazzoni di Viale Eritrea esiste un bellissimo giardino pubblico. È il Parco Nemorense, contiguo alla Scuola Mazzini. Il parco accoglie nugoli di bimbi e parecchi anziani. È un bene culturale che dovrebbe essere conservato e protetto. Invece la Sovrintendenza ha autorizzato un garage interrato di 184 box auto, uno scavo di 36 mila metri cubi, l'abbattimento di 22 alberi d'alto fusto e di una fitta vegetazione. I cittadini (tutti) sono indignati e si oppongono, hanno presentato suppliche e raccolto firme. Il ministro Franceschini, il sindaco Marino, gli assessori, tutti tacciono. O “non sono competenti”. Paola Mariotti, Comitato Strade Verdi QUESTA DENUNCIA non riguarda solo un quartiere e un luogo di grandissima importanza per la città di Roma. È una lettera esemplare per due disperanti motivi che riguardano tutto il Paese. Il primo è che qualunque progetto che riguarda il cemento e il traffico viene prima degli alberi. L'argomento “alberi” o “natura” sembrano frivoli, femminili, a confronto con la virile serietà di un parcheggio o di una autostrada. Il secondo è che evidentemente, fin dal momento della presentazione del primo disegno, una bella costruzione di cemento che comporta scavi ed eliminazione di verde appare subito molto più moderno e coraggioso segnale di futuro, della protezione della natura, che è roba vecchia. Potete anche sentirvi dire che un albero ricresce (affermazione vera solo in teoria, dato lo stato delle nostre città) ma un parcheggio o si fa adesso o mai più. È anche il momento in cui scattano fondi e bilanci e approvazioni irreversibili, e non c'è bisogno di immaginare che non tutto sia rigorosa- la vignetta Vittorio Melandri I principi ispiratori della nostra Costituzione Grazie per l'attenzione e la continuità con cui Il Fatto Quotidiano segnala limiti, difetti e pericoli di queste pessime proposte di modifiche costituzionali. Oltre alla sacrosanta protesta bisogna togliere a Renzi & C. l’odioso argomento di bollare chiunque si opponga alle proposte messe in campo come un immobilista che non vuole migliorare la situazione italiana. Propongo che assieme alla decisa protesta si mettano in campo validi costitu- mente corretto. È la visione della città che è sbagliata. Si concepisce la crescita solo se è di cemento, se include opere pubbliche che hanno ingombrato il suolo, sradicato il verde e costruito ostacoli perenni. Il degrado del cemento, un male inflitto a tutte le città italiane. Le forze in campo, quando c'è una costruzione da fare, sono sempre sbilanciate a favore del cemento. Perché da una parte ci sono moltissimi cittadini che si mobilitano per la salvezza della natura (succede intorno a tutti i dannosi e deleteri progetti di nuove autostrade). Ma dall'altra, insieme ai pochi cittadini che hanno interesse a quel tipo di “nuovo” che elimina la natura, siede il cemento, con l'immensa forza dei costruttori. E anche se i mandanti appaiono miti rappresentanti eletti, una volta che il cemento ha messo il piede sulla natura (o pregusta la nuova espansione) non si ritira più. O meglio, aspetta la sfida del politico coraggioso che non c'è. Il mistero delle Sovrintendenze è impenetrabile. A Roma autorizzano con inspiegabile leggerezza interventi costruttivi che dovrebbero essere respinti con scandalo. Sorgono all'improvviso sbarramenti, cancelli, alterazioni di luoghi pubblici che non si sa chi ha voluto e perché. Ogni assessore nega, ma l'ingombro è per sempre. Forse una via d'uscita, per tutti coloro che invocano o promettono trasparenza in Parlamento c'è: la motivazione di una o dell'altra Sovrintendenza, che di volta in volta i deturpatori esibiscono, sia motivata, firmata e pubblicata obbligatoriamente sul principale giornale della città e in Rete prima che si ponga mano alla costruzione-distruzione. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] rio dimensionale della legge statale censurato dalla Commissione europea. Di tale situazione, ben più rilevante ed a diffusione nazionale, non risulta che il solerte giornalista si sia mai occupato, pur potendo, senza il minimo sforzo d’indagine, acquisire dati dal Gestore nazionale dell’energia (GSE), pubblicati sull’apposito sito. L’art. 15, D.L. n. 91/2014 detta finalmente una disciplina della V.I.A. postuma, valevole per tutto il territorio nazionale, in attuazione dell’art. 117 della Costituzione con lo scopo di porre rimedio alla procedura di infrazione. Tale disciplina non appare in contrasto con le direttive comunitarie, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 209/2013 (...)”. Gian Mario Spacca Presidente Regione Marche Il decreto Ambiente del governo Renzi forse servirà in futuro ad altre regioni, oggi - come ricorda anche il presidente Spacca serve soprattutto alle Marche. Come forse il governatore ricorderà, nel primo pezzo che la mia solerzia di giornalista mi spinse a dedicare alle autorizzazioni per le centrali a biogas si parlò della sua regione proprio in quanto capofila di una distorsione che interessava l’intero territorio nazionale (e si citavano i casi di Lombardia, Emilia, Veneto, eccetera). m. pa. voto non può essere limitato... E non ha letto la sentenza della Cassazione del 4 aprile 2014 che dice che il diritto di voto nelle ultime elezioni fatte con il porcellum è stato non solo limitato, ma vietato ai cittadini, quindi il Parlamento dove lui ha la maggioranza esce da una votazione illegale, lo invitiamo a rispettare la costituzione. La Costituzione prima se la legga tutta e poi la nomini. È impor- magogico e quello populista, notoriamente componenti essenziali della vera democrazia! Ma mi chiedo: questo grand'uomo, chi lo ha mai eletto al posto che occupa? Quali elezioni nazionali ne hanno decretato il trionfo al punto da autorizzarlo a riscrivere la Costituzione? Prepariamoci, temo, alla lunga notte, con la speranza però del grande Eduardo De Filippo: “Adda passà”. Dr Antonio Amendola DIRITTO DI REPLICA “Il D.L. n. 91/2014, emanato dal governo Renzi, è diretto a salvare lo Stato italiano e non la Regione Marche, per superare sia una sperequazione di trattamento giuridico tra territori regionali all’interno dello stesso Paese, sia una contraddizione tra normativa nazionale ed europea. Ogni altra interpretazione è priva di fondamento”. È l’inizio di una lunga lettera - che il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio I NOSTRI ERRORI riassumiamo in parte per ragioni di spazio - del presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, riferito all’articolo “Il comma di Renzi salva le centrali a biogas del governatore”, apparso mercoledì sull’inserto economico del “Fatto Quotidiano” a firma Marco Palombi. Spacca prima ricorda i termini della questione (le autorizzazioni per le centrali nella sua regione sono state annullate dalla Corte costituzionale, anche sulla scorta di una direttiva Ue, perché concesse senza Valutazione d’impatto ambientale), poi conclude: “La vicenda ha provocato una situazione paradossale: infatti, in tutte le altre regioni d’Italia, sono state e vengono rilasciate autorizzazioni per impianti di potenza in MW ben superiore a quelle realizzate nelle Marche, secondo il crite- Nell’intervista a Fausto Bertinotti pubblicata sul giornale di ieri è saltata una parola che ha modificato il suo pensiero. Bertinotti parlava del suo lavoro “nel movimento operaio” e naturalmente non del suo lavoro “di operaio”. Mi scuso con l’interessato e con i lettori a.cap. Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e Prezzo 290,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e Prezzo 170,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento digitale settimanale Prezzo 4,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale mensile Prezzo 12,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale semestrale Prezzo 70,00 e • Abbonamento digitale annuale Prezzo 130,00 e Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] • Servizio clienti [email protected] MODALITÀ DI PAGAMENTO • 7 giorni • 7 giorni * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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