storia del 900 per la scuola di base
a cura di Daniela Givogre e Riccarda Viglino
il materiale di questa unità didattica può essere liberamente utilizzato
chi lo utilizza è pregato di darne comunicazione alla redazione del sito
scrivendo a: [email protected]
con l'indicazione delle classi e della scuola in cui sono stati proposti
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La migrazione interna: documenti e dati statistici
Alcuni motivi alla base della migrazione interna
L’emigrazione dal Sud dell’Italia
I canti dell’emigrazione
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Fino al 1971 l’Italia sarà interessata da un vero e proprio fenomeno migratorio interno,
lungo l’asse longitudinale Nord-Sud, verso il triangolo industriale (Torino, Milano,
Genova) e dagli Appennini verso le coste tirreniche e adriatiche, di cui protagonista fu la
popolazione agricola: il 30% degli italiani cambiò la propria residenza anagrafica e con
essa le proprie abitudini, tradizioni e modi di vivere. La stessa fisionomia delle campagne
è modificata: declina inesorabilmente la frammentazione produttiva del podere, inghiottita
dalle monoculture delle aziende agrarie, che impiegano mezzi meccanici per la
lavorazione della terra. Ma il paesaggio italiano stesso subisce una trasformazione dei
suoi contorni: le periferie delle grandi città industriali crescono in modo abnorme,
incontrollate, per il processo selvaggio d’urbanizzazione, nascono nuovi insediamenti
costieri destinati al turismo, le autostrade diventano ben presto il simbolo di un’Italia
moderna, dinamica e attiva.
Si riporta la cartina che illustra i principali flussi migratori interni che si sono verificati in
Italia tra il 1962 e il 1971, tratta da Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi,
Einaudi, Torino 1989
EMIGRAZIONE INTERNA NEGLI ANNI DAL
1955 AL 1961
2000000
1772396
1500000
1000000
500000
237000
0
1
1: dal Veneto
2
2: dal Meridione
AUMENTO DELLA POPOLAZIONE DI MILANO
E TORINO NEGLI ANNI DAL 1955 AL 1961
2
46%
1
24,10%
0,00%
10,00%
1: MILANO
20,00%
30,00%
2: TORINO
40,00%
50,00%
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Alcuni dei motivi strutturali che spinsero la popolazione rurale ad abbandonare la terra sono [...] la
scarsa fertilità di molti suoli agricoli del Sud, la persistente realtà di sottoccupazione cronica e di miseria,
la polverizzazione e la frammentazione della proprietà, la natura assai limitata della riforma agraria del
1950. [...]
Anche la condizione dei braccianti peggiorò verso la fine degli anni ’50. [...] Lo sviluppo della
meccanizzazione e le nuove tecnologie ridussero ulteriormente le possibilità di occupazione per i
salariati agricoli. Il numero dei trattori aumentò dai 61000 del 1949 ai 250000 di dieci anni dopo, e fu in
questo periodo che le mondine, le donne che lavoravano nelle risaie del Nord, perdettero definitivamente
il posto con l’introduzione dei diserbanti. [...]
Coloro che lasciavano la terra per le città [...] avevano la quasi certezza di redditi più alti. Alla fine degli
anni ’50 sia il piccolissimo proprietario sia il bracciante agricolo potevano sperare di raddoppiare
perlomeno il loro reddito andando a lavorare nel settore industriale o nel terziario. [...]
La prospettiva di un salario regolare e di un regolare orario di lavoro era estremamente allettante per dei
contadini che avevano sempre lavorato come bestie nei campi di raccolto, ma che avevano poco da fare
e le tasche vuote durante i mesi invernali. Per i giovani, poi, che costituivano la maggioranza dei primi
emigranti, la lusinga della città era irresistibile.
Da Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989
Completa lo schema delle informazioni:
scarsa fertilità del ..................
↑
motivi alla base
...................................... ← dell’emigrazione → condizioni dei lavoratori
agricoli
↓
.................................
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Gli emigranti meridionali, di solito, non entravano subito nelle fabbriche metalmeccaniche ma facevano il
loro ingresso nel mercato del lavoro settentrionale come addetti al settore edile. Interi gruppi di operai,
spesso provenienti dalla stessa cittadina o provincia e specializzati nelle medesime mansioni, venivano
assunti contemporaneamente. L’orario di lavoro era prolungato, l’avvicendamento frequente e le misure
di sicurezza minime. In un solo mese a Torino, nel luglio 1961, vi furono otto incidenti mortali nei
cantieri edili. Molti, alla fine della giornata lavorativa, avevano di sera un’altra occupazione: a Torino
come lavoranti saltuari per la preparazione di Italia ’61, a Milano nella costruzione della metropolitana.
[...]
Le condizioni di lavoro nelle piccole e medie aziende erano molto dure. L’orario di lavoro, compresi gli
straordinari, durava raramente meno di dieci o dodici ore. I contratti erano sempre brevi, da tre a sei
mesi, e la mobilità elevata quasi come nell’edilizia. [...]
Anche le donne meridionali, una volta che ebbero raggiunto al Nord i loro uomini, trovarono un mercato
del lavoro che offriva nuove possibilità. La maggioranza delle donne sposate rimaneva in casa e molte di
loro svolgevano un qualche lavoro a domicilio come cucitrici o simili. Il lavoro domestico presso
un’altra famiglia era in genere evitato perché malsicuro, ma un numero rilevante di giovani donne
meridionali entrò per la prima volta in fabbrica.
Da Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989
Rispondi alle domande:
1. Dove trovavano lavoro gli emigranti provenienti dal Sud dell’Italia?
2. Come era organizzato il lavoro nel settore edile?
3. Esistevano le misure di sicurezza?
4. La situazione era diversa nell’industria?
5. Quali impieghi venivano offerti alle donne?
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La prima ondata di “napoli” si rovesciò a Torino intorno al 1960. Da allora il flusso non si è mai
interrotto. Gli immigrati nel triangolo industriale sono oggi 6 milioni. Quando il treno del sole li scarica
sui marciapiedi di Porta Nuova, in una mano tengono la valigia, nell’altra l’indirizzo di un paesano. Il
primo alloggio sono i gabinetti di decenza di Porta Nuova, l’asilo notturno di Via Ormea. Come li hanno
accolti? Come hanno provveduto in questi anni ai loro bisogni primari: il tetto, l’igiene, la scuola,
l’ospedale? In settembre-ottobre è prevista l’ennesima ondata , altri cinquemila. Le due catene di
montaggio della 128 allo stabilimento di Rivalta sono già pronte ad accoglierli. Ma dove andranno a
dormire?
Per accogliere i nuovi “napoli” che arriveranno a Torino entro la fine del ’69 occorrerebbero 15.000
alloggi. Ne saranno pronti prima dell’inverno appena 700. Le soluzioni proposte sono provvisorie:
l’ultima in ordine di tempo è quella di costruire baracche per 1500 nuovi immigrati nel territorio dei
comuni di Piossasco, Rivalta e Volvera. La logica industriale non si interessa dell’uomo al di fuori del
luogo di produzione.
Da M. Monicelli “Pelle d’immigrato” in “L’espresso” 1969
“napoli”: così erano chiamati a Torino gli immigrati meridionali
Porta Nuova: stazione ferroviaria di Torino
Rivalta: paese a 17 km da Torino sede di uno stabilimento della FIAT
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La fonte riporta la testimonianza di Felice Spingola, nato a Verbicaro (Cosenza) nel
1951, sindaco di Verbicaro, tratta da Nuto Revelli, L’anello forte, Einaudi Tascabili,
Totino 1985
“Verbicaro è un paese di emigranti. All’inizio del secolo i verbicaresi emigravano soprattutto negli Stati
Uniti, la California, ed anche nel sud America, in Argentina, Brasile, Uruguai, Venezuela. [...] Nel dopo
guerra l’emigrazione era poi rivolta verso la Francia, la Svizzera, la Germania. C’era poi l’emigrazione
interna. Con l’inizio degli anni cinquanta sono molti i verbicaresi che raggiungono la Liguria di ponente.
Taggia è l’altra Verbicaro in Italia. A Taggia ci saranno millecinquecento verbicaresi, se teniamo anche
conto dei figli poi nati là. Negli anni sessanta sono Milano e la Germania che diventano i grandi poli di
attrazione. [...]
Oggi Verbicaro ha quattromilasettecento abitanti. Dalla fine degli anni cinquanta ad oggi sono
millecinquecento i verbicaresi che sono emigrati nel nord Itali o all’estero. [...]
Qui erano tutti contadini, e quasi tutti contadini molto poveri. Quindi o emigrare o adattarsi a vivere
nella miseria. I miei ricordi degli anni cinquanta? I tre problemi che dominavano qui nel paese erano
questi: il lavoro, il libretto della mutua timbrato come garanzia per la salute, e l’istruzione per i figli.
Nella mia famiglia nulla era più importante che farmi studiare. [...]
Sono centotredici le donne di Verbicaro che si sono sposate al Nord, di cui alcune in provincia di Cuneo.
Questo fenomeno dei matrimoni tra le donne di qui ed i contadini del Piemonte incomincia verso la fine
degli anni cinquanta, tramite alcuni verbicaresi che lavoravano nell’Astigiano e nel Cuneese. Poi saranno
le donne sposate su che combineranno altri matrimoni, pur di portarsi qualche amica al Nord. [...]
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Analizza le seguenti poesie ed i canti dell’emigrazione trovando i temi ed i motivi ricorrenti
Emigranti (di Ignazio Buttitta)
Emigranti, cafoni, ignoranti, analfabeti,
gente di niente;
la valigia di cartone,provoloni e salame
mischiati nel fagotto alla frittata,
una parlata lenta, un sorriso spaurito,
i parenti sul marciapiedi vestiti di nero
con lo sguardo più smarrito di chi se ne va.
Chi teneva una vacca, chi teneva due palmi di terra
ora tiene un passaporto e un biglietto
per New York, Milano, Torino,
Vi presento compare Totonno, il compare Gigino,
tiene genio di lavorare
e fame……………
L'emigranti ripartinu
Ripartono gli emigranti
"Ottu jorna di festa
e ora si nni vannu
ca non è chiù Natali
e mancu Capudannu.
Ritornanu nta nivi
unni c'è negghia e scuru,
e c'è u patruni straniu
e c'è u travagghiu duru
Unni sunnu chiamati
pi nciùria, terroni
e l'òmini da Sicilia
non semu genti boni.
E partinu cu suli
nto trenu senza suli
...
Nto trenu senza suli
cu cori chi ci chianci:
'Addiu bedda Sicilia,
...Oh, terra mia d'aranci,
d'aranci e di canzuni;
u latti mi lu dasti
ma pani un mi nni duni'."
Ignazio Buttitta
Otto giorni di festa
e ora se ne vanno
che non è più Natale
e neanche Capodanno.
Ritornano nella neve
dove c’è nebbia e buio
e c’è un padrone straniero
e c’è lavoro duro
Dove sono chiamati
per ingiuria “terroni”
e l’uomini della Sicilia
non sono persone buone.
E partono con il sole
in un treno senza sole
…
In un treno senza sole
con il cuore che gli piange:
“Addio bella Sicilia,
….Oh terra mia d’aranci,
d’aranci e di canzoni,
il latte me l’hai dato
ma il pane non me lo doni.”
Ignazio Buttitta
Rosso Colore
Caro amico la mia lettera ti giunge da lontano
dal paese dove sono a lavorare
dove son stato cacciato da un governo malandrino
che ci spinge tutti quanti ad emigrare
Ho passato la frontiera con un peso in fondo al cuore
e una voglia prepotente di tornare,
di tornare nel paese dove son venuto al mondo
dove lascio tante cose da cambiare
……………………………………..
Verrà un giorno nel futuro che potremo ritornare
e staremo finalmente al nostro posto
finiremo di patire non dovremo più emigrare
perché un tale ce lo impone ad ogni costo
Torno a casa
Torno a casa, siamo in tanti sul treno
occhi stanchi, ma nel cuore il sereno
dopo tanti mesi di lavoro mi riposerò
la mia lingua sentirò, quel che dicon capirò…..
Dolce sposa, nel tuo letto riposa,
al mattino sai d’avermi vicino,
apri la valigia c’è il vestito che sognavi tu,
guardati allo specchio tu sei bella e non levarlo più
nostalgia che passa e va
chissà quando finirà………
Il treno che viene dal Sud
Il treno che viene dal Sud
non porta soltanto Marie
con le labbra di corallo
e gli occhi grandi così
Nel treno che viene dal Sud
sudore e mille valigie
occhi neri di gelosia
arrivederci Maria
Dal treno che viene dal Sud
discendono uomini cupi
che hanno in tasca la speranza
ma in cuore sentono che
questa nuova questa bella società
questa nuova grande società
non si farà, non si farà.
Sergio Endrigo
Con tanta nostalgia
Dimmi come stai,
io ti penso
dimmi dei figlioli
baciali per me.
Qui fa tanto freddo
piove sempre,
parlami del sole
che qui non c’è.
Sto in una baracca
come se fossi in guerra,
ma forse c’è la guerra ancora per me.
Cajati, Vaime, Cassini
Canto d’emigrazione
I campi si svuotano
si riempiono le officine
Sicilia, Puglia, Calabria
mille treni
parton di disperati.
Addio addio amore
nelle galere di Lombardia e Torino
Addio addio amore andiamo a crepare
giorno per giorno per poter campare.
Dario Fo 1974
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