RELAZIONE INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2005
Autorità, Signore e Signori:
Vi ringrazio – innanzitutto – per la Vostra presenza. L’attenzione,
partecipe e sensibile, che così dimostrate ai problemi della giustizia e della
magistratura, ci onora. E ci sprona ad impegnarci sempre di più (con la
preziosa collaborazione del personale amministrativo e della polizia
giudiziaria) per rendere un servizio che non sia troppo distante dalle
sacrosante pretese dei cittadini.
Quest’anno – come avrete notato – non è stato possibile stampare la
relazione del Procuratore generale. Il libretto distribuito (oltretutto in un
numero assai limitato di copie) contiene soltanto le statistiche elaborate
dal Ministero. Nel libretto sono anche ricordati, con rimpianto, tutti coloro
che ci hanno lasciati. Qui voglio aggiungere il dott. Umberto Agnelli, che
tanta parte ha avuto nella storia della città di Torino.
L’impossibilità di stampare la relazione è diretta conseguenza
dell’insufficienza dei fondi stanziati per le spese d’ufficio.
Insufficienza talmente grave e soffocante, che nel luglio scorso i
Procuratori della Repubblica del Distretto, dopo due incontri dedicati
all’esame della materia, hanno incaricato il Procuratore generale di
scrivere una nota al Ministro della Giustizia e ai suoi collaboratori, per
segnalare l’insostenibilità della situazione.
Riassumo la nota nei suoi principali passaggi:
• La situazione si sta avviando – quanto ad efficienza e funzionalità –
verso la soglia della ingestibilità, mettendo in forse la stessa
sopravvivenza degli uffici;
• Vi è un abisso ormai cronico tra quanto viene assegnato e le
richieste, pur essendo tali richieste motivate in base a ciò che non
può non essere speso e nel quadro di un faticoso, quotidiano
monitoraggio che riesce sì a comprimere la spesa, ma con effetti
spesso
mortificanti,
difficili
da
spiegare
all’interno
dell’amministrazione e ai terzi utenti;
1
• Per gli uffici di Procura del nostro Distretto, nel 2004 sono stati
assegnati euro 241.115,00 - a fronte di una richiesta quasi doppia,
pari ad euro 439.657,47;
• Proseguendo su questa strada si rischia la paralisi o quanto
meno un pesante rallentamento dell’attività;
• Negli adempimenti di segreteria, sta comunque
diventando
impossibile soddisfare le esigenze di celerità e tempestività
(valori costituzionali posti a presidio della ragionevolezza dei
tempi processuali, fondamento principe del giusto processo);
• Negli uffici del Distretto, si noti, non v’è traccia di spese voluttuarie
o sovrabbondanti;- le attività che si son dovute ridurre appartengono
tutte ad altra categoria;- ad esempio, non si possono più fornire testi
normativi aggiornati (indispensabili anche per il diluvio di
innovazioni che da anni contraddistingue la normazione penale,
civile e processuale);- ai magistrati onorari in servizio alla Procura di
Torino non possono essere fornite toghe (anche per uso collettivo)
da indossare in udienza, come il decoro della funzione vorrebbe;per far comunque fronte ad alcune urgenze, si è spesso costretti ad
“accettare” il supporto di una qualche pubblica amministrazione
locale, con evidenti rischi anche d’immagine.
La nota del luglio scorso al Ministro e ai suoi collaboratori si conclude
con le considerazioni seguenti:
• Siamo sicuri che mai presso il Ministero della Giustizia si è anche
solo ipotizzato che gli Uffici giudiziari debbano far meno o far
peggio o far più lentamente per calibrare resa e costi,
produzione e somme spendibili. Lo escludono il rispetto dovuto al
lavoro giudiziario e quello dovuto alle tante persone (indagati,
imputati, persone offese, parti nel processo civile, avvocati e
semplici richiedenti atti o certificati) che tutti i giorni si affannano
nelle nostre cancellerie e segreterie per ottenere ciò che di solito è
loro diritto e deve essere loro garantito;
• La tendenza all’impoverimento delle potenzialità e delle stesse
possibilità di lavoro degli Uffici, s’accompagna a ripetuti e costanti
inviti e moniti a spendere sempre meno e razionalizzare la spesa
(formula elegante per esprimere il primo concetto). Comprendiamo
questi inviti e moniti, ma li consideriamo per certi versi impropri,
poiché sembrano ignorare – con burocratica miopia – la serietà e
2
fatica con cui ci si è condotti in questi ultimi anni sul fronte del
contenimento della spesa. Ciò che è essenziale tale rimane e non
può essere ridotto (del superfluo o di quello che costituiva decoro
formale si è perso il ricordo da lungo tempo). Nessuna regola
economica, di bilancio o di spesa pubblica può intaccare
l’essenziale. Infatti, se si toglie l’essenziale si impedisce o si taglia
la stessa attività cui gli Uffici del Distretto sono istituzionalmente
chiamati.
Alla nostra lettera il Ministero ha subito risposto, segnalando un leggero
aumento degli stanziamenti del 2004 rispetto al 2003;- sottolineando i
problemi derivanti dal “decreto taglia spese”;- condividendo in ogni caso
“l’allarme paventato, in quanto esso rappresenta la situazione di tutti
gli uffici giudiziari d’Italia”;- rivendicando infine la propria buona
volontà per la soluzione di tali problemi.
Nessuno, ovviamente, pone in dubbio questa buona volontà. Ci
mancherebbe. Ma il problema è diverso. Costringere gli uffici a contenere
la spesa entro limiti sganciati dalla realtà, fissati a priori in base a
valutazioni di carattere meramente “ragionieristico”, senza considerare più
di tanto le concrete, specifiche esigenze del settore giudiziario, potrebbe
avere un senso se analogo contenimento fosse imposto ai mezzi in
dotazione al crimine e al malaffare, ovvero se si potesse ordinare in
qualche modo una riduzione della litigiosità. Ma poiché non risulta che
chi delinque si ponga problemi di bilancio nel programmare le sue
imprese, né risulta che qualcuno abbia mai pensato di rinunziare a
far valere quelli che considera suoi diritti per non gravare sulle
finanze dell’amministrazione della giustizia, allora – sarà banale, ma è
purtroppo semplicemente vero – impoverire gli uffici giudiziari significa
ridurre le possibilità di fare adeguatamente fronte alla domanda di
giustizia, penale e civile, che la collettività esprime. Significa rischio di
minor sicurezza o di minor tutela dei cittadini.
Di identico tenore le “doglianze” che esprime la magistratura giudicante.
La carenza di risorse finanziarie incide fortemente sull'adeguatezza delle
risorse materiali disponibili. Per esemplificare si può prendere in esame la
sezione GIP del Tribunale di Torino. Continuano ad essere in funzione
macchine fotocopiatrici obsolete, che richiedono ripetuti interventi di
manutenzione e riparazione (dunque: i frequenti stralci, imposti dai
3
diversi riti alternativi in processi di medie e grandi dimensioni,
soffrono tempi necessariamente più lenti, imposti dal materiale
inadeguato disponibile). Non tutte le aule di udienza sono dotate di
impianti fissi di fonoregistrazione (dunque: se è necessaria la
registrazione dell'udienza, occorre coordinarsi tra giudici e
cancellerie per trovare la giornata in cui l'aula idonea è libera da
altre udienze). La sezione non dispone di uno - neanche
uno! - scanner (di conseguenza: più fotocopie, maggiore usura delle
fotocopiatrici esistenti, le vecchie e le nuove).
Presso il Tribunale di Torino, il servizio di fono-registrazione delle
udienze penali (in molti casi obbligatorio per legge) è a rischio di
paralisi. Il 25 giugno 2004 il Ministero ha emanato una circolare con
cui ha imposto condizioni uniformi per le gare annuali, fra le quali un
prezzo base (per pagina trascritta) inferiore a quello di mercato. La
conseguenza è stata disastrosa:
a) una delle due società che ha sempre vinto le gare degli scorsi anni
ha deciso di non partecipare al bando per il 2005 ed ha chiuso
l’attività, licenziando i dipendenti;
b) le altre imprese invitate non hanno formulato offerte e (seguendo
una strategia consigliata dalle loro associazioni nazionali) hanno
presentato una dichiarazione comune, giudicando “non congruo”
il prezzo indicato dal Ministero.
La gara per il 2005, pertanto, è andata praticamente deserta. Intanto,
alla fine del 2004 il servizio è rimasto scoperto al 50% a causa della
cessazione di attività, con decorrenza 15 ottobre 2004, di una delle due
imprese aggiudicatarie.
Alla impresa superstite è stata concessa una proroga, scaduta la quale –
nel febbraio 2005 - il servizio dovrà probabilmente cessare.
Non si vedono vie d’uscita, a meno che il Presidente del Tribunale:
- non assuma in proprio la responsabilità di proseguire il servizio in
regime di prorogatio (soluzione di dubbia legittimità, suscettibile
di reazioni da parte dei concorrenti);
- non indìca una gara a condizioni diverse da quelle ministeriali
(soluzione che lo esporrebbe a rischi pressoché certi di
responsabilità contabile).
4
Come non bastasse, l’emergenza dei mezzi si intreccia con quella
delle risorse umane. Il Tribunale di Torino soffre di una scopertura
nel personale amministrativo - considerate tutte le qualifiche - pari al
18,49% – La percentuale diventa addirittura del 25,40% se si
considerano le qualifiche “strategiche”1. Intorno al 20% è la scopertura
della Corte d’Appello, ma vi sono uffici del Distretto che versano in
condizioni decisamente peggiori2. E le cifre sono tali che davvero non
occorrono commenti.
***********************
Il discorso ora svolto per le cosiddette spese d’ufficio può sostanzialmente
ripetersi per le cosiddette spese di giustizia. Tradizionalmente esse erano
iscritte a “Modello 12”, incidevano sul Ministero dell’Economia e delle
Finanze, potevano essere disposte di fatto senza limiti, salvi i controlli
della Corte dei Conti. Ora le cose sono cambiate, in forza di una legge del
2002 riguardante l’assestamento del bilancio dello Stato, nel senso che le
spese di giustizia gravano sul bilancio del Ministero della Giustizia, con
previsione per esse di un “tetto” che non si può “sfondare”.
La riforma (pur presentando alcuni aspetti positivi) rischia di provocare
una serie di problemi a catena nel funzionamento degli uffici giudiziari.
Nella seduta 7.10.2003 della Commissione Giustizia del Senato, il
Ministro Guardasigilli - definita “assolutamente epocale” la riforma in
oggetto - vi ha ricollegato la necessità di <far nascere nel mondo della
magistratura la cultura del controllo del ‘budget’>, ma anche il problema
di <intervenire sui principi costituzionali che informano l’azione penale>.
Posto che ogni anno non si potrà spendere più della somma stanziata nel
capitolo relativo alle spese di giustizia (numero 1360), e che il Tesoro sottolinea il Ministro - non intende aumentare la capienza volta a volta
stabilita, il Guardasigilli ha sostenuto che <bisognerà individuare un
soggetto, ad esempio presso l’amministrazione centrale oppure presso le
corti d’appello, in grado di monitorare le spese di giustizia, che oggi sono
(secondo il Ministro) assolutamente fuori controllo>. Ed ha concluso
chiedendosi “Quando saranno finiti i soldi, perché saranno stati sprecati,
cosa faremo?”.
1
- Direttore di cancelleria C3 (scopertura del 61,54%) – Cancelliere C2 (60,42%) – Cancelliere C1 (0,00%) Cancelliere B3 (30,23%).
2
- Come i Tribunali di Acqui (30% di scopertura), Alessandria (48%), Biella (30%), Ivrea (30%), Mondovì (36%),
Pinerolo (35%), Tortona (45%), Verbania (45%), e come alcuni uffici dei Giudici di pace (a Santo Stefano e Perosa
Argentina la scopertura è del 100%). I dati ora indicati si riferiscono al settembre 2004. L’apporto dei lavoratori a
tempo determinato e dei “trimestrali”, pur utile, modifica di poco la situazione.
5
L’interrogativo del Ministro è sacrosanto. Lo sarebbe ancor più se fosse
posto con riferimento all’ipotesi che i soldi finiscano anche senza
sprechi, com’è ben possibile, per non dire sicuro: visto l’enorme scarto
fra la “domanda” degli uffici giudiziari ed il “tetto” decretato dal Governo.
Sacrosanto interrogativo, perché comporta (come ha osservato un
Senatore intervenendo nel dibattito di Commissione) anche l’esigenza –
una volta finiti i soldi – di ... “non farlo sapere ai delinquenti”.
Perché si può – e si deve – essere d’accordo che le spese di giustizia
abbiano dei limiti e che vi siano adeguati controlli per evitare gli sprechi.
Si sa bene, infatti, che le risorse sono limitate e che occorre stabilire delle
priorità. Ma devono essere chiare le conseguenze delle scelte operate.
In quest’ottica, è evidente che un taglio secco delle spese di giustizia
(aprioristicamente ed irreversibilmente stabilito in base ad esigenze
meramente contabili valutate come “in vitro”;- senza combinarle con le
esigenze concrete delle indagini e delle altre attività di giustizia;- senza
nessuna possibilità di adattamento all’effettività delle situazioni da
affrontare o delle emergenze contingenti), un taglio secco di fatto
potrebbe tradursi in un non indifferente condizionamento dell’attività
dell’Autorità giudiziaria, costretta a ridimensionare i suoi interventi e
quindi la sua capacità di risposta alla domanda di giustizia proveniente dal
Paese. Un Paese in cui i fenomeni criminali (estesi e diffusi come ognun
sa) non sono certo frutto dell’immaginazione di qualche “giustizialista”,
ma la quotidiana realtà, percepita con preoccupazione ed allarme da tutti i
cittadini onesti.
Va dato atto al Guardasigilli di aver ben presenti anche questi profili, che
egli stesso ha esposto nel corso di un incontro del settembre scorso, in
Roma, con i Presidenti delle Corti d’Appello, i Procuratori Generali ed i
Dirigenti amministrativi. Quel che a noi sembra giusto chiedere, allora, è
che si proceda ad una completa revisione delle voci destinate ad
alimentare il capitolo 1360 delle spese di giustizia.
Oggi questo capitolo comprende: “spese per testimoni, spese per custodi,
spese per giudici popolari, trasferte per funzioni dei magistrati, patrocinio
a spese dello Stato, difensori d’ufficio, ufficiali giudiziari, compensi della
magistratura onoraria, intercettazioni telefoniche, altre spese non
6
classificabili” (così il Ministro nella già citata seduta della Commissione
giustizia del Senato 7.10.03). Come si vede, sono ricompresse nello stesso
capitolo voci tutt’affatto eterogenee. E la singolare conseguenza di ciò
rischia di essere che le spese per il gratuito patrocinio e per la difesa
d’ufficio vadano a scapito di quelle sostenute dallo Stato per indagare
e punire i reati che affliggono il Paese. Anche le prime sono spese
necessarie – sia ben chiaro - e però sarebbe giusto collocarle in altro
separato capitolo, senza farle incidere sulle indagini e sulle altre attività di
accertamento della responsabilità penale.
Quelle per il gratuito patrocinio (ripeto a scanso di equivoci) sono spese
necessarie, ma stanno crescendo in misura impressionante, fino al punto
che ( insieme alle indennità dei magistrati onorari) finiranno per lasciare
ben poco alla spese di giustizia strettamente intese. Troppo poco. Con la
conseguenza che si potrebbe persino temere – con paradossale ironia –
che alle tradizionali formule di proscioglimento per mancanza di prove se
ne possa aggiungere una nuova: assolto per mancanza di fondi…
Il problema, dunque, è grave. Le spese per le intercettazioni telefoniche, le
spese per le consulenze tecniche e le perizie, le spese le missioni delle
forze di polizia giudiziaria (che andrebbero ridistribuite tra i vari Ministeri
interessati, e non fatte gravare esclusivamente sul Ministero della
giustizia), tutte queste spese debbono essere ancorate al perimetro
dell’effettiva necessità, ma non possono essere compresse al di sotto di
questo limite. Evitare gli sprechi va bene, ma non è spreco ciò che
risulta (anche a seguito di adeguate verifiche) necessario
all’accertamento della verità e alla tutela dei diritti dei cittadini. Se
non fosse possibile spendere quel che è necessario per garantire sicurezza
e diritti, sarebbero per primi i cittadini a doverne subire pesanti, negative
conseguenze.
Senza dimenticare le ricadute sul principio costituzionale
dell’obbligatorietà dell’azione penale, che l’indisponibilità di fondi
(meglio: la disponibilità di fondi esclusivamente sotto un tetto stabilito
come invalicabile dal potere esecutivo, unico ed esclusivo regolatore del
“rubinetto” delle erogazioni) potrebbe alla fine svuotare di concretezza.
E non si dica che i guai – in tema di spese di giustizia – nascono
dall’eccessivo ricorso alle intercettazioni telefoniche o ambientali. Certo
7
anche qui vi sono problemi di controlli per evitare eventuali sprechi.
Senza mai dimenticare – però – che in un paese in cui la criminalità
organizzata ha ancora tanto potere, “sterilizzare” uno strumento
d’indagine insostituibile – per considerazioni legate a prospettive che
siano non di risparmio controllato ma di….lesina – finirebbe per essere
miope. Tanto più in un periodo in cui l’altrettanto indispensabile
contributo dei “collaboratori di giustizia” sembra essersi pressoché
esaurito.3
******************
Fare un po’ di “conti”, come ho cercato di fare nella prima parte della
relazione, mi sembra di decisiva importanza. Perché, se i “conti”
dimostrano un costante, sostanziale impoverimento dell’amministrazione
della giustizia, invece che un obiettivo possibile, la giustizia diventa
una grande illusione, se non un inganno. Ma in questo modo si alimenta
e si rafforza quella sfiducia verso la giustizia che già è ampiamente diffusa
fra i cittadini italiani.
Di ragioni (reali o strumentalmente indotte) per non avere fiducia nella
giustizia i cittadini ne hanno, purtroppo, davvero molte:
• Soffrono sulla loro pelle i tempi vergognosamente lunghi ed i costi
elevatissimi di un processo incomprensibile e farraginoso;
• Rilevano che il servizio giudiziario, oltre ad essere inefficiente, è
incapace di produrre – come dovrebbe – eguaglianza;- e che la
disuguaglianza è aggravata dalla filosofia dei condoni e delle leggi
che, quando non sono “ad personam”, sono “sui et sibi”, cioè non
dettate da interessi generali;
• Avvertono (forse confusamente, ma lo avvertono) che il modello
penale “mite” riguarda solo i rami alti della società: come
plasticamente indicato dal nuovo art. 624 bis codice penale
(introdotto con legge 128/2001), che ha reso il borseggio di pochi
spiccioli – nella tavola dei valori tutelati – più grave della corruzione
3
- Quanto alla ripetibilità di alcune spese, è a tutti noto che si tratta di previsione soprattutto teorica, perché in sede di
recupero molto spesso lo Stato ottiene poco o nulla, comunque assai meno di quel che ha dovuto spendere.
Va poi detto che nella “Finanziaria 2005” i costi delle intercettazioni verranno coperti dal Ministero della giustizia,
pagando un canone annuo e non più con riferimento alla singola prestazione. Con quali ricadute sull’operativià
quotidiana dei singoli uffici non è, ovviamente, ancora dato sapere.
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miliardaria; e come confermato dalla trasformazione del falso in
bilancio in reperto d’archivio;Chiedono sicurezza, ma spesso ottengono soltanto proclami
elettorali o campagne mediatiche di vuota rassicurazione;
Sono disorientati dalle polemiche e dai dibattiti a senso unico che
accompagnano ogni processo di rilievo (spesso veri e propri
“teatrini” costruiti ad arte nei salotti televisivi);
A forza di sentirselo ripetere in modo martellante, anche da “pulpiti”
istituzionali autorevolissimi, alla fine finiscono per credere che sia
buono e giusto definire i magistrati “associazione a delinquere” o
“cancro da estirpare”;
Ma non si raccapezzano più, quando constatano che proprio a questi
“inaffidabili” giudici vengono assegnati sempre nuovi compiti,
essendo l’Italia (come sappiamo) il paese in cui persino i campionati
di football aspettano – per il calcio d’inizio – il fischio di un
Tribunale;
E ancor meno si raccapezzano se apprendono che
nel
2001,2002,2003 e 2004 si sono prescritti – rispettivamente 123mila, 151mila, 184mila e circa 210mila procedimenti e che a
fronte di questi dati impressionanti (in costante, inesorabile crescita),
invece di sforzarsi di diminuire i casi di prescrizione riducendo
drasticamente la durata dei processi, è in cantiere una riforma che
abbatte i tempi entro cui si può accertare se e da chi un reato è stato
effettivamente commesso, causando inevitabilmente un ulteriore
aumento delle prescrizioni: una specie di resa, di rinunzia alla
pretesa punitiva per una fascia estesissima di reati;- l’esatto contrario
di un sistema giustizia efficiente e moderno 4
Questa sfiducia ( o disorientamento) dei cittadini preoccupa e
inquieta. Più che gli insulti di alcuni vertici istituzionali. Perché
l’impopolarità nelle stanze del potere, per una giurisdizione indipendente,
è fisiologica (talora, per chi voglia fare il suo dovere senza sconti o
ammiccamenti, tenendo la schiena dritta, addirittura necessaria). Ma una
società che perde la fiducia nella giustizia e nei suoi magistrati è una
4
- I dati sopra riferiti sono desunti dall’intervento del Guardasigilli alla Camera dei Deputati nella seduta del 16
dicembre 2004, N. 561; si noti che per il 2004 il Ministro ha parlato di trend tendente a 210mila prescrizioni
nell’intiero anno, partendo dal dato del primo semestre, pari a 105mila prescrizioni.
9
società a rischio. Inevitabilmente esposta al pericolo di derive
patologiche, illiberali e disgreganti.
In democrazia, infatti, la fiducia dei cittadini nella giustizia e nei magistrati
non è un optional, ma un elemento strutturale. Perciò, è essenziale per la
saldezza della democrazia che questa fiducia sia recuperata. Dove fiducia
non significa condivisione di questa o quella decisione (il giudice risolve
conflitti e non può – per definizione – essere ugualmente apprezzato da
tutti i contendenti). Neppure significa consenso, poiché ai giudici compete
decidere in base alle regole, non secondo le aspettative di questo o di
quello, si tratti pure della maggioranza del momento. Fiducia significa
accettazione del ruolo sociale della giurisdizione, accettazione condivisa
da tutti, in un quadro di controllo sociale sull’operato della magistratura e
di legittimità di tutte le critiche argomentate.
Nel recupero di fiducia, un ruolo centrale hanno gli stessi magistrati.
Prima di tutto sottoponendosi senza riserve a quel controllo e a quelle
critiche e assumendosi (ad ogni livello) le responsabilità conseguenti. Poi
acquisendo (tutta la magistratura, in ogni sua articolazione) la capacità di
un maggior rigore sul versante delle insufficienze, impreparazioni e
cadute di professionalità che ancora ci vengono – anche giustamente rimproverate.
Decisivi sono pure i comportamenti quotidiani. Nella sua carriera, ogni
magistrato incontra migliaia di cittadini. Non ne ricorderà quasi nessuno,
mentre si può essere sicuri che ognuna delle persone incontrate dal
magistrato si ricorderà di lui. E lo giudicherà bene (indipendentemente dal
fatto che abbia avuto torto o ragione) se il magistrato sarà stato disponibile
e non arrogante, rispettoso delle persone e capace di ascoltarle invece che
burocraticamente ottuso, equilibrato ed attento anziché scostante e
frettoloso. E’ anche in questo modo, giorno dopo giorno, con umiltà, che si
conquista la fiducia dei cittadini.
Spetta ai magistrati, inoltre, organizzare al meglio il proprio lavoro,
eliminando ovunque si annidino eventuali “sacche di neghittosità”.
Esigenza di cui i magistrati sono ben consapevoli (come dell’importanza
della posta in gioco), al punto da presentare al Ministro – come ANM concrete proposte di controlli quadriennali sulla produttività, con riduzione
dello stipendio per chi non lavori abbastanza. Sono quindi gli stessi
10
magistrati ad aver fatto propria la sfida della professionalità, con proposte
che nessun’altra categoria sindacale al mondo ha mai neppure ipotizzato
per i suoi associati.
***********************
Ma non spetta soltanto ai magistrati ( neppure spetta soprattutto ai
magistrati) operare per il recupero di efficienza e quindi di credibilità
dell’amministrazione della giustizia. Una grande occasione, per fare
qualcosa di concreto in questa direzione, c’era. In teoria c’è ancora. Era (
ed è) la riforma dell’ordinamento giudiziario. E’stata invece – e c’è il
timore che possa continuare ad essere – una grande occasione sprecata.
Il vero problema della giustizia italiana, il problema dei problemi, è la
durata eccessiva dei processi. Se i processi non finiscono mai, non c’è
giustizia, ma denegata giustizia. Su questo versante innanzitutto un
riformatore responsabile ha il dovere di intervenire. E’ proprio su questo
versante, invece, che la legge delega di riforma dell’ordinamento
giudiziario approvata dal Parlamento non contiene niente di niente. Le
interminabili, intollerabili lungaggini dei processi non si ridurranno
neanche di un piccolissimo giorno. Anzi: la carriera dei magistrati viene
pensata come una specie di “concorsificio”, con la conseguenza che –
dovendo i magistrati distogliere parte del proprio tempo per sostenere un
esame dopo l’altro – la durata dei processi è destinata ineluttabilmente a
crescere. Ecco perché la riforma – purtroppo - è stata fin qui
un’occasione, una grande occasione, semplicemente sprecata.
Fermo l’assoluto rispetto dovuto alle prerogative del Parlamento;- fermo
altresì l’inderogabile dovere della magistratura di applicare lealmente tutte
le leggi della Repubblica;- vi è tuttavia il diritto-dovere di ciascuno di
ragionare intorno alle conseguenze che potrebbero derivare dalla legge,
pur lealmente osservandola. Conseguenze obiettive, che prescindono dal
tipo di maggioranza contingente e quindi dall’essere al governo questo o
quello.
In quest’ottica, è diffusa la preoccupazione che possa trattarsi non di una
riforma della giustizia, ma di una riforma dei giudici. Che invece di
farsi carico di migliorare l’efficienza del sistema giustizia, si punti ad un
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altro obiettivo: controllare i giudici, sterilizzare l’indipendenza della
magistratura, “colpevole” di aver fatto il suo dovere indirizzando il
controllo di legalità non solo verso i deboli e gli emarginati, ma anche
(ricorrendone i presupposti in fatto e diritto) verso i “colletti bianchi” e
verso le deviazioni del potere.
A questo tipo di controllo dei magistrati inesorabilmente si arriva ogni
volta che si svuoti di decisivi poteri il CSM, argine che la Costituzione
pone a difesa dell’indipendenza della magistratura . Se si indebolisce
questa indipendenza, cede una condizione indispensabile per
l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Il rischio è che si torni
agli anni Cinquanta. Quando la magistratura era un corpo culturalmente e
socialmente inserito nell’orbita del potere dominante. Il rischio è che la
scritta “La legge è uguale per tutti”, che campeggia nelle aule dei tribunali,
torni ad essere non un’indicazione di percorso concretamente praticabile,
ma una vuota formula.
Nella filosofia della riforma, poi, appaiono univocamente delineate solide
premesse che porteranno alla separazione non delle funzioni (sulla cui
necessità più nessuno avanza dubbi o riserve) ma delle carriere fra
PM e giudici. Ovunque (in tutti i Paesi del mondo che la prevedono),
separazione delle carriere significa che il PM – per un verso o per l’altro deve adeguarsi alle direttive del Governo. La storia del nostro Paese ha già
conosciuto, nel passato, forme di controllo politico del PM. Sono state
esperienze negative. Perché ritornare ad esse oggi? - Oggi, quando alcuni
imputati “di peso” (come l’esperienza ci mostra) hanno a volte la
tentazione di non considerarsi eguali agli altri di fronte alla legge e di
“aggredire” i magistrati che abbiano la ventura di doversi occupare di loro.
Introdurre la separazione, poi, sarebbe in contrasto con quella
raccomandazione del comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli
stati membri (6 ottobre 2000 – punto 18) che richiede “provvedimenti
concreti al fine di consentire ad una stessa persona di svolgere
successivamente le funzioni di PM e quelle di giudice o viceversa”.
Il nuovo ordinamento disegna un’organizzazione iper-gerarchica delle
Procure, mettendo di fatto sotto tutela l’obbligatorietà dell’azione penale.
Il dirigente della Procura potrà – se vorrà – comportarsi sostanzialmente
come un capo-padrone ed i PM del suo ufficio potrebbero ritrovarsi con
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ben pochi margini per quell’esercizio dell’azione penale diffusa che ha
consentito - negli ultimi decenni – importanti risultati nella tutela di diritti
fondamentali come la salute, la sicurezza sul lavoro, l’ambiente.
Tanto più che gli uffici direttivi rischiano di essere assegnati non tanto a
chi ha autorevolezza e capacità organizzative, quanto piuttosto a chi viene
cooptato dall’alto, posto che i relativi concorsi sembrano congegnati
prevalentemente come “prove di omogeneità culturale”. Riesumando quel
“buon tempo antico” che Franco Cordero ha scolpito con queste parole:
<… i selettori erano alti magistrati col piede nella sfera ministeriale; tale
struttura a piramide orientava il codice genetico; l’imprinting escludeva
scelte, gesti, gusti ripugnanti alla biensèance filogovernativa; ed essendo
una sciagura l’essere discriminati, come in ogni carriera burocratica,
regnava l’impulso mimetico>.
Nel contempo, la riforma spalanca di fatto le porte ad eventuali forme di
controllo politico del Governo (poco importa, ovviamente di quale
colore) sull’attività giudiziaria. Estraneità al dibattito culturale - quasi
un bavaglio - e conseguente conformismo si profilano come possibile
stigma dei magistrati che vogliano evitare noie disciplinari.
In sostanza: tassello su tassello, sembra delinearsi un disegno che potrebbe
favorire, nell’esercizio della giurisdizione, la gerarchizzazione e la
burocratizzazione, vale a dire un’interpretazione del proprio ruolo che
contrasta con una completa indipendenza e con la soggezione dei giudici
soltanto alla legge, facilitando altre dipendenze: dal palazzo e dai suoi
esponenti, dalle contingenti maggioranze (quale che sia, ovviamente, il
loro segno o colore), dai potentati economici o culturali.
E’ per le preoccupazioni ricollegabili a questo disegno che la magistratura
italiana si è trovata costretta, con sofferenza, cercando di ridurre al minimo
i disagi causati, persino a scioperare. Perché vuole poter continuare ad
esercitare le sue funzioni ispirandosi al primato dell’uguaglianza e dei
diritti.
Perché ritiene contrario a giustizia e all’interesse dei cittadini che il metro
di valutazione degli interventi giudiziari non sia quello della correttezza e
del rigore, ma quello dell’utilità, misurata sui rapporti di forza contingenti.
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Perché è ben consapevole che la propria indipendenza non garantisce in
modo meccanico giustizia, libertà ed uguaglianza per tutti, ma è una
delle condizioni per rendere possibile tale risultato. Risultato verso cui
la magistratura italiana, pur coi suoi limiti e le sue insufficienze, ha da
tempo intrapreso una “lunga marcia”. Ancora incompiuta, è vero. Ma
che chiediamo di poter continuare. Senza privilegi o penalizzazioni per
nessuno. Semplicemente attuando – per tutti - il controllo di legalità
previsto dalla legge, e dando risposta (senza distinzioni) a chiunque
deduca la lesione di propri diritti.
Con il messaggio alle Camere che richiede una nuova deliberazione sulla
legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario, il Capo dello
Stato - rilevando un palese contrasto con vari articoli della Costituzione5 ha riaperto la discussione ed il confronto.
Ora il Parlamento è chiamato a valutare i rilievi del Presidente della
Repubblica, che sostanzialmente riguardano, da un lato, l’esigenza di non
svuotare di effettività i poteri del CSM;- e dall’altro l’esclusione in capo
al Ministro di poteri che oltrepassino il limite costituzionale
dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi, evitando che sia
intaccato il principio – fondamentale in democrazia – della separazione dei
poteri .
L’auspicio del Capo dello Stato è che alla versione ultima della riforma,
partendo da queste basi, si approdi mediante scelte largamente condivise,
essendo quella sull’ordinamento giudiziario una legge di diretta attuazione
della Costituzione.
La mia speranza è che in questo modo possano svanire molte delle
preoccupazioni sopra prospettate. Spero anche che non si dimentichi
l’insegnamento del Federalist di Alexander Hamilton: < il giudiziario è
senza paragone il più debole dei tre rami del potere e non può insidiare
con successo alcuno degli altri due; per questo ogni possibile precauzione
deve essere adottata per difenderlo dagli attacchi degli altri. Del pari,
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- In particolare , come testualmente citati nel messaggio presidenziale: l’articolo 101, in base al quale i giudici “sono
soggetti soltanto alla legge”;- l’art. 104, secondo cui “la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da
ogni altro potere”;- l’art.110, che, nel definire le attribuzioni del Ministro della giustizia, le limita – “ferme le
competenze del CSM” – alla “organizzazione” e al “funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”;- l’art. 112, in base
al quale “il PM ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”;- oltre all’intiero titolo IV, parte seconda, della Costituzione,
in base al quale (annota il messaggio) “ l’esercizio autonomo ed indipendente dell’azione giudiziaria è pienamente
tutelato, sia nei confronti del potere esecutivo, sia rispetto alle stesse attribuzioni del CSM”.
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sebbene l’oppressione di un individuo possa ora e in futuro esser
conseguenza di decisioni delle corti di giustizia, le libertà fondamentali
del popolo non possono mai essere messe in pericolo da questa branca del
potere; ciò sin quando il giudiziario rimanga effettivamente separato dal
legislativo e dall’esecutivo>.
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Qui mi fermo. Il quadro che ho ritenuto doveroso tracciare è cupo, per
certi versi suscettibile di preoccupanti sviluppi. Per questo, chiedendo
scusa a tutti i Colleghi, ho ritenuto di concentrare su di esso la relazione,
togliendo spazio al tradizionale resoconto analitico dell’attività della Corte
d’Appello, dei Tribunali e delle Procure del Distretto.
In ogni caso, i dati relativi, elaborati grazie ai preziosi resoconti forniti
dai Dirigenti dei vari uffici, saranno presto disponibili sul sito web della
Procura generale (www.comune.torino.it\procuragenerale).
So bene, e ne voglio qui darne formale testimonianza, quanti lodevoli
sforzi siano quotidianamente posti in essere ad Acqui come ad Alba, ad
Alessandria come ad Aosta, ad Asti come a Biella, a Casale come a
Cuneo, ad Ivrea come a Mondovì, a Novara come a Pinerolo, a Saluzzo
come a Tortona, a Verbania come a Vercelli e Torino: nei Tribunali e
nelle Procure ordinarie come negli uffici di Sorveglianza e dei Minori.
I risultati complessivamente ottenuti nel Distretto, nel campo civile come
in quello penale, con il decisivo concorso della magistratura onoraria, sono
di assoluto rilievo, specie se rapportati alle incredibili carenze d’organico
che ovunque affliggono il personale ausiliario (è dal 2001 che non si
svolge più nessun concorso per l’assunzione di personale amministrativo).
Ma è la possibilità stessa di confermarli in futuro che risulta
fortemente a rischio, per i problemi strutturali cui - lo ribadisco – mi è
sembrato doveroso limitare le mie considerazioni in questa sede di
inaugurazione dell’anno giudiziario, al fine di meglio evidenziare la
gravità della situazione generale.
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Non si può confidare sempre e soltanto sullo spirito di sacrificio – ai
limiti della materiale sopportabilità - dei componenti degli uffici giudiziari.
L’inefficienza non è ineluttabile. Il quadro esistente, per quanto cupo,
resta aperto a soluzioni migliorative. Cambiare e migliorare è possibile.
Basta volerlo.
Ed è con l’auspicio che si facciano presto, finalmente, concreti passi avanti
sul terreno delle soluzioni possibili per il miglioramento del servizio
giustizia, abbandonando la strada della mortificazione dell’efficienza e
dell’indipendenza della magistratura;è con questo fermo auspicio, ringraziando tutti i presenti per la loro
cortese attenzione, che Le chiedo – signor Presidente – di voler
dichiarare aperto l’anno giudiziario 2005 del Distretto della Corte
d’appello di Torino.
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relazione inaugurazione anno giudiziario 2005