22. La fortuna di Livio nelle arti figurative Il ratto delle Sabine, lo scontro tra Orazi e Curiazi e lo stupro di Lucrezia in pittura Le vicende narrate da Tito Livio, sebbene non sempre attendibili da un punto di vista storico, hanno esercitato un fascino enorme, soprattutto nel campo dell’arte figurativa. In questa sezione ti proponiamo alcune opere ispirate a tre episodi famosissimi dell’opera liviana: il ratto delle Sabine, lo scontro tra Orazi e Curiazi e lo stupro di Lucrezia. Ecco come Dante Alighieri nel Paradiso (VI 37-42) sintetizza in tre versi queste vicende (l’imperatore Giustiniano sta parlando a Dante dell’Impero romano): Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora per trecento anni e oltre, infino al fine che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. E sai ch’el fé dal mal de le Sabine al dolor di Lucrezia in sette regi, vincendo intorno le genti vicine. Il ratto delle Sabine Tra gli episodi che riguardano i primordi della storia romana, Livio racconta (I 913) che, dopo la fondazione di Roma, Romolo si rivolse alle popolazioni confinanti per stringere alleanze ed ottenere delle donne con cui poter popolare la nuova città. Di fronte al rifiuto dei vicini, Romolo organizzò un grande spettacolo per attirare i popoli limitrofi e rapirne le donne. Tra questi vi erano i Sabini, i quali nei combattimenti successivi al ratto non vennero sconfitti grazie soprattutto all’intervento delle stesse donne rapite, che pregarono entrambe le parti in guerra di non versare più sangue. Questa è la leggenda che Livio pone all’origine dell’alleanza tra romani e sabini. Tum Sabinae mulieres, quarum ex iniuria bellum ortum erat, crinibus passis scissaque ueste, uicto malis muliebri pauore, ausae se inter tela uolantia inferre, ex transuerso impetu facto dirimere infestas acies, dirimere iras, hinc patres, hinc patres, hinc uiros orantes, ne se sanguine nefando soceri generique respergerent, ne parricidio macularent partus suos, nepotum illi, hi liberum progeniem. "Si adfinitatis inter uos, si conubii piget, in nos uertite iras; nos causa belli, nos uolnerum ac caedium uiris ac parentibus sumus; melius peribimus quam sine alteris uestrum uiduae aut orbae uiuemus." Mouet res cum multitudinem tum duces; silentium et repentina fit quies; inde ad foedus faciendum duces prodeunt. Nec pacem modo sed ciuitatem unam ex duabus faciunt. Regnum consociant: imperium omne conferunt Romam. Ita geminata urbe ut Sabinis tamen aliquid daretur Quirites a Curibus appellati. Diversi furono i pittori e gli artisti che rimasero affascinati da questa leggenda. Ne ricordiamo alcuni. Pietro da Cortona (1597 - 1669) dipinse il Ratto delle Sabine che attualmente si trova nella pinacoteca dei Musei Capitolini. P. da Cortona, Ratto delle Sabine, olio su tela, cm 275 x 423, Pinacoteca dei Musei capitolini, Roma (tratto dal sito http://www2.comune.roma.it/museicapitolini/pinacoteca/visita/sala8_sabine.htm). Nicolas Poussin (1594-1665), pittore francese, dipinse Il ratto delle Sabine. N. Poussin, Il ratto delle Sabine, olio su tela, 159 206 cm, Museo del Louvre, Parigi (tratto dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Nicolas_Poussin_015.jpg#filelinks). Un altro pittore italiano, Luca Giordano (1634-1705) dedicò un quadro all’episodio liviano. L. Giordano, Il ratto delle Sabine, olio su tela, Collezione Piero Pagano, Genova (tratto dal sito http://www.nga.gov.au/international/Catalogue/Detail.cfm?IRN=23215&ViewID=2&GalID=ALL). In Piazza della Signoria a Firenze si trova una scultura del Giambologna (pseudonimo di Jean de Boulogne 1529-1608, pittore fiammingo) ispirata anch’essa alla stessa leggenda. Giambologna, Ratto delle Sabine, Piazza della Signoria, Firenze (tratto dal sito http://www.scultura-italiana.com/Galleria/Giambologna/imagepages/image67.html). Ma l’opera più famosa riguardante questa leggenda è di certo quella del pittore neoclassico francese Jacques-Louis David (1784-1825)1: i primi schizzi di questa tela vennero effettuati durante i mesi di prigionia e l’opera fu terminata nel 1799. Vediamo raffigurati i due schieramenti separati da Ersilia, moglie di Romolo, e dalle altre donne sabine che mostrano i figli, gesto che vuole indurre i due popoli a deporre le armi. Le donne, che nei quadri precedenti venivano raffigurate solo come prede, qui diventano invece parte attiva ed impongono la loro pacifica autorità agli uomini. 1 Per saperne di più sulla biografia e le altre opere di J.-L. David vai sul sito http://www.centroarte.com/David%20Jacques%20Louis.htm. J.-L- David, Le Sabine, olio su tela, cm 385 x 522, Museo del Louvre, Parigi (tratto dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Le_Sabine). Orazi e Curiazi Si tratta di un altro episodio leggendario legato ai primi tempi della fondazione di Roma. Livio racconta (I 24-26) che sotto il regno di Tullo Ostilio (VII a.C.) Roma e la vicina Alba Longa entrarono in guerra. Ma le due città condividevano una sacra discendenza che rendeva empio questo conflitto – Romolo e Remo erano figli di Rea Silvia, la quale era figlia di Amulio, re di Alba Longa – e per tale motivo i rispettivi sovrani decisero di affidare le sorti della guerra ad una sfida con la spada tra due gruppi di rappresentanti di ciascuna città: per Roma furono scelti gli Orazi (tre fratelli figli di Publio Orazio) e per Alba Longa i Curiazi (tre gemelli). Dopo il ferimento dei primi due Orazi, la vittoria sembrava sicura per Alba Longa, ma alla fine l’unico Orazio superstite riuscì a ribaltare le sorti del duello e a vincere. Così la città di Alba Longa fu sottomessa a Roma. La vicenda, però, ebbe anche un epilogo tragico: Camilla Orazia, promessa sposa ad uno dei Curiazi uccisi, rimproverò violentemente il fratello del delitto e questi la uccise. Riprende il racconto liviano, complicandone la trama, l’Horace di Pierre Corneille del 1640, tragedia in 5 atti. Mentre Tito Livio narra che la sorella dell'Orazio vittorioso era fidanzata a uno dei tre Curiazi uccisi, che il suo pianto per la perdita dell'amato irritò il vincitore al punto ch'egli uccise anche lei e che Orazio fu graziato dal popolo per le implorazioni di suo padre, Corneille aggiunge un personaggio nuovo, e cioè la moglie di Orazio, sorella dei Curiazi. È lei l'eroina che, facendo forza al suo cuore di sorella, implora e ottiene dal re Tullo Ostilio la grazia per il marito. A questa tragedia si ispira l’opera lirica Gli Orazi e i Curiazi (musiche di D. Cimarosa e libretto di A.S. Sografi) del 1796. Anche due famosi drammaturghi tedeschi presero spunto dal leggendario scontro per comporre due loro drammi: Heiner Muller(1929-1995) per il Der Horatier (1968-73) e Bertold Brecht (1898-1956) per uno dei suoi drammi didattici, The Horatians and the Curatians (1934). Infine il compositore e direttore d’orchestra Heiner Goebbels nel suo album Surrogate Cities (1994) dedica tre canzoni all’episodio leggendario (Rome and Alba, So that Blood Dropped to the Earth e Dwell Where the Dogs Dwell) riscrivendone, però, il finale, costituito dall’incoronazione e contemporanea esecuzione di Orazio. Un’intera sala dei musei Capitolini è dedicata ai protagonisti del leggendario scontro, la Sala degli Orazi e dei Curiazi, in cui sono presenti numerose opere del Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari 1568-1640): Numa Pompilio istituisce il culto delle Vestali (1636-1640), il Ritrovamento della lupa (1595-1596), il Ratto delle Sabine (1636-1640) ed il Combattimento degli Orazi e Curiazi (1612-13). Cavalier d’Arpino, Combattimento degli Orazi e Curiazi (1612-13), affresco, Appartamento dei Conservatori, Sala degli Orazi e Curiazi, Musei Capitolini, Roma (tratto dal sito http://www.museicapitolini.org/percorsi/percorsi_per_sale/appartamento_dei_conservatori/sala_degli_orazi_e_curiazi/combattimento_d egli_orazi_e_curiazi). Il 25 marzo 1957 proprio in questa sala vennero firmati i trattati istitutivi della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea per l’Energia Atomica (EURATOM) ed il 29 ottobre 2004 venne firmata la fondamentale Costituzione Europea dei 25 stati: sala di antichi e moderni giuramenti… La ripresa forse più famosa dell’episodio degli Orazi è quella del pittore francese David, che nel 1785 dipinse il meraviglioso Giuramento degli Orazi. Il dipinto raffigura il momento in cui i tre Orazi giurano di sacrificare la propria vita per la patria (momento che nel racconto di Livio è assente, ma si trova nell’Horace di Corneille). La scena è ambientata davanti ad un portico con tre archi, ognuno dei quali racchiude un gruppo di personaggi: i tre fratelli, il padre con le spade e le spose che piangono. L’opera venne da subito considerata come un’esaltazione del patriottismo e solo più tardi fu letta come portatrice di messaggi rivoluzionari. J.-L. David, Il giuramento degli Orazi, 1785, olio su tela, 330 425 cm, Museo del Louvre, Parigi (tratto dal sito http://it.encarta.msn.com/media_461556438_761569719_-1_1/J_-L_David_Giuramento_degli_Orazi.html). Lo stupro di Lucrezia Tra i tanti personaggi che rappresentano un exemplum positivo per i Romani vi è sicuramente Lucrezia, moglie di Collatino, violentata da Sesto Tarquinio (figlio di Tarquinio il Superbo), modello di pudicitia. Livio racconta nei particolari questa vicenda (I 57-59) non solo perché paradigmatica, ma anche perché ad essa è legata la cacciata di Tarquinio il Superbo da Roma ad opera dello stesso Collatino e del suo amico Lucio Giunio Bruto, futuri consoli della nascente res publica. [57, I] Ardeam Rutuli habebant, gens ut in ea regione atque in ea aetate divitiis praepollens, eaque ipsa causa belli fuit, quod rex Romanus cum ipse ditari, exhaustus magnificentia publicorum operum, tum praeda delenire popularium animos studebat, [2] praeter aliam superbiam regno infestos etiam quod se in fabrorum ministeriis ac servili tam diu habitos opere ab rege indignabantur. [3] Temptata res est, si primo impetu capi Ardea posset; ubi id parum processit, obsidione munitionibusque coepti premi hostes. [4] In his stativis, ut fit longo magis quam acri bello, satis liberi commeatus erant, primoribus tamen magis quam militibus; [5] regii quidem iuvenes interdum otium conviviis comissationibusque inter se terebant. [6] Forte potantibus his apud Sex. Tarquinium, ubi et Collatinus cenabat Tarquinius, Egerii filius, incidit de uxoribus mentio; suam quisque laudare miris modis. [7] Inde certamine accenso Collatinus negat verbis opus esse: paucis id quidem horis posse sciri, quantum ceteris praestet Lucretia sua. "Quin, si vigor iuventae inest, conscendimus equos invisimusque praesentes nostrarum [57, I] I Rutuli possedevano Ardea, città molto fiorente e ricca per quei tempi e per quelle contrade; e proprio questa era stata la causa della guerra, che il re di Roma, consumato il patrimonio nelle spese per le grandiose opere pubbliche, cercava sia di rinsanguare le sue sostanze, sia di placare con largizioni di bottino gli animi del popolo, avverso alla monarchia, [2] oltre che per l'arroganza tirannica di Tarquinio, anche perchè irritato di essere stato impiegato così a lungo dal re in mestieri da operaio e in lavori servili. [3] I Romani tentarono di prendere Ardea subito d'assalto, ma essendo fallito il tentativo cominciarono a stringere i nemici d'assedio costruendo opere di fortificazione. [4] In questa vita di accampamento, come suole avvenire nelle guerre più lunghe che aspre, venivano facilmente concesse licenze, agli ufficiali più che ai soldati, [5] e i giovani figli del re spesso passavano il tempo in banchetti e gozzoviglie. [6] Una volta, mentre stavano bevendo nella tenda di Sesto Tarquinio, e partecipava al banchetto anche Collatino, figlio di Egerio, il discorso cadde sulle mogli, e ciascuno celebrava la sua con le maggiori lodi. [7] Essendosi accesa la discussione, Collatino disse che le parole erano vane: in poche ore potevano rendersi conto di quanto la sua Lucrezia fosse superiore alle altre. ingenia? Id cuique spectatissimum sit, quod in necopinato viri adventu occurrerit oculis". [8] Incaluerant vino; "Age sane!" omnes; citatis equis avolant Romam. Quo cum primis se intendentibus tenebris pervenissent, pergunt inde Collatiam, [9] ubi Lucretiam haudquaquam ut regias nurus, quas in convivio luxuque cum aequalibus viderant tempus terentes, sed nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas in medio aedium sedentem inveniunt. [10] Muliebris certaminis laus penes Lucretiam fuit. Adveniens vir Tarquiniique excepti benigne; victor maritus comiter invitat regios iuvenes. Ibi Sex.Tarquinium mala libido Lucretiae per vim stuprandae capit; cum forma tum spectata castitas incitat. [11] Et tum quidem ab nocturno iuvenali ludo in castra redeunt. "Siamo giovani e vigorosi: perchè non montiamo a cavallo e non andiamo a constatare coi nostri occhi la virtù delle nostre donne? La miglior prova per tutti sarà lo spettacolo che ci offriranno mentre non si aspettano l'arrivo del marito". [8] Riscaldati dal vino tutti gridano: "Benissimo, andiamo", e spronati i cavalli volano a Roma. Giunti qua al calar delle tenebre, si dirigono successivamente a Collazia, [9] dove trovano Lucrezia non trascorrere il tempo in banchetti e divertimenti con le compagne, come avevano visto fare le nuore del re, ma a notte inoltrata intenta a filare la lana, seduta in mezzo alla casa tra le ancelle veglianti al lume di una lucerna. La palma di quella gara femminile toccò a Lucrezia. [10] Essa accoglie benevolmente il marito che giunge in casa e i Tarquini, e Collatino vincitore invita cortesemente i figli del re a trattenersi. Qui Sesto Tarquinio vien preso dalla brama di far violenza a Lucrezia: sono stimolo alla libidine sia la bellezza, e sia la provata pudicizia. [11] Ma per allora dopo quel notturno svago giovanile ritornano nel campo. [58,1] Paucis interiectis diebus Sex. Tarquinius inscio Collatino cum comite uno Collatiam venit. [2] Ubi exceptus benigne ab ignaris consilii cum post cenam in hospitale cubiculum deductus esset, amore ardens, postquam satis tuta circa sopitique omnes videbantur, stricto gladio ad dormientem Lucretiam venit, sinistraque manu mulieris pectore [58,1] Alcuni giorni dopo Sesto Tarquinio all'insaputa di Collatino si reca a Collazia con un solo uomo di scorta. [2] Quivi accolto benevolmente da quelli di casa, ignari del suo proposito, dopo la cena fu condotto nella stanza degli ospiti; quando, acceso dal desiderio, gli parve che tutto fosse tranquillo all'intorno e la casa fosse immersa nel sonno, impugnata la spada entrò dove Lucrezia dormiva, e con la sinistra ferma sul petto oppresso "Tace, Lucretia" inquit:" Sex. Tarquinius sum; ferrum in manu est; moriere, si emiseris vocem". [3] Cum pavida ex somno mulier nullam opem, prope mortem imminentem videret, tum Tarquinius fateri amorem, orare, miscere precibus minas, versare in omnes partes muliebrem animum. [4] Ubi obstinatam videbat et ne mortis quidem metu inclinari, addit ad metum dedecus: cum mortua iugulatum servum nudum positurum ait, ut in sordido adulterio necata dicatur. [5] Quo terrore cum vicisset obstinatam pudicitiam velut victrix libido, profectusque inde Tarquinius ferox expugnato decore muliebri esset, Lucretia maesta tanto malo nuntium Romam eundem ad patrem Ardeamque ad virum mittit, ut cum singulis fidelibus amicis veniant; ita facto maturatoque opus esse; rem atrocem incidisse. [6] Sp. Lucretius cum P. Valerio Volesi filio, Collatinus cum L. Iunio Bruto venit, cum quo forte Romam rediens ab nuntio uxoris erat conventus. Lucretiam sedentem maestam in cubicolo inveniunt. [7] Adventu suorum lacrimae obortae, quaerentique viro " Satin salve?" "Minime" inquit;"quid enim salvi est mulieri amissa pudicitia? Vestigia viri alieni, Collatine, in lecto sunt tuo; ceterum corpus est tantum violatum, animus insons; mors testis erit. Sed date dexteras fidemque haud impune adultero fore. [8] Sex. est Tarquinius, della donna disse:"Taci, Lucrezia: sono Sesto Tarquinio; ho in mano la spada: se mandi un grido sei morta". [3] Mentre la donna sorpresa nel sonno e impaurita non scorge aiuto in alcuna parte, ma solo la morte starle sul capo, Tarquinio le dichiara il suo amore, la supplica, unisce alle preghiere le minacce, con ogni mezzo tenta l'animo della donna. [4] Quando la vide ostinata non piegarsi neppure dinanzi alla minaccia di morte, aggiunge alla paura il disonore: dice che avrebbe posto vicino al suo cadavere uno schiavo nudo sgozzato, perchè la credessero uccisa in vergognoso adulterio. [5] Vinta con questa minaccia l'ostinata pudicizia, la libidine fu in apparenza vincitrice, e Tarquinio se ne partì fiero di aver espugnato l'onore di una donna; frattanto Lucrezia dolente per tanta sventura mandò un messaggero a Roma presso il padre e ad Ardea dal marito, pregandoli di venire coll'amico più fido: la cosa era necessaria e urgente perchè era capitata un'orribile sciagura. [6] Spurio Lucrezio andò accompagnato da Publio Valerio, figlio di Voleso, e Collatino da Lucio Giunio Bruto, col quale per caso si trovava mentre recandosi a Roma si era imbattuto nel messaggero della moglie. Trovano Lucrezia seduta mesta nella sua stanza. [7] All'arrivo dei suoi cari le spuntano le lacrime, e alla domanda del marito "Va tutto bene?". "No", rispose;"qual bene infatti rimane ad una donna quando sia perduto l'onore ? Nel tuo letto, o Collatino, vi sono le impronte di un altro uomo; però solo il corpo è stato violato, l'animo è innocente: la morte ne sarà la prova. Ma datemi la mano e la parola che qui hostis pro hospite priore nocte vi armatus mihi sibique, si vos viri estis, pestiferum hinc abstulit gaudium". [9] Dant ordine omnes fidem; consolantur aegram animi avertendo noxam ab coacta in auctorem delicti: mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse. [1O] "Vos" inquit "videritis quid illi dabeatur: ego me etsi peccato absolvo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo vivet ". [11] Cultrum, quem sub veste abditum habebat, eum in corde defigit, prolapsaque in vulnus moribunda cecidit. [I2] Conclamat vir paterque. l'adultero non sarà impunito. [8] È Sesto Tarquinio, che da ospite divenuto nemico la notte scorsa con la violenza e con le armi ha colto qui un piacere esiziale per me, ma anche per lui, se voi siete uomini". [9] Tutti uno dopo l'altro dànno la loro parola, e cercano di consolare l'afflitta riversando ogni colpa da lei costretta sull'autore del misfatto: solo l'anima può peccare, non il corpo, e la colpa manca dove sia mancata la volontà. [10] "A voi", rispose, "spetterà il giudicare qual pena a colui sia dovuta; quanto a me, se anche mi assolvo dal peccato, non mi sottraggo alla pena: nessuna donna in futuro vivrà disonorata seguendo l'esempio di Lucrezia". [11] Si infisse nel cuore un coltello che teneva celato sotto la veste, e abbattutasi morente sulla ferita cadde al suolo. [12] Il marito e il padre levano alte grida. [59,1] Brutus, illis luctu occupatis, cultrum ex vulnere Lucretiae extractum manantem cruore prae se tenens," Per hunc" inquit "castissimum ante regiam iniuriam sanguinem iuro, vosque, dii, testes facio me L.Tarquinium Superbum cum scelerata coniuge et omni liberorum stirpe ferro, igni, quacumque dehinc vi possim exsecuturum, nec illos nec alium quemquam regnare Romae passurum". [2] Cultrum deinde Collatino tradit, inde Lucretio ac Valerio, stupentibus miraculo rei, unde novum in Bruti pectore ingenium. Ut praeceptum erat iurant; totique ab luctu versi in iram, Brutum iam inde ad expugnandum [59,1] Mentre quelli si abbandonano al dolore, Bruto estratto dalla ferita di Lucrezia il coltello grondante sangue e tenendolo davanti a sé dice:"Per questo sangue, castissimo prima del regio oltraggio, giuro e invoco voi a testimoni, o déi, che caccerò col ferro, col fuoco, e con qualunque altro mezzo mi sia possibile Lucio Tarquinio Superbo, insieme alla scellerata consorte e a tutta la discendenza dei figli, né sopporterò che costoro od alcun altro regni in Roma ". [2] Consegna poi il coltello a Collatino, e successivamente a Lucrezio e a Valerio, stupefatti per quel miracolo, che si chiedevano donde mai nascesse quel nuovo animo nel petto di Bruto. Giurano come loro era stato prescritto, e dal dolore passati regnum vocantem sequuntur ducem. [3] Elatum domo Lucretiae corpus in forum deferunt concientque miraculo, ut fit, rei novae atque indignitate homines. Pro se quisque scelus regium ac vim queruntur. [4] Movet cum patris maestitia, tum Brutus castigator lacrimarum atque inertium querellarum auctorque, quod viros, quod Romanos deceret, arma capiendi adversus hostilia ausos. [5] Ferocissimus quisque iuvenum cum armis volun tarius adest; sequitur et cetera iuventus. Inde praesidio relicto CoIIatiae ad portas custodibusque datis, ne quis eum motum regibus nuntiaret, ceteri armati duce Bruto Romam profecti. [6] Ubi eo ventum est, quacumque incedit armata multitudo pavorem ac tumuItum facit; rursus ubi anteire primores civitatis vident, quidquid sit, haud temere esse rentur. [7] Nec minorem motum animorum Romae tam atrox res facit quam CoIlatiae fecerat. Ergo ex omnibus locis urbis in forum curritur. Quo simul ventum est, praeco ad tribunum celerum, in quo tum magistratu forte Brutus erat, populum advocavit. [8] Ibi oratio habita nequaquam eius pectoris ingeniique quod simuIatum ad eam diem fuerat, de vi ac Iibidine Sex. Tarquinii, de stupro infando Lucretiae et miserabiIi caede, de orbitate Tricipitini, cui morte fiIiae causa mortis indignior ac miserabiIior esset. [9] Addita superbia interamente all'ira seguono la guida di Bruto che già li invita a dar l'assalto al regno. [3] Portato fuori della casa il corpo di Lucrezia lo espongono nel foro, e accendono gli animi del popolo, come suole avvenire, con lo stupore e l'indignazione per l'inaudito misfatto: ciascuno per parte sua deplora la scellerata violenza della stirpe regia. [4] Li commuovono sia il dolore del padre, sia le parole di Bruto che biasima i pianti ed i vani lamenti, e li esorta ad agire come si conviene a uomini ed a Romani, prendendo le armi contro chi si è comportato da nemico. [5] Tutti i giovani più animosi si presentano volontari con le armi; gli altri seguono il loro esempio. Quindi, lasciato un presidio a Collazia e poste sentinelle alle porte per evitare che qualcuno porti la notizia della sommossa al re, gli altri armati agli ordini di Bruto partono per Roma. [6] Appena giunta colà, ovunque avanza quella turba armata getta lo scompiglio e la paura; ma quando poi i Romani vedono che marciano alla testa i migliori fra i cittadini, pensano che non si tratti di un gesto sconsiderato qualunque ne sia la causa. [7] Un misfatto così esecrando desta non minor emozione a Roma che a Collazia: da tutte le parti della citta si accorre al foro. Come si giunse qua il banditore convocò l'assemblea popolare in nome del comandante della cavalleria, carica che Bruto allora rivestiva. [8] Egli tenne qui un discorso che non pareva affatto proprio di quell'animo e di quell'ingegno che aveva simulato fino a quel giorno: ricordò la violenza e la libidine di Sesto Tarquinio, il nefando oltraggio e la pietosa fine di ipsius regis miseriaeque et Iabores plebis in fossas cloacasque exhauriendas demersae; Romanos homines, victores omnium circa populorum, opifices ac lapicidas pro bellatoribus factos. [1O] Indigna Servi TuIIi regis memorata caedes et invecta corpori patris nefando vehiculo fiIia, invocatique ultores parentum dii. [11] His atrocioribusque, credo, aliis, quae praesens rerum indignitas haudquaquam relatu scriptoribus facilia subicit, memoratis, incensam multitudinem perpulit ut imperium regi abrogaret exulesque esse iuberet L. Tarquinium cum coniuge ac Iiberis. [12] Ipse iunioribus qui ultro nomina dabant lectis armatisque, ad concitandum inde adversus regem exercitum Ardeam in castra est profectus; imperium in urbe Lucretio, praefecto urbis iam ante ab rege instituto, relinquit. [13] Inter hunc tumultum Tullia domo profugit, exsecrantibus quacumque incedebat, invocantibusque parentum furias viris mulieribusque. Lucrezia l'orbità di Tricipitino, cui la causa della morte della figlia era ancor più dura e lacrimevole della morte stessa. [9] Parlò poi della tirannia del re, delle miserie e delle fatiche della plebe sprofondata a scavare fosse e cloache: gli uomini di Roma, vincitori di tutti i popoli vicini, erano stati ridotti a fare i muratori e gli scalpellini, da guerrieri che erano. [10] Ricordò ancora l'infame uccisione del re Servio Tullio, la figlia che era passata coll'empio cocchio sul corpo del padre ed invocò le divinità vendicatrici dei genitori. [11] Con questi argomenti, e, credo, con altri anche più forti, che l'indignazione del momento suggeriva, ma che non è facile agli storici tramandare esattamente, infiammò la folla, e la indusse a privare il re del potere e ad intimare l'esilio a Lucio Tarquinio insieme con la moglie ed i figli. [12] Bruto stesso, arruolati ed armati i giovani che si offrivano volontari, partì per il campo di Ardea con l'intenzione di sollevare contro il re l'esercito; lasciò il potere in Roma a Lucrezio, che già prima era stato nominato dal re governatore della città. [13] Allo scoppio della sommossa Tullia fuggì dalla reggia, e dovunque passava uomini e donne la maledicevano e invocavano su di lei le furie vendicatrici del padre. (Trad. L. Perelli) L’episodio liviano godette di molta fortuna, non soltanto nella letteratura. William Shakespeare nel 1594, ancora molto giovane, scrisse un poemetto narrativo incentrato sulla nobildonna romana, The rape of Lucretia. Inoltre fu protagonista di un’opera lirica di B. Britten su libretto di R. Duncan, The rape of Lucretia (1946). Suggestionò anche alcuni pittori: Sandro Botticelli (1445-1510) raffigurò alcune scene della vicenda di Lucrezia: in questo dipinto vediamo l’aggressione della matrona ad opera di Sesto Tarquinio, il suicidio e, nella scena centrale, Bruto che, sotto una colonna marmorea sovrastata da un David e sopra il cadavere di Lucrezia, incita i soldati alla rivolta che dalla monarchia porterà alla repubblica. S. Botticelli, Storie di Lucrezia, 1500-1504, tempera su tavola, cm 80 x 130, Isabel Stewart Gardner Museum, Boston (tratto dal sito http://www.centrumlatinitatis.org/atrium/Didattica/donne.doc). Tiziano (1490-1576) ritrasse il momento della minaccia di morte prima dello stupro. Tiziano, Tarquinio e Lucrezia, olio su tela, 1571, Cambridge, Fitzwilliam Museum (tratto dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Lucrezia_%28Roma%29). Biagio di Antonio Tucci (1496-1508 ?) rappresentò sul fronte di due cassoni, preparati probabilmente per il corredo di una nobile fanciulla, il banchetto di Tarquinio e gli episodi dell'oltraggio a Lucrezia, del suicidio della donna e dei suoi funerali. Biagio di Antonio Tucci, Le storie di Lucrezia (particolare), tempere su tavola, Galleria G. Franchetti alla Ca’ d’Oro, Cannaregio, Venezia (tratto dal sito http://www.artive.beniculturali.it/). L’epopea dell’attraversamento delle Alpi Il famosissimo episodio della seconda guerra punica, l’attraversamento delle Alpi con gli elefanti narrato da Livio nel XXI libro, costituisce il soggetto della decorazione della sala di Annibale, che si trova nel palazzo dei Conservatori presso i Musei Capitolini a Roma. Jacopo Ripanda (inizio XVI sec.), Annibale in Italia, Appartamento dei conservatori – Sala di Annibale, Musei Capitolini, Roma (tratto dal sito http://www.museicapitolini.org/). In quest’opera giovanile di Goya, il generale africano, quasi sorretto dal suo aiutante a cavallo ed aiutato dal genio alato della Vittoria alle sue spalle, ammira con la mano sulla visiera dell’elmo il panorama alpino e rivolge lo sguardo per la prima volta verso le terre italiche. Francisco Goya (1746-1828), Annibale che scorge le terre italiche per la prima volta, 1771 (tratto dal sito http://www.scuolainsiemeweb.it/segnalazioni/eventi/2006/goya/goya.htm).