SENTIREASCOLTARE
digital magazine MARZO N. 41
death from abroad
Chris Bathgate
shawn phillips
girls in hawaii
gallon drunk
pocahaunted
pendereckI
destroyer
grimoon
x-mary
benga
Why?
food
Bambole in arcadia
Beach house, El Perro Del mar, Rings
4 News
6 Turn on
D i r e t to r e
Edoardo Bridda
C o o r d i n a m e n to
Teresa Greco
Consulenti
a l l a r e da z i o n e
Daniele Follero
Stefano Solventi
chris bathgate, girls in hawaii, destroyer, benga, x-mary, grimoon
16 TUNE IN
yoni wolf (why?), death from abroad, gallon drunk
28 Drop out
pocahaunted, el perro del mar, beach house, rings
44 recensioni
AGf, adam green, Valet, The mountain goats, drink to me, the gutter twins, missilL
90 We Are Demo
92 rearview mirror
shawn phillips, triffids, barzin
107 LA SERA DELLA PRIMA
SOGNI E DELITTI, NON E’ UN PAESE PER VECCHI
S ta f f
Gaspare Caliri
Nicolas Campagnari
Antonello Comunale
Antonio Puglia
Hanno
c o l l a b o r ato
Gianni Avella, Davide Brace, Paolo Bassotti, Filippo
Bordignon, Marco Braggion, Manfredi Lamartina,
Paolo Grava, Giulio Pasquali, Stefano Pifferi, Andrea
Provinciali, Italo Rizzo, Vincenzo Santarcangelo,
Giancarlo Turra, Fabrizio Zampighi, Giuseppe Zucco
G u i da
s p i r i t ua l e
Adriano Trauber (1966-2004)
G r a f i ca
Edoardo Bridda
in copertina
Beach House
SentireAscoltare online music magazine
Registrazione Trib.BO N° 7590 del 28/10/05
Editore Edoardo Bridda
Direttore responsabile Antonello Comunale
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108 I cosiddetti contemporanei
pendereckI
SA 3
new
I riformati Gang Of Four dopo le
comparsate live degli ultimi anni stanno
registrando, nello studio londinese del
chitarrista Dave Allen, del nuovo materiale
che dovrebbe uscire entro l’anno…
Sarà presto un DVD il concerto conclusivo
del tour 2007 di Patrick Wolf al London’s
Shepherds Bush Empire. Inoltre dalle pagine
del suo myspace annuncia di aver cominciato
a lavorare al quarto album: “[I’m] trying
to communicate some of the journeys,
misadventures and experiences from the last
couple of years since ‘The Magic Position’
was completed”…
Dopo quattordici anni di onorata carriera
il fondatore Efrin Menuck mette fine
all’esperienza Godspeed You! Black
Emperor…
Ritornano in tour i folk-rockers Pentangle,
e questa volta con la line-up classica
ovvero: Berth Jansch, John Renbourn, Jacqui
McShee, Danny Thompson e Terry Cox…
I La Crus si dividono ma non prima di aver
dato alle stampe un album live e un tour. Le
solite divergenze artistiche alla base della
decisione…
Dovrebbe arrivare nei negozi americani il
prossimo 15 aprile il nuovo disco del duo
Gnarls Barkley. Sarà il singolo Run ad
anticiparne l’uscita…
Il film documentario sui Rolling Stones
Shine A Light diretto da Martin Scorsese
arriverà nelle sale italiane l’11 aprile…
Attesa per il prossimo disco dei noisedrone rockers giapponesi Boris: Smile,
che sarà pubblicato dalla Southern Lord,
sarà disponibile il 29 aprile. Per ingannare
l’attesa sono usciti un sette pollici e un
video il 26 febbraio…
Adam Green in Italia per due concerti in
primavera: l’artista newyorchese presenterà
dal vivo il nuovo album Sixes & Sevens
il primo maggio al Circolo degli Artisti di
Roma, e il giorno seguente al Bronson di
Ravenna…
Nuovo supergruppo di area chicagoano:
Todd Rittmann, Adam Vida (entrambi
negli US Maple) Ben Vida, Robt A.A.
Lowe danno vita ai Singers. Il debutto
discografico su Drag City ha già un titolo
Unhistories, ed è atteso per quest’anno...
Uscirà il 6 maggio su Matador Supreme
Balloon il nuovo disco dei Matmos.
Per l’occasione il duo americano ha
abbandonato i tradizionali concretismi
dance per cimentarsi in un disco suonato
con il solo ausilio di sintetizzatori...
Si è spento nella sua casa di Riverhead, New
York all’eta di 83 anni Teo Macero, uno
dei più grandi produttori della musica jazz.
Da ricordare per i suo lavoro di editino,
mixaggio, post-produzione del “periodo
elettrico” di Miles Davis, come In A Silent
Way, Bitches Brew…
È scomparso il 30 gennaio scorso all’età
di 43 anni Sean Finnegan, indimenticato
batterista della hardcore band americana
Void, per un attacco cardiaco…
Per festeggiare i 10 anni dalla pubblicazione del loro Moon Safari, gli Air faranno uscire
un’edizione limitata dell’omonimo disco con
un CD extra pieno di remix, rarità e radio
session. Saranno inoltre allegati un libro e
un documentario sulla band in DVD. Data
d’uscita 31 marzo…
Tira aria di ristampa anche per
i Lemonheads che il 31 marzo
pubblicheranno una “expanded version” del
loro classico del 1992 It’s a shame about
Ray che comprenderà un bonuc CD con 10
tracce pescate tra demo casalinghi e b-sides.
A rendere ancora più appetibile la proposta
sarà l’inclusione del DVD Two Weeks In
Australia contente video e performance
live…
Il secondo disco dei The Shortwave Set’s
Replica Sun Machine, prodotto da Danger
Mouse, avrà come ospiti illustri John Cale
e Van Dyke Parks, e uscirà il prossimo 28
aprile…
SA 5
TURN O
e
t
a
g
h
t
a
B
s
i
Chr
Girls in hawaii
“Scr i v o c a n zo ni alcune sono sem plic i alt re n o a l c u n e nostalgiche altre vengono
d a l l ’ o sc u ri t à a lcune sono scritte dalla v os t r a p ro sp e t t i v a altre dalla m ia e altre ancor a v a n n o a v a nti e indietro dal m io al v os t ro p u n t o d i v ista…”
Un f l u sso d i c oscienza che si snoda joyc ia n a m e n t e , l ’ i n cipit dell’autopresentazione
s ul m y sp a c e d e l songw riter C hris B athga te .
E ch e n e r i v e l a anche l’attitudine intr ospe tt i v a e b r u m o sa ; una laurea in A rte c onse g u i t a d a p o c h issimo, la provenienza dalla
ci t t a d i n a u n i v ersitaria A nn A rbor, Mic hig an e u n a p r e senza costante nella sce na f olk
l o ca l e p e r Ch r is, che passa dalle cla ssic he
aut o p r o d u z i o n i e collaborazioni, a d e sse r e o g g e t t o , n e gli ultimi due-tre anni, di un
p a s s a p a r o l a s u web, come molti di questi
t emp i ; i n f i n e l’accasamento presso la loc a l e Q u i t e S c i e n tific, e da qui alla Tangle Up,
che g o d e d i u n a distribuzione più ampia a tt rav e r so l a O n e L ittle Indian. Sem bra e sse r e
fat t a . E A Co r k Tale Wake, l’album uscito
l ’an n o sc o r so e appena distribuito da noi, è
l ’ u l t i m o c a p i t olo di una storia ancora tutta
d a r a c c o n t a r e . Bathgate sembra riassumere
p erf e t t a m e n t e la figura del folk singe r f a i da
t e, p r o f o n d a m e nte influenzato da lette r a tur a e p o e s i a , n el più classico dei percorsi di
f o r m a z i o n e c h e appartengono sia a scrittori
c he a music isti. Tr a r a c c onti di v ia g g io e d
e pope e a me r ic a ne , miste a poe tic h e in tr o spe ttive , c ominc ia a pr e nde r vita il c a r a tte r e ombr oso de l Nostr o, a nc he mu s ic a lme n te ,
inf lue nz a to in modo e vide nte da lla s c r ittu r a
di un Je f f Twe e dy e in ge ne r ale d a l r o c k f olk di de r iva z ione c la ssic a , sia a me r ic a n o
c he ingle se . Tr a pr oie z ioni Ellio t Sm it h, in f le ssioni Will Oldham e una sp ic c a ta p r o pensione verso un lato chambe r f o l k d e l l a
sc r ittur a , c he la r e nde più a r ios a , Ch r is c o minc ia uff ic ia lme nte la sua a tti v ità c o n u n
a lbum a utopr odotto, Sile nc e Is F o r Suc k e r s
de l 2005 ( 6.5/10) . Pr oduz ione c h e mo s tr a , in
embrione, le sue potenzialità. L’ a n n o d o p o
toc c a a Throat sle e p ( poi r ipub b lic a to d a lla Quite Sc ie ntif ic ) , e il sa lto è imme d ia to :
unità c ompositiva , sc r ittur a per s o n a le , s o norità che vanno dal folk al co u n t r y - r o c k ¸
tr a più di un’ e c o de l solito Oldh a m, Okke rvill Rive r e in ge ne r a le un song w r itin g te s o
e vibr a nte , r ic olmo de i soliti f i a ti. U n M ic ah P. Hinson me no ir r ue nto ma c o n la me de sima a ttitudine a ll’ a utoa na lisi ( 7 . 1 /1 0 ) . E
c on l’ ultimo A Cor k Tale Wake (7 . 1 /1 0 , in
spazio recensioni) un suono più “ p r o d o t t o ”
e pie no, tr a intimismo e ombr osità , e d i c o n tro una certa estroversione mu s i c a l e . U n a
c onf e r ma di c ui c ’ e r a bisogno.
Teresa Greco
I g io v a n i “ n o n n e tti” d e l Be lg io , c o s ì p o tr e mmo d e f in ir e i G ir ls I n H a w a ii. I n f a tti,
s o n o p r o p r io i Gr a nda ddy i l r i f e r i m e n t o
p iù v ic in o a i N o s tr i. Su b ito d o p o p o tr e mmo
a n n o v e r a r e a n c h e i lo r o c o n n a z io n a li dEU S
e in r a p id a s u c c e s s io n e i Be lle A nd Se ba s t ia n. Q u e s to s o lo p e r f a r e u n b r e v e q u a dro della situazione. Perché, magicamente,
i G ir ls I n H a w a ii, n o n o s ta n te le p a le s i in f lu e n z e , s o n o r iu s c iti a r ita g lia r s i u n p r o p r io s p a z io d i ma n o v r a a ll’ in te r n o d i c e r to
in d ie - r o c k c o n te mp o r a n e o . N o n u n ’ imp r e s a
titanica, ovviamente, ma per una giovane
b a n d p r o v e n ie n te d a u n a p ic c o la e , d a l p u n to d i v is ta mu s ic a le , p o c o a c c r e d ita ta n a z io n e c o me il Be lg io - a d e c c e z io n f a tta d e i g ià
c ita ti d E U S e p o c h e a ltr e min o r i r e a ltà c o me
S o u l w a x e Ve n u s - n i e n t e p u ò e s s e r e d a t o
per scontato. Il gelido Nord Europa sembra,
invece, aver donato loro un’attitudine pop
in grado di evocare, paradossalmente, soavi
paesaggi colorati e primaverili.
Ma questo è soltanto il punto d’arrivo di
u n a r ic e r c a s tilis tic a c h e i c in q u e d i Br u x e lle s h a n n o a ttu a to s in d a l 2 0 0 2 , a n n o in c u i
u n lo r o d e mo c a p itò tr a le ma n i d e l ma n a g e r
d e lla 6 2 tv Re c o r d s , g ià e tic h e tta - in d o v in a te u n p o ’ ? - d e i d E U S. A lla q u a le b a s tò s o lta n to u n a n n o p e r la n c ia r li n e ll’ o r b ita in d ie
c o n l’ e s o r d io Fr o m He r e To T he r e , c h e d a
s u b ito r iu s c ì a in f ia mm a re p u b b l i c o e c ri t i c a in a n e lla n d o d o d ic i b ra n i d a l t o c c o l e g g e ro e intimamente lo-fi, che nascondono, in
r e a ltà , u n a min u z io s ità a rm o n i c a s t ra t i fi c a t a
mai troppo invasiva. I Nostri spaziano con
s e mp lic ità d a e p is o d i i n t ri s i d i s b a ra z z i n a
f r e s c h e z z a ( l’ in iz ia le a rp e g g i o d i 9 . 0 0 AM,
la s u c c e s s iv a S h o r t S o n g Fo r A S h o r t Mi n d )
a d u n a r if le s s iv a ma lin c o n i a (B e e s & B u t te r f lie s ) , p a s s a n d o p e r u n a g e n u i n a u rg e n z a
e le ttr ic a ( Tim e To F o rg i v e T h e Wi n t e r e i l
s in g o lo F o u n d I n Th e G ro u n d ) fi n o a d a rr iv a r e a lle d e lic a te d e ri v e a c u s t i c h e d i C a s p e r e Ca twa lk ( c o me fo s s e ro u s c i t e d a l p i ù
is p ir a to To m Ba r ma n d e i t e m p i c h e fu ro n o ).
Tu tto mo lto s c a r n o , ma i m p re z i o s i t o t i m i d a me n te d a o r n a me n ti s o n o ri c h e re g a l a n o a l l e
p a r ti il g iu s to e q u ilib r io p o p . (7 . 0 / 1 0 ) P o i i l
silenzio. Cinque anni lunghissimi, che per
l’ o d ie r n o me r c a to d is c o g ra fi c o p o t re b b e r o r iv e la r s i f a ta li, f in o a Pl a n Yo u r E s c a p e
( N a ïv e Re c o r d s , 2 0 0 8, 7 . 2 / 1 0 ; r e c e n s i o n e
s u l # 4 0 ) . E s ia mo a n c o ra q u i a p a rl a re p o s i tiv a me n te d i d o s a ta d e l i c a t e z z a p o p , d i p e rfetti congegni armonici, di gentili fraseggi
v o c a li, ma , d ic ia mo lo , d a t o i l t e m p o i m p i e gato per mettere insieme una formula solo
più curata, ci aspettavamo almeno qualche
n o v ità . I l f u tu r o c i d ir à.
Andrea Provinciali
SA 7
TURN O
benga
destroyer
Con u n n o m e c osì, vengono subito in me nte
i K i ss o u n a qualche band grindcor e / de a t h m e t a l , c o n annesso corollario tematico
/ vi su a l e d i g iustizieri apocalittici. Consid era n d o p o i c he l’altra form azione di c ui
arri c c h i sc e l e fila si chiam a “i nuo vi porn o g r a f i ” , p e r D an B ejar quello dei nomi
fu o r v i a n t i n o n è una casualità, ma u n viz io.
M a s e i l s u p e r combo indie-power pop di
Vanc o u v e r è un m ostro a più teste – il Nos t ro è u n a d e lle forze propulsive d e i Ne w
Po r n o g r a p h e r s insieme a Carl Newman e
Nek o C a se - , Destroyer è una creatur a tutt a s u a , s i n d a quando, nel lontano ‘96, ne
f u r o n o r i v e l a t e al mondo le prime prove in
b as sa f e d e l t à . L a transizione da m on ike r pe r
o cca si o n a l i e sc ursioni soliste a band sta bile
s i è v e l o c e m e n te consumata in una ma nc ia t a d i a l b u m : Streeth aw k: A Seduction, del
2 0 0 1 , i l p r i m o ad far drizzare le ante nne di
p u b b l i c o e c r itica, poi T h is N igh t e Your
Bl ue s, a p e r f e zionare una traiettoria indie
fo l k r o m a n t i c a e straniatamente psic he de l i ca; u n a p a r a b ola di cui il recente Rubies
(M e rg e , 2 0 0 6 ) è l’indiscutibile apice, de nso
com ’ è ( c o m ’ e ra) di meravigliose alluc ina zi on i a c o u st i c pop ispirate da D ylan e Be a c h
Boy s, Ro y H a r per e R obyn H itchcock , Bowie
e S t e p h e n Ma lkmus. U no di quei disc hi c he
t i po r t a n o a c r edere di aver trovato un nuovo
e r oe : è inf a tti f a c ilissimo a ff e z io n a r s i a l s u o
songwriting, duttile e fantasm a g o r i c o , s u l
pe r e nne f ilo tr a logor r e a f olk e p e r f e z io n e
pop, intr iso di una de nsità onir i c a f u o r i d a l
c omune . E, a pr oposito di sogni, il n u o v is s imo Trouble s In Dre ams ( ve di sp a z io r e c e n sioni) a ff r onta l’ a r duo c ompito d i p e r p e tu a r e le ge sta de l pr e de c e ssor e , a c q u is ta n d o in
omogeneità ma perdendo alcun e s f u m a t u r e
di c olor e in f a vor e di una c ostan te – q u a n to r iusc ita - monoc r omia . Non t r o p p o ma le ,
c onside r a ndo c omunque c he Beja r p r o v ie n e
da ll’ ottimo Challe nge rs dei Por n o g r a p h e r s ,
nonc hé da l tr iumvir a to f or ma to c o n Sp e n c e r
Krug (Wolf Parade) e Carey M e r c e r ( F r o g
Eye s) , gli a lluc ina tor i Swan La ke ( u n a lbum usc ito a f ine 2006, Be ast M o a ns e u n
a ltr o in la vor a z ione ) . Non ba stas s e , D a n u ltimamente trova anche il tempo d i m e t t e r e
lo z a mpino ne lle c a nz oni de lla f id a n z a ta , la
c a nta utr ic e Sydne y Ve r mont a ka He llo Blue
Rose s. I l lor o The Portrait Is Finis he d , And
I Hav e Faile d To Capture Your Be a uty ( a n che questo in recensioni), usci t o a l l ’ i n i z i o
di que st’ a nno pe r la Loc ust, è un ’ a ltr a c h ic c he tta f olk- pop ( di ma tr ic e f ie ra me n te J o n i
Mitchell), caldamente raccoman d a t a a t u t t i
gli addic te d de l ge ne r e . Pe r f a vo r e , n o n f e rma te que st’ uomo.
Antonio Puglia
G li a p p a s s io n a ti h a n n o r in c o r s o i p r o mo c o n
o ff e r te s tr a to s f e r ic h e , l’ h y p e in r e te e s p lo d e c o n d is c u s s io n i in a c id o , G ille s Pe te rs o n me tte a l p r imo p o s to n e lla p la y lis t 2 0 0 7
il s u o in n o d u b s te p Nig h t, L a u r e n t G a r n i e r
dice di amarlo, gli Hot Chip lo appoggiano
a s p a d a tr a tta : in s o mma la c o mu n ità e le c tr o h e a d z è in f ib r illa z io n e p e r il p r imo d is c o d i Be n g a ( in r e c e n s io n i) , a n n u n c ia to g ià
d a n o v e mb r e s c o r s o . I l r a g a z z o a r r iv a d a lle scuderie della Big Apple e della Planet
M u , p r o d u tto r e d a l 2 0 0 2 d i s in g o li e v in ili
c o lo r a ti in e d iz io n e limita ta , mis c e la to r e d i
l a c c h e s u Te m p a , a l f i e r e d e l l a n u o v a b l a c k
e le c tr o mu s ic tr a ju n g le e d u b s te p , tr a g a r a g e u n d e rg r o u n d e g r i m e o s c u r o . P i ù c h e
u n D J , u n n e r d c h e d a lla s u a s ta n z e tta s p a c c a il c u lo a i p r o d u tto r i b la s o n a ti, c o n p o c h i
tr u c c h e tti e il b a s ila r e s o f tw a r e a u d io Fr u ity L o o p s . I l s o g n o d i o g n i v e n tu n e n n e b r ita n n ic o , il D I Y in c a r n a to d ir e tta me n te s u lle
s tr a d e p io v o s e d e llo s p r a w l lo n d in e s e ( a lla
ma n ie r a d e l c y b e r p u n k G ib s o n ) . L e s u e c a rte v in c e n ti: la c a p a c ità d i f a r p u ls a r e i b a s s i
q u a s i a liv e llo in f r a s u o n o e d i s p o s ta r e imp r o v v is a me n te l’ a tte n z io n e d e ll’ a s c o lta to r e
s u me lo d ie a lla min ima l- a mb ie n t, s c a r d in a r e la s e r ie tà d e lla s c e n a c o n g e s ti in c o n s u e ti, variazioni di tempo e di stile che fanno
p e n s a r e a d A m o n To bin o p iù r e c e n te me n te
a lle tr a c c e e c le ttic h e e s e n z a re g o l e d i R i c a r do Villa lo bo s e a i p a e s a g g i a s t r a t t i d i
Sa s u R ipa t t i. Se Bur ia l c o n U n t r u e h a fa t t o
u s c ir e d a ll’ a n o n ima to u n a n u o v a c u l t u ra u rb a n a , r ie mp ie n d o le p a g i n e e l e c l a s s i fi c h e
dei giornali musicali, oggi Benga prosegue
il c a mmin o a z z a r d a n d o s e n s a z i o n i p e rs i s te n ti, u n s u b s tr a to d i h o rro r-s t e p d e c o ra t o
con visioni veloci, movimenti e scatti che
p a s s a n o d a ll’ a n ima b lu e s p i ù n e ra a l l a v e l o c i t à d a d a n c e f l o o r. I l p a s s a g g i o d a l l a f i e r a
ostentazione indie delle prime produzioni
n a s c o s te d a lla n e b b ia e a s t l o n d i n e s e a l l ’o rg o g lio p r iv o d i a u to r efe re n z i a l i t à e c o n s a p e v o le d i p o te r c o n n e tte rs i c o n l a t ra d i z i o n e
n e r a d e l r itmo , s ia e s s a j a z z o h o u s e , s i a S u n
Ra c h e D e tr o it. I l d u b st e p ri t ro v a l o s l a n c i o
degli esordi, connettendosi e confondendosi
mis te r io s a me n te c o n il m o o d d a c l u b . P re s to s e n tir e mo in p iù d i q u a l c h e s e t p a rl a re
la lin g u a d e l g io v a n e g u e r r i e ro a f r i c a n o . Il
s u o d ia r io r e g is tr a s e n z a p e l i s u l l a l i n g u a
il c a mb ia me n to , g ià c it a t o d a n u m i t u t e l a ri ,
q u a li Ero l A lka n, P o le , M a r y A n n e H o b b s ,
Skre a m e a ltr i ma e s tr i d e l c l u b b i n g d i c l a s s e . Be n g a in s e r is c e la h o u s e n e l d u b s t e p , e d
è g ià te mp o d i r id e f in i re i g e n e ri : d a o g g i
andiamo di houstep. Lunga vita al samurai
nero del break.
M a r c o B r a gg i o n
SA 9
TURN O
x-mary
Anno 1995. Ci sono questi tre ragazzi di
San Colombano al Lambro, il vocalist Cristio, il chitarrista Jeanluc F ed il batterista
Lapo. Sono innamorati di GG Allin, Naked
City, Pavement e Sebadoh ma - parole loro
- n o n s a n n o “ s u o n a re a b b a s t a n z a b e n e p e r
copiarli”. Fatto sta che ingranano la comb u t t a X - M a r y, n o m e f r u t t o d e l c a s o e p r e s u mo dello stesso inguaribile cazzonismo che
li spinge sul sentiero di uno stupidario rock
lancinante e visionario. Gruppo di culto
(gennaio 1996) è il primo demo su cassetta,
nel quale i tre impavidi lombardi riversano
tutta la brama hardcore psych, sembrando
i fratellini spersi di quei Flaming Lips che
loro neanche sanno chi sono ma poco importa. Qui è tutta questione di garage sgang h e r a t o e l a n c i n a n t e , d i s p u rg h i h a r d c o r e p u n k c o m e c e ff o n i e a c i d i t à m o t o r i z z a t a , d i
lo-fi visionario e cialtrone, persino di una
certa vena accomodante che annoda retaggi reggae-ska per farne ispida trama indierock. Il tutto piantato nel cedevole terreno
di periferia, dove la cultura popolare è un
f a n t a s m a a m m u ff i t o m a a n c o r a v i v o e g l i
o r i z z o n t i s i c h i u d o n o t r o p p o p r e s t o a t t o rno a prospettive struggenti ma asfittiche. In
cerca perciò di riscatto tra fantasie amorfe
e follia agra.
L’ a n n o s u c c e s s i v o a r r i v a i l s e c o n d o c h i t a rrista Jeanluc D, con il che si completa il
quartetto. Per quel che possiamo dedurre da
Baiale Baddaro (maggio 1997) - un maial e m a n n a r o c o l r a ff r e d d o r e ? - i l p e r c o r s o
sonoro inciampa nel solco di una demenzialità un po’ più fine a se stessa, sempre
i n c l i n e a l l e r a s o i a t e h a r d c o r e e a i d i v e rtissement ska caciaroni, capace di sforna-
re persino funk-rap ingrugnito e una estrema ratio grunge che te la raccomando, ma
talora ultrasvaccata fino all’insulsaggine
(vedi titoli quali Kiss Me Licia, Ratman e
I più forti siamo noi). Al punto che potresti scommettere su una luminosa carriera da
portavoce locali degli scazzati all’ultimo
stadio e non senza ragione, roba da sagre
e circoli ricreativi che sempre siano benedetti ma insomma oggi non staremmo qui
a scriverne. E invece qualcosa accade tra
il ‘98 e il 2004. Anni di rimescolamento,
defezioni e rientri. Anni di concerti repentini e altrettanti demo - di cui ahinoi non ci
vengono fornite testimonianze - fino a quel
dicembre 2003 in cui Monsieur Le Gateaux
- fratello di Jeanluc D - sostituisce Lapo
a l l a b a t t e r i a . E ’ i l p r e l u d i o a l d e b u t t o u ff i ciale Day Hospital (LMC, febbraio 2004),
previa la produzione di Fabio Magistrali. Se il sound si avvale di una definizione finalmente robusta nella sua flagranza,
l’umore del disco è rabbioso ma non coatto,
compatto ma non mummificato. Un esercizio d’intelligenza feroce, grottesca, ispida,
travolgente, capace di gestire le ormai note
sfuriate così come di macularsi bossa con
piglio sordidello, di ciondolare tra guittezza Skiantos-Gaetano e poi lanciarsi in cavalcate liberatorie come dei Mau Mau coi
coglioni strarotti, per quindi grattugiare indie ruspante - tra Bugo e Pavement - con
u n a i n o p i n a t a m e n t e g r a d e v o l e We L o v e T h e
Sun. Frammentazione e stringatezza come
v i a t i c o p e r u n ’ e ff i c a c i a e s p r e s s i v a c h e d i resti discendere dai gloriosi Minutemen, e
scusate se è poco. La band è insomma parecchio maturata, decisa a confrontarsi con
scenari più ampi utilizzando come leva gli
ingredienti di base, il quotidiano rasoterra
fatto di cibarie, di fatiche, di miserie, di
squallore e disagi ospedalieri, di amici così
storti da guadagnarsi i galloni della mitologia, di voglia d’uscirne e consapevolezza
d e l g u i n z a g l i o . C i ò c h e c o l s u c c e s s i v o A Ta vola con il Principe (LMC Records, ottobre
2006) - ancora Magistrali alla produzione
- fermenta in una misticanza irrefrenabile
di rock, folk, punk e samba, dribblando le
tentazioni trash grazie ad una trama complessa di arcaismi e modernariato, di acidità visionaria ed escursioni bucoliche. Un
lavoro fluviale ma compresso, 24 tracce
per quaranta minuti, dedicato - pensate un
p o ’ - a l p a n e . Tr a i e t t o r i e m i n i m e p e r s b e rl e ff i c o c e n t i . U n a v e r s a t i l i t à s p a v e n t o s a .
Segni verbali e sonori - in primis la voce
di Cristio, un giullare diabolico pescato al
c r o c i c c h i o t r a Wa y n e C o y n e e P e r r y F a rr e l l - i m p o s s i b i l i d a d i m e n t i c a r e . L’ a p p r o do “circense” del terzo album – nel quale i
retaggi felliniani sembrano tagliati con la
stricnina - è un ulteriore passo in avanti ed
una conseguenza inevitabile. Un compimento. I ragazzi intanto proseguono le loro vite
“periferiche”, conditio sine qua non per il
battagliero dilettantismo che li contraddistingue. C’è chi studia lingue, chi traduce
libri, chi lavora in una comunità per disabili e chi in un ristorante a Madrid. Covando
ridanciane rivalse prossime venture.
St e fa n o S o lv e n t i
SA 11
TURN O
Il primo brano del primo EP dei Grimoon si
chiama La Nuit Les Chat Son Gris. Due concetti, i gatti e la notte, e una tonalità, il grigio, che torneranno spesso nell’immaginario
della band, a cominciare dalla ragione sociale - guarda a caso il nome di un gatto, Grey
Moon pronunciato alla francese – per arrivare a un modo di intendere la musica che con
le ombre della sera, il chiarore della luna e il
fascino ambiguo dello sguardo dei felini, ha
parecchio a che vedere. Quando Solenn Le
Marchand e Alberto Stevanato – già Libra e
Travolta – si incontrano nel 2003, la loro non
è altro che un’intuizione, un progetto appena
abbozzato, tuttavia in fase di rapida definizione. A dimostrazione le otto tracce del disco che si citava in apertura, quel Demoduff
#1 pubblicato appena nel 2004 e registrato
con l’aiuto di Claudio Favretto, Andrea Iseppi, Samuele Giuponi e Erik Ursik. L’opera
riassume quelli che diventeranno i capisaldi della formula Grimoon, ovvero impianto
folk, liriche per lo più in francese, chitarre,
batteria, organo, violino, fisarmonica e basso a costruire le melodie e un approccio alle
volte malinconico, più spesso sostenitore di
un’obliquità che non sarebbe sbagliato definire psichedelica. Di certo visionaria - o
visiva che dir si voglia -, necessaria quanto
cercata, un’attitudine che in occasione della pubblicazione del disco spinge la band a
concepire un video per ognuno degli episodi
in scaletta, da proiettare durante i concerti. Interessanti a questo proposito, le parole
di Solenn Le Marchand: “ Il progetto video
è nato in contemporanea, non ricordo bene
come. Ricordo che io ero appassionata di cinema e avevo appena comprato una piccola
videocamera. Praticamente non l’avevo mai
usata. Quando abbiamo deciso di fare un video per ogni canzone, probabilmente, non
ci rendevamo bene conto di quanto la cosa
ci avrebbe influenzati”. Non poco, evidentemente, almeno a giudicare dall’importanza
che assumerà la dimensione cinematografica
nell’ottica del gruppo e in particolare nelle
dinamiche interne al successivo La Lanterne Magique. Dal disco precedente vengono
ripresi un paio di episodi – Luxure Et Passion e I’m Looking For Paris – e i caratteri
generali della musica, mentre la produzione
viene affidata in questo caso a Giovanni Ferrario – MiceVice, Vega Enduro, più una mi-
grimoon
riade di altri progetti collaterali –, con l’intenzione di dare nuovo smalto al materiale,
raffinare le trame e liberare la creatività.
Creatività che oltre ad indirizzare le musiche, concepisce, per il DVD allegato al CD,
un vero e proprio lungometraggio, colorato,
lo-fi, handmade, con le musiche del gruppo
a fare da filo d’Arianna e qualche amico fidato – tra cui Father Murphy e Alessandro
Grazian – a recitare sotto le maschere: “La
preproduzione è stata molto lunga e faticosa. Il budget pari a zero. Abbiamo avuto la
fortuna di avere a disposizione una location
d’eccezione, una villa nella quale avevamo
appena organizzato un festival di residenza di artisti italiani e francesi. La Lanterne
Magique esplora il mondo della fantasia e
il suo confronto con la realtà attraverso la
figura del Sig. Lillo, giornalista suo malgrado.” In effetti si parla di teatro più che di
cinema nei cinquanta minuti di ripresa, con
improbabili ma affascinanti personaggi – tra
i tanti, l’immancabile gatto, ma anche cavalli antropomorfi, marionette, scheletri, mucche, caffettiere animate – ad accompagnare
il protagonista in un mondo che poco ha del
reale e molto del sogno. Un sogno che integra perfettamente nel flusso dei fotogrammi
i video surreali tratti anche in questo caso
dai brani del disco, stabilendo tempi e modi
e contribuendo a rendere ancor più folle
l’impatto visivo del film. Alla pubblicazione
dell’opera, accolta positivamente da tutta la
stampa specializzata, seguono tour in Italia,
Francia, Germania, Olanda e una serie di incontri con musicisti internazionali dell’area
indipendente che si riveleranno fondamentali
quando verrà il momento di dare un seguito
a La Lanterne Magique. Siamo all’inizio del
2007. Ai controlli per Les 7 Vies Du Chat
(in spazio recensioni) viene chiamato ancora una volta Giovanni Ferrario, anche se in
realtà tutte le sette tracce del disco sono il
risultato di collaborazioni con artisti diversi. E’ lo stesso Ferrario a fare da apripista
offrendo le proprie doti di musicista oltre
che di produttore, seguito a ruota da Pall
Jenkins e Scott Mercado dei Black Heart
Procession, Marta Collica, Davide Toffolo,
Enrico Molteni e Luca Masseroni dei Tre
Allegri Ragazzi Morti, i Mariposa, i Lo.mo,
Thibaut Derien. Per un disco che, pur non
rinnegando nulla del passato musicale recente, si stacca dai monocromatismi che ne caratterizzavano il mood: “I collaboratori si
adattati al progetto e hanno veramente contribuito a un disco dei Grimoon. Credo sia
anche per questo che lo stesso appare da un
lato molto variegato, dall’altro omogeneo,
con la nostra identità sempre in primo piano. Per noi è stata un’esperienza molto ricca e stimolante” Lo scopo, in questo caso, è
dar vita a uno stile arrangiato, stratificato,
in cui incastonare funamboliche effusioni
di viole, violoncelli, timpani, clarinetti, tastiere, cori, chitarre elettriche, ma che possa
anche non tradire l’universo di riferimento
della band. Tutti i dettagli al posto giusto,
insomma, per dipingere con qualche nota e
un po’ di immaginazione un mondo surreale
in cui muovere oggetti animati, animali parlanti, musiche che raccontano di strani personaggi e un tramonto in otto millimetri in
attesa spasmodica della luna.
Fabrizio Zampighi
SA 13
TURN O
Generalmente non si è soliti associare la
Scandinavia, terra fredda, gelida, per molti
simbolo di decadentismo, cultura nordica
e religione politeista, al jazz, musica nera,
calda per antonomasia. Ma allora perché il
profondo nord europeo continua a sfornare talenti dell’improvvisazione, musicisti
creativi e di ampie vedute, molto al di là
degli ormai stereotipati e fasulli pischellini mascherati da morte? E’ proprio nella
terra dei contrasti, dei paesaggi fiabeschi,
dei naziskin neo-ariani, delle democrazie
meglio riuscite e del black metal più realisticamente violento, che nasce e cresce
quella che potremmo chiamare la “new
wave of scandinavian jazz”: Mats Gustafsson, Supersilent, Food, etichette come la
Rune Grammofon, sono la rappresentazione più lampante e, insieme, l’espressione
più contaminata e viva di quella rivoluzione musicale vecchia ormai più di un secolo
e nata nei leggendari localacci di Storyville. Un paradosso, il jazz scandinavo (come
potrebbe esserlo un’improbabile “salsa
ucraina”) divenuto realtà per una serie di
ragioni storiche che poi tanto assurde non
sono. “Il supporto alle attività culturali,
p e r q u a n t o s i s p e r i s e m p re i n u n u l t e r i o re
miglioramento, è molto più sviluppato in
Norvegia che in molti altri paesi”. Thomas
Strønen, leader dei Food, ma anche mentor e d i a l t r e b a n d d i o t t i m o l i v e l l o a l l ’ i n t e rno del panorama norvegese, come Pholitz
e Humcrush, il suo paese lo conosce bene
e nessuno meglio di lui, convinto assertore di un approccio tipicamente “scandinavo” alla musica, può rispondere a questi
dubbi che ci inseguono, uno dietro l’altro,
al cospetto di queste nuove forme di jazz.
“Noi non abbiamo una lunga storia di jazz.
M e n t re g l i a m e r i c a n i s o n o o b b l i g a t i a s o p r a v v i v e re a d u n s e c o l o d i i d i o m i , d a i q u a l i r i s c h i a n o d i e s s e re s a t u r a t i p i u t t o s t o c h e
i s p i r a t i , n o i r i u s c i a m o a d a t t i n g e re d a t u t t e
l e m u s i c h e c h e c i p i a c c i o n o s e n z a p re o c c u p a rc i m o l t o d e l r i s p e t t o p e r l e t r a d i z i o n i .
Questo favorisce la nascita di personalità
forti e musicalmente indipendenti”. Raccontando la sua storia, Thomas racconta
quella di tanti musicisti cresciuti all’ombra dei fiordi e che oggi alimentano uno
dei paesi più prolifici d’Europa, musicalmente parlando. Innamorato della batteria
già dall’età di cinque anni, il fondatore dei
Food, dopo aver sperimentato giovanissimo
la musica da banda e quella militare (dopo
“un anno perso” di leva, durante il quale
era stato l’addetto ai tamburi da parata),
e aver accompagnato la sua adolescenza a
s u o n d i I ro n M a i d e n e K i s s , a p p r o d a a l l a
J a z z A c a d e m y d i Tr o n d h e i m , u n a d e l l e p i ù
i m p o r t a n t i f u c i n e d i t a l e n t i d i t u t t a l a N o rvegia, insieme al Conservatorio di Oslo.
La carriera di musicista full time di Strønen, oggi trentacinquenne, comincia alla
fine degli anni Novanta, quando, incontrato Iaim Bellamy per puro caso, decide di
dare vita ai Food, allo stato attuale la sua
band più duratura, con quasi dieci anni di
attività e cinque album in catalogo. “Una
b a n d v e r a e p ro p r i a , m a a n c h e u n p ro g e t to”, che ha come nucleo principale lui e
Iaim, ma attorno al quale girano molti altri
musicisti. Gli esordi sono caratterizzati da
u n a f o r t e i m p r o n t a u n d e rg r o u n d , a s s o c i a t a
ad una gran convinzione nelle proprie idee
e nei propri mezzi. Free jazz che non disdegna il sound duro e aggressivo del rock:
“Nel primo album (che corrisponde alla
re g i s t r a z i o n e d e l n o s t ro p r i m o c o n c e r t o )
s u o n a m m o t o t a l m e n t e f re e , m e n t re i n O r ganic e GM Food [pubblicati dalla Feral
e a n c o r a d i s p o n i b i l i s u w w w. j a z z c d s . c o . u k ,
n . d . r. ] a b b i a m o l a v o r a t o s u m a t e r i a l e m a g giormente strutturato in un periodo nel
quale, dopo aver suonato un po’ di tempo
i n s i e m e , a v e v a m o p i ù c h i a r a l a d i re z i o n e
d a d a re a l l a n o s t r a m u s i c a . Q u a n d o s i a m o
passati alla Rune Grammofon non abbiamo
cambiato orientamento”. Dopo la pubblicaz i o n e d i Ve g g i e , n a t o d a u n a c o l l a b o r a z i o n e
c o n H e l g e S t e n a k a D e a t h p ro d , i p r o g e t t i
del percussionista norvegese cominciano a
proliferare. Nascono, infatti, nel 2004 sia
il duo con Stale Storløkken (Humcrush),
sia il qurtetto Parish, che segna anche la
sua prima collaborazione con la ECM. A
piccoli passi, Food lima il suo stile, che
parte dal jazz per abbracciare l’elettronica,
seguendo le orme di grandi maestri della
“new thing” come Anthony Braxton e Lol
Coxhill. Il risultato è un sound che richiama il jazz core dei nostrani Zu, ma con un
approccio meno aggressivo, ben riassunto in Last Supper, l’album della presa di
coscienza stilistica del combo. Molecular
food
Gastronomy, segue la scia del precedente,
c o n l a d i ff e r e n z a c h e , d o p o l a d e f e z i o n e d i
Mats Eilertsen (basso) e Arve Henriksen
(tromba), a “portare avanti la baracca” sono
r i m a s t i i s o l i S t r ø n e n e B e l l a m y, s u p p o r t a ti, in alcuni episodi, dal Fender Rhodes di
Maria Kannegaard. Poco male, visto che
le soluzioni, sia improvvisative che compositive, dove possibile, risultano ancora
più interessanti che in passato, con i due
musicisti liberi di sperimentare nuove so-
luzioni di dialogo a due.“Mi affascina la
s t o r i a d e l j a z z , m a n o n m i i n t e re s s a r i p ro durla. Io rubo dal jazz come dalla musica
c l a s s i c a , d a l l a c o n t e m p o r a n e a e d a l ro c k ,
dalla musica tradizionale giapponese, dal
gamelan giavanese. E fortunatamente nessuno mette insieme queste cose come me!”.
Scherza, Thomas. La sua è ironia, non saccenza. Ma, in fondo in fondo, ascoltando la
s u a m u s i c a , c ’ è p r o p r i o d a c r e d e rg l i .
Daniele Follero
SA 15
TUNE
Yoni Wolf / WHY?
Pop why not?
Incontro con Yoni Wolf, al suo ritorno come Why? (insieme al fratello Josiah e
Doug McDiarmid) con il secondo album Alopecia, una prova convincente in cui il
trio si mostra più a suo agio con il passato, riprendendo l’hip hop degli esordi. Di
questo ed altro abbiamo parlato con Wolf. Testo: Daniele Follero
Dalla scissione dei cLOUDDEAD, l’anima più pop del trio di Oakland, Yoni Wolf
aka Why?, nativo di Cincinnati, ma approdato giovanissimo nella città californiana,
ha provato a fare le cose da solo, mettendo
su un progetto insieme al fratello Josiah e
Doug McDiarmid. Una vera e propria band,
anche se tutto, in realtà, gira attorno alla
sua figura carismatica, tanto da far pensare
ad un solo project. L’esordio fortunato, ma
non pienamente soddisfacente di Elephant
Eyelash, per chi riponeva più di una speranza nella “moltiplicazione dei cLOUDDEAD”, ha rappresentato non uno, ma due passi
indietro rispetto alle arditezze del passato:
frasi semplici, ritornelli moto orecchiabili,
che a volte funzionano a meraviglia,altre no,
l’hip hop appena sfiorato, canzoni che starebbero benissimo (e magari gli donerebbero
un po’ di freschezza in più) in uno degli ultimi album degli U2, una voce fragile, mai
sopra le righe, a tratti ingenua e delicata. La
seconda prova del trio appare senz’altro più
convincente nella sua maggiore complessità.
Un album più completo, Alopecia (in spazio
recensioni), che, dopo una fase di rottura
con un passato difficile da scrollarsi di dosso facilmente, si guarda indietro con più disinvoltura, rivalutando l’hip hop, trascurato
nel primo album. Avevamo un po’ di cose da
chiedergli. Lo abbiamo fatto.
Yoni, subito una curiosità: da dove viene
il nome WHY? A quale domanda volevi rispondere?
Lo si può intendere come una grande domanda dal finale aperto, una sorta di risoluzione
di ciò che non si conosce. E una parola alla
quale arrendersi.
Hai fatto parte di quella sorta di “rivoluzione” in ambito hip hop chiamata cLOUDDEAD. Questo lo sanno in molti, ma pochi
conoscono il tuo passato…
Prima che si formassero I cLOUDDEAD,
Adam (Doseone) mi aveva introdotto all’hip
hop underground, quello disponibile solo
attraverso la distribuzione di audiocassette
pirata. Di quelle cose che suonano come rumore bianco con qualche accenno di beats e
il rapping brillante di qualcuno. Mi piaceva
molto quel periodo. Ci mettemmo a fare anche noi quelle cose, registrando nastri con il
vecchio Sharp di mio padre per poi mandarli
a P-minus a San Francisco per farli distribuire. In quel periodo ascoltavo anche molte
registrazioni di reading poetici: Dylan Thomas, Galway Kinnel, Marilyn Hacker, Philip
Levine.
Più in generale, qual è la musica con la
quale sei cresciuto?
Sono cresciuto ascoltando musica religiosa e
successivamente il Christian glam metal (Stryper) [finalmente qualcuno che li ricorda!
N.d.i.]. Ma la prima musica che ho “toccato
con mano” è stato il rock classico. Ricordo
che ascoltavo il rock anni ’60 e ’70 alla radio
quando avevo più o meno 13 anni e ne ero
molto coinvolto. Bob Dylan, Beatles, Bowie,
gli Stones, Zombies… quella roba lì.
Forse questa domanda te l’hanno fatta già
in molti: perché avete deciso di concludere
l’esperienza cLOUDDEAD proprio nel momento migliore?
Era come se cLOUDDEAD avesse fatto il suo
corso e qualsiasi continuazione sarebbe nata
da ragioni sbagliate. E’ vero, se avessimo lavorato di più sulla promozione del secondo
album [Ten, N.d.i.] (tour, interviste ecc…),
sono sicuro che avremmo avuto un buon successo e avremmo potuto vivere una vita tranquilla. Ma resta il fatto che tutto ciò non era
più divertente. Tutti e tre, dopo un po’ non
ne potevamo più, era diventato più un lavoro
che una passione (almeno per me). Pensavo
che fosse arrivato il tempo di smetterla e lavorare a qualcosa che sentivo di più: WHY?
per l’appunto.
Come definiresti la parola “pop”? Qual’è
il tuo rapporto con questo grande calderone definito pop music?
Non penso sia compito mio definire questi
termini, sei tu il giornalista! Questi termini
servono a voi per categorizzare e descrivere le cose. Il nostro compito di musicisti è
comporre musica onesta che provenga da un
luogo reale dentro di noi. Se ci mettiamo a
pensare a queste categorie mentre lavoriamo,
rischiamo soltanto di fare confusione. Detto
questo, ci piace usare melodie accattivanti e
arrangiamenti e produzione brillanti, per rendere la nostra musica digeribile e facilmente
memorizzabile. Immagino che questi possano essere considerati elementi del pop..
Quanto è importante per te accrescere il
pubblico? Non ti spaventano un po’ l’industria della musica e le masse?
No, non mi spaventano, né l’industria nè le
masse. Penso che se resti con la testa sulle
spalle e mantieni un certo grado di cinismo
riguardo alla situazione, puoi mantenere la
tua personalità, nonostante una fama considerevole e le pressioni del mercato. E’ vero
anche, però, che è difficile trovare una persona rimasta indenne dalle conseguenze di
quel risucchio.
Senti di appartenere ad una particolare
scena musicale?
Mi sono sempre sentito un outsider, in tutti
gli aspetti della mia vita e la musica non fa
eccezione. In fin dei conti, sono sempre IO,
non LORO.
Vivi ancora ad Oakland? Com’è fare musica negli U.S.A. lontano da megalopoli come
New York e Los Angeles?
Sì, vivo ancora qui e penso che se sei un musicista per natura puoi lavorare dovunque tu
voglia. Ogni posto in cui sei influenzerà il
tuo stile e i contenuti di quello che fai, ma
sarai sempre in grado di farlo.
SA 17
TUNE
Il vostro nuovo album mi è sembrato più
orientato verso l’hip hop rispetto a Elephant Eyelash. E, in più, in questo periodo
sei tornato a collaborare con Odd Nosdam
e Doseone. Stai per caso pensando di tornare sui tuoi passi?
Direi che, in effetti, c’è molto più rap di
quanto ce ne sia nelle precedenti release di
WHY?. Non direi però che stiamo cercando di guardarci indietro né stiamo lavorando guardando al passato. Piuttosto, ci siamo
spostati verso una direzione completamente
nuova.
Come lavorate in studio?
Ogni album, ogni canzone, è differente, ha
un suoi iter e una sua storia. Nel caso di Alopecia, ho registrato versioni demo di quasi tutte le canzoni, contenenti idee sull’arrangiamento e la produzione, prima di farle
ascoltare agli altri ragazzi. Siamo partiti da
quelle idee e le abbiamo arricchite provando
i pezzi insieme, aggiungendoci lo stile personale di ognuno di noi. Infine siamo andati
in studio e abbiamo registrato i brani principali tutti insieme, per poi in seguito lavorare
sulla post-produzione.
Elephant Eyelash è stato pubblicato quasi
tre anni fa. Cosa avete fatto durante questo lungo periodo?
Siamo stati molto in tour, abbiamo scritto le
canzoni per Alopecia e per il prossimo album
e abbiamo registrato e mixato il tutto..
Quanto sono importanti le parole nella tua
musica? Ci dici qualcosa sui tuoi testi?
Le parole sono estremamente importanti
per me. Immagini e fili di parole mi arrivano quando meno me lo aspetto, le trattengo
in mente e poi le scrivo. Poi torno indietro,
metto insieme ciò che ho scritto e correggo
tutto, tagliando senza pietà. In seguito immagino una melodia che potrebbe accompagnare i versi o un ritmo sul quale possano essere
“parlate”, se necessario aggiungo qualcosa
ed ecco la versione grezza di una canzone!
Come mai hai scelto il nome Alopecia per
il disco? Ha qualche significato simbolico
questa parola?
“Alopecia” è una metafora personale. Riguarda il modo di rivelare ogni angolo brutto
e insicuro di me stesso, senza orpelli.
Ho trovato Alopecia più complesso rispetto all’album precedente: rock, electro, hip
hop, songwriting, sono mescolati insieme
e incollati tra loro dalle strutture melodiche. Mi sbaglio? Quali sono per te le principali differenze tra i due album?
Sono d’accordo con te sul fatto che Alopecia
sia un album più meditato e maturo in termini
di scrittura e produzione, rispetto ad Elephant
Eyelash. Ma è anche molto più minimale nel
concentrare l’attenzione su alcuni elementi importanti, sviluppandoli in profondità. E’ questa
l’idea principale. Spero abbia funzionato.
Come sono cominciati I tuoi rapporti con
la Anticon? Come va oggi?
Conobbi un gruppo di ragazzi verso la fine
degli anni ’90. Alcuni di loro diedero vita ad
un’etichetta discografica per produrre tutta
la nostra musica che, altrimenti, non avrebbe visto la luce in alcun modo. Oggi, il mio
grande amico Shaun continua a portare avanti l’etichetta e lavora davvero duro.
Stai lavorando a qualche altra collaborazione a parte i tuoi progetti solisti?
Al momento sto lavorando ad un brano con
Alias per il suo nuovo album. Ho anche fatto
una cover di Bob Dylan per uno split 7” con
Cryptacyse.
Siete stati a suonare in Italia. Come ti è
sembrato il nostro pubblico?
Il pubblico italiano mi ha dato l’impressione
di essere, allo stesso tempo, osceno e coinvolto, rauco ed entusiasta. Ci siamo divertiti
tantissimo nel vostro paese e non vediamo
l’ora di ritornarci!
Sarà vero?...
SA 19
TUNE
Death From Abroad
Twelve inch dancey
Mai domo, James Murphy. Mentre leggete sarà sicuramente esploso un caso Hercules And Love
Affair e lui, che mastica house chicagoana intanto che sorseggia krautrock e new wave, trova
anche il tempo per una nuova label. Una sussidiaria della più nota Death From Above che al
simile acronimo associa stilemi d’antan e luci strobo. Signori, la Death From Abroad.
Testo: Gianni Avella
Forse covava da tempo, James Murphy,
l ’ i d e a d i u n a s u b - l a b e l . F o r s e i l l o g o Ve rtigo – satellite art-rock della Phonogram
che nei ’60 rivaleggiava con Harvest (vedi
Emi) e Deram (vedi Decca) - capeggiante
la t-shirt del Nostro nel clip di Daft Punk
Is Playing at My House non celava solo
l’amore per certi suoni, ma anche intenti
altri.
Tu t t o n a s c e p e r g i o c o , t r a u n a b i r r a e l ’ a l t r a , q u a n d o i l c a p o c c i a d e l l a D FA e i l m a nager Jonathan Galkin seduti ad un tavolo
si interrogano, in una tarda notte insonne,
sul perché molti act dance non riescono ad
oltrepassare i propri confini recintandosi, senza volerlo, in elitarie nicchie ai più
sconosciute. Problemi di distribuzione e/o
mancanza di coraggio degli addetti ai lavori. E negli States per di più, cioè la terra che dall’Europa prese spunto per fare
di Chicago e Detroit le capitali house e
techno oggi note, pare che certe realtà non
godano di alcuna priorità per via di chissà
quale stratega marketing.Peculiarità che
la stessa Death From Above, in virtù di un
variegato roster (arricchitosi recentemente degli Hercules And Love Affair, MA
ne riparliamo in spazio recensioni) che
ad esclusione dei neozelandesi Shocking
Pinks copre solo il territorio stellestriscie, asseconda. Quindi da una discussione nata, ripetiamo, come gioco - una di
quelle tavolate tra amici dove tra il serio e
il faceto si cambiano i corsi delle proprie
vite – e terminata non appena la pinta di
birra regala l’ultimo sorso le conclusioni
già si ritrovano su carta che non basta un
solo foglio a contenerle.
Pochi punti che risuonano come dogmi:
affidarsi al nero vinile, rigorosamente
nei e non oltre i 12 pollici di capienza,
e terzo occhio al di là dell’oceano. Una
strategia rétro che omaggia le intuizioni
d i To m M o u l t o n ( l ’ i n v e n t o r e d e l f a m o s o
Tw e l v e i n c h S i n g l e s ) e d i t u t t a l ’ e s t e t i c a
clubbistica d’antan che l’uomo Murphy –
metà Iggy Pop metà Larry Heard - non ci
ha mai nascosto e bastasse la sola combine
house-wave dei Rapture a confermarlo.
E neanche si nasconde ora, dacché il nuovo acronimo sotto il quale andrà quanto
detto avrà sì l’eguale facciata della più
nota Death From Above solo che l’ultima
sigla, ineluttabilmente, muterà in Abroad.
Ci sarà, forse, un’iniziale confusione fisionomica, ma come biologia insegna due
gemelle/i (le divide qualche anno, ma sono
dettagli) non devono necessariamente condividersi caratteristiche fisiche e/o mentali per cui, se da una parte troverete, ad
esempio, l’indie dei Shocking Pinks e la
vena cosmica di Delia Gonzalez & Gavin
Russom dall’altra il mood sarà cassa dritta
e pedalare. Giusto che sia cosi visto che
l’intento era dare sfogo a delle passioni,
il solo il 12”, senza saturare e snaturare un catalogo, quello Death From Above,
avviato nelle sue leggi interne.
Un’idea di fondo rallegrante i tanti aficionados del vinile – in crescente aumento di stagione in stagione - che, sorretto
d a l f i d o Te c h n i c s S L - 1 2 0 0 M K 2 e p o g g i a to alla statuaria testina Stanton, pare dar
testa in modo sempre più convincente al
vacuo CD. Ed è poi logico, inoltre, che
tale ragionamento venisse fatto da un over
3 0 , i l S i g . M u r h p y, c h e d i v i d e n d o s i t r a
scrivania, il palco e qualche telefonatina
coi vertici Nike continui ancora a mietere musica in dj set incandescenti (circola
SA 21
TUNE
un interessantissimo Fabric 36 capitanato
da Nostro e Pat Mahoney) alla stregua del
mitologico Larry Levan. E se tra di voi
c’è qualche fortunato spettatore capitato a
transitare dalle parti di un club londinese
c h i a m a t o D r u z z i ’s B a l t i m o r e R a v e C l u b ,
avrà notato come il Nostro tra un pezzo
d e l l a L o v e o f L i f e O r c h e s t r a d i P e t e r G o rd o n , D o n n a S u m m e r, B e a t l e s , D o n a l d B y r d
e Stooges abbia missato una strana cosa
chiamata Acarpenter con molti presenti ai
piedi della consolle speranzosi di adocchiarne il logo.
Gli altri, tutti, a ballare il Gucci Soundsystem, disco pret-a-porter – si scherza,
e h – d a l l a c o p p i a R i o t e B e n F a t Tr u c k e r
che oltre ad essere i proprietari del detto
c l u b v a n t a n o r e m i x p e r c o n t o d i Ti e f s c h w a r z ( Wa i t & S e e ) e S o u l w a x ( Ti m e To G e t
Aw a y ) , c o l l a b o r a z i o n i c o n O u t p u r R e c o r d s ,
Dj Gigolo, Get Physical, City Rockers e
tre dischi, due di Riton per Grand Central
e u n o d i F a t Tr u c k e r p e r l a s t e s s a G i g o l o ,
di culto assoluto.
Rilasciato nel 2006 in sole 500 copie dalla
Bugged Out, Acarpenter armonizza epica
kraftwerkiana e battito ipnotico in otto min u t i d i t r a n c e d a n c e y, m e n t r e l a s u c c e s s i v a
L o rd A M e rc y a l z a i l t i r o d a l l e p a r t i t e c h n o
minimal sponda Kompakt. La facciata B ovvio che d’ora in avanti ragioneremo in
v i n i l e – p r e s e n t a u n r m x d e l l a s t e s s a A c a rpenter redatto per l’occasione da Joakim
Bouaziz che ne acuisce la vena ipno.
Comunque, nell’ordine temporale ad inaugurare il catalogo Death From Abroad sono
s t a t i i M o c k & To o f , a l t r a c o p p i a – e n o n
s a r à l ’ u l t i m a – g i à n o t a a i f re q u e n t a t o r i
d e l c a t a l o g o D FA b o v e a l l a l u c e d e i t r a t tamenti dati a Love Is In The Air per Juan
Maclean e Over And Over per Hot Chip che
si aggiungono ai rmx per Scissor Sisters,
Maps, Gomma e Rebirth & Supersoul.
H a n n o u n s i n g o l o u s c i t o p e r Ti n y S t i c k s ,
Black Jub, già reliquia dei mercatini più
c o o l e i l c o n t a t t o c o n D FA b r o a d è n a t o
grazie ad una demo che i Nostri hanno
spedito alla coppia Murphy/Galkin che
impossibilitati nell’accasarli alla più nota
sorella, prima gli commissionano i rmx di
cui sopra e poi decidono – e vuoi vedere
che siano loro l’inizio di tutto questo?!
– di lanciarli come overture della novella
label.
K-Choppers è tra i pezzi più pregiati
dell’intero catalogo, un groove à la Yr Cit y ’s A S u c k e r d i L c d S o u n d s y s t e m m e m o r i a
spoglio di voce e portato al di là delle nuvole. Prossimità Paradiso. Lo senti pulsare misterico che senza volerlo ti ci trovi
c a t t u r a t o . L a s i d e B i n v e c e , B ro w n B re d ,
ripiega su lidi mutant-disco stile Liquid
Liquid con quei campanacci che ci fanno
desiderare già un album lungo.
Con la terza release abbandoniamo il vecchio continente per le sponde del sol lev a n t e . A l l ’ a n a g r a f e Ya m a g a Ta k a s h i , A l t z
è un rocker pentito – al suo attivo trascorsi
i n b a n d a m m i c c a n t i Ly n y r d S k y n y r d , L i t tle Feat, Rolling Stones come Funkadelic
e Ye l l o w M a g i c O r c h e s t r a - c o n v e r t i t o s i
alla cassa in quattro dopo un viaggio in
terre indiane. Lì avverte il lato trance del
pentagramma e dal 2000 comincia la sua
avventura come produttore, concretizzatasi fin qui in quattro lavori di cui uno, La
La La del 2005, ristampato anche in Europa per conto dell’inglese Bear Funk.Max
M o t i o n s i a v v a l e d e l l e v o c a l s d i Yo s h i m i
d e i B o r e d o m s ( e J . O . Y. ) c h e s a l m o d i a s u
di un canovaccio tra p-funk e certa wave
m u t a n t e s p o n d a N e w Yo r k m e n t r e Ye l l o ,
l’estratto dal disco anzidetto, riecheggia
la disinvoltura dancey degli Out Hud di
S . T. R . E . E . T. D . A . D . S u l l a t o o p p o s t o d u e
t r a t t a m e n t i d e l l a s t e s s a Ye l l o d a p a r t e d e i
Idjut Boys ne fanno uno strano pastiche
t r a Z z To p i n d a n c e ( ? ! ) n e l l ’ H o e D o w n
Mix e bagnato dub nel Down Mix che già
girano regolarmente nei set, tra i tanti, di
Prins Thomas et simila. Non poteva mancare la Francia. Scenari exploitation per
i B o t ’ O x d i J u l i e n B r i f f a z e C o s m o Vi telli, nick dietro il quale si cela un Banjamin Boguet cosi ribattezzatosi in onore
d e l B e n G a z z a r r a d e L’ a s s a s s i n i o d i u n a l libratore cinese (John Cassavetes, 1976,
per chi fosse interessato). Entrambi titolari di varie vesti - Julien Briffaz alla guida
dei [T]ÉKËL e Boguet dietro la scrivania
della I’m A Cliché Records – si conoscon o i n v i r t ù d i u n c o n d i v i s o a m o r e p e r c e r-
te atmosfere euro-disco-dark dei ’70 e gli
scenari dei poliziottesci italiani d’antan.
Debuttano per I’m A Cliché nel 2006 col
singolo Hummer Party/Crashed Cadillac e
a p p r o d a n o a l l a D FA b r o a d c o n B a b y l o n B y
Car, due tracce di morbosa disco corvina
armata di Rayban a goccia e stomp euro.
N e l l a t i t l e t r a c k , Vi t e l l i a l b a s s o e c h i t a rra e Boguet alla batteria, suonano come
gli irrinunciabili Goblin di Buio Omega in
M D M A d i c o n t r o a Tr a g e d y S y m p a t h y c h e ,
invece, parafrasa Fujiya & Miyagi nella
stessa maniera in cui i Sunn O))) fanno
con i Black Sabbath, li candidano a nome
da seguire con attenzione. Fossi nei Justice mi guarderei le spalle…
Te r m i n a q u i l o s m i l z o c a t a l o g o D e a t h
From Abroad ma fin da ora si parla di un
CD riassuntivo (il mercato è pur sempre
il mercato…), altre band, forse quattro,
da monitorare e poi serate in tema, libri
e addirittura un film con, magari, una De
To m a s o P a n t e r a G T 5 - S d e l 1 9 8 9 – l a l a bel vista dagli occhi di Jonathan Galkin
– sfrecciante in quarta e assoluta protagonista. La soundtrack di certo non mancherà, ma nel caso occorra un titolo direi
che Abroad From Above ci starebbe bene.
( Tu t t i i s i n g o l i a n a l i z z a t i l i t r o v a t e s u
http://revolverusa.com).
SA 23
TUNE
Gallon Drunk
il ventre della citta’
Il ritorno a fine 2007 con l’ottimo The Rotten Mile offre l’occasione per ripercorrere l’epopea
street-garage-blues e coloriti dintorni di James Johnston, e del suo mai troppo rimpianto
gruppo. Un’America malsana e sommersa la loro, però interpretata da questo lato dell’Atlantico
e senza alcuna freddezza o distacco. Testo: Giancarlo Turra
Altro che nominare baronetto Mick Jagg e r ! Av r e b b e r o d o v u t o i n s i g n i r e d i t a l e c a r i c a J o h n R a v e n s c ro f t p e r i s u o i i n f i n i t i
servigi al mondo della musica. Nell’ipotesi
che chi scrive si sia perso qualcosa e l’onor i f i c e n z a s i a s t a t a e l a rg i t a p o s t m o r t e m ,
fate qualche conteggio e vi renderete cont o q u a n t e p o c h e v o l t e M r. P e e l s i s i a s b a gliato in quei quattro decenni troppo presto
stroncati. Uno capace quasi come nessuno
di anticipare le mode - e così agendo inv e n t a r l e - i n t a n t o c h e d e i t e m p i a ff e r r a v a i l
significato intimo racchiuso nelle canzoni.
Uno capace di passare dai Fairport Convention ai Napalm Death per tramite dei
F a l l : b a s t a v a p o s s e d e r e i n v e n t i v a e a rg o menti da sfoggiare e lui ti avrebbe trovato
spazio (perfino i nostrani Uzeda lo visitarono per incidere una session.) La spieghi
così l’adorazione espressa a colpi di lodi e
p a n e g i r i c i p e r d e i f i g u r i t o r v i e d a l l o s g u a rdo sempre un po’ assente, tranne quando
si trovavano a calcare un palco o incidere
un disco. Perché i Gallon Drunk non puoi
che immaginarli a fornire colonne sonore a
u n p l a u s i b i l e E l l ro y d ’ A l b i o n e , s e d u t o i n
q u a l c h e m a l f a m a t o p u b d i C a m d e n To w n
in attesa che lo raggiunga l’equivalente
“ f i s h & c h i p s ” d i Ta r a n t i n o p e r s c e n e g giare la cattiveria che abita i vicoli fuori
dalla porta di casa. Un’America malsana e
sommersa, insomma, però interpretata da
questo lato dell’Atlantico e senza freddezza o distacco. Sul serio tanto bravi quanto
sfortunati James Johnston e la sua ghenga,
calpestati dal grunge in pieno deflagrare e
dalla risposta nazionalistica del britpop; e
dire che non avevano nulla da invidiare ai
maestri che fungevano loro da ispirazione,
si chiamassero Birthday Party o Suicide,
Cramps o Bo Diddley. Mancavano semmai
l’appeal sexy alla Jonathan Spencer e quel
pizzico di paillettes in omaggio per farne
delle stelle, più attenti com’erano a capirsi
col barista sulla marca di birra scura o accordare le chitarre vintage, issarsi in spalla
l ’ a m p l i f i c a t o r e Vo x e t o r n a r s e n e a c a s a s o t t o l a p i o g g i a b a t t e n t e . C e n e a c c o rg e m m o
in pochi, ma se non ce li siamo levati dalla
m e n t e e d a g l i s c a ff a l i u n m o t i v o c i d o v r à
pur essere.
Il club dei single
Grande dunque il piacere di riparlarne a un
lustro dall’ultimo disco e ancor di più in
termini positivi come da lungi non accadeva: ottima la forma artistica (per il resto
giudicate voi…) del James, immarcescibile
come la musica che ama e propone. Deve
a v e rg l i f o r s e g i o v a t o l a r i s t a m p a a v v e n u t a
la scorsa estate su Sartorial dei primi tre
lp firmati dal Gallone che, meritoria ben
oltre il regolamentare codazzo di bonus, ha
permesso al Nostro di rileggere un recente passato “classico” che trascende il mero
stato di culto. Pare ieri che ha iniziato tanto
suona ancora fresco, invece fanno vent’anni che lo stralunato Johnston, cantante e
polistrumentista, si imbatte a Londra con
l’alter ego Michael Delanian, allestisce
incandescenti esibizioni live e si propone
con quattrocento copie di un vinile formato 7” sul quale trovano posto i sudaticci
contorcimenti garage-jazz di Snakepit e
una Please Give Me Something tutta spasmi
in derapata. Pochi minuti che palesano un
duo perfettamente calato nel proprio tempo, attento a snobbare il revival calligrafico per indirizzare invece attenzioni e attitudine critica all’incrocio di stili. Anche
SA 25
TUNE
nei momenti di maggiore appannamento le
cose non cambieranno, così come funziona
il collante fornito da una verve con pochi
eguali e quei lampi di genio che conducono verso soluzioni inconsuete. Ne deriva
u n a m e t a m o r f o s i d e l l a t r a d i z i o n e c o n f e rmata nel 45 giri seguente, navigazione tra
flutti in cui si scampa d’un pelo il naufragio (Gallon Drunk: vanagloriosi come
Diddley i ragazzi e ne hanno ben donde) e
calci tirati ai Silver Apples in compagnia
di Lux Interior (Ruby). La formazione si
completa e decolla in modo definitivo con
l’entrata del percussionista Joe Byfield e
di Nick Coombes dietro a tamburi e piatti.
L’ a p p o r t o è r e s o d i p u b b l i c o d o m i n i o n e l l a
junglistica Draggin’ Along e nell’inaudito,
strepitoso surf sotto narcotici Miserlou che
vanno a comporre il singolo numero tre.
A questo punto il buonsenso indurrebbe a
sfruttare quel poco di successo e pubblicare un album ma figuriamoci, tocca spendere la seconda metà del ’91 a inseguire
(con tutto quello che usciva, ricordate?)
altri due piccoli vinili. Ambedue grandi,
però, e degni della fatica ripagata col devastante voodoo The Last Gasp (Safty) e la
rimbombante psicosi caveiana Some Fools
M e s s . D a l m a r a s m a o rg a n i z z a t o s b u c a n o l a d i ff e r e n z a s i g i o c a t u t t a l ì : n e l d e t t a g l i o
r i v e l a t o r e - p i a n o e o rg a n o s w i n g a n t i c h e s i
avvinghiano alla chitarra e non fanno prig i o n i e r i . I n a u t u n n o i G a l l o n D r u n k s i p e rsuadono finalmente a entrare in studio per
lavorare al primo disco “lungo”. Il nuovo
batterista Max Decharné è della partita e
Yo u , T h e N i g h t … A n d T h e M u s i c ( C l a w f i st, 1992; 7.5/10) avvia l’annata col botto,
d i p o c h i m e s i a n t i c i p a t o d a q u e l To n i t e …
The Singles Bar (Clawfist, 1991; 7.6/10)
che recupera tutta la manna di cui sopra
dentro a una copertina ammiccante e ironicamente rétro. Attese per nulla tradite,
dato che la mistura si è fatta ancor più inebriante tramite iniezioni di jazz malandat o ( Tw o Wi n g s M a m b o e l a t i t l e t r a c k , u n a
d e s t r u t t u r a z i o n e d e l l ’ a r c i n o t a Ta k e F i v e ) e
filmiche cavalcate “noir”. Johnston passa
dal ruolo di invasato a quello di seduttore
( J u s t O n e M o re c i t a I o c h e n o n v i v o d i P i n o
Donaggio!), salta su un treno in acceleraz i o n e ( N i g h t Ti d e ) e r i p o r t a i n v i t a i l c a d a vere di Presley (Eye Of The Storm), infine
t o r t u r a u n t e m a w e s t e r n c o n T h e To r n a d o .
Cuori metropolitani
Formidabile apertura, della quale in fondo
poco si dubitava dati i precedenti, ma dalla quale ci si attendeva da lì in poi grandi
c o s e g r a z i e a l l ’ a ff i a t a m e n t o o t t e n u t o c a l cando ripetutamente i palchi d’Europa e
pure l’America che è loro Musa ispiratrice.
P r o v v e d e a f u g a r e i r e s i d u i d u b b i i l p e rf e t t o F r o m T h e H e a r t O f To w n ( C l a w f i s t ,
1993; 7.8/10), opera ambiziosa e ciononostante poggiata su solide basi, forte di una
calligrafia all’apice, produzione scintillant e e o s p i t i d i e ff e t t i v a s o s t a n z a c o m e L a e t i t i a S a d i e r e i l f i a t i s t a Te r r y E d w a r d s .
Te r z o e p e r t a n t o d i ff i c i l e d i s c o , s i a r t i c o l a
con classe ed estro tra archi agili e viluppi
strumentali, ostentando con sfrontata eleganza un blues metropolitano che sa essere spasmodico e acido (Jake On The Make,
Bedlam), negroide (End Of The Line, il
rock & soul Arlington Road) e romanticam e n t e d e b o s c i a t o ( N o t B e f o re Ti m e , P u s h
The Boat Out). Alla fine compie il mirac o l o p a g a n o d i f a r e t u t t ’ u n o e c o s p a rg e r v i
aromi aspri ma stordenti di falsa dolcezza
( L o v i n g A l o n e , Yo u S h o u l d B e A s h a m e d ) e
o r i e n t e ( P l a y i n g F o r P l e a s u re ) . U n p o k e r
d i f a c c i a t e d a f a v o l a p r i v e d i b l u ff c h e a g giungono tre fumiganti brani prelevati da
un Madison Square Garden in visibilio.
Come la storia insegna, a un punto di arrivo
corrispondono un declino, la fuga o il lento
cadere. Qui si centrano i punti uno e due,
per fortuna limitandosi a lambire il terzo:
Johnston temporeggia entrando nei Bad See d s ( q u e s t i o n e d i a ff i n i t à e l e t t i v e , d i r e b b e
il poeta) e stampa l’interessante collaboraz i o n e c o l g i a l l i s t a D e re k R a y m o n d D o r a
Suarez (Clawfist, 1993; 6.8/10) mentre una
serie di problemi si abbatte sulla band, da
tutti creduta pronta a sedersi nell’olimpo a
f i a n c o d e i s i g n o r i C a v e e S p e n c e r.
Contratto bloccato e carte bollate spadroneggiano fino al 1995, quando fa la sua
c o m p a r s a l ’ E P T h e Tr a i t o r ’s G a t e ( C l a w fist; 6.4/10) nel quale si perdono cocci e
più che altro tenore alcolico. Recuperato
almeno in parte da un rifinito (con gusto)
e vistosamente annerito In The Long Still
Night (City Slang, 1996; 7.2/10): nonostant e l ’ i m p o s s i b i l i t à d i o ff r i r e l e m e d e s i m e
gozzoviglie di tre anni prima dice comunque la sua con voce stentorea, sfoggiando
numerose testimonianze della recente mil i t a n z a d e l l e a d e r, u n a b l a x p l o i t a t i o n m a l i g n a i n Tw o C l e a r E y e s e l a v i g o r o s a e d
e l e g a n t e To L o v e S o m e b o d y c h e f u d e i B e e
Gees. Li reputavamo semplici colpi di coda,
persuasi di dover archiviare in via definitiva la pratica, giacché la colonna sonora
Black Milk (FM Records, 1999; 6.0/10)
raccontava una modernità poco persuasiva,
mentre il dilatato Fire Music (Sweet Nothing, 2002; 6.7/10) riproponeva ulteriore
negritudine, deliziosa routine e una bella
r i l e t t u r a d e l l a d y l a n i a n a S e r i e s O f D re ams. Dissolvenza e silenzio rotti soltanto
da un’antologia di poca utilità e dalle ristampe al contrario imprescindibili di cui
s o p r a ; p o i , a f i n e 2 0 0 7 e c c o c o n c r e t i z z a rsi il nuovo disco del quale erano trapelate
notizie durante l’estate. The Rotten Mile
(Fred, 2007; 7.4/10, in recensioni) è, senza
tema di smentite, uno dei lavori più riusciti
in un ambito inflazionato e tendente alla
parodia - autoreferenziale e involontaria: il
risultato non muta - com’è quello “streetgarage-blues” e coloriti dintorni. Che vengono trascesi con swing, mestiere, ironia
e veemenza assai poco addomesticata nonostante gli anni. Fa un figurone la penna di James, supportata a dovere dal nuovo
b a s s i s t a S i m o n Wr i n g s u b e n t r a t o a D e l a nian, da un Edwards versatile come non
mai - dodici battute devastate alla Stooges
di Funhouse, ondeggiamenti al limite del
psichedelico e latinismi doorsiani ne mostrano tutta la competenza a tastiere e sax e i l p u n t u a l e b a t t e r i s t a I a n W h i t e ( l o r i c o rd a v a m o c o n l ’ u l t i m a Ly d i a L u n c h ) . B l u e s
è il nome del gioco, declinato secondo la
variante urbana odorosa di asfalto umido e
gas di scarico, locali di terz’ordine e volti
ambigui, sensualità e una The Shadow Of
Yo u r S m i l e d a d e c a d e n t e c r o o n e r. Q u a r a n ta minuti che, quanto a livello esecutivo
e c o m p o s i t i v o , n o n s o n o a ff a t t o l o n t a n i d a
Yo u , T h e N i g h t … A n d T h e M u s i c ; t a g l i a t i
su misura per malavitosi un po’ sentimentali, anche, di quelli che esistono soltanto
n e i f i l m e o r m a i n e m m e n o p i ù l ì . Ti s e i a l lontanato e smarrito, pal Jamie, ciò nonostante sai benissimo che il lupo perde il
pelo ma non il vizio, e le budella della città
che ci stai cantando sono ancora le stesse,
molli e intasate di spazzatura. Sarà forse
per questo che ci piacciono così tanto?
SA 27
DROP OUT
Pocahaunted
i sogni acidi di Los Angeles
Si chiamano Bethany e Amanda, si fanno chiamare Pocahaunted, hanno una gran voce, un
discreto fascino e un’innegabile sense of humor. Due sirene psych di Eagle Rock, Los Angeles
che sono riuscite a trovare un’improbabile punto di contatto tra i nativi americani e il Big One
californiano. Sullo sfondo una delle realtà più febbrili dell’underground di inizio secolo: la Not
Not Fun. Testo: Antonello Comunale
“Strarei al caldo e al sicuro se fossi a Los
Angeles”. Così cantavano i Mamas and Papas nella storica California Dreaming. Una
canzone? Di più. Un inno generazionale,
un’icona indimenticabile, un segno eterno
degli anni ’60. La California e più nello specifico, la Città degli Angeli, appartengono
alla categoria dei luoghi del mito. Il Grande
Sogno Americano da queste parti diventa
davvero enorme, davvero vasto, davvero a
misura del cielo e il piccolo uomo occidentale (soprattutto se europeo e provinciale) in
qualche modo vagheggia questi posti come
un musulmano fa per la Mecca. Non a caso
l’immaginario pop qui diventa forma e sostanza del vivere quotidiano. A cavallo tra i
due secoli, da queste parti gli ex-presidenti
non solo fanno surf, ma rapinano banche
mentre procaci bionde dalle curve mozzafiato salvano inermi bagnanti sulle spiagge più
“cool” d’America (com’è che diceva Chandler di “Friends” guardando “Baywatch” in
tv? “Correte, correte, correte”…). Ma questa
come dire… è un po’ la cartolina buona per
il cliché turistico. In effetti dietro c’è dell’altro e tutta questa cultura “sun glasses” funziona un po’ come una copertura di facciata.
Di sicuro i senzatetto vengono ricacciati verso le periferie, ai margini della metropoli.
Certo a Los Angeles, a differenza di quanto
succede a New York riesci anche a vedere
l’orizzonte, ma è un orizzonte sempre più
nero e inquinato. Sotto la cappa, gli insetti
sciamano malevoli e dietro lo star system
hollywoodiano e la risolutezza del Governator (che da queste parti oltre che amministrativa deve per forza essere anche fisica e ne
fa fede la performance di Schwarzy in occasione del recente super incendio che ha flagellato tutta la costa californiana) si nascon-
dono mille facce inquiete di quello che è lo
stato più popolato degli States. La musica
infatti diventa lo specchio deformante di tutto questo. Il “declino della civiltà occidentale” in qualche modo comincia qui. Con una
tradizione punk hardcore di ferocia innata
(Germs Uber Alles!), con una scena trance
dal carisma imperituro (i Savage Republic
che infatti rinascono a nuova vita) e con i
vecchi (il cosiddetto trash metal della Bay
Area) e nuovi (il nu metal di Korn e derivati)
fasti di un metal che non morirà mai. La musica rock qui è una faccenda chiave come poche altre. “In questo momento la California,
musicalmente parlando, è di gran lunga migliore di qualunque altro posto. Qui c’è una
forte scena punk/trash party per giovani ragazzi arrabbiati e nel nord della California
c’è una bella scena da raver del tipo hippiemeets-electro. E c’è una sotto corrente dappertutto di drone e doom e psych e noi siamo
davvero fortunate a farne in qualche modo
parte. La cosa comunque è particolarmente
strana perché chi davvero può desiderare di
essere un hippie raver trash?”. Chi parla è
Amanda Brown, una che nel suo piccolo
rappresenta la California più psichedelica e
out di questi anni. Brown è il cognome acquisito dopo aver sposato Britt Brown. Insieme gestiscono una delle label più scoppiate dell’odierno scenario rock, la Not Not
Fun. Materiali e imballaggi improbabili,
uscite su formati di ogni tipo (cassette, lp,
cdr, cd), artwork dal taglio acido psichedelico con effetto da delirio iper pop e formazioni musicali improvvisate alla bell’e meglio
su gradazioni variabili del concetto di primitivismo artsy: Pukers, Barn Owl, Black
Monk, Thousands, Barrabarracuda, Ettrick,
Quintana Roo, Loosers, Changeling, Family
Underground, Shepherds, Weirdo/Begeirdo e
tanti altri ancora… Amanda si nasconde dietro molte di queste sigle ma è insieme a
Bethany Casentino che da vita alla formazione più proficua allo stato attuale della sua
carriera, le Pocahaunted: “Le Pocahaunted
nascono in un modo molto naturale e semplice. Quando ci siamo conosciute, Bethany
aveva già una proficua carriera solista che
le dava un certo successo web, e io entravo
ed uscivo da vari piccoli progetti casalinghi
come Weirdo/Begeirdo, Barrabarracuda,
Quintana roo e Knit Witch. Unirsi è stato un
processo quasi spontaneo. Quanto allo strano nome, sarò sincera… un giorno ho sognato che Bethany ed io eravamo insieme in una
band chiamata Pocahaunted. Quando mi
sono svegliata ho mandato subito una email
a lei, sperando che le piacesse. A lei non importava molto e così è diventato quello il
nostro nome. Un nome che ci sta addosso
davvero bene e che è diventato come una
motto/filosofia di vita per la nostra musica”.
Bethany è una bella ragazza bionda ma
dall’aspetto lontanissimo da quello di una
bellezza tipica di L.A., forse per le sue radi-
ci italiane: “Si, sono metà italiana. La mia
famiglia è della Sicilia. Mi fa impazzire
l’idea di essere una super principessa italiana”. Il quartier generale delle Pocahaunted è
a Eagle Rock, quartiere del nord di Los Angeles dove vivono tutti quanti insieme e
aspettano con non troppa preoccupazione la
fine del mondo, che da queste parti ha il volto preciso del Big One: “Beh…la faccenda
del Big One procede in ogni caso, ma penso
che da queste parti nessuno sia veramente
preparato. Voglio dire… vendono stranissimi
kit di emergenza contro il terremoto nei supermercati e in tutti gli store del cavolo, ma
nessuno di noi ne possiede uno. Comunque,
entrambe abbiamo luci al neon di emergenza
e una gran quantità di bottiglie di acqua,
quindi penso che siamo fuori pericolo.” Le
Pocahaunted sono un esempio perfetto di realtà californiana lontana da stereotipi.
L’umorismo deve essere innato: “Quando
sono stata in Italia, ad essere sinceri… ho
avuto come l’impressione che in giro ci siano molte più belle ragazze che non qui in
L.A. – dice Amanda - non solo erano delle
gran bellezze, ma erano anche ricche, ben
SA 29
DROP OUT
Guida minima al Poca-World
1. M o c c a s i n g i n g
Pr ima u s c ita u ff ic ia le d e lle d u e . U n a c a s s e tta c 3 8 p o s ta a ll’ in te r n o d i u n a s a c c h e t t i n a
a d o r n a ta c o n f o g lie d i a q u ila . A n c h e s e la mu s ic a d e lle n o s tr e s i è ev o l u t a m o l t o , q u e s te q u a ttr o c o mp o s iz io n i f a n n o a n c o r a il lo r o s p o r c o la v o r o . Ca n ti d i p e l l e ro s s a c h e
e v a p o r a n o c o me n u b e min a c c io s e in to r n o a f u o c h i e b iv a c c h i in p r a t e ri e a b b a n d o n a t e .
L a v o r a te p u r e d i p 2 p . N o n s i tr o v a n e mme n o s u e b a y a p a g a r la o r o .
2. W h at T h e S p i r i t s T e l l M e
Pr imi s e g n i d i u n a e v o lu z io n e p o s s ib ile , c o n d u e c o mp o s iz io n i e te r e e e d e s p a n s e e u n
p o ’ me n o a c e r b e . Th e Wa lk in g Win d è u n a n e n ia d a ll’ a n d a me n to c l a u d i c a n t e c o n u n a
d e liz io s a f a n f a r a s tile Vic to r ia la n d d e i Co c te a u Tw in s . A n d H o w I t C a r r i e d Me Aw a y
g ir a in to n d o a p o c h i e le me n ti c o me u n a d a n z a p r o p iz ia to r ia p e r la p i o g g i a e g l i s p i ri t i
b u o n i. Ca s s e tta in 5 0 c o p ie . E v id e n te me n te c e l’ h a n n o s o lo g li a mici e i fa n a t i c i .
3. R o u g h M a g i c
Su questo ep le due Pocahaunted mettono due dei loro brani migliori e non è un caso
c h e q u e s to tr a i f a n s ia u n o d e i d is c h i p iù a p p r e z z a ti. S in g in g Co lo r è u n a c o s t ru z i o n e
le g g e r is s ima c h e p o g g ia s u u n a e le me n ta r e e ma lin c o n ic a f r a s e d i p ian o . Wa r m e r K n i v e s
è u n g ir o to n d o d i s p ir iti s b ia d iti. D is to r s io n i a p p e n a u d ib ili e c h e s i t ra s fo rm a n o i n u n
ronzio sepolto alla maniera degli Skaters. I La-la-la di sirene fanno il resto. Magia.
vestite e profumate in un modo davvero sexy.
Quindi pensò che voi ragazzi italiani avete
un gran super market di belle ragazze proprio dietro l’angolo. Credo che le tipiche
cose californiane da cartolina siano classici
come il bel tempo, il traffico, le celebrità, le
diete veloci e le bevande dietetiche, le cerimonie di premiazione e gli smoothies. Né
Bethany né io sappiamo come fare surf.
Qualche ragazzo pensa che siamo carine,
quindi siamo fortunate.” Bethany prosegue
sulla falsariga: “Non credo che siamo degli
esempi perfetti di bellezze californiane, e
non credo che ci comportiamo in modo particolarmente tipico. Siamo giusto addentro a
cose come le sopracciglia folte, lasciare tutto a metà e bere galloni interi di te caldo
quando ci sono 80 gradi fuori. L.A. comunque non è propriamente “una giornata in
spiaggia”. Proprio come la loro musica, che
sembra agevole e beata in superficie, ma sotto nasconde inquietudini di ogni sorta.
Bethany e Amanda cominciano subito a trafficare con i microfoni, i pedali e gli effetti.
Il loro marchio di fabbrica è il vocalizzo etereo, mentre la loro musica ha i contorni di
una calda mareggiata amniotica. Si pongono
sulla stessa linea di tante sirene psych di og-
gigiorno (Christina Carter, Liz Harris, Inca
Ore, Valet) ma i loro riferimenti sono più
eterogenei e vanno a pescare più indietro:
“Christina, Liz, Eva (Inca Ore) sono dei veri
talenti, ragazze bellissime che hanno molto
da esprimere nella loro musica e nella loro
arte – sentenzia Amanda - ma a dire la verità per quanto riguarda noi, ad influenzarci
non sono altre donne musiciste che suonano
simili a noi, sebbene le rispetti immensamente. Dovrei dire che siamo state per lo più
ispirate da Kate Bush, i Cocteau Twins, Linda Sharrock, Annie Lennox e Stevie Nicks”.
L’alchimia tra le due sembrerebbe scoccata
immediatamente se è vero che Bethany candidamente sostiene che “Quando ci siamo
unite per iniziare quest’avventura, abbiamo
letteralmente aperto le nostre bocche e i
suoni che uscivano fuori funzionavano”. Per
una delle loro prime performance dal vivo
qualcuno, ispirato evidentemente dal nome,
si inventa l’espressione “Native Seduction”:
“Quando lo abbiamo visto, abbiamo riso entrambe e abbiamo deciso che doveva essere
qualcosa che avremmo usato. Ci piace l’idea
che la nostra musica seduca qualcuno lì fuori”. Una seduzione mortale come quella delle sirene. Bethany avvia anche un progetto
4. M o u t h O f P r ay e r
U n o s p lit c o n Ro b e d o o r c h e e s c e d u e v o lte s u Bla n k e s t Ra in b o w s . Il l a t o d e l l e P o c a haunted è occupato dal brano che dà il titolo al disco. Il mestiere è ormai solido. Un
arpeggio da spastici che si incastra in un loop, percussioni tribali e un girotondo di
e c h i, d e la y, e ff e tti s p a z ia li e p s ic h e d e lic i. Se d u ttiv o e o ttu n d e n te . Ul i s s e s a re b b e i m p a z z ito imme d ia ta me n te .
5. M y t h i c a l B e a s t /P o c a h a u n t e d 12” s p l i t
Split con Myhical Beast, altra formazione più che promettente che uscirà quest’anno
c o n u n d i s c o s u L a n g u a g e O f S t o n e , l a n e o e t i c h e t t a d i G r e g We e k s d e g l i E s p e r s . I l l a t o
A o c c u p a to d a lle Po c a h a u n te d o s p ita il lo r o b r a n o p iù a p o c a littic o . E ’ S w a y e d To n g u e s ,
u n c o n g e g n o a r c a n o e s c u r is s imo c h e a v r e b b e f a tto f e lic e il D a v id Ti b e t d i D o g B l o o g
Ris ing .
6. H u n t e d G at h e r i n g
U n m a t r i m o n i o d e c i s o a l l ’ i n f e r n o . P r i m o d i s c o u ff i c i a l e p e r l a c o p p i a P o c a h a u n t e d /
Ro b e d o o r. Be th a n y e A ma n d a r ila s c ia n o le lo r o c o mp o s iz io n i mig lio ri d i s e m p re , m e n t r e i R o b e d o o r p r o s e g u o n o l a l o r o s a g a d e l d r o n e a p o c a l i t t i c o . Tu t t o i n c r e s c e n d o v e r s o
i l s u g g e l l o d e l l a c o m p o s i z i o n e f i n a l e c h e l i v e d e t u t t i e q u a t t r o i n si e m e , c o m e s p e s s o
c a p ita a n c h e d a l v iv o .
solista, chiamato per l’appunto Siren, ma
sembra essere stata un’esperienza estemporanea: “Siren, è stata più che altro un’esperienza occasionale. Una cosa da una volta
sola e via. Sono contenta che la cassetta sia
piaciuta in giro. E’ stato divertente fare
qualcosa da sola, ma non credo di voler con-
tinuare ancora. A meno che qualcuno non
voglia far uscire un mio nastro solista in cui
coverizzo Billy Joel e Bruce Springsteen!”.
L’attività delle Pocahaunted data appena un
paio di annetti, ma la discografia è già molto
voluminosa e complessa. Il solito repertorio
di primitivismo in tirature limitatissime proSA 31
DROP OUT
duce il consueto effetto del culto di nicchia.
Su ebay spesso le aste riservate alle prime
cassette raggiungono cifre considerevoli.
Recentemente una cassettina dei Weirdo Bergeirdo ha raggiunto 3 volte il suo valore di
partenza. Viene alla mente un vecchio comic
apparso su Wire dove si raffigurava un giovane fan dei Throbbing Gristle che usciva
pazzo per stare dietro a tutte le micro uscite
della sua band preferita. Ma interrogate in
merito sia Amanda che Bethany dimostrano
una sana dose di cinismo che evita equivoci
ideologici o le retoriche ovvie del DIY: “Credo che non direi di no se Sony volesse far
uscire 100.000 copie di un nostro album –
dice Bethany - ma fino a quel giorno – le fa
eco Amanda - proteggeremo l’integrità della
nostra musica e non invaderemo i negozi con
volgari materiali di produzione di massa. Ci
piace che i nostri album abbiano una tiratura abbastanza grande da poter raggiungere
tutti i nostri fan, ma abbastanza piccola per
sembrare qualcosa di speciale e la rappresentazione di qualcosa di veramente intimo.
Come se fosse un regalo da noi a voi.” A
complicare ulteriormente la questione nel
caso delle Pocahaunted è una forte tendenza
a dividere le uscite con artisti affini, in particolar modo con i Robedoor una sorta di
loro corrispettivo maschile. Non a caso il
tutto è culminato in un doppio album a tiratura degna di questo nome licenziato nel
2007 da Digitalis, Hunted Gathering, a parer di chi scrive uno dei migliori dischi di
psych drone dell’anno passato. La natura
vincente di quel disco, che per inciso è l’atto
culminante di una serie di micro split tra le
due sigle, è l’alchimia degli opposti e una
confidenza tra i musicisti che può essere solo
quella di una famiglia; “Mio marito Britt, fa
molti split con i Robedoor e come un manager gestisce le uscite delle Pocahaunted per
noi. Noi ci dividiamo gli amplificatori, gli
spazi prove, i concerti, i furgoncini per i
tour, le corse, i microfoni e una vibrazione
generale che rende la nostra collaborazione
così coesa. Ci amiamo l’un l’altro e ci sentiamo come una piccola Eagle Rock California Family. Al momento non abbiamo pianificato altre uscite in collaborazione, ma
siamo sempre pronti a fare tour insieme e a
fare concerti contemporaneamente come se
fossimo un super gruppo, come abbiamo fat-
to ad esempio quando abbiamo aperto per i
Sonic Youth”. Le Pocahaunted non fanno dischi solo con i Robedoor, se è vero che una
dei loro migliori dischi è condiviso con
Mythical Best e che di recente hanno diviso
i due lati di un album con Christina Carter:
“Siamo state molto fortunate a poter suonare e collaborare con la maggior parte degli
artisti con cui siamo entrate in contatto.
Bobb Bruno, Andy Spore, Jonathan Zeitlin e
Britt/Alex dei Robedoor sono musicisti che
spesso migliorano la nostra musica. Presto
work sono spesso creazioni di Bethany e
Amanda. “E’ Amanda che gestisce la Not Not
Fun con suo marito Britt – mi risponde
Bethany a riguardo - Io più che altro mi siedo sul loro divano e mangio un sacco di gelato mentre loro fanno tutte quelle cose serissime per la label. Credo che quello che
stanno facendo sia fantastico e mi sento veramente onorata di potermene stare li, mentre loro doppiano cassette e altro materiale”. Sul discorso più propriamente legato
alla grafica, con tanto di t-shirt ufficiale che
spero che potremo lavorare con membri di
Black Black, Metal Rouge, Antique Brothers
e altri amici talentuosi su un album di sole
collaborazioni. Credo che ne ricaveremmo
solo dei benefici ed è molto divertente comportarsi come degli strambi e bere te e avere
gente intorno nel momento di suonare e registrare, come se fosse un party”. Con i Robedoor c’è un rapporto speciale, anche perchè
la collaborazione non è solo sul piano musical-strumentale, ma anche su quello più
strettamente legato alla gestione delle uscite
della Not Not Fun. Gli elaboratissimi art-
fa bella mostra di sé indosso ad Amanda su
sito ufficiale, mi chiarisce maggiormente le
idee Amanda stessa: “La grafica non necessariamente è opera nostra, ma di solito l’art
design è accreditato a Bethany e me. Abbiamo una certa precisa idea di come vogliamo
che i nostri album debbano apparire e gli
artisti con cui abbiamo lavorato (Devon Vermena, Olga Balema, Carrie Dietz, Jeremy
Earl) condividono un’estetica comune con
cui siamo a nostro agio. In altri casi, ci facciamo da sole grafica e packaging e sono i
casi in cui sappiamo già in partenza quale
sarà l’abito adatto per la nostra musica. Abbiamo speso una notte intera a ridere come
le matte, scegliendo le immagini per la pocahaunted shirt e siamo super fiere di come
è venuta!”. Nell’immediato futuro però per
Bethany e Amanda ci sono i primi full lenght
a nome Pocahaunted. E’ questione di poche
settimane per Peyote Road su Woodsist e soprattutto Island Diamonds su Arbor, dove
sembra che in gioco ci siano influenze ancora più disparate con riferimenti ritmici tendenti al dub e al funk. “Siamo super fiere dei
nuovi album in uscita. Abbiamo tentato di
andare in direzioni diverse in ogni disco e
personalmente penso che ci siamo riuscite”.
A dare credito all’evoluzione gli ascolti sempre più magmatici e caotici delle due. Le
loro playlist non sono esattamente quelle che
ti aspetteresti da due ragazze così addentre
all’universo psych-drone degli anni 2000.
“Io sono ossessionata da Billy Joel e ascolto
davvero solo lui e altri drogati della east coast come Bruce Springsteen e Paul Simon –
risponde pronta Bethany - sono molto addentro anche ai Cocteau Twins, Spacemen 3 e
gruppi anni ’60 di sole ragazze come The
Ronettes e The Shangri-las; ma oltre a questo adoro cose come Wu-Tang Clan, Jay-z e
De La Soul. Penso che il mio disco preferito
del 2007 sia stato Fishscale di Ghostface
Killah, ma forse è uscito nel 2006 e un super
ragazzone con le Nike ai piedi potrebbe darmi della poser per quello”. Chi sia questo
super ragazzone con le Nike ai piedi me lo
chiarisce Amanda (per spezzarmi il cuore
probabilmente…): “Il ragazzo di Bethany
sembra uno degli Strokes ma ascolta solo
rap e mio marito non ha ascoltato una radio
hit che ricordi dal 2002. Viviamo come dentro un grembo, così tendiamo ad essere molto veloci con le nostre infatuazioni in fatto
di musica e a non lasciarci impressionare
dai trend. Io ascolto soprattutto Fela Kuti e
roba funk africana dei ’70, dub super beato
come The Lovejoys, soul californiano come
Shuggie Otis, Sade, Mos Def e Mf Doom. Lo
scorso anno sono stata molto innamorata del
disco di M.I.A. Lo abbiamo ascoltato in macchina il giorno del mio compleanno e Bethany
e io abbiamo deciso che il suono di un distributore di cassa che si apre e chiude è una
bella aggiunta che si può fare ad una canzone”. E sia allora. Diamo pure il benvenuto
alle Kala-Pocahaunted.
SA 33
DROP OUT
BAMBOLE IN ARCADIA
moderne musiche femminili
Obliqua, imprevedibile, avvincente.
E’ la creatività femminile che
si misura con il “rock” e ne esce
vincitrice da sempre, e più che mai
in questi tempi confusi e complessi
da interpretare. Tutta colpa, anzi
merito, di quel sesto senso che guida
tutte le artiste sfuggenti ma ricche
di talento, un iceberg del quale
Beach House, El Perro Del Mar
e Rings non rappresentano che la
punta.
SA 35
Direbbero le sagge che la femminilità è per
prima cosa un’attitudine, uno stato della
mente che solo in seguito si travasa nella
dimensione fisica, nel dato esteriore. A sostegno della tesi, da sempre è diffusa nel
cosiddetto “rock” una tendenza che oltrepassa le correnti sotterranee di una musica
troppo spesso ed erroneamente etichettata
come “maschile”, della quale spesso ha contribuito ad espandere i canoni. Da qualche
tempo essa ha intrapreso strade sempre più
sorprendenti, fino quasi a imporre una certa
fatica per seguirla. Nello specifico vi proponiamo un trio d’esempi ai quali abbiamo
cercato di spalancare i polmoni per decifrarne - nonostante la natura sfuggente - origini,
forme e aspettative. Lo abbiamo inseguito,
questo “sesto senso”, lungo le curve del retro-pop e dentro un cuore psichedelicamente
agreste, salvo perderlo per qualche attimo e
coglierlo mentre riaffiorava dai meandri di
una “nuova onda al quadrato”.
Ognuno una sembianza della multiforme e imprevedibile sensibilità femminile,
quell’estro inventivo che non puoi proprio
attribuire a un maschio tanto è caratteristico: un lavoro di bulino e sottointesi che leva
garbatamente di mezzo la competitività e il
testosterone, le gare di muscoli e le scornate a chi è più bravo. E infine ti avvolge
tra le sue spire e non ci pensi nemmeno per
un secondo a tirartene fuori. Eccolo, il filo
multicolore sotteso a queste storie di fanciulle (più relativi, talentuosi ragazzi: ma
poiché siedono nel cono d’ombra, lì li lasceremo); uno snodarsi dall’interno di memorie
storiche, musicali e biografiche che tocca
anche la recente svolta psycho-vintage di
Goldfrapp, l’amore per l’esplorazione connaturato ai Pram, il citazionismo divertito
che Laetitia Sadier infonde nei Monade e
l’austerità eretta da Colleen. Basta il dolce
abbandono ai ricordi per unificare tutto in
una sfoglia universale capace di farsi capire
da chi possegga orecchie adatte. Questo è
il trait d’union che ci ha colpito: uno spettro sereno di dolce malinconia che si spande
nell’ambiente circostante e cui non si può
evitare di abbandonarsi a prescindere dalle
sue facce: il gotico sottile negli arpeggi ipnotici di Beach House, l’intarsio da casa delle
bambole cui è intenta El Perro Del Mar e la
jungla un po’ nevrotica abitata dalle Rings.
Modelli che indicano la stessa direzione pur
prendendo le mosse da luoghi diversi (casomai servissero dei riferimenti generali per
la mappa: Margo Guryan e Brian Wilson;
Opal e Mazzy Star; Raincoats e Slits…),
che si guardano indietro felicemente e recuperano una percezione del mondo estatica, fanciullesca, e per allestirla utilizzano
con coerenza le rispettive epoche d’oro preferite. Ammantate da quella lieve polverina
lasciata dal ricordo di ciò che è sfuggito e
si può riavere solo sforzando la memoria,
eccovi dunque alcune plausibili ipotesi di
colonne sonore per un oggi “al femminile”.
Che trascendono l’etichetta stessa e raccolgono forza da innumerevoli ieri, miniere così inesauribili che - se in possesso di
personalità feconda - è possibile scavarvi e
attingere all’infinito. E’ assodato, del resto,
che le donne ne sappiano più del diavolo…
El Perro Del Mar: Incontri imprevisti,
fantasmagorici languori
Si chiama Sarah Assbring. Di lei non si
sanno molte cose. A partire dall’età, come è
giusto che sia. Sappiamo però che vive a Gothenburg, città svedese dall’autorevole tradizione universitaria. Che il suo primo amore fu la pittura. Che ha studiato pianoforte,
tanto da meritarsi un ingaggio nell’orchestra sinfonica cittadina. Che, ovviamente, sa
leggere benissimo lo spartito, ma preferisce
suonare a orecchio. Che nel ‘96 è entrata in
una band, gli Aquadays, in qualità di vocalist, ma se n’è andata dopo un paio d’anni perché alla fine quel che più le interessava e le interessa è interpretare le proprie
cose. Più o meno in quel periodo s’innamora di Philip, assieme al quale acquista uno
stabilimento in disuso per allestirvi pezzo
dopo pezzo uno studio di registrazione, che
diventa il suo quartier generale, l’ufficio
dove ama applicare il celebre “metodo Nick
Cave” alle intuizioni estemporanee catturate nel fido notebook. Un impasto di immediatezza e professionalità - “il mio è un
lavoro artistico, ma è il mio lavoro”, ebbe
a dichiarare - cui fa eco il programmatico
doppio gioco delle composizioni: un’inquietudine per ogni incanto, strani tremori sotto la pelle fatata. Confezionando il tutto in
splendida e fiera autarchia. Non che ci fosse
molto da suonare: chitarra, qualche tastieBeach house
DROP OUT
ra, tamburelli e clap-hands, canto e controcanto sono gli ingredienti base, con poche
variazioni. Tuttavia, in quell’inizio di millennio la scintilla tarda ad arrivare. Il gioco
resta un gioco da tenere nel cofanetto dei
vorrei-ma-non-posso. Finché, anno 2003,
accade quel che più o meno simbolicamente
provoca il cambio di marcia: l’incontro con
un cane vagabondo in una spiaggia spagnola. Quel cane diventa il suo cane nonché lo
spunto per la ragione sociale dell’avventura
solistica: El Perro Del Mar, dizione spagnola per “il cane del mare”. Tra il 2004 e il
2005 fioccano gli EP, licenziati in formato mp3 su cd-r per la label svedese Hybris,
poi raccolti in Look! It’s El Perro Del Mar
(2006) per i tipi dell’inglese Memphis Industries. Album piuttosto bello, a tratti bellissimo, parzialmente sconfessato da Sarah che
si ostina a non considerarlo come il proprio
esordio ma appunto la raccolta di quanto fin
lì conseguito. Un fascino fragile e inquietante aleggia in ogni canzone, pochi accordi
e soffice austerity, omeopatie folk-errebì tra
nebbioline dolciastre e languido disincanto,
una gelatina franca, irreale, semplice ma
inspiegabilmente complessa, sorta di metalinguaggio che suggerisce meno accessibili
e più cupi sconvolgimenti. Tu chiamalo se
vuoi twee pop, ma occhio al ripieno intossicato! Ecco dunque fantasmi Beach Boys via
Bee Gees in I Can’t Talk About It, festoni di
carta velina ritagliati dai Belle And Sebastian nella saltellante It’s All Good, madreperlaceo struggimento Dead Can Dance a
lambire la mestizia sbarazzina à la Apple In
Stereo di Dog, quindi gli abbandoni soulerrebì (God Knows), assottigliamenti vocali
quasi Kate Bush (The Loneliness), certi tremori imbronciati come la Cindy Lauper più
malinconica (Sad). Una calligrafia sfuggente
eppure incisiva, stato di apprensione assolto
da pose accomodanti che consolano e quasi
seducono, poco prima di spaesarti cogli indolenzimenti fiabeschi e l’implume psichedelia. La ragazza è pronta a fare sul serio.
Anche le frequentazioni iniziano a farsi “rumorose”, Jens Lekman da una parte, José
Gonzalez dall’altra, i Radio Dept nel mezzo, tipi diversissimi coi quali condivide tour
fortunati, malgrado alla ragazza la dimensione live non sfagioli più di tanto. Intanto
però stana i palchi di mezza Europa, straccia
Johanna Hedborg (El Perro Del Mar)
cuori in Brasile, gira gli States in lungo e in
largo. E le nuove canzoni che gli formicolano in testa, premono per uscire, rendendo
febbricitante l’attesa per l’agognato ritorno
al nido-studio. Dove dare forma, covare. Infine, ed eccoci all’altro ieri, arriva il contratto con la Licking Fingers, l’etichetta dei
Concretes. Quindi il secondo album From
The Valley To The Stars (recensito nel #40),
che se preferite potete considerare l’esordio
vero. Impreziosito di effluvi orchestrali che
glassano misteri sempre più obliqui, con le
astrazioni vellutate a stemperare una scrittura sempre prodigiosamente vivida, voglia
di pop che non conosce sforzo né quiete né
serenità. Sarah, ninfa tenace dalla tenerezza marmorina, sembra prometterci che i trastulli sono appena iniziati. Bontà sua.
Stefano S olventi
Beach House: Un cuore in inverno
Vic t o r ia Le g r a nd h a lo s g u a r d o v itr e o e
sottile di chi sa il fatto suo e soprattutto
una voce, che è al tempo stesso marmorea
e c a l d a , t r a n q u i l l a e t i m o r o s a . Vi c t o r i a è
c o me u n a ma mma c h e ti r a c c o n ta le f a v o le per farti addormentare o viceversa come
l’ a ma n te c h e ti la s c ia c o n d u e s o le p a r o le e
la p o r tie r a d e ll’ a u to s p a la n c a ta me n tr e f u o ri piove. I Beach House sono il romantico
d u o c h e Vic to r ia c o n d iv id e c o n A le x Sc a lly ,
v e n g o n o d a Ba ltimo r a e c o n tin u a n o u n a tr a d iz io n e a s s a i f e lic e d i c o p p ie mu s ic a li s o gnatrici e psichedelicamente psicologiche.
Come paragoni più plausibili mettete nel
c o n to s o p r a ttu tto i v e c c h i Opa l e i s u c c e s s iv i M a z z y St a r s e p r o p r io n o n v o le te r id u r v i
a c o n s id e r a r e c o s e a l limite d e l tr a s h c o me
Roxette o i nostri (e mitologici) Jalisse di
sanremese memoria. La formula è standard:
lu i s u o n a la c h ita r r a , l e i c a n t a . N e i B e a c h
H o u s e p e r ò Vi c t o r i a f a d i p i ù e d i l s u o n o
d e l l a s u a t a s t i e r a / o rg a n o r e g a l a c a r a t t e r e
alla loro musica, nella stessa misura in cui
l’ o rg a n o d i M a nz a re k q u a l i f i c a v a i l s u o n o
dei Doors.
“Abbiamo formato i Beach House quando
m i s o n o tr a s fe r ita a B a l t i m o r a . S u o n a v o g i à
c o n A le x in u n ’ a ltr a b a n d e q u a n d o c i s i a m o
s c io lti a b b ia m o c o n tin u a t o a s u o n a re i n s i e m e . Ci tro v ia m o m o lto b e n e c o n l a f o r m u l a
del duo ragazzo-ragazza nonostante la manc a n z a d i a ltr i m u s ic is ti ” . Vi c t o ri a è u n a c h e
s i s p ie g a b e n e e c h e s a e s a t t a m e n t e c o m e o t te n e r e il s u o n o c h e v u o l e p e r l a m u s i c a d e i
Be a c h H o u s e : “ A l l o s t a t o a t t u a l e a b b i a m o
u n m u c c h io d i ta s tie re c h e a b b i a m o c o l l e z io n a to n e l c o r s o d e g l i a n n i p a s s a t i (c o m SA 39
DROP OUT
p reso u n K i m ball C aravan, Yam aha PS- 20
e un Ko rg P o lyphonic E nsem ble), quindi
a b b i a m o u s a t o sei diversi organi su questo
d i s c o e d i v e rse tonalità su ciascun o rgano”.
Dev o t i o n , u s c i to a fine febbraio su Carpark,
e r a d i s p o n i b i le illegalmente sui circuiti
p eer t o p e e r g ià da due mesi: “Quando hai
u n d i sc o c h e v iene diffuso illegalm e nte prima d e l l a su a uscita, per un m om ento ti se nt i m a l e . Ti f a s entire com e se qualcosa pe r
c u i h a i l a v o r ato così duramente è li fuori
e o g n u n o p u ò dirne qualcosa. Ti fa sentire
p o co a l si c u ro m a in questa epoca l’ informazi o n e t i g i ra costantem ente intor no e bis og n a a c c e t t a rlo”.
S u l c o n t o d e i Beach House comunque tutto
è gi à c h i a r o a lla perfezione col primo dis c o . U n l a v o r o omonimo che data 2006 su
Carp a r k e 2 0 0 7 per B ella U nion, che pr ont a m e n t e s i a ff retta a ristamparlo: d el resto
com e p o t e v a u n lavoro del genere non pia cere a R o b i n Gu thrie e soci? R egis tr a to in
a p p e n a u n g i o rno e mezzo nel seminterrato
d i Vi c t o r i a , i l disco fa subito da manifesto
p er l a p r o p o st a che unisce pop e psic he de l i a, so g n o e r e altà, estate e inverno, sor r iso
e p i a n t o . L a musica spesso si agg roviglia
s ul l a f o r m a d i un carillon zuccherato e indol ent e su c u i l a chitarra di A lex può costr uir e
l e f r a si c h e p r eferisce con la sua s ogna nte
s t e e l g u i t a r. Quella dei Beach House è una
f o r m u l a q u a n to mai semplice e minimale.
Di f a t t o q u e l surplus di intensità che spe sso
t rad i sc e d e r i v a per lo più dalla perfor ma nc e
d i Vi c t o r i a , o r a apatica e fredda (A pple Orcha rd ) , o r a i e r atica e imperativa (Maste r Of
Non e ) , o r a c o n fidenziale e intim a (Lov e lie r
Gi r l ) . L e i c i t a D usty Sp ringfield e Karen
Car p e n t e r t r a le sue maggiori influenze.
La s t a m p a i n g enerale le affibbia sin da sub i t o i l p a r a g o ne ingom brante di N ic o. Lei
d e l r e s t o n o n ha il classico background da
i n d i e g i r l d ’ o l treoceano. E ’ nata in Fr a nc ia
e h a s t u d i a t o teatro, pianoforte e canto fin
d a l l ’ e t à d i s e i anni. Un addestramento che
l e h a c o n se n t i to “di poter controllare forza
e r a b b i a , p e r questo sono grata agli studi
d i p i a n o ” . D e v otion, il difficile e a tte siss i m o s e c o n d o disco della coppia, uscito a
fi n e f e b b r a i o (recensito nel #40), conf e r ma
u l t e r i o r m e n t e la stazza compositiva de i due ,
s eb b e n e i l p e so specifico della band, pa r tic o l a r m e n t e i n fase compositiva, continui a
poggia r e sopr a ttutto sulle spa lle d i le i. “ H o
come la sensazione di aver canta t o p o c o s u l
primo disc o. Su que sto c ’ è una d o s e m a g giore di parole e molta più emo z i o n e s o t t o
tutti i punti di v ista. Gila ( il pr im o s in g o lo
e stratto dal disc o) , ad e se mpio , è u n a c a n zone strana. A me se mbra c he sia la c a n z o n e
più pop che abbiamo scritto, m a è a n c o r a
strana e bruc iante . Quando a b b ia m o a g giunto le parti di chitarra, abb i a m o a v u t o
subito la sensazione che sarebb e s t a t a u n a
buona c anzone ” . Un disc o, De vo tio n, mo lto più maturo e meditato del pr e d e c e s s o r e .
Un la vor o a nc he più se r e no e s o la r e . Fo rse la stagione invernale può da v v e r o d i r s i
c onc lusa e le r ivie r e ba lne a r i p o tr a n n o to rna r e a r ipopola r si. “ Inizialment e v o l e v a m o
chiamarci “Beach House Of T h e M o o n ” ,
ma abbiamo pensato che era tro p p o l u n g o .
Sono se mpre stata inv idiosa de lle b a n d c o n
nomi c onc isi ma al te mpo ste s s o p e r fe tta me nte c alzanti. Be ac h House c i s e m b r ò p o i
un buon c omprome sso.”
Antonello Comunale
The Rings: Quale new-wave?
Tutto que llo di c ui a vr e te biso g n o p e r e s se r e c onquista ti è l’ a sc olto di B l a c k H a b i t
( r e c e nsito ne l #40) : ba ste r à a ggiu n g e r e s o lo
un piz z ic o di pa z ie nz a , r e quisito p o c o a d a tto a que st’ e poc a c osì “ mor di & f u g g i” . Se rvono più pa ssa ggi de l solito a ff i n c h é q u e s ta
spe c ie di a rguta r e visione de lle Slit s ma tu r e e ntr i in te sta ; una volta f a tte a c c o mo d a r e , pe r ò, non se ne a ndr a nno p iù , la s c ia n do stupefatti e confusi a riflett e r e s u c o s a
stia accadendo. Entusiasmanti n e l l a s t e s s a
misur a in c ui sulle pr ime sne r v a n o , le s ignor ine sono a ltr e tta nto sf ugge n ti e d iff ic ili da inc a se lla r e . I l tr io c he o g g i s i c h ia ma The Rings ha recapitato uno t r a i l a v o r i
più interessanti di questo iniz i o 2 0 0 8 : u n
disc o c he non ha timor e di mostr a r e i d e b iti
verso il passato nel momento e s a t t o i n c u i
ne immagina la modernizzazion e , v e n e n d o
a c a po de l pr oble ma se nz a f or za tu r e o te o r ie a str use e f a c e ndo intuir e f u tu r e s o r p r e se dalle sue ideatrici. Le incon t r a m m o u n a
prima volta nella tarda primave r a d e l 2 0 0 6
c ome Fir st Nat ion sull’omoni m o e s o r d i o
e dito da lla Paw Tr ac ks, etich e t t a g e s t i t a
da gli Anim al Colle c t ive c he tut to r a le p u b blic a . Su di e sso c i pr onunc ia m mo c o n mo SA 41
Rings
DROP OUT
d era z i o n e , n o n frutto di prudenza e diff id enz a e c c e ssi v e, perché il tornarci s opr a ha
c o n f e r m a t o l e impressioni che furono. Brani
s qu i si t i c o m e la medio orientale You Can Be
e u n a C h i l d ’s E yes colma d’atmosfere Young
Mar b l e G i a n t s si alternavano a episodi più
s f i l a c c i a t i e a cerbi; si avvertiva il bisogno
d i ti r a r e l e f i la di un discorso promettente
e pe r q u e st o a ttendevam o le ragazze a l va rco. Q u a l si a si p erplessità è stata infin e spa z z a t e v i a l o s c orso gennaio, dopo una crisi
i n t e r n a s u p e r a ta rimescolando l’organico e
aver i n v o c a t o l’aiuto di una Kristin Anna
Val t y sd o t t i r f resca d’uscita dai Mùm . Da ll e fa t i c h e i n u no studio di registrazione de l
Ken t u c k y l a f ormazione è uscita con Black
Hab i t , a l b u m che pretende attenzi one poi
ri p a g a t a c o n f orm idabili interessi: è un gom i t o l o sb r o g l i a to con cadenze lente, a ppr op ri a t e a l r e g i stro che evoca, quello di una
cord a t e sa t r a sogno e concretezza che c ong i u n g e r e t e r r a e cielo. Ecco i pensieri e le
p aro l e d i u n t e rzo del dem ocratico e nse mb l e, N i n a M e hta.
Ni na , c o m ’ è c he vi siete incontrate e ave t e
d eci so d i f o r mare un grup p o?
S i am o a m i c h e , per prim a cosa. Io e Kate
Rosk o c i si a m o conosciute al prim o a nno di
col l e g e : a n d a vam o ai concerti e freque nta v a m o g e n t e c he suonava. Poi, un giorno di
q u att r o a n n i f a Melissa L ivau d ais si unì a
n o i e d e c i d e m mo di fare le cose più se r ia m en t e . Ci c h i amam m o First N ation, a nda mm o i n t o u r, p u b blicammo un 7” e un lp, dopo
d i c h e M e l i s s a se ne andò per dedicarsi al
s uo p r o g e t t o Telepathe. K ate ed io pr ose g u i m m o d a s ole ma mancava quell’energia
cui e r a v a m o a b ituate: A bb y P ortn er e r a nos t ra a m i c a , i l tassello m ancante.
E ’ p e r q u e s t o motivo che avete cambiato
nome?
Il ca m b i o d i n om e riflette senz’altro le mod i f i c h e d i c u i sopra. Inoltre non mi s ono mai
s en t i t a a m i o agio com e First N ation. Studio
a n t r o p o l o g i a e ognuna di noi è interessata
al m o d o i n c u i le persone scelgono di ide nt i fi c a r si e r a p p resentarsi. Il termine “ pr ima
n a z i o n e ” e r a u sato dagli aborigeni canadesi
p e r r i v e n d i c a re una politica e una cultura
aut o n o m e . N o n abbiam o mai avuto inte nz ion e d i a p p r o p r i a rci del suo significato, c a so-
ma i pe nsa va mo c he pote sse e sser e u n mo d o
pe r susc ita r e c onsa pe vole z z a , p e r s timo la r e
il dialogo. Comunque ci siamo p r e s t o r e s e
c onto c he non f a c e va pe r noi: Ri ng s a v r e b b e
dovuto e sse r e il titolo de l nuo v o lp e d e sc r ive va a l me glio il r a ppor to c h e c i le g a ,
che muove il nostro fare music a . P e r c o m e
la vediamo noi, possiede una c o n n o t a z i o n e
spirituale e politica molto più a p e r t a …
“vivace”; oltre a ciò, si percepisce uno scarto
rispetto all’influenza Slits: sono certo che conosciate The Return Of Giant Slits, dato che
spesso ne sembrate una versione moderna…
Adoro le Slits, ma non credo che ci abbiano influenzato direttamente. Sono cresciuta ascoltando punk e la sera esco a ballare nei club
reggae… Ari Up faceva la stessa cosa: forse è
questo.
p o r a n e o d e i p r o f u g h i s o m a l i . P e rc i ò p re n d ia mo tu tte q u e s te in tu i z i o n i c h e s i s e n t o n o
n e ll’ a ttu a lità e le c o lle g h i a m o a c o s e v e c c h ie … le c o n n e s s io n i s o n o e s s e n z i a l i n e l la musica ma per noi non sono derivative,
semmai suggerite da altri luoghi e tempi.
C’è una sorta di continuo equilibrio che si
r is o lv e po s it iv a m e nt e n e l l a v o s tr a mu s i c a :
t e c no lo g ia e t r iba lis m o , i n fa n ti l e e a d u l to ,
c a o s e o r d i n e . C re d o c h e p re n d i a t e d a l ì
la forza.
G r a z ie . I n e ff e tti c e r c hi a m o s e m p re d i e q u i lib r a r e e le me n ti d iv e r s i : d e n t ro , a t t o rn o e
tra di noi…
E ’ d i f f i c i l e re n d e re il v o s t ro s u o n o c o s ì
stratificato dal vivo?
Sì, è faticoso, dal momento che la nostra
mu s ic a d e r iv a f o r te me n t e d a l l o s t a re a s t re t to c o n ta tto l’ u n a c o n l’ a l t ra . N o n è s e m p l i c e
a g g iu n g e r e a ltr e p e r s o n e , p e rò c e l a s t i a m o
mettendo tutta.
P o s s ia m o a s pe t t a rc i u n a v i s i ta n e l n o s tro
pa e s e , a llo r a …
Sia mo mo lto in te r e s s a t e a d a l l a rg a re l a n o s tr a c e r c h ia d i in te r e s si , a m i g l i o ra rc i c o m e
a r tis te e c o mu n ic a tr ic i. S p e ri a m o d i p o t e rl o
f a r e in p iù lu o g h i p o s s i b i l e e a n c h e i n It a lia, certo.
Rings
Il nuovo album se gna un not e vo le pro g re s so r ispe t t o all’ e sor dio: c he r uo lo ha a v ut o
Kristin Valsdottir in questo pro g re s s o ?
De side r ia mo se mpr e c he ogni n u o v a c a n z o ne o disco mostrino un progres s o . E ’ s t a t o
sple ndido la vor a r e c on Kr istin: è e s tr e ma me nte pr of e ssiona le ma a nc he p e r s o n a le , c i
ha me sso a nostr o a gio e s’ è sf o r z a ta d i c a pire ciò che volevamo. Ci ha an c h e a i u t a t o
a trasporre meglio in realtà su o n i e i d e e ,
suggerendo e aggiungendo col o r i t u r e a l l e
sonor ità de l disc o. Con le i a bbiamo a p p r e s o
moltissimo su c ome si r e gistr a e s i p r o d u ce.
In effetti non ci sono somiglianze col suo ex
gruppo Mùm, sebbene il suono sia adesso più
C he r a ppo r t o a v e t e c o l pa s s a t o ? Se m br a
c he o g g i no n e s is t a s is t e m a m ig lio re pe r
f a re m u s i c a i n t e re s s a n t e c h e i s p i r a r s i a i
nostri ieri e infondergli nuova vita.
L a mu s ic a p u ò d a v v e r o a b b a tte r e le b a r r ie r e
s p a z io - te mp o r a li. Pe r c u i è imp o r ta n te is p irarsi a epoche e luoghi diversi, compreso
l’ o g g i… p e r ò n o n è c h e s tia mo s e d u te a p e n s a r e c o me s c r iv e r e c a n z o n i d a “ g ir l g r o u p ”
a n n i ’ 6 0 o a q u a n to s a r e b b e b e lla u n a s tr u ttu r a min ima le . E ’ f u o r d i d u b b io c h e i d is c h i p r e s e n ti s u i mie i s c a ff a li a p p a r te n g a n o
a diverse ere e stili che sono parte del mio
r e ta g g io . U n o s ta to d i c o s e c h e v ie n e n a tu r a lme n te e s a s p e r a to d a in te r n e t e d a ll’ a c c e s s ib ilità a ta n tis s ime mu s ic h e : il mio I p o d
me s c o la r o b a e tio p e d e l 1 9 7 9 a l r a p c o n te m-
N e ll’ a tte s a d i s a g g ia r e l e ra g a z z e n e l l a d i me n s io n e “ liv e ” , Bla c k H a b i t s e g u i t a a c re scere prenotando da ora una seggiola nella
p la y lis t d i f in e a n n o ; c ’ e ra p ro b a b i l m e n t e d a
a s p e tta r s e lo a g iu d ic a re d a l l a s t a t u ra p o c o
p r e te n z io s a , tu tta v ia r ic c a d i a rg o m e n t a z i o n i e p e r s p ic a c ia , d e lle s u e a rt e fi c i . D i ffi c i le a llo s te s s o mo d o p o t e r d i re c o s a a c c a d rà
a l p r o s s imo a p p u n ta me n t o c o n l o ro , m a p e r
lo r o th e p re s e n t lo o k s b r i g h t , s e n z a d u b b i o
alcuno.
Giancarlo Turra
SA 43
RECENSIONI
The Mountain Goats
AA.VV. - Funky Nassau - The Compass
Point Story 1980-1986 (Strut Records /
Kizmaiaz, 11 febbraio 2008)
G e n e r e : c o m p i l at i o n
Raccolta del suono degli ’80 d e l l a I s l a n d
Re c or ds, r e gistr a to ne i Compa s s Po in t Stu dios siti nelle Bahamas, fulcro d e l l a v o r o
de l boss de lla la be l Chr is Blackw e ll. U n a
misc e la di r e gga e , dub, f unk, d is c o e p o s tpunk che ha fatto la fortuna d e l l a I s l a n d ,
attraverso il lavoro dei deus ex - m a c h i n a e
se z ione r itmic a Sly & Robbie , p a d r i d e lla
pr oduz ione ma de in Ja ma ic a . Co n in c u r r ic ulo una mir ia de di a r tisti pa ssa ti d a q u e lle
pa r ti - U2, Stone s, Bowie e Cu r e c o mp r e si.
Ne lla c ompila tr ovia mo ve r sion i 1 2 ” e r e mix di c e le br i hit e ightie s, da M y J a m a ic a n
Guy di Gr ac e Jone s (prodotta n e l p e r i o d o
più fecondo proprio da Sly & R o b b i e ) a l l a
Ge nius Of Lov e de lla c ostola Ta lking He ads, va le a dir e i Tom Tom Club d e lla c o p pia We ymouth- Fr a nz , nonc hé il lo r o g r u p p o
ma dr e a lle pr e se c on la liquida B o r n U n d e r
Punc he s. E a nc or a Sly Dunbar , a p r o p o s ito
di ma tr ic i r e gga e , e uno str a luna to I a n D ur y
in ve r sione punk r e gga e de me nz ia le . D is c o ,
dub e funk in versioni extended q u i n d i c h e
e sa lta no il suono de gli studios e d e l la v o r o di te c nic i pa ssa ti a lla stor ia d e i Co mp a s s
( Ste ve n Sta nle y, Ale x Sa dkin) .
Non tutto c omunque è a llo ste ss o liv e llo , la
raccolta è piuttosto eterogenea i n f a t t i , c o n
materiale meno noto e di valor e . M a s e r v e
c ome te stimonia nz a signif ic a tiv a d i u n ’ e p o ca e dello sviluppo del suono re g g a e - d u b d i
que gli a nni. ( 6.8/10)
Teresa Greco
AAVV - Dinner Music For Clubbers
- Peter Grummich Plays Staubgold
(Staubgold, 18 febbraio 2008)
AGF
MA R Z O
G e n e r e : a mb i e n t
Ai le ttor i di Se ntir e a sc olta r e sa r a n n o s ic u r a me nte noti i pe r sona ggi di ques ta c o mp ila ,
meno di sicuro il signor Peter G r u m m i c h , d j
e producer techno berlinese di g r a n g r i d o .
Ac c a de qui c he il se c ondo si inv e n ta u n a s e lezione di dinner music per dei f a n t o m a t i c i
c lie nti ba llo/sba llo, a nda ndo a r ime s ta r e le
mor bide line e de i To Roc oc o Ro t ( J a c k ie ’s
Dre am) fino ad addentrarsi in u n a s a v a n a
targata No-Neck Blues Band d e c i s a m e n t e
lontana dalle sonorità del trio Est Berlin
( Wie d e r D a s E r s te M a l) . I n m e z z o , c ’ è u n
mo n d o a n c h e tr o p p o v a r ie g a to e p p u r e id e a le p e r i n e o f iti e n a tu r a lme n te p e r c lu b b e r
d i o r ie n ta me n to o p e n m in d e d . Pa r lo d e i liquorosi intermezzi dello stesso Grummich
in versione Staubgold like (praticamente
i Sa c U n d Blu mm p iù s u lf u r e i) , la c h ita rr a me s me r ic a e la tr o mb a a mb ie n t- p s y c h
d e ll’ e g r e g io F S Blum m ( F e h ls p r u n g ) , i Sun
in u n r e mix d e l b u o n M a ps t a t io n, e i r a ff in a tis s imi Ka m m e r f lim m e r Ko lle kt ie f c o n
S u b n a r k o tis c h e u n a v e r s io n d i J in x c h e d à
tito lo ( q u e s t’ u ltima ) a l lo r o u ltimo a lb u m.
D u n q u e e le ttr o n ic a c h e v u o l d ir e a mb ie n t in
e s ta s i s y n th ( e tic h e ) c o n ta n te s p e z ie ja z z ,
f o lk , e tn ic h e e c o n c r e te d is c io lte a c o lo r a r e
s a p ie n te me n te l’ in tin g o lo . D e l c ib o p e r ò s i
faccia una questione squisitamente mentale,
e p e r o n o r d i me ta f o r a lu n g o q u e s ti 6 0 minuti più che mangiare si sorseggiano degli
ottimi liquori. Alcol che inebria ma senza
u b r ia c a r e , u n a s e n s a z io n e d i s u b lime in determinatezza che la compila soddisfa in
p i e n o . Vo l e n d o f i c c a r e l a c r i t i c a p o t r e m m o
c o n c lu d e r e c h e il r is u lta to s a r e b b e s ta to a n c o r mig lio r e c o n tr o lla n d o il c lima x . G r u mmis h g li h a p r e f e r ito il p a r a d ig ma d e i v e li
d a s c o p r ir e u n o a u n o e q u e s to n o n p u ò c o n s id e r a r s i u n d if e tto . Q u e l c h e a b b ia mo è il
mig lio r s a m p le r S t a u b g o l d i n c i r c o l a z i o n e .
Se conoscete soltanto metà del catalogo in
q u e s tio n e f io n d a te v ic i s u b ito e in c u ff ia te v i p e r 6 0 min u ti. S a tis fa c tio n G u a r a n te e .
( 7 . 0 /1 0 )
Edoardo Bridda
Adam Green - Sixes And Sevens (Rough
Trade / Self, 7 marzo 2008)
Genere: songwriting, soul
“ Vo le v o fa re u n a lb u m d a m e tte re in m a c c h in a e v ia g g ia rc i p e r il p a e s e ” . P a r o l a d i
A d a m G r e e n , e a n c o r a : “ Ne l p e n u ltim o d is c o
p e n s a v o d i e s s e re u n b u o n c a n ta n te , m i p ia ceva; quest’ultimo invece è più rilassato,
s e n z a q u e l c lim a d a m u s ic h a ll” . U n m o o d
p iù tr a n q u illo , a s u o d ir e , p e r u n a c o s id d e tta “ r o a d tr ip c o mp ila tio n ” . L’ u n ità s tilis tic a d e l p r e c e d e n te J a c k e t Full O f D a ng e r
(2006) è stata quindi abbandonata a favore
d i u n me la n g e v a r ie g a to c h e f a in v e r ità p e rdere coesione all’album.
Ben venti pezzi di durata medio-breve, in
cui si passa dal crooning alla consueta mis c e la d i r o c k , f o lk , p o p , s o u l c o n l ’a t t i t u d i ne scanzonata che gli si conosce, anche se
a b b a s ta n z a d ilu ita , q u e s t a v o l t a . La n o v i t à
è rappresentata dall’uso di un coro gospel
(in tutta la sua espressione nel soulglam
d i G e ttin g Le d , d a l mo o d l o u re e d i a n o c i rc a Tr a ns f o r m e r ) , e d a l l ’u s o d i s t ru m e n ti q u a li il f la u to ( la p s y c h b a l l a d Yo u G e t
S o Lu c k y , il b lu e s d i L e a k y Fl a s k ) e p i ù i n
generale di una maggior presenza di archi,
d ie tr o a i q u a li s i c e lan o g l i a rra n g i a m e n t i
d i D a v id Ca mp b e ll ( M i c h a e l J a c k s o n , El t o n
J o h n , Be c k ) . I l d is c o v i ra i n fa t t i v e rs o u n
c lima s o u l p iu tto s to a cc e n t u a t o (Tw e e Tw e e
D e e d a l d e c is o mo o d A l G re e n ) n e l l a m a g g io r p a r te d e g li e p is o d i , c l i m a c h e d i v e n t a
g o s p e l in a lc u n i. U n ca m b i o p i u t t o s t o d e ciso di prospettiva. Al Nostro manca però
in q u e s to c a s o la c a p a ci t à d i fo n d e re a rm o nicamente le sue varie anime, per rendere
il tutto coeso. Disco riuscito solo in parte
q u in d i, q u e s to Six e s An d S e v e n s , p re l u d e n do forse a un cambio più radicale, staremo
a v e d e r e . L e u ltimis s im e l o d a n n o v e rs o l i d i
n a s h iv illia n i, a d d ir ittu r a . P e r i l m o m e n t o u n
(6 . 0 /1 0 ) c o n p iù d i u n a ri s e rv a .
Teresa Greco
Angel – Kalmukia (Editions Mego, 21
gennaio 2008)
Genere: drone
N o , g li a c c o r d i p e r c h i t a rra e s p a n s a d i Bo n e s I n Th e S a n d n o n p ro v e n g o n o d a i s o l c h i
d i u n n u o v o a lb u m d i K T L , s e b b e n e s i a m o
a l c o s p e tto d i u n a n u o v a p ro d u z i o n e i n c a s a
Mego. Le sfide alle leggi della cinesi in
musica non le lancia, stavolta, lo Stephen
O’Malley di turno, ma un altro musicista
c h e d i s ta s i e mo v ime n t o s e n e i n t e n d e p a r e c c h io . È I lp o V ä is ä n e n , m e t à Pa n S o n i c ,
a ff ia n c a to d a H ild u r G u o n a d o t t i r (L o s t I n
Hildur ne s s ) e D ir k D r es s e l h a u s (S c h n e i d e r
TM ) a l a s c i a r s i a m m a l i a r e d a l l a m a l i a d e l
drone. Di elettronica, strano a dirsi dati i
n o m i c o i n v o l t i n e l p ro g e t t o , s o l o s p a r u t e
tr a c c e ( g li a g g iu s ta me n t i t i m b ri c i d i E f f e c t
O f D is c o v e r y , a lc u n i in s e rt i d i ru m o re s p a rs o ) : i q u a ttr o e s te n u a n t i b ra n i d i K a l m u k i a
v iv o n o p e r lo p iù d i v o l u t e d ro n i c h e o t t e n u te m o re a n a lo g ic o - c h i t a rra , i l v i o l o n c e l l o
d e lla G u o n a d o ttir, b a tte ri a - c h e s i s p i e g a n o
e s i d is p ie g a n o a ll’ in f i n i t o c o n p o rt a m e n t o
SA 45
RECENSIO
highlight
AGF – Words Are Missing (Agf Producktion / Audioglobe, 18 febbraio 2008)
Genere: glitch
Cr i p t i c o e inintelligibile, dista nte e c e r e br a le . I l nuovo la vor o di AGF s e g n a lu c id a me n te la d iff e r e n z a c he separa l’artista berlinese dal resto della comunità glitch. AG F i n n o v a , s p e r i m e n t a , n o n
s i f e r m a su una soluzione ovvia che sia una. In un territorio così abusat o c o m e q u e s t o t r a l ’ a l t r o .
A c c o m p a gnato da un libretto c he pe r ogni br a no pr e ve de un’ imma gine ( fo to d i te s ti, a lf a b e ti, s e g n i
c a l l i g r a f ici fatti da lei stessa), Words Are Missing gioc a le c a r te de ll’ a stra ttis mo te c h n o , d e ll’ in f o rm a l e g l i tch, dello sperimental ismo avantgarde, nel tentativo di elaborare u n l i n g u a g g i o p a r a v e r b a l e
c h e si a lim enti di silenzio e s e gni da de c odif ic a r e o c he si pe r da ne l c a o s d i r itmic h e s e mp r e p iù
i r r e q u i e te e irregolari. Q uesto si tr a duc e in un la vor o c omple sso sul pia no f o r ma le . Se le p a r o le p e rd o n o l a loro capacità di portar e con sé un significato diventano fonemi ast r a t t i , e l e m e n t i d i s u o n o d a
f a r i n t e r agire con la musica, c on il silenzio o con il rumore. Il puro e sem p l i c e s u o n o d e l l a v o c e u m a n a . E ’ s u q u e s t o e l e m e n t o
c o n c e t t uale che ruota il lavor o e in pa r tic ola r e il tr ittic o Le tte rs M ak e No M e a n in g ( We a p o n s N o Wa r G e r m s N o D i s e a s e ) I ,
Co g n i t i v e Modules P arty II e Ooops For Unde rstanding I I I . Rispe tto a l p r e c e d e n te We s te r niz a tio n Co mp le te d l a m a n o d i A G F
si d i m o stra orm ai padrona di una sa pie nz a luc if e r ina , e vide nte me nte a lime n ta ta d a lle c o lla b o r a z io n i c o n Za v o lo ka e V l a d i s l a v
D e l a y . A ltrove nel disco urla di te r r or e e sospir i a nsiosi ( Pre sswe he n) ; r i f l e s s i s p e s s o i n d u s t r i a l i e d u b c h e a p p e s a n t i s c o n o
l e a n d a t ure m eno frenetiche ( M ohr und die Rabe n v on Londonm) ; epilet t i c i c u t - u p f o n e t i c i s u v i s i o n a r i e c o s t r u z i o n i g l i t c h
( I - Wa r) , ansiosi ricordi di una visita da sedicenne ai campi di concentram e n t o d i B u c h e n w a l d o o m a g g i a l l e p a r o l e c r o c i a t e .
Te s t a r d amente impegnata nel suo obiettivo, quello di costruire un nuovo l i n g u a g g i o p o s s i b i l e , d o v e l a p a r o l a n o n s i a s e r v a d i
n e ssu n significato e l’elettronic a di dimostr i un te r r e no sui c ui inve stir e . ( 7 . 5 /1 0 )
Antonello Comunale
i era t i c o e d i n quieto (The D iscovery, Wiring,
In va si o n ) .
Di s c o i n t i m o , autunnale, di difficile f r uiz ion e ( t a l v o l t a a m m iccante ad aperture sinf on i ch e d o p o - n o v ecentesche: E ffect O f Disc over y, Te st , A l arm , C atastrophy, Aft ermath:
T h e M u t a t i o n ) , K alm ukia finisce nondime no
per i n t r i g a r e perché pare possedere il f a sc ino d e l l ’ o p e r a prima e la serietà - la gr a tuità
- d i u n a t t o d ’ a more. (7.3/10)
Vincenzo Santarcangelo
Atari – Sexy Games For Happy Families
(Freak House / Venus, gennaio 2008)
Genere: electro
C ’ è d a c r e d e r e a questi Atari quando sul
l o ro My S p a c e citano tra gli ispirator i, Be a t l e s , D e v o , Daft Punk ma anche Gigliola
C i n q u e t t i , S a ndy Marton, Decibel, James
B o n d , C a r a v a ggio e vecchi cartoni animati
g i ap p o n e si c o me Yattaman o Pollon. C’ è da
c r e d e r e l o r o perché lo stesso immaginario
u n p o ’ t r a s h , decisamente infantile, molto
a n n i O t t a n t a che fa da corollario estetico
e f il o s o f i c o a lla proposta del gruppo, lo si
r i t r o v a a n c h e nella musica, sotto forma di
r itmic he pla stif ic a te , sogni a ot to b it, e le ttr onic a spic c iola . Un imma gina rio p r o f o n d a me nte le ga to a l mondo de lle pr i me c o n s o lle
da salotto come, appunto, l’Atar i , g i o c a t t o l i
che tra la fine dei Settanta e l’ i n i z i o d e g l i
Otta nta si diff use r o a live llo pla n e ta r io , r ivoluz iona ndo la vita de i te e na ger d i a llo r a e
da ndo il via a una r inc or sa te c n o lo g ic a c h e
a nc or a oggi pa r e se nz a f ine .
Pla ye r 1 e Pla ye r 2 – que sti i n o mi d ’ a rte de i music isti c oinvolti ne l pr o g e tto – r ipr e ndono in toto i c olor i de l so u n d a rc a d e ,
ta lvolta r ipr oduc e ndoli f e de lme n te ( A t a r i
Boy ) , ta lvolta “ mode r niz z a ndo li” in c h ia ve e le ttr o ( i Ve lve t di Poisone d A p p le P ie ) ,
ta lvolta tr a sf or ma ndoli in c ita z io n i d i p r ime donne de l pop tr a sve r sa le c o me Blur e
Be c k (I Can’t Stop Biting M y Na ils e “B lo w
I n Cart” Ge ne ration) , più spe s s o ma s c h e randoli sotto una disco-accozza g l i a d i s t i l i
e maniere personale quanto ent u s i a s m a n t e .
Una musica brava a fotografar e c o n g u s t o
me lodie da ma nda r e a me mor ia e c h e , s ia mo
certi, farà ballare i nostalgici d e l d e c e n n i o
delle spalline imbottite come c h i , q u e g l i
a nni c osì c ontr a ddittor i, non li h a ma i v is ti
n e mme n o c o l b in o c o lo . I n tu tti i c a s i, in s e r t
c o in . ( 7 . 1 /1 0 )
F a b r i z i o Z a mp i g h i
Autechre – Quaristice (Warp, 7 marzo
2008)
Genere: electro
Autechre goes dubstep? La sensazione c’è
ma è solo un miraggio; piuttosto, dopo uno
ia to d i f u g h e in a v a n ti, p e r Se a n e Ro b è te mp o d i r ito r n i e r id ime n s io n a me n ti. L e a s tr a z io n i d e lle p r o v e r e c e n ti s te mp e r a n o in u n a
ma te ma tic a f r ie n d ly e c ’ è d i p iù : s o r p r e n d e n te me n te , a b b ia mo l’ a lb u m c h e in e ff a b ile
ti g u a r d a a lle o r ig in i, e s u tu tto s p e r ime n ta
s o lu z io n i d iff e r e n ti s e n z a p a u r a d i c o n f r o n tarsi con un passato (anche remoto).
Q u a r tis tic e , n o n a p r o v a s u Wa r p , r e v is io n a e
reintroduce basi “in chiaro”, ripesca nastri
s c h iu mo s i a mo ’ d i Ch ia s tic Slid e ( Ply p h o n ) ,
a mb ie n t à la I n c u n a b u la ( A ltib z z ) , me tte in
convivenza impro del dopo Confield (fol3)
c o n r itr o v a te e s p lo r a z io n i in te llig e n t ( T h e
Plc ) , mo me n ti a c id ( I O , Ch e n c 9 ) e b r e a k beat finalmente non troppo treddì (Fwze).
Indizi che fanno pensare a un punto della
s itu a z io n e , a u n s e g n o d i u n p o s s i b i l e c o n f r o n to – a ltr a n o v ità - co n u n ’a t t u a l i t à m o l to d iv e r s a d a q u e lla c o m p l i c a t a a t u t t i i c o sti bazzicata nell’ultimo lustro. Parliamo di
dubstep, dei Pinch e Burial ai quali i due
d e d ic a n o id e a lme n te i m o m e n t i p i ù p a s t o s i ( Ra le ) , r o b a c h e n o n t o c c a n o d a a n n i , l a
lo r o v e r s io n e “ a u t” d e l t ri p h o p , i p e rt e c n o lo g ic a r ic o n g iu n z io n e c h e s o m m a t a a i n u me r i d a g r a n d e r ito r n o (l a g ra fi c a d e i m i t i ci Designer Republic, le ben venti tracce)
f a n n o p e n s a r e a l c o lp o d ’a l a d i u n b ra n d i n
g r a n r is p o lv e r o , a r a g a zz i (n o n p i ù t a l i ) c h e
hanno capito che di troppo isolazionismo si
v iv e p e r s e mp r e , ma f u o ri m e rc a t o . In fi n e è
te mp o d i in s e g n a r e ( imp a rt i re ) q u a l c o s a a l l a
next generation.
Co n l’ u ltimo O r b ( T h e D re a m ) a n c h ’e s s o i n
U - Tu r n v e r s o i p r i m i N o v a n t a ( e p a r l i a m o
n ie n te me n o c h e d e i p r im i d u e a l b u m ), e p ri ma c o n il b u o n M id d le to n a g u a rd a re n e l l ’i n te r s e z io n e O tta n ta - N o v a n t a , s e n t i a m o m o l t a
della musica del dopo ballo di tanti anni
f a , u n ’ o c c a s i o n e i m p or t a n t e p e r r i s c o p r i r e
un paio di vecchie scuole ai “Charlie che
f a n n o s u r f ” ( l’ e le c tr o p i ù c o m p l i c a t o d e l l a Wa r p , l ’ a m b i e n t h o u s e c o n i l s e m p i t e r n o
d u b a f a r e d a c o lla n te ) e a t u t t i c o l o ro c h e s e
la s o n o p e r s a ( e h a n n o p e rs o u n b e l m o m e n to ) . Q u a r is tic e n o n s p o d e s t e rà d a l p o d i o Tri
Repetae, Chiastic e Amber ma certamente,
p e r la f e lic ità d e i v e c c h i fa n , s i b e c c a u n
b e l q u a r to p o s to in c la s s i fi c a i n t e rn a . Th i rt y
s o me th in g th is o n e ’s f o r y o u . . . (7 . 2 / 1 0 )
Edo ardo Bri dda
Autistic Daughters – Uneasy Flowers
(Kranky / Staubgold, 4 marzo 2008)
Genere: avant qualcosa
Q u a n d o la c ittà d o r me e l e l u c i a l n e o n c a m biano le ombre. Quando la pressione nelle
vene si fa bassa, sospesa, intima e colpevole . D e a n Ro b e r ts , l’ a lc h i m i s t a d e i d u e m o n d i
( Vie n n a – N u o v a Z e la n d a ) a b i t a q u e s t e o re e
g li A u tis tic D a u g h te r s s o n o i l s u p p o rt o p e r l e
s u e r if le s s io n i d i me z z a n o t t e . C o s a s a re b b e
q u e s to ? I l f o lk a lc o lic o d e l p o s t ro c k ? A n z i
n o … d e l p o s t e b a s ta ? Ne l l a m u s i c a d i D e a n
Ro b e r ts tu tto a r r iv a g ià e l a b o ra t o , m a s t i c a to , me d ita to , c a mb ia to a l l a ra d i c e . F o rs e è
l’ e lis ir d i Re h a n a c h e a g i s c e q u a n d o “ t u t t o
s i m u o v e le n ta m e n te ”. I t o c c h i s t r u m e n t a l i
degli Autistic Daughters sono immediati e
SA 47
RECENSIO
i s t an t a n e i c o m e una polaroid. N ote di pia no
c h e a p r o n o a l vuoto e cercano il silenzio;
i l p a sso m a l f e r mo delle percussioni sotto il
col p o so ff i c e delle spazzole; un’ele ttr onica g e n t i l e c h e riverbera gli strum enti, ta glia
s en z a f e r i r e , a um enta le profondità, si a mm a n t a s u i s u o ni come fumo denso e quella
v o ce d a su ssu r ro in penombra. D ean lo tr ov i al l ’ u l t i m o t avolo dell’ultim o bar de ll’ ult i m a o r a . C a n ta, anzi sussurra, sapendo di
es s e r e l ’ u l t i m o degli ultim i. Ma non è solo.
I n s i e m e a l u i , Werner Dafeldecker, Martin
Bran d l m a y r e per la registrazione de l dis c o i l n o s t r o Valerio Tricoli. Spiriti affini
o v v i a m e n t e . P erché certe battaglie possono
es s e r e c o m b a t tute solo da chi ha la v ista a bb as t a n z a f o r t e per poter superare il buio e
v ede r e d o v e porta quel viale. N el fr a tte mp o … b a r i s t a , versi pure del gin in questo
l at t e a c i d o . ( 7 . 5/10)
Antonello Comunale
Dimi Dero Inc – Sisyphus, Window
Cleaning (Bang!, febbraio 2008)
Stu Thomas – Devil & Daughter (Bang!,
febbraio 2008)
The Green Mist – Next Stop Antartica
(Bang!, febbraio 2008)
Genere: indie garage roots punk
B a n g ! R e c o r d s è un’etichetta speci alizzata
i n s o n o r i t à p u n k roots garage e via d i que sto
p a s s o p r o v e n i ente da una terra di persone
r u d i c o m e l ’ Australia. Musica per vecchie
v o l p i , g e n t e c h e non si lascia minima me nte
s fi o r a r e d a i v erbi falsi dell’idiom a p ost. I t’s
o n l y ro c k ’ n ro ll but I like it… e infatti ci
p i ac e c o sì . C o me il garage parigino d i Dimo
Dero , u n o c h e ha mandato a m emoria la le zi on e d e l Ca v e demoniaco epoca B ir t hday
Pa r t y . I n u m e ri sono buoni: chitarr e suff ic i e n t e m e n t e acide, ritmi sufficientemente
m a s c h i , v o c e sufficientemente schizzata.
N o n f a n i e n t e che in confronto alla band di
Pr ay e rs O n Fire, questa francesi sembrino
u n g r u p p o c h e fa dem otape. Il piglio è que ll o g i u s t o . S t u Thomas invece lo lasciamo
v o l e n t i e r i d o v e sta. L’uom o viene d a Me lb o u r n e e f a u n canonico, classico, b a na liss i m o l a v o r e t t o folk roots, che prende a pie n e m a n i d a H owe Gelb. E’ come il remake
c o n t e m p o r a n e o di qualche horror anni ’70.
Tu t t o g i à r i sa p uto, ma tirato a lucido pe r c hé
i m e z z i e l a produzione sono quelli giusti
pe r il milione simo disc o de l ge n e r e . I G ia n t
Sand si staranno rivoltando n e l l a t o m b a .
Anzi no, perché non sono morti . E a l l o r a c i
se ntia mo lor o a que sto punto. M a g a r i to r n a no a nc he c on un disc o nuovo. I l te r z o d e i tr e
disc hi distr ibuiti que sto me se d a Ba n g ! è il
miglior e de i tr e . Si tr a tta di un a ltr o d e b u tto, que llo de i Gr e e n Mist, ba nd r o o ts p r o veniente niente meno che dalla Ta s m a n i a .
Qui i riferimenti vanno dritti dr i t t i v e r s o i l
Paisley Underground, i Thin W h i t e R o p e , i
Gun Club, i Viole nt Fe mme s. Di q u e s ti u ltimi c’è come ospite Brian Ritchie . O l t r e a l u i
si avvistano tra le trame del disc o c o n t r i b u t i
sparsi di Spencer P. Jones e Ch a r l i e O w e n
de i Be a st Of Bur boun e Rosie We s tb r o o k g ià
a l la vor o c on Mic k Ha r ve y. I n s o mma g e n te del giro che è arrivata a firm a r e i l d i s c o
di de butto. I Gr e e n Mist si poss o n o d e d ic a re con eguale efficacia sia agli s t r u m e n t a l i
c ountr y f olk, sia a lle c a nz oni più s tr u ttu r a r e . Gr a n la vor o di c hita r r e a c ustic h e . A n c h e
qui, tutto c’è tranne che origin a l i t à , m a i l
r oc k’ n’ r oll or ma i non c hie de di e s s e r e n u o vo, c hie de di r ispe tta r e un c opio n e c h e s ia
vic ino a lla sosta nz a de lla sua e s s e n z a : a g ita r e gli a nimi. ( 6.0/10) ( 5.5/10) ( 6 . 5 /1 0 )
Antonello Comunale
Bauhaus – Go Away White (Cooking
Vynil, marzo 2008)
Genere: rock, wave
La r e union più inse nsa ta . Ne lla me s s e a p pa r e nte me nte inf inita di r e c e nti r ia s s e mb r a menti, un primato del genere n o n e r a s t a t o
a nc or a r a ggiunto, e c he a c onqu is ta r s e lo s ia
una band fondamentale, iconic a , p e r c e r t i
ve r si tr a le più sac re del post p u n k t u t t o non solo de lla sua dir a ma z ione g o th , q u a n to ne lle c onta mina z ioni dub, gla m e p s y c h non è una c osa c he dispia c e , è u n a c o s a c h e
f a pr opr io ma le . A ve ntic inque a n n i d a ll’ u ltimo a lbum in studio, r e gistr a r e d ie c i c a n z oni poc o ispir a te , in soli die c i g io r n i, c o s ì,
a lla be ll’ e me glio… e non pe r u n r ito r n o in
gr a nde stile ma pe r sugge lla r e lo s c io g limento definitivo (esatto, avete l e t t o b e n e ) ,
è una scelta talmente insulsa c h e s a r e b b e
meglio pensare a uno scherzo co l o s s a l e .
De tto c iò, pote te se mpr e volta rv i d a ll’ a ltr a
pa r te e f inge r e c he que sto disc o n o n s ia ma i
e sistito. O, se vole te c ime nta r vi n e ll’ a s c o lto ,
c e r c a te di non pe nsa r e tr oppo a I n T h e F l a t
Fie ld , a S h e ’s I n P a r tie s , a ll’ a p p a r iz io n e in
Th e H u n g e r ( M ir ia m s i s v e g lia a m e z z a n o tte ) , a i L o v e A n d R o c k e t s e a l l e c o s e b u o n e
d e l M u r p h y p o p , a lle d ig n ito s is s ime r e u n io n
liv e d e l ’ 9 8 ( d o p p io liv e G o th a m a n n e s s o ) e
d e l 2 0 0 6 . N o n v i v e r r à n e mme n o ta n to d iff ic ile , v is to c h e in G o Awa y W hite l a t r a c c i a
d i ta li f a s ti è la b ile e d imp a lp a b ile , u n f u o c o f a tu o c h e s i a c c e n d e s o lo a tr a tti – a me tà
p r o g r a mma c o n S a v e d , M ir ro r R e m a in s ,
B la c k S to n e H e a r t, b u o n e c o mp o s iz io n i c h e
s i a v v ic in a n o a c e r te s p e r ime n ta z io n i d i T he
Sk y ’s G o ne O ut – ; p e r il r e s to , c ’ è a n c o r a
l’inconfondibile chitarra tagliente di Daniel
Ash, ma fuori luogo in un contesto tanto
f ia c c o , s v u o ta to d i o g n i g r in ta e c o n te n u to ( To o M u c h 2 1 s t Ce n tu r y è i m p i e t o s a i n
ta l s e n s o ) ; c ’ è s o lo u n g ir o d i b a s s o a p p e n a
in te r e s s a n te ( E n d le s s S u m m e r O f Th e D a m ned); c’è un Peter Murphy spompato, il cui
carisma si manifesta solo per pochi flash
(finendo per suonare autoparodistico nella
s u a e n n e s ima imp e r s o n a z io n e I g g y /Bo w ie
in U n d o n e ) . L a c o mp o s iz io n e r a ff a z z o n a ta ,
la p r o d u z io n e q u a s i in e s is te n te , la q u a lità
demo del tutto fanno il resto. Una macchia
- l’ u n ic a - c h e , c i a u g u r ia mo , v e r r à c o p e r ta
d a lle s a b b ie d e l te mp o . ( 4 . 8 /1 0 )
Antonio Puglia
Baustelle - Amen (Atlantic / Warner, 1
febbraio 2008)
Genere: pop rock
Questa sarà una recensione più lunga del
s o lito e - g ià lo s o - mi la s c e r à in s o d d is f a tto . Ta n te , f o r s e tr o p p e le c o s e in g io c o . A d
e s e mp io , u n a c h e c ’ e n tr a d i r imb a lz o r ig u a rd a la mia id io s in c r a s ia p e r i Ba u s te lle , n a ta
in coincidenza del loro frugale esordio ed
ir r o b u s tita s i a d o g n i u s c ita , a c a u s a d i q u e lla p o s a n o s ta lg ic a , a p p ic c ic a tic c ia e s d e g n o s a c h e n e l q u i p r e s e n te Ame n - q u a r ta p r o v a p e r la b a n d to s c a n a - v ie n e le tte r a lme n te
tr a v o lta , s o mme r s a d a u n a p p r o c c io u ltr a p o p
ma s s ima lis ta ( o r c h e s tr a d ’ a r c h i, a n c e e o ttoni, elettricità sfrigolante ed elettroniche
v in ta g e , a p p r e n s io n i a c u s tic h e e tr ib a lis mi
p e r c u s s iv i. . . ) , c o mp o s ito f in o a l s u r r e a le ,
s tr iz z a to tr a c o mmo z io n e e d is in c a n to f in o a
c o n s e g u ir e u n o s c o n c e r to b r u c ia n te . Ris u lta to : la mia id io s in c r a s ia d is s o lta , s v a p o r a ta
c o me n e v e a l c e n tr o d e ll’ in f e r n o , ta n to p e r
c ita r e q u e l ta le .
E pensare che il
s in g o lo
Ch a rlie fa s u r f mi e r a
s e mb r a to ( e mi
s e mb r a ) l’ a p o te o s i d e l lo r o la to
detestabile, con
l’ e me r ita in s u ls a g g in e d ’ u n a B o y
Band trasfigurata
tr a ir id e s c e n z e e
c a mp a n e llin i, q u e l s a r c a s m o c h e o s c i l l a t ra
a mmic c a me n ti e c a ttiv eri a a s t o m a c o v u o t o ,
mir a n d o s ia c e r ti g io v an i c h e c e rt o a n t i g i o vanilismo a perdere. Invece, l’album è una
g ir a n d o la d i s e g n i, f o r m e , m e m o ri e , p ro v o c a z io n i e c o n f e s s io n i, fru l l a t i c o l p re c i s o
s c o p o d ’ in c e n d ia r e il m a l a n i m o d i m e ra v i g lia , o tte n e n d o d a lla c o m b u s t i o n e u n a m i s c e la p o p to ta le , o s s ia g ra c i l e e v e e m e n t e ,
indolenzito e crudele.
Qualche esempio: l’iperdance wave-pop
s c r e z ia ta b o s s a tr a ta s t i e ro n i B l u v e r ti g o e
c a n to la c o n ic o M a r io Ca s te l n u o v o d i Ba u d e la ire ; la c a r b u r a z io n e B a tti a to - G a r b o a d
e le ttr ic ità b a tte n te e s p u n t o m e l o d i c o d o l c i a s tr o d i Co lo m b o ; la c o s m i c i t à a m n i o t i c a A i r
e l’ e n f a s i s in f o n ic a A la n Pa r s o n Pro je c t d i
L; la g lo r io s a Kn o c k On Wo o d ri a rt i c o l a t a
n e l b a ila mme p o p a d e li c o Fl a mi n g L i p s t r a
c h ime r e mo r r ic o n ia n e i n S p a g h e t t i We s t e r n
(una delle due ghost track “in negativo”);
l’ u ltr a b r it- p o p a d u e v o c i (i l c a n t o d i R a c h e le to r n a s p e s s o f e li c e m e n t e i n p ri m a l i n e a ) e s e n to r i e s o tic i d e I l l i b e r i s m o h a i
g io r n i c o n ta ti.
N o s ta lg ie d is s e min a te c o m e s e g n i d i u n c o dice da decifrare, per scrivere l’anamnesi
d i u n a ma la ttia a n n id a ta n e l v i v e re (t u c h i a ma la , s e v u o i, la ma lav i t a ). Ed e c c o q u i n d i la s tr a z ia n te A lfre d o , i b ri d o D e A n d r é /
Be r s a ni in g u is a d i v a l z e r p i a n o , v o c e e o rganino, dedicata alla dirimente vicenda di
Ve r mic in o , q u a n d o la t e l e v i s i o n e s i d e i fi c ò
n e l r e a le e v ic e v e r s a , fe re n d o a m o rt e - i n
c h i s c r iv e - l’ id e a s te s s a d i D i o . Ed e c c o l o
s tr u g g ime n to f in a le d i An d a r s e n e c o s ì , o v v e r o c o me a n e la r e u n u t o p i c o s u i c i d i o e s i s te n z ia le /e mo tiv o /s e n ti m e n t a l e i n u n a l a n guida gelatina che tremolando rammenta i
P o o h d i P a r s if a l, i D ik D i k , i D u r a n D u r a n
d i S a v e A P r a y e r , c e r t i K i n g C r i ms o n p i ù
potabili… Eppoi quei disarmanti cambi di
SA 49
RECENSIO
regi st r o , r o b e tipo una Mietta se la pr oduces s e Wa y n e Coyn e ( L’aeroplano, da i pot enz i a l i r a d i o f o nici enormi) o la bla xploita t i o n e x o t i c a d i E thiopia o ancora l’e splic ito
o m a g g i o a L e e H azlew ood di P anico ! , de lizi osa m e n t e i n terlocutorio con le sue c a r e z zev o l i a rg u z i e pop-soul-mam bo.Vuo i pe r il
m er o n u m e r o d ei pezzi (15 più due bonus più
l a c o v e r d i T h e Boy With The Thorn In His
S i d e r i se r v a t a a chi acquista su ITun e s) , pe r
l a q u a n t i t à d i trovate d’arrangiamen to, per i
p rez i o si sm i ( i l vibrafono di Mulatu Asta tke l a, l a f i sa r m o n ica del venerabile A le ssa ndr o
Al essa n d r o n i , il piano di B eatrice Antolini,
u n o b o e t o c c a n te lì e un Minim oog vis iona r io
l à.. . ) , p e r l e sistem atiche svolte, le a ppe nd i ci “ d ’ a r r e d o ” ed i mash-up stilistic i ( ve di
l ’u l t r a g l a m d i A ntropophagus che diventa
t ri b a l d a n c e t ra B yrn e e R ettore prima di
u n a c o d a d a n c e che - com e già in B a ude laire - s e m b r a q uasi divertirsi ad attu alizzare
Moro d e r ) , è u n disco che tende all’ e nor mit à, d a c u i t i a l lontani per guardarlo me glio,
p er g e st i r n e i l frastuono che brucia la f a ma
faci l o n a d a P u lp nostrani, sparando razzi
t rac c i a n t i c h e bruciano il culo a mille idoli
d i o g n i e p o c a (dai S essanta ai N ovanta , f e rm an d o si q u a si in ogni stazione) e gr a do, un
m as si m a l i sm o appunto che non soffoc a ma i
d el t u t t o i l d i sa gio m inim ale di chi s i è f a tto
i l p e r c o r s o a n tico dalla periferia al la città,
p o rt a n d o si d i e tro tutto il tim ore, le pa r a noi e, t u t t o q u e l nostalgico sdegno - ebbe ne sì
- di c u i so p r a . U n percorso di chilome tr i e d
epo c h e , d i g e n erazioni, di valori m itologic i
e co m u n q u e sbriciolati, di simboli e f e tic c i
d i v o r a t i d a l l a storia m a annidati ne lla me m o r i a . E c c o i l punto: a forza di scior ina r e
art i f i c i , sc e n o grafie ed espedienti, que sto
d i s c o t i c o n v i n ce della propria sos ta nz ia le
g enu i n i t à . Ti s uggerisce continuame nte c he
l a s u a a m b i z i o ne è un depistaggio. Conside rat e l o , se v o l ete, il S gt P epper dei Ba uste ll e . E f a t e v i t u tte le proporzioni che vi pare.
(7 . 5 /1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
Billy Bragg - Mr. Love And Justice
(Cooking Vinyl / Nasco, 29 febbraio
2008)
Genere: songwriting, folk rock
L’an n o sc o r so ha festeggiato i 50 an ni, nonché i 2 5 d a l l a prima esibizione live , a vve -
highlight
Benga – Diary Of An Afro Warrior (Tempa, 3 marzo 2008)
Genere: deep dubstep
Benga lo aspettavamo al v a r c o . D o p o a v e r l o s e n t i t o m i x a r e c o m p i l a t i o n e c c e l l e n t i e a v e r a s c o l t a t o l a
sua c a pa c ità di c oniuga r e le a n ime d a n n a te d e l g r ime e d e ll’ U K - g a r a g e , il r a g a z z o o g g i d e v e d imo str a r c i di sa pe r te ne r e a nc h e s u lla lu n g a d is ta n z a . N o n c i a c c o n te n tia mo p iù d e l s e n s a z io n a lis mo e
de llo stupor e di qua lc he a n n o f a . O g g i f a r e d u b s te p s ig n if ic a mis u r a r s i c o n la s c u o la ‘ s o u l’ d i Bur ia l
e Kode 9 o c on le ma nine d i f o r b ic e d i P inc h e Bo x c ut t e r , g e n t e c h e i l b e a t t e l o s p a r a a d d o s s o , g e n t e
che sa cosa vuol dire “suo n a r e c o m e s e n o n c i f o s s e i l d o m a n i ” , p e r c h é i l d o m a n i s o n o l o r o . S a n n o d i
poter sfottere il tempo, sa n n o p o i c h e l ’ o n d a è a l t a e b a s t a u n a t t i m o p e r s c i v o l a r e g i ù d a l l a c r e s t a .
Qua lc uno pr opone soluz io n i c h e s i a v v ic in a n o a d a ltr i g e n e r i, q u a lc u n o s i a ff id a a ll’ o r to d o s s ia . I
primi di solito hanno la m e g l i o , u n g i u s t o e q u i l i b r i o , u n a s t r i z z a t i n a d ’ o c c h i o , u n a t t e g g i a m e n t o
da “ bla de r unne r s” se r ve s e mp r e . I l “ c h i v a là “ d e l p o s tmo d e r n o , in s o mma . Be n g a q u e s ta ta ttic a mu ta n te l’ in c arn a d i b ru t t o ,
conoscendo i rischi dell’ip e r s e r i e t à , d e l l ’ a u t o r e f e r e n z i a l i t à : o t t i m e p e r g l i a d e p t i , m a i n u t i l i a c h i d e l b r e a k b e a t n o n n e v u o l e
sa pe r e . Oggi il disc o dubs te p p e r f e tto n o n p u ò c h e mu ta r e d i c o n tin u o , mo to p e r p e tu o tr a u n d e rg r o u n d e a r ia d i l e n t o m a c o stante rinnovamento.
Il trend bipartisan apre da u n a p a r t e a s e n s i b i l i t à e a s t r u m e n t a z i o n i e l e c t r o j a z z ( s t u p e n d a l ’ a p e r t u r a “ c o s ì b l u e s c o s ì d o w n t e m p o “ d i
Ze ro M 2 e il sa x distor to d i B 4 Th e D u a l) , d a ll’ a ltr a a tu n n e l d e e p ip e r d a r k ( Nig h t, a p p u n to ) o a r ic h ia mi c h e g u a rd a n o s p a ve ntosa me nte a lla house (l’ a c id o d i E - Tr ip s e i s y n th d a c lu b d i S o m e o n e 2 0 ) . C i s o n o p o i l e r i c o n f e r m e c h e l a m a t r i c e g r i m e
r ima ne ma r c hio di f a bbr ica ( Cr u n k e d U p , Th e Cu t) , ma le e v a s io n i d a l tr a c c ia to te n g o n o , a n z i c o me d ir e b b e q u al c h e b ra v o B boy, spac c ano ( ve di l’ onir ic a G o Te ll Th e m o la min ima le E m o tio n s ) .
Benga è un surfer, un pro d u t t o r e c h e s a q u a l i s o n o i n e r v i s e n s i b i l i , d o v e a n d a r e a g i r a r e i l c o l t e l l o . L a v i s i o n e p r o p o s t a d a
questo primo lavoro ci fa i n t r a v e d e r e l a s t r a d a n u o v a . I l d u b s t e p è i l p i a n o d a c u i p a r t i r a n n o e v o l u z i o n i a n c o r a i n a s p e t t a t e , s i a
per gli headbangers che pe r g l i a l t r i f r e q u e n t a t o r i o c c a s i o n a l i d e i b a l o c c h i d e l r i t m o . I l “ d i a r i o d e l g u e r r i e r o “ s e g n a i l p u n t o d i
non ritorno per qualsiasi d i s c o r s o n u o v o s u l l ’ e l e t t r o n i c a . M i n i m a l i s t i s i e t e a v v e r t i t i , p r i m a d i p u b b l i c a r e q u a l c o s a d i d e c e n t e
ve la dovr e te ve de r e c on i l d u b s te p . O r a p iu c h e ma i, ta p p a o b b lig a ta . ( 7 . 5 /1 0 )
M a r c o B r a gg i o n
nuta ne l lonta no ’ 82 a Londr a ; l’ a n n o p r ima
e r a usc ito un doppio box se t c on l’ in te r a d isc ogr a f ia e pa r e c c hie bonus, e u n lib r o tr a
autobiografia e riflessioni socia l i . Te m p o d i
celebrazioni e bilanci per il No s t r o q u i n d i ,
tuttora portabandiera dei progres s i s t i i n g l e s i
e, come di consueto, al centro d i n u m e r o s e
iniz ia tive , non solo music a li. L’ in c o n tr o c a sua le c on il soda le Robe r t Wya t t ( “ N o n lo
ve de vo da l 1986, a i te mpi de l Red We d g e ” iniz ia tiva de i La bur isti pe r spr on a r e i g io v a ni a l voto - , “ l’ ho inc ontr a to c a s u a lme n te e d
è subito ve nuto a me tte r e la sua v o c e a n g e lic a ne l c hor us di I Ke e p Faith” ) è l’ o c c a s io ne pe r una r impa tr ia ta , ne l r ito r n o c o n M r.
Lov e And Justic e , a sei anni da l p e n u l t i m o
England, Half English, Sono lo n ta n i i te mpi in cui, armato di chitarra, am p l i f i c a t o r e
e voc e , in pie na e r a post- punk , in f ia mma va i palchi con live set appassio n a t i ; t e m p i
lontani anche se in realtà Brag g h a s e m p r e
c o n tin u a to , c o s ì c o me P a ul We lle r , a d e s e rc ita r e l’ a b b in a me n to mu s ic a /p o litic a /r if le s s io n e s o c ia le . U n a c o n tin u ità s tilis tic a e a rtistica che lo ha sempre accompagnato. La
d imo s tr a z io n e a n c h e in q u e s t’ u ltimo a lb u m,
u n c o mp e n d io d e l s u o s o n g w r itin g : r o b u s to
f o lk r o c k , b a lla d , tr a D y la n e u n m o d e r n o
Wo o dy Gut hr ie ( c h e Billy a v e v a o ma g g ia to mu s ic a n d o n e i v e r s i n e i d u e v o lu mi d e lla
s e r ie M e r ma id Av e nue n e l ’ 9 9 e 2 0 0 0 , in s ie m e a i Wi l c o ) , u n a s c r i t t u r a m a t u r a c h e n o n
conosce particolari flessioni, soprattutto
n e g li u ltimi a n n i, s e g n o d i u n ’ o ttima te n u ta . Pe r f o r me r d i r a z z a , c a n ta s to r ie in f a tic a b ile d a l p e c u lia r e s e n s e o f h u mo u r ( c h i l’ h a
visto dal vivo ne sa qualcosa), Bragg non
f a a ltr o c h e c o n tin u a r e la s e c o la r e tr a d iz io n e d e llo s to r y te llin g f o lk , r in n o v a to n e g li
a n n i a l s e g n o d e i te mp i, ma d a lle s o lid e r a d ic i. U n a lb u m d a l s u o n o p ie n o , c o a d iu v a to
d a i s o liti The Blo ke s c h e lo a c c o mp a g n a -
n o s in d a l 1 9 9 9 ( e c h e v e d e n e l l e l o ro fi l a
tr a g li a ltr i il ta s tie r is t a Ia n M c La g a n - g i à
c o n Sma ll Fa c e s , Bo b Dy l a n , Th e F a c e s – ),
p ie n o a n c h e d i in f le s s io n i s o u l (i l s i n g o l o I
Ke e p F a ith c o n Wy a t t a i c o r i e l ’ h a m m o n d
d i M c L a g a n ) , p o p r o ck w e l l e ri a n i / m o rri s s e y a n i ( S o m e th in g H a p p e n e d ) e i c o n s u e t i
a n th e m ( O F re e d o m ) . C o m e f o r s e p o t r e b b e
s u o n a r e o g g i u n C o s t el l o n o n a m e ri c a n i z z a to , v e r r e b b e d a p e n s a re . O u n M i c a h P.
Hins o n b r ita n n ic o . L u n g a v i t a q u i n d i a c o lu i il q u a le il Time s h a d e fi n i t o “ a n a t i o n a l
tre a s u re ” . ( 7 . 3 /1 0 )
Teresa Greco
Box – Studio1 (Rune Grammofon
Goodfellas, 14 gennaio 2008)
/
Genere: jazz-rock, avant fusion
I n c a ttiv iti c o me i N a k ed C i t y d i J o h n Z o r n ,
f u n a mb o lic i c o me il Fr a n k Z a p p a d i H o t
Ra ts , ja z z , s e ja z z p u ò c o n s i d e ra rs i l ’i s t ri o SA 51
RECENSIO
n i s m o sm a n i o so di un F red F rith: Raoul
Bj ör k e n h e i m ( c hitarra, S corch Trio), Tr e vor
D u n n ( b a s s o , Mr. Bungle, Fantomas, John
Zo rn ) , S t å l e S torløkken (tastiera dei Supe rs i l en t ) e M o rg an Å gren (batteria, Ma ts/Morg a n , Z a p p a ’s Universe) ci danno dentro in
epi so d i c h e se s sioni di registrazione e ff e tt u a t e t r a S v e z ia e Danimarca – l’epicentro
g eog r a f i c o d i u n terremoto sonoro s ov ranaz i on a l e .
In i z i a l m e n t e concepito come sonoriz z a z ion e l i v e d i u n lavoro dello scrittore e f ilmm ak e r P h i l i p M ullarkey, Studio1 è, in r e al t à m o l t o d i p iù. S em bra, addirittu r a , c he
Box si a u n m onstre sfuggito ben pr e sto a l
con t r o l l o d e l l e teste pensanti che vi si c e la n o d i e t r o – c o sì come, all’atto dell’a sc olto,
p are t a l v o l t a d i fronteggiare creature sonor e
che, c o m e a n i m atesi, si ribellano al contr oll o s t r u m e n t a l e – superbo chevvelodic oa f a r e
– d e i q u a t t r o musicisti.
È, c o m e si sa r à intuito, di jazz-rock ne r boru t o e v i r t u o so che stiamo parlando: se i lung h e t r a c c e i m provvisate tra vorticosi sa lis c e n d i s u s c a l e cromatiche, inserti mirati di
e l e t t r o n i c a , r u morismi assortiti. Il rischio,
com e se m p r e in progetti similari, è di a da g i a r s i , a b b a s s ata la guardia, sugli allori di
u n p r o g - r o c k virato avant-fusion (accade,
ad e se m p i o , nelle insistite progress ioni di
Unt i t l e d 9 e n ella stasi strumentale di Untitl ed 3 ) . M a i m usicisti in questione dispong o n o d i c u rri cula che, da soli, assicurano
l ’as c o l t a t o r e contro sfoggi di tecn ic a f ini
a s e s t e s s i e tronfie cadute di stile. Brani
com e U n t i t l e d 13 e U ntitled 11 stanno lì a
di m o st r a r l o – non sono cattive come sa e ss erlo so l o i l miglior rock? (7.0/10)
Vincenzo Santarcangelo
Peter Brötzmann & Peeter Uuskyla –
Born Broke (Atavistic, 19 febbraio 2008)
Genere: free-jazz
Non c ’ è n i e n t e di più sbagliato che pa r la r e
d e g l i e ff e t t i d i un ipotetico inserimento di
u n d i s c o c o m e questo in un djset; cosa che
i n v e c e f a r ò . B orn B roke è infatti un dopp i o C D c h e i n nessun lounge bar, neanche
i l pi ù i l l u m i n ato, potrete far ascoltare alle
p e r s o n e s e n z a che queste vi guardino con
g l i o c c h i st r e tti e accusatori – espe r ie nz a
p ers o n a l e , c o m e si sarà capito.
Il mo t i v o so n o i due protagonisti di que sta
usc ita Ata vistic , e la lor o ma nc a ta c o n c e s sione a qua lsia si tipo di indulge n z a e a s y listening. Lo si capisce già dai v e n t i e p a s s a
minuti de ll’ iniz ia le title trac k , d o v e s u u n
te ssuto ipnotic o ma a r r e mba nte d e lla b a tte r ia
di Pe e t e r Uuskyla, dopo l’ insorge nz a di un’ inquie tudine c he f a
ba tte r e il pie de ,
si inseriscono i
ba r r iti se nz a gr a zia
superficiale
de l sa x di Pe t e r
Br öt z m ann;
si
ha conferma fino
alla traccia che
c opr e tutto il se c ondo CD, De a d A n d U s e le ss, dove Br ötz ma nn pr opone u n a s p e c ie d i
te ma me lodic o solo pe r str a volg e r lo in a lto
e in ba sso, a de str a e a sinistr a , s e n z a n e s s u na spe r a nz a moda le , e poi a bba n d o n a r lo d e l
tutto, a spe tta ndo c osa pr opone l’ a ltr o , c o me
il f r e e - ja z z inse gna .
Ma f e r mia moc i un a ttimo a nc ora s u i mu s icisti, per capire meglio. Brötz m a n n è u n a
ve c c hia c onosc e nz a de l f r e e - ja z z , e U u s k y la
un ba tte r ista c he ha f a tto de l suo n a r e a z o n z o uno stile di vita , uno c he picc h ia q u a n to
e come vuole sui suoi tamburi p u r c h é n o n
gli si ponga no limita z ioni - solo “ v a i, s u o na ” – e c he sc opr e c on c hi de ve s u o n a r e s o lo
me ntr e lo sta già f a c e ndo. Pe te r, q u e l 9 s e ttembre 2006, alla Bohus Sound R e c o r d i n g
di Kungalv, in Svezia (senza am p l i f i c a z i o n i
ma solo un piccolo drumkit e u n s a s s o f o n o
c oi suoi ve c c hi mic r of oni) , semb r a e s s e rsi trovato a suo completo agio c o n P e e t e r,
c ome le a ltr e volte c he ha nno s u o n a to in sie me . E noi, di c onse gue nz a , c i g o d ia mo la
pr e c a r ie tà libe r a de lla situa z ion e , d i q u e s to
ge ne r e di a utor ia lità impr e ndib ile , ma f o rtissima . ( 7.3/10)
G a spare Caliri
d a A n n A r b o r, M ic h ig a n , c o n tin u a a in c a rn a r e - e b b e n e s ì, a n c o r a u n a v o lta - il c la s s i c o p r o t o t i p o d e l f o l k s i n g e r.
Co n p iù d i u n o s g u a r d o a lla le tte r a tu r a e p o esia, dal viaggio alla mitologia americana
e all’interiorità (i soliti Steinbeck, Carson
M c u lle r s , Ro b e r t Fr o s t, E mily D ic k in s o n ) e
c o n r e f e r e n t i m u s i c a l i b e n s o l i d i ( L e a d b e l l y,
L o u R e e d , J e ff Tw e e d y p e r c i t a r n e a l c u n i ,
d a l s u o my s p a c e ) , Ch r is p e r p e tu a c o s ì l’ id e a
r o ma n tic a d e llo s to r y te lle r, q u e llo c h e p a rte c o n f e z io n a n d o a r tig ia n a lme n te le c a n z o ni per essere infine messo sotto contratto
d a u n a la b e l lo c a le , e d a q u i p a s s a r e a u n a
d is tr ib u z io n e p iù a mp ia . Q u e l c h e è in f a tti
s u c c e s s o a q u e s to A Co r k Ta le Wa k e , c h e
a r r iv a d a n o i d o p o la p u b b lic a z io n e in p a tr ia
d e ll’ a n n o s c o r s o . D is c o o mb r o s o e in timis ta - ma c o n q u a lc h e a p e r tu r a in p iù q u e s ta
v o lta - c h e g o d e f in a lme n te d i u n a p r o d u z io n e a c c u r a ta d o p o il f a i d a te d e i la v o r i p r e cedenti: immediamente, più che i nomi già
f a tti, v ie n e r ic h ia ma to a lla me n te il c o mp ia n to Ellio t t Sm it h n e l l a s c r i t t u r a e n e l
mo o d ( s i v e d a l’ o p e n e r S e r p e n tin e , limp id a
ed evocativa ballad per piano), ma anche il
Will Oldha m p iù d o le n te mis to J e f f Tw e e dy
( Th e La s t P a r a d e O n A n n e S t. ) , l e m i s t u r e
s tr a tif ic a te a lla Suf j a n St e v e ns (E v e r y Wa ll
Yo u O wn ) , il p ig lio r o c k f o lk ( S m i l e s L i k e
A F ir s t) e la v e r v e d i u n o c o me M ic a h P.
Hins o n. Co n in p iù u n la to c h a mb e r f o lk ( u n
violoncello, violini e fiati che irrompono
sia pur discretamente in alcuni pezzi) che
non guasta, anzi. E una certa propensione
a l “ g o tic o ” n e lle lir ic h e ( a n d s e r p e n t s t h e y
c o v e re d m e /wh e n I s c re a m e d o u t/I s c re a m e d
out) e a una quieta rassegnazione, in cui si
intravede comunque una certa speranza in
f o n d o a l tu n n e l.
Non manca quindi la personalità a Chris e
l’ a b ilità d i r e in v e n ta r e u n g e n e r e d a n d o g li
v ig o r e , a v e n d o d a a g g iu n g e r v i u n c a r a tte re dolceamaro e la capacità non banale di
s c r iv e r e b o z z e tti imp r e s s io n is ti c o n a lc u n i
to c c h i. Ch e n o n è p o c o . ( 7 . 1 /1 0 )
Chris Bathgate - A Cork Tale Wake
(Tangled Up, febbraio 2008)
Teresa Greco
Genere: songwriting
Songwriter arrivato con questo a l b u m a l l a
pubblic a z ione c on una ve r a e p r o p r ia e tic he tta ( dopo sva r ia te pr oduz ion i c a s a lin g h e
e pa ssa pa r ola inte r ne ttia no) , Ch r is Ba th g a te
Christian Rainer - Turn Love To Hate
(Komart / Audioglobe, 14 marzo 2008)
G e n e r e : a r t c h a mb r e p o p
L o s p le n d id o d if e tto d i q u e s to d is c o , il s e c o n d o in s o lita r io d i Ch r is tia n Ra in e r, è c h e
non puoi coglierne appieno il valore senza
i video del DVD allegato, un clip per ogni
c a n z o n e a ff id a ti a lla c r e a t i v i t à d i u n d i c i a rtis ti v is u a li e u r o p e i, tra c u i l o s t e s s o R a i n e r.
Senza di essi ti ritrovi con tredici pezzi
a ll’ in s e g n a d i u n a tie p i d a o s s e s s i o n e c h a m b e r- p o p , ta lo r a s tr a tto n a t a d a a c i d u l e a p o ri e
a d u e v o c i ( B ro w Lin e ) e a l l u c i n a t e s o s p e n s io n i ( u n a F M 0 0 - B r u x el l e s c h e s e m b ra c o l t a
n e l g ia r d in o ma ls a n o d e l L o u R e e d a l t e z z a
B e r lin ) , ma v ie p p iù f o s c a , la n g u id a e c o c c iu ta me n te d e mo d é
( v e d i lo s tr u g g imento valzer di
Fisch’n’Chips
e D a y s With No
S to r y ) .
L’ a r ia
s p o s s a ta d a d is s o c ia to s e n s ib ile
e a dirla tutta un
p o ’ s n o b a lle p r e s e c o n s i t u a z i o n i a t m o s fe ri c h e d i tu tto r is p e tto ma i n v e ro p i u t t o s t o a u to r e f e r e n z ia li, p e r a ltr o n o n a s s o l t e d a p a rtic o la r i s la n c i d ’ o r c h e s t ra z i o n e (a n z i q u e l
piano Rhodes tra le volute d’archi innesca
f in d a s u b ito u g g e s tu cc h e v o l i ) n é q u e l l ’i n v e s t i m e n t o e n e rg e t i c o c h e n e l l e m a n i d i u n
N ic k C a v e r e s e c e r t e e v o l u z i o n i p a r e c c h i o
in tr ig a n ti ( a n c h e s e il t ra s p o rt o c o n c u i L e
J o n g le u r r is a le r a d ic i G a i n s b o u r g h -C o h e n
come non spiacerebbe al Re Inchiostro).
L o s c o n c e r to p o e tic o d e i t e s t i , i n t e rp re t a ti c o l p ig lio b r u mo s o d ’u n o S c o tt Wa l k e r
s e r o tin o , f in ir e b b e c o s ì p e r ra p p re s e n t a re i l
p r in c ip a le e le me n to d ’ i n t e re s s e d i u n l a v o ro
c h e n o n p u ò n o n s e mb r art i u n p a s s o i n d i e t ro
r is p e tto a ll’ e c c e lle n te s p l i t c o i K i d d y c a r d i
a p p e n a tr e me s i f a . Co m e i n e ffe t t i è , v i s t o
c h e tu tto q u e s to ma te ri a l e c i e ra g i à s t a t o
apparecchiato in un demo di qualche anno
f a . E a llo r a ? A llo r a il b u o n R a i n e r è u n o d a
p r e n d e r s i c o n le mo lle, u n o d a l l ’e s t ro i m p r e v e d ib ile , b iz z a r r o e s o p ra t t u t t o t o t a l e .
Q u e i v id e o c h e d ic e v a m o s o n o u n v e ro e
p r o p r io p r o g e tto p a r a ll e l o , Tu r n L o v e To Vi d e o , n o n n e c e s s a r i a m e n t e o rg a n i c o e p p u r e
straordinariamente nutritivo, perché al di
là d e lla b e lle z z a i c lip (d a l b u d g e t i n v e rsamente proporzionale alla genialità delle
in tu iz io n i) s o n o u n r e s o c o n t o - o u n a p i c SA 53
RECENSIO
col a se n t e n z a - circa lo spaesamen to ir r e v e r s i b i l e d e l l a cultura/anima occidentale
d i f r o n t e e d e ntro la formidabile a ssur dità
cui d e l i z i o sa mente ha finito per ass ue f a r si.
S i am o t u t t i a l i eni, anche di noi stes si, se mb ra su g g e r i r e l ’allucinato Stranger, dove un
a l l a m p a n a t o Rainer incarna a pieno titolo
l ’ e r e d i t à d e l l ’uomo che cadde sulla terra,
al l u c i n a z i o n i a cura dello stesso Chr istia n
e d i K a r i n A nd ersen. Straordinari anche
i co n t r i b u t i d i A nd rea F acco, A na Tic ak
e S h o g g o t , d o po i quali non puoi a sc olta r e
p i ù q u e l l e c a n zoni allo stesso m odo, pe r c hé
n e l f r a t t e m p o significano oltre se stesse:
u n a c r u d a e m alinconica elegia della mode rn i t à . ( 7 . 0 /1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
Correcto – Correcto (Domino / Self, 29
febbraio 2008)
Genere: post-punk, pop
Un d e l i z i o so a n acronismo. Q uesto è Cor r e c t o : n o n s o l o la band-diversivo di un paio
d e i s u o i m e m bri, già impegnati in attività
p i ù o m e n o i l l ustri (Patrick D oyle nei Roya l
We ; Pa ul Thomson, ovvia me nte , n e i F r a n z
Fe r dinand) , o uno de i ta nti pr o d o tti d e lla
riscoperta dell’aureo periodo t r a i l ’ 7 8 e
l’ 82. Un po’ a lla ma nie r a de ll’ u ltima p r o v a
de i c onc itta dini M ot he r And t he A ddic t s ,
l’ a lbum omonimo di que sti gla sw e g ia n i s u o na e sattame nte c ome un disc o p o s t- p u n k , in
tutto e pe r tutto: da l c a nto f ie r a me n te p r o vinc ia le – pa r te Pe te She lle y, pa r te D a n Tr e acy – del leader e vocalist Dann y S a u n d e r s ,
alle chitarre spigolose e scarne - a ff i d a t e a
Ric ha r d Wr ight, c he di me stier e f a l’ a r tista - , f ino a lla pr oduz ione e sse n z ia le e u n
po’ sottotono. Un bigna mi Buz z c o c ks / Maga z ine / Te le vision Pe r sonalitie s a i l i m i t i
de l f a lso stor ic o ma c he , pe r a s s u r d o , s u o na e str e ma me nte f r e sc o pe r c hé n o n s i p e r d e
die tr o un vuoto tr e nd stilistic o, p e r s e g u e n do piuttosto il suo sinc e r o tr ib u to a q u e i
suoni e que gli a ppr oc c i c ompos itiv i a p p o g gia ndosi su un songwr iting ta n to c a llig r a f ic o qua nto a c c a ttiva nte . I l be ll o , in f a tti, è
che le canzoni – durata media, d u e m i n u t i
e me z z o – f unz iona no, si tr a tti d i p u n k - p o p
buz z c oc ks- ia ni ( I nuit, l’ ir r e sistib ile J o n i) ,
d i a p o c r if i p r imi N e w O r d e r ( D o wn s ) , d i
artyness derivata Roxy Music (presente, in
p illo le , in S a v e Yo u r S o r ro w, D o I t B e tte r
e a ltr o v e ) o a n c h e d i o c c a s io n a li d iv e r s io n i a c u s tic h e ( Ne w Ca p ita ls , l a v e l v e t t i a n a
E v e n Th o u g h , la s g a n g h e r a ta W h e n Yo u G e t
Awa y F ro m M e ) . F a c i l e e f r e s c o c o m e u n
b ic c h ie r d ’ a c q u a . ( 6 . 8 /1 0 )
Antonio Puglia
Damien* – Mart / Art (Suiteside /
Audioglobe, 10 marzo 2008)
Genere: art rock
E ’ c o n u n p iz z ic o d i o rg o g lio c h e r e c e n s ia m o l ’ e s o r d i o u ff i c i a l e d e i D a m i e n * . C i r c a
u n a n n o f a , in o c c a s io n e d e lla p u b b lic a z io n e d e ll’ E P a u to p r o d o tto Flame Thrower, April
Shower, s i p a r la v a d e lla g io v a n e b a n d p e s a r e s e in We A r e D e mo e lo si faceva lo d a n d o u n a
p r o p o s t a m u s i c a l e e n e rg i c a , s p u m e g g i a n t e ,
decisamente elettrica. Una proposta che ad
o g g i s e mb r a a v e r e g u a d a g n a to in c o n s e n s i e
ma tu r ità , a lme n o a g iu d ic a r e d a lla s e r ie in te r min a b ile d i c o n c e r ti c h e la b a n d h a p o rta to in g ir o p e r lo s tiv a le e d a l c o n tr a tto
highlight
Grimoon – Les 7 Vies Du Chat (Macaco - Shinseiki / Audioglobe, 14 marzo 2008)
Genere: songwriting
“ L e s e t t e vite del gatto”. Sette come i brani di questo secondo disco uff i c i a l e d e g l i i t a l o - f r a n c e s i
G r i m o o n . U na raccolta di m u sic a d’ a utor e c he ha l’ e le ga nz a de lla c ha ns o n d ’ o ltr a lp e e le f a tte z z e
d e l l ’ i n d ie rock più raffinato, l’ imme dia te z z a de l f olk e i c olor i spa r a ti di u n a p s ic h e d e lia o r c h e s tr a l e s u i g eneris, i toni malinconici del pop rétro e i tempi veloci del rock . I l t u t t o i n u n c o n t i n u u m
n a r r a t i v o che mescola scenari circensi, viaggi ai confini del sogno, imma g i n i s u r r e a l i e r i f l e s s i o n i ,
d e sc r i t t i per fotogrammi e res i vita li da un sa pie nte impia nto music a le .
Ca m b i a n o un po’ di cose rispe tto a l pr e c e de nte La Lante rne Magique . I n n a n z itu tto i s u o n i, là in g a b b i a t i per lo più in una succ e ssione di c hia r osc ur i dolor osi e c r e pusc ola r i e q u i lib e r i d i g o n f ia r s i
a d i s m i sura sulla spinta di un tessuto strumentale variegato. E poi i diret t i r e s p o n s a b i l i d e g l i s t e s s i , n o n p i ù s o l t a n t o l a b a n d
c o m e i n passato m a i G rimoon a l c omple to più una se r ie di va le nti c olla bo r a to r i. A c o min c ia r e d a Gio v a nni F e r r a r io , p r o d u tt o r e d e l disco m a anche m usicista e c o- a utor e in Voy age En Solitaire e in J u lie Co u r t; P a ll J e nkins e Sc o t t M e rc a do d e i B l a c k
H e a r t P rocession, im pegnati r ispe ttiva me nte a pr e sta r e “ se ga music a le ” , c h ita r r a c la s s ic a e timp a n i in Cirq u e F u n a m b u le s ; i
Tre A l l e gri R agazzi Morti, chita r r a , ba tte r ia e voc e in La Compagnie D e s Ch a ts No ir s e n e lla v e r s io n e in ita lia n o d e l b r a n o
a d o p e r a di D avide Toffolo; Thibaut De r ie n, c a nto e c ontr ibuti in f a se d i s te s u r a n e lla g ià c ita ta Vo y a g e I n S o lita ire ; M a r t a
C o l l i c a , voce e testo di Space Puppy ’s He ad. E poi M ar iposa e Lo.m o, tr a i c r e d iti d i u n p a io d i b r a n i. So tto p o s to a u n a c o n ta m i n a z i o ne massiccia e costret to a confrontarsi con nuove forme di lingua g g i , l o s t i l e d e i G r i m o o n s i e v o l v e , n e l l ’ e s t e t i c a , n e i
t e s t i , n e ll’approccio alla composizione, allontanandosi in parte dal canta u t o r a t o i n c o n t r o l u c e d e g l i e s o r d i m a m a n t e n e n d o s i
a l t e m p o stesso riconoscibile. Per confermare ancora una volta le potenzi a l i t à e s p r e s s i v e d i u n a f o r m a z i o n e c a p a c e d i s t u p i r e
a d o g n i p asso. (7.7/10)
F a b r i z i o Z a mp i g h i
d is c o g r a f ic o n u o v o d i ze c c a c h e l e g a i l t ri o
a lla g e n o v e s e Su ite s id e .
E a llo r a g o d ia mo c e lo q u e s t o M a r t / A r t , c o min c ia n d o d a l p u n k r ab b i o s o a l l a H i v e s d i
F ix it! - u n i c o e p i s o d i o r i p r e s o d a l d e m o d i
c u i s i d ic e v a - e p a s s a n d o p e r g l i s p i g o l i d i s s o n a n ti d i H o llo w B o d i e s , S i r e g l i a r p e g g i
s g r a mma tic a ti d i B u n b u r y i n g , i ri ff p u l s a n t i
d i B a c k b o n e & Tr a p d o o r s e g l i s c a m b i v o rt i c o s i d i S tre e t F ig h te r 2 Tu r b o , i c o n t ro t e m p i
s in c o p a ti d i D e c e m b e r e i b ri v i d i t u rb o l e n ti d i Nic e S o n g . B r a n i q u e l l i c i t a t i , i n c u i
a ll’ in e v ita b ile e n f a s i g i o v a n i l e s i s o m m a n o
cantato post-punk e fascinazioni art-rock,
p e r d a r v ita a u n a f u si o n e d i s t i l i n e rv o s a
e a u n o s c a mb io in c e s s a n t e d i i n fo rm a z i o n i
tr a c h ita r r a , b a s s o e b a t t e ri a .
Ca ttu r a n o i tr e n ta min u t i d e l d i s c o , s o p ra t tu tto a l p r imo a p p r o c c i o , d e n u n c i a n d o s o l ta n to s u lla d is ta n z a p ic co l i d i fe t t i d i p ro n u n c ia . N e llo s p e c if ic o , u n s e n s o d i u n i fo rm i t à
f o r s e e c c e s s iv o e q u a lch e a n n e b b i a m e n t o i n
f a s e d i s c r ittu r a , n o n ta l i c o m u n q u e d a p re g iu d ic a r e u n e s o r d io di s c o g ra fi c o a s s o l u t a me n te p r o me tte n te . ( 6 . 8 / 1 0 )
F a b r i z i o Z a mp i g h i
Destroyer – Trouble In Dreams (Rough
Trade / Self, 21 marzo 2008)
Genere: folk, pop
D o p o q u e l g io ie llin o d i R u b i e s (2 0 0 6 ), è o rma i d iff ic ile n o n g u a r d a re a D a n B e j a r c o m e
a u n o d e i mig lio r i a u to ri p o p i n c i rc o l a z i o n e
– o p in io n e c e me n ta ta d a l l a p a re n t e s i fre a k p s y c h d e i Sw a n La ke ( i n s i e m e a S p e n c e r
K r u g d e i Wo l f P a r a d e e C a r e y M e r c e r d e i
Fr o g E y e s ) e d a ll’ e n n e s i m o c o l p o g o b b o i n
s e n o a i N e w Po r n o g r a p h e rs (i l re c e n t e C h a l le ng e r s ) . L’ o tta v o a lb u m d e l l a s u a b a n d v e s s illo D e s tr o y e r d e v e d u n q u e c o m b a t t e re
c o n q u e s t’ id e a ; u n c o n fro n t o d a c u i e m e rg e
un soggetto musicale mutevole, ancorché
c o lto in u n a s o r ta d i tra n s i z i o n e (o , s e v o l e t e , c r i s t a l l i z z a z i o n e ). P e r c h é è v e r o c h e ,
r is p e tto a l c a le id o s c o p i o d e l l ’a l b u m p re c e d e n te , i to n i s i a s s e s ta n o g i u s t o s u u n p a i o d i
mo d e lli ( l’ u p te mp o in d i e -p o p c a ra c o l l a n t e à
la Pa v e me n t d i D a r k Lea v e s Fo r m a T h re a d ;
la ballata folk in sognante sospensione di
F o a m H a n d s – d u e e p is o d i p e ra l t ro o t t i m i );
ma è a ltr e tta n to e v id en t e c h e Tr o u b l e I n
D r e a ms - n o me n o me n - m a n t i e n e c o s t a n t e
un ambiente sonoro dove tutto avviene in
SA 55
RECENSIO
p u n t a d i p i e d i , in una nebbia che conf onde i
c o n t o r n i , n a r c otizza e ammalia.
Una p i e n e z z a espressiva certo invidia bile , a
cui si so m m a i l songw riting sem pre visiona ri o d i B e j a r ( c o me dire, B ow ie, B arr e tt, Dyl an, S t e p h e n Malkmus e R obyn H itc hc oc k
i n s ie m e n e l l a stessa testa), completato da
arra n g i a m e n t i r icchi di dettagli impr e ssionis t i ( f r a se g g i d iscendenti di chitarra, me lodie
c h e s i s o v r a p p ongono, lievi tocchi di piano),
q u a s i p i c c o l e pennellate che gradualmente
fo rm a n o l ’ i m magine – vedi l’iniziale Blue
Fl o w e r/ B l u e F lam e. Insom m a, i pregi pr e v al g o n o su i d i f etti (che poi non son o molti,
a p a r t e l a r i p etitività delle formule e l’ ind u l g e n z a d i u n episodio evitabile come Shoo t i n g R o c k e t s from the D esk O f N ight’s Ape ,
m elo d r a m m a t i ca e tesa ballatona gla m) . De l
r e s t o , l a f r e s c hezza e l’intensità di episodi
com e M y F a v o urite Year - con le sue infinite
g u i t a rs - e R i vers conquisterebbero le or e c chi e – e i l c u ore – anche dei più s c e ttic i.
(7 . 0 / 1 0 )
Antonio Puglia
Drink To Me – Don’t Panic, Go Organic!
(Midfinger / Audioglobe, 14 marzo 2008)
Genere: indie-rock, noise, wave
S u o n a r e r o c k c om e se il riff di chitar r a f oss e s t a t o i n v e n tato soltanto ieri può e sse r e
u n ’a r m a a d o p pio taglio. Perché il r isc hio è
q u ell o d i t r o v are una scusa pronta e r uff ia n a n e l l ’ ( a b ) u s o comodo di cliché precotti,
m a s t i c a t i , d i g eriti e rigettati da molti, tanti,
t ro p p i . E u n a minestra riscaldata non è c e r to
ci ò c h e si d e f inisce una prelibatezza . Pe r ò
i l t a l e n t o a v o lte passa tra le vie de l già
s en t i t o . E r i e sce a raccontare la stessa , ve c chi a st o r i a a t t r averso numerose pro spe ttive
d i v e r se . C o m e i D rink To Me.
È b e n e d i r l o s ubito per sottolineare bene il
con c e t t o . I l t r io – il quarto mem bro, l’ a ltr o
chi t a r r i st a P i e r re C hindemi, ha da tempo la s ci a t o l a b a n d – è in gamba. Sul serio. Uno
d i q u e i g r u p p i dalle potenzialità paz z e sc he .
Don ’t P a n i c , Go O rganic!, primo lav or o de i
Dri n k To M e dopo l’E P uscito in d ownloa d g r a t u i t o p er Midfinger, è quello che si
d efin i sc e u n matrimonio felice tra me lod i a, r i c e r c a e un bel po’ di sana inco sc ie nz a
ro ck ’ n ’ r o l l . D a ncin’ O n T v e F rozen Ge orge
s o n o o v v i i e naturali incipit di un discorso
com p l e sso e r icco di variabili, più d i qua n-
to le aspettative facessero in t e n d e r e : u n
r oc ka c c io spor c o e dissona nte il p r imo – u n
c e r ino a c c e so sull’ a lta r e de i pr i mi L ia r s – e
un furbo e orecchiabile pezzo i n d i e p o p i l
se c ondo. Altr a va r ia bile è r a pp r e s e n ta ta d a
Because Because,
il c uor e ne r o de lla ba nd, una ba lla ta da lle a tmosfere così torbide
e tormentare da
spa c c a r e il c uor e
e mor ir c i de ntr o.
E poi un c a r r a rmato di rock che
non si vergogna,
pur ne lla sua pr e pote nz a musc ola r e e c hita r r isti c a , d i g ir o va ga r e in me z z o a se r pe ntine wa v e e – v a ga me nte – shoe ga z e c he ste mpe r a n o la f u r ia
ma non l’ impa tto. Su ogni c osa s v e tta l’ h a rdc or e pr imige nio di I nsa ne , un i n n o c h e e s ige pugni r ote a nti e gole in f ia m me .
Pa r tic ola r e di un c e r to r ilie vo è la g e n e si estera di Don’t Panic, Go Org a n i c ! , c h e
ve de a l mixe r Andy Sa vour s, già c o n Blo n d e
Re dhe a d e Ye a h Ye a h Ye a hs. E n o n p e r c h é
l’Italia deve sempre avere la b e n e d i z i o n e
f or e stie r a pe r a c quisir e c r e dibi lità . Piu tto sto perché è ora che altri si rend a n o c o n t o d i
que llo c he già sa ppia mo. I n I talia s i s u o n a
c he è una me r a viglia . ( 7.5/10)
Manfredi Lamartina
Edoardo Cerea - Disperanza (La
Locomotiva / Venus, 29 gennaio 2008)
Genere: rock autoriale
Edoa r do Ce r e a è un c ompositor e e c a n ta n te
al servizio dei testi scritti per l u i d a l f i d o
Marco Peroni - era così anche n e l d e b u t t o
Come se f osse normale ( La mbr e tta Re c o r d s
2004) - mentre a dare corpo a l l e m u s i c h e
pe nsa Ma r io Congiu, multistr ume n tis ta to r ine se già ne i Ba nda na me r a no n c h é c o lla bor a tor e di Lalli, Ma o e Gian c a r lo Ono r at o. Con tutto c iò, è uno di q u e i c a s i in
c ui l’ inte r pr e ta z ione giustif ic a a p p ie n o la
titola r ità de l pr oge tto. La voc e d i E d o a r d o
sc ior ina dif a tti que lla f r a nc he zz a p a r te c ip e
c he sposa a ppie no i pa r a digmi “ imp e g n a ti”
di Pe r oni, i qua li pe r a ltr o e vita n o la p e lo sa r e tor ic a milita nte ba z z ic a nd o a d a lte z z a d’ uomo vic issitudini de lla e r if le s s io -
ni attorno la cosiddetta “generazione 1000
euro”. Il risultato è un rock sì d’autore ma
d is in v o lto e d e n e rg ic o , c a p a c e ta n to d i b a llatine dolceagre come di robuste sgroppate.
Pe r u n a La m o s c a c h e s e m b r a l a c u g i n e t t a
r u r a le d e i C ure d a lle in c o n f e s s a te s imp a tie D ire St r a it s , c ’ è u n a Tro tto le c h e c in c is c h ia c u p e z z a e a c id ità c o me u n C e s a re
Ba s ile a p p e n a me n o c in e r e o . Pe r u n a Viv o
c h e s b r i g l i a b l u e s ’ n ’ r o l l b e ff a r d e l l o a b a s e
d i o rg a n o v in ta g e e c h ita r r in e me mp h is ia n e - c o n u n p o ’ d i s g r a d e v o le e ff e tto A l e x
Br it t i a s s o lto p e r ò d a e s tr o Ga be r - c ’ è u n a
F ila s tro c c a c h e s g r a n a s tr o f e to r v e e u n r ito r n e llo d e g n o d i c e r ti b e n e d e tti s c a tti d ’ ir a
A f t e r ho ur s . Pe r n o n ta c e r e d e ll’ imp e to
s p r in g s te e n ia n o a l g u in z a g lio tr a g r a ff ia n ti u g g e R . E. M . d e lla title tr a c k , me r ite v o le
di ribadire un lemma desueto ma non certo
nuovo (intitolava già ad esempio un pezzo
dei Mau Mau di una decina d’anni fa) che
f o to g r a f a c o n imp ie to s a f e d e ltà i c h ia r i d i
luna che ci capita di attraversare.
N o n è il c a s o d i a s p e tta r s i a lc u n a in v e n z io n e , n ie n te s o r p r e s e tr a q u e s ti d ie c i p e z z i.
Se mma i u n a d imo s tr a z io n e d i c o me d a q u e ste parti si possa credibilmente fare rock
u rg e n te e “ a d u lto ” s e n z a p e r d e r c i in g r a d e v o le z z a , c o n b u o n a p a c e d e i Lig a bue e
d e i Va s c o , g ig a n ti b o lliti d i u n s is te ma c h e
tir a s o lo a s o p r a v v iv e r e a p p a r e c c h ia n d o s i il
tr a c o llo . Pe r p o i r e g o la r me n te d a r e la c o lp a
ad altri. Ma questa è un’altra storia, o no?
(7 . 0 /1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
Elf Power - In A Cave (Rykodisc, 25
marzo 2008)
Genere: psych pop
A ttiv i s in d a l ’ 9 4 , p r e s e n ti n e l c o lle ttiv o
Ele pha nt Six e t r a i f o n d a t o r i d e l l a l a b e l
O r a n g e Tw in , g li E lf Po w e r d i A n d r e w Rie g e r, d a A t h e n s ,
a r r iv a n o c o n I n A
Ca v e a l tr a g u a rdo considerevole
del nono album.
Rime s c o la ta
la
lin e u p s e c o n do consuetudine,
c o n l’ e n tr a ta d e l
b a tte r is ta e p o lis tr u me n tis ta E r ic
H a r r i s ( O l i v i a Tr e m or C o n t r o l ) , l ’ a l b u m
conferma lo psych pop marchio di fabbrica
d e lla b a n d e d e lla E le p h a n t S i x t u t t a .
I n d ie r o c k r iv is to a lla l u c e d e l l a p s i c h e delica sixties quindi, melodie irresistibili,
il consueto ritmo ipercinetico: l’essenza
d e ll’ a lb u m è tu tta q u i, a p a rt i re d a l l ’o p e n e r
O wl Cu t, in c e d e r e p s y c h s u u n a b a s e i n a c i d o , p e r p r o s e g u ir e in u n t ri o n fo m e l o d i c o d i
By r ds , J e f f e r s o n e Lo v e a g g i o rn a t i a l p re s e n te ( S o ftly Th r u Th e Vo i d ) , t r a s g h e m b e
b a lla d b a r r e ttia n e ( A Ti re d Ar m y , Wi n d o w To
M a r s ) , h o o k imme d ia ti (i l p o p ro c k d e l s i n g o lo P a r a ly s e d ) , s lo w p s y c h (T h e D e m o n s ’
D a u g h te r ) , ma r c e tte , b i z z a rri e En o m e t à ’7 0
mis te a me lo d ie b o la n i a n e (H e a d s O f D u s t ,
H e a r ts O f Lu s t) . U n c a m p i o n a ri o i n d i e p s y c h d i s a p o r e r é tr o c o n d i t o c o n a rra n g i a m e n ti variegati. Un tantino zuccheroso a tratti,
ma ma i k its c h . I l s o lito p i a t t o a p p a re c c h i a to dai Nostri non sa di minestra riscaldata.
( 7 . 1 /1 0 )
Teresa Greco
Essie Jain – We Made This Ourselves
(Leaf, 31 marzo 2008)
G e n e r e : c h a mb e r - f o l k
Uscito nel febbraio 2007 presso la Ba Da
Bin g Re c o r d s ( c h e il p ro s s i m o m a g g i o p u b b lic h e r à il s e c o n d o a lb u m ), l ’e s o rd i o d i Es s ie J a in , We M a d e T h i s O u r s e l v e s , d o p o i
ta n ti c o n s e n s i r ic e v u ti d a g l i a d d e t t i a i l a vori negli Stati Uniti (unica nazione in cui
è stato distribuito), viene ora riproposto
e pubblicato sul web dalla Leaf Records.
Questa ventinovenne britannica di nascita,
m a t r a p i a n t a t a a N e w Yo r k d o v e t u t t ’ o g g i
vive, avvalendosi di una forte e influente
preparazione classica (canto, pianoforte e
violoncello) è riuscita a ricreare in questo
s u o d e b u tto u n s u g g e s ti v o c h a m b e r-fo l k t a n to in timo q u a n to min im a l e . La q u i e t a a t m o s f e r a in c u i s o n o a v v o l t e q u e s t e d i e c i t ra c c e d e v e mo ltis s imo s ia a c e rt o c a n t a u t o ra t o
f o lk f e mmin ile , s ia a c e rt e d e ri v e c l a s s i c h e
c h e u ltima me n te h a n n o i n v a s o i l m o n d o m u s ic a le in d ip e n d e n te . D u e n o m i s u t u t t i ri e c h e g g ia n o n e lle n o te d e l l ’a l b u m : L i z D u rre t, c h e in c a r n a l’ a n i m a fo l k , e S u s a n n a
Ka ro lina Wa llum r ø d, p e r q u a n t o c o n c e rn e
q u e lla c la s s ic h e g g ia n te. P i a n o fo rt e , c h i t a rra acustica, archi, fiati, percussioni e pochi
a ltr i s tr u me n ti o r n a me n t a l i fa n n o d a i m p a l SA 57
RECENSIO
highlight
Hercules And Love Affair – Self Titled (DFA, 10 marzo 2008)
Genere: indie-rock
E s c l u s e le famose compilation e le raccolte di remix, il debutto degli Her c u l e s A n d L o v e A ff a i r è i l
p r i m o f ull leight griffato Dfa del tutto “disco”. Un lavoro che farà molto p a r l a r e d i s é e s i c u r a m e n t e
r e p l i c h e rà la cosa R apture in vir tù di un singolo, Blind, che se non battez z e r à u n g e n e r e , l a n e o n e w
w a v e , c ome successo con House of Jealous Lovers, di certo porterà il pu b b l i c o i n d i e c h e s e g u e l e
so r t i d e ll’etichetta new yorkes e a d a vvic ina r si a d a ssiomi c ome Chic a go h o u s e e N e w Yo r k g a r a g e .
M a c o s’ è B lind? Semplice, è una supernova che risuonerà per molto, ma m o l t o t e m p o n e l l e p i s t e d a
b a l l o p i ù intellighenti con tutti, da l dj c he dovr à a ssoluta me nte suona r la al p u b b lic o c h e d o v r à a s s o l u t a m e n te ballarla, obbligati a viverla. Una crosta tardo disco architettat a d a l t i t o l a r e d e l p r o g e t t o
H e r c u l e s , A ndrew B utler, e bac ia ta da l c a nta to insospe tta bile di Ant ony He g a r t y a t u t t i n o t o p e r i
su o i Jo hnsons. U na bomba dio nisia c a da l ba ttito, que llo iniz ia le , str e tto p a r e n te d e l D o p e r e mix d i G e t D o wn d e l To d d Te r r y
A l l st a r s e risolto, con A ntony in de lir io e siste nz ia le , tr a M orode r , c e r te p a g in e h o u s e c h ic a g o a n e e Fr a n k ie K n u c k le s c h e n o n
a c a so , rivedendovi forse un mood a lla Your Lov e , ne ha r e da tto un r e mix c h e b r illa d i s u d o r e e lu c e .
To c c a a scoltare e tastare con orecchio senza, però, errare e soffermarsi so l o s u q u a n t o d e t t o – e s u q u a n t o s i d i r à i n g i r o - v i s t o
c h e l a n uova chicca di casa DFA è un team stellare che ai citati Butler (c l a s s e ’ 7 8 c o n l a p a s s i o n e p e r i K r a f t w e r k ) e A n t o n y
v e d e sf i lare la disegnatrice di gioie lli, nonc hé musa - voc a list di molti se t d i Bu tle r, K im A n n Fo x ma n d e s tr e g g ia r s i n e lle tr a m e o l d skool di A thene e l’ugola di Nomi – bellissima e dal timbro soul m a n c o f o s s e l a n u o v a A l i s o n M o y e t – i m p r e z i o s i r e d i
l u ssu r i a i fiati de l’H ercules’ The me e due tta r e c on Antony ne ll’ e le c tr o d i Yo u B e lo n g . E p o i l u i , a n c o r a l a v o c e d e i J o h n s o n s ,
p e r v a d e r e di dolcezza le chitar r e e i synth di Time Will e se ntir si un Klau s N o m i ( o B o y G o rg e ) c o m e l ’ a v r e b b e i n t e s o F r a n k i e
K n u c k l e s nel funk impeccabile , a nc or a de liz ia to da i f ia ti, di Raise M e Up me n tr e l’ id e a to r e d e l p r o g e tto A n d r e w c a n ta d e i s u o i
a m o r i n e lla jazzata This Is My Lov e .
A m o r i , forse, immaginifici come l’idea di creare un concept sull’antica R o m a c h e p a r e g l i s i a s o v v e n u t a d u r a n t e u n a f e s t a d i
c o m p l e a nno ed aver convinto tutti gli invitati a travestirsi da divinità gr e c h e o r o m a n e . L u i e r a A p o l l o , D i o d e l l a m e d i c i n a e
d e l l a m u sica. E D io dei parqu e t disc o a ve nir e . ( 8.0/10)
Gianni Avella
cat u r a a l l e m a linconiche ascensioni voc a li,
q u as i o p e r i st i c he, della N ostra. R e gistr a to
t r a l e q u a t t r o mura del suo appart amento,
avv a l e n d o si d i P atrick G lynn per le pa r tit u re c i t a r i st i c h e e Jim Wh ite (già co n Dir t y
Th re e , Wi l l O ld h am, N ina N astasia ) die tr o
l e p e l l i , l ’ a l b u m finisce per risultar e doloro s a m e n t e o n esto. S ia per il senso di ba ssa
fede l t à c h e si e vince dall’ascolto, sia pe r le
d i s p e r a t e l i r i c h e che la Jain ha scr itto ba s an d o si su f a t ti personali e che la sua e mozi on a n t e v o c e finisce per accentuarne a nc or
p i ù l a l o r o d r a mm aticità. L’iniziale e intima
Gl ory , l a c e l e stiale Sailor e la glacia le No
M i st a k e so n o canzoni che non lascia no a lcun d u b b i o su l talento com positivo d i Essie
J ai n . A d e sso non ci resta che attend e r e solt ant o d u e m e si per accertarsene definitiva m en t e . ( 6 . 8 / 1 0)
Andrea Provinciali
Ettore Giuradei - Era che così
(Novunque / Mizar Records, marzo 2008)
Genere: songwriting
Ca nta stor ie in c hia ve music a l te a tr a le , s u rr e a le e d onir ic o: a l se c ondo di s c o , il b r e sciano Ettore Giuradei continua a d a r v i t a a l
suo unive r so, già c odif ic a to ne l p r e c e d e n te
Pa nc ia stor ie ( Miz a r r e c or ds, 200 6 ) n e l q u a le
si ma nif e sta tutto il suo imma g in a r io is tin tivo e str a r ipa nte .
Tr a f ila str oc c he umor a li, e c hi d e l mig lio r e Vinic io Ca posse la intr e c c ia to a lla v e r v e
espressivo/declamatoria di un P a o l o R o s s i ,
inf le ssioni Pa olo Conte , ma a nch e il ma le de ttismo Nic k Ca ve , l’ inc onte n ib ile G iu r a de i, c oa diuva to da l f r a te llo Mar c o a g li a rrangiamenti, procede attravers o b a l l a d a l
pia no, ne lle qua le r oc k, f olk e s o n g w r itin g
si fondono con le liriche app a r e n t e m e n t e
pa r a dossa li, r if le ssioni sui ge ner is s u lla r e altà. Situazioni a volte lasciate i n s o s p e s o
( è d iffic ile c a p ire l’ in c e r te z z a d e lle c o s e /
la v e r ità c h e p a s s a in o g n i c a lic e ) , a m a re z z e e p a r a d o s s i . Tr a i m o m e n t i m i g l i o r i : l a
r ip re s a d i u n a p o e s ia p a s o lin ia n a ( Vitto r ia ) m u s ic a ta n e ll’ in te n s a P a s o lin i, il v a lz e r r u m o r is ta wa its ia n o /c a p o s s e lia n o d e lla
title track, il folk puntellato dal violino di
Zin g a r a , g li e c h i a lla Co n te d i S tu p ito . U n a
b e lla c o n f e r ma . ( 7 . 0 /1 0 )
Teresa Greco
Evangelista – Hello, Voyager
(Constellation / Goodfellas, 5 marzo 2008)
Genere: post blues
Chi aveva ancora dei dubbi su Carla Bozulich li ha fugati vedendola dal vivo nel recente tour italiano. Una che aggredisce il
palco in un modo che definire smaliziato è
poco. Una performance la sua, decisamente
teatrale e sopra le righe. Carla è una che ci
fa e ci è con la stessa convinzione e la sua
musica riflette tutto questo alla perfezione.
Quindi molto di impatto e architetta nel dettaglio per ottenere sempre una reazione, proprio come una movenza d’attore su un palcoscenico tiene desta l’attenzione del pubblico
mentre con enfasi si alza la voce, si muove
un braccio o ci si inarca verso gli occhi che
osservano. Il teatrino di Carla però non è
di quelli agevoli, perché si conferma anche
in questa occasione come un grand guignol
dove si mimano dolore e morte, passione e
speranza. La musica muove quindi sempre
da un fondale che è più nero della pece o
dell’occhio che sfoggiava la Nostra nelle
date italiane. Con la fidata Tara Burnes e
con uno stuolo di ospiti traghetta il nome
del precedente album a tutta la sua musica e
licenzia questo nuovo disco con il nome dalle sinistre risonanze bibliche di Evangelista.
La musica è quella che ti aspetti eppure non
suona mai ovvia o
prevedibile. Ancora una volta è
una faccenda di
visioni, tormenti
ed estasi a gradazione variabile
lungo il percorso tortuoso delle diverse tracce.
Wind Of St. Anne
cita il Morrison
di The End (“the West is the Best”); Smooth
Jazz mena fendenti malevoli dai riflessi industriali; Lucky Lucky Luck è un blues depresso da bettola; For The L’il Dudes uno
strumentale da thriller. Rispetto al disco
precedente forse manca una visione di insieme e l’ispirazione fugge continuamente in
direzioni diverse, ma il piglio è sempre sincero, ruvido, livido, aggressivo sia che provi a rifare una cavalcata punk come i vecchi
tempi dei Geraldine Fibbers (Truth Is Dark
Like Outer Space), sia che intoni nenie lunari dall’umore anemico (Paper Kitten Claw).
L’album si chiude con un salmo religioso che
trascende i corpi al suono di una disastrata
banda jazz. Carla sale in cattedra per il suo
sermone di chiusura: “When all hope is gone
there’s only thing left. One defiant word that
hasn’t dried on our parched lips. Can you
say it with me? Love. Love”. (7.0/10)
Antonello Comunale
SA 59
RECENSIO
Ex-P – Carpaccio Esistenziale (Fratto9
Under The Sky, 2008)
Genere: ex-rock
S e i d i sc h i d e l l’anno si scegliessero s olta nto
i n b a se a l n u m ero di ascolti, beh il Carpac ci o E si st e n zi a le servito dagli E x-P sa r e bbe
d i d i r i t t o su l p odio del 2008. S ì, perché que s t o s e c o n d o manicaretto preparato dal trio
can a v e se ( su p p ortato da A lessandro Ca r tol ari p e r r e g i st razione e missaggio) è qua nto
d i p i ù d i ff i c i l e da digerire sia passato pe r il
m i o st e r e o u l t im amente. N on di disc o br utt o si t r a t t a , a n zi, tutt’altro. A lbum da ll’ a lt i s s i m o s p e s sore
c r e a t i v o e d alla
i m m e n sa e t e r ogen ei tà C a rp a c cio
Es i st e n zi a l e è un
i m m e n so f r u l l atore i n c u i c o n v i v on o f u n k e x t r a terr e s t r e e s t r u t t ure
d a j a z z m o r e nte,
infatuazioni
da
s ou n d t r a c k p olizi esc a e a v a n t -jazz anatrofobico (5Terre c on
Cart o l a r i a l sa x contralto), aperture d a postro ck d e i t e m p i che furono e free-rock isola zi on i st a . Co n vulsivi e compulsivi, a str a tti
m a m o r b o sa m ente com patti, A lessan dr o All era ( b a sso e lettrico), A ndrea C hiu ni ( e xb a s s o e l e t t r i c o, clarinetto) e Diego Rosso
(b att e r i a ) d i m ostrano non solo di sape r suon are , m a a n c h e di imbandire piatti a ppa r e nt eme n t e st r a n i a vedersi (ascoltarsi) ma da l
g u s to so p r a ff i no e più che soddisfacente . Ce
n e v o r r e b b e d i più di gente così; altr o c he
i n d i g e st i o n i d i m usica (7.0/10)
St e f a n o P i f f e r i
Foals – Antidote (Transgressive
Records, 24 marzo 2008)
G e n e r e : f u n k - p u n k , p o p , m at h
S a r à d a v v e r o un trionfo annunciato, questo
d ebu t t o d e i F o als? U na band che er a next
b i g t h i n g g i à mesi fa, e che oggi co r r e a dd i ri t t u r a i l r i sc hio di arrivare in rita r do r is p e t t o a l b o o m previsto (praticam ente un
reco r d ) . U n a band che, nondim eno, ha ine v i t a b i l m e n t e c alamitato l’interesse de ll’ int e r a i n d u s t r i a indie britannica - inc lusi fan
cel e b r i d e l c a libro di Kieran Hebde n (che
li ha r e mixa ti) e Bloc Pa r ty ( c h e li s p o n s o r iz z a no da a lme no un a nno) . I l tu tto g r a z ie a
tr e singoli c he , c ome a ntic ipa to , n o n f a n n o
pa r te de l f ull- le nght in que stion e , la c u i g e stazione è stata più travagliata d e l p r e v i s t o :
l’ a tte sa pr oduz ione di Dave Sit e k d e i T v O n
the Ra dio è inf ine a nda ta a f a rs i b e n e d ir e ,
per via delle solite divergenze s t i l i s t i c h e .
L’ hype - ome tr o è a lle ste lle , ç a va s a n s d ire ;
e noi, giusto pe r non indulge r e n e l r a c c o n ta r e una stor ia r isa puta , se ntia m o il d o v e r e
di esaltare gli inserti math e af r o b e a t c h e
que sti r a ga z z i di Oxf or d ha nno in n e s ta to in
un ta ppe to p- f unk / e mo di ma tr ic e - ma n c o
a dir lo - Bloc Par t y. Con le su e s o v r a p p o siz ioni c hita r r istic he in stile Ia n Willia m s
e polir itmi e f ia ti a lla ! ! ! , l’ iniz ia le F re n c h
Ope n è inf a tti di gr a n lunga il p iù in te r e s sante di un lotto di brani secch i e t a g l i e n t i
qua nto vole te , ma pe r lo più tele f o n a tis s imi ( da Cassius a l singolo spa c c a - d a n c e f lo o r
Balloons) , se ne lle or e c c hie è pas s a to a lme no una volta Sile nt Alarm ( o l’ EP d i e s o r d io
di Ke le Oke r e ke & c o) . Pe r il re s to , H e a v y
Wate r e Two Ste p Twic e sono u n i n d i c e d e l
pa ssa ggio de i Bat t le s l’ a nno sc o r s o , me n tr e
Oly mpic Airway s f a intr a ve de r e u n ’ a ttitu d ine qua si pop, a lla Kla xons a ddo me s tic a ti.
Sia c hia r o, Antidote s è a ssolutame n te il d isc o ultr a - f igo c he tutti si a spe ttan o ( p r o d o tto e c onf e z iona to c on tutti i c r ism i d e l c a s o ) ,
e il gr uppo ha da vve r o un tir o n o te v o le o ltr e c he una visione d’ insie me e s tr e ma me n te
chiara: non indulge nelle roman t i c h e r i e d e i
lor o ispir a tor i ( ne ssuna I Still R e m e m b e r d a
queste parti), ma va dritta com e u n t r e n o ,
non le sina ndo spigolosità post- p u n k a d e s tr a
e a ma nc a ( un r igor e c he , a ttitu d in a lme n te ,
li a c c osta a i più r a dic a li The se N e w Pu r ita ns) . Anc or a una volta , rip it u p a n d s t a r t
again, e c hi s’ è visto s’ è visto. ( 6 . 7 /1 0 )
Antonio Puglia
Gionata – Daytona (Hansia Records,
marzo 2008)
G e n e r e : i n d i e - p o p , c a n ta u t o r e
Giona ta , è be ne dir lo subito, scr iv e mu s ic a
che la ami o la detesti. Un can t a u t o r e c h e
si r if à a lla tr a diz ione a lte r na tiv a d e l p o p
italiano, quella che sintetizza s p o c c h i a e
genialità manco fosse acqua fr e s c a . I l s u o
nuovo disc o, Day tona, è un la v o r o c o n i
gua nti bia nc hi e la puz z a sotto il n a s o . M a -
g a r i l’ in te n to e r a a s s o lu ta me n te l’ o p p o s to .
M a t a n t ’ è . L’ e l e n c o d i c i ò c h e è p o p e c i ò
c h e n o n lo è ( È P o c o P o p ) , la p a r o d ia d e lla b a lla ta d ’ a mo r e ( M i A m i? ) , i l n o n s e n s e
c o me s tile d i v ita e in n o a l c a z z e g g io ( No n
Ca lp e s ta te Le F a te ! ) : tu tte tr o v a te c h e , u n ite a d u n a v o c a lità me llif lu a c o me s e a v e s s e
u n s e r p e n te tr a i d e n ti, p o s s o n o in te r e s s a r e
a l p r imo a s c o lto , a n n o ia r e a l s e c o n d o e f a r
innervosire al terzo.
E sarebbe anche un peccato, perché certe
s o lu z io n i a liv e llo d i a r r a n g ia me n to ( le c ita z io n i d is c o d a n c e d e llo s te s s o È P o c o P o p ,
le mo r b id e me lo d ie d i I l M o n d o No n Lo S a ,
il p u n k - r o c k w a v e g g ia n te d i A P o c o D a Q u i)
s o n o p ic c o le p r imiz ie . Pe c c a to c h e a n n e g h ino in un mare di banalità di cui avremmo
fatto volentieri a meno. E va bene che il
p a c c h ia n o s e mb r a a n d a r e o r ma i d i mo d a tr a
chi un tempo lo disprezzava fermamente.
M a f o r s e è il c a s o d i te n e r e la b a r r a f e r ma
s u p o c h i p r in c ip i d i b a s e . G iu s to p e r la s o pravvivenza della specie, la musica. Il voto,
a q u e s to p u n to , n o n p u ò e s s e r e a ltr o c h e u n a
d e m o c r i s t i a n i s s i m a s u ff i c i e n z a c h e t e n g a
conto di idiosincrasie personali e opposti
p ia c e r i c o lle ttiv i. M a s e p e n s a te c h e M o rg a n a b b ia s d o g a n a to il k its c h p iù d i q u a n to
g li e r a s ta to r a g io n e v o lme n te c o n c e s s o , a llo r a a b b a s s a te p u r e il g iu d iz io d i u n p u n to o
d u e . ( 5 . 9 /1 0 )
Manfredi Lamartina
The Gutter Twins - Saturnalia (Sub Pop,
4 marzo 2008)
Genere: rock
Fa c c ia mo c h e n o n li a b b ia te ma i s e n titi n o min a r e , q u e s ti d u e . Fa n ie n te . Te mp o p o c h i
is ta n ti e g ià c a p ite d a d o v e p r o v ie n e q u e s to
t u rg o r e b i e c o , q u e s t a i m p e t u o s a l a s c i v i a : d a l
c u o r e d e i N o v a n ta a n c o r a imb iz z a r r iti d a lle
s c u d is c ia te d e l g r u n g e , c o l f a n tin o o r ma i d is a r c io n a to d a u n p e z z o , lib e r i q u in d i d i p e rd e r s i tr a f u r o r i e s o v r a c c a r ic h i a u to r e f e r e n z ia li, f in o a ll’ in e v ita b ile c u l d e s a c i n c u i
l’ u n o s ’ è p r e s s o c h é imp a n ta n a to ( D u lli c o n
g li u ltimi A f g ha n W hig s e ma lg r a d o i d e p is ta g g i Tw ilig ht Sing e r s ) e l’ a ltr o h a d r ib b la to p e r a v e r s c e lto il s e n tie r o me n o in v ista (il Lanegan solista), salvo poi svalutarsi
c o lla b o r a n d o c o n e c c e s s iv a g r a tu ità ( le lu c i
e le o mb r e c o n QOTSA , I s o be l C a m pbe ll,
So uls a v e r s . . . ) . E p p u r e , a q u e s ti d u e c r a p u -
lo s i a mic o n i v a il me ri t o d i n o n s o t t ra rs i .
U n is c o n o le f o r z e b e n s a p e n d o c h e n o n p u ò
u s c ir n e a ltr o c h e u n d i s c o c o s ì , q u i n d i e v i ta n o d i f in g e r e a ltr o e c o m p i o n o i l m i s fa t t o
fino in fondo. Il risultato è prevedibile per
non dire banale,
s ia s tilis tic a me n te ( a c id a p o ltig lia
b lu e s - r o c k
a mmo r b a ta s o u l, a lte r n a n d o i r e g is tr i
schivi - quando il
p ilo ta è M a r k - a
q u e lli p s ic o la n guidi - col buon
G r e g s u g li s c u d i)
che per i suoni
( w a tt g r a n u lo s i, p e r c u s s i v i t à t u m i d a , v i o l i n i s p ir ita ti, d iv e r s iv i el e t t ro n i c i : u n m e rg e
perfetto dell’ultimo periodo di entrambi).
Co s a d ir e , a llo r a ? Ch e c ’è u n a c e rt a fi e re z z a in d o mita in q u e s to p e rp e t u a rs i d i e s a u s t a
v ig o r ia . Ch e lì in me z z o t ra g o rg h i e c t o p l a s ma tic i e s c a p a c c io n i s ev e n t i e s (i R a i n b o w s
z o mb ie d i Circ le Th e Fi n g e r s , l e c i s p o s i t à
b itò ls ia n e d i I Wa s I n L o v e Wi t h Yo u , u n a
I d le H a n d s c h e s b a v a co m e u n K i s s d e t e ri o r a to , u n a B ê te No ire d a l p a s s o c a v e r n i c o l o
c o me d e i F a ir po r t a ttiz z a t i a C a n n e d H e a t)
in fondo ti ci puoi trovare bene, a patto di
mettere in conto il senso di suppurazione,
d i tr a f e la to e la id o o rg a s m o s e n i l e . E a n c h e
lo svacco, certo, come quando azzardano
ibridi improbabili tipo gli Afghan incrociati
N o t w is t ( a h a h ) d i E a c h To Ea c h .
D e l r e s to , s i f o s s e r o lim i t a t i a d u n b l u e s ra dente, minaccioso e senza guizzi come in
W h o Will Le a d U s ? , a v re b b e ro p ro b a b i l mente fatto la loro cosa dignitosa. Invece
n o , n o n s i s o n o limita ti a l c o m p i t i n o . H a n n o
sbracato come vecchi baroni in un sussulto
d i p a s s io n e e tr a c o ta n za . E p e r q u e s t o l i ri s p e tto . Co me min imo . (6 . 2 /1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
Hans-Joachim Roedelius & Tim Story –
Inlandish (Gronland / Audioglobe, 22
marzo 2008)
G e n e r e : n e o - a mb i e n t
Prima erano Lunz e il loro disco, l’omonimo del 2003, lasciò poco da dire se non che
dietro a quella sigla, oltre al neoclassico
Ti n t S t o r y a l l ’ o b o e , v i o l o n c e l l o e e l e t t r o SA 61
RECENSIO
nica, c’era il veterano Hans-Joachim Roedelius che ritornava al suo amore, il pianoforte, dopo un percorso iniziato nel lontano
1970 alla guida dei Kluster.
Anche nel nuovo Inlandish, stavolta accreditato come anagrafe comanda, la musica si
risolve in un’ambient cinematica influenzata da Satie e screziata, come giusto che
sia, da piccole parentesi cosmiche memori
d e i C l u s t e r c o n E n o ( Tro u v e , B e f o r s t ) , t r o vate stile Raster Noton quali Serpentining
c h e r i m e m b r a n o l a c o p p i a A l v a N o t o / Ry u i chi Sakamoto cosi come Kangding Ray ed
interessanti intermezzi di contemporanea
(Riddled).
Anche questo lavoro lascia poco da dire,
ma visto che stiamo parlando di ambient e
che il silenzio è necessario, forse è qui che
risiede la bellezza di Inlandish. (7.0/10)
Gianni Avell a
Hayseed Dixie – No Covers (Cooking
V y n i l , f e bb r a i o 2 0 0 8 )
G enere: bluegr a s s , parodia
Cosa aspettarsi da un gruppo bluegrass che
ha costruito la sua fortuna parodizzando gli
AC/DC? Qualcosa di divertente, se si è ang l o s a s s o n i ; d i ff i c i l e i n f a t t i d i r e q u a n t o s i
possa cogliere anche da parte nostra l’iron i a i n e ff a b i l e - e
nemmeno troppo
sottile - che ammanta il progetto Hayseed Dixie
(il nome stesso è
uno scherzo sulla
band
australiana); si potrebbe
pensare a un ensemble di taranta
c h e a ff r o n t a i L i tfiba più tamarri, ma non sarebbe la stessa
cosa. In ogni caso, questo mix abbastanza kitsch di country e chitarroni hard rock,
c o r r e d a t o d a t e s t i c h e p r e n d o n o i n g i r o c e rti stereotipi macho, risulta godibile almeno per un ascolto; il modo in cui padroneggiano il genere è innegabile. Questa è
essenzialmente una bar band (diremmo, dei
cugini disimpegnati degli Hold Steady),
che suona musica da godersi dal vivo e su
cui divertirsi e scolarsi litri di birra, per
poi cantare tutti in coro, come allo stadio.
highlight
Missill – Targets (BMC-Discograph / Self, 10 marzo 2008)
Genere: nu-jungle frenchglitchtronica
Le spor e de lle spe r ime ntaz io n i in g le s i b h a n g h r a a tte r r a n o s u l s u o lo d e lla Fr a n c ia h ip h o p p a r a e p ie na di synth. L’aria sa di f r e s c o , P a r i g i s p r i z z a v o l o n t à “ d i s p a c c a r e ” e s i c o n f r o n t a c o n i p a d r i n i e
le ma dr ine , c on mostr i sa c r i d e l c a lib r o d i M . I . A . , C he m ic a l Bro t he r s o Be a s t ie Bo y s c h e d i r s i
voglia. Per entrare nell’a t m o s f e r a n o n c ’ è c h e d a i n s p i r a r e a p i e n i p o l m o n i l ’ e b b r e z z a j u n g l e d e l
postmode r nismo doppioz er o e b u tta r s i d e n tr o a l n u o v o mix d i M is s ill: l’ a r tis ta f r a n c e s e è u n a c o stellazione di graffiti-art , d i s t r e e t - s t y l e , s u o n i o l d - s c h o o l , s y n t h e b a s s i c h e p o m p a n o , c h i t a r r o n i
nu- me ta l, spor c iz ia r a ve , s tile s tile e a n c o r a s tile .
Se vi eravate impressiona t i p e r i l r e c u p e r o d e l l ’ e l e t t r o n i c a o t t a n t a n o v a n t a d e l l a S c u o l a F u r a n o , q u i
c i tr ovia mo di f r onte a u n a d ic h ia r a z io n e d ’ in te n ti c h e le tte r a lme n te ma n g ia il p a s s a to e lo s p u ta
f uor i c on un e ste tic a vota ta a ll’ a d o r a z io n e d e l r itmo . Q u a lc h e me s e f a la s u p r e ma z ia in d is c u s s a d e i D a f t P unk, o g g i u n n u o v o
inizio sulla sponda del gl i t c h - h o p à l a f r a n c a i s , n u - j u n g l e o c o m e c a z z o v o l e t e c h i a m a r l o . N o n c ’ è t e m p o p e r l e d e f i n i z i o n i ,
non c’è che da ballare e d a p u l s a r e .
L’ a c ido de i f iltr i c he si a p r o n o n e lla c a s s a p u n k - f u n k d i Ka b r a k e , g li s to p a n d g o b r e a k b e a t d i G litc h ( a p p u n t o ! ) , l o s t u p e n d o
inno r e gga e br e a k da nc e hall ( F o r wa rd ) , le a p e r tu r e e tn o ju n g le in I ll, la c u ltu r a a c id me s c o la ta c o l r a p is p a n ico i n K e m a , l a
visione di DJ Ne t ik c he m e s c o la tu r n ta b lis m e p e s a n te z z a me ta l in D a r k M o o n , i l s i n g o l o a c a s s a d r i t t a p e r i l n u o v o r e m i x d e i
Soulwax ( Sc re am) e l’ om a g g io a lla D FA in G e t B u s te d .
Un ritorno che prelude al l o s c o n q u a s s o d e i f e s t i v a l e s t i v i e a l s u d o r e d a b a l e r a . Q u e s t o è i l b i g l i e t t o d a v i s i t a c h e a r r i v a d a
Parigi. Ritmi che confluis c o n o d a q u a l s i a s i p a r t e d e l g l o b o e d e l t e m p o , p e r r i p o r t a r e t u t t o a c a s a , p e r r a c c a t t a r e u n e s e r c i t o
di rapper, nerd a 8 bit, ro b o t e f a c c e n u o v e c h e p u n t i n o i l m i s s i l e d i r e t t a m e n t e c o n t r o L o n d r a ( e N e w Yo r k ) . Q u e s t o a l b u m
de f inisc e una nuova wor ld mu s ic d a b a lla r e , il s o g n o d e g li A s ia n D ub F o unda t io n r i a t t u a l i z z a t o d o p o i l t e r r e m o t o p - f u n k .
London’s bur nig, Pa r is’s d a n c in g . L ic e n s e d to ( M is s ) ill! ( 7 . 8 /1 0 )
M a r c o B r a gg i o n
N o n v i e n e d i ff i c i l e c r e d e r e c h e i n A m e r i c a
e in UK questi tizi siano diventati una vera
e propria leggenda live (si parla di pienon e a G l a s t o n b u r y, e h ) . D i m e n t i c a v a m o : N o
Covers è il loro primo album di inediti. Ah
già, si capiva dal titolo…(6.0/10)
Antonio Puglia
In The Pines – In The Pines (Arctic
Rodes, 29 febbraio 2008)
Genere: folk
I n The Pine s è una ba nd pr ove nien te d a K a n sa s City, Missour i, f or ma ta da b e n s e i c o mpone nti c he , a r me ggia ndo c on str u me n ta z io ni tipic a me nte f olk e sc a mbia nd o s i tr a lo r o
l’ one r e voc a le ( sia ma sc hile c h e f e mmin ile ) , r ie sc ono ne ll’ impr e sa di a ma lg a ma r e in
una stessa canzone tradizione e m o d e r n i t à .
Non na sc onde ndo il lor o a mor e p e r le r a d ic i de lla music a a me r ic a na ( blue g r a s s , b lu e s ,
c ountr y) , le lor o c a nz oni pa r la n o d i a mo r e ,
pove r tà , gue r r a c ivile , pr igioni , mo n ta g n e ,
tr e ni - tutti te mi c he r ipor ta no a ll’ in iz io d e l
v e n te s imo s e c o lo - c o n u n a p p r o c c io mu s ic a le a n tic o , s p o r c o e g r e z z o , ma s imu ltaneamente anche delicato e introspettivo
in lin e a c o n il n u o v o c a n ta u to r a to f o lk d e i
g io r n i n o s tr i ( M o lina , Oldha m , Obe r s t ) . I n
q u a s i tu tte le c a n z o n i q u e s ti d u e a n tin o mic i a tte g g ia me n ti s o n o a d d ir ittu r a a lte r n a ti. A s c o lta te p e r e s e mp io D re s s O n F ire e
Th e H y m n : lu n g h is s ime c a v a lc a te f o lk , tu tte
chitarre acustiche e violini, in cui sono le
diverse voci che si scambiano a evocare le
d is tin te a tmo s f e r e mu s ic a li. M e n tr e in F o r
Lo v e I n s te a d e W h y è s o l t a n t o l ’ a l t . f o l k d i
b a n d c o me A m a ndine e Ze phir s a e s s e r e
principalmente richiamato tanto è delicato
l’ in c e d e r e d e i p e z z i.
Q u e s to e s o r d io d e g li I n T h e Pin e s è u n a lb u m c o r a g g io s o p e r la s c e lta d i in tin g e r e a
piene mani dalla tradizione americana, ma
a u n a s c o lto c o mp le to r is u lta e s s e r e q u a n to
me n o s ta n c a n te , s ia p e r la d u r a ta e c c e s s iv a
d i mo lte tr a c c e s ia p e r la tr o p p a s o mig lia n za dei brani tra loro. Riuscissero in futuro
a s in te tiz z a r e me g lio i l o ro b u o n i i n t e n t i ,
p o tr e b b e r o s ic u r a me n te t e n t a re d i u s c i re d a
q u e ll’ a n o n ima to c h e p u rt ro p p o o g g i l i p e n a liz z a o ltr e mo d o , d a ta la l o ro o t t i m a t e c n i c a
s tr u me n ta le . ( 5 . 8 /1 0 )
Andrea Provinciali
Junior Boys – Body Language Vol. 6 (Get
Physical Music, febbraio 2008)
G e n e r e : h o u s e m i x e d c o m p i l at i o n
Puntare su un gruppo electro-pop piuttosto
c h e s u u n d j, p e r l’ e tic h e t t a d i M . A . N . D . Y.
e D j T. è u n r is c h io . J e re my G re e n s p a n e
M a t t he w D ide m us e se rc i t a n o o c c a s i o n a l me n te la d u r a a r te d e l s e l e c t i n g , m a s u s t a n d a r d a lti – c o me lo è q u e l l o d e l l a G e t P h y sical - chi non è duro è meglio che non inizi
nemmeno a giocare.
I l g u s to p e r l’ e c le ttis m o n o n m a n c a : p re n d e te a d e s e mp io la d e e p d i S u p e r ma y e r
o il r e mix h o u s e p u n k d i H e l l , i l g i o c h i n o
e le c tr o min ima l d i Ke ll e y Po l a r o l ’i n e d i SA 63
RECENSIO
t o me d i t a t i v o t tanta composto apposta pe r la
com p i l a t i o n d e llo stesso duo canad e se ( No
Ki nd a M a n ) . I l punto è che la diversità incon t r o l l a t a p u ò alla lunga risultare pr iva di
coerenza.
P er f a r e u n a buona com pilation non se r von o so l o b e i p e zzi, serve anche una ca pa c ità
d i p r e se n t a r l i in
m o d o “ c o r r e t to“,
con u n “ se n s o“
musicale.
Qui
l’alternanza
tra
i p o c h i a l t i ( u no
p er t u t t i l a bal ear i c d i To dd
Terj e ) e i m olti
b as si , n o n t end e v e r s o n e s s una
e s p l o s i o n e , non
h a a n i m a . S e m bra quasi di sentire u na c oll ezi o n e r a ff a z z onata alla bell’e meg lio. Se
Ago r i a c i a v e v a insegnato pochissimo te mp o f a c h e u n a d elle possibili vie era l’ e te r od o s s i a , q u i n o n la si sa valorizzare. Non si
v u o l e b u t t a r e alle ortiche il lavoro del duo
( a d e s e m p i o l a bella coda finale ha un suo
r e s p i r o a p p r e z zabile, partendo dal remix di
Ch lo e ) , m a l a prossima volta sareb be me g l i o c h i e d e r e qualche consiglio ai padroni
d i c a s a G e t P hysical.
S e p r o p r i o si e te dei fan completisti, a sc olt at el o , se n o r ipiegate su qualche altr a se l e c t a e l a s c i a te perdere questa posh-disco
p er sb a r b i n e i m plum i.(5.0/10)
M a r c o B r a gg i o n
Kekko Fornarelli - A French Man in
New York (Wide Sound / Egea, 9 gennaio
2008)
Genere: jazz
D a B a r i a L i o ne, e non stiamo parlando di
u n c a l c i a t o r e in cerca di riscatto ma di un
g i o v a n e p i a n i sta, Kekko Fornarelli, da anni
s t an z i a l e n e l l a cittadina francese e d a a lme n o d u e a l l e p r e se col progetto P etruc c ianìs m , l i v e - a c t d e d icato alla m emoria de l pic c ol o g r a n d e g e n i o transalpino degli otta ntotto
t as t i . D a l q u a l e deriva questo disco, c he a lla
fi g u r a d i P e t r ucciani s’ispira ripropone ndon e q u a t t r o p e z zi, cui affianca cinque va lide
com p o si z i o n i o riginali. Il programma è non
a ca so i n a u g u r a to da un m edley tra A Fre nc h
M a n I n Ne w Yo rk di Fornarelli e la pe tr uc -
c ia ne sc a M anhattan, ne l qua le g ià p u o i a p pr e z z a r e l’ e ne rgic o impa sto is titu ito d a lle
forze in gioco: l’asciutta punti g l i o s i t à d e l
pia nista , il sa x di Rosa r io Giuli a n i d a ll’ impr e ndibile piglio post- bop, il c o n tr a b b a s so agile e pastoso di Yuri Golo u b e v e q u e l
Ma nhu Roc he – c he c on Pe tr u c c ia n i la v o r ò - c a pa c e di te sse r e tr a me so ttili e g u iz z a nti di ba tte r ia . E’ c on que sta f o r ma z io n e
c he pr e nde vita la br illa nte f r en e s ia b o s s a
di Brazilian Lik e , il brumoso e s o t i s m o d i
Sahara e que lla Fac e ’s Fac e ch e s p r ima c cia hard-bop modernista grazie a l l a v e r v e
spasmodica di Giuliani e ad un n o n m e n o
c he pr odigioso Goloube v. I l qu a le s i r iv e la abile anche con l’archetto in a p e r t u r a d i
Portrait, eseguita in trio senza i l s a x e c o l
br a vo Attilio Te r liz z i a i ta mbu r i, d e lic a ta
a ppr e nsione c a pa c e di e voc a r e f in d a l tito lo
il gr a nde Bill Evans e scusate s e è p o c o ,
me ntr e la suc c e ssiva Pe truc c ian ìs m s i d e v e
a c c onte nta r e - si f a pe r dir e - d i s c o mo d a r e
l’ Esbj or n Sve nsson più ga r r ulo. Ch iu d e d e gna me nte una Lullaby ’s Flight c h e p r o c e d e
tr a me stiz ia c r e pusc ola r e e a sso r ta s o le n n ità fino ad un chorus accalorato , p r i m a c h e
l’ a ssolo f e bbr ile di sa x e l’ e sta tic a e le g a n z a de l pia no non de c r e tino c hiu s a la p a r tita
c on le e moz ioni. Un oma ggio tan to in te n s o
quanto ponderato che consacra l ’ e n n e s i m o
promettente pianista italiano. N i e n t e m a l e .
(7.2/ 10)
St e f a n o S o l v e n t i
The Kills – Midnight Boom (Domino /
Self, 10 marzo 2008)
Genere: indie-rock
Va di moda la coppia in musica . S o t t o a g l i
Whit e St r ipe s è a un c e r to punt o c r o lla ta la
diga e sia mo r ima sti a lluviona ti d a b a n d c o n
un lui music ista polie dr ic o e un a le i “ c o o l”
c he non r ie sc i a inqua dr a r e de l tu tto . N e llo
spe c if ic o c ’ è voluta Londr a pe r f a r in c o n tr a r e Jam ie Hinc e e Alison M os s ha r t ( a me r ic a na c ol poste r di Polly Je an in c a me r a ) ,
f a r lor o c a pir e c he pote va no c o mb in a r e
qua lc osa e inf ine a r r iva r c i da vve r o a c o mb ina r lo, que l be ne de tto qua lc osa . Su D o min o ,
nientemeno.
Pe r la qua le a r r iva or a il te r z o d is c o , M id night Boom, sul qua le la tor bida ( ? ) c o p p ia
pare puntare parecchio, avendo c o n v o c a t o
a lla pr oduz ione Ale x SpankRo c k p e r c o n -
f e r ir e u n v e lo d i
commerciabile
modernità sulla
s o lita v e r s io n e r ip u litu r a d e g li imme n s i p r o g e n ito r i
R o y a l Tr ux : e le ttronica
povera,
garage sbracato
e w a v e a p p r o s s ima tiv a c o n r e tr o g u s to p o p ( mix c h e p e r lo p iù s c o r r e s e n z a imp r e s s io n a r e a d e c c e z io n e d i La s t D a y
O f M a g ic ) in c e r c a la mo d e r n iz z a z io n e ( ? ? )
c o n b e a t b a lla b ili ma r u v id i - S o u r Ch e r r y ;
U.R.A. Fever - e puntatine electroclash di
giudizioso gusto (un ossimoro, ma tant’è:
a ff a tto ma le , in o g n i c a s o , W h a t Ne w Yo r k
U s e d To B e ) .
Di tanto in tanto l’operazione funziona,
c o me la Gw e n St e f a ni to s s ic a d a b a s s if o n d i d e lla z o z z a A lp h a b e t P o n y o il c a n tile n a r e a s c iu tto d i B la c k B a llo o n ; a l t r o v e s i
p e r c e p is c e la r u ff ia n a ta ( Ch e a p A n d Ch e e rfu l) o c o g l i i l d u o a r i e m p i r e d i b e n z i n a l a
d r u m ma c h in e e v e d e r e d o v e p o r ta ( G e ttin g
D o wn ) . C ’ è u n p r o b l e m a d i f o n d o , i n f a t t i :
il s a b a to s e r a d a n z a n te in e b b r e z z a a lc o lica nel club alternativo (???) arriva solo il
s a b a to , e p e r il r e s to d e lla s e ttima n a me n o
u n d ì d i r ip o s o to c c a in v e n ta r s i d e lle tr o vate almeno un po’ credibili. Che potrebbe
anche essere la faccia oscuramente folk dei
Ve lv e t r ie s u ma ta tr a mite i f r a te lli R e id e p o c a D a r k la n d s (G o o d n ig h t B a d M o r n in g ) , ma
non basta a reggere il gioco e far valere la
c a n d e la . A lis o n e J a mie s o n o d i s ic u r o c h e a p ; c h e e r fu l, u n b e l p o ’ d i me n o . ( 5 . 6 /1 0 )
Giancarlo Turra
Ladyhawke – Shots (Jagjaguwar / Wide,
4 marzo 2008)
Genere: indie-rock
Chiudendo due anni or sono la recensione
d e ll’ e s o r d io d i q u e s ti q u a ttr o c a n a d e s i ( u n
p a s s e tto a v a n ti c o n la c o p e r tin a , s ta v o lta r a g a z z i l’ a v e te f a tto … ) , a n n o ta v a mo c o me la
lo r o r o b u s ta e s e n tita id e a in d ie d e lla tr a d iz io n e r o c k d ’ o ltr e o c e a n o - a g r a n d i lin e e ,
q u e l te r r ito r io a mp io c o mp r e s o tr a il N e i l
Yo ung e le ttr ic o e i p r imi Ka r a t e - g a r a n tis s e lo r o u n p o s to d i r ile v o n e ll’ a ff o lla to p a n o r a ma o d ie r n o . C’ e r a u n “ s e ” p o s to a c o n -
d iz io n e , d a s c io g lie r e e v e n t u a l m e n t e c o n i l
d is c o n u me r o d u e e in q u e s t o t ro v a n o s p e s s o
un senso le opere seconde: fare chiarezza
sulla statura degli autori, rivelarne segrete
i n t e n z i o n i o i l b l u ff s o t t o i l v e s t i t o .
Sho ts p o r ta s u d i s é e v i d e n t i t ra c c e d e l l e o p z io n i u n o e d u e , f o r tu n a t a m e n t e n u l l a d e l l a
terza: suona ancora familiare con le calde
d o le n z e v o c a li d i ( I ’ ll Be Yo u r ) As h t r a y ) e
i b r a n i c h e in c e d o n o a s t ra p p i c o m e C o r p s e
P a in t, il f u r o r e r o c k is t a c h e i n n e rv a D o n ’t
A lwa y s Kn o w W h a t Yo u ’re S a y i n g e l e c i t a z io n i ir o n ic h e ( r iu s c it a q u e l l a l e g g e ra d e i
Be a t le s in F e a r ; p r i v o d i s e n s o i l c o r e t t o
p r e le v a to d a Wa lk O n T h e Wi l d S i d e e i n c a s tr a to d e n tr o Nig h t Yo u ’re Be a u t i f u l ). C o m e
r ie n tr a r e n e lla c a s a d i m o n t a g n a e ri t ro v a re
tu tto d o v e lo a v e v a mo l a s c i a t o , o fo rs e n o .
C’ è a v o lte u n a me tic o l o s i t à p i ù s t u d i a t a n e g li a r r a n g ia me n ti, la r ice rc a d e l l ’e ffe t t o c h e
s e n ti ma n o n v e d i; r a cc o g l i l ’i n t e n z i o n e d i
a g g ir a r e il p r o b le ma d e l c o n v i n c e n t e s e g u i to a ll’ e s o r d io , in f in d e i c o n t i p i ù c o m p a t t o
e p r iv o d i q u e lla c o p p i a d i e p i s o d i t ra s c u r a b ili ( d i u n o s ’ è d e tto ; Yo u Ra n n o n l a s c i a
tr a c c e )
G u a r d a c a s o , imp r e s s i o n a n o d i p i ù i m o menti vicini alla cifra stilistica originaria
d e i L a d y h a w k e , s e mp r e p i ù b a n d d i p ro v i n c ia ( il Br itis h Co lu mb i a ) l o n t a n a d a i g ra n d i c e n tr i e d a lle mo d e , p re fe ri b i l m e n t e ra c c o lta in to r n o a u n p ic c o l o m o n d o a n t i c o m a
moderno ma antico e così sia. Stavolta le
f e r ite a p e r te d i F a c e s O f D e a t h e , p i ù d i
ogni altra cosa, i nove riassuntivi, brucianti
min u ti d e lla c o n c lu s iv a G h o s t Bl u e s b a s t a n o
a rimandare le decisioni più impegnative al
p r o s s imo a lb u m. Stia n o a t t e n t i , p e rc h é s a rà
il te r z o : q u e llo r is o lu to re . (6 . 7 / 1 0 )
Giancarlo Turra
Lenny Kravitz - It Is Time for a Love
Revolution (Virgin / EMI, 1 febbraio
2008)
Genere: rock
Vi c a p ite r à d i le g g e r e d a q u a l c h e p a rt e c h e
q u e s to I t I s Time f o r a Lo v e R e v o l u t i o n è ,
oltre che l’ottavo album di Kravitz, anche il
più bello che abbia mai fatto. E, prima che vi
s i a c c e n d a il tip ic o s o rri s e t t o d i s u ffi c i e n z a
tra naso e bazza, il vostro serio recensore vi
a mmo n is c e : b a d a te c h e n o n è u n ’a ffe rm a z i o n e p e r e g r in a . N o n d e l t u t t o , a l m e n o . P e rc h é
SA 65
RECENSIO
L e nn y t o r n a a fare quello che sapeva fare
m eg l i o , o v v e r o far scoppiare dinam ite ne lla
a t a v i c a p a l u d e del rock per poi setacciare
i p e sc i v e n u t i in
s up e r f i c i e , m o rti
s t ec c h i t i o c atat o n i c i , t u t t i com u n q u e a p a ncia
i n su . Q u a l c he
es em p i o ?
U na
Dan c i n ’ Ti l D aw n
c h e r i e s u m a vivi
e ve g e t i g l i S ton es p e r i o d o B l ack
An d B l u e . E il
Len n o n i n z a c cherato black di G oo d M orn i n g . L e si n c opi granitiche dei G randf unk
Rai l ro a d i n B ring It O n. L a crasi Pr inc e S l y A n d T h e Family S tone di Will Yo u M arr y M e . U n a p a lpitante N ew D oor colta da
q u alc h e p a r t e tra C h icago, B ee Gees e St e v i e Wo n d e r .
Ep p o i t a n t i Led Z ep p elin in salse d ive r se :
q u ell i d i T h a n k You più che eviden ti in If
Yo u Wa n t I t , q uelli di B aby I’m G onn a Le av e
Yo u l a t e n t i t r a le spire m elò-hard à la Sc orp i o n s d i I L o v e The R ain, a grattugia r e moll ezz e so u l i n This Mom ent Is A ll The re I s.
Ecce t e r a , c h e le tracce sono ben quattor dic i
più due bonus, tr a c ui l’ ipe r so u l g r o n d a n te la nguor e & inquie tudine di Co n fu s e d , p e r
inciso quello che Kravitz semb r a n a t o p e r
fare. Alla ricchezza del progra m m a f a e c o
un pr osc iuga me nto de lle f or me s in to n iz z a te
sulla r uvida qua dr a tur a de lle c h ita r r e , s u l
ba sso c or poso, sull’ a sc iutta f r a g r a n z a d e lla
ba tte r ia più un pa r c o uso di ta sti e r e e u n s a x
quando occorre. Col risultato d i s e m b r a r e
un tour nella cittadella del ro c k - s o u l s u l
furgone carburato a urgenza e s e n z a t r o p p i
c omf or t. Pa r e nte in qua lc he mo d o d e g li u ltimi Re d Hot Chili Pe ppe r s, di c u i p e r a ltr o
r ipr e nde la c a lligr a f ia in Lov e Lo v e Lo v e ,
pe z z o c he de c la ma a ppunto la d o r a ta a u s te r ity de l nuovo c or so kr a vitz ia no .
Da qui a f a r ne qua lc osa di “ a ute n tic o ” c e n e
c or r e . Suona tutto be n de line a to , p ia n if ic a to, la cosa giusta da fare a ques t o p u n t o d i
carriera, compreso il pacifismo i n n o c u o d i
Bac k I n Vie tnam e I Want To G o H o m e . M a
tir a te le somme , pr opr io pe r c hé o ff r e a c h i
lo a c quista c iò c he c e r c a e a nc h e d i p iù , a
que sto disc o non si può r impr o v e r a r e n u lla . Ciò non c i le va c e r to da lla t e s ta la c o n vinzione che il Kravitz intrigan t e f a u t o r e d i
visiona r ie post- mode r nità de gli e s o r d i d e v e
a ve r e sa ur ito la ve na tr a un f e stin o e l’ a ltr o
sul je t pr iva to. I l qua le , vista la n u o v a w a y
o f lif e d e l N o s tr o , p r e s u mo s a r à s ta to me s s o
in v e n d ita . L o a v e te v is to p e r c a s o s u E Ba y ? ( 6 . 3 /1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
Let’s Get Lost – Self Titled (Infecta,
marzo 2008)
Genere: hard rock, garage
Va b e n e , i f e r r a r e s i L e t ’s G e t L o s t s a n n o
f a r e r o c k . I r iff s o n o me ta llic i c o me D io c o ma n d a , i r itmi b e n o lia ti, la v o c e p in d a r ic a
e r a s p o s a a l p u n to g iu s to . Pe r ò q u e s to d is c o
e p o n imo s u o n a s p e s s o c o me u n e s e r c iz io
di stile. Nostalgia nostalgia canaglia che ti
p r e n d e p r o p r io q u a n d o n o n v u o i.
Q u a lc u n o s c o mo d a l’ e s p lo s io n e b lu e s d i
J o n Spe nc e r . A ltr i g li O n e D i m e n s i o n a l
M a n. L a v e r ità è c h e tr a q u e s te n o v e tr a c c e
s i s e n te u n o s f e r r a g lia n te h a r d r o c k v e c c h io
s ta mp o . L a b a n d s e mb r a a v e r e la c u r a c e r to s in a d i u n a ma n u e n s e c h e c e r c a d i r ic a lc a r e
con precisione storica e fedeltà sonica un
genere che sta a metà strada tra lo stoner e
il g a r a g e . S we a t S o n g c o n l a s u a s e l v a g g i a
messa in scena del rock’n’roll (ritornelli
c o r a li in c a lz a ti d a u n a s e z io n e s tr u me n ta le
r o c c io s a d a f a r p a u r a ) . L a c la s s ic ità r u ff ia n a
e r a d io f o n ic a d i S h o c k Tv , u n p e z z o b u o n o
p e r tu tte le s ta g io n i. L’ a tmo s f e r a a n s io g e n a
highlight
Religious Knives – It’s After Dark (Troubleman Unlimited, marzo 2008)
Genere: psych drone
La grafica minimale della copertina è più o meno la stessa di sempre, ma quando apri il disco i mostri
melmosi di Maya Miller ricompaiono in tutto il loro splendore sinistro e underground. E’ questo l’unico appiglio all’indimenticato passato dei Double Leopards perché il cambio di registro che i Religious
Knives danno con questo disco è decisamente netto. Ormai i tre hanno davvero poco a che fare con il giro
noise di New York e probabilmente scontenteranno non pochi integralisti. A noi, invece, che troviamo le
commistioni, le infezioni e le mescolanze sempre materiale per eccitarci, questa sterzata non può che far
piacere. La musica ha subito una cura rinforzante di sostanze stupefacenti, lunghissime strisciate di coca,
erba portoricana della miglior fattura, aghi di tutte le dimensioni ficcati dritti in vena o dritti nel cranio
a stimolare direttamente l’ipofisi di modo che non si torni mai più indietro. I Religious Knives di Maya Miller ormai sono un gruppo
neo kraut, che traffica in un territorio di confine ibrido e meticcio, che confina a nord con il gotico (In Brooklyn After Dark), a sud
con la no wave (The Streets), a est con la psichedelia per organo alla Doors (The Sun… una citazione palese di Waiting For The Sun)
a ovest con il krautrock più esoterico e disperso (Adam, Noontime, Untitled). Il tono monastico, vagamente ieratico e severo permane, ma rispetto a Remains questo è un disco più propriamente rock. Le parti cantate oscillano tra l’urlo punk e il lamento mistico.
L’abito sonoro è di quelli buoni, affidato com’è alle amorevoli cure di Samara Lubelski. Va da se che al prossimo No Fun Fest, che
si terrà da 16 al 18 maggio, i Religious Knives precederanno sul palco i ritrovati Cluster. Not Of this Earth. (7.5/10)
Antonello Comunale
d i I Ca n H a rd ly S e e , b r a n o n o t e v o l e c h e p e r
u n a ttimo r ima n d a a ll’ as s o rd a n t e e p i c i t à d e i
So undg a r de n d e i te mp i a n d a t i .
I L e t’s G e t L o s t d a n n o l ’i m p re s s i o n e d i p re diligere il vestito amarcord alla sostanza
delle composizioni. È stato detto però più
v o lte c h e n o n è lo s tile c i ò c h e i m p o rt a , m a
q u e llo c h e s i r a c c o n ta . S o n o t a n t i i g ru p pi che fanno cose valide usando linguaggi
p i e n i d i r a g n a t e l e . Tu t t o s t a n e l l ’ a c c e t t a r e
o meno le regole del loro gioco. Una volta
c h i a r i t o q u e s t o p u n t o , a s c o l t a r e i L e t ’s G e t
Lost potrebbe regalare la soddisfazione di
ta n te ma g lie ttin e n e r e g ro n d a n t i d i s u d o re .
O c c h io p e r ò c h e s e n z a u n r i c a m b i o a p o rt a ta d i ma n o c ’ è il r is c h i o d i a m m a l a rs i a l l a
p r o s s ima o c c a s io n e . ( 6 . 2 / 1 0 )
Manfredi Lamartina
Los Campesinos! - Hold on Now,
Youngster (Wichita / V2, 29 febbraio
2008)
G e n e r e : i n d i e r o c k , p l ay g r o u n d p o p
Se Ke v in D re w e i s u o i n u m e ro s i a m i c i fo s s e r o n a t i a C a r d i ff a n z i c h é a To r o n t o , c h e
c o s a s a r e b b e c a m b i a t o? N o n m o l t i s s i m o , a
sentire i Los Campesinos!, giovanissimi,
e ff e r v e s c e n t i e d e v o t i d i s c e p o l i g a l l e s i d e i
Broken Social Scene. Non è certo un caso
c h e , n e l g ir o d i p o c h is s i m o , a b b i a n o t ro v a t o
d i m o r a p r o p r i o a l l a A r t s & C r a f t s ( Wi c h i t a
in E u r o p a ) , e c h e u n o d e l c o l l e t t i v o - D a v e
N e w f ie ld - s i s ia p r o p o s t o d i p ro d u rre p ri m a
l’ E P d e l 2 0 0 7 S tic k in g Fi n g e r s In t o S o c k e t s ,
poi questo debutto sulla lunga distanza.
Più c h e u n a lb u m, H o ld O n N o w, Yo u n g s t e r
è u n a s e r ie d i is ta n ta n e e fu l m i n e e c h e i m mo r ta la n o il c o mb o in t u t t a l a s u a i m m e d ia te z z a ip e r- a n f e ta min i c a : s e D e a t h To L o s
Ca m p e s in o s , Yo u ! M e ! D a n c i n g ! s o n o a n th e m d a b a lla r e e s tr il l a re a s q u a rc i a g o l a ,
D o n ’t Te ll M e To D o Th e Ma t h (s ), . . . An d We
E x h a le a n d R o ll O u r E y e s i n U n i s o n e M y
Ye a r in Lis ts s o n o p illo l e d i i n d i e p o p s c h i z z a to e r ic c o , f u r io s o e o rc h e s t ra t o , p s i c o t i co e dolce assieme - dove l’alternarsi fra
i due vocalist, Aleksandra e Gareth (come
d ir e , I s o b e l Ca mp b e ll v s Is a a c B ro c k ), ri a s s u me a l me g lio la s c h iz o fre n i c a a m b i v a l e n z a . A d i ff e r e n z a d e l l a s t u d i a t a c o r a l i t à d e i
c a n a d e s i, c o mp o s iz io n e e d e s e c u z i o n e s o n o
d a b imb i ip e r a ttiv i e in a rre s t a b i l i (l e s t ri l l a
c h e a p r o n o B ro k e n H e a r t b e a t s S o u n d L i k e
SA 67
RECENSIO
Brea k b e a t s so n o al limite del soppor ta bile ) ,
e al l o r a d i v e n ta evidente che lo sca r to f r a
b and m a d r e e b and figlia c’è, ed è tutto ge n era z i o n a l e .
A co l p i d i c h itarre impazzite, melo die ne v ro t i c h e , c o n t r ocanti e cori frenetic i, Los
Cam p e si n o s t r a ghettano quello stesso indie
ro ck d e i ’ 9 0 s bandierato dai B SS - Pave m en t , P i x i e s, Sonic Youth - all’interno de ll a g e n e r a z i o n e ‘86-’87, con la medesima
a t t i t u d i n e m a ssimalista ed epica (comune,
m an c o a d i r l o , anche a A rcade F ire e a ff in i , g l i e r o i i n die pop del nostro tempo). Il
t al se n so q u e sto album è il m iglio r tr ibut o p o ssi b i l e a S lan ted & E nchan ted - e al
con t e m p o a You F orgot It In P eople e tutto
ci ò c h e n e è seguito- che un gruppo di ve nt e n n i d ’ o g g i p ossa architettare; il neo è che,
a f in e p r o g r a mma, la formula si è ripetuta
cos ì t a n t e v o l te da venire a noia, no nosta nt e – o p r o p r i o a causa de – la fresch e z z a da
p l a y g ro u n d . C resceranno. (6.7/10)
ne lla te sta di Noon. Ma tr a i d u e litig a n ti
un po’ sor pr e nde Elizabe th Pie r , c o n la s u a
str uttur a da c a nz one tr a diz ionale a c c o mp a gnata da feedback di chitarra, d a m a n u a l e
Je sus And M ar y Chain senza se e s e n z a m a .
Anz i, non sor pr e nde a ff a tto, pe r c h é , to r n a n do a quanto si diceva all’inizi o , q u e s t o è
un a lbum a l se r viz io de ll’ e ff e tto , d e ll’ impa tto, sintoniz z a to pe r ve ic ola r e u n s e n timento nell’ascoltatore; va da s é c h e c i s i
a ssume la r e sponsa bilità di poter s tu f a r e , a
lungo a nda r e ( c ioè già da Disapp e a re r ) . N o n
che non ci sia una certa variazi o n e v e r s o i l
c ountr y- dr e a m ( Tige rs, Fiv e Wa y s I D id n ’t
Die ) , ma sono e pisodi me no c o n v in c e n ti; e
a lla f ine si r itor na a pe nsa r e a q u e lla f o rmula ( Sparrows) che ci stanno p r o p o n e n d o ,
testardamente, i Low Lows, ch e c e r c a u n o
slow ( nie nte - c or e ) sottr a tto a lle d e c a d i mu sic a li, c ome un lungo e d e sisten z ia le v ia g gio di r itor no in a uto. Pe r un pe l o , ma c r e d o
c e l’ a bbia no f a tta , a c onvinc e r c i. ( 6 . 9 /1 0 )
Antonio Puglia
G a spare Caliri
Low Lows – Shining Violence
(Monotreme, 4 marzo 2008)
Malcolm Middleton – A Sleight Of Heart
(Full Time Hobby, 3 marzo 2008)
Genere: dream-slow-gaze
Av e v a m o d e t t o che i L ow L ow s so no na ti
d a l l ’ i n c r o c i o “tra dream-pop, shoegaze e
s l ow - c o r e ” , e lo avevamo detto a ragion ve d u t a , d o p o a v er ascoltato Fire On The Bright
Genere: folk, pop
Questione di cuore. A poco più d i u n a n n o
da l goodbye de gli Ar a b Str a p, e n tr a mb i A ida n e Ma lc olm - ve r i se ntime nta li, a n c h e s e
magari non lo diresti – danno a l l e s t a m p e
due dischi solisti
c onte ne nti la me desima (rossa e
pulsante) parola
ne l titolo. Ma se
il singola r e e spe r ime nto
por nomusical-letterario che il barbuto
c a nta nte ha c ompiuto in I Can
Hear Your Heart
( r e c e nsione su #39) f a un po’ s to r ia a s é ,
que sto A Sle ight Of He art potre b b e s e g n a r e , pe r il r ossic c io c hita r r ista , u n c o n s is te n te punto a f a vor e . E – c osa più b e lla – s a r e bbe qua si de l tutto a c c ide nta le , v is to c h e
que ste c a nz oni na sc ono uff ic ia l me n te c o me
bits & pie c e s a va nz a ti da l mom e n to c r e a tivo c he a ve va ge ne r a to il pr e c e d e n te – e p iù
a mbiz ioso - A Brighte r Be at, c h e in v e r o c i
aveva lasciati perplessi.
Sky. Shining Violence, di certo, non fa cambiare idea,
e spinge verso l’effetto strappa applauso la coincidenza di queste coordinate.
La seconda uscita sotto la nuova ragione sociale di
Parker Noon non è però una replica del passo pachidermico dell’esordio; l’incedere è anzi la principale
novità; ora è sinfonico e magniloquente, piuttosto che
mosso dalla pesantezza lenta dello slow-core; facendo
tesoro e incetta dell’esperienza con Wurlitzer e Farfisa
già usati nei Parker e Lily, procede per una stratificazione dei livelli produttivi che partecipano tutti di uno
stesso umore struggente (ma mai depresso, neanche negli episodi più lenti, come Raining In Eva) di rinascita,
di espiazione avvenuta (Modern Romance). Un tr a tto
evi d e n t e d i c o ntinuità è la rarefazione vocal e , c h e p e r ò in S h in in g Violence è a nc or a m a g g i o r e , f ino addirittura a far pensare,
s pes so , a i su ssurri dei L ab radford .
Let to q u e st o , q ualcuno ipotizzerà c he que s t o d i s c o s i a s bilanciato verso il dream-pop,
p i u t t o st o c h e v erso lo slow. N on c’è dubbio
che c i si a st a t o un intento d’am bientazione
sti co . I n u n a mb ie n te ta n to r ila s s a to c ’ è p u r e
s p a z io p e r a lc u n i o ma g g i: a l c u lt f o lk s in g e r d i Bu ff a lo J a c ks o n C . F r a nk (J u s t Lik e
A n y th in g ) , a l c o mp a tr io ta – e q u a n to ma i a f f in e - King C re o s o t e ( M a rg u e r ita R e d , tr a i
b r a n i p iù g io io s i e p o p d e l lo tto ) e a … M a do nna ( l’ in e ff a b ile S ta y , c h e v a b e n o ltr e lo
s c h e r z o ) . Più c h e c a p r ic c i, to c c h i d i p e n n e llo c h e a r r ic c h is c o n o il q u a d r o . N o n c o n te n to , c i in f ila a n c h e il c a p o la v o r o in min ia tu r a , Lo v e Co m e s in Wa v e s , p o e s ia s to r ta c h e
s i d ip a n a in u n c r e s c e n d o a lla F iv e Ye a r s d i
Bo w ie . Vu o i v e d e r e c h e e r a s o lo u n a q u e s tio n e d i p r o s p e ttiv a , d i c o me e r a o r ie n ta ta
la lu c e ? ( 7 . 1 /1 0 )
Sa s u
R ipa t t i,
oggi si propone
c o me u n ic a u s c ita possibile dal
tu n n e l a u to r e f e r e n z ia le . L’ e le ttronica
viaggia
ormai su binari
sconnessi, e a noi
piace deragliare
dal quattro. Un
c o c k ta il d i M e d ite r r a n e o e M i t t e l e u ro p a , i l
c a ld o e il f r e d d o c h e s i s c o n t ra n o . L’a n i m a
q u e s ta v o lta n o n e me rg e d a l l e ri c e rc h e a c u stiche o dai samples live, ma direttamente
dal ritmo.
Ancora una volta dopo più di un decennio
r ito r n a imp e r a n te il c r e d o s m i l e y i b i z e n c o ,
r in n o v a to p e r p a r ty a b a s e d i c o c k t a i l m i nimali. Il ritorno su strade già battute non
s ta n c a , a n z i r ip e s c a a d o v e re u n m o v i m e n to che non ha mai smesso di pulsare. Acid
smiles inframmezzati da risacche di stile.
Co me a d ir e c h e l’ is o l a n o n c e l a s i t o g l i e
facilmente di dosso. Restless nights for
u s . ( 6 . 8 /1 0 ) ( P e r i D J è d i s p o n i b i l e a n c h e
u n a v e r s io n e d e ll’ a lb u m i n u n d o p p i o v i n i l e
“strictly unmixed“’)
Antonio Puglia
M a r c o B r a gg i o n
Matthias Tanzmann – Restless (Moon
Harbour, 22 febbraio 2008)
Merz – Moi Et Mon Camion (Gronland,
17 marzo 2008)
Genere: minimal balearic refreshtronica
N u o v o a lb u m p e r il r e s id e n t d e l Cir c o L o c o
d i I b i z a e d e l L e C l u b d i Va l e n c i a . D o p o 8
a n n i r ito r n a a lla c a s a ma d r e d i L ip s ia a p u n ta r e s u a tmo s f e r e min ima l/a mb ie n t, in f lu e n z a to d a l c a lo r e n o ttu r n o is p a n ic o . U n d is c o
d i c la s s e c h e r ic h ia ma a tmo s f e r e b a le a r ic h e ( Ku ta is i) e v i s i o n i d i s o g n o s a l t e l l a n t i
il c la s s ic o q u a ttr o c o n f iltr i in a p e r tu r e c o s mic h e ( R e d ire c te d ) , p r o g r e s s iv ità in p ie n a
s a ls a N o v a n ta c h e g a r e g g ia c o n l’ a ttitu d in e
p e r c u s s iv a d e ll’ u ltimo C a r l C r a ig (K e e p
O n ) , c la s s ic i e c h i d u b ( b e llis s ime le b o r d a te
s te lla r i d i s y n th n e ll’ is ta n t c la s s ic P ro c o n ) ,
il tr ib a lis mo p e r c u s s iv o d i Cr a z y Circ u s e le
k a limb e d i B u lld o z e r .
Co n q u e s to d is c o Ta n z ma n n s i in n e s ta n e lla
c o r r e n te d i “ r e f r e s h “ ( P ro ns a t o e Sa r t o r i)
che il movimento minimal sta attraversando.
L a s e n s ib ilità c h e me s c o la e le me n ti a lie n i,
s v ilu p p a ta d a Villa lo bo s e d a l mu ta f o r me
G e n e r e : f o l k , s o n g w r i t i n g , p o p
Ce r to , il p e r c o r s o n o n è d e i p i ù o rt o d o s s i . U n
o mo n imo a lb u m d ’ e s o r d i o s u m a j o r n e l 1 9 9 9
( c h e f r u tta la s tima n ie n t e m e n o c h e d e i C o l d p la y ) , la s c o mp a r s a p re s s o c h é t o t a l e d a l l e
s c e n e p e r b e n s e i a n n i, u n ri t o rn o i n s o rd i n a
- L o v e he a r t, 2 0 0 5 - a m a rc a re i n fi n e l ’i n i z i o
d i u n a n u o v a v ita a r tist i c a . Q u e l d i s c o , c o n
il suo folk intimista e cupo, minutamente
c e s e lla to f r a s u g g e s tio n i a c u s t i c h e e o m b re
e le ttr o n ic h e , è r iu s c ito a c o n q u i s t a re i l c u o re di numerosi ascoltatori dell’ultim’ora,
c o llo c a n d o il f r a g ile M e rz n e l l a s c h i e ra d e i
p iù c r e d ib ili d is c e p o li d i N i c k D ra k e (è fa c ile imma g in a r lo : c i f o s s e s t a t o o g g i , a v re b be avuto un laptop e una chitarra acustica
n e l l a s u a c a m e r a d i Ta n w o r t h - I n - A r d e n ) .
M a Co n r a d L a mb e r t - co s ì a l l ’a n a g ra fe q u e s to s o n g w r ite r d i Br is to l - h a i n re a l t à s e m p r e c o ltiv a to il s e me d el p o p . G ra z i e a l c o n tatto con diversi collaboratori (tra cui gli
Non che il rock non faccia per lui, ma in
una dimensione rigorosamente acustica (la
b a n d è q u e lla d i s e mp r e , c a mb ia s o lo l’ a s s e tto ) M id d le to n r ie s c e a s f o d e r a r e le mig lio r i f r e c c e in f a r e tr a : la s e mi d y la n ia n a
B lu e P la s tic B a g s ( a ff r e s c o s o c ia le s u ll’ a lcolismo in Gran Bretagna), la drammatica
F o llo w R o b y n D o wn , la b o z z e ttis tic a To t a l
B e lie f ( u n Ellio t t Sm it h s o p r a ff a tto d a ll’ a u to c o mmis e r a z io n e ) , la s c o n s o la ta me n te in tima H e y Yo u ; s ia mo lo n ta n i d a lla c r u d e z z a
d i 5 : 1 4 Fluox y t ine Se a gull A lc ohol J ohn N ic ot ine , l o sp i r i to d ’ i n si e m e è b e n d i ffe r e n te , a n ch e se a l tr e tta n to sa r ca -
SA 69
RECENSIO
highlight
Valet – Naked Acid (Kranky, 25 febbraio 2008)
Genere: psych
“ Q u e st e canzoni sono state isp irate dal pae saggio de l Pac ific o de l Nordo v e s t, d a s ta ti d i s o g n o s e m i - c o sc iente e dall’idea di un c odic e de l DNA a c ui si pote sse ac c e de re co m e u n a m e m o r ia e te r n a ” .
C o m e s uoni il secondo disco di Valet lo si capisce immediatamente legge n d o q u e s t e d i c h i a r a z i o n i ,
g u a r d a n do la copertina (una maschera precolombiana succhia l’oceano… u n g a t t o s i a m e s e d a l l o
s g u a r d o vitreo…. voglio sapere chi è il vostro pusher!), leggendo il tito l o e i t i t o l i d e l l e c a n z o n i .
H o n e y Owens partorisce una nuova suggestiva collezione di sogni umidi , l i q u i d i , s o m m e r s i f i n o a l
m i d o l l o nella psichedelia più la nguida c ome le a nime pe r se lo sono in un limb o s e n z a te mp o . L a mu si c a d i Valet entra direttam ente in c onta tto c on il subc onsc io se nz a pa ssar e p e r la c o mp r e n s io n e r a z i o n a l e e lo fa utilizzando le c hia vi pe r una Music a ir r ime dia bilme nte Eter n a . Q u e lli d i N a k e d Ac id
so n o se gni m itici di civiltà pa ssa te ( We We nt The re ) , r itmi a nc e str a li c he v e n g o n o d a i ta mb u r i v o o d o o d i q u a lc h e g iu n g la d e l
Co n g o ( Drum Movie), chitarrine spa z ia li in pe r e nne de la y c he impr igiona n o i v ia n d a n ti c o me le lia n e n e lla f o r e s ta ( Ke h a a r ) ,
b l u e s d emoniaci per le anime più da nna te ne lle be ttole più diff a ma te ( Fuc k I t, F ire ) , b u s s o l e c h e p e r d o n o l ’ o r i e n t a m e n t o p e r
u n n o r d che non si raggiungerà ma i ( Baby lon 4 Ev a) . La c hiusur a e le ttr o d i S tre e ts r i p o r t a s o l o p a r z i a l m e n t e a l l a n o r m a l i t à …
q u i si a mo com unque all’A ltro Mondo. Blood is Cle an e r a solo le gge r me n te p iù imp r o v v is a to e N a k e d Ac id s o l o l e g g e r m e n t e
p i ù so n g oriented. Stiamo praticamente nella stessa zona del crepuscolo d i s e m p r e , m a Va l e t s i c o n f e r m a u n a d e l l e m i g l i o r i è
p i ù a u t o revoli firm e per gli affe z iona ti f r e que nta tor i de lle psic he de lia più o n ir ic a e a mn io tic a . N a k e d Ac id v a l e g i à d a o r a u n a
n o m i n a t ion com e disco più “tr ipposo” de ll’ a nno. ( 7.5/10)
Antonello Comunale
Ear l i e s, P a u l H artnoll degli O rb ita l, Clive
Dea m e r d e i P ortishead e perfino un a nz ia n o h o m e l e s s d i Bath – ai cori in tre episodi),
M oi E t M o n C amion lo tira fuori da una dim en si o n e i r r i m ediabilm ente solipsistic a f in end o p e r r i a l lacciarlo a una sorta “nor ma l i t à” , c u r a t i ssim a negli arrangiamen ti c ome
a g l i e s o r d i e venata di influssi Neil Finn /
M cCa r t n e y ( specie nelle m elodie vo c a li) ; la
d el iz i o sa L u c k y A dam né è un esem p io, c osì
com e i c r e sc e ndo quasi soul di C all M e , o il
s i ng o l o P re su m e Too Much, combattuto fra
u m o r i C ro w d e d H ouse, lievi trame e le ttr on i ch e / w a v e e c hitarre alla A bbey Road. E’
t u t t a v i a n e i m om enti intim isti che M e r z mos t ra i su o i a ssi: vedi una strepitosa Silver
M o o n L a d d e rs, tutta costruita su stra tif ic a zi on i d i c h i t a r re e di voci (alla man ie r a de i
Rad i o h e a d d i In R ainbow s), o l’ariosità c ircol a r e d e l l a t itle track, o certe inquie tudin i si m i l i a C a s s McC omb s ( C over M e ) o le
s t ru g g e n t i c h i usure del programma ( la f ila s t ro c c a i m p a l p abile N o B ells Left To Chime ,
l a p a st o r a l e – f ra B ert Jansch e P engu in Ca f è
O rc h e st r a - T he F irst & L ast Waltz). Anc he
gl i e p i so d i c h e girano a vuoto (l’e le c tr opro g d i S h u n , i fumi jazzy/mèlo di M alc olm)
sono indic e de lla va r ie tà e de ll’ u ma n ità d i
un c a nta utor e da l ta le nto - in p o te n z a e in
a tto – c he non può e non de ve la s c ia r e d u b bi. ( 7.2/10)
Antonio Puglia
Mia Doi Todd – Gea (Kindred Spirits, 10
marzo 2008)
Genere: folk
Mia Doi Todd è una di que l l e r a g a z z e
da ll’ a nimo pa c a to, tr a nquillo, timid o , in tr ove r so, c he a sc a va r c i de ntr o c i tr o v i u n
mondo intero imprevedibile. Mi a D o i To d d
è una di quelle che sussurrano , n o n h a n n o
ma i una pa r ola di tr oppo, non ti s o v r a s ta n o
c on il lor o e go. Mia Doi Todd è u n a d i q u e lle f olk singe r c osì disc r e te c he n o n s ta n n o
ma i sulla punta de lla lingua , s u lla r ib a lta
della cronaca, sulla colonna deg l i h i g h l i g h t ,
sull’ onda de ll’ hype . Ge a è il su o s e s to d isco ed è tutte queste cose mes s e i n s i e m e .
Una c olle z ione di c a nz oni a lla s u a ma n ie r a . Cioè disc r e ta , e le ga nte , f a s c in o s a , a mma lia nte , c a lda c ome una a bbr a c c io in timo .
Riv e r Of Life - The Ye s Song acc e n n a a d u n
pic c olo e gr a z ioso r a ga ; Night O f A Th o u sand Kisse s è un or iga mi f olk de lic a to c o me
u n c r is ta llo ; B i g B a d Wo l f & B l a c k Wi d o w
S p id e r u n a p a r a b o la f ia b e s c a ; E s p e r a r E s
Ca ro u n a tr a v e r s a ta la tin a c a ld a c o me il s o f f io d e llo s c ir o c c o ; Ko k o ro u n a r i f l e s s i o n e
austera. Gli arrangiamenti su questo disco
hanno il giusto peso. Né troppo minimali,
n é tr o p p o in v a d e n ti. Ric o r d ia mo c o n a ff e tto
i primi dischi di Mia. Lei, la sua chitarra,
la s u a v o c e , le s u e p a r o le . L a ma tu r ità p a g a
il prezzo dell’immediatezza, ma non della
g r a z ia . U n p ic c o lo d is c o g r a z io s o e p r e z io s o . ( 7 . 1 /1 0 )
Antonello Comunale
Monade – Monstre Cosmic (Too Pure /
Wide, 18 febbraio 2008)
Genere: retro-pop
L’ u l t i m o l u s t r o n o n s i è p o t u t o c e r t o d i r e
b io g r a f ic a me n te f e lic is s imo p e r g li St e re o la b: n o n o s ta n te la r o ttu r a c o n la E le k tr a e la
tr a g ic a s c o mp a r s a d e lla c o f o n d a tr ic e M a r y
Ha ns e n, l’ e n s e mb le h a c o mu n q u e p r o s e g u ito n e lla c r is ta lliz z a z io n e d e l s u o n o c o mb in a to r io c h e n e in c a r n a lo s tile d a u n a d e c ina d’anni in qua. Ne sono seguiti dischi a
ritmi leggermente più lenti, giammai meno
c h e b u o n i a n c h e s e le r iv o lu z io n i g ià e r a n o
s ta te c o mp iu te . I n me z z o , “ m a d a m e ” L a e ti t ia Sa die r h a a v u t o i l t e m p o d i m e t t e r e a l
mondo un erede e rilassarsi col dopolavoro
M o n a d e , p ia n p ia n o s v i l u p p a t o s i c o m e b a n d
a tu tti g li e ff e tti ( u n q u i n t e t t o m i s t o fra n c o in g le s e ) . A l d is c r e to S o c i a l i s m e O u Ba r b a r ie e r a s e g u ito l’ a s s a i p i ù ri u s c i t o A F e w
S te p s M o re , o s s e r v a z io n e a d i s t a n z a d e l l a t o
e le ttr o - lo u n g e e p o lir it m i c o d e l La b o ra t o ri o
a ttr a v e r s o la tr a s lu c id a l e n t e d e i Pr a m. P o p
e le g a n te e mo d e r a ta me n t e s p e ri m e n t a l e c h e
è un piacere incontrare anche qui, sebbene
gli orologi siano stati tirati indietro di una
dozzina d’anni e il luccichio - per quanto
o mb r e g g ia to d i ma lin c o n i a - s i a o ra p a d ro n e
d i c a s a . Rie c c o c i a llo ra a l l o s p l e n d i d o i n c r o c io tr a 4 +4 di N o r a O r l a n d i e k r a u t r o c k ,
condito da colonne sonore e citazioni degli
U nit e d St a t e s Of A m e ri c a , c h e a p p a rt e n e v a
a E m p e ro r To m a to Ke tc h u p .
D a q u e i s o lc h i p a io n o in fa t t i s b u c a re l ’a e re o
v a lz e r in o E to ile , i l s en s a z i o n a l e g i o c o t r a
ritmica che si sfalda e caleidoscopici ritorni
d i f ia mma Six tie s a lla b a s e d i L o s t L a n g u a g e , u n a E lle To p o d a l t i t o l o s i m p a t i c a m e n t e
c ita z io n is ta c h e c h ie d e s t ra d a t i c c h e t t a n d o
a s tr a tta ma f is ic a tr a pi e n i e v u o t i , l a c h a n s o n a l c a r a me llo Ba c h a r a c h -Wi l s o n m a
c o n q u e l n o n s o c h e d i s t ri d e n t e (s q u a d ra t a
M e s s e J o y e u s e , f ia tis t i c a Re g a rd e ) N e s s u na nuova e pertanto buone nuove se è un
lu s s u o s o a c c o n te n ta r s i c h e d e s i d e ra t e , d o v e
u n ’ in u tile Ch a n g e O f De s t i n a t i o n c o n d i e c i
min u ti d i r u mo r in i c o n c re t i s t i ra c c h i a t i o l tr e il n e c e s s a r io e il s o p p o rt a b i l e e i l g ra d e v o le p e r ò p r o lis s o r ia s s u n t o In v i t a t i o n s o n o
r e d e n ti d a lla s in f o n ie tt a o n i ri c a “ m a a n c h e
s a mb a ma a n c h e a c id - f u n k ” E n t re C h e i n E t
Lo u p . E n te r ta in me n t e i n t e l l i g e n z a a b ra c cetto come d’abitudine, pur con qualche
r u g a c h e r e n d e la n o s tr a L a e ti ti a a n c o r p i ù
u ma n a . ( 6 . 8 /1 0 )
Giancarlo Turra
Mr. Bizarro and The Highway Experience
- Waiting For The UFOs (Midfinger /
Audioglobe, 1 febbraio 2008)
Genere: indie hardcore
D o p o a n z i d u r a n te la tr a c c i a d ’a p e rt u ra Re v o lv e r - d u e m i n u t i s c a r s i d i s t r u m e n t a l e
sventagliamento hardcore punk surf stoner
- mi c o g lie il s o s p e tto d ’e s s e re u n p o ’ v e c chio ormai per dischi così. Quel che segue
SA 71
RECENSIO
n o n è c e r t o d a meno: sportellate acid e e tr a v o l g e n t i , u n groviglio di riff facinorosi, il
p i g l i o i m p e l l e nte e turgido di chi non è a bit u a t o a l a s c i a re proiettili nel caricatore né
t r o p p e o c c a s i o ni per rifiatare.
C i ò c h e n o n m’impedisce di far girare due,
t re, c i n q u e v o lte Waitin g F or T he UFOs,
es o r d i o u ff i c i a le per questo quartetto ve ne t o p r o d o t t o d a l buon G iulio Favero ( già One
Di m e n si o n a l M an e oggi ne Il Teatro Degli
O rro r i , m a c h e ve lo dico a fare). E di a pp rez z a r e q u i n d i la pervicace adesività de lle
m elo d i e , q u e l ricondurre tutto ad un a str ing a t a e l a n c i n ante disputa energetica, come
s e i l se g r e t o d i pulcinella del rock’ n’ r oll
fo s s e u n a q u e s tione di crederci fino in f ond o a n c h e n e l gioco più cazzone, e allora
b a s s o - c h i t a r r a -batteria diventano motore e
c a r b u r a n t e , d e collo ed esplosione.
S o p r a t t u t t o , l a qualità principale dei Mr.
Bi za r r o m i p a re quel senso di str isc ia nt e c o m p e t e n z a o se volete consapevolezza,
t u t t i q u e i f a n tasmi che si agitano sotto il
l anc i n a n t e b r u licare R ad io B ird man/ Cr ass/
J es u s L i z a r d , che scorgi all’improvviso
c o n l e s e m b i anze d’un riff ultra-stoniano
m es m e r i z z a t o (in Waiting U F O ) o sp udor a te
al l u c i n a z i o n i W hole Lotta Love (ne l ventre
d i So l d i e r B l u es). U n bagaglio carico di qua l i t à c h e n e su ggeriscono altre, vedi a nc he e
s o p r a t t u t t o l a voce di Alessandra Boeche,
fi n a n c h e t r o p po potente e pulita e imposta ta
p er i l g e n e r e se vogliamo, e a tal proposito
as p e t t a t e v i so rprese dalla ghost trac k.
O k , a t r a t t i t i prende la sensazione di watt
s g r a n a t i s u l l ’ abbrivio, un po’ – co me dire
– a g g r a t i s . M a sono smagliature da poco in
u n c o r p o p r o c ace che giocando t’insidia e
g h i g n a n d o t i sbatte. Per la qual cosa in f ond o n o n s o n o p oi così vecchio. Non ancora,
al me n o . ( 6 . 9 /10)
St e f a n o S o l v e n t i
Olyvetty - As All-Encompassing As A
Hole (Xing, 2008)
Olyvetty – Im Leeren (Hundebiss, 2008)
Genere: noise, cut-up
Dop p i a u sc i t a in vinile per il duo forma to da
Cl au d i o Ro c c h etti (3/4h ad b een eliminat e d)
e R i c c a r d o Be n assi, che danno prova di tr ov ars i p e r f e t t a mente a loro agio non s olo ne ll e i n d e m o n i a t e session live. A mano de f inirs i “a n a u d i o / v isual environm ent” e v e de ndo
il doppio pic tur e - disc As All- Enc o mp a s s ing
As A Hole , ciascuno dei quali h a u n l a t o
c onte ne nte music a e l’ a ltr o inc is o a ma n o d a
Ric c a r do Be na ssi, non si può c he e s s e r e c o n c or di. Gr a nde a tte nz ione quindi p e r l’ a s p e tto visivo e tattile che rapprese n t a i l 5 0 %
della proposta in questione. Co n u n p r i m o
disc o c omposto da r e gistr a z ioni liv e : f r a mme nti impa z z iti, sc he gge inc en d ia r ie , a u te ntic he r a soia te
a l r umor e bia nc o,
c a de nz a ti r itmic i
f r a c a ssoni,
a ddir ittur a a c c e nni
r a ve - ha r dc or e . I l
tutto sotto l’ inse gna di uno spirito
da da ista e d ic onoclasta.
Tanta
violenza sonora
non pote va c he a ve r e sul se c ond o d is c o u n a
c ontr opa r te c omposta e r a giona ta , f a tta p r e va le nte me nte di f r e ddi dr one s m in ima li c o n f ina nte c on una c e r ta da r k- a mb ie n t. L’ a ltr a
f a c c ia de lla me da glia de ll’ a lbum n o n s i p r e se nta , c omunque , me no inquie tan te e d is tu rba nte .
È la ne ona ta Hunde biss, inve c e, a d a r e a lle
sta mpe , il 7” Im Le e re n in 33 3 c o p i e ; u n
la to A c he si r ia lla c c ia a que llo ch e a b b ia mo
de tto pe r il pr imo disc o di As All- Enc o mpassing As A Hole : corrosivo e s a t u r o , u n
e mble ma de l f e e dba c k glor ioso , c h e s i in treccia con improbabili samples d i c o l o n n e
sonore. Un suono vitale e dina m i c o , t a n t o
quanto quello che ci riserva il la t o B c o n g l i
Olyve tty a lle pr e se c on l’ e nne sima mu ta z io ne : line e di ba sso a c id house , s y n th z o p p ic a nti, pe r una tr a c c ia a nti- da nc e d i s u b lime
sorprendente fattura. Senza dim e n t i c a r e i l
pa c ka ging pop- up c he una volta a p e r to mo stra con una sorta di scenografi a i l l o g o d e l
gr uppo.
Entr a mbe le r e le a se c a ttur a no il d u o in u n o
str a or dina r io sta to di f or ma , vi e n e s o lo d a
c hie de r si se r iusc ir e mo ma i a s e n tir li a lle
pr e se c on ma te r ia le r e gistr a to n e lla tr a n quillità di un studio di r e gistr a z io n e . Fo r s e
no, e d è me glio c osì, pe r c hé u n a d e lle c a r a tte r istic he pr inc ipa li de gli Oly v e tty r is ie de pr opr io in que sta urge nz a e d e s u b e r a n z a
e spr e ssiva . ( 7.5/10)
N i c o l a s C a mp a g n a r i
The Orb - The Dream (Liquid Sound,
marzo 2008)
G e n e r e : e l e c t r o t e c h n o w a v e b i g - b e at
Pe r A le x P a t e r s o n e i l v e c c h i o a m i c o e
c o mp a g n o d i v ia g g i M a r t in ‘ Yo ut h’ Glo v e r
è tempo di ritornare a suonare assieme. Ed
e r a o r a d ic ia mo n o i, v is to c h e il n u o v o a lb u m a f ir ma O r b è tr a i mig lio r i s e n titi s o tto
questa firma in dieci anni di attività più o
meno scostante, con doppi CD squallidi e
p a llo s a me n te v ic in i a l c h ill p r e c o n f e z io n a to
p e r te s te d a Bu d d h a e c o s e c h e n o n r iu s c iv i a s o p p o r ta r e n e mme n o in z o n e d i d e c o mpressione alcoliche.
D o p o q u in d ic i a n n i d i s ile n z io , i d u e r iprendono le macchine, stringono di nuovo
le ma n i a l mitic o Hilla g e ( c h e a v r à 9 0 a n n i
oramai…) e riportano le lancette indietro
f in o a ll’ a n n o d i g r a z ia 1 9 9 1 q u a n d o f u p u b b lic a to Ad v e ntur e s Be y o nd the U ltr a wo r ld ,
il doppio tomo con il quale debuttarono sul
me r c a to e is titu z io n a liz z a r o n o il s o u n d d e l
d o p o - d is c o , a u s p ic a n d o u n r ito r n o a l c o mu n ita r is mo h ip p y v ia s e tta r is mo n e w a g e v ir a to g e n e r a tio n E , in tr o d u c e n d o la c u ltu r a g o a
c o n s u o n i c a mp e s tr i, p e z z i p ie n i d i u c c e llini, di fruscii world music e di echi di mondi
f a ta ti e lis e rg ic i.
T he D r e a m, s e n o n è u n c a p o la v o r o , è p r o p r io q u e s to , u n c o n v in c e n te s g u a r d o in d ie tr o
a n u o v e p o s s ib ili
versioni di quel
s u o n o h ip p y c h ill
pinkfloydiano
pieno di trovate
s p a c e e c a mp io n a me n ti d a in f a n z ia d ’ o r o c h e f e cero innamorare
i c lu b b e r s , r ia p p a c if ic a n d o li c o n
G i l m o u r. D i p i ù ,
dub come se piovesse, la lezione del sound
system estesa pure al dance hall e un paio di
tr a c c e c h e te n ta n o la c a r ta d e ll’ h o o k s o u l s u
p r o v e r b ia le b a s e b r e a k b e a t. Su q u e s t’ u ltime
o k , n o n c i c r e d o n o ma n c o p iù lo r o : D i r t y
D is c o D u b p a r te d a d io ma s i p r e n d e u n p o ’
tr o p p o in g ir o n e l r ito r n e llo ( G o G o L e t ’s
G o Le t’s G o To Th e D is c o ! ) e p p u r e p a r lia mo
d i u n d is c o a mb ie n t, n o n ta n to in p a n ta lo n i
b a g g y h o u s e ( d u n q u e s e n z a c a s s e in q u a ttr o
a lla U . F. O r b ) q u a n to tin to d i M o th e r Na tu re
e Th e F o re s t o f Ly o n e s s e , s o u n d c h e è g i à
n e i tito li e d i u n a p r ima p a rt e c h e i n t ro d u c e
una spinta ragga-dub mai calcata con così
tanto ardore.
Dopo gli scivoloni del post-Orblivion, il
n u o v o s f o r z o d i o ltr e u n ’o ra , fru t t o d e l l a ri tr o v a ta a mic iz ia a r tis t i c a è u n a d e l l e c o s e
mig lio r i d e i v e c c h i O r b N o v a n t a . E s e m a n c a il mo me n to p e r e s a lta rs i (m a n c a c i o è q u e l
contorno che fece di Adventures un mito),
troviamo in primis un sound ottimamente
r if in ito ( il n u o v o s tu di o d i G l o v e r è v e ra me n te p o te n te ) , s ia u n ri t ro v a t o e n t u s i a s m o
d e i d u e p e r q u e lle s o n o ri t à c h e t o l t e d a n e w a g e is mi, e d a q u e i m o m e n t i u n p o ’ b a n a lo tti, f a n n o s o g n a r e p e r d a v v e ro . E ri v a i c o n
le voci prese dalla TV e dalla Radio, quel
s y n th a n g e lic o e q u e lla c h i t a rra p s y c h . P a te r s o n , s ia mo d i n u o v o c o n t e . (7 . 0 / 1 0 )
E d o a r d o B r i d d a e M a r c o B r a gg i o n
pacificUV – Longplay 2 (Warm, 19
febbraio 2008)
Genere: shoegaze/post-rock
Se c o n d o a lb u m p e r q u e s t a b a n d fo rm a t a s i a d d ir ittu r a n e l 1 9 9 8 a d A t h e n s , G e o rg i a ,
d a lla v o lo n tà d i C la y J o r d a n e H o w a r d
Huds o n, d u e p r o me tte n t i m u s i c i s t i d e l l u o g o ( a ff ia n c a ti n e g li a nn i d a v a ri c o l l a b o ra tori occasionali e non). Più che musicisti
p o tr e mmo d e f in ir li q u as i i n g e g n e ri d e l s u o no tanto è ricercato il lavoro di studio che
s ta d ie tr o a L o ng p la y 2 : u n a m a n i p o l a z i o n e
sonora degna delle migliori produzioni dei
M o g w a i. E c c o , è p r o p r i o i l p o s t - r o c k d e l l a
b a n d s c o z z e s e la b a s e s u c u i s i e rg e l a p ro p o s ta mu s ic a le d e i N o s t ri . B ra n i d a u n m i n u ta g g io e le v a to c h e , tra a s c e n s i o n i e ri v e rb e r i c h ita r r is tic i, f r u g a l i s o s p e n s i o n i v o c a l i ,
p ia n o f o r te , a r c h i, f ia ti e t a s t i e re a ri e m p i re ,
s i c o n c l u d o n o q u a s i se m p r e c o n u n a c o d a
s tr u me n ta le c h e s a tu r a d o l c e m e n t e l ’a t m o sfera circostante E proprio la dolcezza di
f o n d o r a p p r e s e n ta la c a ra t t e ri s t i c a p e c u l i a re
d e i p a c if ic U V. I n f a tti, i n p i ù e p i s o d i v e n g o n o e v o c a ti s ia il r a r efa t t o s h o e g a z e d e g l i
Slo w div e ( I f S o ) , s ia l e d e ri v e n o s t a l g i c h e
d e i Sig ur R ó s (S o m e th i n g To l d U s e L J IV) ,
s ia il d ila ta to s p a c e - r o c k d e g l i S p i r i tu a l i z e d ( Ne e d ) e n o n u ltimo u n c e rt o d re a m -p o p
c h e p r e n d e f o r ma in b a l l a t e c o m e Tre m o l o e
Wa itin g . Ce r to , p a r la r e d i p o s t -ro c k o g g i fa
sì che subentri la paura di trovarsi dinnanzi
SA 73
RECENSIO
a co se t r i t e e ritrite, facendo restare il f a nt a s m a d i m o l t e band succitate, soprattutto
q u ell o d e i M o g w ai, sem pre dietro l’a ngolo,
m a L o n g p l a y 2 è un album che può disting u er si p o si t i v a mente in questo am bito musical e si a p e r l e sue palesi affinità con e te r e e
at mo sf e r e sp a ce e shoegaze, sia per r iusc ir e a u n i r e i m peccabilmente ricercatezza ed
em o z i o n e , e l e ganza e dolcezza. C erto, qua lche c a d u t a d i tono viene registrata qua e là
(al c u n e e v i t a b ili introm issioni indietr onic he
e al c u n i p a ssa g gi fin troppo derivativi) , ma
n el l’ i n si e m e q u esta loro delicata ing e gne r ia
crea t i v a , n o n ci dispiace affatto. (6. 5/10)
da ll’ uso c he i Nostr i f a nno de l c e llo ( in e c cepibile nello strumentale funk To t a l S e x y
Chur c h, sinistr o in Ta ke Yr Ca n e , s g h e mb o
ne lla title tr a c k) e da l c a nta to in d ie - n o v e centesco che pervade un’opera f o r t e a n c h e
di dub (On The Lam), stranian t i s i p a r i e t t i
tra ultimi Liars e Roxy Music ( G l a m o r o u s
Wa r ) me ta - f unk ( Be a utif ul Cond o ) e r ima n di ai trans Am (What You Hear) .
C’è un sottobosco indie – Mahjo n g g s u t u t t i
- che sta tentando di rivitalizz a r e l e s o r t i
del neo-punk-funk e tra i tanti i P a n t h e r, c o l
sorriso sulle labbra, si candida n o a n o v e l l i
B- 52’s. Sor pr e sa . ( 7.2/10)
Andrea Provinciali
Gianni Avella
Phidge - It’s All About To Tell (Riff /
Hongly, 29 febbraio 2008)
Panther – 14kt God (Kill Rock Stars, 19
marzo 2008)
Paramount Styles - Failure American
Style (Cycle, 17 marzo 2008)
Genere: punk-funk
“P en sa t e a n c h e a Jam es B row n e Ian Cur tis
m a sa p p i a t e c he sarete ancora lontani. Pe r ò
t a n t o b a s t a p e r farvi un’idea.” Cosi recita il
s i t o d e i P a n t h er e io, che un po’ di Brown
e C u r t i s l i h o m asticati, non posso c he pe ns are a i A Ce r t a in R atio. A conti fatti que llo dei Panther è
p u n k f u n k d ove
p er p u n k si i n t end e u n ’ a c c e z i one
i n d i e i n a sse F ug azi / Ju n e O f 4 4 e
p er f u n k si r i piega
n e l l ’ e sa sper a t a v i s i o n e dei
Li q u i d
L i q u id.
Al t r o c h e f o sc hia
m an c u n i a n a .
D e l p r e c e d e n te lavoro, Secret Lawns del
2 0 0 7 , r i c o r d o poco e quel poco m i se mbr a v a u n d i sc u t i b ile guazzabuglio tra Tr uma ns
Wate r e A r i e l P ink m entre oggi, co n l’ inn e s t o d e l d r u mmer Joe Kelly a far coppia
c o l d e u s e x m achina Charlie Salas-Humara,
i l pr o g e t t o s i delinea, appunto, in esercizi
fu n k y e e c h e g gianti l’epitaffio tanto disc uss o d e i J u n e O f 44, Anahata, ridisegnato in
o t t i c a n e g r o i d e (prendete per esem pio Pue rt o R i c a n Ju k e box e ditem i se non vi se mbr a
u n a g g i o r n a m ento della bellissima Cardiac
At l a s) e c o n t iguo a carnevalesche sc or r ib and e à l a L i q uid L iquid (H er Past Ar e The
Tree s) e 2 3 S kidoo (T hese Tw o Tree s) ..
L a t a n g e n z a coi chicagoani è data anche
Genere: ex-indie songwriting
Stupisc e il nuovo pr oge tto di Sc o t t M c Cloud: in compagnia del vecch i o c o m p a r e
di sc or r iba nde Ale xis Fle isig a l l a b a t t e r i a ,
l’ e x Gir ls Against Boys si r ia ff ac c ia c o n a ltri quattro strumentisti sul pro s c e n i o a s e i
anni dall’ultima missiva del gru p p o m a d r e ,
que l You Can’t Fight What You Ca n’t Se e
c he se gna va un lie ve r e c upe r o r is p e tto a lla
disastrosa parentesi Geffen. N o n r i s i e d e
nella prolungata assenza la ver a s o r p r e s a ,
piuttosto nel nuovo abito sono r o , s o r t a d i
ve r sione a c quie ta ta de gli a ntic h i f r a s tu o n i
e r ile tta in c hia ve c a nta utor a le. Sf o n d i r o ma ntic a me nte me tr opolita ni ne i q u a li s i a g gir a no l’ Iggy Pop r isor to di Bric k B y B r ic k
( la non dispr e z z a bile a pe r tur a A lle y e s a re ony oumy ownpe t) , i dEUS men o c o m p l e s s i
( Drunx , W hore s & M zk Pe ople : an c h e il b r a no miglior e ) e a ff ior a un’ ipote s i d i P ix ie s
ba r oc c hi ( Come To Ne w York ).
Avvie ne un po’ pe r tutti que sto f a tid ic o p a s saggio: ad una certa età abbas s i i v o l u m i ,
sostituisc i il f r a gor e c on c a nz o n i p iù c la s sic he . Rif le tti a me z z a voc e , sen z a g r id a r e :
c osì Bob M ould e sor c iz z ò ve nt’a n n i o r s o n o
la f ine de gli Hüske r Dü e med e s imi p e rc or si ha intr a pr e so da a nni M i c ha e l Gir a .
Nulla di male in ciò, anzi ben v e n g a n o l e
evoluzioni e la maturità; il pr o b l e m a q u i ,
pe r ò, è c he la r uvida ma musc olar e in te r p r e ta z ione de gli Otta nta br ita nnic i o p e r a ta d a i
Gir ls Against Boys ma l si a datta a i c limi
ma linc onic i - si ve da il de c or a ti v o s tr u me n ta le One Last Surprise - o in e c c e s s o d ’ e p i-
Genere: emo-post
Debutto all’insegna del carattere (cuore
c o mp r e s o ) e d e l r a z io c in io p e r q u e s to q u a rtetto bolognese che se avessimo certi vezzi
d’oltremanica li avremmo bollati “next big
th in g ” a lme n o d a G la d , O ut O f T ha t, l’ E P
a u to p r o d o tto d e l 2 0 0 6 . I n v e c e n o ia ltr i a c e rti f r u tti d ia mo il te mp o d i c a d e r e d a ll’ a lb e r o
( q u a n d o n o n ma r c is c o n o p r ima ) , e n o n è d e tto
c h e s ia u n ma le . I Ph id g e d if a tti c i p io mb a n o a d d o s s o g ià ma tu r i, s f r o n d a ti e s f r o n ta ti
come possono esserlo dei rocker trentenni,
gente che sa quel che può e quel che non,
la portata e il calibro, la mira soprattutto.
Perché è fondamentale dove vanno a finire
questi proiettili:
n e l v e n tr e mo lle di un emocore
vaccinato post e
s p a mp a n a to
in d ie , r o c k in s o mma
c h e v ib r a c e r c a n d o d ’ in te r c e tta r e
g li s p ir iti ir r e quieti in ascolto.
Ta n to v a le q u in d i
mis c h ia r e le p o lveri piriche di Polvo e Giardini Di Mirò,
Pearl Jam e Karate, Death Cab For Cutie e
Counting Crows, Okkervil River e June Of
‘ 4 4 . G li imp e ti ma te ma tic i, le in q u ie tu d in i s p ig o lo s e , la f o g a s tr u g g e n te : l’ imp a s to
f u n z io n a e n o n è s o lo me r ito d i u n p r o g e tto azzeccato perché anche i manici girano
bene, due chitarre-basso-batteria che non
s b r a c a n o p e r q u a n to s p in g a n o s u ll’ a c c e le r a to r e , c o v a n d o u n ’ in q u ie tu d in e p e r o g n i s p a -
c a : il te n ta tiv o d i s p o s a r e v e c c h ia e n u o v a
v i t a r e s t a i n c o m p i u t o , s f o c a t o . N e e m e rg e
u n a r tis ta b lo c c a to a me tà s tr a d a , g ia c c a d a
“ c h a n s o n n ie r ” e p o s e d e c a d e n ti s o p r a je a n s
s d r u c i t i e a n f i b i s f o n d a t i . Tr o p p a p o m p a
e lacca negli arrangiamenti - invadente il
piano ed esuberanti gli archi; viceversa, il
c a n to s i ma n tie n e s u lla s te s s a to n a lità e a f f o s s a u lte r io r me n te il ma te r ia le - s o ff o c a n o
u n u o mo f o r s e p iù a s u o a g io c o l r u mo r e c h e
c o n la q u ie te . D o v e è imp o s s ib ile b lu ff a r e , e
d u n q u e p r o v a c i a n c o r a , Sc o tt. ( 5 . 6 /1 0 )
Giancarlo Turra
s mo ( la tr a v o lg e n te D r a w n i n g D i s a s t e r , l a
f r a s ta g lia ta Co lo r s , u n a O -Re n Is h i i c h e s i
s n o d a min a c c io s a e d e n i g m a t i c a i n o s s e q u i o
a l p e r s o n a g g io ta r a n tin i a n o ), p o t e n d o c o n t a r e s u v o c i d u ttili e d e v o c a t i v e , b u o n e t a n t o
p e r le b a lla d s p e n s o s e ( u n a S p i e s v i c i n a a g l i
Hus ke r D u u n p lu g g e d , u n a Wa v e s Ro l l i n g
U n d e r c h e in tr a p p o la E d d i e Ve d d e r n e l la r a g n a te la To r t o is e ) c h e p e r g l i s t r a p a z z i
a r ty ( la tr e p id a A S u d d e n S p r i n g N i g h t , u n a
S till Th e S a m e c h e e ma n a a d d i ri t t u ra b a rb a g li P e t e r Ga br ie l) .
M i p ia c e il d is c o e mi pi a c c i o n o l o ro , p e rc h é
p r o v a n o s tr a d e n o n a u t o m a t i c h e (ri s c h i a n d o
d i s b a n d a r e , c o me n e l p a t c h w o rk S p a r ro w s
O n A Wro n g D a y ) r i u s c e n d o a s c i o r i n a r e
l’ imme d ia te z z a d i c h i n o n fa c a l c o l i , d i c h i
ci da dentro come può finché ce n’è. Nulla
s i c r e a n é s i d is tr u g g e . N o n q u i c e rt a m e n t e .
M a è la lo r o c o s a , e ta n t o b a s t a . (6 . 9 /1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
Prurient & Kevin Drumm - All Are
Guests In The House Of The Lord
(Hospital Produtions, 2007)
Prurient – And Still, Wanting (No Fun
Productions, 2008)
Genere: harsh, drone, noise
L a c o lla b o r a z io n e tr a Pr u r i e n t e K e v i n
D r um m c o m i n c i a c o n r e c i t a t i b a r i t o n a l i ,
c u p i d r o n e s d a ll’ o ltr e t o m b a e u n l e n t o i n cedere. Non esattamente quello che ci si
p o t r e b b e a s p e t t a r e d ai d u e m a e s t r i d e l l a
v io le n z a s o n o r a . M a ec c o s u b i t o d o p o O n
Th e S la b c h e r ip o r ta s u t e rri t o ri p i ù a ffi n i a l
n o is e ; s o n o in f a tti le g ri d a d i s u m a n e d i P ru r ie n t e le b o r d a te a l c a l o r b i a n c o d i D ru m m
che generano un impasto sonoro che puzza
d i z o lf o , e c o n s id e r a n d o i l c o n c e p t m i s t i c o /
r e lig io s o , n o n p o tr e b b e e s s e re p i ù i n d i c a t o .
D i c o lp o to r n a n o in me n t e g l i u l t i m i , g e n i a li, Ha ir P o lic e c o n la b a t t u t a b a s s a g ra v i d a
di umori negativi. Prima della fine – che
g iu n g e r à c a ta r tic a e a i c o n fi n i c o n l a d a rk
a mb ie n t c o n I n Lo n g R o w s – c ’è t e m p o a n c h e p e r u n c u r io s o ( e p erfe t t a m e n t e i n t e m a )
e s p e r ime n to d i s y n th r e t ro fu t u ri s t i i n T h o u g h th e A p p le to R o tte n . S i h a l a s e n s a z i o n e
c h e il “ d o tto ” K e v in Dru m m a b b i a fa t t o d e l
s u o me g lio p e r imb r ig l i a re l ’e n fa n t t e rri b l e
Pr u r ie n t, a v o lte r iu s ce n d o c i , a l t re u n p o ’
me n o , ma in tu tti e d u e i c a s i g l i o t t i m i ri SA 75
RECENSIO
s ul t a t i so n o e videnti, tanto da attend e r ne un
s eg u i t o . ( 7 . 0 / 1 0)
R i t r o v i a m o Dominick Fernow a briglia
s ci o l t a , i n v e c e , nella nuova fatica solista
An d S t i l l , Wa ntin g che riprende dove si e r a
i n t e r r o t t o i l d iscorso di P leasu re Ground.
Qui a l l e p r e se con squarci nerissimi e dol o ro si ssi m i p r a ticati da maligni synth, a dd e n s a m e n t i i n fetti di feedback e drones da
i n c u b o . N i e n t e di nuovo sotto il sole, ma
ri s u l t a se m p r e più interessante assiste r e a
q u es t a l e n t a ma costante evoluzione, c he f a
p e n s a r e s u l f a tto che Prurient sia un nome
d a se g n a r e su ll’agenda per un futuro qua nt o m a i v i c i n o . Pensatela come volete, ma la
m ate r i a so n o r a in oggetto necessita di de v i an z a m e n t a l e, ma anche di perizia te c nic a
fu o r i d a l c o m une, al fine di garantire qua lità
ad u n a sc o l t o per pochi, m a al tempo ste sso
p rez i o si ssi m o , perché catalizza le pa ur e e le
t ensi o n i d e l n ostro tempo. (7.5/10)
N i c o l a s C a mp a g n a r i
Quinn Walker – Laughter’s An Asshole
/ Lion Land (Voodoo-Eros, 18 febbraio
2008)
Genere: eccentric pop folk
C o m i n c i a n o a venire davvero a noia tutti
q u e s t i s t r a m b i a comando. Il qui presente
Qui n n Wa l k e r è solo l’ultimo di una f olla e
n o n sa r e b b e nem m eno il peggiore sul pia n o s t r e t t a m e n t e musicale, ma la ramanzina
con q u a l c u n o d ovremo pur iniziarla? E’ e vid ent e c h e c i t r oviamo sullo stesso ter r itor io
d egl i A n i m a l C ollective. Quinn Walker è
u n r a g a z z o n e di B rooklyn abile e sma liz ia to
che t r a ff i c a c on quel tipo di pop lise rgic o
l ì , tr o v a u n f ilo conduttore con ec c e ntr ic i
cou n t r y c o m e Tiny Tim e affoga tutto ne ll a m e l a ssa p i ù drogata e pop dei Flaming
Li ps. U n g u a zzabuglio ne converr ete. Ma
n o n è n e m m e n o questo il problem a. Le c a nzon i d i Q u i n n Walker sono come le c a r a me ll e , u n a t i r a l ’ altra e in men che non si dica
t i s e i a s c o l t a t o tutti e due i dischi (perché il
N o s t r o e s o r d i sce addirittura con un doppio
al bu m ! ) . Ce r t i num eri sono ben costr uiti. I l
cou n t r y p o p a l la S u fjan S tevens di Chic k e n
Wi re ; i l f o l k da luna park degli orrori con
i pa g l i a c c i c a t tivi stile IT di B aby Ne on; il
g o s p e l d o o - w o p per la messa di N ata le de ll a C h i e sa Ba t t ista con un padre nero c he f a
s i cu r a m e n t e Ja ckson di cognom e in I Know
How To Be Alone ;
un country scemo
e e be te c he f a il
ve r so a Bowie in
I’d Like To Take
a Pic ture ; quella
follia bubblegum
pop di Rita Lolita… ma e r o pa rtito che lo volevo
cazziare e Quinn
Wa lke r mi ha por ta to sul suo ter r e n o , f a tto
di c olor i, c or e tti idioti, pe r son a g g i d a c o mic s, r e de l pop c or n e gomme d a ma s tic a r e
c he pr e ndono vita … un te r r itor io d o v e v in c e
a ma ni ba sse . I l punto c r itic o è c h e d e b u tta r e c on un doppio a lbum è da v v e r o tr o p p o
a l gior no d’ oggi. Pe r di più su ll’ e tic h e tta
della signorina Coco-rosie. No n m i f a c c i o
inga nna r e . Si se nte puz z a di hy p e c o s tr u ita
a ta volino, da lonta no un miglio , ma in ta n to c ontinuo a se ntir e . C’ è da vve r o la ma lìa
c a ttiva de gli z uc c he r i. Non puoi f a r e a me n o
di ascoltare e di mandare giù u n a c a n z o n e
dopo l’ a ltr a . Quinn Wa lke r ma l e d e tto . Pr o mosso in extremis, ma solo per c h é s o n o u n
goloso a llo sta dio te r mina le . ( 7. 0 /1 0 )
Antonello Comunale
Riccardo Pittau Congregation – V
IV MMV Death Jazz (Improvvisatore
Involontario / Wide, 2007)
Genere: avant Jazz
A dista nz a di poc o più di due a n n i d a lla p r ima usc ita ( Psic opatologia De l S e r ia l Kille r
de gli Skr unc h di Fr a nc e sc o Cu s a ) I mp r o v visa tor e I nvolonta r io ha oltr ep a s s a to a mpiamente lo status di “giovane p r o m e s s a ”
tr a le la be l ita lia ne , me r ita ndos i g ià a mp ia mente il ruolo di realtà di alto l i v e l l o n e l
panorama jazzistico contempora n e o , e n o n
solo nostr a no.
I l pr ogr e ssivo miglior a me nto de lle p r o p o s te
me sse sul ta volo da ll’ e tic he tta p o tr à e s s e r e
a nc he un c a so f or tuna to e f or tuito , limita to
a ll’ e ntusia smo de lla pr ima de cin a d i u s c ite, ma ci piace pensare che no n s i a c o s ì e
a bbia mo e le me nti suff ic ie nti p e r s o s te n e r e il c ontr a r io. I l pr oge tto di Cu s a e s o c i
è ambizioso e coerente, nella s u a v o l o n t à
di me tte r e a ssie me la c rè me de l ja z z in d ipe nde nte , tr a sf or ma ndo la la be l in u n a c a s a
comune e libera nella quale ci a s c u n o , c o n
il suo bagaglio d’esperienza, prova a suo
mo d o a me tte r e il p ie d e o ltr e la o r ma i s e c o la r e tr a d iz io n e ja z z is tic a , s e n z a ma i u s c ir n e
c o mp le ta me n te .
Se g ià i la v o r i p r e c e d e n ti la s c ia v a n o p r e s a g ir e q u e s to “ s u p e r a me n to d i s é s te s s i” , il
te n ta tiv o d i c r e a r e u n a n u o v a s c u o la ita lia n a d e ll’ imp r o v v is a z io n e , c o n il la v o r o d e lla
“congregazione” del trombettista Riccardo
Pitta u , p u ò d ir s i p iù c h e s o d d is f a c e n te me n te
r e a liz z a to . V I V M M V D e a th J a z z , r e g is tr a zione di una performance improvvisata del
5 a p r ile 2 0 0 5 , d ie tr o u n a ma s c h e r a s imp a tic a me n te a mmic c a n te a ll’ e s o te r is mo , n a s c o n d e c iò c h e p r o b a b ilme n te è il me g lio ( o
se non proprio tutto il meglio, siamo lì, in
q u e s to c a s o g li e s c lu s iv is mi c i in te r e s s a n o
p o c o ) d e l g io v a n e ja z z s p e r ime n ta le n o s tr a n o . Ba s te r e b b e , c o me g a r a n z ia , il s o lo n o me
d i P a o lo A ng e li, s a r d o , a n c h e l u i , c o m e
Cu s a , tr a p ia n ta to a Bo lo g n a p e r f r e q u e n ta r e
il DAMS, la cui chitarra sarda “preparata”
r a p p r e s e n ta il s imb o lo d i u n n u o v o mo d o d i
in te n d e r e la mu s ic a c h e f a i c o n ti c o n le tr a dizioni del passato dopo aver digerito gli
insegnamenti delle avanguardie (che sia lui
il v e r o p o s t- mo d e r n o ? ) . M a il c a s t d ’ e c c e z io n e v a o ltr e e a r r iv a a c o mp r e n d e r e a n c h e
il s a x b r a x to n ia n o d i G ia n n i G e b b ia , la b a tte r ia d e ll’ o n n ip r e s e n te Cu s a e il b a s s o e le tt r i c o e i l t h e r e m i n d i Vi n c e n z o Va s i .
Se i mu s ic is ti, p r e s i s in g o la r me n te , r a p p r e s e n ta n o g ià d i p e r s é u n n o te v o le p e s o s p e cifico, il quintetto riesce perfettamente ad
a ma lg a ma r e q u e s te f o r ti in d iv id u a lità . Co me
dire che la somma è più alta dell’insieme
degli addendi. Più di un’ora di musica che,
pur essendo facilmente classificabile come
ja z z , e s p lo r a , f in o a lla s a tu r a z io n e , tu tte le
p o s s ib ilità e c o mb in a z io n i timb r ic h e c h e la
v a r ie tà d e g li s tr u me n ti imp ie g a ti p e r me tte . L’ imp r o n ta d e g li E le c tr ic Fiv e d i R a v a
è s o lo u n in d iz io , a n c h e s e imp o r ta n te , d e l
sound risultante dalle capacità d’intesa dei
c in q u e mu s ic is ti, c h e s e n z a tr o p p e p r e o c c u p a z io n i a r r iv a n o p e r f in o a s c o n f in a r e , u n
p o ’ p e r g io c o , u n p o ’ p e r v o g lia d i s p e r ime n ta r e , n e l c a mp o d e l me ta l e s tr e mo ( D e e p
H a te ) , s u b ito p r ima d i c o n c lu d e r e l’ in te r e s sante esperienza con un boogie acidissimo
e d is to r to a me tà tr a C a pt a in Be e f he a r t e i
C a nne d He a t (B F o lk ) . Tu tto il d is c o , d a lla
p r ima a ll’ u ltima n o ta , è u n f iu me in p ie n a ,
u n a v a la n g a d i s o r p r e s e c h e s i i n s i n u a n o t ra
i t r a s f o r m i s m i c h i t a r r i s t i c i d i A n g e l i e Va s i
(che in alcuni brani mette in mostra anche
la s u a v o c e a lla M ike P a tto n ) , i r u m o r i s m i
d i Cu s a e G e b b ia e la p o e s i a d e l l a t ro m b a d i
Pittau, che, nonostante tutto, riesce ancora
a s u o n a r e in c r e d ib ilme n t e c o o l . (8 . 0 / 1 0 )
Daniele Follero
Sikitikis – B (Casasonica, marzo 2008)
Genere: electro
Ca s a s o n ic a è u n b r a n d o rm a i p i u t t o s t o ri c o n o s c ib ile n e l p a n o r a ma m u s i c a l e n a z i o n a l e e
s p e s s o s o ttin te n d e p r o d u z i o n i c a ra t t e ri z z a t e
d a u n a f o r te c o mp o n e n t e ri t m i c a e o ri e n t a te , a lme n o n e i g u s ti mu s i c a l i , a u n p u b b l i c o
p e r lo p iù g io v a n e . I n q u e s t ’o t t i c a c re d i a m o
debba essere inquadrato anche il secondo
d is c o d e i c a g lia r ita n i S i k i t i k i s , d a l m o m e n t o c h e d a i d i a l o g h i s er r a t i b a t t e r i a , b a s s o ,
voci e tastiere/synth è proprio il “tiro” dei
b r a n i a d e m e rg e r e p r e p o t e n t e m e n t e , o l t r e a
un gusto per le
me lo d ie d e l tu tto peculiare. Un
gusto che arriva
d a lo n ta n o , e p iù
precisamente da
quel sottobosco
musicale proprio
delle produzioni
cinematografic h e a b a s s o c o s to
– p e r lo p iù p o liziesche – che imperversavano nel nostro
p a e s e v e r s o g li a n n i S e t t a n t a , q u i a g g i o rn a to a s u o n d i d r u m ‘ n’ b a s s (Al p r i m o c o l p o ) , p u n k ( M i a v v e le n i i l c u o re ), ro c k a b i l l y
( Little Lu ) e tr ib a lis mi v a ri (Il m o n d o è u n a
g iu n g la ) . Q u a r a n ta mi n u t i d i p ro g ra m m a z io n e mix a ti d a M a x C a s a c c i d e i S u b s o n i c a
e in g r a n p a r te c a r a tte r i z z a t i d a u n a p p ro c c i o e n e rg i c o , i n c u i t ro v a p o s t o a n c h e u n a
r ile ttu r a e le ttr o - r o c k d i S t o r i a d ’a m o re d i
A d r ia n o Ce le n ta n o .
Positiva l’impressione generale, anche se
gli undici brani in scaletta non ci paiono
e s e n ti d a c r itic h e . G o d i b i l i d i p ri m o a c c h i to, mostrano una certa “stanchezza” nelle
mu s ic h e c o me n e i te s ti s e s o t t o p o s t i a s e s sioni prolungate, tali da far pensare a un
p o s s ib ile d if e tto d i p e rs o n a l i t à d e l l a fo rmu la mu s ic a le . D e b o lez z e m a s c h e ra t e d a l l e
SA 77
RECENSIO
o t t i m e d o t i t e c niche della form azion e e da l
g ene r a l e se n so di coolness che si respira,
m a c o m u n q u e p resenti. (6.4/10)
F a b r i z i o Z a mp i g h i
Thee Silver Mt. Zion Memorial
Orchestra & Tra-la-la Band – 13 Blues
For Thirteen Moons (Constellation /
Goodfellas, 10 marzo 2008)
Genere: post blues
Efrim e soci tornano alla sigla Silver Mt.
Zion e questa volta cantano il corpo elettrico. Se quello di due dischi fa era il loro
punk rock allora questo è sicuramente il
loro heavy metal. La congrega canadese non
aveva mai alzato il volume delle distorsioni
come in questo caso, tanto da assomigliar e a d d i r i t t u r a a i B l a c k S a b b a t h i n d i v e rsi frangenti del disco. I 13 blues segnalati
nella tracklist in realtà sono solo quattro.
I primi dodici sono occupati da un sibilo
d i f e e d b a c k . 1 , 0 0 0 , 0 0 0 D i e d To M a k e T h i s
Sound dice buona a quota tredici e attacca
subito alla loro maniera: arpeggio flebile,
canto corale, andamento lento da preghiera
cantata intorno ad un focolare, poi il taglio
n e t t o d e l r i ff e i l s u o n o r o c k c h e e s p l o d e
con una cruda fragranza non troppo dissimile da quella di un Raw Power. La title track
pesta giù duro in
maniera
ancora
più insistita e si
aggroviglia
nel
finale intorno ad
un’idea di blues
vecchia
quanto il mondo. La
domanda
nasce
quindi spontanea:
che fine ha fatto
la pregevole sezione d’archi? Sophie e Jessica dove sono
andate? Le avverti giusto un po’ nel finale
d i B l a c k Wa t e r s B l o w e d / E n g i n e B ro k e B l u e s
ma il loro suono è del tutto sprecato e coperto. Come il suono del basso in un disco
d e g l i S l a y e r … c i s o n o m a n o n l e s e n t i , p e rché le distorsioni coprono tutto. Il difetto
di questo disco sta quindi qui. Quello che
i Silver Mt. Zion acquistano in ruvidezza
lo perdono in atmosfera. La maggior parte
di questi brani sono stati rodati dal vivo e
questo ha certamente influito sulla resa e
sugli arrangiamenti. Il finale di BlindBlindBlind riporta un po’ nei territori a cui ci
avevano abituato, ma è come veder calare
il sipario alla fine di una performance teatrale non troppo convincente. Il giudizio è
quindi sospeso. Ai fanatici della distorsione made in marshall questo disco piacerà
molto. Ai seguaci della prima ora (alzo la
mano!) lascerà un po’ di amaro in bocca.
(6.3/10)
Antonello Comunale
S i l v i a F ä s s l e r & B i l ly R o i s z – S k y l l a
(Editions Mego, 8 gennaio 2008)
Genere: digital noise
L’ a n d a m e n t o s i n u s o i d a l e d i b r a n i c o m e
P i n k U m b re l l a o M e g r i m h a u n c h é d i ( p a r a )
scientifico. Embrioni sonori modificati
geneticamente in un laboratorio asettico
ed impersonale - un laptop - ed in seguito immersi in vasca biologica di chitarra e
turntable. Così si divertono a declinare il
verbo del noise Silvia Fässler e Billy Rois z , n o m i s t o r i c i d e l l ’ u n d e rg r o u n d v i e n n e s e
giunti alla prima collaborazione musicale
dopo anni di videoart e curatele nella capitale austriaca.
Skylla, come anticipano nome e immagine
di copertina, è un mostro deforme di elettronica weird e divertita - a tratti autoironica (Silly) -, una sorta di risposta in chiave
minore (o in termini di microsuoni) a quei
rumoristi d’oltreoceano ancor oggi sulla
b o c c a d i t u t t i ( K i r re , S c h w a r z s c h i l d ) . O ,
se preferite, una versione digitale e postu m a n a d e g l i S m e g m a ( B ro o m g ro o m , R u s t y
Spoon). Forse non sarà supportata da quelle
pose superomistiche che, in fondo, hanno
f a t t o l a f o r t u n a d i g e n t e c o m e Wo l f E y e s e
P r u r i e n t - e d u n q u e d i ff i c i l m e n t e g o d r à d i
quella stessa visibilità -, ma l’esperienza
Fässler/Roisz sa regalare nondimeno momenti di puro godimento - percettivo prima
ancora che estetico. Edizione disgraziatamente limitata a 300 copie. (7.3/10)
V i n c e n z o S a n ta r c a n g e l o
St e p h e n M a l k m u s & J i c k s - R e a l
Em o t i o n a l T r a s h ( M ata d o r , 7 m a r z o
2008)
Genere: lo-psych
Il quarto album in solo di Malkmus lo propone sempre meno... solitario, ovvero spalleg-
giato da una band sempre più band e sempre
p i ù o rg a n i c a a l p r o g e t t o s o n i c o d e l l ’ a n f i trione, quei Jicks che nel frattempo fanno
subentrare Janet
We i s s ( e x S l e a ter Kinney) alla
batteria. Progetto
che prosegue la
deriva calcolata
verso una lucida rielaborazione psych, che se
da una parte coglie frutti incand e s c e n t i Va n i l l a
F u d g e s b a l e s t r a n d o l i d i s e l v a t i c o a ff l a t o
noise-wave, dall’altra s’ingegna di architettare rassicuranti trame folk-soul come
un guinzaglio che consenta alla caracollante calligrafia del Nostro di proseguire a
caracollare imperterrita. Solita dinoccolata
impertinenza squarciata di rabbia angolosa
e malanimo in souplesse che ben conosciamo.
Nella sostanziale prevedibilità c’è spazio
per qualche sorpresa, come il pressoché
inedito utilizzo di tastiere e synth, oppure
– venendo alle canzoni - il disinvolto inced e r e S t e e l y D a n , l ’ a ff l a t o s t r u m e n t a l e d o orsiano e uno sconcertante break à la Monty
P y t h o n i n H o p s c o t c h Wi l l i e , p e r n o n d i r e
del valzer tra complicanze hard-blues hend r i x i a n e e p r o t o p r o g b i r b o n e d i B a l t i m o re .
A non stupire - ed è quasi frustrante - sono
quelle cocciutaggini acide, talora spossanti
come nella title track, che pure prende il via
da fascinose ugge tardo bitòlsiane e si spegne tra foschi palpiti Lou Reed, o la sciolta
irrequietezza di Elmo Delmo, roba tipo uno
Yo u n g m o t o r i z z a t o O ’ R o u r k e , r e t e s f i l a c ciata che non prende molto pesce in verità.
Permangono segnali dell’antica classe, che
siccome non è acqua non bastano certo tre
lustri abbondanti di carriera a svaporarla.
I n t e n d o u n a G a rd e n i a g a r r u l a e r u v i d e l l a
che scomoda rimpianti per il miglior Badly
Drawn Boy, una Out of Reaches che string e r à a l l a g o l a i n o s t a l g i c i d i Wo w e e Z o w e e
e una Cold Sun che prima gioca a rincorrere
i discepoli Grandaddy e poi spalma assorta
malinconia su tastiere pastello. Così è, se
vi pare. (6.3/10)
St e fa n o S o lv e n t i
Suma - In The Middle Of Somewhere
(gennaio 2008)
Genere: folk psych
L u i è Fr a n k Ru d o w, g ià n e g l i e l e c t ro p s y c h i c i s p a g n o li M a nt a R a y . Le i s i c h i a m a La u ra
Cla r k e n o n c ’ è mo d o d i s a p e re a l t ro . I d u e
s’incontrano, un rapporto che fiorisce tra
Gijon e Barcellona, uno sbocciare anzi una
somma (suma, in spagnolo) di sentimenti,
in c lin a z io n i, s itu a z io n i c h e p re c e d e l a s c o p e r ta d e lle a ff in ità e let t i v e . La u ra s i ri v e l a
in f a tti v o c a lis t s u g g e s ti v a , d a l fa s c i n o s u p i n o , te n e r a s o le n n ità c h e s i s v e l a s e n z a a ffa n ni né artifici. Frank avvolge le di lei voce
e p a r o le ( le lir ic h e s o n o q u a s i t u t t e fi rm a t e
d a lla r a g a z z a ) d i u n a r i n n o v a t a v i s i o n e s o n o r a , f a tta d i f o lk min i m a l e s a t u ro d ’i m p a l pabili tremori elettrici ed elettronici come
c e r ta Be t h Gibbo ns , s a l v o q u a n d o u n a v i o l a
o a d d ir ittu r a u n c la r in e t t o n o n i n t e rv e n g o n o
a d ir e la lo r o ( c o me in Pe rh a p s T h a t ´s G o o d
o in D o n ´ t Kid A n y o n e ) .
Fa tto s ta c h e n e e s c e u n d i s c o fa t t o e ri fi n ito , d e l q u a le r if e r ir ò l a v i c i n a n z a e s t e t i c a
e d e mo tiv a a c e r te s itu a z i o n i p i ù e s s e n z i a l i
d i Lo w o Yo La Te ng o (n e l l a m a rm o re a t re p id a z io n e d i Wa tc h in g Yo u D r i f t ), q u e l c e rt o
e s tr o b o s s a c h e tr e mo la d a l l e p a rt i d e l l a p i ù
e te r e a C ibe lle ( v e d i l’ i n i z i a l e L i g h t n e s s ) e
a n c h e q u e l l ’ i n c e d e r e a rg u t o e f r a n c o c o m e
u n a J o ni M it c he ll a d a l t e z z a d ’u o m o (l a t i t le tr a c k ) . Q u e s to s c r iv ere i i n fo rz a d ’u n a p proccio consueto ad un disco che consueto
non è. Di cui avverti la magia negli anfratti,
nella filigrana di segni e segnali, in quella
sorta di contemporaneità inattuale che gli
c o n f e r is c e u n ’ a u r a in s c a l fi b i l e e d i s c re t a .
D i s c o d e l q u a l e è d i ff i c i l e i p o t i z z a r e u n
q u a ls iv o g lia f u tu r o , d a l m o m e n t o c h e a n c h e
il p r e s e n te è in c e r to : n o n è d a t o s a p e re i n fa t ti s e e q u a n d o u n a la b el s i a c c o l l e rà l ‘o n e re
e l’onore di distribuirlo ai mortali. Normali
te mp i te c n ic i, f o r s e . Ch i s s à . N e l l ’a t t e s a c h e
accada quel che ritengo inevitabile e giusto,
p o te te a s s a g g ia r e - a v o i p i a c e n d o - g ra z i e
a l s o lito M y Sp a c e . ( 7 . 2 /1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
Supergrass – Diamond Hoo Ha (Emi, 21
marzo 2008)
Genere: rock, gl am, pop
Che Gaz Coombes e i suoi avessero, per così
d ir e , me s s o la te s ta a p o s t o , e ra u n a b e l l a
SA 79
RECENSIO
favo l a a c u i c i piaceva credere. Il pr e c e de nt e e – sì ! – m aturo R oad To R ouen c i a ve va
p ro p r i o d a t o q uest’impressione, nel c onse g n ar c i i l q u a r tett o d i O x f o r d imm e rs o i n u n trip
aci d - r o c k p a ssatista ma coeso e
a v v i n c e n t e . R oba
d a a d u l t i , o q uas i . E c o sì l ’att u a l e c a m b i o di
m o o d - r i s p e t to a
q u el d i sc o , e n on
s o l o - è a n c o ra più evidente, nel momento
i n c u i i S u p e rg rass di oggi si (ri)abba ndon ano a u n ’ e su berante scintillanza gla m r oc k
- o r o c k a n d roll con il rossetto, come lo
c h i a m a v a J o h n Lennon – tutta anni ’70. Si
s pre c a n o g l i o maggi a B ow ie, dalla loc a tion
d i r e g i st r a z i o ne (gli H ansa S tudios) a i se nt o ri S c a ry M o nsters di 345, ai Roxy Music
d i R e b e l I n Yo u (pericolosamente declinati
al l a F r a n z F e r d inand), O utside (con ta nto di
s yn t h i m p a z z i to E no) e B utterfly, ai T Rex
i n W h e n I Ne e ded You. C’è pure spazio per
u n p i z z i c o d i new w ave new yorchese - Te l evi si o n e Ta l kin g Heads in R eturn Of I ns pi ra t i o n e R o u gh K nickles -, e pure di ha r d
b l u e s a l l a W hite Strip es ( title tra c k , Bad
Bl o o d ) ; i l t u t t o cotto in una salsa gr onda nt e p o p e c l a s s ic rock, con le giuste dosi di
s ap i e n z a e m e stiere, e soprattutto con r inn o v a t o v i g o r e . S cavando a fondo nel pa ssa t o r e c e n t e d e l la band, emerge una crisi da
p o co su p e r a t a , oltre a problemi ind ividua li
d i v a r i a n a t u r a (fra cui un recente in c ide nte
d e l b a s s i s t a M ick Quinn). Insomma, a più di
d o d i c i a n n i d agli esordi, i Supergrass sono
t o rn a t i d e i r a g a zzacci, forse un po’ p iù sa gg i , m a se m p r e ragazzacci. S e hanno sf or na to
u n d i s c o a m a bilmente trascurabile, con cui
s o l la z z a r s i d i tanto in tanto, non c’è molto
d a st u p i r si . ( 6 . 5/10)
Antonio Puglia
Il Teatro Degli Orrori & Zu – Untitled
10” (La Tempesta / Venus, gennaio 2008)
R.U.N.I. – Fula Fula Fular (Wallace /
Audioglobe, gennaio 2008)
G e n e r e : i ta l i a n s d o i t b e t t e r
I l v i n i l e i n f orma piccola sembra essere
t o r n a t o p r e p o tentemente in auge. O forse,
molto più pr oba bilme nte , non è ma i p a s s a to
di moda. Solo nell’ultimo mese o p o c o p i ù
– e se nz a tir a r e in ba llo la c olla n a Ph o n o Metak di Wallace e SoundMeta k – n e s o n o
splendida testimonianza l’appen a r e c e n s i t o
10” de i r itr ova ti To The Ansa p h o n e e , l a s t
but not the le ast, i due in ogge t to . I l p r imo
ve de splitta r e due f or ma z ioni f o r s e s tilis ticamente lontane ma affini per i n t e n z i o n i e
inte gr ità . Due soli pe z z i ma suffic ie n ti a d imostr a r e e , pe r c hé no? , la sc ia r e u n a s p e r a n za per il futuro, l’equilibrio m i c i d i a l e t r a
due delle più eccitanti formazio n i i t a l i a n e .
Da una parte l’assalto al calor b i a n c o d e l
quartetto veneto che ben cono s c i a m o p e r
que l c a pola vor o c he è Dell’Im p e r o D e l l e
Te ne bre ; da ll’ a ltr a gli sc hiz of r e n ic i z u is mi
( c ome de f inir li a ltr ime nti? ) de l tr io o s tie n se. Il tutto messo al servizio d e l l e l i r i c h e
Capovilliane, sempre più capac i d i r e g g e r e
il pe so de l r oc k ( f u) a nglof ono s u lle s p a lle ,
pe r dimostr a r e c he que sta music a p a r la c o rrentemente l’italiano.
Ne ll’ a ltr o 10” r itor na no i f olli R. U . N . I . c o l
lor o blob me ta - music a le . Come d e f in ir e a ltrimenti il loro frullatore musi c a l e ? C o m e
sperare di sintetizzare un mon d o a p a r t e ,
f a tto di multic olor i te ndoni c ir ce n s i ( v e d e r e
c ove r ) sotto i qua li sc or r ono de m e n z a s e n ile
in e tà post- pube r a le e c a nz one tte a ll’ ita lia na , f unke ttoni gr e vi e c a le mbou r lin g u is tici da avanspettacolo dei tempi d ’ o r o , B u g o ,
Vasco Rossi, igiene personale, e l e t t r o n i c a
d’ a c c a tto e ta nta , tr oppa str a bor d a n te g e n ia lità ? I R.U.N.I . sono que sto e m o lto d i p iù
e lo me ttono in c hia r o da subito . Ch i li c o nosce sa cosa aspettarsi; chi non l i c o n o s c e ,
be h… pe ggio pe r lui.
Conc lude ndo, I talians do it be tte r n o n è u n
ge ne r e , ta nto me no una c ita z ion e d a lla M a donna de i te mpi c he f ur ono. È o g g i p iù c h e
ma i una c onsta ta z ione , gr a z ie s o p r a ttu tto a
c hi pubblic a music a de l ge ne r e . A d e n tr a mbi, a lla luc e di qua nto f a tto f inor a e d i q u a n to a nc or a f a r a nno ( 7.0/10) .
St e f a n o P i f f e r i
The Apes – Ghost Games (Gypsy Eyes,
febbraio 2008)
Genere: horror psych-rock
Rima nda a d un imma gina r io ho r r o r o d a b movie a nda to a ma le que sto biz z ar r o q u a r te tto da Wa shington DC. Le sc immie A ma n d a
K l e i n m a n ( o rg a n o ) , E r i c k J a c k s o n ( b a s s o ) ,
J e ff Sc h mid ( b a tte r ia ) e la n e w e n tr y Br e c k
Br u n s o n a lla v o c e , c o n tin u a n o la s a g a in iz ia ta o r ma i d a p iù d i u n lu s tr o a c c a s a n d o s i
p r e s s o la in d ie G y p s y E y e s , d o p o a v e r g ir o v a g a to tr a in d ie - la b e ls p iu tto s to in te r e s s a n ti ( Fr e n c h K is s , Bir d ma n ) . I n G ho s t G a me s i 4 r ip r o p o n g o n o il p r o p r io h e a v y - r o c k
o s c u r o e f o r te me n te te a tr a le , a g r o s s e tr a me
g o th ic e d a l mo o d d a r k il c u i c e n tr o n o d a le
è r a p p r e s e n t a t o d a l l ’ o rg a n o d e l l a K l e i n m a n ;
capace di disegnare tappeti ambientali da
s o u n d tr a c k s s c i- f i o p o r s i in p r imo p ia n o a
mo ’ d i c h ita r r a ( W h ic h Witc h Wu z r ic o r d a
g li o ttimi C linic ) l a s i g n o r i n a c a r a t t e r i z z a
appieno il sound del quartetto facendone
u n a s o r ta d i Bir t hda y P a r t y a g g h in d a ti c o n
e y e - lin e r e c a p e lli c o to n a ti c h e s u o n a n o n e l
castello del Conte Vlad.
N o n tu tto l’ a lb u m è a ll’ a lte z z a d e ll’ in iz ia le P r a c tic e H id in g , u n ( b la c k ) s a b b a th a rcigno e dancey che lascia immaginare la
c o m p a r s a d i Vi n c e n t P r i c e d a u n m o m e n t o
a ll’ a ltr o , o d e lla c a n tile n a ma la ta d i B e a t O f
Th e D o u b le , ma n e ll’ a ttu a le p a n o r a ma in d ie
americano si può considerare un buon disco.
(6 . 4 /1 0 )
St e f a n o P i f f e r i
The Dust Dive - Claws Of Light (Own
Records, dicembre 2007)
Genere: post-lo-folk
To r n a a q u a s i q u a t t r o a n n i d a l f o r t u n a t o
A s le e p O r Aw a k e Wa lk ( O w n Re c o r d s , 2 0 0 5 )
q u e s to tr io c o mp o s to d a u n ta s tie r is ta o r ig in a r io d e l M a s s a c h u s e tts ( K e n Sw itz e r ) , u n a
mu ltis tr u me n tis ta g ià a u tr ic e d i s o u n d tr a c k
n o n c h é me mb r o d i u n a tr ib ù A p a c h e ( L a u r a O r tma n ) e d a u n c a n ta n te e c o mp o s ito re del Kansas (Bryan Zimmerman). Rivoli
d a ll’ e te r o g e n e a s o rg e n te c o n f lu iti a Br o o k ly n p e r r a c c o n ta r e lo s ta to d e lle c o s e a l
centro stesso della Cosa, laddove i collassi
s o n o u n a r o b a s e r ia , to n f i c h e li s e n ti a ll’ a ltro capo del mondo. Nel caso specifico, le
e n e rg ie d e i tr e o r b ita n o a tto r n o a l f a n ta s ma
d e l f o lk - r o c k , s tr a p a z z a to , s c a r d in a to , s tr e ma to s o tto il b o mb a r d a me n to d e i lin g u a g g i
in frenetico progress.
Capita così che ascoltare queste canzoni p r o d o tte d a J a s o n L o e w e n s te in , g ià n e i Se b a d o h e n e i Fie r y Fu r n a c e s - s o mig li u n p o ’
a guardare dagherrotipi antecedenti chissà
q u a le g u e r r a , g e la tin e m a l fe rm e e i p n o t i c h e
a ff id a te c o n v ib r a n te c o c c i u t a g g i n e a l c ro ma tic o g r a c id io d e ll’ o rg a n e t t o , a l g ra c c h i a r e a c id u lo d e lla c h ita r ra , a l l e p e rt u rb a z i o n i
e le ttr o n ic h e e a q u e lla v o c e c o m p u n t a e i n d o le n z ita . Ve d i il D a n ie l J o h n s t o n c re p u s c o l a r e d i Ca tf is h Fr o m T h e P h a ra o h s , i G ra n d a d d y r if le s s i in u n o s p e cc h i o s c u ro d i S c re e n
L ig h t Flu , il Will O ld h a m s v a m p i t o d i G o w a n u s M e a d o w la r k s , g li ag re s t i t re m o ri B l a c k
Heart Procession
d i G r e e n R i v e r,
le labili impronte
G r a n t L e e Bu ff a lo n e ll’ a b b a c in a ta Ba b y f a c e I n A
P i c k u p Tr u c k .
A ltr e tta n ti q u a d r e tti c h e me n tr e
ti comunicano un
senso di spaesame n to n o n d e l tu tto a r r e s o , m e t t o n o i n s c e n a
la s tr is c ia n te p e r s is te nz a d e i c o d i c i A m e ri c a n a ma lg r a d o lo s c o n v o l g i m e n t o p ro v o c a t o
d a lla p o s t- mo d e r n ità . I l t u t t o a l l ’i n s e g n a d i
u n a c a llig r a f ia v o g lio s a d i ra d i c i , d i m i m a re
una perduta purezza attraverso i segni e i
modi del lo-fi più intimista e al contempo
s p e r ime n ta le . G li e s iti s o n o s p e s s o s u g g e s tiv i, tu tta v ia r a r a me nt e l a l a m a s p i n g e i n
p r o f o n d ità , c e r te f e lic i i n t u i z i o n i m e l o d i c h e
rimangono appese a mezz’aria, vittime del
fulcro poetico progettuale. Ne prendiamo
a tto , ma a l c u o r e u n p o ’ d i s p i a c e . (6 . 5 / 1 0 )
St e f a n o S o l v e n t i
The Mountain Goats - Heretic Pride (4 AD
/ Self, 18 febbraio 2008)
Genere: indie pop, songwriting
C’è un’urgenza in John Darnielle, deus ex
machina dei Mountain Goats; una febbrile
ansia espressiva che non può non passare
inosservata, insieme a una vena surreale e
pungente. Un’energia canalizzata in musica,
nella scrittura, nelle innumerevoli manifestazioni della sua creatività, nei concept album che sono stati pensati a partire da Tallahassee (1992) con l’ingresso del gruppo in
4AD. Prima di ciò, una serie di registrazioni
in bassa fedeltà, sin dal lontano ‘95.
L’”orgoglio eretico”, realizzato in tandem
con il fido bassista e polistrumentista Peter Hugues (con Darnielle dagli inizi), vede
SA 81
RECENSIO
il consueto carico di mestizie, la parata di
strambi caratteri in azione, uniti narrativamente in short stories che tratteggiano una
serie di nevrosi. Un altro tassello del romanzo del nostro fervido autore. Nell’album c’è
anche una più accentuata (del solito) vena
rock (l’opener Sax Rohmer #1, la title track),
che si manifesta anche in un drumming secco e deciso (per mano del nuovo batterista
Jon Wurster, di provenienza Superchunk);
sono presenti poi le consuete ballad in acustico marchio di fabbrica (la brumosa So
Disperate, per esempio), insieme all’indie
pop composito e stratificato e alle orchestrazioni made in 4AD. Una vena melodica
che sposa Robyn
Hitchcock ai Belle & Sebastian
(San Bernardino,
New Zion), i Go
Betweens più orchestrali (In The
Craters On The
Moon) a stramberie psych di sapore barrettiano (How To Embrace A Swamp
Creature). In sostanza un mezzo cambio di
rotta verso sonorità più aperte che non guasta, anzi. E che accentua psicoticamente la
freakeria delle liriche di Darnielle (I am coming home to you / with my own blood in my
mouth), che non smette di rappresentarci/
rappresentarsi per bocca dei suoi personaggi. Negli innumerevoli sé che come le tessere di un prisma compongono una dolente e
mai pacificata umanità. (7.3/10)
Teres a Greco
The Oranges – Hit The Centre (Polka
Dots, marzo 2008)
Genere: pop-punk’n’roll
P i a c e v o l i ’s t i O r a n g e s . N i e n t e d i c h e , s i a
chiaro, ma almeno ci mettono passione e
sudore nel tentativo, peraltro riuscito, di
non risultare per forza arty o artefatti, fichi, avant o chissà cos’altro. Puro e semplice pop-punk urlato, melodico, cantato
in coro, sporcato di vezzi glam e attitudine garage, ultracitazionista, al guado tra
K i n k s e p r i m a p s i c h e d e l i c a . Tr i t o e r i t r i to, insomma, ma perfettamente funzionale al messaggio di un disimpegno e di una
leggerezza che di tanto in tanto fa piacere
a s c o l t a r e e c h e s e n e f r e g a d i r u b a r e r i ff
a d e s t r a e a m a n c a . Av e t e t r e s e c o n d i p e r
c a p i r e i l r i ff i n i z i a l e d i B a n g ! ; 2 p e r q u e l l o
di Apologize.
Non resteranno negli annali del rock, ma
colpiscono il bersaglio. (6.2/10)
Stefano Pifferi
The Solution - Will Not Be Televised
(Wild Kingdom, 5 gennaio 2008)
Genere: blue-eyed soul
L a d o m a n d a c h e s o rg e s p o n t a n e a è s e m p r e
quella solita: possono i bianchi cantare il
blues? Ovvero: possono “fare come” i neri
e mantenere credibilità? Senza scomodare consacrati esempi, andatelo a chiedere
a quel bel soggetto di Nicke Andersson
a.k.a. Nicke Royale: la sua risposta sarà
un “sì” fin troppo forte e chiaro nei vostri
timpani. C’è proprio il cantante e leader
degli stradaioli Hellacopters - che, lo ricordiamo, suonava la batteria con gIi Entombed, è attualmente impegnato in numerosi altri progetti e, insomma, non dorme
mai - dietro i Solution, combo ad elevatissima gradazione soul allestito con la gloria
detroitiana Scott Morgan, ai tempi nella
S o n i c ’s R e n d e z v o u s B a n d e a n c o r p r i m a
nei Rationals.
Il cerchio si chiude coerentemente: nella
Motor City vivevano di fatto due anime,
quella devota al roboante rock protopunk
di MC5 e compagni e l’altra facente capo
a etichette dedite a rhythm & blues e derivati (non si vive di sola Motown…). Due
mondi che pur senza parlarsi granché - se
non per tramite di George Clinton ieri e
dei favolosi BellRays oggi - si conoscevano e ammiravano (più i pallidi verso i
“brothers” che l’inverso, probabilmente).
H a s e n s o a l l o r a t r o v a r e M o rg a n f o t o g r a f a to sulla deliziosa copertina retrò di questo
disco in una plastica posa - a metà tra il
g i o v a n e Va n M o r r i s o n ( r e f e r e n t e p l a u s i b i le per le corde vocali) e il Joe Strummer
più sartorialmente stiloso - tanto quanto ne
ha la proposta sonora: un deragliante soul
di stampo Sixties eseguito con conoscenza dei fondamentali e sincero piglio dalla
nutrita line-up in cui non manca nulla, dal
s u c c o s o o rg a n o a g l i a r c h i d i s c r e t i , d a l l a
ribollente sezione fiati alle coriste.
Lo svedese siede ai tamburi e compone due
pezzi ottimi (altrettanto fa il compare amer i c a n o : S o m e b o d y t a l l o n a Wi l s o n P i c k e t t
e Happiness il primigenio funk) come lo
s p r i n t d a D e x y ’s
Midnight Runners con muscoli
f l e s s i Yo u G o t t a
Come Down e una
Yo u N e v e r L i k e d
Me Somehow solarmente Stax. Il
resto si compone
di cover da cultori della materia
che coprono tutto o quasi lo spettro black
d ’ a n n a t a , d a l “ c a l l a n d r e s p o n s e ” H a d Yo u
To l d I t L i k e I t Wa s a l l a m a l a n d r i n a P i c k i n ’
Wi l d M o u n t a i n B e r r i e s , r a g g i u n g e n d o a p i c i
nell’elastica blaxploitation Hijackin’ Love,
n e l l e v e n a t u r e c o u n t r y d i H e a v y M a k e s Yo u
H a p p y , n e l l a t e s a b a l l a t a Yo u G o t W h a t Yo u
Wa n t e d . O m a g g i o f a t t o c o l c u o r e c h e i l G i l
S c o t t - H e ro n c i t a t o n e l t i t o l o g r a d i r e b b e ,
i t r e n t a s e i m i n u t i d i Wi l l N o t B e Te l e v i s e d
si incolleranno al lettore per non staccarsi
più. Arrivano gli Scandinavian Soul Brothers: tenetevi saldi. (7.3/10)
Giancarlo Turra
Thomas Brinkmann – When Horses Die…
(Max Ernst, 25 febbraio 2008)
Genere: glitchblues doomtronica
Un’anima dal profondo mare nero dell’elettronica. Oltre il confine doppiozero. Lui
da vent’anni si nasconde a stento nell’ombra: a stento, perché le sue intuizioni scottano. Lui è il produttore tedesco che l’anno scorso ha contribuito al boom di TBA.
Lui è uno che professa in verbo minimal,
assieme al suo amico Richie Hawtin. Lui
sperimenta e costruisce strumenti dall’alto
della ribollente ghiaccio fuso Max Ernst.
Il nuovo album è una visione che esplora la
voce, un colpo da brivido. La voce da una
parte e il glitch dall’altra. Niente techno,
niente club. Questa volta parliamo di sperimentazione, infarcita delle sensazioni
–brividi sottopelle- assorbite dopo le onde
di Bristol e del fenomeno trip-hop. Oggi
rivisitate dopo il dubstep. Per uno come
Brinkmann, abituato a remixare le tracce più eterogenee e a mutare i suoni con
strumenti home-made, la scelta è infinita.
L’ e t e r o g e n e i t à n o n è p i ù u n a q u a l i t à , b e n s ì
un golem cui fuggire per non disperdersi,
per non perdere la rotta.
Nelle tracce di When Horses Die… il Nos t r o s i è a u t o l i m i t a t o f r a p o c h i s s i m e c o o rdinate, fra paletti essenziali, fra mura che
non sono a specchio, che non riflettono
più laser o strobo: questa volta proiettano l’anima blues. Sembra strano parlare di
blues, ma l’essenza è quella, sapientemente contaminata dalle minimaldiavolerie di
s i n t e s i . L’ i n t r o d u z i o n e c o n i l p i a n o f o r t e
chiama un duetto con l’ultimo David Sylvian, Spiral è una ballad degna del migliore
Nick Cave, Birth & Death un ostinato che
mescola le pulsazioni dei Suicide rallentat e i n u n d u b - r o c k d a r k i s s i m o p o s t - Tr i c k y ,
Meadow ha una coda wave che i Depeche
Mode si sognano
e la canzone che
dà il nome all’album rappresenta
l’equilibrio
perfetto tra voce
cool ed elettronica.
Un minimalismo
astratto che non
coinvolge più solo le macchine, ma che
innesta la voce e il mito blues nell’elettronica. La nuova via che ritrova le armi
vecchie, i circuiti succubi dell’acustico, il
tempo che si rallenta e ci dilata. Ancora
anima, stavolta senza filtri. Una sorpresa
che scalderà i cuori dei clubbers più puri
e che farà meditare più di qualche rocker
sulle possibilità dell’elettronica, questa
volta calda come non mai. Ballate che ci
a c c o m p a g n e r a n n o p e r t u t t o i l f r e d d o i n v e rno. Un ceppo duro a spegnersi.(7.2/10)
M a r c o B r a gg i o n
Walking The Cow - Gengis Kahn vs Sarah
Cat (LDQS, febbraio 2008)
Genere: electro folk
Esce in free download per l’etichetta franc e s e L e s D i k s Q u i S a u t e n t l ’ a l b u m d ’ e s o rd i o d e i Wa l k i n g T h e C o w, r a g i o n e s o c i a l e
m u t u a t a d a u n p e z z o d i R i c h a r d To m p s o n
già apprezzato e coverizzato da Daniel Johnston. Il che è già un bel dire, anche se
col genio naif del texano il quartetto con
base a Firenze non ha troppo a che vedere.
SA 83
RECENSIO
Del resto, un tempo metà del combo suonava negli psycho-indie Mirabilia, qualche
link cogli Spacemen 3 (tra i loro produttori figurò anche Pete Bassman) e qualche
palco diviso tra gli altri con Motorpsycho
e B e v i s F ro n d . D o p o l a f i n e d i q u e l l ’ e s p e rienza e qualche manovra di assestamento,
la nuova compagine propone un punto di
vista pur sempre psichedelico ma a più alto
tasso di pensosità, dalla fragranza allampan a t a , s p a e s a n t e . Ta l o r a r i e s c o n o a s e m b r a r e
dei Julian Cope presi al guinzaglio dalla
P e n g u i n C a f é O rc h e s t r a ( l a r u m b a s t r a l u nata di Mini Farfisa) e talaltra un’estetica
The Books presa a nolo dai Notwist (i baluginii indolenziti di Shapes), adesso frullano un valzerino fragrante tra sciabordii
e campanellini come i Califone più teneri
( To o M a n y N o i s e s ) e s u b i t o d o p o s c i o r i n a no languido french-touch come degli Air
s a b b i o s i ( i l m a l a n i m o r u v i d e l l o d i F re n c h
Kick), per non dire di quella Rock’N’Roll
che narcotizza i “padrini” Spaceman 3 con
un cocktail shakerato dagli ziett i Yo L a Te n g o .
Banjo e Rhodes,
glockenspiel
e
trombe, percussioni polverose
e tastierine pungenti,
c h i t a rre
imbronciate
ed
elettroniche
sprimacciate, questo ed altro ancora per un
senso di patchwork dissimulato, d’instabile visionarietà, come a dire quel che resta
dell’incanto folk-rock dopo tutto questo
destrutturare e stemperare, di cui Red Soul
B o x c i o ff r e i d e a l e a p o t e o s i a p p e n d e n d o i n quietudini doorsiane tra palpitazioni spettrali Iggy Pop, spasmi Stan Ridgway al
ralenti e arpeggi à la Dear Prudence degni
del miglior Grant Lee Phillips. Un disco
che ci mette un po’ a lasciare il segno, ma
poi lo fa bene. (7.0/10)
St e f a n o S o l v e n t i
WHY? – Alopecia (Tomlab / Wide, marzo
2008)
Genere: hip pop
Non è p r o p r i o il titolo ideale per un a lbum
p o p , A l o p e c i a . U n po’ come chiam ar e un di-
sc o “ va r ic e lla ” , “ mor billo” , inso mma , n ie n te di sof t. “ Una me tafora pe rso n a le ” la d e f inisc e Yoni Wolf , le a de r di un te r z e tto c h e
sa sempre di più
di pr oge tto pe rsonale, ma che lui
ste sso c i tie ne a
de f inir e una ba nd
a tutti gli e ff e tti.
I l se c ondo a lbum in studio di
Why? fa un passo
a va nti e d uno indie tr o, r ispe tto a l
pr e c e de nte Ele phant Ey e lash. Av a n ti n e lla
c omple ssità , indie tr o ne llo sgua r d o , n e ll’ a p pr oc c io, r ivolto a d un pa ssa to no n tr o p p o r e moto, que llo de ll’ hip hop e , sop r a ttu tto d e i
c LOUDDEAD, tr a sc ur a to ne ll’ es o r d io , f o rse per una maggiore necessità d i a ff e r m a r e
la pr opr ia ide ntità di music ista . L’ imp r o n ta
è la ste ssa : r ic e r c a di me lodie a c c a ttiv a n ti e facilmente memorizzabili, c o s t r u z i o n i
più o me no line a r i, singoli da c la s s if ic a e
a r r a ngia me nti de gni di c hi e sper ie n z a n e h a
da vendere. A tutto ciò, però, s i a g g i u n g e
una ma ggior e a pe r tur a a lla c on ta min a z io n e
e , sopr a ttutto, un a c c e nto più m a r c a ta me n te
hip hop, poc o pr e se nte ne l pr e c e d e n te e p isodio de lla se r ie .
Alope c ia è una f a bbr ic a di sing o li c h e f u n zionano, ma che rischiano, co m e t u t t e l e
be lle c ose e a sy liste ning, di c ons u ma r s i p r e sto a suon di a sc olti: The Holl o ws ( d i c u i
a ve va mo già a vuto modo di pa r la r e q u a lc h e
me se f a in oc c a sione de ll’ usc it a d e ll’ o mo nimo EP) , Fatalist Palmistry , l a b a lla d S ime on’s Dile mma, sono c a nz on c in e a z z e c c a te in pe r f e tto stile W hy? , ma p e r f o r tu n a
non esauriscono l’offerta di un a l b u m c h e ,
a l c ontr a r io, spa z ia molto, pr ov a n d o a d in va de r e più te r r itor i music a li po s s ib ili. Th e
Vowe ls pt. 2, con i suoi arrangi a m e n t i e l a
c ur a pe r le pa r ti voc a li va r r e bb e d i p e r s é
il disco, se non soffrisse di q u e s t a s o r t a
di obbligo f or ma le de ll’ a lte r na n z a s tr o f a r itor ne llo, me ntr e The se Fe w P re s id e n ts e
Gnashv ille , con la loro drum m a c h i n e d a l
suono vinta ge , ha nno l’ a r ia di u n p e r s o n a le
oma ggio a lla ne w wa ve a nni ’ 80 . I l s in f o n ismo a le ggia in Song Of The Ass a s s in , d a l l a
str uttur a più a r tic ola ta e più vicin a a lla f a n tasia compositiva dei cLOUDD E A D ( c o m e
p u r e n e l c a s o d i B ro o k A n d Wa x in g ) , m a è
l’ h ip h o p a r a p p r e s e n ta r e il v a lo r e a g g iu n to
di questo disco. Il rapping lento e ipnotico
d i Yo n i è d i g r a n l u n g a p r e f e r i b i l e a l s u o
la me n to s o me lo d ia r e . Th e F a ll O f M r. F ifth s , A S k y F o r S h o e in g H o r s e s U n d e r , il r a p
r o ma n tic o n e d i B y To r p e d o O r Cro h n ’s ( c h e ,
in v e r ità , c i e r a p ia c iu ta d i p iù n e l r e mix
d i D n te l c o n te n u to n e ll’ E P T he Ho llo ws ) ,
sono la dimostrazione di cosa è capace di
f a r e W h y ? q u a n d o n o n e s a u r is c e tu tta la s u a
forza creativa nel comporre ritornelli che
funzionino, seguendo una strada che rende
giustizia ad un passato dal quale sarebbe
s b a g lia to v o le r s i d is s o c ia r e . ( 6 . 9 /1 0 )
Daniele Follero
X-Mary - X-Mary al Circo (Wall ace
/ Audioglobe, gennaio 2008)
Genere: crossover freak
Q u e s to d is c o p a s s a r a p id o c o me u n o s to r mo
d i r e tr o p e n s ie r i n e r i e r id a n c ia n i. Co me le
d ie c i ( ! ) e tic h e tte c h e lo s p a lle g g ia n o ( Ba s u r a , Be H e r e , D is c h i d i Pla s tic a , D o n n a b a v o s a , E s c a p e f r o m To d a y, M a r i n a i o G a i o ,
Re b e l K id , Sma r tz , Ta f u z z y, Wa lla c e Re c o r d s ) . Co me i n o m e s d e p lu m e d i q u e s t i
r a g a z z i, ma s c h e r e s e mp r e d iv e r s e , in s f r e n a to mu ta me n to : s ta v o lta s i f a n n o c h ia ma r e
Cristiano Cristiana, Lo Sposo, Bocca Mai
S t a n c a e I l P i c c o l o L o r d . S o n o g l i X - M a r y,
f o lle tti f r e a k - r o c k v e r s a tili e p u n g e n ti, s u rreali e spietati, poetici e feroci. Sfornano
il te r z o la v o r o a n c o r a s o tto la b e n e d iz io n e
p r o d u ttiv a d i Fa b io M a g is tr a li e lo c a p is c i
s u b ito p e r la b r u s c a e d e s s e n z ia le p ie n e z z a
d e l s u o n o , c e ff o n e f e s to s o d a lle c o n s e g u e n ze brucianti e vivaddio.
I quattro lombardi scelgono di restringere
il calibro per guadagnare in penetrazione,
“ s o lta n to ” q u a tto r d ic i le tr a c c e ( p iù u n a f u gace ghost track) ossia una decina in meno
d e l s o lito , v e n tis e i min u ti in to ta le , d u r a n te i q u a li la s a r a b a n d a s i c o n s u ma tr a f e la ta e imp e tu o s a , u n b e l b a c io a l s a n tin o M inut e m e n - s e m p r e s i a n o l o d a t i - e v i a c o l
cabaret. Con le sagome, i caratteri, quei
p a r a d i g m i e b b r a c i d i s c a n z o n a t i , t u rg i d i ,
travolgenti, lame che saettano a sbuzzare
a lle g o r ie g a r r u le e min a c c io s e , tip o l’ a c r e
f o llia p o s t- f e llin ia n a d i G i a c o m i n o i l re d e l
c irc o o u n a F a tim a c h e s b r ig lia b o s s a b e f farda in derapage boogie rammentando un
P a o lo Za na r di s o l o p iù l u n a t i c o . E p p o i , a l
s o lito , il r a s o te r r a q u o t i d i a n o c h e t i e s p l o d e
c o me u n a la n c in a n te p r e s a d i c o s c i e n z a c u l tu r a le /c o r p o r a le , q u a n d o l e t ra d i z i o n i s o n o
a s s ie me c o n f o r to e c o n d a n n a e t i s q u a rc i a n o i c o mp a r time n ti s ta g n i t ra g l o b a l e e l o c a le : v e d i c o me u n a ipe rc a l o ri c a Ru s u m a d a
diventa funk psych impetuoso e cialtrone,
o c o me La s e r a d o p o il r a c c o l t o s e m b r i d e i
J a n e s A d d ic tio n a mmo r b i d i t i a t e q u i l a . N o n
ma n c a n o i f u lmin e i r a gl i h a rd c o re n o i s e e l e
s c o r r ib a n d e p u n k - f o lk , c o n s u e t o i n t e rc a l a r e n e l lin g u a g g io
dei Nostri, che
u n p o ’ d i s g a rb e r ie in s c a le tta
ci stanno sempre
bene. Meno consuetudine invece
nel
dance-rock
tu tto s ib ili s id e r a li, b a s s o tu rg id o e c h ita r r e e f f e tta te d i L’ a m ic o
d e ll’ a m ic o ( c o n l a
mic r o p s ic o s i h o r r o r d i q u e l “ m i c i o . . . v i e n i !”
nel finale), nella torcida tribal desert funk
d i M o h a m e d S a h a r a , n e l c ro s s o v e r s g ra n a t o
tr a f a n ta s mi d u b d i M o t o r i n o e s o p r a t t u t t o
in q u e lla M a rc o ti a m o c h e c o m p i e s v a m p i t a
c a r ic a tu r a Luc a C a r bo n i t r a b r u m e s p a c e y
e t u rg i d a r o c k e r i a d a s t a d i o .
N o n c h e c i s tu p is c a l’ im p re v e d i b i l i t à , n e g l i
X - M a r y, il c u i in a ff e r ra b i l e , fi e ro e i m p e tu o s o d ile tta n tis mo è a n z i g a ra n z i a d i n o n convenzionalità. Anzi: di libera, garrula,
min a c c io s a r iv a ls a . ( 7 . 2 /1 0 )
St e fa n o S o lv e n t i
SA 85
RECENSIO
LIVE
A lt r o - Spa z i o 2 1 1 , T o r i n o ( 9
f e bb r a i o 2 0 0 8 )
A r r i v i a m o a l l o S p a z i o 2 11 i n c l a m o r o s o r i tardo, convinti di aver perso un concerto
che inseguiamo da anni e invece gli Altro att a c c a n o i n q u e l m o m e n t o . S O C K ! L’ e ff e t t o
è quello di un pugno in faccia, inaspettato.
Un pezzo dietro l’altro, senza tregua,
istantanee sonore e emotive come su disco, senza concessioni alla dimensione
l i v e c o n d i l a t a z i o n i s t r u m e n t a l i o i n t e rmezzi parlati. Uno due tre quattro. Basso
batteria chitarra voce. BaronKarza e soci
non si risparmiano, essenziali e intensi.
A l e s s a n d r o c h e u r l a , g l i s t r u m e n t i c h e u rlano, corde e pelli torturate oltre i limiti.
Mezz’ora di Altro. Mezz’ora d’altro.
Un pugno in faccia, appunto, di quelli che lasciano il segno per giorni.
Incredibile la reazione del pubblico: indieciondolante come se fosse sul tram 18 o intento
a scattare foto digitali per il Flickr personale.
In un altro tempo, in un altroquando avremmo visto più stagediver sul palco che gente
s o t t o . Tu t t o q u i .
Pa o l o G r a v a
E x - Ota g o – P i s a ( 2 f e bb r a i o 2 0 0 8 )
Fortissimamente voluto dagli appassionati
e competenti gestori del circolo (che per
inciso me li hanno fatti conoscere) e già
rimandato una volta causa orecchioni del
chitarrista, il concerto del gruppo genovese al Caracol rischiava di risolversi in una
delusione con tendenze verso il disastro:
colpa dell’impianto - ovviamente durante
il soundcheck funzionava alla perfezione che fa sì che i primi venti minuti consistano
esclusivamente in Robilante e Luisa (neanche fossero canzoni dei Dream Theater),
annegate tra risonanze delle corde basse
della chitarra, spie che non funzionavano,
gruppo perplesso e tentativi disperati - al
punto di coinvolgere perfino il sottoscritto
- di risolvere questi problemi, peraltro con
risultati relativi.
M a q u a n d o t u t t o p a r e v a p e r d u t o è i n t e rvenuto a salvare la serata il pubblico, più
che altro una curva: non solo per l’ampia
Ex-Otago
presenza di tifosi del Pisa - come tali aizzati dalla sciarpa nerazzurra sfoggiata dal
tastierista-freestyler Pernazza e dai suoi
cori, anche su Livorno (se la mappa delle
curve è la stessa di un tempo dovrebbe essere genoano )- ma proprio per il calore, il
sostegno e l’incitamento che rivolgono al
gruppo, cantandone anche – incredibile tutte le canzoni.
Certo, i testi degli Ex-Otago non sono proprio dei poemi, ma quelli sotto il palco
non perdono un colpo: e a furia di incitamenti a un certo punto il cantante raccoglie quest’entusiasmo e suona la carica al
gruppo, il quale a quel punto parte a rotta
di collo per un concerto furioso che sposta
verso il punk il loro pop anni 2000 venato
di malinconia ironica, accentuando quella
sgangheratezza che costituisce uno degli
elementi centrali della poetica dei Nostri.
Il set non è lunghissimo e manca pure Going
To P a n a m a , i n t e g r a t a d a u n ’ a n t e p r i m a d i
Settembre (ripescata da un vecchio demo
con destinazione prossimo album), ma
è torrido, scatenato, sudato e gioioso, al
punto che verso la fine il solito Pernazza
decide di imitare il Gabriel dei tempi d’oro
e si butta di schiena sul pubblico, che se lo
porta un po’ in giro e lo solleva costringendolo ad aggrapparsi a una specie di tubo
d i f e r r o s u l s o ff i t t o , m e n t r e s i f a i l s e g n o
della croce sperando di riuscire a scendere illeso: ci riesce - visto che la serata è
buona e magica - avendo solo aggiunto un
po’ di sudore freddo a quello bollente del
concerto.
Il post concerto vede il pubblico estremamente soddisfatto e consapevole fino ad un
certo punto di aver “fatto” la serata chiacchierare tranquillo con la band - tanto contenta quanto sorpresa - di una data che non
dimenticheranno davvero, né gli uni né gli
altri.
G i u l i o Pa s q u a l i
N e i l Y o u n g - T e at r o d e g l i
A r c i mb o l d i , M i l a n o ( 2 4 f e bb r a i o
2008)
U n v e ro e p ro p r i o “ J o u r n e y T h ro u g h t h e
Past”, che mette insieme il Live at Massey
Hall e Live Rust.
Che sia ormai diventato l’Old Man di cui
cantava un tempo, è un fatto tanto naturale
quanto necessario; i suoi ultimi album in
studio ne sono un onesto, apprezzabile, inevitabile riflesso. Normale, però, Neil non
potrà mai esserlo. C’è sempre stato qualcosa
che lo ha reso assolutamente unico: quella
folle imprevedibilità, quei repentini, istintivi, irragionevoli cambi di rotta che gli
h a n n o f a t t o g u a d a g n a r e l ’ i n e ff a b i l e n i c k n a m e d i S h a k e y . I l C o n t i n e n t a l To u r c h e s t a
portando attraverso l’Europa in questi primi
mesi del 2008, in - apparente – promozione
del recentissimo Chrome Dreams II (altra
operazione dal retrogusto sardonico), è in
verità il prodotto dell’istinto selvaggio di
un Loner non ancora domo, anzi capace di
c o l p i d i c o d a c h e p o s s o n o p e r f i n o u c c i d e rti. Già, perché i soli primi quaranta minuti
d i s h o w, i n t e r a m e n t e a c u s t i c i , t o g l i e r e b b e ro il fiato a chiunque. Soltanto immagina-
re l’Uomo da solo sul palco, circondato da
sette chitarre, che si lancia da quasi subito
in una rara Ambulance Blues direttamente
da On The Beach, in una Mellow My Mind
al banjo (come nel tour del ’76), per poi
buttarsi a capofitto nei grandi classici di
Harvest (A Man Needs A Maid, Harvest,
Heart Of Gold, Old Man) non senza aver
riservato un certo spazio ad alcuni inediti
assoluti tratti da Homegrown, l’album del
1975 mai pubblicato (Love / Art Blues, Sad
M o v i e s , Tr y ) … b e h , s o l t a n t o i m m a g i n a r e
questo ferma il cuore, figuratevi viverlo.
Con un set che attinge al 95% dagli anni
’ 7 0 , l ’ o d o r e d i r i s c o p e r t a d e l p a s s a t o è f o rt i s s i m o ( v e d i a l l a v o c e A rc h i v e s … ) ; m a p i ù
che della nostalgia, Neil sembra vittima di
un antico fuoco che, grazie a dio, continua
a b r u c i a rg l i l ’ a n i m a . Q u e l l o s t e s s o f u o c o
che nella seconda parte dello spettacolo gli
fa imbracciare la fida Old Black per assalir e M r. S o u l , H e y H e y M y M y , P o w d e r f i n g e r
e Cinnamon Girl, sparate fuori una dopo
SA 87
RECENSIO
prurient
l’altra come se ogni nota suonata fosse
l’ultima. E anche se non ci sono i Crazy
Horse (eccetto Ralph Molina, più Rick Rosas e l’inseparabile Ben Keith – usato per
la prima volta anche come chitarrista ritmico, il che la dice lunga sull’istinto del
N o s t r o ) , i l s u o n o è u g u a l m e n t e p o t e n t e , a rricchito dai cori della moglie Pegi (peraltro, protagonista di un set d’apertura tutto
per sé) e del songwriter Anthony Crawford;
a completare il quadro, le lunghe versioni
di Down By The River e della recente No
Hidden Path - uno dei pochissimi estratti
dall’ultimo disco, per inciso - dimostrano
ampiamente come il gusto per le cavalcate
d a d i e c i m i n u t i n o n s i s i a a ff a t t o s p e n t o .
L’ i m p a t t o e m o z i o n a l e d e l l o s h o w, s i s a r à
capito, è indubbio, così come quello musicale. Non è da meno quello visivo/concettuale, con l’artista – e road manager di
Yo u n g – E r i c J o h n s o n a d i m p r o v v i s a r e s u l la tela dipinti astratti durante le canzoni,
per poi esporre, nel corso del set elettrico,
un quadro a tema per ogni canzone eseguita. Esistesse il concerto perfetto, questo ci
andrebbe molto vicino.
Antonio Puglia
N e tm a g e – Pa l a z z o R e E n z o ,
Bologna
(24, 25, 26, gennaio 2008)
È ormai notte inoltrata quando la sagoma
di Dominick Fernow aka Prurient sale sul
palco del Netmage, nella giornata conclusiva del festival. La sua esibizione durerà solo 10 minuti, ma più che sufficienti
per dimostrare agli astanti un saggio dello
“state of the art” del noise a stelle e strisce. Una rara cattiveria e depressione sonora risiede nella sua proposta e dopo un
t a l e a n n i c h i l i m e n t o s o n o r o l a m e n t e c o rre alle prime edizioni di Netmage, quando
gran parte delle esibizioni consistevano in
nerds seduti davanti al loro laptop attenti
a controllare complessi algoritmi musicali. È la semplicità ora che colpisce se è
v e r o c h e l e c o s e m i g l i o r i d e l l a t r e g i o rni bolognese sono arrivate da artisti che
utilizzavano tecnologie povere e analogiche per lo più. Come il sintetizzatore del
golden boy del noise Carlos Giffoni tutto
drones e feedback o come la rievocazione
minimal del fantasma del primo Maurizio
Bianchi dei Demons, o i cortocircuiti di
amplificatori di Nastro Mortal, il proget-
to di Luca Massolin (8mm recs) e Giovanni
D o n a d i n i ( Wi t h L o v e , C a n e d i c o d a ) . H a n n o
generato rumori assordanti al limite della
sopportazione anche il duo Derek Holzer/
Sara Kolster con il loro concretismo noise prodotto da pellicole cinematografiche,
una delle rivelazioni del festival. Mentre
l ’ e s i b i z i o n e d e l d i v o N i c o Va s c e l l a r i e
il suo Choir, live per 10 microfoni e 20
sorgenti audio, ha intasato l’etere con le
sue stratificazioni di voci sposate a dosi
m a s s i c c e d i d e l a y. N e l l o s p a z i o L i v e M e d i a F l o o r i l f e s t i v a l h a s e g u i t o u n p e r c o rso più tradizionale, largo allora a laptop
e maxischermi dove venivano proiettate
le immagini di supporto. Di sicuro il set
che più ha richiamato attenzione è stato
quello di Olyvetty di Claudio Rocchetti
e Riccardo Benassi, alle prese con vinili, giradischi, cd, drum machine seviziati
abusati, rivitalizzanti. Un sorta di cerimonia di distruzione/costruzione spigolosa e
rumorosa abbinata ad una efficace attitud i n e p e r f o r m a t i v a d e i d u e . Tr a l e d e l u s i o n i
sicuramente il live di Pita in coppia con la
vj Jade, alle prese con un incolore bordone digitale il primo e banali figure digitaline seconda; è possibile che la sfiancante
esperienza live di KTL cominci a lasciare
il segno. Chi non delude affatto è la coppia Russell Haswell/Florian Hecker con
i l l o r o U p i c D i f f u s i o n . C o n t i n u a z i o n e p e rformativa del disco Blackest Ever Black
con l’aggiunta di speaker multicanale
combinato con luci stroboscopiche. Mai
come quest’anno Netmage ha dimostrato
di essere un laboratorio di idee, spesso anche in contraddizione tra loro, ma vivace
e dinamico come un festival di questo tipo
dovrebbe sempre essere.
N i c o l a s C a mpa g n a r i
To Rococo Rot – Covo, Bologna (15
f e bb r a i o 2 0 0 8 )
Niente video, si suona e basta ma con batteria e basso live: è quanto basta per dare
la stura a uno show non attesissimo con
protagonista una band che per un eyes
wide shot fu famosa quanto i Kraftwerk.
Al Covo infatti, la sala si riempie di molti dei ragazzi che li videro al Link tanto
tempo fa quando una scena, quella tedesca,
fremeva e sturmdrangava come nei mitici
Settanta. Aspettative e mitologie di allora
sono decisamente scemate oggi, e anche se
la stampa pompa (e il mito casca comunque in piedi), a tutte queste considerazioni
q u e l l i m e n o i n t e r e s s a t i s o n o i t r e To R o c o co Rot che, poco prima del concerto, si aggirano indisturbati tra la gente con in testa
lancette sinaptiche probabilmente congel a t e . Vi v r a n n o p e r s i n e l l a l o r o B e r l i n o E s t
e con utilità e protestante abnegazione tedesca ti saliranno sul palco portandosele
appresso, quelle lunghe figure dall’altezza decisamente deutch. Del resto, i tre
non sono mai stati dei draghi in quanto
a manager di loro stessi: il recente Abc
123, un eppì striminzito, non rappresenta
il ritorno sulle scene che può far svoltar
loro la carriera, tantomeno attirare le nuove leve, e se il lavoro sale la china rispetto al suo mediocre e lontano predecessore
( H o t e l M o rg e n ) , s i a m o l o n t a n i d a A m a t e u r Vi e w e d a l m i t i c o 1 9 9 6 . P o c h e b a l l e ,
niente grande evento questa sera, niente
To r t o i s e a s u o n a r e e i l p a r a g o n e n o n è c a suale, perché fa un po’ rabbia pensare al
t a l e n t o e a l l e p o t e n z i a l i t à d e i To R o c o c o
nei Novanta: potevano vantare d’aver traghettato e plasmato il sound di McCombs
e soci in terra d’Alemagna riportandone il
sound a casa, iniettandogli antiche squadrette e un po’ d’amore per l’architettura e
il design concettuale. Eppoi come fa stizza
sentirli suonare, giocano con gli strumenti con inusitato calore e spirito persino
latino, non che latino faccia la differenza sia chiaro, eppure la scioltezza e l’incastro analog-digitale sono impeccabili,
tanto che ti domandi perché quel cazzo di
disco non l’abbiano suonato come stanno
facendo stasera. A metà scaletta parte un
b r a n o d i Ve i c o l o c h e n o n è m a i s t a t o t a n t o
To r t o i s e . Q u e l b a s s o f u o r i e q u a l i z z a z i o n e
se lo meritano tutto ma non ci imbarazza
dirlo: sono dannatamente affascinanti. Si
direbbero un indie band con i fiocchi ma
tredici anni di carriera sono tanti. E sicuramente potevano meritarsi l’Estragon che
accoglie a Bologna le band più importanti. Loro hanno deciso diversamente ed è
probabile che il destino abbia fatto la sua
parte. Bisognava esserci.
Edoardo Bridda
SA 89
WE ARE DEM
WE ARE DEMO #25
I migliori demo giunti nelle nostre cassette postali. Assaggiati, soppesati, vagliati, giudicati dai
vostri devoluti redattori di S&A. Testo di: Davide Brace, Stefano Solventi, Fabrizio Zampighi
Noise Room – Moon Or I’m A
Not t e e d i l a t a zione, luci riverberate a d a ll u n g a r si a l l ’ o rizzonte, com e guardar e pa ss are m a c c h i n e sull’autostrada con le la c r ime
agl i o c c h i . A r ia. E poi via che si par te : volt e ce l e st i , p o m pa magna noise, suite c hita rri s t ic h e u l t r a e m ozionali, gloriose me lodie
f a t t e s o l o d i accordi distorti ad inseguirsi
s en z a so l u z i o n e di continuità, onde c he va nn o e v e n g o n o , non c’è inizio non c’è fine.
Lo c h i a m a v a n o post rock, nello spe c if ic o
p arr e b b e d a l l e parti di G od Machine , Mog wai c o n u n a tastiera che pare arrisc hia r si
t ra D a v i s e Ja rre . Tutto fatto molto be ne
e s o p r a t t u t t o efficace che alla fine è que llo
che c o n t a . O g ni tanto ci vuole (voto: 7.0/10
web : w w w. m y space.com/noiseroom) . ( d.b.)
Rumori dal fondo - Imperfezioni
J eff Bu c k l e y, accenni post-rock, v a ghe z z e
Rad i o h e a d p r i ma m aniera su basi sinc opa te .
Di t u t t o u n p o’ in questo Imperfezioni de i
m i l a n e si R u m o ri dal fondo, in dosi c onsig l i a t e e s e n z a esagerare con nessuno degli
i n g r e d i e n t i . P er dare il giusto appea l a un
s uo n o i n b i l i c o tra spigoli e narcosi, le gge re a c c e l e r a z i o ni e cambi di tem po, e otte n e r e d o d i c i t r acce chitarra, batteria, basso,
s yn t h c a p a c i d i solleticare l’immagin a z ione ,
ri chi a m a r e q u alche eroe locale – i M a r le ne
Kun t z d i D e ri ve - e regalare tre quarti d’ora
d i m u s i c a s o p r a alla media
(v o t o : 6 . 7 /1 0 w eb: w w w.myspace. c om/r um o ri d a l f o n d o ) (f.z.)
The Shadow Line - Elvis Lives, Paul Is
Dead And I’m Feeling Very Well
Qua r t e t t o a t t i vo dal 2002 arrivati a l quint o c d - r a u t o p r odotto, quattro pezzi c he a f f o n d a n o l a l a ma pop-wave così come si usa
p are c c h i o u l t i mam ente, scozzando l’ imme d i ate z z a c a t c h y e l’aura allarmata, il c a z z on i s mo sa p i e n t e Franz F erdinand e la br uma
t rafe l a t a d e i Teenage Fanclub, salvo poi f a rci i n t u i r e l a g enerosità im petuosa de i mig l i o r i S i m p l e Minds in un errebì c onvulso
vagamente Dandy Warhol. Bell a e t o s t a l a
qua dr a tur a , se nz a e c c e ssi, l’ e le ttr o n ic a la vor a a i ma rgini c on c ur a , la sc r ittu r a è s o pra la media, voce adeguata al l a b i s o g n a .
Ci sia mo qua si, è solo que stione d i te mp o e
te na c ia ( voto: 6.7/ 10 we b: www. th e s h a d o w line .it) . ( s.s.)
La biblioteca deserta - s/t
Quattro i brani dell’omonimo p r i m o d e m o
de La bibliote c a de se r ta , pe r tr e n ta q u a ttr o
minuti. Una durata media che d e s c r i v e u n a
formazione innamorata delle d i l a t a z i o n i
spa z io- te mpo tipic he de l post- ro c k – M o g wa i in te sta – ma a nc he di solu z io n i mu s icali morbide e lentezze snodate , i n d o l e n z e
se nz a e nf a si e c onsa pe vole z z e s u a d e n ti, s o br ie tà str ume nta li e sla nc i r a gi o n a ti. I l r isultato finale dà ragione ai cinq u e m u s i c i s t i
di Monopoli, se è ve r o c he f a r si c u lla r e d a lla lor o music a r isulta f a c ile e p o c o d is p e n dioso, qua si c ome be r e un bic c h ie r e d ’ a c q u a
( voto: 6.5/ 10 www.myspa c e .c om /la b ib lio te c a de se r ta ) ( f .z .)
Lunacy Box – New Saints & Punishers
Già nel 2006 avevamo passato a l s e t a c c i o
il de mo/Ep c he a ntic ipa va l’ us c ita d i q u e sto Ne w Saints & Punishe rs e i l g i u d i z i o
complessivo sulla formazione t i t o l a r e d e l
pr oge tto e r a sta to più c he positi v o . L e c o s e
non cambiano ora che anche p e r i L u n a c y
Box è ve nuto il mome nto de l pr imo “ lu n g o metraggio”, una tappa obbligat a r a g g i u n t a
c ompr ime ndo in die c i tr a c c e tut to lo s c ib ile
su gothic e e le ttr o- r oc k, a ff ina n d o u lte r io rme nte l’ e ne rgic a f usione di stili c h e c a r a tte r iz z a va già in pa ssa to la pr opos ta mu s ic a le
de lla ba nd. A r e gge r e le f ila la v o c e in te n sa e suadente di Ms. Larsen, i m p e g n a t a a
inerpicarsi tra toni decadenti, s t i l e t t a t e d i
c hita r r e e le ttr ic he , ma c c hine , lir is mo e v o cativo e accompagnata da una b a n d c a p a c e
di c r e a r e osc ur e sugge stioni in n o te ( v o to :
6.8/ 10 we b: www.myspa c e .c om/lu n a c y b o x ) .
( f .z .)
White Pagoda - sELF TITLED
Sa r e b b e u n a f o llia f a r p a s s a r e s o tto s ile n z io q u e s ti W h ite Pa g o d a . Sa r e b b e u n a f o llia n o n d a r lo r o la p o s s ib ilità d i in c id e r e
u n d is c o . Pe r q u a le mo tiv o ? Pe r c h é d i p u n k r o c k b e n f a tto
come quello della formazione aretina, in giro, ce n’è davvero
p o c o . Pe r c h é n e s s u n o me g lio d i lo r o p o tr e b b e p a r la r e d i Bu z z c o c k s , D a m n e d , S t i ff L i t t l e F i n g e r s , R a m o n e s , H i v e s c o n t a l e
c o g n iz io n e d i c a u s a . Pe r c h é n e i v e n titr é min u ti d i c h ita r r e a l
vetriolo del loro demo, non c’è una sola sbavatura, un luogo
comune, un momento di sconforto. Certo capire anche quello
c h e c a n ta n o , o g n i ta n to , n o n s a r e b b e ma le , ma n o n è s e mp r e p o s s ib i l e , v i s t o e c o n siderato che negli undici brani in scaletta – spesso sotto i due minuti di durata - ci
s i r i t r o v a s o m m e r s i d a r i ff s e l v a g g i , s c h i z o f r e n i e r i t m i c h e , d i r o m p e n t i c a v a l c a t e
e le ttr ic h e , p u ls a r e s e r r a to d i b a s s o , in q u a lc h e c a s o a i c o n f in i c o n l ’h a rd c o re (T h e rapy). Roba che ti verrebbe da mandare tutto a quel paese, indossare le tue converse
s g u a lc ite e mu o v e r e il c u lo c o me f a c e v i a s e d ic i a n n i, q u a n d o e r i u n g i o v a n e s c a p e s tr a to in c a p a c e d i d a r e d e l “ le i” ( v o to : 7 . 3 /1 0 w e b : w w w. my s p a c e . c o m / w h i t e p a g o da). (f.z.)
DOT - Crackhouse Rock
Assieme dal novembre ‘04, già un demo
a lle s p a lle , s e le z io n a n o 5 tr a c c e tr a le mo lte
già in cantiere per confezionare questo ep
a ll’ in s e g n a d i u n in d ie r o c k imp e tu o s o , f ig lio d i c o lle g e r o c k e h a r d c o r e p o p , a mmic cando l’icastico cliché nirvaniano e certa
e ff e ttis tic a s in te tic a c h e li p o r ta d a q u a lc h e
p a r te tr a A s h e D e f L e p p a r d ( s i p r e n d a B a lo o n ) . N o n s i e s c e d a q u e s to c ir c o lo - e b b e ne sì - vizioso, che si tratti di ballad come
D o o m e d Lo v e o s p a s mi c o mu n q u e p r e g e v o li
q u a li A s k F o r M o re e O u t Th e D o o r . H a n n o il p ig lio g iu s to , q u e lle d u e o tr e b u o n e
id e e c h e r a v v iv a n o u n a c a n z o n e . Se r v ir e b b e
u n o s c a tto d e s tin a z io n e o r ig in a lità , d i q u e lle pescate nel torbido pozzo del se stessi
la s c ia to a h imé in d ie tr o ( v o to : 6 . 2 /1 0 w e b :
w w w. my s p a c e . c o m/d o tme w z e e k ) . ( s . s . )
Sospirinaria – s/t
Un power-pop incalzante quanto di facile
consumo quello dei Sospiriaria, sviluppato in
nove tappe di un sillogismo in note che cita
i Verdena senza prenderne a prestito l’obliquità, si affida al punk senza alzare troppo
la cresta, giochicchia col noise e con la melodia. Il risultato è un disco ambivalente, in
cui ad una parte strumentale pregevole e ben
suonata si affiancano liriche non del tutto
quadrate e il dubbio – lecito - che uno degli
obiettivi primari della proposta sia allargare
il più possibile il parco ascoltatori. Un peccato, se si pensa che chi suona avrebbe tutti
i numeri per raggiungere risultati meno ortodossi ma decisamente più interessanti (voto:
6.0/10 web: www.sospinaria.it) (f.z.)
Fabrizio Basciano - Le mie prigioni
Venticinque anni anzi 26, calabrese di Lamezia Terme anzi (ormai da sette anni) romano, laureato DAMS, alle spalle già una
soundtrack per un cortometraggio: Fabrizio
Basciano fa rock wave che sfiora estri autoriali, incorpora additivi sintetici con lena
eighties, sciorina discendenze prog filtrate
electro come battiatismi di recupero, qualcosa della trepida solennità Sylvian (nella voce,
soprattutto), addirittura una mischia Camerini-CCCP (in Non mi piace stare in giro) tra
campionamenti allampanati, chitarre e synth
allibiti, drum machines preda di nevrosi stecchite. Una certa saccenza da “son poche le
risorse ma ho tanto cervello” che non regala
granché valore aggiunto al patchwork beffardo (Andante), decisamente meglio fanno i
melismi orientali in Harmonic Body And The
Last Days però su base electro-funk invero
un po’ stantia. Insomma, qualche buona idea
e discreti mezzi in attesa di ulteriori (migliori) guizzi (voto: 6.0/10 web: www.myspace.
com/fabriziobasciano). (s.s.)
SA 91
rearview mi
Shawn Phillips
Contributo di un Uomo
Dal Texas all’Africa, in un volo senza rete a cavallo di uno spirito libero ma incorrotto. Shawn
Phillips si racconta, apolide “troubadour” che, dai ’60 ad oggi, mantiene viva una creatività
incapace di arenarsi al folk rock tinteggiato di eco orchestrali dei più noti capolavori.
Testo: Filippo Bordignon
Bill Graham, music promoter e talent scout
dei Sixties per antonomasia, lo definì “Il
più grande tesoro nascosto di tutto il music
business”. Shawn Phillips (classe ‘43), texano di nascita ma apolide da una vita intera è l’artefice di un viaggio artistico che,
i n 4 4 a n n i d i c a r r i e r a , h a e l a rg i t o m u s i c h e
immerse negli umori di ogni stile gli sia
capitato d’incrociare. Persa la madre appena tredicenne egli comincia a viaggiare
per il mondo assieme al padre, lo scrittore
di spy story James Atlee Phillips. Lecito
pensare che l’ecletticità senza frontiere del
musicista debba molto al contatto in tenera
età con culture, tradizioni e generi musicali diversi tra loro; fatto sta che, imparati i
rudimenti di chitarra e pianoforte, all’alb a d e i ’ 6 0 , n e l G r e e n w i c h Vi l l a g e c o m e a
Haight-Ashbury già si parla delle vibranti
esibizioni di un nuovo cantautore.
L’ e s o r d i o c o n I ’ m A L o n e r ( C o l u m b i a , ’ 6 4 )
raccoglie una serie di interpretazioni per
voce e chitarra acustica a 12 corde di rara
m a t u r i t à . L’ i n f l u e n z a , c h i a r a d a i p r i m i a c cordi, è per la tradizione di folk appalachiano e per il cantautorato risalente alla
g r a n d e d e p r e s s i o n e ( Wo o d y G u t h r i e s u
tutti). Da segnalare, tra i 3 pezzi originali,
l a c l a s s i c a L i t t l e Ti n S o l d i e r ( p o i c e d u t a
all’amico inglese Donovan per il notevole
Fairytale). Con il successivo Shawn una
più complessa gamma di sentimenti si fa
strada attraverso commoventi dolcezze (il
t r a d i t i o n a l S e e k A n d Ye S h a l l F i n d ) , d e pressioni baritonali (la Black Girl di Leadbelly) e inni di rara intensità (Maria,
Storm). Un timbro vocale originale, una
naturale dimestichezza per l’utilizzo sapiente (e quindi discreto) del falsetto e un
talento performativo superiore alla mag-
gior parte dei cantautori dell’epoca (impegnati per lo più a scimmiottare il fenomeno
Dylan) hanno talvolta accostato la figura
del Nostro a quella di un altro indimenticab i l e “ t r o u b a d o u r ” a m e r i c a n o : Ti m B u c kley. Le vite dei due percorrono invece binari distanti; nel ’65 Shawn è in Inghilterra
per un sodalizio artistico con Donovan,
culminato nella partecipazione alla stagione d’oro del menestrello psichedelico: si
ascolti in particolare, nel già citato Fairytale, l’ipnotica chitarra solista in The
Summer Day Reflection Day e il sitar (al
quale fu introdotto, primo artista pop di
sempre, da Ravi Shankar) nei capolavori
G u i n e v re e T h re e K i n g f i s c h e r s t r a t t i d a
Sunshine Superman. Sono in molti ad affermare che un album come Sunshine Superman debba molto, oltre allo stato di
grazia di Donovan e all’abilità negli arrangiamenti di Mickie Most, all’inventiva di
Phillips (specialmente nella celebre Season
O f T h e Wi t c h ) . M i s t e r i i n s e d e d i c r e d i t s
c h e i r e t r o c o p e r t i n a n o n s v e l a n o a ff a t t o .
Phillips, costretto ad abbandonare l’Inghilterra a causa di un soggiorno scaduto, sceglie il fascino mediterraneo del sud Italia,
insediandosi stabilmente a Positano (allora
n i e n t e p i ù c h e u n a ff a s c i n a n t e p a e s e l l o d i
pescatori). Lì trascorrerà 3 anni (dal ’67 al
’70) intervallati da spostamenti lavorativi
per un ambizioso progetto musicale: una
trilogia di cui registra il primo atto a Londra con la collaborazione di personaggi
quali Paul Buckmaster (violoncellista nella Third Ear Band, poi con Elton John, e
M i l e s D a v i s ) , E r i c C l a p t o n e S t e v e Wi n w o o d ( e c o n l u i a l t r i m e m b r i d e i Tr a ff i c ) . L a
A&M si accolla l’impresa e nel ’70 esce
Contribution. I 7 brani contenuti parlano
il linguaggio di un folk rock aperto a contaminazioni coi generi pur non citandone
esplicitamente alcuno. La voce di Shawn,
forse grazie alle pratiche yoga a cui è dedito, acquisisce un’ulteriore duttilità. La
sua estensione vocale abbraccia felicemente registri profondi come picchi di estatica
b e l l e z z a ( M a n H o l e C o v e re d Wa g o n ) , n o n
scordando mai il motivo principe di tutta
l’operazione: emozionare l’ascoltatore (L
Ballade, For RFK JFK & MLK). Fiutate le
ottime premesse la A&M lancia sul mercato il secondo tassello, Second Contribution
(’70). Nella suggestiva foto di copertina
Phillips è ritratto di spalle, enigmaticamente coperto da una mantella nera e da
una cascata di capelli color dell’oro. Sotto
d i l u i u n a t e r r a d e s e r t i c a s o ff i a t a d a u n
vento secco e dall’incipit della meraviglios a e p o p e a s e n t i m e n t a l e S h e Wa s Wa i t i n g
F o r H e r M o t h e r A t T h e S t a t i o n I n To r i n o ,
A n d Yo u K n o w We L o v e Yo u B a b y, B u t I t ’s
G e t t i n g To o H e a v y To L a u g h ( a l u n g o d e tentrice del titolo di “titolo più lungo nella
s t o r i a d e l l a m u s i c a ” ) . To c c h i p i a n i s t i c i d i
delicata eleganza, una melodia struggente
e ben condotta ne fanno uno dei momenti
più intensi dell’intera discografia del Nostro. Più generalmente è l’album nella sua
completezza a respirare una felicità compositiva superiore alle uscite precedenti
(merito anche degli arrangiamenti di BuckSA 93
rearview mi
master). Il groove incalzante di Keep On e
S l e e p w a l k e r a z z a r d a n o a p e r t u r e a l l a r i c e rcatezza prog di lì a esplodere (lo stato di
grazia prosegue in Song For Sagittarians,
Whaz’zat e nella maestosità strumentale di
S c h m a l t z Wa l t s ) . È p e r ò l a d r a m m a t i c a s t o ria vera narrata in The Ballad Of Casey
Deiss a conquistare i favori del pubblico.
Steel Eyes, in chiusura, pare comprendere
un sentimento universale, manifesto negli
occhi di un’avventura romantica grazie ai
v e r s i : “ è s t a t o b e l l o , s u l l a s t r a d a d e l r i t o rno, che tu mi abbia desiderato/ amore fugace, addio”. Fare meglio? Phillips chiude
la trilogia con il colpo di coda Collaboration (A&M, ’71). Manifesto di ingegno
creativo a metà strada tra folk sui generis e
rock ancestrale, questo irripetibile song
cycle impartisce lezioni di stile a destra e
a manca. Il talento compositivo e la grand i o s i t à o r c h e s t r a l e d i U s We A re , l o s p l e e n
a c u s t i c o d i B u r n i n g F i n g e r s ( m a p u r e Ti m e s O f A M a d m a n ) e l ’ a r m a a ff i l a t i s s i m a
nei live a nome Moonshine: tutto profuma
di masterpiece. For Her rivela inflessioni
jazzistiche a complicarne gustosamente la
r i c e t t a e s u b i t o i n c a l z a W h a t ’s H a p p e n i n ’
Jim!, esercizio per abilità vocale al quale
aggregarsi a squarciagola. A sottolineare
le velleità letterarie del nostro Coming
Down Soft And Easy, digressione esistenziale ironica e profonda in parti eguali.
Springwind dilata umori onirici giungendo
a purezze classiche e congedando con in
bocca il sapore della bellezza. Dopo
un’esplosione di tanta e tale abilità artistica l’uscita successiva mantiene alto il vessillo di un songwriting invidiabile pur attenuando
la
magniloquenza
negli
arrangiamenti. Faces (A&M, ‘72) è un album composto da pezzi registrati tra il ’69
e il ’72, tra i quali spiccano la preziosa divagazione orientaleggiante Chorale, il sent i m e n t a l p o p We e l a s u i t e / s e s s i o n P a r i s i e n
Plight II, bizzarro accostamento di suoni
a m b i e n t a l i e t e n t a z i o n i f u n k y. B r i g h t w h i t e
(A&M, ’73) prosegue un discorso personale e quanto mai distante da mode o chiassose rivoluzioni: la title track è il cocktail
spensierato di folk, rock e pop che, dalla
voce di Phillips, suona convincente pur
non entusiasmando come in passato. Le
complicazioni strutturali e la chitarra elet-
trica a brandire un assolo acido in Lasting
P e a c e O f M i n d e Te c h n o t ro n i c L a d , a g g i u n go qualcosa a quanto già detto ma non molto. Sono gli episodi per archi e voce a toccare le corde più profonde dell’anima (su
t u t t e L a d y O f T h e B l u e R o s e , g r a z i e a l l ’ o rchestrazione del fidato Buckmaster). Dopo
una trascurabile e trascurata collaborazione con Burt Bacharach (proprio lui) per il
singolo Lost Horizon è tempo di seguire un
nuovo progetto: l’apertura fusion di January First in Furthermore (A&M, 74) avrà
certo lasciato perplessi i fan della prima
ora. Qui l’artista si trastulla liberamente
nel carosello di tutte le influenze che gli
paiono, beatamente incurante del music business e intenzionato a lasciarsi guidare
dall’istinto. Il concept a fungere da legant e t r a i b r a n i è u n a p o e s i a d e l p a d r e , F re e w a y ’s C h i l d . F u r t h e r m o r e è p i ù s e m p l i c e mente l’ennesima riprova di un talento
eclettico e demodé, particolarmente ispirato in un pugno di brani che da soli giustificano l’acquisto di tutto il resto (compresi
gli ostinati strumentali funkeggianti). Do
Yo u Wo n d e r ( ’ 7 5 ) s c o r r e d i s t r a t t o m a R u m p l e s t i l t s k i n ’s R e s o l v e ( ’ 7 6 ) r i s a l e l a c h i n a
( t o c c a n t e l a s c a r n a Wa i l i n g Wa l l ) . C h i u d e
la collaborazione con la A&M la raccolta
di inediti a nome Spaced (’77). A chiudere
i l d e c e n n i o i n v e c e c i p e n s a Tr a s c e n d e n c e
(RCA, ’78), impreziosito degli arrangiamenti di Michael Kamen (attivo per Queen,
B o w i e , P i n k F l o y d ) m a r i u s c i t o s o l o i n p a r-
Cos’hai odiato di più dell’Italia durante
la tua permanenza negli anni ‘60?
Non posso risponderti per il semplice fatto
che allora non ero coinvolto in nessun tipo
di attività o questione di carattere sociale,
p o l i t i c o o d i q u a l u n q u e a l t r o g e n e r e . Vi v e vo la mia vita, tentando di evolvermi attraverso la musica.
Quando stavo a Positano conobbi una ragazza che si chiamava Letizia; viveva a
To r i n o m a m i r a c c o n t ò d i e s s e r e s c a p p a ta di casa. Al tempo stavo con un’attrice
inglese, Francesca Annis. Letizia trascorse
una notte da noi; le preparammo qualcosa
da mangiare e tentammo di prenderci cura
d i l e i . L’ i n d o m a n i s e n e a n d ò a l l a r i c e r c a
di un’altra casa che la ospitasse. Al tempo
nessuno di noi aveva denaro; ci riuscì comunque di raccogliere una piccolo somma
p e r u n b i g l i e t t o d e l t r e n o d i r e t t o a To r i n o
e chiamammo sua madre per avvisarla che
Letizia sarebbe tornata. Alle 6:30 la accompagnammo alla stazione di Napoli e la
cosa sembrava finita lì. Intorno alle 23:00
però al Bar Internazionale di Positano suonò il telefono… il mio amico Pasquale mi
passò la telefonata: si trattava di Letizia
che, con la voce rotta dal pianto, tentava
d i d i r m i c h e s ì , e r a a r r i v a t a a To r i n o , m a
sua madre non era in stazione e non sapeva
cosa fare. In quello stesso momento fortunatamente vide la madre venirle incontro:
“Oh no no no Shawn, stai tranquillo! Mamma è qui adesso”. Perciò ecco spiegato il
s e n s o d e l t i t o l o , “ S h e Wa s Wa i t i n g F o r H e r
M o t h e r A t T h e S t a t i o n I n To r i n o , A n d Yo u
K n o w We L o v e Yo u B a b y, B u t I t ’s G e t t i n g
To o H e a v y To L a u g h ” .
S h e Wa s Wa i t i n g … h a u n a s t o r i a p a r t i c o l a re . N e h o s e n t i t e a l c u n e v e r s i o n i c o n trastanti. Qual è quella definitiva?
Ho letto da qualche parte che hai dato
lezioni di chitarra a Joni Mitchell…
U n a v o l t a m i a ff i d a r o n o u n i n g a g g i o d i u n a
te. Gli ’80, inutili antologie a parte, vedono la sola pubblicazione di Beyond Here
Be Dragon (Chameleon Rec, registrato
nell’83 e pubblicato nell’88), flirt insospettabile e convincente di cantautorato ed
elettronica in sprazzi. No Category (Fat
Jack, 2002) alterna inediti a brani riarrang i a t i d a T h e Tr u t h I f I t K i l l s ( I m a g i n e
Rec), uscito nel ’94 per il solo mercato canadese. Il 2008 celebra la carriera iconoclasta di Phillips con il suo primo live, Living
Contribution,
in
cd
e
dvd,
testimonianza della forma smagliante del
musicista 65enne.
Shawn, com’è che adesso vivi in Africa?
Ho scelto il Sud Africa perché mia moglie
Juliette è nata qui. I suoi genitori sono anz i a n i e l e i c i t i e n e a s t a rg l i v i c i n o ; i o c i
tengo a stare vicino a lei perciò ecco fatto.
SA 95
rearview mi
s e t t i m a n a i n u n c o ff e e h o u s e a S a s k a t o o n
nella provincia di Saskatchewan (Canada),
dove Joni faceva la cameriera. Mi chiese di
insegnarle a suonare la chitarra e, durante quei 7 giorni, le illustrai le basi dello
s t r u m e n t o . Tu t t o q u i . I l r e s t o … l ’ h a f a t t o
da sola.
Con Donovan c’è stato un viaggio in Mess i c o c h e i m m a g i n o i n t e re s s a n t e …
Un viaggio molto bello in un posto che si
c h i a m a Ye l a p a . Vi p o t e v i a c c e d e r e s o l o a t traverso una barca.
Giorni bizzarri, suppongo.
Direi piuttosto che eravamo intenti a sperimentare assieme certi aspetti della vita.
E r i a m i c o p u re d e l s o t t o s t i m a t o Ti m H a rdin.
Ti m e r a m i o a m i c o , s ì , e m i m a n c a a n c o ra tanto. Ci siamo fatti assieme un viaggio
d a N e w Yo r k a l l a C a l i f o r n i a . P u r t r o p p o , a
r a ff r e d d a r e i l n o s t r o r a p p o r t o , f u l a s u a d i p e n d e n z a d a e r o i n a . Tu t t a v i a a b b i a m o c o n tinuato a sentirci fino a poco prima della
sua morte.
Mai ventilato l’ipotesi della non esistenza di dio?
Eliminati tutti i sistemi gerarchici che ingabbiano la nostra esistenza, cosa resta? Il
pensiero. E il pensiero può concepire ogni
cosa, anche l’esistenza di dio. Una volta
un maestro chiese ai suoi studenti che stavano osservando una bandiera mossa dal
vento: “Cosa si sta muovendo, la bandiera
o il vento?”. Gli studenti risposero: “Entrambi”, allora il maestro concluse: “Siete
in errore; è il pensiero a essere in movimento”. Noi tutti siamo divinità. Quando
riusciamo a percepire quest’aspetto divino
al di là della nostra persona siamo pervasi
da una rigenerante luce interiore. Ciò che è
importante tenere a mente è che c’è la medesima intensità in ogni essere umano.
Dopo tanti anni la tua voce è ancora un
m i r a c o l o d i e s t e n s i o n e e d e s p re s s i v i t à ;
ma chi è il cantante che più ti ha stupito?
M’ingaggiarono per la prima versione teatrale del Jesus Christ Superstar; a interpre-
tare il ruolo di Giuda c’era Carl Anderson
(presente anche nella versione cinematografica). Fu lui il solo a commuovermi fino
alle lacrime.
L a t u a m u s i c a v i b r a d i u n a p p ro c c i o j a z zistico…
Beh, ci sono tanti musicisti che sono interessati solo al proprio genere e a loro va bene
così però, a mio avviso, se vuoi essere un
musicista è fondamentale investigare ogni
diramazione e genere esistenti. È l’unica maniera per evolversi in maniera significativa.
L e t u e p re f e re n z e j a z z ?
Miles Davis, John Coltrane, Count Basie,
ecc.. Hanno messo in pratica quanto ti dicevo, incorporando nelle loro opere un’infinità di idiomi che sembravano inconciliabili.
Un brano di Zappa da 200 Motels s’intitola ‘Andare in tournée può farti impazzir e ’ . È v e ro a n c h e p e r t e ?
La mia prassi è di concedermi una tournée
soltanto, una volta all’anno, giusto per pagarmi le spese. Preferisco di gran lunga
starmene a casa a comporre musica in tranquillità.
Non si sa praticamente nulla della tua
vita privata… figli?
Ho una figlia che vive a Los Angeles che
ormai è una donna e una mamma. Esercita la
professione di tecnico radiologo! Purtroppo
non l’ho cresciuta io; è una di quelle storie
frequenti nel mondo del rock’n’roll. Fino a
q u a n d o n o n h a c o m p i u t o 11 a n n i n o n s a p e vo della sua esistenza. Ora lei sa che sono
il suo papà biologico, siamo buoni amici e
cerchiamo di tenerci in contatto. Ho anche
un bambino, Liam, che ha quasi 2 anni ed è
la cosa più importante della mia vita. A 65
a n n i s o n o b e n c o n s c i o c h e n o n p o t r ò e s s e rgli vicino ancora per molto perciò intendo
passare quanto più tempo possibile assieme
a lui. Se sono fortunato ho ancora 20 anni
davanti a me.
C ’ è u n a l e z i o n e i n p a r t i c o l a re c h e h a i i m parato dalla vita?
Ovviamente non c’è una singola lezione
valida per tutti ma, nel mio caso, posso afSA 97
rearview mi
fermare che la nascita di Liam, a 63 anni,
mi ha decisamente aperto gli occhi.
C h e t i p o d i p a d re s e i ?
Beh, Juliette dice che ci so fare alla grande; io sono quello che cambia i pannolini,
non so se mi spiego!
S c o p ro s o l o o r a c h e t i s e i e s i b i t o a l f e s t i v a l d e l l ’ i s o l a d i Wi g h t …
Suonai nella prima edizione, quella del
1968 e non tornai più per le successive. Mi
ricordo l’improvvisazione di Miles Davis
e la sua band: quella fu una pietra miliare
nella storia della musica. In realtà non ero
in cartellone ma mi fu chiesto se mi andasse di salire sul palco durante un break. Mi
tributarono 4 standing ovation e… puoi imm a g i n a r e l ’ e n e rg i a s p r i g i o n a t a d a 6 5 0 . 0 0 0
persone…
B e l l o s a re b b e s a p e re q u a l è l ’ a l b u m d i
cui vai meno orgoglioso.
Potrebbe essere Spaced perché non sono
stato io a metterlo assieme. Fu voluto e assemblato da qualcuno della mia etichetta
del tempo, la A&M.
Il “blues” è un feeling, in primis. Mi
c h i e d o s e p o s s a a p p a r t e n e re a n c h e a m u s i c i s t i n o n d i re t t a m e n t e c o i n v o l t i n e l g e n e re c o m e , a d e s e m p i o , N i c k D r a k e ( f o l k )
o Chet Baker (jazz).
Devi considerare che il termine “blues” era
una maniera di sentirsi della gente di colore durante gli anni della schiavitù. Credo che nessun bianco, né oggi né mai, sarà
mai in grado di concepire quel tipo di disperazione. Nick Drake e Chet Baker? Non
possedevano un feeling blues, credo più
semplicemente che siano passati attraverso
fasi di acuta depressione. Una volta Edgar
Wi n t e r m i h a c h i e s t o : “ S e n t i u n p o ’ , t u s e i
di origini texane: com’è che ti sei allontanato tanto dalle tue radici?”. Non potei che
r i s p o n d e rg l i : “ P e r c h é l ’ a l b e r o è b e n p i a n tato nel terreno”. Non ho mai suonato il
blues perché non sono di colore e non potrò
mai concepire cos’abbiano passato quelle
persone.
S e i a t t i v o a n c h e c o m e t e c n i c o d e l P ro n t o
Intervento…
N e l l o S t a t o d e l Te x a s s o n o u n v i g i l e d e l
fuoco con tanto di attestato, faccio parte
dell’Emt-B e ho pure un diploma avanzato in salvataggio subacqueo. Ho praticato
l’attività di vigile del fuoco per più di 12
anni. Più che un lavoro si tratta di una vocazione. Qui in Sud Africa presto servizio
per il National Sea Rescue Institute. Mi ci
sono voluti 3 anni di addestramento intensivo per accedervi. Siamo attivi 24 ore su
24, 7 giorni su 7, e si tratta di monitorare
un’area di circa 650 kmq lungo la costa del
Capo Orientale. Salviamo la vita alla gente
e con le nostre squadre forniamo assistenza medica alle imbarcazioni che necessitino un pronto soccorso. Ci gettiamo in mare
dagli elicotteri e operiamo i salvataggi:
può essere molto pericoloso (tutto ciò che
riguarda immersioni superiori ai 10 metri
e un mare scosso in ogni direzione a 40
n o d i p u ò m e t t e r t i i n s e r i e d i ff i c o l t à ) m a i l
più delle volte è perfino avvincente. Quello per me è il massimo; la vita deve avere
delle coordinate precise. Se poi riesci a divertirti aiutando gli altri cosa può chiedere
di più? C’è un fatto che vorrei sottolineare in merito a questi lavori di carattere
pubblico: non ti è permesso indulgere in te
stesso. Io, io, io: non hai tempo per questi pensieri quando stai salvando la vita a
un uomo ferito, magari estraendolo da una
casa in fiamme. O magari quando, sul luog o d i u n t r e m e n d o i n c i d e n t e , s e i a l l ’ i n t e rno di un veicolo tentando di sorreggere il
collo e la testa di una persona che sta soffrendo terribilmente. Queste sono lezioni
che tanta gente nel mondo dello spettacolo
farebbe bene a imparare.
P r a t i c h i a n c o r a l o Yo g a ?
R a r a m e n t e . P r a t i c a v o i l S a m a d h i Yo g a . U n a
volta che hai compreso le tecniche e sei riu s c i t o a r i e q u i l i b r a r e p s i c h e e o rg a n i s m o
l o Yo g a f i n i s c e p e r a p p a r t e n e r t i a n c h e a l d i
là dell’esercizio costante. In ultima analisi
d i r e i c h e è u n m e z z o e ff i c a c e .
Qual è la cosa di cui hai più bisogno durante la giornata?
Un Mac Pro con interfaccia Motu, preferibilmente 24/ I/ O, e una scheda Pci compatibile.
La tua posizione sulla politica estera
dell’attuale governo Bush?
Quest’orribile conflitto non ha mai avuto
nulla a che vedere con la lotta per la libertà,
per la democrazia o per qualunque altra ideologia che nobiliti l’umanità. Com’è ben noto
si tratta solo degli interessi che gravitano attorno al business del petrolio.
Qualcuno prevede che il conflitto in Iraq
sarà per gli Stati Uniti il Vietnam del nuovo millennio…
Lo è già: la differenza sta nel fatto che il
Vietnam riguardava i soldi ricavati dalla
produzione e commercio dell’oppio mentre
l’Iraq il petrolio.
Inquinamento: qualche speranza per il
pianeta?
George Carlin ha detto: “Se con le nostre
azioni compromettiamo la sorte del pianeta,
prima o poi sarà il pianeta a darci una bella
scrollata, come fossimo dei fagioli rinsecchiti dentro un barattolo”. Il pianeta se la
caverà. È in discussione piuttosto la presenza dell’uomo su di esso, ma questa è un altro
discorso.
Il vero oppio dei popoli?
Il denaro.
Il Dalai Lama asserisce che può essere controproducente cambiare la religione con la
quale si è stati cresciuti…
E se un bambino non concepisse la religione
in sé? Stiamo tornando al discorso sulla non
esistenza di dio. Lei o lui dovrebbe trovare
un equilibrio spirituale limitandosi a rispondere con schiettezza a tutte quelle domande
nelle quali incapperà vivendo la propria esistenza. Dopotutto il significato della vita è
quello di trovarne il significato.
Qual è l’aspetto più straordinario dell’essere un artista?
Essere consapevoli di possedere l’abilità per
creare qualcosa che nessun altro avrebb e p o tuto creare.
SA 99
rearview mi
ristampe
peche Mode (anche loro, molto tempo fa,
hanno iniziato con l’electro…). Staremo a
vedere, intanto muoviamoci.(7.0/10)
M a r c o B r a gg i o n
Barzin – Barzin (Where Are My
Records, 2003 - Monotreme, 5
n o v e mb r e 2 0 0 7 )
Genere: sad-core
La Monotreme Records, in vista della prossima autunnale pubblicazione del terzo album del canadese Barzin, ha visto bene di
distribuire in Europa il suo primo omonimo lp, uscito nel 2003 sotto l’egida della
W h e r e A r e M y R e c o r d s d i To r o n t o e m a i a rr i v a t o f i s i c a m e n t e n e l Ve c c h i o C o n t i n e n t e
se non per importazione. Per chi non avesse mai avuto l’occasione di imbattersi in
Mike Findlay, il
vero nome a cui
si deve attribuire la nascita di
questo progetto
(nato come solista e successivamente allargatosi
grazie alla continua collaborazione dei suoi
fidi
musicisti
tutti gravitanti in band canadesi), sarebbe
opportuno sapere che la sua musica si basa
principalmente su un sad-core liquido e
malinconico tendente soprattutto alla creazione della ballad perfetta: introspettiva,
lenta e nostalgica oltremodo. Questa è la
cifra stilistica di Barzin: un ideale punto
di incontro tra i Red House Painters, gli
Sparklehorse più intimisti, gli Spain e i
Low. E dobbiamo ammettere che il Nostro
riesce nell’impresa di ritagliarsi un proprio originale spazio tra i nomi succitati,
grazie soprattutto a un approccio ambient
che impreziosisce ancor più quel dilatato
intrecciarsi di tasti e corde sfiorate, pelli spazzolate e steel guitar su cui la sua
voce sommessa si inserisce dolcemente.
Ovviamente stiamo parlando col senno di
poi, visti gli ottimi risultati raggiunti anche col secondo lavoro My Life In Rooms
(Monotreme, 2006). Ma già in questo debutto erano ben evidenti le sue buone doti
compositive: otto struggenti tracce che,
nonostante una certa somiglianza di fondo, riescono a toccare in profondità (su
tutte le commoventi Pale Blue Eyes, Past
All Concerns e Morning Doubts). In attesa
del terzo album, una suggestiva occasione
per ricordare. (6.7/10)
Andrea Provinciali
Booka Shade – Movements – The
T o u r E d i t i o n DVD ( G e t P h y s i c a l ,
f e bb r a i o 2 0 0 8 )
Genere: electropop house live
Difficile vedere concerti di house suonati
dal vivo senza dischi. Dopo l’ottimo Dj
Kicks di qualche tempo fa, tornano a farsi
vedere i campioni del clubbismo più patinato e pop del momento. Booka Shade, un
marchio di qualità, che per i tanti amanti
del ritmo e della melodia è pronto ad accumulare punti anche sul piano live.
Arno Kammermeier alla batteria elettron i c a è i l l e a d e r, Wa l t e r M e r z i g e r f a l a p a rte del nerd alle tastiere e agli effetti: due
anime necessarie e complementari per animare folle saltellanti e sorridenti, easytronica che trova consensi in ogni parte del
globo e che in 160 concerti e venti mesi
sui palchi del mondo ha segnato l’evoluzione del suono post balearic e now-pop.
F a b r i c , A m n e s i a , L o f t , Wa t e r g a t e , S t u d i o
B, Il Muretto e tanti altri fra club, discoteche e festival conferiscono prestigio e
importanza al duo, ormai sull’olimpo del
quattro.
In più un minidocumentario, una raccolta
di singoli, remix audio (tra cui due tracce
degli Hot Chip) e altri extras che fanno
di questo piccolo diario un appuntamento imperdibile non solo per i fan, ma anche per quelli che si vogliono fare un’idea
di dove sta andando la club culture. Las c i a t e v i t r a v o l g e r e d a Tre s p a s s 0 6 , W h i t e
Room, Body Language, Mandarine Girl e
dalle altre hits del duo.
Non per vaticinare inutilmente, ma non mi
sorprenderei se diventassero in nuovi De-
The King Khan & BBQ Show – Self
T i t l e d ( I n T h e R e d , 2 0 n o v e mb r e
2007)
Genere: garage’n’roll
The King Khan & BBQ Show sono King
Khan, alla prima chitarra e alla voce, e
Mark Sultan (in veste di BBQ) alla voce,
alla chitarra ritmica e alle “baby footdrums”.
Pochi
cenni dalle note
di copertina di
questo
disco
sono
altamente
informativi, se conoscete
Khan e Sultan.
Nel caso contrario, basterà dire
che quello che
fanno (con sommo loro godimento, a quanto si ascolta) è
un rock’n’roll molto sporcato, cioè come
si faceva “allora” (e parliamo degli anni
Cinquanta, come strutture musicali, del
decennio successivo, per effettivo target
di citazione) ma con tutte le antitecnologie lo-fi dei garage di oggi. La In The Red
ha pensato bene allora di ristampare (in
versione estesa) questo primo parto del
duo dopo un paio d’anni dalla sua prima
e d i z i o n e , o r i g i n a l m e n t e s u G o n e r, p r e s t o
diventata introvabile.
E, nuovamente, non si tratta di distorsioni, ma di vera estetica della sporcizia – ricercata per altro da Sultan anche in altre
sue uscite – e in fondo diversa dal lo-fi,
dove sarebbero i mezzi (mancanti) a dettare certe scelte produttive; di fatto qui la
voce sembra uscire da un juke-box di un
bar che non può permettersi investimenti
audiofili, la chitarra manca di armoniche,
al posto della batteria ci dobbiamo accontentare di tamburelli a sonagli (suonati coi
piedi, a quanto ci dicono).
Ma appunto non ci sono rinunce o compromessi; questo è il solito suono della purezza nuggets per eccellenza (Get Down, ma
s o p r a t t u t t o l a s u c c e s s i v a H o l d M e Ti g h t ,
ma in fondo tutti quanti i brani, compreso
qualche numero psichedelico come Mind
Body & Soul); c’è da ragionarci? O è meglio tacciare un disco così semplicemente di nostalgia, o tutt’al più vederlo come
frutto di qualche sessione di due nostalgici
che non si prendono poi troppo sul serio?
Il passatismo può coprirsi anche di ridicolo, in certi casi. Pericolo sventato, ma
grazie alla qualità di questa musica, che
com’è o come non è, si fa sempre ascoltare
con tanto piacere. (6.6/10)
G a s pa r e C a l i r i
Rhys Chatham & His Guitar Trio
A l l - St a r s – G u i t a r T r i o I s M y L i f e
(Radium, 4 marzo 2008)
Genere: minimal no-wave
Rhys Chatham, nel 1977, compose Guitar
Tr i o I s M y L i f e , u n a m o l t i p l i c a z i o n e t u t t a
newyorkese di una sola corda di chitarra
che fonde il minimalismo “non stratificat o ” d i To n y C o n r a d e l ’ e s e r c i t o c h i t a r r i stico su cui stava lavorando in quegli anni
anche Glenn Branca, cui spesso – e con
ottime motivazioni – Chatham è associato. A trent’anni di distanza, cioè oggi, la
R a d i u m , s e z i o n e d e l l a Ta b l e O f E l e m e n t s ,
pubblica un cofanetto di 3 CD intitolato
p r o p r i o G u i t a r Tr i o I s M y L i f e , c h e c o n tiene la stessa composizione suonata svariate volte (con cambiamenti di velocità o
di veemenza) l’8 febbraio 2007 a Chicago
da membri di un coacervo di gruppi, dai
S o n i c Yo u t h a i To r t o i s e , d a g l i H ü s k e r D ü
ai Silver Mt. Zion. Esagerazione? Forse,
ma per passione
critica, e non per
gusto dell’eccesso, cerchiamo di
andare al fondo
della questione.
Dicevamo
di
Branca: l’accostamento tra i
due compositori
è p r o d u t t i v o p e rché ci permette di esprimere in paragoni musicali una
caratteristica fondamentale della musica
di Chatham, o almeno della composizione
contenuta (e ri-contenuta, e ri-ri-contenut a ) i n q u e s t a u s c i t a , c ’ e s t à d i re i l g i o c o
SA 101
REVIEW MIRRO
sull’aspettativa di una variazione – più o
meno come capitava ascoltando il sindacato del sogno dove si sono sposati i Faust
con Conrad. In Branca – specie in quello che lì di presso avrebbe esordito con
Ascension – il minimalismo era prestato a
effetti compositivi, nichilistici nella dissonanza, ma movimentati – tranne proprio
in Ascension, ma quelle forme contenevano un’altra retorica, un finale dall’immobilismo tragico. Sentendo Chatham, invece, ascoltiamo un crescendo indefinito,
infinito, che ci prepara (ma forse perché
conosciamo Branca) a un cambiamento che
non avviene mai, o che avviene senza che
lo si noti con un colpo di teatro. I tre CD
di questo box-set contengono quindi la rip r o p o s i z i o n e d i u n o s t e s s o m a n t r a c h i t a rristico che è l’altra faccia della medaglia
branchiana, anzi la monetina da testa o
croce lanciata in aria e in aria rimasta, a
ruotare, senza mai cadere e farci prendere
una decisione.
È no wave anche la sospensione. Poi sì, si
può e si deve dire che questa composizione
contribuì in modo determinante a formare
un’estetica di cui tantissimi sono stati figli, dai sonici già menzionati ai Godspee d Yo u ! , m a v o l u t a m e n t e l o d i c i a m o s o l o
alla fine, distrattamente e senza fermarci
troppo (come fatto sopra intorno alla mole
dell’operazione), ipnotizzati dalla musica
che non cambia.
G a s pa r e C a l i r i
Triffids – Treeless Pl ain / The
Bl ack Swan / Beautiful Waste And
Ot h e r S o n g s ( D o m i n o / S e l f, 1 3
aprile 2008)
Genere: eighties indie
C’era una volta, nell’Australia degli anni
Ottanta, una generazione che usciva dal
punk e dal suo dopo e - come tutti in giro
p e r i l g l o b o , d a l l a C a l i f o r n i a a l l ’ I n g h i l t e rra - reinventava il presente con gli avanzi
d e l p a s s a t o . Ta n t i e g r a n d i i n o m i : D i e d
Pretty, Birthday Party (a far da tramite
tra due generazioni), Go-Betweens i più
noti angoli di un quadrilatero il cui tassell o m a n c a n t e e r a r a p p r e s e n t a t o d a i Tr i f f i d s .
In costoro potevi trovare il filo capace di
c o l l e g a r e Va n M o r r i s o n a i Te l e v i s i o n ,
K e v i n R o w l a n d a i Ve l v e t U n d e r g r o u n d ,
ascoltare gli Echo & The Bunnymen rileggere sul trentatre di debutto I Am A Lonesome Hobo di Maestro Dylan. A tanto e
tale virile romanticismo corrispondevano
testi che ben si addicevano a una terra di
pionieri: amori e villaggi (s)perduti, redenzioni e miserie, Nick Cave senza humour nero o spargimenti di sangue e viceversa malinconicamente propenso a velati
sorrisi. Piccoli grandi romanzi, le canzoni
di David McComb (deceduto nove esatti
anni fa mentre scrivo queste righe) e la
sua voce li spalancava sotto gli occhi, il
resto della band a sorreggerlo con la discrezione tipica dei maestri. S’è ricordata la Domino di tanta bellezza, investendo
dallo scorso anno parte dei soldoni intascati con i Franz
Ferdinand
per
ripubblicare - in
splendide edizioni ben suonanti e
ricche di inediti
- l’opera omnia
della formazione
di Perth.
Città
sperduta
nell’nord estremo degli antipodi, quella, in mezzo a duemila chilometri
d i d i s t e s a s e n z a a l b e r i : u n Tre e l e s s P l a i n
c o m e l ’ a l b u m d ’ e s o r d i o d e i Tr i f i d i . S i d i c e
che a metà degli Ottanta David (voce, chitarra e principale autore), suo fratello Rob
(violino e altra sei corde), Alsy McDonald
(batteria), Martyn Casey (basso), Jill Birt
(tastiere e altra voce) e Graham Lee (steel guitar) giunsero a Londra coi risparmi
di quattro anni di vita assieme e biglietti
di ritorno che sarebbero scaduti di lì a 3
mesi, decisi a sfondare. Il loro “o la va o
la spacca” finì tuttavia per restare tra le
mura della critica, per una volta entusiasta
e attenta a concedere copertine, per primo
l ’ N M E . Av e v a n o v i s t o g i u s t o i n c o n s i d e r a zione del trentatre di cui sopra, magnifico
capitalizzare il lungo tempo speso sulla
strada che ne fece band sensazionale dal
vivo, come certificano le sei tracce inserite in coda alla nuova edizione. Non suona
d a t a t o , Tr e e l e s s P l a i n , c a s o m a i d a t a b i l e :
respiri il comune sentire che portava a far
i conti coi Sixties tenendo ben presente il
punk e il suo “post” in via di spegnimento. Dodici brani di scheletro wave a sostegno di umori folk (Rosevel), country-rock
muscolare (Old Ghostrider), vibrante jazz
( M y B a b y T h i n k s S h e ’s A Tr a i n ) e u n b l u e s
come potevano affrontarlo i Doors (Hanging Shed: caveiana ma sensuale) privi di
teatralità. Aggiungete gli echi mediorientali di Red Pony, l’umanizzazione sublime
d e i Ta l k i n g H e a d s i n H e l l O f A S u m m e r ,
gli Stranglers supervisionati da John Cale
per Madeline. Otterrete un (capo)lavoro
dotato di gusto melodico maturo, pronto a
trovare la strada del cuore quanto quello
dei succitati Go-Betweens.
Te m p o a l t r i d u e d i s c h i s p l e n d i d i - i l r i f i nito Born Sandy Devotional e lo spartano In The Pines, editi nell’anno di grazia
1986 - e la Island li mette sotto contratto. Mal gliene incoglie, perché Calenture va al macello in sovrarrangiata retorica
senza vendere, obbligando gli australiani
a mettersi al passo con un decennio agli
sgoccioli. Nulla da fare: impettito e debordante, The Black Swan scappa nell’89
di mano tra imbarazzi soul-pop, ridondanze forzate e un disperdersi tra cento
stili senza mai convincere, tranne che nel
frammento American Sailors, nella Band
i n q u i e t a d i N e w Ye a r s G re e t i n g s , n e l l a
toccante cartolina Fairytale Love. Il disco
che doveva lanciarli come star li affossò
definitivamente, e come chiarisce la sfilza
di B-sides e demo regalati dalla Domino, ciò che era brutto e pacchiano già non
brillava in origine, di fatto collocando il
vizio più a monte della forma o dell’inadatta produzione di Stephen Street.
La
formazione
era stanca e si
divise nel giro
d i u n a n n o : t o rnando a casa,
alcuni si rifecero una vita con
impieghi normalissimi e una fam i g l i a ( A l s y, J i l l
e Rob), altri proseguirono defilati a far musica
(Marty entra nei Bad Seeds; Graham fa il
session man). David pubblicherà a proprio
nome un buon “solo” nel 1994, Love Of
Wi l l , p o i f o n d e r à i B l a c k E y e d S u s a n s p e r
il pregevolissimo All Souls Alive; infine,
poiché la vita è quel che è, morirà nel febbraio 1999 per i postumi di un incidente
d’auto, tre anni
dopo aver subito
un trapianto di
cuore. Il modo
migliore per ricordarlo oggi è
mettersi in casa
due delle tre ristampe qui prese in esame, essendo Beautiful
Wa s t e A n d O t h e r
Songs un’eccellente raccolta di rispettose rarità e dei mini-lp Raining Pleasure,
Lawson Square Infirmary e Field Of Glass
(i primi due del 1984, il terzo di dodici
mesi più tardo e, nell’ordine, anticipo stilistico del debutto, gradevole dopolavoro
country ed estemporanea ma centrata incursione nella new wave). So long, David:
sei (stato) Grande. (8.0-5.5-7.4/10)
Giancarlo Turra
SA 103
rearview mi
(GI)Ant Steps #15
classic album rev
Ornette Coleman
Bjork
The Shape of Jazz To Come (Atlantic, 22 maggio 1959)
Post (One Little Indian, 1995)
Il disco che ha aperto la strada. O che ha
imboccato l’unica strada possibile, se la direzione era - doveva essere - una profonda,
sbrigliata autenticità. Da cercare lungo le
proprie radici, in rapporto (anche conflittuale) col tempo. Astraendone l’idioma. Le convenzioni. La forma.
Correva l’anno ‘95. Björk non era tipo da
s e d e r s i s u g li a llo r i d i u n s u c c e s s o f in a lme n te r a g g iu n to g r a z ie a D e b u t ( O n e L ittle
Indian, 1993). Famelicamente progressiva,
d e c is e d i s o r p r e n d e r e r ila n c ia n d o , d i s p e d ire al mondo una missiva che parlasse di lei
nel mondo, nella spaccatura che separa il
r e a le d a l p o s s ib ile . P o s t, d u n q u e : p r o d o tto
d a ll’ e x - Su g a r c u b e s s te s s a a s s ie me a G r a h a m
M a s s e y, Tr ic ky , N e lle e H o o p e r e Ho w ie B. ,
è un disco potentemente conficcato nella
(propria) contemporaneità - come dimostra
a d e s e mp io il tr ip - h o p a d a ltis s ima d e f in iz io n e d i E n jo y ( o rg a n o e tr o mb e s u ta p p e t o v i b r a n t e a c u r a d i Tr i c k y, i l g u t t u r a l e d i
Bjö r k c h e la c e r a la d is ta n z a tr a v ir tu a le e
f is ic o ) - s e n z a s me tte r e u n a ttimo d i p r o ie tta r s i n e l f u tu r o .
U n f u tu r o in d e f in ib ile e s to r d e n te , a b b o z z a to
d a ll’ in iz ia le A r m y O f M e ( f o s c o s c e n a r io d a
s p y s to r y, v ilu p p o d i b a s s o c h e d iv e n ta s u b ito a r c h e tip o , f o la te d i ta s tie r a r ima s tic a te
E ig h tie s ) , d a i p a n o r a mi c in e ma tic i d i I s o b e l
( o me o me r ie b r is to lia n e e tr ib a lis mo s o ttile
s u l q u a s i- me lo d r a mma a lle s tito d a ll’ o r c h e s tr a d i Eum ir D e o da t o ) , d a l l e p a l p i t a z i o n i
s in te tic h e d i Th e M o d e r n Th in g s ( tr a ie tto r ie
o r a liq u id e o r a a e r e e s u s ma n ie ja z z , la v o c e
c h e s ’ in c e n d ia e s ’ a s s o ttig lia , in s e g u e n d o s i
n e ll’ in c o r p o r e ità ) .
Un cimento illuminato e ossessivo con le
istanze “di moda” che però non s’aggrappa
ma i a d e s s e . A n z i, la n o s tr a in e ff a b ile f o lle tta c i s i tu ff a , n e s p e r ime n ta la c o n s is te n z a e le p o s s ib ilità , le p o r ta a l limite . Q u in d i: p a s s a a d a ltr o .
Si s ma r c a lu n g o u n p e r c o r s o a n g o lo s o , c o mp e n e tr a il c la s s ic o n e l mo d e r n o a n n u lla n d o li e n tr a mb i in u n a v is io n e “ p o s t” - a p p u n to
- che è poi il suo modo di stare tra i fremiti
d e l mo n d o . Pe r q u e s to , Yo u ’ v e B e e n F lirtin g A g a in p u ò s o rg e r e e te r e o d a u n a b r u ma
d ’ a r c h i c o me u n r ig u rg ito r o ma n tic o d a p r imo N o v e c e n to . Pe r q u e s to , I t’s O h S o Q u ie t
L’armolodia. Una teoria poco chiara. Un mistero. Una beffa. Una leggenda metropolitana.
La cortina fumogena dietro la quale Ornette
Coleman schermì il proprio percorso artistico
sulle tracce di un linguaggio nuovo, che nei
primi anni sessanta si sviluppò fino a catalizzare le energie dei principali jazzisti. L’altosassofonista texano classe 1930 fu tra i primi
ad intuire che lo sgretolamento del canone
armonico era conditio sine qua non per consentire alle sbrigliatezze formidabili del bebop di spiccare il volo. Per Coleman, tecnicamente incapace di stare al passo coi boppers
più virtuosi però in possesso del segreto che
rendeva una composizione speciale, la melodia era una bestiola meravigliosa e selvatica
da prendere al lazo ed ammansire senza educarla troppo. Conservandone quel po’ d’estro
insidioso, spigoli e spasmi a punteggiarne il
manifestarsi sinuoso, dinamico e carezzevole.
Per questo fin da subito le sue composizioni catturarono l’attenzione dei più autorevoli
colleghi. Proprio come il suo ispido stile al
sax - prima tenore e poi alto, sovente di plastica - gli guadagnò critiche feroci. Tuttavia Something Else!!!!, un Contemporay del 1958,
ottenne un certo, meritato successo. In quel
disco agiva un quintetto dalla struttura ancora
“canonica”, che però col successivo Tomorrow Is The Question! - l’esordio su Atlantic
del 1959 - venne a mancare, rinunciando al
pianoforte ovvero al principale supporto armonico su cui tessere le improvvisazioni. Le
quali divennero così esse stesse la trama di un
discorso melodico portante, proteso al compimento ed arricchimento incessante di sé.
Una lancinante litania blues
senza appigli, in volo libero sulla modernità
incalzante. La strada che di lì a poco porterà a Free Jazz (Atlantic, 1960) era già tracciata. Ma se quest’ultimo sarà il calderone
“definitivo”, suite improvvisata per ottetto
anzi doppio quartetto sulla cui valenza ancora oggi le discussioni fervono (non sulla sua
importanza), l’intermedio The Shape Of Jazz
To Come arrivò come una cuspide essenziale e vibrante. Col trombettista Don Cherry, il
batterista Billy Higgins ed il bassista Charlie
Haden, Coleman imbastì un quartetto stellare
al servizio di sei pezzi scritti di suo pugno:
una Peace che si snoda pensosa e sottilmente
ansiogena, una Chronology che coglie febbrili frutti bop senza rete, una Focus On Sanity
che trasfigura drammi e capricci mingusiani,
una Eventually in piena frenesia da disarticolazione ma con quale lirismo, una Congeniality che chiama in causa Monk ammiccando
Henderson, infine e soprattutto una Lonely
Woman rutilante e scentrata come una trottola
sghemba nello struggente squallore d’un interno metropolitano. Basso e batteria celebrano una mischia di atavico e contemporaneo,
ritmi tribali e tensione seriale, mentre tromba
e sax giocano a pennellare colori senza disegno, come spasmi pittorici fauvisti in cerca di
purezza e astrazione. Affondando pur sempre
il sentire e il sapere nel denso calamaio dei
blues, il cui repertorio di segni appare finalmente rinnovato perché capace di accogliere in pieno l’estetica e la funzionalità della
musica – della cultura - afroamericana, oltre
ogni vigente stilizzazione e sistematizzazione. Un’emancipazione pericolosa perché semanticamente equivoca nella sua inesplicabile polivalenza, in cui l’autore o investe tutto
se stesso - non solo il suo essere musicista - o
non trova sponde che gli impediscano la caduta. Libera, naturalmente.
Stefano Solventi
(pseudo-cov e r d i B lo w A
F u s e , b r a n o d i Be t t y H u tto n ) p u ò d i s p i e g a re il suo swing da musical anni Cinquanta
s q u a r c ia to d a u r la “ r r r i o t ” , e C o v e r Me z a p p e tta r e u n g ia r d in o o r ien t a l e (ra d i o a t t i v o ) a
f o r z a d i c la v ic e mb a lo e d u l c i m e r, s e n z a c h e
nulla sembri astruso o inadeguato.
È q u i in s o mma c h e Bjö rk h a l ’a rd o re d i d e f in ir s i c o me p o n te tr a s t i l i e d e p o c h e , c a le id o s c o p io d i p a s s a to e fu t u ro a v v i n g h i a ti, a s s is t d ia g o n a le tr a p o t e n z i a l i t à c re a t i v e
imp r e v e d ib ili. Pr e n d e t e Po s s i b l y Ma y b e ,
la s u a c o n g iu n tu r a D a v i d S y l v i a n -A p h e x
Tw in- R a dio he a d, q u e l l a t r a m a i r i d e s c e n t e
d i s c a lp ic c ii s in te tic i, s p a z z o l a t e j a z z , v i b r io n i s c i- f i e p s e u d o - c o rd e c o u n t ry, l ’i n c e d e r e s p e z z a to d e l c a n t o c o m e u n a t ro t t o l a
s u l p u n to d i c a d e r e , c o m e u n ’a n i m a i n b i l i c o . O a n c o r a il b a lb e tt i o d a d a d i H e a d p h o n e s , tr a l’ ir o n ic o e l’ e u c a ri s t i c o , c o n a n c o ra
u n p ic c o lo g r a n d e a iu t o d i Tri c k y, o i n fi n e
e soprattutto la (giustamente) celeberrima
H y p e r- b a lla d , i n c u i a m b i e n t , d a n c e e j a z z
c o v a n o u n a p o s s ib ile ( fo rs e ) c re a t u ra c l a s s ic a p e r i d e c e n n i a v e n i re .
L u n g o q u e s to s te s s o s o l c o s c o rre l a b o s s a d a n c e ip e r c r o ma tic a d i I Mi s s Yo u , o rg a n i n o
e ottoni a frastagliarne la pelle di riflessi
a n o ma li, le p e r c u s s io n i - a c u ra d i Ta l v i n
Sing h n ie n te me n o - a d i n t e rc e t t a re i l b a t t i t o
d e lle o mb r e , c o me e s p l o s i o n i c h e i m p l o d o n o , a p o te o s i s c h ia n ta te s u l c o m p i e rs i , i n fo rme te mp e s ta d i f o r me . C o m e s e m p re , B j ö rk
dà l’impressione di scompaginare il luogo
ip o te tic o in c u i s i mu o v e , l a s c i a n d o a l s u o
p a s s a g g io u n o s c e n a r io e ffe rv e s c e n t e , d i n a mic o , ir r e q u ie to . O ff r en d o a l c o n t e m p o u n a
f o r te imp r o n ta s tilis tica - a s s i e m e a rc a i c a e
a v a n t, e lita r ia e p o p u l a r, c a p a c e q u i n d i d i
c o in v o lg e r e e r ic o mp o rre , d i s a rm a re e ra s s ic u r a r e - d i c u i le i è m u n i fi c a v e s t a l e , s e m p r e d iv e r s a , e in c o n f o n d i b i l e .
St e f a n o S o l v e n t i
SA 105
LA SERA DELLA PRIMA
N o n è u n pa e s e p e r v e c c h i
S o g n i e d e l i tt i
( d i J o e l & Et h a n C o e n - USA , 2 0 0 7 )
( d i W o o d y A l l e n - USA / G B 2 0 0 7 )
Al l a l e t t e r a t u r a secca e tagliente di Cor m ac
McC a r t h y , u na tra le migliori penne a me ri ca n e , i f r a t e lli C oen hanno sostituito un
c i n e m a a l t r e t t anto misurato e levigato. Al
p o s to d i f r a si chirurgiche, di un altissimo
s en so d e l r i t mo, di un uso della pun te ggia t u r a c h e c o r t e ggia le pause di respiro del
l et t o r e , d i u n linguaggio che rasenta l’ or a l i t à e l a n i t i d ezza delle descrizioni ora si
t ro v a n o i m m a g ini nette e necessarie.
Del r e st o , l ’ o perazione dei fratelli Coe n è
s t a t a s e m p l i c e, apparentemente. Libro alla
m a n o , l o h a n no letto da cima a fondo, ne
h a n n o s e l e z i o nato le parti adatte per una
t ras p o si z i o n e cinem atografica, e infine ha nn o s f i l a t o v i a lo scheletro narrativo da lla
carn e v i v a d e l rom anzo. Inseguimen ti, spa rat o r i e e f i u m i di sangue, quella era la c osa
p i ù f a c i l e d a mettere in scena. Molto più
c o m p l e s s o t r a tteggiare i personaggi.
E ci so n o r i u sciti con L lew elyn Moss, l’ uom o c h e t r o v a una valigia ripiena di dolla r i e f u g g e v i a. Ci sono riusciti con Anton
Chi g u r h , r e n d endo quasi umana l’inc a r na zi on e p a r a n o i c a del Male, che non ha stori a n é t e m p o , c he sparisce così come a r r iva ,
che r i t o r n e r à d i sicuro – un Javier Bar de m
s en z a e g u a l i , perfettam ente in parte , spie t at o so t t o u n c a schetto buffissim o, ta lme nte
b u ff o d a r e st i t u ire il Male per quello c he è :
ri d i c o l o e n o i o so, ripetitivo nella m o r te c he
s i t r a sc i n a d i e tro.
M a n o n c i so no riusciti con B ell, lo sc e ri ffo . N e l l i b r o, McC arty affida al ve c c hio
s cer i ff o u n r u o lo chiave. B ell parla in pr ima
p ers o n a . I n c a p itoli scarni, il vecchio pe nsa
a vo c e a l t a . N e i suoi pensieri c’è l’impr onta
d i u n m o n d o giusto che declina e tende a
s co m p a r i r e . Bell è una figura quas i biblica: r a ff i g u r a l’etica, l’antidoto all’inferno,
i l s e n so d i g i u s tizia che scava la pelle e dis eg n a su l v i so una maschera dura di se r ie tà
e d e s a t t e z z a n el fare le cose e giudicare il
m o n d o . B e l l è una figura tragica: è il punto
d i ce su r a t r a d ue mondi che divergono, è una
fi g u r a c h e a ssu me in sé la fine di un e poc a :
q u e l l a i n c u i si poteva contare ancora sul
b u o n s e n s o e l ’intelligenza, quella in cui gli
a t t i c r i m i n a l i venivano risolti, quella in cui
l e co se e r a n o ben fatte, e resistevano a l tr a s co r r e r e d e l t em po, come una prom essa .
Tutto que sto, ne l f ilm, non c ’ è . Se n e tr o v a
tr a c c ia a l pr inc ipio, ne lla v oc e o ff, e p o i n e l
finale, bellissimo e implacabile, a d e r e n t e a l
millimetro al libro.
Sarebbe stato un capolavoro se d a l l a t r a m a
de lle imma gini f osse spunta ta la f ig u r a tr a gica di Bell, lo sceriffo. Se i C o e n f o s s e r o
r iusc iti a d e gua glia r e la pr of on d ità e l’ in c isività de lla sc r ittur a di Cor ma c M c Ca r ty.
Ma ci rimane comunque un fil m d i o t t i m a
f a ttur a , un we ste r n qua ndo il we s te r n n o n è
più praticabile, nel mondo imp a z z i t o d e g l i
anni ottanta.
Ci sa r e bbe r o potuti r iusc ir e , i C o e n , s o lo s e
avessero praticato il distacco d a s e s t e s s i ,
se i Coe n, pe r un a ttimo, a ve ss e r o p r e s o le
distanze dai Coen. Invece hann o p r e f e r i t o
“ gua sta r e ” la tr a gic ità de gli e ve n ti r a c c o n ta ti punte ggia ndoli de lla lor o c o mic ità n e r a
e gr a ff ia nte – uno su tutti, va lg a l’ e s e mp io
de l r a ppor to e de i dia loghi tr a lo s c e r iff o e d
il suo sottoposto. Ma non ci s i l i b e r a m a i
ve r a me nte da se ste ssi. E se in a lc u n i c a s i è
una salvezza, qui il gioco mostra t u t t i i s u o i
limiti.
G i u s e pp e Z u c c o
Te r z o f ilm “ in g le s e ” p e r Wo o d y A lle n e p u n to d ’ a r r iv o d i u n c ic lo d i “ d e litti e c a s tig h i”
c o min c ia to c o n i p r e c e d e n ti Sc o o p ( 2 0 0 6 ) e
M a tc h P o int ( 2 0 0 5 ) e c h e i n r e a l t à a ff o n d a
le s u e r a d ic i p iù lo n ta n o , in Cr imini e mis f a tti ( 1 9 8 9 ) . I l d e s id e r io v a g h e g g ia to d i u n
r is c a tto s o c ia le è la mo lla c h e mu o v e i d u e
r a mp a n ti p r o ta g o n is ti, in u n c o n f u s o d e to u r,
n e l q u a le i c o n f in i mo r a li d iv e n ta n o s e mp r e
p iù la b ili f in o a lla p e r d iz io n e d e l f in a le . U n
n o ir e s s e n z ia le , s p o g lia to d i o g n i c o n c e s s io n e a l mé lo , in c u i il c in is mo e l’ h u mo u r
nero del regista sono i netti vincitori.
Un’umanità proletaria tutt’intorno, che si
dibatte nella lotta per la sopravvivenza,
me n tr e l’ a s p ir a z io n e a lla s o c ie tà a lto b o rg h e s e c o n s u ma s o p r a ttu tto u n o d e i d u e f r a te lli, Ew a n M c Gre g o r , c h e g e s t i s c e t r a a l t i
e b a s s i u n r is to r a n te in s ie me a l p a d r e . Più
c h e a g ir e , i d u e f r a te lli s o n o to ta lme n te a g iti
d a lle c ir c o s ta n z e , c h e s e mb r a n o o ff r ir e lo r o
u n ’ o c c a s io n e a ttr a v e r s o u n o z io r ic c o , lo r o
me n to r e e mo d e llo . I l p r e z z o d a p a g a r e s a r à
p e r ò a lto e le c o n s e g u e n z e d a a ff r o n ta r e n o n
a lla lo r o p o r ta ta . I l p iù g io v a n e ( C o lin F a rre ll) s i d ib a tte r à in me z z o a g li s c r u p o li mo r a li f in o a r e s ta r n e c o mp le ta me n te s o p r a f fatto e trascinare con sé anche il fratello,
meno impermeabile agli scrupoli.
L’ in e s o r a b ilità d e l c a s tig o a r r iv a q u in d i a lla
fine del film, dopo l’elusione avvenuta in
M a tc h P o in t. N o n c ’ è s c a m p o n e l l ’ a z z a r d o ,
q u e s ta la c o n c lu s io n e , e il g io c o n o n v a le
la c a n d e la .
C’ è tu tta l’ in e lu tta b ilità d e lla tr a g e d ia g r e c a
( e il r ic h ia mo d e l tito lo o r ig in a le , Ca s s a n d r a ’s D re a m è e l o q u e n t e , e s s e n d o i l n o m e
della barca che sarà loro fatale, portandoli
a lla mo r te , e q u i c ’ è il r ic h ia mo a ll’ a n a lo g a
barca di Scoop) e l’impossibilità quindi di
sfuggire a un destino segnato. Un gioco a
in c a s tr i in c u i s i a tte n d e l’ o mic id io c h e v e rr à , s p a r t i a c q u e d r a m m a t u rg i c o c h e p r e p a r a
il f in a le .
“ A l l a f i n e , n e l l a v i t a , s i p u ò c o n t a re s o l o
s u lla fa m ig lia ” : i l r a p p o r t o s i m b i o t i c o d e i
p r o ta g o n is ti ma r c a a n c h e la lo r o d iv e r s ità
c a r a tte r ia le n e ll’ a ff r o n ta r e la s c e lta tr a mo r a le e s u c c e s s o ma te r ia le , e il c o n s e g u e n te
s e n s o d i c o lp a , v e r o mo to r e d e lla p e llic o la .
I n q u e s to te r z o e p is o d io il g io c o mo s tr a q u a
e là la c o r d a , a r r iv a n d o d o p o , q u a n d o m o l t o
è g ià s ta to d e tto s u ll’ a rg o m e n t o . A l s o l i t o
te c n ic a me n te in e c c e p ib i l e , i l fi l m h a c o m u n que il torto di essere arrivato buon ultimo.
E il N o s tr o in ta n to g ià s i è m o s s o a l t ro v e ,
lontano dagli scenari londinesi (ha girato
in f a tti il p r o s s imo f ilm a B a rc e l l o n a ).
I n s o s ta n z a u n f ilm a m a ro , v e l a t o d a ra ri s simi momenti di commedia a cui Allen non
rinuncia, dopo tutto. Film che comunque
n u lla a g g iu n g e a q u a n to g i à d e t t o d a l l ’a u t o re newyorkese finora. Che corre il rischio di
r e a liz z a r e p u r i e s e r c iz i d i s t i l e .
Teresa Greco
SA 107
I cosiddetti COntemporane
Intervista a Krysztof Penderecki
Settantacinque anni portati splendidamente, un passato segnato dall’avanguardia, un paese,
la Polonia, ricco di cultura e di contraddizioni. Krysztof Penderecki, capostipite degli
sperimentatori polacchi ispirati alla “scuola di Darmstadt” è divenuto famoso ai più soprattutto
grazie a Stanley Kubrick, che gli chiese di utilizzare alcune sue musiche per la colonna sonora
del film Shining. Oggi continua la sua carriera di compositore e direttore d’orchestra come
se tanti anni non fossero passati. E proprio in occasione di un suo concerto, tra una prova
d’assieme e un panino, siamo riusciti ad intervistarlo. Testo: Daniele Follero
Quando la Polonia era a due passi da
Darmstadt
Nei tuoi primi lavori sei stato influenzato
dal serialismo radicale di Anton Webern e
di Pierre Boulez. Quello degli anni ’50-’60,
del resto, è stato un periodo cruciale per la
sperimentazione musicale, soprattutto grazie
all’avvio dei “corsi estivi” di Darmstadt: hai
mai avuto rapporti diretti con quel gruppo di
compositori?
Non proprio. A quel tempo, noi che vivevamo
in Polonia eravamo abbastanza isolati. Verso
la fine degli anni’ 50 incontrai per la prima
volta Luigi Nono, che venne a visitare il mio
paese: è stato, credo, il primo compositore
dell’ovest che abbia mai incontrato. In ogni
caso, certo, quella è la musica che mi ha influenzato all’epoca, se si aggiungono anche
i nomi di Stravinskij, Bartok, Messiaen..
Ci sono musicisti che hanno influenzato
più di altri il tuo percorso di musicista?
Solo all’inizio, quando ero ancora alla ricerca di un mio stile personale e provavo ad
analizzare e a interiorizzare la musica degli altri. A partire dagli anni ’60 e da opere
come Anacrusis, Threnody For The Victims
Of Hiroshima, Polimorphia, invece, credo
che la mia musica sia diventata più personale. Da lì è cominciata la “mia” avanguardia.
Qualcuno ha sostenuto che per la composizione della Threnody tu ti sia ispirato alla
“tecnica dei gruppi” di Stockhausen. Ma il
tuo interesse per le “grandi masse in movimento” e per la densità timbrica derivava davvero dalle opere di Stockhausen?
No, è stata una casualità. Mi piacevano alcuni lavori di Stockhausen: da Gesang Der
Junglinge a Gruppen, ma non sono stati que-
sti ad ispirarmi la musica della Trenodia. E’
stato piuttosto il mio interesse (in quel periodo) per la musica elettronica a spingermi ad esplorare certe soluzioni timbriche.
Stavo lavorando in uno studio di elettronica, all’epoca, ed è stata quell’esperienza ciò
che più mi ha ispirato a comporre quel brano
e a sperimentare un nuovo sound con l’uso
di cluster orchestrali.
Sei cresciuto come musicista e compositore, nella Polonia comunista. Com’era
l’ambiente musicale in Europa dell’Est
dopo la seconda guerra mondiale? Ti sentivi libero di comporre o hai avuto problemi politici con la censura?
La Polonia ha sempre rappresentato un eccezione tra i paesi del blocco sovietico. Beh,
problemi di censura ce ne sono stati, soprattutto tra la fine degli anni’40 e l’inizio del
decennio successivo. Ma ero troppo giovane,
allora! Qualche problemino l’ho avuto, soprattutto per le mie composizioni sacre. Ma
non perché fossero proibite. Semplicemente, nessuno avrebbe suonato quella musica,
all’epoca. Non c’era nessuna persecuzione,
comunque, nei riguardi dei musicisti.
Salmi, Dies Irae, Lacrimosa, il Requiem
Polacco sono solo alcuni dei tanti lavori
sacri che hai scritto. Quant’è importante,
nella tua musica, la religione e cosa significa per te comporre su testi sacri?
Sono cresciuto in una famiglia cattolica e,
sai, durante e dopo la guerra, la Chiesa svolse un ruolo importantissimo, appoggiando le
battaglie per la libertà, venendo a rappresentare, in Polonia, un’opposizione al potere costituito. In quanto ai testi sacri, per me
rappresentano una sorta di ispirazione, sia
SA 109
I cosiddetti COntemporane
nel loro senso religioso, sia nel loro essere
grande letteratura. Che si sia o meno credenti è difficile non apprezzare la grandezza
letteraria di testi come la Bibbia o il Canticum Canticorum.
Parlando di religione e spiritualità mi viene in mente Arvo Part…
Non è un musicista che amo! Credo che la
mia musica abbia veramente poco a che vedere con la sua. Non mi dispiace ciò che ha
scritto: è semplice da ascoltare, piacevole,
tuttavia abbiamo una concezione estetica
molto differente.
Sei stato definito un compositore “postmoderno”. Che ne pensi?
Non saprei davvero cosa si possa intendere
per post-modernità, oggi. E’ come se tutto
ciò che è venuto dopo gli esperimenti degli
anni ’60, appartenesse alla stessa categoria
di post-moderno. Credo che la mia musica si
sia sviluppata, rispetto a quel periodo, per
me estremamente prolifico, ma che era arrivato ad una saturazione. Un bel giorno mi
sono detto: “Tutto ciò che potevo fare l’ho
fatto, ora potrei solo ripetermi”. Ma questo
credo che c’entri ben poco con il concetto di
post-modernità..
Infatti, dopo il 1960 hai rivisitato il tuo
approccio
sperimentale,
introducendo
nella tua musica elementi della tradizione classica ed una grande varietà di stili
e citazioni. Ti eri accorto in anticipo che
l’avanguardia era un’esperienza già conclusa?
Vedi, tutto quel materiale, quelle idee, erano
già state ampiamente utilizzate e non vedevo alcuna possibilità di farlo ancora. Penso
che l’avanguardia propriamente detta si possa racchiudere in una manciata di anni, che
vanno dalla fine dei ’50 all’inizio dei ’60,
non oltre. Stiamo già parlando di un movimento storicizzato, che ha creato un vero e
proprio trauma, ravvisabile ancora oggi nelle giovani generazioni di compositori. Le
avanguardie, del resto, sono cicliche: dalla cosiddetta scuola di Vienna (Schoenberg,
Berg e Webern) di inizio secolo alla “nostra”
avanguardia sono passati un po’ di anni.
Oggi siamo ancora in attesa della prossima
ventata avanguardista.
Che opinione hai della popular music?
Penso che oggi ci sia una separazione meno
netta che in passato tra generi musicali. Popular music, musica sperimentale e musica
da film sono molto più vicine di quanto non
lo fossero anni fa. Questo potrebbe risultare
pericoloso, ma tutto dipende dalle persone,
dai musicisti. Anche Mozart ha scritto musica veramente “popular”.
Sono d’accordo nel definire la popular music una condizione, piuttosto che un genere. In questo senso, la Eine Kleine Nachtmusik di Mozart oggi è “popular” almeno
quanto Let It Be dei Beatles. Ma torniamo
al cinema: il tuo De Natura Sonoris è stato usato da Kubrick come colonna sonora
del film Shining. Hai incontrato il regista
inglese in quell’occasione?
No, purtroppo in quel periodo ero troppo occupato per recarmi a Londra. Ci sentimmo al
telefono ed io gli diedi il permesso di fare
ciò che voleva con la mia musica. Esattamente quello che fece!
Quando hai guardato il film, come hai
percepito la tua musica in quella dimensione?
Si tratta di frammenti di una composizione
di musica astratta, che associati ad immagini cruente e spaventose (come quella in cui
Jack Nicholson sta per uccidere il figlio) mi
si sono presentati in una natura totalmente
differente, quando li ho ascoltati nel film.
E’ stata la tua unica esperienza in ambito
cinematografico?
Negli anni ’50 e ’60 ho lavorato alle musiche per alcuni cortometraggi sperimentali,
ma si trattava di video di pochi minuti, non
ho mai lavorato ad un lungometraggio. In seguito l’idea di lavorare per il cinema mi ha
sempre un po’ spaventato. Ho sempre avuto
paura di perdere la mia identità mettendo la
mia musica al servizio di un film.
Hai conosciuto anche Frank Zappa. Cosa
mi puoi dire di lui?
In realtà ci siamo incontrati una sola volta,
brevemente. Gli piaceva la mia musica, ma
era interessato ad usare solo alcune idee, non
singole composizioni. Io l’ho sempre trovato
un musicista dalla mentalità molto aperta.
Vi v i a n c o r a i n P o l o n i a ? C o s a è c a m b i a t o
per te dopo il 1989 e la fine dell’esperienza del socialismo sovietico?
Mi sono un po’ distaccato da quelli che
sono i problemi politici, cerco di vivere
la mia vita indipendentemente dagli eventi. Credo, però, che, sotto certi aspetti più
strettamente inerenti la musica, le cose siano peggiorate, poiché oggi per la cultura
si spende molto meno. Anche se la musica
non rischia più di essere utilizzata come
strumento di propaganda, come avveniva
allora.
John Cage.
Beh, non lo considero un vero e proprio
compositore, piuttosto un innovatore, un
filosofo che ha fornito le idee. Non credo
fosse in grado davvero di comporre musica,
nonostante abbia ispirato molti compositori.
C o m e v e d i i l f u t u ro d i K r y s z t o f P e n d e re cki? In che maniera pensi che cambierà
la tua musica?
Credo che negli ultimi vent’anni la mia musica non sia cambiata molto, penso di aver
trovato il mio idioma, che racchiude tutti i
periodi della mia vita.
Olivier Messiaen
Sono sempre stato molto legato a questo
compositore, che ho anche conosciuto e
incontrato più volte, anche se non ho mai
provato ad imitarne la musica: era uno dei
pochi musicisti ad avere un suo stile veramente personale.
Ti c h i e d e re i , p e r f i n i re , d i d a r m i u n g i u dizio su alcuni compositori che tu ben con o s c i . E c o m i n c e re i c o l f a r t i i l n o m e d i
E d g a r Va r è s e .
Oh, per tutti noi della generazione degli
anni ’50 era semplicemente un genio!
L’ u l t i m o , L u c i a n o B e r i o .
Ingegnoso. Forse anche troppo (risata). E’
il signum temporis degli anni ’60, una delle più grandi personalità di quella generazione di musicisti.
Mi sembra una definizione molto simile
a quella che ne diede di lui Schoenberg,
s u o i n s e g n a n t e . Ti s t a v o p ro p r i o p e r f a re
il suo nome, per l’appunto…
Un grande compositore.
SA 111
Fuck Buttons “Street Horrrsing”
(ATP Recordings) CD/2LP
Il duo è partito sposando l’attitudine dei più influenti
artisti noise d‘oltreoceano – Black Dice e Wolf Eyes
- per poi utilizzare il rumore ai fini di un sound più
strutturato. Nell’album l’approccio è analogico,
macchine d’epoca (Casio e microfoni giocattolo) e
strumenti modificati, un feeling dai tratti psichedelici.
Andrew Hung e Benjamin John Power hanno
praticamente confezionato uno dei dischi dell’anno!
The Dirtbombs “We have you
surrounded” (In The Red) CD/LP
Quarto album da studio per la band di Mick Collins.
Un suono ancora gravido di chitarre garage-fuzz e
melodie soul, un programma arrembante costituito
da brani di incredibile intensità. E ancora una volta
delle meravigliose cover: Sparks, Dead Moon ed Alan
Moore (fumettista/musicista culto).
Autumn Defense “ST” (Broken Horse)
CD
Terzo album omonimo per questa band che si muove
parallelamente ai Wilco (John Stirratt e Pat Sansone).
Atmosfere west-coast incrociate a momenti bossa e
philly soul. ������������������������������������������������
Tra gli ospiti il chitarrista Nels Cline (anche
lui nei Wilco). ������������������������������������������
Pe rfans di: Big Star, Crosby Stills Nash
& Young, Steely Dan.
Quinn Walker “Laughter’s An Asshole
+ Lion Land” (VoodooEros) 2CD
Doppio album per quest’artista scoperto e lanciato
dalla Voodoo Eros delle Coco Rosie. Con le sorelle
Cassidy il nostro ha anche diviso il palco nel recente
tour europeo, mettendo in mostra la sua bizzarra
scrittura, fatta di coralità folk e arrangiamenti dal
piglio sempre imprevedibile: tra echi percussivi,
computer music in salsa punk e momenti di pura
meditazione. Semplicemente geniale.
Evangelista “Hello, Voyager”
(Constellation) CD/LP 180gr.
Evangelista è la nuova band di Carla Bozulich ed Hello,
Voyager ne segna il debutto ufficiale. Accompagnata
dai fidi Tara Barnes e Shahzad Ismaily, la vocalist
d’adozione californiana torna sul luogo del delitto.
L’Hotel2Tango di Montreal dove Efrim Menuck e soci
hanno tagliato fantastiche musiche con A Silver Mt.
Zion ed artisti di fama internazionale quali Patti Smith
e Vic Chesnutt.
Thee Silver Mt. Zion “13 Blues For
Thirteen Moons” (Constellation) CD/LP
180gr.
Una grande e rumorosa prova di auto-determinazione,
che vuole nelle ‘corde tese’ la chiave di lettura di un
disco sospirato, vicino alle migliori pagine del post-punk
inglese e del rock d’avanguardia mittel-europeo. Due
chitarre, due violini, un violoncello, un contrabbasso
ed una batteria per plasmare un suono al limite
dello ‘stordimento’ , movimenti cameristici punk che
prendono forma nei rinnovati locali dell’Hotel2Tango
The Low Lows “Shining Violence”
(Monotreme) CD
Dalla stessa città dei R.E.M. – Athens, Georgia
– il nuovo sangue del rurale american sound. Tra
bellissime ballate, echi di west coast sound e rimandi
alla stagione lo-fi, i Lows Lows si impongono tra i nomi
di punta di un movimento che vede in Sparklehorse,
Jason Molina e Band Of Horses i suoi maggiori
esponenti.
Neon Neon “Stainless Style”
(Lex Records) CD/2X12”
Un progetto dai tratti synth-pop per il celebre dj
Boom Bip ed il vocalist di Super Furry Animals Gruff
Rhys. Favolosi gorgheggi italo- disco, beats hip-hop
ed uno sguardo ai dancefloor più futuristi, per la band
destinata a raccogliere il testimone dei Gorillaz.
Borko “Celebrating Life”
(Morr Music) CD/LP
E’ la nuova sensazione islandese, anche se in realtà
Borko è un nome da tempo in vista nei circuiti locali.
Un folk-singer che è anche arrangiatore, una figura
talmente influente da prestare spesso la sua penna
ai musicisti emergenti del suo paese. Attualmente in
tour con i Mum, per proporre le sue canzoni a cavallo
tra brani acustici e lievi arrangiamenti elettronici.
The Brian Jonestown Massacre
“My Bloody Underground” (a Records) CD
Primo album per i BJM in oltre 4 anni, inciso con
un nucleo selezionato di musicisti del loro giro, un
manipolo di artisti islandesi ed il leggendario Mark
Gardener (Ride). Vista quest’ultima associazione la
band di Anton Newcombe torna ad uno degli amori del
suo passato, lo shoegaze, per un disco dai tratti più
sperimentali e dai toni spesso eterei, con sezioni archi,
drone sospesi ed un feeling realmente innovativo.
IN TOUR:
MOHA! 14 marzo PAVIA, Ortosonico
17 marzo ROMA, Sinister Noise - 18 marzo RAVENNA, Bronson
21 marzo Brindisi, Palmaresclub - 23 marzo BENEVENTO, Sdmmlab
MURCOF 19 marzo TORINO, Auditorium Sandretto
MIKE PATTON + ZU 3 marzo TORINO, Ossigeno
4 marzo ROMA, Circolo Degli Artisti - 7 marzo VERONA, Interzona
BLACK DICE 7 marzo PADOVA, Unwound
8 marzo BOLOGNA, Covo - 9 marzo MILANO, Magnolia
OLD TIME RELIJUN 28 marzo BRESCIA, La nave di Harlok
29 marzo CAVRIAGO (RE), Calamita - 30 marzo PADOVA, Unwound
2 aprile MARINA DI MASSA (MS), Tago Mago
RHYS CHATHAM GUITAR TRIO 26 marzo NAPOLI, Teatro Galleria Toledo
27 marzo RAVENNA, Bronson - 28 marzo MILANO, O’ Artoteca
29 marzo VERONA, Interzona
CHARALAMBIDES 2 aprile PADOVA, Carichi Sospesi
4 aprile RAVENNA, Bronson - 5 aprile GIUSSAGO (PV), Ortosonico
6 aprile FOLIGNO (PG), Feedback - 8 aprile ROMA, Init
www.GOODFELLAS.it
distribuzione / vendita per corrispondenza
via Fortebraccio 20/A - 00176 Roma (Pigneto) Tel. 06 21700139 Fax: 06 2148346
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I NOSTRI NEGOZI: ROMA Radiation Records - Circ.ne Casilina 44 (Pigneto) • FIRENZE Music Center - Via Martelli 33/R
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