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Opere di Kelley Armstrong
pubblicate da Fazi Editore
The Summoning
The Awakening
Bitten
Stolen
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I edizione: gennaio 2013
© 2004 Kelley Armstrong
© 2012 Fazi Editore srl
Via Isonzo 42, Roma
Tutti i diritti riservati
Titolo originale: Dime Store Magic
Traduzione dall’inglese di Marco Astolfi
ISBN 978-88-7625-106-1
www.fazieditore.it
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Kelley Armstrong
Il destino di una strega
DIME STORE MAGIC
traduzione di Marco Astolfi
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A mio padre, per l’appoggio e
l’incoraggiamento che mi ha sempre dimostrato
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Prologo
Todd ha regolato il suo sedile in pelle premendo un interruttore. «Questa sì che è vita!», ha pensato sorridendo: scorrazzare lungo la costa californiana con la strada tutta per te,
la velocità automatica a ottanta chilometri l’ora, la temperatura interna a venti gradi e una tazza di caffè brasiliano tenuta in caldo nell’apposito alloggiamento. Qualcuno avrebbe
potuto obiettare che era meglio starsene seduti comodi sul sedile posteriore piuttosto che dietro al volante, ma Todd non
si poteva lamentare: meglio essere una guardia del corpo piuttosto che averne bisogno.
Il tizio che l’aveva preceduto, Russ, era uno di quelli ambiziosi. E forse questo spiegava perché era scomparso da due
mesi. In ufficio le scommesse attorno alla macchinetta del
caffè erano equamente divise: c’era chi riteneva che Kristof
Nast si fosse finalmente stancato della condotta indisciplinata
della sua guardia del corpo e chi pensava che Russ fosse caduto vittima delle ambizioni di Todd. Cazzate, naturalmente.
Certo, Todd avrebbe anche potuto uccidere per ottenere il
suo lavoro, ma Russ era un Ferratus e lui non sapeva nemmeno come farlo fuori.
Supponeva che dietro alla sua improvvisa scomparsa ci
fossero i Nast, ma non se ne preoccupava più di tanto. Quando accetti di lavorare per una Cabal sai bene cosa aspettarti:
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se ti comporti lealmente hai un posto di lavoro che tutto il
mondo soprannaturale ti invidia, ma se solo cerchi di ingannarli stai sicuro che ti inseguiranno fino all’altro mondo per
vendicarsi. Almeno i Nast non erano tanto spietati quanto i
St. Cloud. Se c’era da fidarsi delle voci che giravano su di loro e su come avevano conciato quel povero sciamano. Todd è
rabbrividito. Cazzo, era felice che…
Delle luci hanno lampeggiato nello specchietto laterale.
Todd ha visto una volante della polizia statale. Cristo, da dove era sbucata fuori? Ha controllato il tachimetro: ottanta
spaccati. Faceva quel tragitto due volte al mese e sapeva che
il limite di velocità non cambiava mai lungo il tratto di strada
su cui stavano viaggiando.
Ha rallentato aspettandosi che l’auto della polizia proseguisse, lasciandoselo alle spalle, mentre invece gli è rimasta
dietro. Ha scosso la testa: quante macchine l’avevano superato nell’ultima ora, andando a centodieci se non di più? Oh,
ma non erano limousine della Mercedes progettate appositamente per il cliente. Meglio fermare qualcuno che ha tutta l’aria di poterti allungare un paio di biglietti da venti per evitare
la scocciatura di una multa. In questo caso avevano scelto
l’auto sbagliata. Kristof Nast non era il tipo che si abbassava
a corrompere dei semplici agenti della polizia stradale.
Mentre metteva la freccia per accostare Todd ha abbassato
il vetro divisorio che lo separava dal suo passeggero. Il signor
Nast era al cellulare. Ha detto qualcosa, poi ha allontanato il
telefono dall’orecchio.
«Dobbiamo accostare, signore. La polizia. Avevo la velocità automatica fissa sugli ottanta».
Nast ha fatto un cenno col capo. «Succede. Non abbiamo
fretta. Paga la multa senza fare storie».
Todd ha ripristinato il vetro divisorio e abbassato il finestrino, guardando il poliziotto avvicinarsi nello specchietto laterale. In realtà si trattava di una poliziotta. Carina, per giunta. Snella, sulla trentina, capelli rossi lunghi fino alle spalle,
abbronzatura californiana. La divisa, però, non le cadeva mol10
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to bene, sembrava un paio di taglie più grande. Forse gliel’aveva passata qualche collega maschio.
«’Giorno, agente», ha detto Todd togliendosi gli occhiali
da sole.
«Patente e libretto».
L’autista glieli ha consegnati con un sorriso, ma la faccia
della poliziotta è rimasta impassibile, l’espressione degli occhi nascosta dietro le lenti scure.
«Le dispiace smontare dal veicolo».
Todd ha aperto lo sportello con un sospiro di rassegnazione. «Quale sarebbe il problema, agente?».
«Un fanale posteriore non funzionante».
«Oh, merda! Va bene. Allora mi faccia la contravvenzione
e lo faremo riparare arrivati a San Francisco».
La strada era deserta. Quando Todd è uscito dall’abitacolo, l’agente si è voltata per dirigersi decisa verso il retro della
macchina.
«Mi può spiegare questo?», ha detto.
«Spiegare cosa?».
Mentre la raggiungeva, il suo cuore ha cominciato a battere più forte, ma si è detto che non doveva essere nulla di serio. I Nast non usavano mai le loro macchine di famiglia per
gli affari sporchi. In caso contrario… ha piegato le dita e stretto i pugni, sentendo le falangi bruciare calde contro i palmi.
Ha lanciato un’occhiata alla volante, parcheggiata a poco
più di mezzo metro dalla Mercedes. Non c’era nessun altro a
bordo. Bene. Se qualcosa fosse andato storto, avrebbe dovuto
occuparsi solo della donna.
La poliziotta si è infilata nello spazio esiguo tra le due auto,
si è chinata a controllare qualcosa vicino al fanale di sinistra. Ha
aggrottato la fronte ed è tornata da Todd indicando il paraurti.
«Allora, come me lo spiega?», ha detto la poliziotta.
«Spiegare cosa?».
La donna ha contratto la mascella e con un cenno gli ha intimato di guardare lui stesso. Si è dovuto mettere di sbieco per
passare tra le due auto. Avrebbe potuto fare almeno un po’ di
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retromarcia. Lo vedeva anche lei che era un tipo grande e
grosso. Si è chinato più che poteva per esaminare il paraurti.
«Io non vedo niente».
«Più in basso», ha risposto seccamente.
Puttana. Che cosa le costava essere un po’ più gentile? Lui
non aveva nemmeno provato a protestare.
Si è abbassato sulle ginocchia. Cristo, era lo spazio tra le
due auto a essere così stretto o ultimamente aveva messo su
qualche chilo di troppo? Sentiva il paraurti della volante premergli contro la schiena.
«Hmmm, le dispiacerebbe spostare la sua auto un po’ più
indietro, per favore?».
«Oh, mi spiace. Così va meglio?».
La volante si è spostata in avanti, bloccandolo contro la limousine e svuotandogli i polmoni di tutta l’aria. Todd ha
aperto la bocca per dirle di ingranare la retromarcia, ma poi
si è accorto che la donna era ancora lì accanto a lui… e che
l’auto non era nemmeno in moto. Ha afferrato il paraurti della limousine e ha cominciato a spingere. L’odore di plastica
bruciata ha riempito l’aria.
«Oh, coraggio», ha detto la donna chinandosi su di lui.
«So che puoi fare di meglio. Mettici un po’ più di forza. Sei o
non sei un semidemone di fuoco?».
Quando Todd ha cercato di colpirla, lei si è ritratta mettendosi a ridere. L’autista ha cercato di parlare, ma il fiato gli
bastava appena per produrre qualche suono gutturale. Ancora una volta ha cercato di premere contro il paraurti. La striscia di plastica si è fusa a contatto con le sue dita, ma la macchina non si è mossa di un centimetro.
«Sei solo un Igneus?», ha detto la poliziotta. «Le Cabal devono proprio essere a corto di semidemoni. Allora forse ci
può essere un posto anche per me. Non ti muovere, tu. Torno subito».
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Leah ha aperto lo sportello del conducente ed è salita a
bordo della limousine prendendo posto sul sedile anteriore.
Ha fatto scorrere il suo sguardo sulla fila di bottoni del cruscotto. Uff, che bisogno ci sarà di tutte queste apparecchiature elettroniche? Dunque dunque, quale pulsan…
Il vetro divisorio tra i sedili si è abbassato con un ronzio.
Be’, questo le risparmiava la scocciatura.
«È andato tutto per il…», ha esordito Nast, ma si è fermato quando l’ha vista. Ha sollevato le mani dalle ginocchia,
muovendo le dita mentre schiudeva le labbra.
«Bene, bene», ha detto Leah. «Tanto per cominciare niente incantesimi».
La cintura di sicurezza si è tesa con uno scatto attorno al
petto di Nast così in fretta da togliergli il respiro.
«Metti le mani dove posso vederle», ha ordinato Leah.
Un lampo si è acceso negli occhi di Nast. Con un guizzo
delle dita ha schiantato la semidemone contro il cruscotto.
«E va bene, me lo sono meritato», ha detto sorridendo
mentre si raddrizzava. Le è bastato lanciare un’occhiata alla
cintura di sicurezza perché si allentasse. «Va meglio così?».
«Forse non ti rendi conto di quello che stai facendo. Ti
consiglio di pensarci bene», ha risposto Nast. Si è sistemato
la giacca del completo, mettendosi comodo sul sedile. «Dubito che tu voglia veramente imboccare questa strada».
«Ehi, non sono così stupida e non ho tendenze suicide.
Non sono qui per farti del male. Non ho fatto nulla neppure
alla tua guardia del corpo. Be’, nulla che non possa essere curato con un paio di settimane di riposo assoluto. Sono venuta per proporti un affare, Kristof, ops, scusa, volevo dire signor Nast. Riguarda tua figlia».
Ha sollevato il mento con uno scatto, guardandola negli
occhi per la prima volta.
«E adesso che ho la tua attenzione…».
«Cosa devi dirmi di Savannah?».
«La stai cercando, non è vero? Adesso che Eve è morta
nessuno può impedirti di prendere ciò che ti appartiene. E io
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sono proprio la persona che ti aiuterà a farlo. So esattamente
dove si trova».
Nast ha sollevato la manica della giacca per controllare l’orologio. «Credi che il mio autista sia ancora in grado di svolgere le sue mansioni?».
«Ne dubito», ha detto Leah facendo spallucce.
«Allora spero che tu sia in grado di guidare e discutere
contemporaneamente».
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Incantesimi, scocciature e perplessità
Ero di nuovo nei guai con le Anziane.
Per tutta la vita non avevo fatto altro che dar loro il tormento e adesso che, a ventitré anni, non ero più una bambina precoce o una giovane ribelle, non sapevano più come giustificare il mio comportamento.
«Dobbiamo fare qualcosa con Savannah». Il vivavoce del
telefono conferiva alle parole di Victoria Alden un tono lamentoso non del tutto inappropriato.
«Ah-ah», ho detto facendo scorrere le dita sulla tastiera
per copiare la riga successiva del codice.
«Sento un rumore di tasti», ha detto Victoria. «Stai scrivendo al computer, Paige?».
«Ho una scadenza. Ottimizzazione del sito dei Servizi Legali di Springfield. Dev’essere pronto tra due giorni e ho l’acqua alla gola. Senti, non è che possiamo parlarne un’altra volta? Parteciperò alla riunione della Congrega la settimana
prossima e…».
«La settimana prossima? Non credo che tu stia affrontando
la situazione con la dovuta serietà, Paige. Prendi il ricevitore,
smetti di lavorare e stammi a sentire. Da chi avrai imparato certe maniere? Non certo da tua madre, pace all’anima sua».
Ho sollevato la cornetta reggendola all’orecchio con l’aiuto della spalla e ho cercato di digitare senza far rumore.
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«Si tratta di Savannah», ha annunciato Victoria.
Che novità! Uno dei pochi vantaggi di avere in affidamento Savannah Levine, un’adolescente di tredici anni, era che le
mie bravate da ribelle sembravano nulla in confronto alle sue.
«Che cos’altro ha combinato adesso?», ho chiesto aprendo
la cartella con l’elenco delle funzioni JavaScript. Ero sicura di
averne salvata una che faceva al caso mio. Ma era stato più di
un anno fa. Figuriamoci se sarei riuscita a trovarla adesso!
«Dunque, l’altra sera stavo parlando con Grace ed era
piuttosto preoccupata per qualcosa che Savannah aveva detto a Brittany. Ora, Grace ammette che sua figlia possa avere
frainteso qualche dettaglio, cosa che posso anche capire. Preferiamo risparmiare alle neofite della Congrega questo genere di cose, quindi sarei sconvolta se Brittany avesse compreso
appieno la proposta di Savannah. Sembra che…». Victoria si
è fermata per fare un respiro profondo, come se proseguire
le costasse una grande sofferenza. «Sembra che Brittany abbia qualche difficoltà con delle compagne di scuola e Savannah si è offerta di… di darle una mano preparando una pozione che, come effetto, avrebbe impedito alle ragazze di frequentare le lezioni di danza».
«Ah-ah». Eccola qui la funzione! Mi ero risparmiata una
mezza giornata di lavoro. «E allora?».
«Che cosa vuoi dire con “e allora?”. Savannah ha proposto
di insegnare a Brittany come fare ammalare le sue compagne!».
«Ha tredici anni. A quell’età anch’io avrei voluto far ammalare un sacco di gente!».
«Però non l’hai fatto, vero?».
«Solo perché non conoscevo gli incantesimi. Per fortuna,
perché altrimenti ci sarebbero stati dei casi molto gravi di epidemie».
«Vedi?», ha detto Victoria. «Questo è proprio quello di cui
stavo parlando. Questo tuo atteggiamento…».
«Veramente mi sembrava che stessimo parlando di Savannah».
«Ecco, l’hai fatto di nuovo. È proprio di questo che si trat16
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ta. Io cerco di affrontare con te una faccenda delicata e tu la
liquidi con delle battute di spirito. Questa mancanza di rispetto non farà mai di te il capo della Congrega».
Avrei potuto ricordarle che, dopo la morte di mia madre,
io ero il capo della Congrega, ma mi sono trattenuta. Se l’avessi fatto, mi avrebbe “ricordato” che lo ero solo di nome e
la discussione si sarebbe trasformata in men che non si dica
da semplicemente fastidiosa a decisamente insopportabile.
«La responsabilità di Savannah è solo mia», ho detto. «Voi
Anziane siete state molto chiare in proposito».
«E ne avevamo tutte le ragioni».
«Perché sua madre praticava la magia nera? Uh, che paura! Be’, sai che ti dico? L’unica cosa che mi spaventa in Savannah è quanto poco ci mette a non entrare più nei suoi vestiti. È una ragazzina normale, una ribelle come tutti gli adolescenti, non una strega malvagia. Ha detto a Brit che avrebbe
preparato una pozione? Capirai! Scommetto dieci a uno che
non è nemmeno capace di farlo. Voleva mettersi in mostra o
forse stava cercando di scandalizzarci. È quello che fanno di
solito gli adolescenti».
«La stai difendendo».
«Certo che la difendo. Non ha nessun altro dalla sua parte. Quella povera bambina ha vissuto un inferno la scorsa
estate, e prima di morire mia madre mi ha chiesto di prendermi cura di lei…».
«O almeno così ti ha fatto credere quella donna».
«Quella donna è una mia amica. Credi che mia madre non
mi avrebbe chiesto di prendere con me Savannah? Certo che
l’avrebbe fatto. Questo è il nostro compito: proteggere le nostre sorelle».
«Non a rischio di mettere in pericolo la Congrega».
«Da quando in qua sarebbe più importante…».
«Non ho tempo di litigare con te, Paige. Parla con Savannah o lo farò io».
Clic.
Dopo aver riattaccato sbattendo il ricevitore ho lasciato a
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grandi passi l’ufficio mormorando fra me e me tutto quello
che avrei voluto dire a Victoria. Sapevo quando tenere a freno la lingua, anche se a volte esserne consapevoli e comportarsi di conseguenza sono due cose molto diverse. Mia madre
era la diplomatica della famiglia: aveva impiegato anni di lavoro per apportare anche solo una piccola modifica alle Leggi della Congrega, cercando di appianare ogni piega difendendo la sua posizione con un sorriso sulle labbra.
Ma adesso non c’era più. È stata uccisa nove mesi fa. Nove
mesi, tre settimane e due giorni. Il mio cervello ha eseguito
automaticamente il calcolo spalancando l’abisso di dolore che
avevo cercato in tutti i modi di non guardare. L’ho richiuso in
fretta. Lei non avrebbe voluto che mi lasciassi andare.
Sono stata messa al mondo per una ragione precisa. A cinquantadue anni, dopo essere stata troppo occupata per avere
dei bambini, mia madre ha passato in rassegna le sorelle della Congrega senza trovare un degno successore, così ha trovato un “donatore genetico” idoneo e mi ha concepita con
l’aiuto della magia. Una figlia generata e cresciuta per essere
il capo della Congrega. Ora che se n’era andata dovevo onorare la sua memoria e servire quello scopo, con o senza il benestare delle Anziane.
Ho piantato là il computer. La telefonata di Victoria mi aveva fatto completamente passare la voglia di dedicarmi alla programmazione. Quando mi trovo in questo stato ho bisogno di
fare qualcosa che mi ricordi chi sono e cosa voglio dalla mia
vita, ovvero esercitarmi con i miei incantesimi: non quelli autorizzati dalla Congrega, ma la magia che essa proibiva.
Sono andata in camera mia, ho arrotolato il tappeto, aperto la botola che dà sullo scantinato non praticabile e ho tirato
fuori uno zaino. Poi, chinandomi, mi sono sporta all’interno
della cavità per aprire uno sportello segreto che dava su un secondo scomparto e ho estratto due libri: i miei grimori segreti. Li ho messi nello zaino e mi sono preparata a uscire.
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Stavo per infilarmi i sandali quando ho visto muoversi la
maniglia della porta d’ingresso. Ho controllato l’orologio: le
tre del pomeriggio. Di solito Savannah non esce da scuola prima delle quattro meno un quarto. È per questo che credevo di
avere quasi un’ora a disposizione per esercitarmi prima di prepararle la merenda. Sì, ormai è un po’ troppo cresciuta per il
rituale pomeridiano del latte coi biscotti, ma non c’è giorno
che io non lo onori. Diciamoci la verità, a ventitré anni non sono ancora pronta per fare da madre a un’adolescente, ma essere a casa quando torna da scuola è il minimo che posso fare.
«Cos’è successo?», le ho chiesto raggiungendo di corsa
l’ingresso. «Tutto bene?».
Savannah si è ritratta, come per paura che potessi fare
qualcosa di avventato, tipo abbracciarla. «Oggi c’era l’assemblea degli insegnanti e ci hanno fatto uscire prima. Non te lo
ricordi?».
«Me l’avevi detto?».
Si è sfregata il naso come per valutare se poteva cavarsela
con una bugia. «Me n’ero dimenticata. Ti avrei chiamato se
avessi avuto un cellulare».
«Avrai un cellulare quando sarai in grado di pagarti la ricarica».
«Ma sono troppo giovane per trovarmi un lavoro!».
«Allora sei troppo giovane anche per avere un cellulare».
Era una vecchia storia. Ognuna di noi conosceva a memoria le sue battute e non si discostava mai troppo dal copione.
È uno dei vantaggi di avere appena dieci anni più di Savannah. Ricordo di aver fatto le stesse cose con mia madre, quindi so esattamente come gestirle: non allontanarsi dalla consueta sequenza di battute e non dare alcun segno di cedimento. Alla fine si arrenderà… cosa che però io non ho mai fatto.
Savannah ha sbirciato dietro le mie spalle per guardare lo
zaino: le veniva molto facile, visto che era cinque centimetri
più alta del mio metro e sessanta. Cinque centimetri più alta
e circa quindici chili più magra. Potrei giustificare la differenza di peso facendo presente che Savannah è molto magra
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ma, a essere sinceri, sono io a essere circa sette chili al di sopra di quello che la maggior parte delle riviste femminili indica come il peso forma per la mia altezza.
Savannah, al contrario, è molto alta per la sua età: magra e
dinoccolata, tutta angoli e arti sporgenti. Le ho assicurato che
si sarebbe abituata al suo corpo come ai suoi occhi azzurri più
grandi del normale. Ma non mi crede. Come non mi ha dato
retta quando le ho detto che sarebbe stato un errore tagliare
i capelli neri lunghi fino ai fianchi. Adesso ha un caschetto liscio e sfrangiato che mette ancora più in evidenza i lineamenti spigolosi della sua faccia. Naturalmente se l’è presa con me
perché invece di proibirle di tagliarsi i capelli mi sono limitata a sconsigliarglielo.
«Stavi andando a fare esercizi di magia?», mi ha chiesto indicando lo zaino. «A che cosa ti stai dedicando adesso?».
«A prepararti la merenda. Il latte lo vuoi semplice o col cacao?».
Ha fatto un sospiro teatrale. «Avanti, Paige. Lo so che genere di magia pratichi e non posso certo biasimarti. Gli incantesimi della Congrega vanno bene per i bambini di cinque
anni».
«I bambini di cinque anni non fanno incantesimi».
«Se è per questo nemmeno le sorelle della Congrega. Incantesimi veri, voglio dire. Oh, dai, possiamo farlo assieme?
Forse riesco a far funzionare quella formula per evocare il
vento cui stai lavorando».
L’ho squadrata.
«Hai scritto sul tuo diario che ti dava qualche problema»,
ha detto. «Sembra figo. Mia madre non aveva nulla del genere. Sai cosa ti dico? Tu me lo insegni e io ti mostro un po’ di
magia vera».
«Hai letto il mio diario?».
«Solo quello sugli esercizi di magia. Non quello privato».
«Come fai a sapere che ne ho uno privato?».
«Perché? Ce l’hai davvero? Ehi, sai cos’è successo oggi a
scuola? Il signor Ellis ha detto che farà incorniciare due dei
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miei dipinti. Li esporrà per la cerimonia di consegna dei diplomi la settimana prossima».
Savannah ha continuato a parlare mentre andava in cucina. Dovevo proseguire la discussione sul diario? Per un attimo ho considerato l’ipotesi, ma poi ho lasciato perdere. Ho
preso lo zaino e sono tornata in camera per rimetterlo nel suo
nascondiglio.
Il fatto che Savannah leggesse il mio diario privato voleva
dire che almeno mostrava un certo interesse nei miei confronti. Il che era un bene. Be’, a meno che non si facesse gli
affari miei sperando di trovare qualcosa che le avrebbe permesso di ricattarmi e avere il suo cellulare. Il che non era proprio un bene. Ma dopotutto cosa avrebbe mai potuto trovare
nel mio diario?
Mentre stavo mettendo sotto chiave lo zaino ho sentito il
campanello. Savannah ha urlato «Vado io» e si è precipitata
in corridoio, facendo il rumore di una persona tre volte più
pesante di lei. Quando, qualche minuto più tardi, sono entrata in soggiorno, era sulla soglia e stava cercando di sbirciare il
contenuto di una lettera guardandola in controluce.
«Stai mettendo alla prova le tue capacità psichiche?», ho
detto. «Faresti molto più in fretta con un aprilettera».
Ha fatto un balzo per lo spavento, ha abbassato la busta
con un gesto repentino e, dopo un attimo di esitazione, me
l’ha consegnata.
«Ah, è per me. In questo caso ti suggerisco di aprirla col
vapore», ho detto prendendo la busta. «Una raccomandata.
Questo trasforma una semplice frode postale in frode con falsificazione. Mi auguro che tu non usi questo sistema per contraffare la mia firma nelle note scolastiche».
«Anche se fosse?», ha detto mentre tornava in cucina.
«Che vantaggio ci sarebbe a marinare la scuola in questa
città? Niente centri commerciali, niente Starbucks, nemmeno
un McDonald’s».
«Potresti sempre frequentare gli altri ragazzini che si ritrovano fuori dal negozio di ferramenta».
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Se n’è andata in cucina sbuffando.
La busta aveva le misure standard di una normale lettera,
non c’erano timbri insoliti, solo il mio nome e il mio indirizzo scritti a mano in una grafia chiara e precisa e il recapito del
mittente prestampato nell’angolo in alto a sinistra. Il mittente? Uno studio legale della California.
L’ho aperta strappando la busta. Lo sguardo mi è caduto
subito sulla prima riga che richiedeva o, meglio, esigeva la mia
presenza a un incontro il mattino del giorno successivo. La
prima cosa che ho pensato è stata “Oh, merda!”. Immagino
sia una reazione più che normale per chiunque riceva un’improvvisa convocazione da uno studio legale.
All’inizio pensavo che avesse a che fare col mio lavoro:
progetto e gestisco siti Internet per donne imprenditrici stanche di web designer maschi e delle loro proposte tecnologicamente poco stimolanti. Io garantisco loro qualcosa di più di
un semplice sfondo a motivi floreali. Comunque, quando si
parla di Internet la questione dei diritti d’autore è tanto nebulosa e intricata quanto gli accordi prematrimoniali di un
VIP, così, vedendo questa lettera in puro gergo da azzeccagarbugli, ho immaginato di aver fatto qualcosa di illegale, tipo
progettare una sequenza Flash che ricordava vagamente quella usata da un sito dello Zaire.
Poi ho letto la riga successiva.
«Lo scopo di questo incontro è discutere la richiesta del
nostro cliente per la custodia della minore Savannah Levine…».
Ho chiuso gli occhi facendo un respiro profondo. Va bene, sapevo che prima o poi sarebbe successo. L’unica parente
ancora in vita di Savannah era una delle Anziane della Congrega, ma avevo sempre ipotizzato che gli amici di Eve si stessero chiedendo che ne era stato di lei e della sua giovane figlia. Quando avessero scoperto che una prozia aveva preso la
custodia della bambina per poi affidarla a me di sicuro avrebbero voluto delle risposte. E probabilmente avrebbero voluto anche Savannah.
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Naturalmente non gliel’avrei data vinta tanto facilmente. Il
problema era che Margaret, la zia di Savannah, era la più debole delle tre Anziane e se Victoria avesse insistito perché rinunciasse alla pronipote lei le avrebbe dato ascolto. Le Anziane odiavano avere problemi ed erano soggette a crisi collettive di orticaria alla sola idea di attirare l’attenzione su di
sé. Per assicurarmi il loro sostegno dovevo convincerle che sarebbero andate incontro a rischi più gravi per la loro persona
se avessero rinunciato a Savannah piuttosto che se l’avessero
tenuta. Alla fine per le Anziane contava solamente una cosa:
ciò che era meglio per loro, ciò che era più sicuro per loro.
Ho scorso rapidamente il resto della lettera, setacciando il
gergo legale in cerca del nome del richiedente. Quando l’ho
trovato ho sentito lo stomaco sprofondarmi nelle scarpe. Non
riuscivo a crederci. No, ci credevo benissimo, invece! Mi sono
maledetta per non averlo previsto in tempo.
Ho già detto com’è morta mia madre? L’anno scorso un
piccolo gruppo di umani, venuto a conoscenza delle razze soprannaturali, ne aveva rapito un campione per sfruttare i loro
poteri. Tra queste c’era anche Eve, la madre di Savannah. Pure lei, la piccola strega, che quel giorno aveva avuto la sfortuna
di essere rimasta a casa da scuola, era stata catturata.
Eve, tuttavia, si era presto dimostrata più pericolosa del
previsto, così i suoi aguzzini l’avevano eliminata. Al suo posto
avevano preso di mira mia madre, l’anziana a capo della Congrega, e l’avevano catturata assieme a Elena Michaels, una
donna licantropo. Nel complesso carcerario le due erano diventate amiche e avevano conosciuto un’altra prigioniera, una
semidemone che in seguito avrebbe ucciso mia madre e dato
la colpa a Savannah, come parte di un intricato complotto per
assumere il controllo della bambina, in quanto le faceva comodo mettere le mani su una strega neofita, ancora giovane e
malleabile, ma anche estremamente potente.
Qual era il nome del semidemone? Leah O’Donnel. Lo
stesso che ora mi fissava dalla richiesta di custodia.
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Sicurezza domestica
Leah è un semidemone telecinetico del livello più alto. I
semidemoni sono generati dall’unione tra un demone e un essere umano. Hanno sempre un aspetto umano, che derivano
dalla madre. Dal padre, invece, ereditano dei poteri che variano a seconda del tipo di demone. Leah, per esempio, ha dei
poteri telecinetici. Questo significa che può spostare gli oggetti col pensiero. Lasciate perdere quei fenomeni da baraccone in grado di piegare i cucchiaini. Immaginate, invece, una
donna che con la sola forza della mente può scagliare una
scrivania contro la parete con tale violenza da conficcarla letteralmente nell’intonaco, travolgendo tutto ciò che si trova
nella sua traiettoria.
Non c’è da stupirsi, quindi, se, finito di leggere la lettera,
mi sono precipitata a rinforzare le difese della casa. Dopo aver
chiuso a chiave le porte e tirato le tende di tutte le finestre sono passata a sistemi di sicurezza meno convenzionali. Ho lanciato un incantesimo sigillante per ogni porta, con l’effetto di
tenerla chiusa anche se la serratura avesse ceduto. Poi ho recitato degli incantesimi perimetrali per tutte le aperture che
mettevano in comunicazione l’edificio con l’esterno. Immaginate che funzionino come una sorta di antifurto soprannaturale: nessuno può entrare senza che io me ne accorga.
Tutte queste formule magiche sono approvate dalla Congrega, anche se qualche mese fa una strega si era sentita in do24
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vere di precisare che un incantesimo sigillante poteva essere
usato a scopi malefici, nel caso ce ne fossimo serviti per chiudere qualcuno all’interno di una stanza invece che per tenerlo fuori. Ci credete se vi dico che la Congrega ha convocato
un’assemblea speciale delle Anziane per discutere l’argomento? Peggio ancora, due di loro hanno votato per bandire l’incantesimo di secondo livello, lasciandoci solo quello di primo,
che può essere annullato con un semplice strattone alla maniglia. Per fortuna il mio voto valeva di più, così la mozione è
stata respinta.
Savannah è entrata in soggiorno proprio mentre lanciavo
un incantesimo perimetrale sotto la cappa del caminetto che
non usavamo mai.
«Chi stai cercando di tenere alla larga?», ha chiesto. «Babbo Natale?».
«La lettera… è di Leah».
Ha battuto le palpebre per la sorpresa, ma non ha dato segni di preoccupazione. È una cosa che le invidio.
«Va bene», ha detto. «C’era da aspettarselo. Siamo pronte
ad affrontarla, giusto?».
«Certo». Me lo sono soltanto immaginato oppure ho sentito davvero un tremito nella mia voce? Inspira. Espira…
adesso prova di nuovo, con più fiducia in te stessa. «Assolutamente». Oh sì, ora sembravo coraggiosa più o meno come
un gattino con tre zampe rotte intrappolato in un angolo. Mi
sono data da fare con gli incantesimi perimetrali sulle finestre
del soggiorno.
«Allora, cosa dice la lettera?», ha chiesto Savannah. «Leah
ci minaccia?».
Ho esitato. Non sono capace di mentire. OK, posso anche
provarci, ma di solito faccio pena. Mi si potrebbe persino allungare il naso da quanto sono scontate le mie bugie.
«Leah… vuole la tua custodia».
«E?».
«Non c’è nessun “e”. Vuole la tua custodia legale».
«Già, e io voglio un cellulare. È una stronza. Riferisciglie25
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lo da parte mia. E dille anche di andare aff…».
«Savannah!».
«Ehi, mi hai detto tu che potevo usare la parola “stronza”.
Adesso non puoi rimproverarmi se cerco di ampliare il mio
vocabolario». Si è ficcata in bocca un Oreo e ha farfugliato
qualcosa d’incomprensibile.
«La sequenza corretta è: mastica, ingoia e parla».
Ha mandato giù alzando gli occhi al cielo. «Ho detto: sai
cosa voglio dire. Quando la settimana scorsa a scuola abbiamo avuto la giornata di orientamento professionale, la carriera di “strega-schiava” non rientrava tra le mie scelte. Dille che
non sono interessata alla sua offerta».
«Glielo dirò, ma credo che non sarà sufficiente per farle
cambiare idea».
«Ma tu sai come affrontarla, vero? Gli hai già dato il benservito una volta. Puoi farlo benissimo di nuovo».
Avrei dovuto precisare che le avevo “dato il benservito”
con un sacco di aiuto, ma il mio ego si è trattenuto dal farlo.
Se Savannah credeva che l’ultima volta il mio contributo nella disfatta di Leah fosse stato determinante, non c’era bisogno
di fornirle dei chiarimenti. In questo momento aveva bisogno
di sentirsi al sicuro. E proprio per garantirle quella sicurezza
sono ritornata ai miei incantesimi perimetrali.
«Vado a occuparmi delle finestre della mia camera», ha
detto.
Ho annuito, sapendo che poi li avrei rifatti di nascosto.
Ben inteso, Savannah se la sapeva cavare benissimo da sola
con gli incantesimi di secondo livello. A dire il vero era già diventata più brava di me in tutti i livelli della magia della Congrega, anche se odiavo ammetterlo. Ma avrei rifatto ugualmente i suoi incantesimi, perché mi serviva a stare più tranquilla. Altrimenti non avrei fatto altro che tormentarmi nel
dubbio che avesse dimenticato qualche finestra o recitato la
formula in maniera troppo frettolosa o qualcosa del genere.
Non mi comportavo così solo con Savannah, avrei agito allo
stesso modo con ogni altra strega. Mi faceva stare meglio sa26
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pere che me n’ero occupata personalmente.
Savannah era già in camera sua prima delle sette, cosa che
avrebbe potuto preoccuparmi, se non fosse che quasi ogni sera spariva appena finito di mangiare, prima che le chiedessi di
aiutarmi a sparecchiare la tavola. A suo dire, trascorreva le due
o tre ore successive a fare i compiti, cosa che in qualche modo
comportava telefonate interminabili ai suoi compagni di scuola. È così che funzionano adesso i gruppi di studio? Cosa volete che vi dica?
Quando Savannah si è ritirata nella sua stanza sono tornata a occuparmi della lettera. Mi ingiungeva di presenziare all’incontro il giorno dopo alle dieci di mattina. Fino ad allora
non mi rimaneva molto altro da fare se non aspettare, ma starmene con le mani in mano è una cosa che proprio non sopporto. Prima delle sette e mezza mi sono decisa a fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Avevo una traccia da seguire. Il mittente della lettera era
un avvocato di nome Gabriel Sandford, che lavorava per lo
Studio Legale Jacobs, Sandford & Schwab di Los Angeles.
Strano. Molto strano, ora che ci pensavo. Assumere un avvocato di Los Angeles avrebbe avuto senso per qualcuno che
abitava in California, ma Leah veniva dal Wisconsin.
Sapevo che non si era trasferita: ogni due settimane facevo
dei controlli alla sua stazione, sempre in modo molto cauto e
circospetto. Con “stazione” intendo stazione di polizia. No,
Leah non era in carcere, anche se tra le mie conoscenze non
mancano un paio di persone che si trovano dietro a una fila di
solide sbarre. Lavorava come vicesceriffo. Le sarebbe stato in
qualche modo d’aiuto per vincere il caso di custodia? Non
aveva senso rimuginarci finché non ne sapevo di più.
Tornando all’avvocato di Los Angeles. E se fosse stato un
trucco? Forse non c’era nessun caso legale e Leah si era inventata questo avvocato, piazzandolo in una metropoli il più
lontano possibile dal Massachusetts, aspettandosi che io non
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facessi delle ricerche.
Anche se nell’intestazione della lettera appariva il numero
di telefono, ho chiamato il 411 per avere la conferma. L’indirizzo e il numero che mi hanno dato per Jacobs, Sandford &
Schwab corrispondevano a quelli che avevo io. Ho chiamato
l’ufficio, perché nella Costa Orientale erano solo le quattro e
mezza. Quando ho chiesto di Gabriel Sandford la sua segretaria mi ha informato che era fuori città per affari.
La mossa successiva è stata cercare Jacobs, Sandford &
Schwab in rete. Ho trovato parecchie inserzioni nei siti che
elencavano gli studi legali di Los Angeles, ma erano tutte molto discrete, e nessuna di esse sembrava sollecitare nuovi clienti. Non sembrava il tipo di studio che una poliziotta del Wisconsin poteva vedere pubblicizzato in televisione durante i
programmi della notte. Molto strano, ma dovevo aspettare fino al giorno dopo per saperne di più.
Il mattino seguente ha portato con sé un nuovo dilemma:
cosa fare con Savannah? Con Leah in città non potevo certo
permetterle di andare a scuola e di sicuro non me la sarei portata dietro. Alla fine ho deciso di lasciarla ad Abigail Alden.
Abby era una delle poche streghe della Congrega a cui avrei
affidato Savannah, l’unica che l’avrebbe protetta senza fare
domande o comunicarlo alle Anziane.
East Falls si trovava a soli sessantacinque chilometri da Boston. E tuttavia, nonostante la vicinanza, la gente di qui non
lavorava a Boston, non faceva acquisti a Boston, non andava
nemmeno ai concerti o a teatro a Boston. Gli abitanti di East
Falls amavano il loro piccolo mondo di provincia e cercavano
di difenderlo in ogni modo dai mali della metropoli.
Si battevano anche contro un altro genere di invasioni.
Questa regione del Massachusetts è ricca di paesini incantevoli, che offrono pregevoli esempi di architettura del New England. Tra questi East Falls occupa un posto speciale: ogni edificio nell’area del centro risale perlomeno a duecento anni fa
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ed è mantenuto nelle condizioni originarie in accordo con le
leggi della città. E tuttavia è raro vedere un turista da queste
parti. La città non solo non ha mai cercato di promuovere il
turismo, ma si è adoperata in tutti i modi per ostacolarlo. Non
è stato consentito a nessuno di aprire un hotel, una pensione
o un bed and breakfast, o qualsiasi altro tipo di negozio che
potesse attrarre dei turisti. East Falls appartiene solo ai suoi
cittadini: ci vivono, ci lavorano, ci passano il loro tempo libero
e non gradiscono particolarmente le visite di forestieri.
Quattrocento anni fa, quando la Congrega è arrivata qui
per la prima volta, East Falls era un villaggio del Massachusetts pieno di pregiudizi religiosi, con abitanti bigotti e con
una mentalità ristretta. Ai giorni nostri East Falls è una cittadina del Massachusetts piena di pregiudizi religiosi e i suoi
abitanti hanno ancora una moralità bigotta e una mentalità ristretta. Qui sono state uccise delle donne all’epoca dei processi alle streghe del New England: cinque innocenti e tre sorelle della Congrega, compresa una delle mie antenate. Allora come mai la Congrega si trova ancora qui? Piacerebbe saperlo anche a me.
Non tutte le streghe della Congrega vivono a East Falls. La
maggior parte, come mia madre, si sono trasferite più vicino
a Boston. Quando sono nata mia madre aveva acquistato una
villetta vittoriana a due piani in un vasto lotto d’angolo di un
vecchio quartiere periferico di Boston, in una piccola graziosa comunità molto affiatata. Dopo la sua morte le Anziane
hanno insistito perché traslocassi a East Falls. Hanno accettato che prendessi in custodia Savannah a patto che mi trasferissi dove potevano facilmente tenerci d’occhio. A quel
tempo, accecata dalla sofferenza, avevo accettato la loro condizione come una scusa per sottrarmi a ricordi troppo dolorosi. Io e mia madre avevamo diviso quella casa per ventidue
anni. Dopo la sua morte, ogni volta che sentivo dei passi, una
voce, una porta che si chiudeva, pensavo: “È solo mamma”,
poi mi rendevo conto che non poteva essere lei e che mai più
lo sarebbe stato. Così, quando mi hanno consigliato di ven29
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dere io ho obbedito. Adesso mi pento di essere stata troppo
debole, sia per aver ceduto alle loro richieste che per aver rinunciato a una casa che voleva dire così tanto per me.
Il legale di Leah aveva convocato l’incontro nello studio
dei Cary a East Falls. Non era un fatto insolito. Essendo gli
unici avvocati del posto, i Cary mettevano la loro sala riunioni a disposizione dei consulenti legali di passaggio per un
prezzo ragionevole, unendo la tradizionale ospitalità di provincia al senso degli affari tipico della gente di città.
I Cary di East Falls sono sempre stati avvocati, a memoria
d’uomo. Stando alle voci che circolano sul loro conto, pare
che fossero già attivi all’epoca dei processi alle streghe, anche
se le malelingue non sono in grado di stabilire con certezza da
quale parte fossero schierati.
Attualmente lo studio aveva due avvocati, Grantham Cary
e Grantham Cary Jr. Era stato il figlio a gestire la mia unica
trattativa legale a East Falls, il passaggio di proprietà della casa. Dopo il nostro primo incontro mi aveva invitato fuori per
un drink, cosa che non sarebbe stata poi così grave se sua moglie non si fosse trovata al piano di sotto a ricevere i clienti.
I Cary hanno sempre esercitato la professione in un grandioso palazzo coloniale a tre piani nel bel mezzo di Main
Street. Sono arrivata davanti all’edificio alle nove e cinquanta. Una volta all’interno ho cercato di capire la posizione di
ogni impiegato: Lacey, la moglie di Grantham Jr., si trovava
dietro alla scrivania al piano principale e da una cortese richiesta di informazioni ha confermato che entrambi i Grantham
si trovavano al piano superiore nei loro uffici. Perfetto. Era alquanto improbabile che Leah si arrischiasse a usare i suoi poteri con degli esseri umani così vicini.
Mi sono fermata due minuti a fare le chiacchiere di rito
con Lacey per poi sedermi vicino alla finestra che dava sulla
strada. Dopo dieci minuti la porta della sala riunioni si è aperta e ne è uscito un uomo con un completo a tre pezzi. Alto,
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capelli scuri, sui quaranta. Aveva una sua bellezza, un po’
troppo lucida e plastificata, alla Ken, se vogliamo. Decisamente un avvocato.
«Signora Winterbourne?», ha detto mentre si avvicinava
porgendomi la mano. «Sono Gabriel Sandford».
Mentre mi alzavo l’ho guardato negli occhi e ho capito
esattamente perché aveva accettato il caso di Leah. Gabriel
Sandford non era soltanto un avvocato di Los Angeles. Era
molto peggio.
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Un ottimo piano…
con quattro secoli di ritardo
Gabriel Sandford era uno stregone.
L’ho capito nel preciso momento in cui l’ho guardato negli occhi, ancora prima di poter dire di che colore fossero: è
una cosa istintiva, a livello di pancia. È così che funziona tra
le due razze: è sufficiente che si guardino negli occhi e la strega riconosce lo stregone, lo stregone riconosce la strega.
Le streghe sono sempre femmine, gli stregoni maschi, ma
non si tratta semplicemente di una differenza di genere: apparteniamo a due razze distinte e abbiamo poteri diversi, anche se
a volte si sovrappongono. Gli stregoni possono lanciare i nostri
incantesimi, ma con minore efficacia, proprio come noi siamo
in qualche modo svantaggiate quando usiamo la loro magia.
Nessuno sa a quando risale l’origine delle due razze o quale sia apparsa per prima. Come la maggior parte delle creature soprannaturali, streghe e stregoni esistono sin dagli albori
della storia tramandata. Se all’inizio si trattava solo di qualche
sparuto individuo con poteri particolari, col tempo si sono
moltiplicati, assumendo lo stato di razza a tutti gli effetti, non
così numerosa da poter essere scoperta dagli umani, ma abbastanza diffusa da poter formare delle microsocietà.
Come testimoniano le fonti più antiche, all’inizio le streghe
erano tenute in gran considerazione per le loro doti magiche e
taumaturgiche, ma già a partire dal Medioevo le donne con
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tali poteri erano viste con diffidenza e sospetto. Contemporaneamente gli stregoni cominciavano a ricoprire un ruolo sempre più importante, poiché i nobili d’Europa facevano a gara
ad avere il loro “mago” personale. Le streghe non avevano bisogno di divinare il futuro per capire da che parte stava soffiando il vento e si sono ritagliate una nicchia tutta per loro in
questo nuovo assetto sociale.
Fino a quel momento gli stregoni potevano operare soltanto incantesimi elementari usando i gesti delle mani. Le streghe
gli hanno insegnato ad accrescere i loro poteri servendosi di altri elementi magici, come formule, pozioni, oggetti fatati e così via, chiedendo in cambio di stipulare un’alleanza che fosse
vantaggiosa per entrambe le razze. Se un nobile aveva bisogno
d’aiuto per sbaragliare i suoi nemici poteva consultare uno
stregone, che a sua volta si sarebbe rivolto a una strega. Assieme avrebbero lanciato gli incantesimi necessari. Tornato dal
nobile per riscuotere la sua ricompensa, lo stregone si sarebbe
impegnato a mantenere la strega con le sue ricchezze e a proteggerla con la sua posizione sociale. Grazie a questo sistema,
che ha funzionato per secoli, gli stregoni sono diventati sempre più potenti sia nel mondo umano che in quello soprannaturale, mentre le streghe hanno ottenuto maggiore sicurezza e
stabilità, grazie alla protezione e a delle entrate regolari.
Poi è arrivata l’Inquisizione.
In Europa gli stregoni sono stati i primi a essere presi di
mira. Come hanno reagito? Ci hanno tradite. Gli Inquisitori
volevano degli eretici? E gli stregoni hanno consegnato loro
le streghe. Liberi dalle restrizioni morali imposte dalla Congrega si sono dedicati alla magia nera. Così, mentre le streghe
bruciavano nei roghi, gli stregoni facevano quello che sapevano fare meglio: diventare sempre più ricchi e potenti.
Ai giorni nostri gli stregoni occupano alcune tra le più importanti posizioni di potere al mondo. Politici, avvocati, direttori d’azienda: prendete in esame tutte le professioni che
richiedono una considerevole dose di avidità, ambizione, e
una notevole mancanza di scrupoli, cercate tra i ranghi più al33
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ti e troverete un’intera schiera di stregoni. Quanto alle streghe,
sono donne comuni che conducono vite normali. La maggior
parte di loro è spaventata dalle persecuzioni a tal punto da rinunciare a qualsiasi incantesimo che possa uccidere qualcosa
di più grande di un moscerino.
«Numeri!», ho mormorato a voce abbastanza alta da farmi
sentire da Sandford.
Se ha colto l’allusione, non ne ha fatto mostra, limitandosi, invece, a porgermi la mano con un ampio sorriso. Ho rifiutato entrambi liquidandolo con uno sguardo per poi entrare nella stanza senza curarmi di lui. All’interno sedeva una
donna dai capelli rossi, altezza media, snella, sulla trentina, la
pelle abbronzata e il sorriso a fior di labbra: Leah O’Donnel.
Sandford mi ha indicato con un gesto teatrale. «Permettimi di presentarti lo stimato leader della Congrega delle streghe d’America».
«Paige», ha detto Leah alzandosi. «Scoppi… di salute», ha
commentato mentre soppesava con gli occhi ogni mio chilo in
eccesso.
«Hai qualche altro insulto in serbo?», ho detto. «Sfogati
adesso, allora. Non vorrei mai che stanotte, mentre sei a letto, tu possa rimpiangere tutte le cattiverie che non sei riuscita
a dirmi».
Leah si è lasciata cadere sulla sua sedia.
«Oh, coraggio», ho detto. «Continua pure. Hai paura che
ti risponda per le rime? Non ci penso nemmeno. Queste battutine di bassa lega non sono mai state nel mio stile».
«E quale sarebbe il tuo stile, Paige?». Leah ha indicato il
mio vestito con un cenno della mano. «Laura Ashley, suppongo. Tipico… da strega».
«Veramente», è intervenuto Sandford, «stando a quello
che ho sentito, la maggior parte delle streghe della Congrega
ha un debole per i pantaloni elasticizzati di poliestere. Celesti. Per intonarli alla tinta dei capelli».
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«Se avete bisogno di qualche minuto per inventarvi qualcosa di più intelligente, posso aspettare».
«Oh, perché invece non ci diamo un taglio?», ha detto
Leah. «Ho delle cose da fare, posti da visitare, vite da rovinare». Ha scoperto i denti in un ghigno dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia.
Ho alzato gli occhi al cielo, mi sono seduta e rivolgendomi
a Sandford ho detto: «Ha ragione. Bando alle ciance. Non c’è
molto da dire: non avrete mai Savannah. Organizzando questo
ridicolo incontro per la sua “custodia” non avete fatto altro
che mettermi in guardia. Se pensavate che bastasse sventolarmi in faccia qualche documento falso per spaventarmi e far sì
che ve la consegnassi vi siete rivolti alla strega sbagliata».
«Oh, ma non sono falsi», ha obiettato Sandford.
«Ah-ah. E che argomenti pensate di usare contro di me?
La mia età? Leah non è molto più vecchia di me. Perché non
ho nessun legame di parentela con Savannah? Be’, non ce l’ha
nemmeno lei. Ho un’attività fiorente, una casa su cui non
pendono ipoteche, un eccellente curriculum di lavori socialmente utili e, cosa più importante di tutte, ho il benestare dell’unica parente ancora in vita».
Sandford ha incurvato le labbra in un sorriso. «Ne sei proprio sicura?».
«Certo che sono sicura. È questo il vostro piano? Convincere Margaret Levine a cedere la custodia?».
«No, voglio dire, sei sicura che la signora Levine sia l’unica parente ancora in vita? Il fatto che la madre di Savannah
sia morta non significa che la bambina sia orfana».
Mi ci è voluto un attimo per capire quello che stava dicendo. «Il padre? Savannah non sa nemmeno chi sia. Oh, lasciatemi indovinare. Siete riusciti in qualche modo a rintracciarlo
e l’avete convinto a testimoniare in favore di Leah. Quanto
l’avete pagato?». Ho scosso la testa. «Non ha importanza.
Continuate pure così. In fin dei conti si tratta sempre della
mia idoneità contro quella di Leah: una battaglia che sono disposta a combattere in qualsiasi momento».
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«Chi ha detto che sono io a chiedere la custodia?», ha
esclamato Leah dal suo capo del tavolo. «Hai mai affermato
qualcosa del genere, Gabe?».
«Certo che no. Chiaramente Paige sta saltando alle conclusioni. È scritto proprio qui…». Ha sollevato la sua copia
della lettera che mi aveva mandato e ha finto un’espressione
profondamente accigliata. Che attore! Già che c’era, avrebbe
potuto anche picchiarsi la fronte con la mano. «Non ci posso
credere! Dev’essere colpa della nuova segretaria. Le avevo
detto di inserire il tuo nome come testimone. E che cosa fa,
invece? Ti segnala come attore legale. Incredibile!».
Entrambi hanno scosso la testa, lasciandomi sulle spine.
Visto che rimanevano in silenzio ho chiesto: «Allora chi è
che vuole la custodia di Savannah?».
«Il padre, naturalmente», ha detto Sandford. «Kristof Nast».
Poiché non ho reagito, Leah si è chinata verso Sandford e
ha detto in un bisbiglio teatrale: «Non credo sappia chi sia».
L’avvocato ha spalancato gli occhi. «Com’è possibile? Il capo dell’onnipotente Congrega delle Streghe d’America non
conosce Kristof Nast?».
Con le mani sotto il tavolo ho affondato le unghie nelle cosce per tenere a freno la lingua.
«È l’erede della Cabal dei Nast», ha proseguito lo stregone. «Lo sai cos’è una Cabal, non è vero, strega?».
«Ne ho sentito parlare».
«Sentito parlare?». Sandford si è messo a ridere. «Le Cabal sono delle imprese da miliardi di dollari che operano a livello internazionale. La conquista più alta mai conseguita dagli stregoni e lei ne ha sentito parlare».
«E questo Nast sarebbe uno stregone?».
«Ovviamente».
«Allora non può essere il padre di Savannah, o sbaglio?».
Sandford ha annuito. «In effetti è difficile capire come uno
stregone della statura del signor Nast si sia abbassato ad andare con una strega, lo riconosco. Ad ogni modo, dobbiamo
riconoscere che Eve era una giovane donna molto affascinan36
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te e terribilmente ambiziosa, quindi posso immaginare come
sia riuscita a sedurre il signor Nast, per quanto potesse trovare ripugnante un’unione del genere».
«Non dimenticare», ha aggiunto Leah, «che Eve non era
solo una strega. Era anche un semidemone: un’autentica creatura soprannaturale».
«Come no!», ho detto. «Un essere soprannaturale che non
può trasmettere i poteri ai suoi figli? Io la definirei più un’aberrazione che una razza, non sei d’accordo?». Prima che potesse rispondermi, mi sono rivolta a Sandford. «Certo, riconosco che anche per me è inconcepibile l’idea di una strega
che se la faccia con uno stregone, quando ci sono altri esseri
di sesso maschile a disposizione, ma oltre a questo c’è pure
un’incompatibilità biologica. Uno stregone genera solo figli
maschi. Una strega partorisce solo figlie femmine. Come possono riprodursi? Non è possibile!».
«È un fatto provato?», ha chiesto Sandford.
«Certo che lo è», ha detto Leah. «Paige sa tutto. Ha studiato a Harvard».
L’avvocato ha sbuffato in segno di disprezzo. «L’università
più sopravvalutata di tutto il paese, e adesso ammettono anche le streghe. Come sono caduti in basso!».
«Ti brucia ancora perché non ti hanno ammesso, eh?», ho
detto. «Mi dispiace per te. Ad ogni modo se avete delle prove che una strega e uno stregone possono generare un figlio,
vi prego di mandarmi un fax. In caso contrario continuerò a
pensare che sono io ad avere ragione».
«Il signor Nast è il padre di Savannah», ha detto Sandford.
«E ora che la madre non c’è più, vuole garantire alla bambina
tutto il potere che merita, quel tipo di potere che Eve avrebbe
voluto per lei».
«Un ottimo argomento», ho detto. «Voglio proprio vedere come lo porterete davanti a un giudice».
«Non ce ne sarà bisogno», ha detto l’avvocato. «Avrai rinunciato alla custodia molto prima che si arrivi a quel punto».
«E come avete intenzione di convincermi?».
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«Stregoneria», ha sorriso Leah.
«Che cosa?».
«Ci consegnerai Savannah o diremo a tutti quello che sei
veramente».
«Vuoi dire», non sono riuscita a trattenere una risata, «che
intendete accusarmi di praticare le arti magiche? Oh, questo
sì che è un ottimo piano. O lo sarebbe stato quattrocento anni fa. Stregoneria? A chi può importare? È roba vecchia».
«Ne sei proprio sicura?», ha chiesto Sandford.
«La pratica delle arti magiche, o più comunemente wicca,
è una religione ammessa dallo Stato. Non potete discriminarmi sulla base delle mie credenze religiose. Avresti dovuto prepararti un po’ meglio per questo caso, caro il mio avvocato».
«Oh, stai sicura che ho fatto i miei compiti per casa», ha
detto sorridendo.
E con queste parole se ne sono andati.
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