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azionisti e stakeholder
Prof. Renato Ruffini
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IL SISTEMA DI INTERESSI
CONVERGENTI NELL’IMPRESA
I PRESTATORI DI
LAVORO
AZIONISTI
I FORNITORI
FINANZIATORI
Amm.ni pubbliche
L’impresa
I CLIENTI
I concorrenti
Le aziende di assicurazione
La collettività locale
Gli alleati istituzionali
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L’IMPRESA IN EQUILIBRIO
• L’impresa produce ricchezza e la
distribuisce ai vari soggetti che
contribuiscono al suo sviluppo
• La performance di impresa è condizionata
dal sistema di diritti e di obblighi che la
lega ad ogni stakeholder. Tali obblighi
sono stabiliti ex-ante ma influenzano
l’efficienza ed i risultati ex post
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Le imprese che ottengono performance soddisfacenti nel
lungo periodo sono quelle che riescono a creare un
sistema di diritti e di obblighi che consente loro non
solo di attrarre gli stakeholder ma anche di garantire un
equilibrio dinamico tra contributi e ricompense
Tale equilibrio dipende da:
a) Gli incentivi ex ante a investire in alcune attività o a
ricercare potere per alterare le ricompense ex post
b) L’efficienza che caratterizza il processo di
contrattazione ex post (presenza di asimmetria
informative)
c) Il livello e la distribuzione del rischio tra i partecipanti.
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GLI OSTACOLI ALL’INTEGRAZIONE
DEI CONTRIBUTI E LE LEVE PER REALIZZARLA
• L’integrazione tra i soggetti presenta anche ostacoli e leve per
realizzarla:
• ostacoli all’integrazione:
• Difficoltà a stimare il contributo fornito dal singolo stakeholder alla
produzione complessiva dell’impresa (rischi di quasi rendita)
• Tensione verso comportamenti opportunistici ed egoistici (rispetto
al superiore bene aziendale) da parte di alcuni soggetti presenti in
azienda
• Per rispondere a questi “ostacoli” sono state
proposte diverse impostazioni basate su schemi
teorici, in particolare
• Teoria della creazione di valore per gli azionisti
• Teoria degli stakehoder
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La creazione di valore per gli
azionisti
• I diritti di governo economico (e quindi i controllo dell’impresa)
devono essere attribuiti ai conferenti di capitale di rischio e l’impresa
deve porsi l’obiettivo di massimizzare il ritorno economico
dell’investimento degli azionisti
• Ciò si motiva per due ragioni:
– I conferenti di capitale di rischio sono l’unica categoria di stakeholder
che, a differenza delle altre. È remunerata in via residuale (facendosi
carico del rischio imprenditoriale)
– Gli investitori sono più facilmente soggetti a espropriazione da parte del
management
• In sintesi gli azionisti sono l’unica categoria di stakeholder che non
può fare ricorso a nessuna protezione contrattuale e che, di
conseguenza, per entrare in relazione con l’impresa è costretta a
richiedere un premio per il rischio di esproprio molto elevato.
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Ipotesi implicite nella teoria della
creazione di valore per gli azionisti
•
•
I diritti di governo economico devono essere attribuiti ai conferenti di
capitale di rischio e l’impresa deve essere governata al fine di massimizzare
il valore azionario
Le assunzioni sottostanti tale affermazioni sono le seguenti:
– La massimizzazione del valore per gli azionisti conduce alla massimizzazione del
valore complessivamente creato dall’impresa quindi è un valido obiettivo anche
per la società nel suo complesso
– I mercati finanziari sono efficienti, cioè attribuiscono alle azioni il loro reale
valore,e, di conseguenza, la performance azionario di un’impresa è la migliore
misura possibile del valore creato per gli azionisti,
– L’obiettivo di massimizzare il valore azionario consente di disciplinare il
management, perché lo incentiva a perseguire una sola misura di performance
orientata al futuro.
– I manager e gli amministratori tendono a massimizzare il valore azionario
dell’impresa se la loro retribuzione è fortemente collegata al valore delle azioni
sul mercato
– Il mercato per il controllo societario disciplina il comportamento dei top manager
perché, in caso di performance aziendali non soddisfacenti, gli investitori esterni
possono acquisire il controllo dell’impresa attraverso il meccanismo della scalata
ostile.
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La separazione tra proprietà e
controllo: problemi creati….
• Problemi della separazione tra proprietà e
controllo
– Riduzione dell’incentivo a controllare i
manager
– Incentivi al comportamento opportunistico dei
singoli manager
•
•
•
•
•
Sottrazione indebita di risorse finanziarie
Opportunismo manageriale
Investimenti per incrementare la dimensione aziendale
Acquisizioni non sinergiche
Investimenti non profittevoli
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…e possibili rimedi
1. Consiglio di amministrazione in grado di controllare il top
management
2. Un mercato per il controllo societario che possa rimuovere il
management quando non è in grado di promuovere l’efficienza
aziendale
3. Il controllo attivo e costante esercitato da una azionista di
riferimento
4. Piani di incentivazione azionaria volti ad allineare l’interesse del top
management a quello degli azionisti
5. La definizione di chiari doveri fiduciari dell’amministratore delegato
nei confronti degli azionisti, insieme alla possibilità dei conferenti di
capitale di intraprendere delle azioni legali collettive votle a
sanzionare eventuali decisioni del management contrarie al loro
interesse
6. Una struttura finanziaria molto indebitata per incentivare i top
manager a impiegare in modo efficiente il flusso di casa prodotto
dalla gestione aziendale
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1 - Composizione, struttura e
funzionamento del CdA
• Compiti cda definiti dagli statuti
– Scegliere l’AD
– Controllare il management
– Votare su alcune questioni rilevanti
– Determinare la retribuzione dell’AD
– Modificare la struttura finanziaria dell’impresa
– ……..
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- Inefficacia del cda
• Consiglieri esterni
–
–
–
–
Non partecipano al rischio d’impresa
Hanno altri interessi
Sono spesso eletti su indicazione dell’ad
Hanno poche informazioni filtrate dai consiglieri
interni (executives)
Occorre incrementare l’accoutability manageriale e
l’autonomia del cda (più consiglieri esterni, comitati
specifici, separare presidente ed AD, selezioni formali
per i consiglieri, comitati audit autonomi, valutazione
periodica, ecc. ecc.)
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2 - Mercato e controllo societario
• La riallocazione del controllo dell’impresa
può avvenire attraverso tre diversi
meccanismi
• Battaglia per le deleghe degli azionisti
• Fusioni amichevoli
• Scalate ostili
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3 – Azionista di riferimento
Large blokholder
• Un azionista che possiede un ampio blocco di
azioni ha forte incentivi a controllare il
management
• La sua efficacia dipende dal livello di protezione
legare assegnato ai diritti di voto.
• Oggi vi è un forte sviluppo di investitori
istituzionali (fondi comuni di investimento, fondi
pensione, fondi statali, private equity..) questi
investitori sono attivi,forti ed organizzati
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4 - Allineamento
• L’allineamento degli interessi tra management
ed azionisti si attiva anche attraverso sistemi
premianti di tipo monetario, vale a dire
collegando la retribuzione del management alle
performance di mercato dell’azienda
• Le forme dei piani di incentivazione sono
tipicamente:
– Stock option
– Stock granting.
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5 - Definizione dei doveri fiduciari degli
amministratori nei confronti degli azionisti
• I principali doveri fiduciari sono
rappresentati dl dovere di lealtà e dal
dovere di comportarsi in modo diligente
• Rispetto a tali doveri si cerca di dargli
corpo attraverso una specifica protezione
giuridica
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6. Struttura finanziaria indebitata
• Una struttura finanziaria indebitata costringe i
manager a fare fronte a un costante ed elevato
flusso di cassa in uscita e, di conseguenza,
limita la presenza di risorse finanziarie in
eccesso (free cash flow) e, con essa, la
possibilità di intraprendere comportamenti
inefficienti.
• Tale logica è rinforzata laddove vi sia una legge
fallimentare che penalizzi il management in caso
di insolvenza
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• La struttura indebitata può tuttavia creare
un conflitto di interessi tra azionisti e
creditori generando i seguenti problemi:
– Asset substitution (gli azionisti accettano
maggiori rischi)
– Morsa debitoria
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LA CREAZIONE DI VALORE PER
GLI STAKEHOLDER
• In italiano il termine è tradotto con: portatori di interesse, interlocutori e a volte
anche attori sociali.
L’origine dell’espressione risale alla cultura contadina, dove viene utilizzata per
identificare “il proprietario dei paletti di confine del fondo agricolo”, ovvero il
“vicino”, colui che, pur senza avere rapporti giuridici diretti, è comunque
interessato a ciò che succede nel fondo accanto, in quanto i propri interessi
potrebbero essere lesi.
Il termine è stato coniato per la prima volta nel 1963 nell’ambito degli studi di
strategia aziendale e compare per la prima volta in un memorandum dello
Stanford Research Institute (Usa).
La definizione classica è quella di Freeman: “gli stakeholder sono tutti quegli
individui e gruppi ben identificabili da cui l’impresa dipende per la sua
sopravvivenza: azionisti, dipendenti, clienti , fornitori, e agenzie governative
chiare. In senso più ampio, tuttavia, stakeholder è ogni individuo ben
identificabile che può influenzare o essere influenzato dall’attività
dell’organizzazione in termini di prodotti, politiche e processi lavorativi. In
questo più ampio significato, gruppi di interesse pubblico, movimenti di
protesta, comunità locali, enti di governo, associazioni imprenditoriali,
concorrenti, sindacati e la stampa, sono tutti da considerare stakeholder”.
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L’identificazione degli stakeholder presenta vari problemi, che sono collegati al
modo differente con cui viene interpretato l’approccio in questione. Per
esempio:
– sono considerati stakeholder a cui rispondere solo quegli interlocutori che sono in
qualche modo interessati alla sopravvivenza dell’impresa o anche coloro che sono ad
essa ostili?
– si deve tener conto solo degli interlocutori che possono costituire una minaccia (o
opportunità) rilevante per top managers e azionisti o si deve prestareinteresse a tutti
gli interlocutori, inclusi coloro che non hanno alcuna voce (si pensi alle generazioni
future)?”.
Per rispondere a questi quesiti si deve sottolineare come, nel corso degli anni, vi
sia stata un’evoluzione del concetto di stakeholder: Da una visione degli
stakeholder come soggetti “passivi” che subiscono le conseguenze dell’attività
aziendale, ci si è spostati progressivamente verso una concezione degli
stakeholder come soggetti “attivi” che si relazionano con
• l’azienda e partecipano insieme ad essa al processo di creazione del valore.
•
Clarkson (2000) estende il concetto di stakeholder ai soggetti portatori di interessi
anche potenziali: “gli stakeholder sono persone o gruppi che hanno pretese,
titoli di proprietà, diritti o interessi, relativi a una impresa e alle sue attività,
passate, presenti”.
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La mappa degli stakeholder
La rilevanza e il peso degli interlocutori variano fortemente da
impresa a impresa, da settore a settore e da un contesto
socioculturale ad un altro. Per facilitare la creazione di una
“mappa degli stakeholder” a cui l’impresa deve fare
riferimento, si possono distinguere in:
– stakeholder primari;
– stakeholder secondari.
I primi sono quelli legati da rapporti giuridicamente rilevanti,
senza la cui continua partecipazione l’impresa non può
sopravvivere come complesso funzionante, tipicamente gli
azionisti, gli investitori, i dipendenti, i clienti e i fornitori,
insieme a quello che può essere definito il gruppo degli
stakeholder pubblici, e cioè governi e comunità che forniscono
le infrastrutture, i mercati, le leggi e i regolamenti. Gli
stakeholder secondari, invece, sono tutti coloro che esercitano
un’influenza sull’impresa, ma che non sono impegnati in
transazioni con essa e che non sono essenziali per la sua
sopravvivenza.
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Assunzioni di fondo
1. La massimizzazione di valore per gli azioni non
conduce alla massimizzazione del valore
complessivamente creato dall’impresa
2. L’efficienza dei mercati finanziari non è supportata da
evidenza empirica (si privilegia il breve periodo e le
informazioni pubbliche)
3. Massimizzare il valore azionario non permette di
disciplinare il management in modo efficace
4. La proliferazione dei piani di incentivazione azionaria
non conduce necessarimente alla massimizzazione del
valore economico nel medio lungo periodo
5. Il contributo delle scalate ostili al processo di creazione
di valore è incerto
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Stakeholder management: la
gestione degli equilibri
• Il management deve gestire i rapporti con gli
stakeholder su tre livelli
– Livello razionale, in cui si deve comprendere quali
aspettative hanno gli interlocutori nei confronti
dell’impresa
– Livello di processo, in cui di devono analizzare i
processi aziendali utilizzati per interagire
esplicitamente o implicitamente con i diversi
stakeholder e deve valutare la loro coerenza con le
attese dei portatori di interessi
– Livello transazionale, in cui si deve analizzare sia le
modalità di interazione sia la loro coerenza con
quanto emerso nei precedenti livelli di analisi
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The copenhagen charter
• Tra i diversi modelli sviluppati su questo
tema, il più diffuso è il The Copenhagen
Charter. Questo documento, sottotitolato
“A management guide to stakeholder
reporting”, ha lo scopo di delineare in
maniera semplice e concisa gli aspetti e i
principi più importanti per gestire il metodo
di reporting del valore creato all’interno
dell’impresa, rispetto ai portatori di
interessi.
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• Il processo si articola in otto fasi distinte.
1. Approvazione del top management 􀃆 prima di decidere di affidarsi
a tale strumento, il management deve comprendere se è pronto a
gestire internamente e a riferire esternamente tutte le questioni,
positive e negative, che potranno eventualmente affiorare e che
dovranno essere gestite in un arco temporale medio-lungo.
2. Identificazione degli stakeholder chiave e i fattori critici di successo
􀃆 l’impresa deve identificare tra tutti gli stakeholder quelli chiave
(ovvero quelli che effettivamente consentono e permettono di
operare) in base all’influenza che essi hanno sull’attività d’impresa e
all’interesse che per loro hanno le operazioni aziendali. Bisogna
evidenziare per ciascun gruppo i fattori critici di successo, vale a
dire i valori ai quali questi soggetti nel bene e nel male sono
sensibili, in modo tale da essere in grado di misurarli e gestirli.
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3. Dialogo continuo e strutturato con gli stakeholder 􀃆 è necessario
considerare tutti i portatori di interessi, cioè dotarsi di una struttura
stakeholder oriented e non mono-stakeholder oriented. Per far ciò
l’impresa deve dotarsi di una gamma di strumenti di
comunicazione, dai più semplici ai più sofisticati: dal sito Internet a
uffici e strutture logistiche dedicate, da newsletter a riviste e
notiziari, da punti di contatto fino alla gestione di conferenze e
osservatori.
4. Determinazione degli indicatori chiave 􀃆 vengono definiti Key
Performance Indicators, cioè informazioni sintetiche sui fatti che si
riferiscono alle performance realizzate, senza fermarsi solo
all’analisi di quelle economiche. Essi devono essere chiari,
significativi nell’ottica dello stakeholder, ben definiti e quantificabili,
nonché misurati e rilevati con frequenza stabilita. Questi indicatori
andranno a formare la sostanza del resoconto agli stakeholder
nelle sue varie forme.
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5. Monitoraggio delle performance e della coerenza con i valori
dell’impresa 􀃆 è un controllo per evitare che elementi qualificanti il
rapporto con gli stakeholder finiscano per essere trascurati. Questa
è la fase che assicura la continuità: a tal fine è importante creare
un calendario dei momenti di monitoraggio, per evitare il rischio di
effettuarlo con frequenza non idonea, comportando il sostenimento
di costi, senza però ottenere i relativi risultati.
6. Identificazione delle azioni di miglioramento 􀃆 grazie al dialogo
continuo con gli stakeholder si ha quello che viene chiamato il
“sistema di avvertimento anticipato”, che permette di reagire a
eventi che accadono nell’ambiente circostante più velocemente
rispetto alla normale rendicontazione economica.
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7. Preparazione, verifica e pubblicazione del resoconto finale 􀃆 esso
viene comunemente denominato “bilancio sociale”, ma non è detto
però che debba essere “bilancio”, in quanto potrebbe essere un
rapporto, una relazione, un documento, addirittura una semplice
conferenza o convention. La predisposizione del documento può
essere realizzata o all’interno dell’impresa da una struttura
autonoma, o facendo ricorso all’ausilio di consulenti esterni per
evitare la trappola dell’autoreferenzialità al momento dell’auditing,
oppure con la tecnica del “panel di esperti”. A ciò seguirà la verifica
di tale bilancio da parte di soggetti esterni (social audit) e la
pubblicazione del resoconto.
8. Consulto con gli stakeholder 􀃆 per ricevere da loro un feedback
sui fattori di miglioramento sui quali si rende necessario
riposizionare l’impresa. Non attivare questa funzione significa
perdere occasioni di miglioramento e di rafforzamento del
consenso.
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In realtà l’intero “The Copenhagen Charter” è un processo ciclico,
caratterizzato dalla necessità di un continuo feedback in modo da
verificare che i valori e le aspettative degli stakeholder chiave siano
rispecchiati nella percezione che l’impresa ha di se stessa, della sua
missione e dei suoi valori.
• Gli stakeholder rappresentano un importante, per non dire
essenziale, punto di riferimento sia nell’identità culturale e dei valori
di fondo, della missione e degli obiettivi dell’organizzazione che
nella valutazione del significato sociale degli impegni assunti che si
manifestano in comportamenti e strategie.
• Il ruolo degli stakeholder è anche di natura operativa; ogni specifico
stakeholder nella formulazione dei documenti di rendicontazione
sociale (in particolare il bilancio sociale) diviene parte attiva,
soggetto da coinvolgere, per rilevare e poi confrontare il valore dei
benefici trasferiti alla società (in senso lato) e dalla stessa ricevuti.
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L`impresa