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Antropologia culturale 1
Università : Università degli studi di Milano
Facoltà : LettereFilosofia
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A.A. 2010\2011
Antropologia Culturale
RIASSUNTO del Manuale
‘Elementi di antropologia culturale’ di Ugo Fabietti
(Milano, Mondadori 2010)
Genesi e Natura dell’Antropologia Culturale
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1. Origini e significato dell’antropologia. La parola etimologicamente deriva dal greco ‘anthropos’ e ‘logos’
e significa studio del genere umano.
1.1. L’antropologia è lo studio delle idee e dei comportamenti espressi dall’essere umano in tempi e
luoghi distanti tra loro; è l’insieme delle riflessioni condotte attorno a tali idee e comportamenti. Le
origini dell’antropologia:
- Erodoto (VI secolo a.C.), osservazioni sulla diversità tra Greci e Barbari che hanno un gusto
antropologico (anche se non si può parlare di disciplina dell’antropologia)
- il Quattrocento e l’Umanesimo europeo. La scoperta del Nuovo Mondo (1492), l’espansione,
l’intensificarsi dei contatti con genti dai costumi ‘così diversi’, fece sì che gli europei cominciarono a
interrogarsi circa la natura di queste popolazioni, definite ora selvagge ora barbare.
- seconda metà del XVIII secolo e l’Illuminismo. Riflessione e ricerca sul genere umano in senso
universale (rivolta all’umanità). Societè des Observateurs de l’Homme.
- ultimi decenni dell’Ottocento e i primi insegnamenti. Grazie alle nuove conquiste territoriali,
l’interesse per i popoli ‘esotici’ da parte europea andò crescendo. In questi luoghi gli antropologi
trovarono i luoghi privilegiati del loro lavoro.
AB
Di cosa si occupa l’antropologia? Prevalentemente gli antropologi si sono occupati dello studio di
popoli contemporanei ma geograficamente lontani (studio delle istituzioni sociali e politiche, dei
culti, delle credenze religiose), considerati ‘selvaggi’ o ‘primitivi’ (tecnologia semplice, ignari della
scrittura). Oggi gli antropologi studiano tanto le popolazioni urbane dei paesi extraeuropei quanto
della stessa Europa e del Nord America.
Concetto di ricerca sul campo, introdotto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo: gli
antropologi cominciarono a recarsi personalmente presso i luoghi di studio, aprendo così una nuova
fase nella storia dell’antropologia e della metodologia di ricerca. Prima ci si avvaleva solo di
testimonianze dei viaggiatori, esploratori, militari ecc.
1.2. visione dell’antropologia comparativa e globale, perché il progetto di questo sapere è quello di
comprendere il senso dell’esperienza e della vita di un singolo popolo nel confronto con l’esperienza
e la vita di molti altri. Antropologia come attività di ricerca che è andata trasformandosi nel tempo in
relazione ai mutamenti della società euro – americana e delle relazioni tra questa e i popoli della
Terra.
2. Oggetti e metodi dell’antropologia culturale
2.1. definizione di cultura: ‘complesso di idee, di simboli, di comportamenti e di disposizioni
storicamente tramandati, acquisiti, selezionati e largamente condivisi da un certo numero di
individui, con cui questi ultimi si accostano al mondo, sia in senso pratico sia intellettuale’. Oggetto
privilegiato dell’antropologia sono allora le differenze che intercorrono tra le idee e i comportamenti
in vigore presso le varie popolazioni.
2.2. origini del concetto antropologico di cultura. 1871 ‘Primitive Culture’ di E. Tylor. Definizione
che la cultura sia intesa come realizzazione di particolari predisposizioni umane (dato comune
all’intero genere umano). Il clima evoluzionista creato negli ambienti scientifici dalla rivoluzionaria
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opera di Darwin (1859 ‘l’Origine della Specie’) contribuì tuttavia a dare un forte impulso alle teorie
antropologiche relative alla storia della cultura e della società umana viste come il risultato di una
evoluzione dal semplice al complesso.
2.3. Concetto di incompletezza dell’uomo. L’uomo nasce ‘nudo’, incompleto. Fabbricare certe cose
piuttosto che altre, pregare certe entità invisibili piuttosto che altre è frutto di una lunga storia di
rapporto con l’ambiente; dipenderà da ciò che ci è stato insegnato dal gruppo in cui siamo cresciuti,
per vivere in mezzo ai loro simili, gli esseri umani devono adottare codici di comportamento che
siano riconoscibili dagli altri.
Cultura come complesso dei codici comportamentali e ideazionali riconoscibili dal gruppo nel quale
gli esseri umani vengono al mondo e nel quale sono educati.
Cultura come complesso di modelli. Come modelli culturali diversi orientino comportamenti
differenti (es. gli europei apprezzano le carni bovine e suine e non quella di cane, mentre i cinesi le
apprezzano tutte e tre e i musulmani rifiutano la carne di maiale). Si tratta di modelli introiettati
grazie all’educazione del gruppo nel quale sono cresciuti; modelli-guida per il comportamento e il
pensiero in contesti culturali differenti. [ il ragazzo selvaggio dell’Aveyron ].
La cultura è operativa. Grazie ai modelli culturali, l’uomo si accosta al mondo in senso pratico e
intellettuale. La cultura è operativa poiché mette l’uomo nella condizione di agire in relazione ai
propri obittivi, adattandosi sia all’ambiente naturale che a quello sociale e culturale che lo circonda.
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La cultura è selettiva. La cultura è un complesso di modelli tramandati, acquisiti, ma anche
selezionati. Agisce sempre un’operazione di selezione al fine di accogliere nuovi modelli che si
accordino con quelli in vigore e bloccare eventuali incompatibilità. La cultura in questo senso risulta
più o meno aperta alle alterità e alle novità.
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La cultura è dinamica. I processi di selezione lasciano intendere che si tratta di culture non statiche,
ma piuttosto caratterizzate da idee e comportamenti in continuo cambiamento. Le culture sono
prodotti storici, cioè il risultato di incontri, cessioni, prestiti e selezioni.
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La cultura è stratificata. I modelli culturali di riferimento risultano spesso molto diversi a seconda
del grado di istruzione, di opinione politica e di ricchezza.
La cultura è olistica (dal greco olos = intero). I modelli interagiscono sempre con altri modelli
capaci di coniugarsi in un insieme più complesso, dando vita alla cultura. (es. se agli europei repelle
l’idea di cibarsi della carne di cane è perché questo è connesso con l’idea di intimità che abbiamo
con il cane). La cultura è dunque olistica, cioè complessa e integrata, formata da elementi che stanno
in un rapporto di reciproca interazione. Ci sono culture più olistiche di altre, perché alcuni elementi
costitutivi sarebbero pensati dagli stessi componenti in un rapporto di integrazione maggiore (per L.
Dumont ad esempio la società Indù è più olistica di quella occidentale, perché gli individui si
considerano parte di un sistema complesso di elementi secondari, mentre gli occidentali sono
individui pensati come distinti e autonomi).
Le culture non hanno confini netti e precisi: sono aperte e chiuse, sono selettive e comunicative,
dinamiche e differenziate al proprio interno, sono creative e prodotto di processi storici di incontri,
scambi e prestiti.
2.4. la ricerca antropologica. Dal momento che la cultura è olistica, per studiarla occorre adottare
una prospettiva che ci predispone a stabilire collegamenti tra i vari aspetti della vita di coloro che
vivono quella cultura [Malinowski – Argonauti del Pacifico Occidentale]. Gli antropologi studiano di
solito determinati aspetti di una cultura; non possono tuttavia concentrarsi solo sull’aspetto da loro
prescelto, bensì considerare un fenomeno in relazione a tutti gli altri.
Ricerca etnografica e la raccolta di dati. Principale compito dell’antropologo è ‘raccogliere dati’
sul campo, attraverso l’osservazione e l’ascolto che egli riesce a esercitare nei confronti dei
comportamenti e delle parole della gente in mezzo alla quale vive (mangiare lo stesso cibo,
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dormendo negli stessi luoghi ecc. Si conoscono informazioni mai esplicitate prima). Inoltre un
antropologo si avvale del metodo dell’intervista, della compilazione di tabelle e questionari. Questo
trascorrere del tempo con le persone sulle quali si compiono ricerche è un carattere che distingue
l’antropologia dalle altre discipline e pratiche di ricerca.
Concetto di ricerca etnografica: lavoro di scavo e di raccordo tra comportamenti e idee che va al di là
delle pure ricorrenze statiche. Comporta che l’antropologo viva a stretto contatto con i soggetti della
sua ricerca, condivida il più possibile il loro stile di vita, comunichi nella loro lingua o in un
linguaggio conosciuto da entrambi e prenda parte alle loro attività quotidiane. Osservazione
partecipante – permette di considerare con un certo distacco (osservazione) l’esperienza condivisa
dall’antropologo con gli appartenenti a una cultura diversa dalla sua (partecipazione)
3. Le caratteristiche fondamentali del ragionamento antropologico
3.2. prospettiva olistica – problematica del contesto. I dati individuati e selezionati nel corso delle
diverse ricerche etnografiche devono essere posti in relazione al contesto di provenienza. I primi
antropologi misero a confronto fenomeni provenienti da luoghi e popoli lontani nel tempo e nello
spazio, senza chiedersi quale fosse il contesto d’origine. La ricostruzione del contesto consente di far
emergere le varie sfaccettature e i differenti significati che un dato fenomeno può assumere se
osservato da punti di vista differenti.
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3.3. antietnocentrismo e universalismo dell’antropologia. [etnocentrismo = tendenza istintiva e
irrazionale che consiste nel ritenere i propri comportamenti e i propri valori migliori di quelli degli
altri]. L’antropologia nonostante spesso interpreta la vita degli altri popoli attraverso il filtro delle
proprie categorie culturali, produce modelli di analisi e interpretazione che siano in grado di rendere
conto tanto dell’unità quanto della diversità dei fenomeni che essa studia.
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3.4. lo stile comparativo. Per conoscere nel vivo una cultura, occorre attuare delle comparazioni con
altri modelli culturali (vicini o lontani nel tempo e spazio). Mentre ai suoi esordi l’antropologia si
prefiggeva di giungere alla scoperta delle leggi che segnarono le trasformazioni di una cultura (dalle
forme più semplici o ‘primitive’, a quelle più complesse o ‘evolute’), oggi lo stile comparativo, non
più approssimativo, delinea due metodi:
- il primo si esercita sul culture storicamente interrelate o geograficamente vicine (precisione
descrittiva, no grandi generalizzazioni);
- il secondo prende in considerazione società prive di legami e cerca, attraverso l’accostamento di
fenomeni simili, di pervenire all’elaborazione di conclusioni più ampie.
3.5. il compito della traduzione – ricerca di un punto di riferimento comune tra le culture. Non
riguarda solo il problema della diversità linguistica, ma soprattutto con il senso che le parole
rivestono all’interno del proprio codice culturale. lavoro di traduzione anche di tipo concettuale. Ciò
è tanto più importante in quanto oggi, di fronte a processi planetari che stanno riducendo la varietà
dell’esperienza culturale umana a vantaggio di modelli uniformi, anche le comunità più deboli
possono trovare, nella mediazione dell’antropologia, un mezzo per far udire la loro voce.
3.6. l’inclinazione critica e l’approccio relativista. L’antropologia ha esercitato una potente
funzione critica verso quegli atteggiamenti di sopraffazione e sottovalutazione delle culture più
deboli messi in atto dai gruppi di interesse più disparati. Ma questa funzione critica non si esaurisce
nella difesa di culture deboli, ma individua le trasformazioni delle culture nei contesti storici del
colonialismo prima e della globalizzazione oggi. Tale funzione critica rimette in discussione
l’atteggiamento etnocentrico e imperialista.
Relativismo culturale = atteggiamento che consiste nel ritenere che comportamenti e valori, per poter
essere compresi, debbano essere considerati all’interno del contesto entro cui prendono vita e forma.
L’antropologia è relativista perché ritiene che le esperienze culturali non possono venire interpretate
attraverso l’applicazione scontata delle categorie della cultura dell’osservatore.
Comportamenti e valori, quindi, devono essere letti in una prospettiva olistica. Il relativismo è un
atteggiamento intellettuale che mira a comprendere (e non giustificare) e collocare il senso delle cose
al posto giusto, nel loro contesto.
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3.8. il versante applicativo dell’antropologia, sapere con risvolti applicativi nella società
contemporanea e passata.
3.9. la condizione riflessiva. Antropologia come disciplina riflessiva, cioè l’incontro con soggetti
appartenenti a culture diverse dalla propria consente di esplorare la propria soggettività e la propria
cultura. l’incontro con alterità produce sempre, in chi lo sperimenta, un tentativo di comprensione
che induce a riflettere anche su sé stessi. [ brano di Danforth sui riti funebri nella Grecia rurale ].
Unicità e varietà del genere umano
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1. ‘Razze’, Geni, Lingue e Culture
1.1. apparentemente diversi ma del tutto simili. A fronte di una apparente grande varietà nel genere
umano, possiamo constatare elementi di forte unità. Nella seconda metà dell’Ottocento gli
antropologi culturali dimostrarono che gli esseri umani sono tali in quanto produttori di cultura. per
lungo tempo l’aspetto degli essere umani ha costituito il principale fattore di riconoscimento della
differenza: le differenze fisiche, in varie epoche storiche, sono state supporto di ideologie e pratiche
di discriminazione; il razzismo ha preteso di giustificare, sulla base delle differenze somatiche, la
dominazione di alcuni gruppi su altri. Questo avvenne principalmente in Europa nell’Ottocento, in
epoca di colonialismo e di nazionalismo.
Il concetto di razzismo è uno stereotipo diffuso e persistente frutto di pregiudizi, xenofobia, interessi
politici e problemi sociali, proprio perché non esiste alcun criterio scientifico per suddividere le
tipologie di ‘razza’. L’unica analisi scientifica valida sulle differenze tra gruppi umani, si fonda
sull’esame del DNA e dei suoi componenti di base (geni classici) che ha catalogato alcune differenze
umane. Distanza genetica tra le popolazioni che è frutto di migrazioni, che a loro volta traggono
origine da fattori ambientali e\o culturali. Le migrazioni sono dunque l’effetto di spinte culturali e
paradossalmente, sono all’origine della distanziazione genetica.
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1.2. popolazioni genetiche e famiglie linguistiche. Le teorie dei genetisti sulla distribuzione dei
geni umani, sembrano ricevere conferma dagli studi sulla classificazione delle ‘famiglie
linguistiche’. Alcuni linguisti e glottologi hanno intravisto somiglianze e affinità tra gruppi di lingue:
ad es. quelle semitico – camitiche (arabo, ebraico ecc), quelle uraliche (finnico, ungherese ecc) ecc.
Visione del ‘mosaico linguistico’ planetario come riconducibile a famiglie e superfamiglie a loro
volta derivate da un ceppo comune.
Le ricostruzioni operate sulla distanza e sul processo di differenziazione delle lingue sembrano
corrispondere largamente a quella di distanziazione delle popolazioni genetiche a cui appartengono i
soggetti che parlano quegli idiomi. Esistono quattro processi che determinano la presenza di una
lingua in una determinata parte del pianeta:
o l’occupazione iniziale di una regione disabitata (es. colonializzazione Polinesia da
popolazioni del sud-est asiatico);
o la divergenza (conseguenza di migrazioni, conflitti ecc);
o la convergenza (frutto di intensi contatti culturali);
o la sostituzione di una lingua (gruppo conquistatore che impone la propria lingua).
1.3. geni, lingue, culture. Non solo le migrazioni sono causa di spinte culturali: il corredo genetico
degli individui varia anche a causa di altri fattori casuali (deriva genica) e adattativi (selezione
naturale). La distanziazione genetica tra le popolazioni, e la sua corrispondenza con la distanza tra
famiglie linguistiche, non trova un corrispettivo nelle differenze culturali che le popolazioni
presentano. Geni e lingue cambiano anch’essi ma ad una velocità infinitamente minore rispetto al
mutamento dei comportamenti, delle usanze e dei modelli culturali.
1.4. le aree culturali. Lo sviluppo delle ricerche etnografiche nel corso del Novecento ha indotto gli
antropologi a sistematizzare le conoscenze acquisite secondo il criterio delle aree culturali (= regioni
geografiche che presentano una serie di elementi sociali, culturali, linguistici ecc relativamente
simili). Il criterio è indicativo delle maggiori differenze socio – culturali riscontrate
dall’antropologia. Queste aree non devono essere considerate definite e comprensive di elementi
omogenei, potrebbe comportare un irrigidimento della realtà culturale.
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