Grafica e immagine di copertina a cura di Ilenia Baronio: www.ilesworld.blogspot.it Progetto Tracce Ravenna Progetto Tracce Via Cavour 6 48100 – Ravenna Aperto da lunedì a venerdì dalle 14.00 alle 17.00 Finito di stampare nel mese di novembre 2012 per i tipi della Litografia Optimus di Cesena (FC). Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633). Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. Dedicato agli amici “invisibili” di Tracce, oggi ancora più invisibili… Carlone, Wouter “l’olandese cantante”, Claudio R., Luca “Venezia”, Simonetta, Mohamed “pescatore”, Cedric Z., Patrick, Andrej… INDICE pag. 9 FAVOLA DI TRACCE pag. 11 FAVOLA AFGANA pag. 25 FAVOLA ISRAELIANA pag. 27 FAVOLA MAROCCHINA pag. 31 FAVOLA MOLDAVA pag. 35 FAVOLA NIGERIANA pag. 39 FAVOLA PALESTINESE pag. 43 FAVOLA RUMENA pag. 49 FAVOLA SENEGALESE pag. 55 FAVOLA TUNISINA pag. 59 COS’È TRACCE? FAVOLA DI TRACCE Raccontata da Padre Claudio; illustrata da Ale G. C’era una volta una domanda in cerca di risposte circa la povertà, l’emarginazione… in cerca di volti che potessero aprirle la conoscenza delle cause che generano esclusione producendo sotto-umanità. La domanda decise di mettersi in strada, in quella strada che, da sempre, era la parola chiave che scatenava in lei interrogativi… era quello il luogo degli incontri, delle relazioni, del dipanarsi delle vite concrete… quelle vere, non quelle prese in prestito, di seconda mano. La domanda capiva che doveva immergersi in esse, sporcarsi, sentirne gli odori. Era quello il prezzo della verità, era quello il modo per sentire, e non solo sapere, la vita di chi arranca e fa fatica. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, la domanda prendeva domicilio nei luoghi delle fatiche umane, abitando i volti, le storie, le speranze e le fragilità del popolo degli invisibili. Passarono dieci anni. Un giorno la domanda, con altri amici, compagni di questa ricerca, decise di aprire un posto dove le tracce di queste persone potessero essere più evidenti e 9 più impresse tanto da diventare nomi, ai quali abbinare volti e, quindi, permettere loro di esistere come persone e non come problemi. Un posto dove ognuno potesse depositare la propria vita, il proprio racconto… e riposare per un attimo la loro stanca vita. Un luogo dove umanizzarsi, dove la condivisione era un piatto di pasta, un pezzo di pane mangiato insieme, un momento di gioco per fare comunità e dare appartenenza. Dovunque nel cuore di un uomo nascerà una domanda sulla vita dell’altro, importante e uguale alla propria, e percepirà il grido di chi cerca giustizia, diritti, cittadinanza… avrà il permesso di imprimere le proprie tracce accanto a quelle di chi ha dato vita a questo posto. Tracce esiste perché i poveri di vita hanno dato cittadinanza alle domande e permesso di camminare loro accanto. 10 FAVOLA AFGANA1 Raccontata da Nasser; illustrata da Stefy. Una favola dovrebbe iniziare sempre con “c’era una volta”. Ebbene, c’era una volta la terra volatile sotto i piedi di Omar, e poi c’era Omar che, ben prima della venuta dei draghi di metallo, viveva con la sua principessa, Sharifa. Non si poteva dire che non fossero felici, il loro regno bambino li circondava giocoso nello sterminato e poetico nulla che contornava l’orizzonte sempre limpido di quelle terre, e quante volte Omar accompagnava la sua amata sulle ripide scarpate, tenendola per mano fino alla sommità dalla quale poter ammirare con un solo sguardo l’intero regno. La cultura afgana si basa soprattutto sulla tradizione orale, ricchissima di fiabe e di leggende che hanno come temi dominanti l’acqua e la pietra, i due elementi che maggiormente distinguono anche le caratteristiche fisiche del paese. Molti miti afgani si ritrovano anche in altre civiltà, come la trasformazione di persone in statue o la leggenda di Orfeo ed Euridice. Nelle fiabe e nelle leggende afgane la donna occupa uno spazio preminente, uno spazio che le verrà poi sottratto con la regressione imposta dai talebani. 1 11 C’era una volta Omar, con i suoi sandali scuciti e gli occhi sfrigolanti di gratitudine. Quella terra gli ricordava costantemente suo padre, il Re, ruvido nel carattere e nei modi di fare, sudato come il clima e sgraziato come i pochi arbusti del giardino incolto dietro casa. Era il Re degli umili pascoli del deserto e il suo impero consisteva in alcuni ettari di Niente, reclamati in qualche epoca da qualche dio obliato, proprietà intangibile del cielo. Ma quella landa possedeva anche un che di soffice, un aspetto non visibile agli occhi, che solo quell’istinto di solidarietà sentito da alcuni, nei confronti di ciò che ci circonda, può far emergere. Era una di quelle sensazioni che possono essere percepite solo da un orecchio che sa ascoltare veramente. Omar pensava che ogni uomo è portato ad accomunare il proprio padre alla propria terra d’origine, poiché essi parlano la stessa lingua, quella delle radici. Sharifa ascoltava spesso questi suoi pensieri, quando sedevano raminghi nelle solitudini della sera, sovrastati dal cielo stellato e armati soltanto dei loro sette anni. Ma tra i due, a parlare più spesso, era la bambina, con i suoi capelli color del petrolio e le mani custodite da una luce sopita. A differenza di Omar, lei sapeva 12 leggere e leggeva soprattutto quei libri nei quali si possono trovare storie fantastiche, che parlano di sultani e sogni disattesi. Erano fiabe quelle che lei raccontava ogni sera a Omar e lui non osava interromperla, per paura di non sentirle più. La favola vera iniziò quando i draghi rapirono Sharifa, la principessa, proprio come in ogni favola che si rispetti. La portarono via in un vortice di fiamme e strepiti, in una notte talmente buia da far sembrare impossibile la nuova alba. Era una storia che Omar aveva già sentito, assorbita avidamente dalle parole della sua amata, per mezzo delle quali veniva a conoscenza di fatti tramandati dalla sua famiglia e prima ancora dai suoi antenati. Solitamente in quelle fiabe si parlava di palazzi sontuosi, principi ornati di diamanti che brandivano spade d’oro massiccio, armature e cavalli splendenti, corridoi e pareti coperte da arazzi immensi, ma lui non possedeva niente di tutto ciò, e per qualche istante, quando vennero a dirgli che avrebbe dovuto salvare la sua principessa da quei mostri volanti che avevano attaccato la città, si sentì piccolo e inadeguato. A lui rimanevano un sacchetto di monete e la fionda con qualche bel sasso da lancio, ma nulla più. Quando però ricordò la voce di Sharifa, quando il chiasso della 13 battaglia fu dissipato dalla sua mente confusa, come una nebbia scacciata dal primo raggio di luna, allora sentì chiaramente nel cuore che la strada verso la sua sposa avrebbe dovuto percorrerla lui. Nessun altro. Ben sapeva che quei racconti, quelle storie che la sua amata era solita narrargli, erano parte del disegno che ora si apprestava a decifrare. Non fu colto da disperazione, né da sgomento. Subito si sentì risoluto, bramando di tornare sotto quel cielo stellato a chiacchierare con la sua giovane principessa. Quando tornò al castello, suo padre, il Re, era accovacciato sotto la scala che portava alle camere da letto, in preda a un pianto irrefrenabile. Omar si avvicinò a lui e ricordò vivida una delle storie che Sharifa gli aveva raccontato, quella di un sovrano che, perduto il proprio trono dopo una battaglia, permise alla follia di entrare sibillina nelle stanze del castello, trovando conforto nel delirio e mal sopportando le vicissitudini della realtà. Egli era inconsolabile, non tanto per il fatto avvenuto, quanto piuttosto per la debolezza della sua mente, e così da essa venne sconfitto, non certo dal nemico in battaglia. Omar osservò a lungo quella fronte imperlata di sudore, quel tremare spastico, quella 14 corona spezzata ai piedi d’un trono liquefatto, quella debolezza incarnata, e decise che il pericoloso momento non consentiva il conforto di quel vecchio, il quale aveva abbandonato persino la voglia di guarire. “Allah”, si disse il bambino, “Allah avrà cura di mio padre”. Raggiunse il quartiere del mercato, ma anche lì giganteggiava la confusione, essa dominava tutto ciò che camminasse su quel suolo riarso. C’erano randagi feroci che sfrecciavano da una parte all’altra della strada inseguendo gatti e topi enormi, uomini che gridavano contro il loro Re e contro il loro dio, dando volentieri voce alla pazzia. Il mercato era ridotto a un cumulo di bancarelle timide, nascoste dietro l’indifferenza di chi urlava al mondo la propria rabbia. I grandi mercanti delle fiabe, quelli che portavano merci magiche e preziose dagli oceani lontani, tutti quei mercanti erano preda di disperazione e rovina, dispersi nella rovina della piazza, sbraitavano invocando dèi antichi, le vesti pregiate ridotte a stracci inceneriti. Omar ricordò quella fiaba, quella nella quale l’eroe, disperso nella caotica insensatezza della battaglia, sull’orlo di una ignobile resa, trovò inaspettatamente il sentiero che l’avrebbe condotto attraverso le vicissitudini 15 che lo attendevano. Ricordò persino le precise parole uscite dalla bocca innocente di Sharifa: “L’eroe ricordò l’insegnamento dei padri, secondo il quale in ogni disordine, anche il più terribile, un cuore sincero può scovare la strada che porta lontano dalla morte”. Cercò di rimembrare gli occhi della principessa i quali, mentre pronunciavano quella frase, proiettavano un bagliore verso il cielo. E si rallegrò nello scoprire a terra la mappa di cui aveva bisogno, un consunto foglio di papiro che il vento aveva condotto ai suoi piedi. Riconobbe quei segni sconnessi; disegnavano un percorso preciso, una bussola stellare che indicava lucidamente il compito assegnatogli. Omar camminò a lungo tra le nere fumate gettate nell’aria dalla furia dei draghi di metallo e fuoco. La disperazione che lo circondava tentò in ogni modo di contagiarlo, ma lui strinse a sé la mappa, come fosse uno scudo impenetrabile. Il terreno pullulava di uomini che cercavano di rimediare alle loro piccole e grandi disperazioni, ma essi avevano perduto la strada, guardando troppo alla realtà, mentre troppo poco si lasciavano guidare dal cuore. Tutta quella sofferenza, tutta quella distruzione era, agli occhi del principe, un velo sotto il quale si celava 16 l’abbagliante luce della quiete, e, a lungo, cercò tra gli anfratti di quel mosaico di dolore le tracce della propria amata. Un demone barbuto lo avvicinò, emergendo d’improvviso da uno degli edifici divelti dai draghi, egli portava un copricapo sontuoso e parlava veloce, gli occhi guizzavano come quelli di un serpente e la sua pelle era diversa da quegli altri uomini, quelli a cavallo dei mostri metallici, i quali brandivano oggetti che sputavano fumo e pesante metallo. Era membro di uno dei due eserciti che avevano invaso il regno, approfittando della follia del Re, il quale non poteva più guidare i suoi sudditi ormai allo sbando. Ci si contendeva il potere, questo oscuro personaggio che estrae sempre il peggio dagli uomini di buon cuore e il meglio da quelli crudeli. Omar comprese quanto inutile sarebbe stato unirsi a quell’insensata contesa, ma prestò comunque attenzione al concitato discorso del demone. Costui rappresentava quello che Sharifa descriveva in molte delle sue storie, il finto consigliere dell’eroe, i sussurri del quale si rivelano spesso fuorvianti rispetto ai reali intenti di quest’ultimo. Egli parlò di “grandi piani”, di “disegni straordinari”, ma nulla seppe dirgli a riguardo della principessa. La sua voce era 17 posseduta da un’impazienza che non apparteneva a quei luoghi, brandiva un libro consunto e ne leggeva ad alta voce alcuni passi, come invasato; le fiamme possedevano i suoi occhi riflettendo fedelmente quelle riversate sulla terra dal volo dei draghi e Omar comprese che di lui avrebbe dovuto diffidare. Ma, come in ogni favola che si rispetti, l’eroe spesso deve fingere di fidarsi del demone, seguendone le farneticazioni fino al punto in cui, sufficientemente vicino al successo della propria missione, torna a perseguire il proprio genuino intento. L’astuzia, più che la forza, è la qualità primaria di un principe, soprattutto quando quest’ultimo è un bambino senza altre armi che l’innocenza, e il demone molte volte scarseggia di raziocinio, suo reale punto debole. Le parole di Sharifa conducevano i pensieri di Omar come un vento di libeccio spinge la nave verso porti sicuri, nel mezzo della tempesta incipiente. Tra i tumulti della cittadina devastata, proprio mentre un’altra orda di draghi sganciava nuovo odio sulle teste dei sudditi, il demone barbuto, occhi gialli e sbarrati, consegnò una chiave d’accesso a Omar, legata a una cintura di squame e cuoio. Nelle storie della principessa, spesso si incontrava un oggetto quasi mistico, un 18 cimelio che quotidianamente chiunque può tenere tra le mani, ma che nell’ambito dell’avventura assume un significato particolare, acquisendo capacità che altrimenti non sarebbero possibili in altri contesti. Omar prese la cintura e la legò in vita, scatenando la barbarica gioia del demone in turbante, le cui guance scavate nel deserto si tinsero di rosso vivo. Egli pregò per alcuni istanti in uno sproloquio indecifrabile e fece segni agli altri demoni che stavano seduti dietro a lui, nella stanza accanto, ricevendo un clamore inconsueto. Il fragore delle fiamme e della guerra imperversava nelle sale scoperchiate sul cielo scuro, ma la mappa di Omar diceva chiaramente che quella era la strada giusta. Quando il principe uscì dalla catapecchia bruciata nella quale i demoni attendevano il loro destino, egli vide quegli altri mostri partoriti dai draghi che imperversavano nelle strade, i membri dell’esercito straniero che si contendeva il potere con i barbuti. Essi erano verdi e grigi, la loro lingua sconosciuta ricordava gli ingranaggi dei robots che li accompagnavano e i loro volti bianchi erano attraversati da smorfie spavalde. Tutto questo non impaurì Omar. Egli vide i mostri imprigionare alcuni sudditi che cercavano di fuggire, e altri li vide morire sotto il fuoco di 19 copertura, senza poter comprendere quale fosse amico e quale ostile. Nonostante il caos dominante, i suoi occhi proiettavano sicuri il percorso che l’avrebbe accompagnato al cospetto della principessa, senza esitazioni e i suoi passi serpeggiavano sicuri tra le cruente esplosioni. Lui sapeva che si sarebbe riunito a lei, come nelle storie che Sharifa era solita raccontargli. Avrebbero ritrovato l’uno la mano dell’altra, sulle praterie sconnesse della terra afgana, nella quale il sangue non sarebbe più stato versato. Ma quando d’improvviso tutto divenne buio e sembrava quasi che il sole fosse stato ucciso, Omar credette per un istante di non riuscire a portare a compimento la sua missione. Dal cielo era disceso sulla sua testa uno di quei draghi immensi, oscurando la tenue luce che già faticava a penetrare nel fumo secco delle macerie. La metallica voce martellava l’aria come volesse squarciarla e quegli arti meccanici sferzavano il vento, contrastando la sua naturale corsa verso ovest. Esso partoriva in gran quantità quei mostri grigi, i quali imbracciavano armi scure fatte di piombo e fulmini. Scendevano al suolo goffamente, scalciando, con stivali fatti di materiali gommosi, i pezzi delle umili dimore distrutte dal fuoco, insinuavano nel principe la 20 paura del fallimento, come un inganno ordito per fiaccarne la risolutezza. Omar percepì chiaramente lo sguardo del drago metallico puntato sul suo capo riverso al suolo, la mappa ancora stretta tra le mani e gli occhi costretti dalla polvere a una dolorosa serrata. Il drago ne annusò l’anima spaventata, mentre i suoi innumerevoli figli facevano scempio dell’ambiente circostante, tra lo strepitìo di madri e lo sferragliare di sorde esplosioni. Il regno era perduto. Omar ricordò una delle storie di Sharifa, come se d’improvviso la gentile voce si fosse insinuata con passo delicato nella mente del bambino, senza far rumore. Si trattava di una favola dimenticata tra le sere d’estate, quando ancora la terra non aveva conosciuto quel vomito di fango e acciaio. In quella storia il principe era convinto d’aver perduto la propria sposa, creduta divorata da un brutale serpente, ed egli abbandonò la voglia di vivere. Quando il serpente, violando le difese della fortezza e approfittando del vuoto di autorità, penetrò nella sala reale per prendersi anche lui, la voce dell’amata si propose all’animo del principe, pronunciando queste stesse parole: “Non puoi più attendermi, non attardarti nella disperazione, 21 io sono più vicina di quanto tu pensi”. Il principe comprese che la sua missione non apparteneva più a quel mondo e affrontò il serpente con il ritrovato coraggio della disperazione. Le cronache di quella battaglia, quelle narrate da chi non ha visto il mondo con gli occhi di Omar, a noi interessano poco. La favola ebbe una conclusione amara, ma solo per chi non coltiva più la fantasia. Quando il drago diresse la sua bocca fiammeggiante verso il corpo rannicchiato del bimbo e i suoi finti consiglieri gridarono allo scandalo di un principe codardo, il nostro eroe non poté che ascoltare quella storia raccontata da Sharifa, così come l’aveva ascoltata durante la quiete delle sere passate. Strinse a sé la mappa e quello strano oggetto legato attorno alla vita, la cintura, sapendo che il momento era giunto. La luce che scaturì dal piccolo punto scuro di quella piazza divelta venne raccontata da alcuni con orrore, da altri con stupore, ma nessuno colse il reale significato di quell’evento. La cintura aprì una sorta di portale, ed esso, nel fragore della tempesta che imperversava, fermò il tempo e la morte che, stupefatti, si arresero a quell’antica magia. Nello scaturire di quell’abbagliante sole, il drago e i suoi mostruosi figli, i demoni barbuti con i loro vigliacchi 22 inganni e il regno perduto furono spazzati via come d’incanto, nel silenzio del più profondo niente. Ciò che Sharifa disse a Omar, quando finalmente poterono ritrovarsi sulla soleggiata scarpata dove erano soliti pascolare i greggi delle loro nobili famiglie, non avrebbe potuto essere più limpido, e allo stesso tempo meno chiaro. E questo dipende da quanto tu riesca a far lavorare la fantasia: “Tra colui che è morto combattendo e chi è sopravvissuto uccidendo, solo Allah sa chi è il più fortunato”. Omar e Sharifa vengono ricordati soltanto in questa breve e semplice favola, nessuno sa con certezza se essi siano realmente vissuti o se questo racconto possa essere archiviato tra le innumerevoli storie inventate tra le solitudini dell’Afghanistan. O forse, le storie come questa, sono state talmente numerose da impedire a un viandante sprovveduto di distinguere la realtà dalla finzione. Con ogni probabilità essa andrà a planare serena nello stesso identico luogo dalla quale ebbe origine, in un giorno lontano, dentro le parole straniere di qualche favola dimenticata. 23 24 FAVOLA ISRAELIANA Raccontata da Guy2; illustrata da Padre Claudio. Ci fu un tempo in cui i Seleucidi3 occuparono il tempio di Beit Hamikdash a Gerusalemme. Tolsero tutti i paramenti ebraici e misero al loro posto le statue dei loro dèi. I Maccabei decisero di riconquistare il loro tempio e attaccarono i Seleucidi. Questi ultimi, quando compresero che stavano perdendo la battaglia, rovesciarono a terra ogni cosa, soprattutto l’olio puro che era stato benedetto e sigillato dal sommo sacerdote e che serviva per tenere accesa la lampada sacra. I Maccabei entrarono a Gerusalemme e riconquistarono il tempio. La prima cosa che vollero fare era riaccendere la lampada ma si accorsero subito del disastro che avevano combinato i Seleucidi. Per la lampada Sebbene non si tratti di una favola, bensì di una leggenda o di un mito religioso, abbiamo naturalmente pubblicato il prezioso contributo di Guy. 3 Dopo essere stati sconfitti dai romani i Seleucidi furono costretti al pagamento di un’esorbitante indennità di guerra e per rastrellare il denaro occorrente non esitarono a saccheggiare i templi. 2 25 serviva dell’olio d’oliva purissimo e benedetto. Cercarono nel tempio se ve ne fosse rimasto ancora. Trovarono una piccola brocca contenente l’olio puro sigillato dal sommo sacerdote. Purtroppo la quantità bastava solo per un giorno mentre la lampada doveva ardere sempre. Per fare il nuovo olio ci volevano otto giorni. Decisero di utilizzare quell’olio e sperarono in un miracolo. Il miracolo avvenne. L’olio fece ardere la lampada per otto giorni di fila, il tempo necessario per l’arrivo del nuovo olio che fu preparato e benedetto. In memoria di questo miracolo, ogni anno si celebra hanukkah che consiste nell’accendere la lampada, detta Menorah, per otto giorni. In quei giorni si prega affinché il Creatore possa fare dei miracoli per noi come fece allora per i nostri padri. 26 FAVOLA MAROCCHINA4 Raccontata da Jamal; illustrata da Stefy. C’era una volta una capra che voleva andare a cercare da mangiare per i suoi figli. Quando la capra uscì, il lupo la vide e subito si recò alla porta di casa sua, dicendo ai piccoli: “Apritemi, miei amori, sono la mamma, vi ho portato l’erba tra le corna e il mio seno è pieno di latte, forza aprite!”. I piccoli restarono fermi dietro alla porta, senza dire neanche una parola, poi scrutarono nella fessura sotto la porta e dissero: “No! Tu non sei la nostra mamma, lei ha le zampe bianche, le tue sono nere e anche la voce non è la sua”. Il lupo, dopo aver udito le parole dei piccoli, andò a ritirarsi nella sua tana. Là si cosparse le zampe con la farina e si esercitò a lungo per imitare perfettamente la voce Non menzionato nelle due favole magrebine raccolte in questo libro (FAVOLA MAROCCHINA e FAVOLA TUNISINA) è un singolare personaggio di fantasia di nome Giuhà, molto conosciuto in Marocco e negli altri Paesi del Nord Africa. In alcune storie Giuhà è sciocco e ingenuo, in altre è furbo e saggio e riesce a risolvere le situazioni più complicate con le sue trovate. 4 27 della capra. Dopo un po’ il lupo bussò di nuovo alla porta e ripeté le stesse parole di prima; la voce era uguale a quella della mamma e le zampe erano bianche. I piccoli non ebbero dubbi e aprirono. Il lupo li mangiò tutti, poi andò a dormire nel bosco, sotto un albero. Quando la madre tornò, non trovò più i suoi capretti. Povera capra! Era molto preoccupata, ma capì subito di chi era la colpa, perciò andò dagli altri animali e raccontò loro ciò che era successo. Tutti insieme andarono a cercare il lupo. Quando lo trovarono, gli aprirono la pancia con un coltello, fecero uscire i piccoli e la ricucirono 28 dopo avervi introdotto tanti sassi pesanti. Dopo di che lo gettarono nel pozzo. Finalmente la capra era felice e fece festa con i suoi piccoli accanto e con tutti gli animali che l’avevano aiutata. 29 FAVOLA MOLDAVA Raccontata da Aurelio; illustrata da Stefy. C’erano una volta un vecchio e una vecchia. Il vecchio aveva un gallo e la vecchia una gallina che faceva le uova tutti giorni. Un giorno il vecchio disse: “Ti prego, dammi un uovo…”. Lei rispose: “Picchia anche tu il tuo gallo e vedrai che farà le uova!”. Il vecchio prese il gallo per picchiarlo, ma questo scappò e uscì in strada dove trovò un portamonete con due soldi d’oro. Mentre ritornava indietro, incontrò un calesse. Sopra c’erano un ricco e un cocchiere. Il ricco vide il gallo che aveva nel becco qualcosa e ordinò al cocchiere: “Guarda che cos’ha quel gallo nel becco!”. Il cocchiere si fermò e scese dal calesse, afferrò il gallo e gli prese il portamonete. Il gallo rincorse il calesse cantando: “Chicchirichì, chicchiricò, restituiscimi il mio portamonete!”. Allora il ricco disse al cocchiere: “Prendi quel gallo e mettilo in quella fontana piena d’acqua”. Il cocchiere lo fece. Il gallo bevve tutta l’acqua e uscì fuori, poi inseguì il calesse. Cantò ancora: “Chicchirichì, chicchiricò, dammi il mio portamonete!”. Quando il ricco arrivò a casa 31 disse al cocchiere: “Prendi quel gallo e mettilo nel forno, così morirà e ci libereremo di lui”. Il gallo, con l’acqua che aveva bevuto prima, spense il fuoco e uscì dal forno. Poi si avvicinò alla finestra del ricco: “Chicchirichì, chicchiricò, ridammi il mio portamonete!”. Il ricco uscì di casa, prese il gallo e lo mise nella stalla per farlo calpestare dalle mucche. Anche da lì scappò insieme a tutti gli animali della fattoria e ritornò dal ricco cantando: “Chicchirichì, chicchiricò, restituiscimi il mio portamonete!”. Il ricco prese il gallo e lo mise in un cofanetto pieno di soldi. Il gallo li inghiottì tutti e uscì dal cofanetto cantando ancora la sua frase. Il ricco, stanco, gli restituì il portamonete. Il gallo con tutti gli animali ritornò dal vecchio e gli disse: “Stendi una coperta nel cortile”. Così lui fece e il gallo riversò sulla coperta i soldi che aveva inghiottito. Quando il vecchio vide tutti quei soldi e tutti quegli animali fu molto felice. La vecchia assistette alla scena e chiese al vecchio di prestarle un po’ di soldi. Il vecchio le rispose: “Non ti dò niente, perché tu non mi hai dato neanche un uovo!”. La vecchia prese la gallina, la picchiò e le disse: “Vai anche tu sulla strada e portami tante monete, come ha fatto il gallo”. La gallina scappò sulla strada e trovò una perla, la inghiottì, poi tornò a casa. Si 32 accovacciò nel suo nido cantando: “Coccodè!”. La vecchia la sentì e corse per vedere quello che aveva portato. Quando vide la perla, delusa e piena di rabbia, con un colpo uccise la gallina. Così la vecchia rimase senza niente e, per aiutarla a guadagnare il cibo quotidiano, il vecchio la assunse come guardiana di tutti i suoi animali. 33 FAVOLA NIGERIANA Raccontata da Isola5; illustrata da Stefy. C’era una volta un giovane di nome Egudu che viveva nel villaggio Ogun. La sua famiglia era molto ricca. Egudu era un ragazzo gentile, intelligente, tranquillo e andava d’accordo con tutti nel villaggio. Ma il Guru era invidioso di lui e delle sue ricchezze. Un giorno decise di fare un incantesimo contro Egudu trasformando il suo corpo in quello di un serpente, ma lasciandogli la testa da uomo. In più gli tolse la facoltà di parlare. Gli abitanti, quando Isola racconta che nel suo villaggio, Ligos, è usanza che, nel tardo pomeriggio, gli anziani si siedano intorno a un albero e che i bambini vadano da loro per sentir raccontare delle storie. La storia di Egudu gli fu raccontata da sua nonna. Quando Isola aveva 8 anni si allontanò da casa; sua nonna lo andò a cercare e, quando lo trovò, lo portò davanti alla foresta. Lì c’erano tante persone che stavano dando del cibo a un cobra per tenerlo buono e lontano dal villaggio. Quindi gli raccontò la storia di Egudu dopodiché Isola non si allontanò più da solo dal villaggio. 5 35 lo videro, si spaventarono e lo cacciarono via. Egudu allora si rifugiò nella foresta. Il suo carattere cambiò e da persona gentile diventò ostile verso tutti. Derubava la gente che andava nella foresta a raccogliere la frutta. La notte andava nel villaggio e sbranava il bestiame. Fino a quando non si mise a rapire anche i bambini. La gente del villaggio non sapeva più cosa fare. Alla fine decisero di fare un sacrificio per calmare le ire di Egudu. Portarono nei pressi 36 della foresta una pecora nera, dell’olio rosso, frutta ed erbe medicinali. Poi, una volta lì, pregarono Egudu di accettare i loro doni e di lasciare vivere in pace il loro villaggio. Egudu, sentendo il richiamo, si avvicinò e fece capire agli abitanti che aveva gradito il loro dono e che se loro avessero continuato tutti gli anni a portargli le stesse cose li avrebbe lasciati in pace. La gente accettò e non ci furono più problemi al villaggio6. Le favole dell’Africa Nera offrono spesso l’immagine di un mondo alle prese con le forze della natura, con gli animali della foresta, con gli spiriti vaganti e con il potere delle streghe. Lo scopo principale al quale mira il narratore è insegnare: favola come lezione per immagini. Le popolazioni africane si servono di oggetti visibili, di fatti concreti, di azioni che coinvolgono i presenti, come le danze e i canti. Le favole africane hanno per protagonista sempre l'uomo, anche quando sono di scena gli animali. Questi non sono che la controfigura dell’uomo, ne riflettono le virtù e i difetti, le tribolazioni, i fallimenti e i successi. Alcuni, impersonando con speciale rilievo un difetto o una virtù, sono divenuti simbolo di un tipo particolare di uomo (vedi più avanti la FAVOLA SENEGALESE). La lepre e la rana, ad esempio, rappresentano, in Africa, l’uomo saggio e coraggioso. Raccontare le avventure della lepre, del leone o del leopardo, dello scoiattolo o delle formiche, significa insegnare la prudenza, il coraggio, l’amore o condannare la prepotenza, l’infedeltà, l’ambizione. 6 37 FAVOLA PALESTINESE “Il lamento dell’acqua” Raccontata da Talal; illustrata da Stefy. Dedicata ai bambini del villaggio di Sousya (Palestina, sud di Al Khalil), poiché stanno portando via la loro terra, i loro sogni, le loro favole... Un giorno il sultano e il suo visir andarono a fare una passeggiata nei boschi. Giunti a una radura raccolsero un po’ di legna e fecero un bel fuoco sul quale, per ristorarsi, fecero bollire dell’acqua presa dal fiume. Mentre l’acqua bolliva, la sentirono cantare e piangere. “Cosa dice l’acqua?” chiese il sultano al visir. Ma questi non seppe cosa rispondere. Il sultano si adirò: “Se non sarai in grado di dirmi cosa dice l’acqua, ti farò tagliare la testa. E ora vai, hai quaranta giorni di tempo per scoprirlo”. Il visir si allontanò impaurito e preoccupato. Dove poteva trovare qualcuno che gli svelasse le parole dell’acqua? Decise di vestirsi da derviscio e cominciò a girare per tutta la regione. Nei paesi la gente lo accoglieva sempre bene, gli offriva da 39 mangiare e da bere, ma appena si azzardava a chiedere cosa dicesse l’acqua, tutti lo guardavano come se fosse un pazzo. Un giorno un taglialegna gli fece preparare un pranzo da sua figlia. La figlia preparò dodici uova, una pagnotta e una brocca d’acqua e disse al padre: “Padre mio, dà queste cose che ho preparato al derviscio, e digli che l’anno contiene dodici mesi, la luna è piena e il mare è colmo”. E così fece il taglialegna quando diede le offerte al derviscio. Ma questi rispose: “Ringrazia tua figlia e dille che l’anno contiene undici mesi, la luna non è piena e il mare non è colmo”. Il taglialegna tornò dalla figlia e le riferì il messaggio, e lei lo rimproverò: “Padre mio, che hai fatto?”. Il taglialegna confessò: “Avevo fame, e ho mangiato un uovo, un pezzo di pane e ho bevuto un sorso d’acqua”. Ma intanto il derviscio pensava: “Sicuramente questa ragazza può dirmi cosa dice l’acqua”. Quando rivide il taglialegna si fece accompagnare da sua figlia: “Ti prego, fanciulla, dimmi cosa dice l’acqua e cosa significa il suo canto sul fuoco, altrimenti il sultano mi farà tagliare la testa”. “Non te lo dirò mai, lo dirò solo al sultano in persona”. Così il visir, il taglialegna e sua figlia decisero di partire e di recarsi dal sultano. Il sultano le chiese: “Dimmi, ragazza, cosa dice l’acqua quando è sul fuoco”. Ma lei 40 rispose: “Mio sovrano, te lo dirò solo dopo che mi avrai sposata”. Il sultano non voleva sposare la figlia di un umile taglialegna, ma il consiglio dei saggi gli chiese di farlo, per salvare la vita al visir. 41 Il giorno dopo le nozze, quindi, il sultano chiese alla ragazza che era diventata sua moglie: “Dimmi, ti prego, che cosa dice l’acqua mentre bolle sul fuoco”. E lei rispose: “L’acqua parla e dice: «Io vengo per prima, corro nel fiume, abbevero gli alberi e le loro radici, e poi il loro fuoco mi scotta». Questo vuol dire che l’acqua, che è stata tanto generosa con la legna, la rimprovera per ricompensarla così male”. Il sultano fu così contento della risposta che disse: “Adesso tu sei sultana come io sono sultano”. 42 FAVOLA RUMENA “La figlia del vecchio e la figlia della vecchia” Raccontata da Marian L. e Aurora; illustrata da Stefy. C’erano una volta un vecchio e una vecchia e ognuno aveva una figlia. La figlia della vecchia era cattiva, pigra, brutta e vanitosa… ma visto che “era la figlia di sua mamma” era molto vezzeggiata. Lasciava tutti i lavori casalinghi sulle spalle della figlia del vecchio. Quest’ultima era tutto il contrario: bella, di buon cuore, obbediente e non si tirava indietro dal lavoro. Dio l’aveva colmata con i migliori doni e virtù. Questa ragazza aveva purtroppo la sfortuna di avere una matrigna e una sorellastra che le rendevano la vita impossibile. Per fortuna era anche molto paziente. La figlia del vecchio andava sulla collina e poi nella vallata, poi nel bosco a cercare le oche, portare i sacchi di grano al mulino. Si trovava in tutti posti dove c’era un lavoro da fare. Durante tutta la giornata le sue gambe non riposavano mai: se la vedevi arrivare da una direzione, la vedevi ripartire poi dall’altra. La vecchia e sua figlia avevano sempre da ridire e da criticare. Quando la sera le ragazze 43 andavano a una festa nel villaggio, la figlia del vecchio continuava a torcere la lana e tornava a casa con tantissimi fusi mentre l’altra ne faceva al massimo uno. Arrivate a casa quest’ultima, facendo finta di aiutare la sorellastra, prendeva il suo lavoro e, entrata in casa, lo spacciava come suo. Inutile protestare. La domenica e i giorni di festa la figlia della vecchia era tutta agghindata e partecipava a tutti i balli e a tutti i giochi. La sorellastra restava a casa. Quando il vecchio tornava a casa la moglie continuava a sparlare di sua figlia che non era ubbidiente… che era disordinata… pigra… che dava cattivo esempio alla sorella. Pensava di mandarla via, a servizio, fuori casa. Il vecchio avrebbe voluto parlare in difesa di sua figlia ma ormai in casa loro cantava la gallina e il gallo doveva stare zitto. Un giorno chiamò sua figlia e le disse: “Carissima figlia, tua madre mi ha detto tante brutte cose sul tuo conto: non ascolti, rispondi in malo modo e non si riesce starti vicino. Pertanto devi andare via. Segui la strada che il buon Dio ti indicherà e ti consiglio di essere sempre paziente, brava e di lavorare con impegno. Non si può sapere che tipo di persone incontrerai. Forse non saranno disposte a perdonare le tue manchevolezze, come abbiamo fatto noi”. La povera ragazza capì che la 44 matrigna e la sorellastra la volevano cacciare via a tutti costi, baciò la mano del padre e se ne andò da casa, senza la speranza di un ritorno. Camminò e camminò finché non vide, in mezzo alla strada, una cagnetta malaticcia e magrissima. La cagnetta disse: “Bella e brava ragazza abbi pietà di me, curami per favore!”. Allora la ragazza si fermò a lavare e curare la cagnetta e, contenta di aver potuto fare una buona azione, riprese la sua strada. Non si era allontanata di molto quando vide un bellissimo pero fiorito, ma pieno di bruchi. La ragazza pulì con molto impegno l’albero dai rami secchi e da tutti bruchi, poi ripartì. Vide poi una fontana, poi un forno, molto rovinati. Si fermò e li aggiustò. Poi camminò giorno e notte e alla fine perse la strada. Stava attraversando un fitto bosco quando, in mezzo a una radura, vide una bella casetta. Dalla casa uscì una signora anziana che le disse: “Come mai da queste parti figlia mia? Chi sei?”. “Chi sono? Una poveretta senza madre e padre. Solo il Signore sa quante ne ho passate da quando la mia vera mamma ha incrociato le braccia sul petto. Cerco lavoro ma, non conoscendo questi luoghi, ho perso la strada e Dio mi ha portato fino alla tua casa”. “Poveretta”, rispose la vecchietta, “è veramente il Signore che ti ha 45 portato da me. Io sono Santa Domenica. Lavora per me oggi e domani e sicuramente non te ne andrai a mani vuote”. Incuriosita, la ragazza chiese: “Ma che lavoro dovrei fare?”. “Devi aver cura dei miei bambini mentre io vado alla Messa. Poi far da mangiare per tutti”. Subito la ragazza si rimboccò le maniche e si mise al lavoro. Fatto il bucato uscì di casa per chiamare “i bambini”. Da ogni angolo del bosco vennero fuori animali di tutti tipi. C’erano perfino dei draghi. La ragazza non si spaventò ed ebbe cura di loro, uno per uno. La Santa fu molto contenta del lavoro della ragazza e le disse di andare in soffitta a prendere un baule come ricompensa. In soffitta si trovavano molti bauli: alcuni belli, alcuni brutti, grandi o piccoli, nuovi oppure vecchi. La ragazza scelse un baule piccolo e vecchio. L’anziana donna non sembrò tanto contenta, ma ormai la scelta era stata fatta. La ragazza s’incamminò verso casa. Sulla strada incontrò il forno che aveva riparato, pieno di focacce per lei, poi la fontana piena di acqua freschissima. Per bere c’erano per lei due bicchieri d’argento! Per ultimo mangiò delle magnifiche pere e la cagnetta tutta bella e piena di salute le regalò il suo collare fatto di monete d’oro. Arrivata a casa regalò al padre le monete d’oro. All’arrivo della figlia il vecchio 46 piangeva e aveva il cuore pieno di gioia. Aprirono il baule e dall’interno uscirono mandrie di cavalli, bovini e pecore! La matrigna era infelice e piena d’invidia. Sua figlia disse: “Non saranno finiti i tesori di questo mondo! Vado anch’io e ti porterò di più”. Prese la stessa strada seguita dalla sorellastra e incontrò pure lei la cagnetta malaticcia, il pero invaso dai bruchi, la fontana e il forno da riparare, ma disse di no a tutti perché non voleva 47 rovinare le sue manine. Giunta a casa di Santa Domenica continuò a comportarsi allo stesso modo. Non curò “i bambini” e rovinò i pasti. Tornata a casa la Santa si spaventò per quello che vide. La Santa, di animo buono, mandò comunque anche lei a scegliersi un baule in soffitta e, ovviamente, lei scelse il più grande e il più bello. Senza salutare, la ragazza prese di corsa la via del ritorno per paura di dover restituire il baule. Le focacce erano nel forno ma il fuoco non le permise di toccarle. Alla fontana lo stesso: i bicchieri sprofondarono e l’acqua evaporò. Quando volle prendere una pera, l’albero divenne altissimo tanto da raggiungere le nuvole. Quando volle prendere la collana di monete d’oro la cagnetta la morse. Aperto il baule vennero fuori bestie spaventose e draghi che poi sparirono insieme alla cassa. La figlia del vecchio sposò un bravo giovane e nella loro casa cantava il gallo. 48 FAVOLA SENEGALESE Raccontata da Fahl; illustrata da Stefy. Leuk la lepre 7 è l’animale più intelligente della foresta. Così hanno deciso un bel giorno gli animali della foresta: Gaindé il leone, re della foresta, Mame Gnèye l’elefante, il più vecchio e saggio, Bouki la iena disonesta e stupida... Leuk adesso che sa di essere la più intelligente vuole scoprire i segreti del mondo e parte per un lungo viaggio. Attraversa boschi e foreste e incontra nuovi animali: la giraffa vegetariana, lo scoiattolo dispettoso, il ragno che conosce il futuro, la pantera dai lunghi artigli, la balena pacifica, la tartaruga paurosa e l’elegante rondine che le insegna come orientarsi con le stelle. Ma sopratutto grazie alla sua intelligenza e alla sua furbizia riesce a sconfiggere Bouki la In molte favole dell’Africa Nera e, quindi in tante storie senegalesi, la lepre Leuk impersona, insieme al ragno Diargone, l’immagine che ha la volpe nelle favole europee: astuta, furba, intelligente. La favola di Samba è uno dei classici della letteratura africana. Tra le tante leggende, ci sono, ad esempio, anche quelle degli spiriti djinné, degli stregoni ma anche degli elementi naturali come il mare, l’oceano, la pioggia, i tuoni, i fulmini. 7 49 iena, sempre pronta a imbrogliare e rubare, ma troppo stupida per riuscire a portare a termine le sue malefatte. Nel suo lungo viaggio Leuk incontra anche l’uomo che la imprigiona e Mame Randatoue la fata che la protegge e che le insegna a essere prudente e ad ascoltare i consigli degli animali più saggi... Nel suo lungo viaggio incontra anche un cucciolo d’uomo, Samba… Questa è, appunto, la storia di Samba8, un cucciolo d’uomo che Leuk trova in un grande termitaio. Un giorno Leuk vede sotto l’ombra di un grande albero, una donna che canta una canzone: “Non piangere piccolo Samba. Un giorno sarai grande e ricco...” e come per magia il termitaio lì vicino si apre e ne esce un bel bebè che la donna allatta con grande amore. Leuk non crede ai suoi occhi ed è così curiosa che anche lei vuole provare quella magia… Incredibile! Funziona! Il termitaio si apre e Leuk prende Samba il bebè, lo infila nella sua sacca e si mette in cammino... Leuk cammina, cammina, ma Samba ha fame: Fahl ci dice che in molte varianti vernacolari e linguistiche dell’Africa sud sahariana samba significa “leone” (così come il simile simba in lingua swahili). 8 50 vuole bere il latte, ma dove trovarlo? Pensa e ripensa, Leuk ha un’idea: lascia Samba di fronte alla tana di una leonessa e dei suoi tre cuccioli e si nasconde un po’ più in là. Samba piange così forte che la leonessa esce per vedere cosa sta succedendo e grande è il suo stupore quando vede quello strano cucciolo. Appena Leuk sente il ruggito della leonessa eccola apparire di fronte alla tana, pronta a mettere in atto il suo piano. “Buongiorno leonessa, cosa vedono i miei occhi?”, chiede quella furbacchiona di Leuk, “Assomiglia proprio a un cucciolo d’uomo... cosa possiamo fare?”. “Mangiarlo!”, risponde la leonessa. “Ti consiglio di non farlo: tienilo con te e fallo crescere, quando sarà grande ti sarà molto utile: gli uomini sanno molte cose che noi animali ignoriamo”. La saggia leonessa ascolta il consiglio di Leuk e accoglie Samba nella sua famiglia. Lo allatta insieme ai suoi cuccioli e una volta cresciuto gli insegna i segreti della foresta e il linguaggio degli animali. Samba cresce, ascolta e impara velocemente. Gioca con i cuccioli di leone che lo prendono in giro perché non ha artigli e denti. “Vedrete”, dice la buona leonessa, “cosa sarà capace di fare una volta cresciuto”. Una mattina, mentre i leoni sono a caccia, 51 finalmente torna Leuk che porta con sé un regalo speciale per Samba: un arco e una freccia. “Tu sei figlio dell’uomo e devi imparare a usare questi strumenti: esercitati tutti i giorni ma mi raccomando questo è il tuo segreto speciale: nascondi l’arco e le frecce e non farli mai vedere ai leoni”. Così Samba tutti i giorni, quando i leoni sono a caccia, si esercita con il prezioso regalo di Leuk. Le giornate trascorrono serene ma un bel dì la leonessa torna da caccia ferita da una freccia avvelenata scagliata da alcuni cacciatori. La leonessa non vuole raccontare ai suoi cuccioli la verità: ha paura che possano prendersela con Samba per vendicarsi dei cacciatori. Quando i leoncini sono a caccia, la leonessa racconta a Samba della freccia avvelenata e gli raccomanda di mantenere il segreto. Samba piange calde lacrime perché ha capito che la leonessa presto morirà. E infatti un giorno la leonessa non torna più da caccia e i leoncini e Samba rimangono da soli e devono imparare a nutrirsi. I tre leoncini decidono di andare a cercare da mangiare e Samba deve andare con loro. Il ragazzo tira fuori arco e frecce e finge che sia un gioco: la freccia diventa una trottola e l'arco una chitarra. Gnari, Gnaru e Gnara, così Samba ha chiamato i leoncini, guardano i giochi con aria 52 annoiata e si allontanano per andare a caccia. I leoncini crescono e non sono più dolci e giocherelloni: hanno un’aria feroce e comandano Samba, minacciandolo con denti, artigli e paurosi ruggiti. Samba chiama tutti i giorni Leuk, che con la sua furbizia potrebbe sicuramente salvarlo, ma l’amica non risponde. Sembra essere stata inghiottito dalla foresta. Una sera però, all’ora del tramonto, Samba sente una musica dolce: è il suono di un flauto che sembra chiamare proprio lui. Gnari, Gnaru e Gnara sono lontani e Samba si mette alla ricerca del suonatore di flauto. Che sorpresa per Samba quando vede Leuk in piedi su un termitaio che suona il flauto. Samba corre verso di lei e i due amici si abbracciano commossi. Samba non riesce a trattenere le lacrime “Non piangere, piccolo mio”, dice Leuk, “non riuscivo più a trovarti ma Mame Randatou, la fata, mi ha dato questo flauto magico che mi ha aiutata”. “Sono molto infelice”, spiega Samba, ”Gnari, Gnara e Gnaru sono diventati grandi e cattivi. Voglio scappare da loro, posso venire con te?“. “Devi avere pazienza, amico mio. Quando sarà il momento vincerai contro di loro. Ti ho portato un grande arco e tre frecce. Due delle frecce sono avvelenate, la terza ti servirà a domare il meno cattivo dei leoni. Ma quel giorno 53 è ancora lontano. Nell’attesa verrò tutti i giorni a trovarti e a raccontarti le storie degli uomini. Sappi che tua madre è viva e ti aspetta al paese dei tuoi antenati. Lei desidera che tu sia grande, bello e ricco. E tu lo diventerai prima di incontrarla”. Da lontano si sentono dei ruggiti… i leoni stanno tornando. “Eccoli”, dice Samba, “scappa presto amica mio”. “Addio”, risponde Leuk allontanandosi. “Tonerò presto: segui il suono del mio flauto e mi troverai!”. 54 FAVOLA TUNISINA “El wahch” ovvero Il mostro Raccontata e illustrata da Marwen9. C’era una volta un bambino di nome Omar. Andava tutti i giorni nella foresta a lavorare con suo nonno che faceva il taglialegna. Un giorno, mentre lavorava, Omar vide nella foresta una casa abbandonata. Si avvicinò incuriosito. La luce all’interno era accesa. Tornò dal nonno e gli disse della casa. Il nonno gli rispose che aveva avuto un’allucinazione in quanto non c’erano case nella foresta. Omar insistette con il nonno di seguirlo per mostrargli la casa. Ma il nonno rispose di no poiché conosceva bene la foresta e non aveva mai visto case lì. Omar arrabbiato decise di tornare a casa sua e raccontò tutto ai suoi genitori. Ma anche loro pensarono che si fosse immaginato tutto. La mattina dopo Omar decise di tornare nel luogo della casa abbandonata. Entrò dentro e vide che Questa favola ci è stata raccontata da Marwen al quale, a suo tempo, era stata raccontata dalla nonna. 9 55 era una casa sporca, disordinata. Poi notò una grande ascia e del sangue a terra. Spaventato, corse a casa del nonno per raccontargli cosa aveva visto. Arrivato lì non trovò nessuno. Andò a cercarlo nella foresta. In un sentiero trovò gli occhiali del nonno a terra. Poi sentì le urla del nonno che invocava aiuto. Si nascose dietro un albero e vide un grande mostro che trascinava suo nonno. Corse dai suoi genitori. Ma ancora una volta non lo ascoltarono. Si ricordò che il nonno teneva un fucile in casa. Andò a prenderlo e si diresse verso la casa abbandonata. Sentì le urla del nonno. Capì che il mostro stava per uccidere suo nonno. Decise quindi di fare del rumore sbattendo il vecchio cancello della casa in modo da attirare l’attenzione del mostro. Quest’ultimo, sentendo il rumore, uscì di casa per vedere chi c’era fuori. Omar, lesto, senza farsi vedere, entrò in casa, liberò il nonno e gli diede il fucile. Il nonno diede fuoco alla casa e si nascose con Omar dietro un albero. Il mostro, che si era allontanato in cerca di chi aveva mosso il suo cancello, vedendo la casa in fiamme, tornò indietro. Allora il nonno gli sparò e lo uccise. Poi corsero dai genitori di Omar e raccontarono tutto. Chiamarono i gendarmi e li portarono sul posto dove avevano ucciso il mostro. Ma una 56 volta lì si accorsero che il corpo era sparito. Il nonno, temendo il ritorno del mostro, decise di lasciare la sua casa e di andare via per sempre. Una notte Omar sentì una voce dalla foresta che gli sussurrava: “Omar, d’ora in poi sarai sempre creduto”. 57 COS’È TRACCE? Le mie due favole preferite? Désirée e Manuel… Questa breve raccolta rappresenta l’ennesimo tentativo di rendere protagonisti i ragazzi di Tracce, solitamente abituati a ogni tipo di marginalità. Grazie ai loro ricordi, alle loro storie, è stato possibile pubblicare questo piccolo, ma prezioso libretto. La Cooperativa Sociale La Casa è iscritta all’Albo Regionale Enti Ausiliari che gestiscono, senza scopo di lucro, strutture per il recupero e il reinserimento di ragazzi tossicodipendenti, ispirandosi al programma terapeutico Progetto uomo del Ce.I.S. di Roma di Don Mario Picchi. Programma terapeutico che ha la durata di circa 2 anni ed è suddiviso in 3 fasi distinte: accoglienza – comunità terapeutica – reinserimento sociale. La Comunità svolge attività di prevenzione sul territorio, oggi tanto più necessaria vista le sempre più giovane età dei consumatori di stupefacenti e visto il crescente numero di coloro che dall’uso passano all’abuso. Il progetto Maggese, invece, è stato attivato come struttura residenziale a sostegno dell’inclusione sociale dei “nuovi” poveri e di 59 persone con pregresse problematiche di dipendenza. Uno degli ambiti operativi della Coop. è il Centro di Accoglienza a Bassa Soglia denominato Tracce. Il progetto Tracce che, dopo l’inaugurazione del 26 settembre 2003, ha ufficialmente aperto i battenti il 1° ottobre successivo, è un Servizio di accoglienza diurna rivolto a persone con problematiche legate all’abuso di droghe e alle patologie a esso correlate, “senza fissa dimora”, persone che vivono in condizioni psicofisiche “ai margini della socialità” e a elevato rischio di devianza. Il Servizio è svolto da educatori professionali e volontari che, in orari definiti, accolgono gli utenti negli spazi del centro senza impegni o vincoli, offrendo l’opportunità di un primo confronto e di informazione sulle opportunità date dalla rete dei Servizi come la partecipazione ad attività più strutturate, quali gruppi di autoaiuto, laboratori creativi ed educativi, risposte specifiche a bisogni primari di carattere assistenziale o sanitario. Orientato pertanto, in prima istanza, ad ampliare il “diritto di cittadinanza” degli utenti, il Servizio consente inoltre alle persone di valutare e scegliere percorsi riabilitativi e di reinserimento a pieno titolo nella rete sociale. 60 Benché la particolarità di Tracce sia la destrutturazione completa del Servizio (un “non luogo” a bassa soglia) ci sono state, nel tempo, anche proposte più o meno strutturate. Oltre alle attività ludico-ricreative e socializzanti organizzate o improvvisate nell’orario di apertura (tornei di scacchi, calcio-balilla, dardi, ecc.), ci si è attivati per intraprendere altre iniziative, progetti e collaborazioni: Tracce ha infatti anche ospitato il cineforum Movi-amoci dell’Università della Strada di Ravenna e la mostra fotografico-pittorica di Gabrio Gabri e Hazem Harb Vite sul filo: sguardi dal campo profughi di Gaza organizzata dall’Assessorato alla Pace del Comune di Ravenna e dall’Associazione Gruppo San Damiano di Santarcangelo di Romagna; con gli Avv. Cristina Baldi e Andrea Camprini, ad esempio, si è concretizzata la possibilità di informazioni giuridiche e consulti o percorsi legali gratuiti; sono state organizzate innumerevoli cene socializzanti (in occasione del Natale o della fine del Ramadan così come in occasione di compleanni di utenti del Servizio), non ultime quelle del progetto I sapori della cultura, e, in seno al progetto Libera In-Formazione II dodici merende culturali. Durante tutto il 2010 nella prima serata del mercoledì abbiamo cenato 61 con gli utenti proponendo diverse proiezioni di film; grazie al supporto del Centro Servizi per il Volontariato di Ravenna Per gli altri, sono stati organizzati corsi di primo soccorso, di approccio e conoscenza dei cani (Il cane urbano), guide alla conoscenza della città di Ravenna e alcuni laboratori artigianali di cartapesta e ceramica; sono stati dati alle stampe 2 numeri del giornalino di Tracce che, anche se estemporaneamente, ha dato voce a chi solitamente sta in silenzio. La compilazione di 3 libretti di poesie di R., di un diario di K., la parziale storia di C., le poesie di alcuni ragazzi sono stati momenti di intimità particolare dove i fruitori di Tracce hanno donato la loro sensibilità raccontata attraverso l’arte della parola; sono state organizzate, inoltre, 2 mostre di dipinti e fotografie di frequentatori di Tracce; organizzate alcune escursioni anche in collaborazione con il Servizio Guardie Ecologiche; proposto un corso di propedeutica teatrale con il regista/scenografo Michele Zizzari; curata la produzione e distribuzione natalizia di maglie, zainetti, impermeabili, tracolle e “kit invernali” (guanti, berretto e sciarpa); 62 costante la collaborazione con lo sportello Link con il quale si è sviluppata una stretta e proficua collaborazione anche dal punto di vista in-formativo; importante anche la collaborazione con il Servizio comunale di CittàAttiva con adesioni a molti progetti di rete come, ad esempio, a LabLeg 2012, progetto di educazione alla legalità o come, nel maggio 2012, l’allestimento della mostra fotografica Welcome to Palestine: in ricordo di Vittorio Arrigoni curata, in seno alla rassegna Adotta una vetrina, dall’educatrice di Tracce Stefania Ciccillo; nel 2012 importante la partecipazione di Tracce alla “Giornata mondiale dell’ONU per l’eliminazione della povertà”, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Ravenna, attraverso la Passeggiata di solidarietà in visita ai luoghi e ai Servizi della città rivolti ai bisognosi. Altri 3 progetti finanziatoci dalla FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA (Libera InFormazione I, II e III) ci hanno permesso poi, nel 2008, nel 2010 e nel 2012, di intraprendere numerose attività in-formative rivolte all’utenza di Tracce. Una breve digressione visto lo spessore progettuale: i progetti Libera In-Formazione I, II e III hanno previsto una serie di attività formative 63 proposte e strutturate dalla realtà progettuale di Tracce. Questa formazione ha fornito, ad esempio, tante alternative artistiche e più dignitose all’elemosina, riportando la marginalità al livello di protagonismo. Il bagaglio di competenze acquisite ha permesso e permette ai fruitori di districarsi nelle difficoltà quotidiane di tante tipologie, sollevando i Servizi in rete da problematiche legate a incomprensioni e iter errati. Intesi globalmente, i progetti, miravano al miglioramento qualitativo della vita dei fruitori di Tracce in un ottica formativa e conseguentemente motivazionale. Le attività informative sono state strutturate in differenti macro-aree. Nel 2008: I. Area didattica (Corso di lingua italiana per stranieri), II. Area artistica (Laboratorio di espressione teatrale, laboratorio di riciclo, laboratorio di mosaico, laboratorio di palloncini artistici), III. Area In-Formativa (Consulenze mediche e giuridiche, incontri/conferenze pubbliche), IV. Area ludicoculturale (Visite ed escursioni della città e dei dintorni, laboratorio di educazione ambientale, abbonamento quotidiani e/o riviste, acquisto giochi di società e socializzazione). Nel 2010: I. Area didattica (2 corsi di lingua italiana per stranieri con relativo sostegno e approfondimento), II. Area artistica (Laboratorio 64 musicale, laboratorio creativo con sassi e conchiglie), III. Area In-Formativa (Consulenze giuridiche, incontro pubblico), IV. Area ludicoculturale (Visite ed escursioni della città e dei dintorni, merende culturali, elaborazione di un cortometraggio, abbonamento quotidiani e/o riviste, acquisto giochi di società e socializzazione). Nel 2012: I. Area didattica (Corso di lingua italiana per stranieri con relativo sostegno e approfondimento), II. Area artistica (Laboratorio creativo di ceramica e découpage), III. Area ludico-culturale (Merende culturali, pubblicazione della presente raccolta Favole dell’altro mondo). La presente pubblicazione rappresenta, per la seconda volta (vedi sotto l’edizione de I sapori della cultura), il tentativo di coinvolgere gli utenti di Tracce nel passaggio dalla marginalità al protagonismo. Il progetto I sapori della cultura inoltre, presentato nell’aprile del 2007 e finanziato dalla FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, è stato centrato sui singoli valori culturali di appartenenza condividendoli attraverso la strutturazione di momenti di cucina etnica, anticipati dalla condivisione delle “parole chiave” e dei significati etimologici delle parole utilizzate in lingua madre. Lo sforzo di questo 65 progetto voleva, attraverso i bisogni primari e aspetti identificanti, passare dalla centralità delle proprie patologie/comportamenti alla consapevolezza di altri usi, costumi, parole e identità, passando così dal “mio” al “nostro”. Tramite incontri culinari che hanno ripercorso culture, lingue e religioni differenti, promosse dagli stessi utenti, si è giocato con la parola, con i significati della propria lingua e dei propri rituali che celano l’animo della cultura di ognuno, trasformandola, tramite la condivisione, nel sapere di tutti. Le cene, dopo esser state preparate dagli utenti di Tracce, sono state condivise anche dai volontari del Ce.I.S., dai ragazzi dell’Università della Strada di Ravenna, ecc., creando ulteriore integrazione e scambio. Particolare attenzione ha rivestito un valore aggiunto del progetto che, permettendoci di acquistare per ogni cena delle stoviglie, ha fatto sì che lo spazio cucina di Tracce sia ora ben attrezzato per qualsiasi esigenza alimentare (sovente gruppi di ragazzi fanno colletta e poi cucinano e condividono qualcosa insieme, così come sovente altri utenti trovano finalmente la possibilità di fruire dei paradossali pacchi alimentari che, sebbene distribuiti in larga misura a senza fissa dimora, contengono spesso alimenti da cuocere...). Il percorso linguistico ha formato e appoggiato gli obbiettivi di integrazione; la 66 convivialità ha aiutato e stimolato l’integrazione e la crescita. Il principale aspetto innovativo e sperimentale è stato rappresentato dal percorso culturale e linguistico che ha preceduto, affiancato e concluso ognuno degli undici percorsi culinari internazionali. Il progetto si è concluso con la pubblicazione di un particolare “ricettario” multilingue che, accanto a un percorso fotografico delle cene etniche, ripropone momenti culturali condivisi col pretesto dei pasti comunitari. Da giugno 2012, infine, è stato attivato, presso Tracce, uno sportello di assistenza legale gratuita grazie alla disponibilità di alcuni avvocati di Ravenna (Avvocato di strada aperto il venerdì dalle 15.00 alle 17.00). Tracce deve la sua esistenza, oltre che alla FONDAZIONE DEL MONTE DI BOLOGNA E RAVENNA, alla FONDAZIONE CA.RISP. DI RAVENNA e alla CARITAS DELLA DIOCESI DI RAVENNA-CERVIA che ci sostengono da sempre; al COMUNE DI RAVENNA con i contributi ai progetti di approvvigionamento alimentare (Sopravviveri) e con l’importante inclusione nei tavoli dei Piani Sociali di Zona; all’ASP (Ravenna, Cervia e Russi) per il prezioso e continuo supporto. 67 Il contributo del BANCO ALIMENTARE poi (che ci ha accreditati nel 2011) ha facilitato le provviste per i pasti agili offerti a Tracce riducendo la spesa alimentare annua. L’ASSOCIAZIONE VOLONTARI PROGETTO UOMO DEL CE.I.S. ci ha sempre sostenuto anche con il prezioso lavoro dei volontari. Il C.S.V. di Ravenna PER GLI ALTRI ci ha accompagnato attraverso importanti progetti di sviluppo. Grazie a questi aiuti sono stati approntati anche Servizi di accompagnamento ad altri Servizi (dormitori, mense, luoghi di cura alla persona, ecc.), di informazione di rete, di ricerca d’impiego e/o formazione, di invii alla Sanità, ecc. Grazie a questi preziosi contributi si sono potuti raggiungere, in molti casi, alcuni degli obbiettivi di Tracce: il contrasto alla povertà (qualsiasi sia la sua origine) e all’emarginazione, anche relazionale, e il recupero dei diritti alla dignità, alla cittadinanza, al reinserimento sociale… al cambiamento... Herbert Poletti 68