IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Agosto 2011 - n° 86 SOMMARIO ARTICOLI, INTERVISTE, COMUNICATI STAMPA 2194 - La morte assistita nei casi di sofferenza mentale - di Alberto Bonfiglioli 2195 - Fine vita, la sfida da Treviso: giudice autorizza interruzione cure 2196 - La Caritas altoatesina delusa dal disegno di legge Calabrò 2197 - Libro: “il diritto di morire” – di Umberto Veronesi 2198 - Emanuele Severino: cosa significa morire con dignità 2199 - Chiese metodiste e valdesi: no al sondino di stato – di Gaëlle Courtens 2200 - Un tracollo ben preparato - di Giovanni Sartori VATICANO: QUANTO CI COSTI? 2201 - Il Governo del Vaticano - di Walter Peruzzi 2202 - Il Vaticano siamo noi - di Cecilia M. Calamani 2203 - Il prezzo della fede - di Alessandra Maiorino 2204 - Stato e Chiesa cattolica - di Aldo Zanca NOTIZIE DALL’ESTERO 2205 - GB: aggiornamento della legge per il suicidio assistito 2206 - Francia: un francese su due favorevole all’eutanasia PER SORRIDERE… 2207 - Galileo: non basta guardare… - da www.religionsfree.org 2208 - Le vignette di Virus – Gheddafi deve arrendersi… 2209 - Le vignette de l’Unità – Berlusconi nel bunker LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita. 2194- LA MORTE ASSISTITA NEI CASI DI SOFFERENZA MENTALE - DI A. BONFIGLIOLI La nota seguente, inviataci dal ns. collaboratore Alberto Bonfiglioli, trae spunto da due notizie della “World right-to-die news“ del 25 luglio 2011, alle quali, per l’importanza dell’argomento, ha aggiunto alcune informazioni supplementari. Da "World right-to-die news" abbiamo ricevuto due lettere riguardanti la morte assistita di persone in forte sofferenza psicologica o mentale. Una delle lettere è scritta dal prof. Wayne Sumner, del Dipartimento di filosofia dell’Università di Toronto (Canada) e l’altra dall’avv. Raymond P. Bilodeau dell’organizzazione “The help yourself Lawer” di Worcester, Massachusetts, USA. La lettera del prof. Sumner fa riferimento al “caso Chabot” (Olanda, 1991) che ha portato al riconoscimento della sofferenza mentale insostenibile come motivazione valida per una morte assistita, formalmente accettata dalla legge olandese nel 2002 e quindi dalla legislazione del Belgio e del Lussemburgo. Nel 2006 anche un tribunale svizzero ha riconosciuto che la sofferenza mentale può essere accettata come motivo per il suicidio assistito. Sumner ricorda che questi argomenti sono ampiamente trattati nel suo libro, Assisted Death: A Study in Ethics and Law, pubblicato dall’Oxford University Press, concludendo che la sofferenza mentale dovrebbe essere riconosciuta per l’eutanasia legale e il suicidio assistito. Il caso riguarda lo psichiatra dr. Chabot che, da quanto risulta da una breve ricerca su internet, ha avuto una certa risonanza nell’ambito giuridico olandese e internazionale nei primi anni ‘90. Questo psichiatra ha ricevuto una richiesta pressante di eutanasia da una sua paziente con una lunga storia di depressione, motivata in larga misura da fattori oggettivi (la morte alcuni anni prima di due figli adulti, la separazione dal marito alcolizzato e violento). La paziente si era sottoposta più volte a trattamenti psichiatrici anche a seguito di reiterati tentativi di suicidio. Il dr. Chabot le propose nuovi trattamenti che la paziente rifiutò, insistendo che voleva morire. Lo psichiatra, dopo aver consultato altri medici (che, tuttavia, non hanno visitato la paziente), le prescrisse una droga letale che la paziente stessa si somministrò. Il dr. Chabot é stato giudicato colpevole di non aver rispettato la procedura stabilita per i medici olandesi, ma non è stato condannato. Il fatto ha scatenato una forte polemica tra chi si opponeva all’eutanasia, particolarmente nel caso di persone depresse che non possono essere considerate malati terminali, e i sostenitori della legge olandese i quali sostenevano che nel caso particolare non esistevano cure psichiatriche appropriate né erano prevedibili altre nel futuro immediato. Un’analisi giuridica del caso è stata pubblicata da John Griffiths su Modern Law Review, vol.58, n°2 (marzo 1995), pp.232-248. L’articolo in versione pdf si trova in: http://keur.eldoc.ub.rug.nl/FILES/wetenschappers/2/11948/11948.pdf. L’avv. Bilodeau, dal canto suo, sulla base della sua esperienza quasi quarantennale in malattie mentali, ha riconosciuto la complessità oggettiva del problema del suicidio assistito in tali casi (es. sviluppo ritardato, autismo, diverse forme di menomazione mentale). In proposito esiste una decisione della Suprema Corte del Massachusetts che altri stati americani stanno adottando ora. Secondo questa decisione, spetta al giudice valutare la volontà della persona con disagio mentale se accettare o rifiutare il trattamento psico-farmacologico. Nel processo si dovrà differenziare le tendenze suicide originate dalla malattia e la considerazione razionale, accuratamente ponderata, che la morte sia la sola soluzione razionalmente accettabile. Anche se le malattie mentali sono oggi difficilmente guaribili, esse possono in qualche modo essere gestite, spesso molto bene. Tuttavia i nuovi farmaci per alcune malattie mentali, compresa la depressione, hanno tra gli effetti collaterali appunto l’induzione di tendenze suicide. Gli stessi effetti collaterali si osservano spesso con i farmaci destinati alla 2 cura di altre patologie quali, ad esempio, le neuropatie diabetiche. Tutti questi fattori dovranno essere presi nella dovuta considerazione in qualsiasi decisione giudiziaria. É chiaro che la questione é complessa ma almeno esiste già un’esperienza che offre spunti per una sua appropriata considerazione. 2195 - FINE VITA, LA SFIDA DA TREVISO: GIUDICE AUTORIZZA INTERRUZIONE CURE da: www.repubblica.it di mercoledì 3 agosto 2011 TREVISO - E' destinato a far discutere il decreto firmato dal giudice trevigiano Clarice di Tullio per permettere a una paziente di 48 anni di rifiutare le cure. La storia, riportata oggi dal Gazzettino, risale all'inizio dell'anno. La donna, affetta da una grave malattia degenerativa, era stata ricoverata in gravi condizioni all'ospedale di Treviso. Nonostante il quadro clinico stesse precipitando, la paziente aveva rifiutato sia la trasfusione, essendo testimone di Geova, sia la tracheotomia permanente, che le avrebbe permesso di limitare il deficit respiratorio. Da qui la richiesta, di potere scegliere di sospendere, in caso di necessità, le terapie salva-vita. Le condizioni della donna erano poi migliorate, al punto da permetterle di ritornare a casa, ma la paziente aveva comunque deciso di inoltrare la richiesta al giudice se la situazione fosse nuovamente peggiorata. "Non voglio che la mia vita venga prolungata se i medici sono ragionevolmente certi che le mie condizioni sono senza speranza", aveva detto la donna. Una richiesta che il giudice ha deciso di accogliere, nominando anche il marito come amministratore di sostegno. Le motivazioni. Una decisione che si scontra con il disegno di legge sul biotestamento approvato il mese scorso alla Camera 1 e in procinto di approdare al Senato alla riapertura dei lavori dopo l'estate. Il magistrato ha motivato il provvedimento basandosi sul codice deontologico dei medici e sui principi, accolti anche della Cassazione, secondo cui il consenso del paziente rappresenta un presupposto indispensabile per qualsiasi intervento medico. Se anche il Senato dovesse approvare il disegno di legge la decisione del giudice di Treviso potrebbe essere ininfluente: la tutela della paziente sarebbe infatti solo ed esclusivamente del medico curante. Commento. Anche se il Senato dovesse approvare il testo incivile licenziato dalla Camera, non è detto che la decisione del giudice di Treviso diverrebbe automaticamente ininfluente. La trasfusione di sangue e la respirazione artificiale non rientrano infatti nel divieto previsto esplicitamente per l’alimentazione e l’idratazione artificiale che “non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento” (art. 3 comma 4). Ciò fermo restando che, in barba al principio della autodeterminazione stabilito dalla Costituzione, anche per la trasfusione e la respirazione artificiale la decisione finale spetterebbe – secondo Calabrò - al medico e non al paziente. GS Commento. Infatti, e mi riferisco all'interpretazione di Calabrò, "inventore" della legge infame, proprio per questo è citato il codice penale! che impedisce al medico di soddisfare la richiesta dei pazienti. Mina Welby Notizia dalla Federazione mondiale per il diritto di morire con dignità. Una testimone di Geova italiana ha visto riconosciuto dal giudice il suo diritto a rifiutare un trattamento sanitario nel caso divenga incapace di intendere e volere. Il caso ha innescato un acceso dibattito tra i sostenitori e gli oppositori dell'eutanasia in questo paese prevalentemente cattolico. "Io non voglio che la mia vita sia prolungata se i medici sono ragionevolmente convinti che il mio caso è senza speranza” aveva detto la donna al giudice Clarice Di Tullio, della Corte di Treviso nel nord Italia. Il giudice ha rispettato il suo desiderio in una sentenza all'inizio di questa 3 settimana. Il Governo di centro-destra del primo ministro Silvio Berlusconi, che sta tentando di approvare una legge in Parlamento che porrebbe fuorilegge questo tipo di decisioni end-oflife, ha reagito con rabbia alla sentenza del giudice di Treviso. La sentenza "mira a introdurre il suicidio assistito non consentito dalle nostre leggi” ha detto il ministro del lavoro Maurizio Sacconi, cattolico militante. "Solo il Parlamento può prendere tali decisioni importanti. Spero che non lo faccia mai." Massimo Cozza, della sinistra sindacale CGIL Medici, ha invece affermato: "questa sentenza non aiuta il suicidio assistito, ma piuttosto garantisce il rispetto della volontà espressa dai pazienti”. Punto di vista che è stato condiviso da Ignazio Marino, senatore dell'opposizione (partito democratico) che è egli stesso medico. "Il giudice ha preso una decisione, conoscendo la causa e prendendo in considerazione anche la religione della persona" ha detto. La Camera dei deputati nel mese scorso aveva approvato un progetto di legge con cui la nutrizione e l’idratazione artificiale non possono essere sospese a meno che "non siano più adatte a prolungare la vita del paziente". Tale disegno di legge, supportato dal Vaticano, deve ora essere approvato dal Senato. . 2196 - LA CARITAS ALTOATESINA DELUSA DAL DISEGNO DI LEGGE CALABRO’ Il Servizio Hospice della Caritas altoatesina si dichiara deluso dalla recente approvazione del disegno di legge sul testamento biologico alla Camera dei deputati. "Cosl l'autodeterminazione della persona non è più presente per le situazioni in cui, per i più diversi motivi, non si può decidere da soli", afferma Gunther Rederlechner, responsabile del Servizio Hospice della Caritas. Un testamento biologico secondo gli standard internazionali, serve allorquando una persona non è più in grado di comprendere, di esprimere il proprio giudizio o di comunicare le proprie volontà a causa di una malattia invalidante o nella fase terminale della vita. Il rispetto della volontà o l'autodeterminazione sono però necessari allo scopo di salvaguardare la dignità del morente e dei malati, anche se questo non significa semplicemente il "compimento di un desiderio ", Piuttosto si tratta di armonizzare il bene del paziente con la sua volontà. "II fatto che un testamento biologico non comporti alcun vincolo di responsabilità per il medico, introduce una relazione di sfiducia nel rapporto medico-paziente ". sostiene Rederlechner. "Sarebbe importante trovare una via di mezzo tra l'obbligo di attenersi in modo assoluto alle direttive contenute nel testamento biologico - che non lascerebbe alcun margine di intervento giustificato a medici, infermieri e famigliari - e l'assoluto svincolo e libertà da parte del personale medico rispetto ad ogni tipo di intervento sanitario, come prescritto da questa legge. Sarebbe il caso di proporre - come nel caso dell'Austria - un testamento biologico "rispettoso" delle volontà del paziente. In quel caso il medico è obbligato a rispettare le direttive anticipate di trattamento e a tenerle in debito conto nel suo processo decisionale. Nel caso decida in contrasto con la volontà del paziente, deve giustificare questa sua scelta. Ma non prevedere alcun vincolo di responsabilità - come deciso in Italia - farà emergere il problema che le persone in futuro non si affideranno al testamento biologico come strumento di tutela dei loro diritti. "Ognuno penserà: Perché dovrei perdere del tempo e riflettere sul questo tipo di disposizione se, alla fine, non conterà nulla?", chiede Rederlechner. Il Servizio Hospice di Caritas giudica criticamente anche il fatto che l'alimentazione e l'idratazione artificiali, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, non possono essere respinte o interrotte, "E' comprovato che, nella fase terminale della malattia, l'idratazione artificiale del paziente risulta spesso più dannosa che altro. Se imposto per legge, ciò comporterebbe non solo benefici ma anche sofferenze inutili al paziente", afferma Rederlechner. "Dal momento che l’alimentazione e l’idratazione artificiale 4 necessitano di un intervento medico, è giusto che tale decisione sia valutata da un medico, sempre però nel rispetto delle volontà espresse dal paziente in ogni sua forma”, aggiunge il responsabile del servizio Hospice. Commento. La ns. vice-presidente Meri Negrelli ci segnala il soprariportato articolo sulla posizione assunta dalla Caritas altoatesina in merito all'infame disegno di legge licenziato per ora - dalla Camera dei Deputati. Mentre rileviamo con soddisfazione che all'interno della Chiesa cattolica stanno sempre più emergendo posizioni "laiche" rispetto alla posizione "fondamentalista" della gerarchia vaticana sul tema della fine della vita, non possiamo non rilevare che la Caritas altesina si limita a dare "un colpo al cerchio e uno alla botte". Cosa significa infatti "Il medico è obbligato a rispettare le direttive anticipate di trattamento e a tenerle in debito conto nel SUO processo decisionale"? E se decide di non tenerne conto, cosa succede? Dice la Caritas altoatesina "Nel caso decida in contrasto con la volontà del paziente, DEVE GIUSTIFICARE la sua scelta". A chi? Al medico primario? ai parenti del paziente, ed a quali parenti nell'ordine di preferenza? Al Giudice, e in base a cosa deciderà il Giudice? Oppure a Dio? Ed a quale Dio se il medico non è cattolico oppure è ateo oppure semplicemente agnostico? Oppure semplicemente alla sua coscienza, con le prevedibili conclusioni nel caso di medici "obiettori" di coscienza? Circa l'idratazione e l'alimentazione forzata, la Caritas altoatesina ammette che sono un trattamento sanitario, ma anziché concludere che possono essere rifiutate dal paziente perviene alla conclusione che "è giusto che siano valutate da un medico, sempre però nel rispetto delle volontà espresse dal paziente in ogni sua forma". E se la valutazione del medico non combacia con quella del paziente, chi decide? Insomma, si ritorna al circolo vizioso sopra descritto. GPS 2197 - LIBRO: “IL DIRITTO DI MORIRE” – DI UMBERTO VERONESI dalla newsletter: “per non mollare” del 13 agosto 2011 “[…]L’eutanasia non può che essere il diritto di morire, il quale, come tutti i diritti della persona, fa unicamente capo unicamente al soggetto[…]E’ di questo diritto che voglio parlare, ed è questo diritto che voglio difendere[…]il diritto di ogni uomo all’autodeterminazione, cioè il diritto alla libertà[…]” Non ci sono altre parole per presentare il contenuto di questo agile volumetto del prof. Umberto Veronesi. E’ il famoso oncologo che introduce l’argomento tabù dell’eutanasia con quella frase. Con molta delicatezza affronta il tema della morte e del congedo cui tutti siamo destinati. Osserva, Veronesi, che la medicina ha fatto notevoli progressi in questi ultimi vent’anni, per cui ormai più che “curare” siamo giunti a procrastinare l’evento morte. Ossia si è artificialmente prolungata la vita. A differenza che in passato si aveva la paura di morire anzitempo, oggi “siamo assediati dalla paura di sopravvivere oltre il limite consentito dalla dignità personale, dal nostro desiderio, dalla nostra capacità di sopportare sofferenze fisiche e mentali”. Solo in Olanda ed in Belgio vi è una legislazione che tutela il diritto di morire. Altrove il tabù dell’eutanasia condanna all’ostinazione terapeutica l’essere umano, con sofferenze tanto personali che non vi sono parole per poterle descrivere. In Italia l’eutanasia è vietata, e viene equiparata all’omicidio del malato, anche se consenziente. Ipocritamente si tollera (senza facilitarla, però) la cosiddetta “eutanasia passiva”, ossia la rinuncia alle cure inutili. 5 L’esperienza olandese ci insegna che il sorgere di un forte movimento di opinione favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia consegue alla consapevolezza che i progressi della medicina hanno comportato un prolungamento “artificiale” della vita, e ciò non può essere lasciato solo in mano ai medici. Di qui la necessità che la “decisione su come e quando si dovesse prolungare la vita oltre il termine naturale fosse tolta ai medici e riconsegnata ai pazienti.” Conseguentemente “ognuno ha il diritto di porre termine alla propria vita quando ritiene che a causa della sofferenza essa abbia perso valore”. Comunque, Veronesi non nasconde la persistenza di molte incertezze anche in Olanda. Ad esempio non ci si può nascondere il rischio che la decisione del paziente possa essere conseguenza di pressioni dei parenti che desiderano anticiparne la fine per ragioni economiche o per ragioni egoistiche. Il paziente, inoltre, potrebbe essere indotto a richiedere l’eutanasia perché affetto da grave e non inspiegabile crisi depressiva. Infine le cure palliative potrebbero migliorare ed alleviare le sofferenze. Concludendo, il prof. Veronesi ricorda una frase di Seneca (“l’uomo saggio vive finché deve, non finché può”) quale ammonimento nei confronti della medicina perché non è detto che tutto quello che si può fare sia lecito fare. (bl) (“Il diritto di morire” di Umberto Veronesi – Mondadori editore, Milano 2005 - SOMMARIO: Premessa – Introduzione – I. Il mistero della morte e della vita – II. Male fisico e metafisico – III. Perché è ancora un tabù – IV. L’eutanasia nella società moderna – V. L’insostenibile solitudine del dolore – VI. Le ipocrisie del “non fare” – VII. Un sonno senza risveglio – VIII. Sacralità e dignità della vita – IX. Una legge impossibile – Conclusione). 2198 - EMANUELE SEVERINO: COSA SIGNIFICA MORIRE CON DIGNITA’ da: la Repubblica di lunedì 15 agosto 2011 - Intervista di Antonio Gnoli Ha superato con tranquilla determinazione gli ottant'anni, ha affrontato con disperata calma la scomparsa della moglie, ha scritto un'autobiografia (Il mio ricordo degli eterni, Rizzoli) che è un insieme di ricordi, ma anche un tentativo di offrire al lettore un ritratto personale di Emanuele Severino. Eppure, parlare di sé non gli piace. Non ama mettere al centro il Severino in carnee ossa, quel privatissimo individuo attraversato da passioni ed emozioni. È come se quel mondo segnato da una storia individuale non condividesse nulla con il piano della speculazione. È come se al nostro cospetto si disegnasse una netta separazione tra agire e volere da un lato e pensare dall'altro. Le dà fastidio parlare della sua vita? «Non so a chi possa interessare. Si tratta di un'esistenza come tante altre. Fatta di memoria ed esperienze. Ma nel momento in cui io parlo dei miei ricordi, ecco che essi cominciano a suonare falsi». Non ci sono ricordi veri? «Ci sono nel senso di ricordi nella cui esistenza io credo. Ma è proprio perché credo nella loro esistenza che essi sono falsi. Sono cioè stati separati dal modo concreto in cui furono vissuti. Io credo di essere stato un bambino, fino a un certo punto della sua vita, allegro. Ma questo credere non è una verità indiscutibile, bensì una fede. Per questo ho avuto molti dubbi sullo scrivere un'autobiografia». Eppure l'ha fatto. Cosa l'ha spinta? «Potrei risponderle che è la vanità, il bisogno che il Severino in carne e ossa sente di essere conosciuto anche negli aspetti meno noti. E potrei aggiungere che ci sono peccati ben più gravi di quello di scrivere di sé. Come voler vivere, voler parlare, voler dire la verità». Tutte cose ben più che lecite. 6 «Certo, non lo discuto. Ma rientrano tutte in una forma di volontà di potenza. E la volontà non ha nulla a che vedere con la verità». Ma possiamo distinguere tra una volontà buona e una volontà cattiva. «La distinzione è infondata. E non posso neppure decidere, come fa certa saggezza orientale, di prendere la distanza dalla volontà. Perché anche il non volere è una forma di volere». Lei, con un atto di volontà, scrive un'autobiografia e nel farlo si consegna all'errore, al fraintendimento, alla non verità. Non mi pare un gran risultato. «D'accordo. Ma nessuno di noi può non vivere. E così mi è capitato di compiere quell'errare che è la scrittura e di praticare il genere autobiografico. Io so che dalle mie pagine trapelano vanità e puerilità, so di aver preferito alcuni ricordi ad altri, e di aver usato un linguaggio accattivante, quando avrei dovuto essere duro ed essenziale. Nondimeno l'ho fatto. Perché una cosa è vivere credendo che la vita non sia peccato - nel senso di errore, di non verità altro è vivere sapendo che tutto ciò che si fa, anche il gesto più amoroso, appartiene alla follia essenziale cui l'uomo è legato». Insomma racconta se stesso ma, al contempo, mette in guardia dal voler dare un particolare significato alla sua vita? «Metto in guardia dal darle un significato di verità. Ovviamente anche il filosofo vive. Come tutti gli altri. Ma ciò che chiamo filosofia è lo sguardo sulla verità che è presente in ogni uomo. Questa presenza non è testimoniata dal linguaggio, che preferisce parlare del rapporto tra me e lei, o di ciò che chiamiamo vita». A proposito del linguaggio lei non ha mancato di essere autocritico. «Accadde in relazione al mio primo libretto: La coscienza, pensieri per un antifilosofia. Era scritto con la melassa, in uno stile che cedeva alla retorica. Mi fa rabbrividire il pensarci ancora. Ed è il rischio che posso aver corso con l'autobiografia. Il linguaggio deve essere senza fronzoli». Parlando di lei, accennava al fatto di essere stato un bambino allegro. «Lo sono stato fino alla tragica scomparsa di mio fratello. Fu lui ad aprirmi alla filosofia. Lui normalista a Pisa durante la guerra - a parlarmi con entusiasmo di Gentile. La sua morte mi gettò nella costernazione. La stessa cosa, ma forse più dolorosa, l'ho rivissuta con la morte di mia moglie. Con lei siamo stati insieme per più di sessant'anni. Ho il rimorso di non averle forse dato tutto quello che avrei potuto». Eravate una coppia solida. Viaggiavate spesso assieme. «È vero. Per me era inconcepibile muovermi senza di lei e fino all'ultimo ci siamo spostati all'unisono. Mi torna alla mente il nostro ultimo viaggio. A Cuba. Ero stato invitato e accolto con tutti gli onori. Finita la parte professionale, ci misero a disposizione per una vacanza una stanza in uno degli alberghi più belli di Varadero. Ricordo che durante una notte si alzò un vento freddo - che lì chiamano il "fronte freddo" - che investì con furia la vetrata. Il suono di quel vento era sImile all'ululato dei lupi. Esterina stava già male. Ebbe paura di quell'ululato. Mi prese la mano nel letto e me la strinse. E io ebbi il presagio che la sua vita stava finendo». In che modo ha affrontato il dolore che ha provato quando è scomparsa? «Come lo affronto, direi. Perché è una ferita restata completamente aperta. La mia vita è cambiata. Per certi versi è diventata intollerabile». L'aiuta la filosofia? «È un dogma l'idea che la verità possa illuminare l'individuo. Non sono io che capisco la verità, ma è la verità che capisce se stessa. Eppure so che la filosofia ha messo al riparo questo dolore. Non lo ha curato, ma circondato». Mettersi al riparo è quanto cerchiamo nei momenti di crisi. 7 «È una delle esperienze fondamentali della storia dell'uomo. Noi veniamo al mondo e ci imbattiamo nel dolore e nella morte. Tutta la grande cultura è nata come difesa da questi eventi terribili. Prima con il mito, poi con la filosofia, infine con la scienza e la tecnica si è cercato il riparo. L'uomo, credendosi effimero, ha bisogno di protezione. Ma ciò che si cerca nel riparo è quanto di più inautentico si possa ottenere». È anche una risposta alla paura della morte. «Sarà parte dell'argomento che affronto nel prossimo e ultimo libro, col quale concludo la mia lunga ricerca iniziata sessant'anni fa. Morire è essere nella possibilità estrema, nel tramonto del contrasto tra verità e vita. Solo a quel punto finirà ogni dolore e ogni contraddizione. Questa idea non ha nulla a che vedere con la concezione cristiana della resurrezione». Sembra quasi che l'attenda con gioia. «Non temo la morte. Essa è una gran festa. Semmai ho paura dell'agonia. Il morente può esibire qualcosa di osceno. Per questo, quando sarà il momento, non vorrò una morte pubblica, in un ospedale. Ma una morte al riparo dagli occhi estranei e soprattutto priva di qualunque accanimento terapeutico. Questo per me significa morire con dignità». Perché, contrariamente a ciò che si pensa, la morte dovrebbe essere una gran festa? «Perché siamo destinati a una Gioia infinitamente più intensa di quella che le religioni e le sapienze di questo mondo promettono. I nostri morti ci aspettano. Esterina mi attende. Come una stella fissa del cielo». Nei riguardi di sua moglie lei ha detto di aver provato rimorso. Cos'è che si rimprovera? «Nel confessare il rimorso, la prima preoccupazione è stata di non voler passare per il marito perfetto, l'uomo pieno di virtù coniugali. Sono certo che avrei potuto essere migliore di come sono stato. Ma non so fino a che punto sarebbe dispiaciuto a mia moglie se io fossi stato una persona diversa». Ma lei avrebbe voluto essere migliore? «Forse più presente. Aver dedicato il proprio pensiero alla filosofia ha significato sacrificare in parte la vita familiare. Mio figlio, che fa lo scultore e che legge e discute i miei libri, ha criticato il mio modo di essere padre. E così anche mia moglie che pure non ha mai smesso di aiutarmi, di farmi sentire migliore di quello che probabilmente sono». La rattrista non esserlo stato? «Sì, anche se esito nel confessarlo. Quando sono in pubblico evito di lasciar trapelare il mio lato malinconico. Penso che sia sempre meglio non coinvolgere la gente con dei cupi pensieri». Se ne vergogna? «No, tanto è vero che gliene parlo. Diciamo che tendo a non voler essere compatito. Meglio forti nello stato d'animo piuttosto che patetici». 2199 - CHIESE METODISTE E VALDESI: NO AL SONDINO DI STATO – DI G. COURTENS da: www.cronachelaiche.it di mercoledì 24 agosto 2011 «E’ una questione di laicità: lo Stato dovrebbe poter legiferare sulle questioni di fine vita, senza sottostare al ricatto morale della chiesa di maggioranza». Lo ha detto il pastore della chiesa valdese di Torino, Paolo Ribet, nel corso di una conferenza stampa dal titolo “No al sondino di stato”, tenutasi ieri a Torre Pellice (TO) a latere del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste. «Una fattispecie tipicamente italiana» ha aggiunto Ribet, la cui comunità – alla pari di tante altre sparse per la penisola – ha aperto uno sportello dove poter depositare il proprio testamento biologico. «In Germania da anni esiste un ‘formulario cristiano’ per le direttive di fine vita redatto congiuntamente dal Consiglio delle chiese evangeliche e dalla Conferenza episcopale tedesca in merito. Non mi è chiaro perché la chiesa cattolica in Italia possa parlare 8 di fatto ‘non negoziabile’ quando la stessa chiesa a nord delle Alpi assume un’altra posizione», si è chiesto Ribet. Dopo l’approvazione della legge sul biotestamento da parte della Camera dei deputati lo scorso 12 luglio, è forte l’amarezza dei protestanti. La pastora Erika Tomassone, membro della Commissione bioetica della Tavola valdese, intervenuta alla conferenza stampa, non ha dubbi: «Non ci piace per nulla. E’ una legge oscurantista, un gran pasticcio che non risolve niente. Non è una legge sulle direttive di fine vita, ma è una legge che mira a vietare l’eutanasia». In particolare, spiega Tomassone, «non risolve nulla per quanto riguarda la delicata questione del rapporto tra medico e paziente, anzi, se possibile, acuisce la conflittualità tra due soggetti, pur titolari di sacrosanti diritti. Riteniamo inoltre che la legge sia scientificamente scorretta, perché idratazione e alimentazione artificiale sono equiparate a misure di assistenza ordinaria, che quindi non possono essere sospese». Nel 2007 – dato il vuoto legislativo – la Commissione bioetica (che raccoglie una dozzina di teologi, giuristi, medici, scienziati e ricercatori), propose un documento al Sinodo sull’opportunità di legiferare in materia. Quello stesso anno il Sinodo – vero e proprio “parlamentino” composto da 180 deputati tra pastori e laici – con un atto auspicò la promulgazione di una legge. «Lo scopo era quello di evitare le battaglie sui corpi» – ha precisato Tomassone. «Certo, di fronte al testo ora ratificato alla Camera è meglio nessuna legge». «Per noi, come credenti, quella di rivendicare la dignità e la libertà della persona è un imperativo, oltretutto previsto dalla Costituzione» – ha aggiunto Ribet. «Altrimenti, il rischio che corriamo, è quello di fare della “vita ad ogni costo” un vitello dorato». E Tomassone: «Da un punto di vista della fede cristiana riteniamo che è il singolo soggetto a dover rispondere davanti al Signore delle proprie libere scelte». Nei prossimi giorni il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste – massimo organo decisionale della piccola chiesa di minoranza nostrana che si svolge ogni anno a fine agosto – non esiterà a mandare un segnale forte al nostro legislatore, sottolineando l’inaccettabilità di questa legge. Intanto nelle chiese valdesi, metodiste o battiste, prosegue la raccolta delle direttive di fine vita. Gli sportelli aperti al pubblico sono a Pinerolo, Torino, Brescia, Milano, Trieste, Udine, Vicenza, Lucca, Roma, Civitavecchia, Napoli, e Palermo. Complessivamente sono stati già depositati più di 1500 dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari. 2200 - UN TRACOLLO BEN PREPARATO - DI GIOVANNI SARTORI da: Corriere della sera di lunedì 29 agosto 2011 Tutti gli economisti, o quasi tutti, sostengono che la salvezza sta nella «crescita». Perché il mondo occidentale non cresce più (in nessun senso della parola). La sola crescita globale è stata, da un secolo a questa parte, quella della popolazione. Oggi siamo 7 miliardi, forse arriveremo a 9 o anche a 10. E di tanto cresce la popolazione, di altrettanto (se non più) crescono i problemi che la crescita economica dovrebbe risolvere. Problemi che oramai sono di «grande depressione». E problemi che le ricette degli economisti non sembrano in grado di risolvere. Forse perché sono ricette che ci hanno fatto sbagliare previsioni e terapie da almeno mezzo secolo a questa parte. Perché da mezzo secolo a questa parte gli economisti ci hanno incoraggiato a spendere più di quanto guadagniamo, creando così un progresso economico fondato sul debito. Il debito pubblico che oggi assilla tutti (anche se alcuni più, alcuni meno) nasce così: dallo Stato che spende e spande, che elargisce più di quanto incassa. Negli Stati Uniti, per decenni, l'indicatore di una economa che «tira» è stato la consumer confidence, la fiducia del consumatore di poter spendere non sui soldi che si hanno ma sui 9 soldi che verranno. Un altro problema delle società industriali avanzate è che alla fine le macchine «disoccupano». Certo, all'inizio creano occupazione per creare le macchine; ma poi, alla lunga, finisce che sono le macchine che lavorano per l'uomo e che lo sostituiscono. Questo problema è stato oscurato dalla teoria (eminentemente sociologica) che la società post industriale era, e doveva diventare, una «società dei servizi». Certo, in parte sì. Ma in parte la società dei servizi è diventata sovrappopolata e parassitaria perché serve a colmare il buco della disoccupazione crescente. Il nostro Sud è un magnifico esempio di politica che diventa strumento di pubblico impiego. Il sistema che sono andato descrivendo era destinato a crollare. E difatti sta crollando. L'aggravante è poi stata la globalizzazione. Nel 1993 scrivevo che a parità di tecnologia i Paesi poveri a basso costo di lavoro erano destinati a togliere lavoro alla manodopera dei Paesi ricchi. Invece gli economisti hanno inneggiato alla globalizzazione come nuovi mercati di espansione e di vendita. È finita, per ora, che la Cina è diventata la cassaforte che sostiene il debito pubblico degli Stati Uniti, e che sono i cinesi che esportano più di noi. Ci sono, infine, le malefatte dei banchieri e del loro avventurismo speculativo con i soldi degli altri. Hanno cominciato a elargire mutui subprime e cioè insufficientemente garantiti. E poi si sono buttati sui derivati, una diavoleria escogitata da due matematici che nemmeno i banchieri né i loro economisti hanno ben capito. Il che non toglie che siano riusciti a inondare il mondo con un nuovo tipo di pericolosa spazzatura. Così oggi si scopre che abbiamo consumato le risorse per stimolare la ripresa, la crescita, senza che le nostre economie ripartano, senza che ci sia ripresa. Anche la locomotiva tedesca sembra che si sia fermata, la disoccupazione giovanile è altissima un po' dappertutto, e non può essere assorbita da impieghi burocratici che già soffrono di elefantiasi. Sì, in Italia bisogna assolutamente ridurre in modo drastico un deficit che continua ad alimentare uno dei più alti debiti pubblici del mondo. Ma bisogna anche dire la verità, tutta la verità. Come ha ben dichiarato il presidente Napolitano: «La maggioranza ha nascosto la gravità della crisi». Berlusconi è bravo, bravissimo, come illusionista. Resta da scoprire se sa vedere e dire la verità. Commento. E se avesse ragione? Giorgio Grossi 2201 - IL GOVERNO DEL VATICANO - DI WALTER PERUZZI da: www,cronachelaiche.it di martedì 16 agosto 2011 Pur preso dalle sue manovre di macelleria sociale, il governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti ha trovato il tempo per respingere la legge contro l’omofobia, che dava l’orticaria a Giovanardi, e far approvare il ddl sul testamento biologico, in base a cui dovremo morire nei tempi e nei modi stabiliti da Dio tramite il suo medico di fiducia, cioè la Chiesa. Il governo si è inoltre preoccupato di non mettere le mani nelle tasche di Ratzinger & soci; e di stabilire che anche per sapere quando lavorare o fare festa ci si deve regolare sul calendario del Vaticano, eliminando tutte le festività laiche e conservando solo quelle religiose (per quelle locali dei santi patroni si sta “trattando”…). Da una fiaba all’altra Sono le ultime elemosine fatte dal duo distonico Tremonti-Berlusconi con i nostri soldi. Piccole regalie, rispetto alla baraonda di sovvenzioni, contributi alle private, tagli dell’ICI, coinvolgimento in cricche affari appalti & altre ladronerie piovuti sulla Chiesa in diciassette anni di berlusconismo. Piccole cose, rispetto ai soldi dati ai docenti di religione nominati dalle curie per insegnare la loro religione sempre a spese nostre; o rispetto all’arrogante esposizione del crocifisso, privato amuleto cattolico, in ogni spazio pubblico. Briciole, che non bastano certo a saziare il Vaticano e la CEI, anche se ricche di valore simbolico, come la 10 soppressione delle festività laiche: uno stimolo a dimenticare gli eventi reali della storia (la nascita della repubblica, la liberazione dal nazifascismo, le lotte dei lavoratori), da sempre sgraditi al Caimano e alla sua corte; e ad abbandonarsi alla dimensione fantastica e mitologica nutrita finora dal famigerato «meno tasse per tutti» e adesso – che questa favola è finita – da un vecchio libro di fiabe improbabili e feroci raccontate (si dice) da Jhavé in persona. Il Bagnasco imbiancato Ma ci vuol altro. Per questo gli alti prelati, dopo aver retto il sacco al mafioso di Arcore e al razzista di Gemonio, si stanno adesso affannando a trovare nuove sponde. Bertone sta tentando con ripetuti incontri bipartisan di dar vita a una replica fuori tempo della DC; la CEI vagheggia invece un forte gruppo di parlamentari cattolici sparpagliati in vari partiti ma uniti sui principi non negoziabili, cioè pronti a votare come un sol uomo leggi e privilegi richiesti dalla Chiesa. La formula poco conta. L’importante, come ha ripetuto il 10 agosto Bagnasco, è che i cristiani continuino a occupare la scena politica e sociale, perché «essi hanno l’onere e l’onore e di ricordare a tutti chi è l’uomo, quali sono i suoi principi costitutivi, la necessità dell’etica, il suo fondamento trascendente, la via aurea dell’autentica giustizia e del bene comune». Testimonial cercasi L’unica incertezza riguarda i testimonial, tipo «se non ci credi, chiedilo a loro», da far sfilare per documentare come i cristiani, nei secoli, abbiano perseguito «la via aurea» in questione. Si sta valutando se potrebbe essere più efficace qualche sopravissuto delle stragi ustascia benedette dal beato Stepinac; o i figli e i nipoti dei desaparecidos assassinati dai generali argentini, compagni di merende del nunzio apostolico Pio Laghi (nell’immagine a colloquio con Videla); o se è meglio qualche dvd, a piacere, sulla vera storia dell’Inquisizione, delle “giustizie” a Roma, dell’evangelizzazione delle Americhe, delle crociate contro infedeli e albigesi, della caccia papale alle streghe. Ma forse basta far parlare qualche rifugiato respinto in mare o rinchiuso nei CIE da Maroni, sulla cui «piena condivisione col pensiero della Chiesa» in materia etica, ha giurato Fisichella. 2202 - IL VATICANO SIAMO NOI - DI CECILIA M. CALAMANI da: www.cronachelaiche.it di lunedì 22 agosto 2011 Dapprima fu il silenzio. L’accetta dei tagli del governo si è abbattuta sui lavoratori (naturalmente dipendenti, in particolare pubblici) e sullo stato sociale, su Comuni, Province e Regioni (e quindi servizi e assistenza) senza che un solo fiato si levasse dai porporati così bravi, in altre circostanze, nel predicare solidarietà e aiuti ai bisognosi. Poi qualche penna “illustre” (noi, che certamente non lo siamo, ne abbiamo parlato quando il silenzio ancora regnava sovrano) ha cominciato a chiedersi e a chiedere se in un momento di tragica difficoltà per il paese non fosse il caso che il Grande Esente, la Chiesa, cominciasse a pagare le tasse sugli immobili di sua proprietà, a rinunciare a finanziamenti e agevolazioni e persino all’otto per mille dell’Irpef, che frutta circa un miliardo di euro direttamente dalle tasche di tutti i contribuenti (cattolici e non). E allora tacere non si poteva più. Non si poteva più nascondere quegli almeno quattro miliardi di euro (secondo la stima al ribasso di un’inchiesta di Repubblica datata 2007) che ogni anno passano dalle casse dello Stato italiano a quelle della Chiesa. La cifra rimbalzava sui giornali, sul web, su tutti i social network, scatenando l’indignazione del popolo e di (alcuni) intellettuali e giornalisti. E così è iniziato l’immancabile carosello di prelati e politici affiliati. Chi difende i privilegi, chi nega le agevolazioni, chi attacca per non essere attaccato, chi ribalta la frittata e 11 spaccia i finanziamenti alla Chiesa per opere di carità (forse non sa dove finisce l’80% dell’otto per mille?). Nella ridicola difesa di indifendibili privilegi, meritano menzione alcune dichiarazioni. Rosy Bindi, presidente del Pd. Ha esplicitamente detto che il Pd non appoggerà la richiesta di far pagare al Vaticano l’Ici sugli immobili di sua proprietà, come proposto dai Radicali: «Io credo, come Casini, che la Chiesa sia una grande ricchezza per la società italiana, l’unica veramente impegnata con il volontariato nella lotta alla povertà». L’anima confessionalista del Pd riemerge in tutta la sua potenza. Se sul testamento biologico e le coppie di fatto forse – ma proprio forse – si può anche discutere, dell’eliminazione dei privilegi alla casta cattolica non se ne parla neanche. E se lo dice la presidente… L’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. «Bisognerebbe essere più precisi e informarsi, prima di gettare ombra o perfino fango. Bisognerebbe avere, con la Chiesa, la precisione che si ha nei confronti di altri soggetti più ‘reattivi’ e meno inoffensivi. Perché quei ‘quattro miliardi’ sottratti all’Italia della crisi sono lo schizzo cattivo di un laicismo che intende eliminare ogni presenza sociale e pubblica della Chiesa, che sta contribuendo già adesso ad ammortizzare gli effetti nefasti della crisi». Ma come la Chiesa contribuirebbe non è dato sapere. Mistero della fede? Angelo Bagnasco, presidente della Cei: «Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti», ha tuonato dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid scoprendo l’acqua calda. «Come comunità cristiana, come credenti dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perché anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte. […]. Così le cose sarebbero risolte, non senza però rivedere gli stili di vita». Il pensiero è corretto, nulla da obiettare se pensiamo che in Italia l’evasione fiscale raggiunge la cifra stimata di 265 miliardi di euro l’anno (dati 2008). Ma proferito dal rappresentante di una casta che basa il suo potere economico (anche) sull’esonero fiscale suona davvero come una presa in giro. L’astuto prelato ha preferito guardare in casa altrui invece che nella propria in piena tecnica “la miglior difesa è l’attacco” (ma la trave e la pagliuzza dove sono finite?). Vittorio Feltri. Dalle colonne del Giornale lancia la sua crociata di ateo devoto: «Da quando non si parla che di tasse e di tagli e di imbrogli peri noti motivi, anche la Chiesa cattolica è finita sotto tiro dei soliti moralisti, accusata addirittura di eludere il fisco grazie a privilegi concordatari strappati allo Stato. Senza entrare in particolari troppo tecnici, vorremmo tuttavia ricordare che gran parte delle suddette critiche sono infondate. Infatti non è vero che il mattone dei preti sia esente da imposte. O meglio, lo è se destinato ad attività di culto, benefiche, assistenziali o comunque volte a colmare l’assenza dello Stato. […]Se la Chiesa è in grado di sostituirsi ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato laddove questi sono incapaci di agire, sarebbe assurdo che venisse penalizzata. Semmai dovrebbe ricevere, oltre a encomi, anche dei congrui contributi e non soltanto l’esenzione fiscale. […] Attenzione. Qualsiasi immobile della Chiesa che non sia utilizzato per gli scopi sommariamente citati sopra [assistenza ai deboli e solidarietà, ndr], e che sia invece affittato e produca reddito, viene trattato come se fosse nostro o vostro. Non è esente dall’Ici né da altre tasse». Preso dall’ansia di compiacere le gerarchie ecclesiastiche – e, di conseguenza, il suo padrone – l’ex mangiapreti Feltri ha dimenticato che l’esenzione totale per la Chiesa è stata approvata dal governo Berlusconi nel 2005: cliniche, scuole, alberghi, circoli cattolici sono, da allora esenti Ici. O forse intende dimostrarci, in un altro editoriale, che queste strutture non producono reddito ma solo opere di carità? Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia. Finora si scherzava. Nessuna delle dichiarazioni rilasciate da politici e porporati (neanche quella di Bagnasco!) ha uguagliato, in capacità dissimulatoria, quella del devoto manager immobiliare. «Nell’ ordinamento italiano, 12 come d’altronde avviene in molte nazioni straniere, la spiritualità religiosa è considerata una componente fondamentale della natura umana, e quindi una faccia della persona (alla stregua della fisicità e dell’intelletto) che non può esser relegata nella sfera del privato; e dunque rappresenta un bene fondamentale che, al pari della salute, della cultura, del benessere, deve esser assicurato e garantito al cittadino dallo Stato. L’equivoco, in cui si cade, di ritenere le Chiese, nella loro funzione, altro rispetto allo Stato, nasce dal fatto che quest’ultimo non pretende di esercitare l’attività di culto e di religione direttamente o attraverso la supplenza di altri soggetti ( come avviene per le attività “laiche” di interesse collettivo, dalla assistenza, alla cultura): ma riconosce che questa attività, svolta dalle diverse confessioni religiose secondo i propri fini istituzionali, risponde in sé al requisito dell’ interesse collettivo. E dunque le esenzioni Ici, stabilite per gli immobili destinati ai compiti istituzionali delle Confessioni religiose, non sono graziose e benevole elargizioni previste nei loro confronti, né tantomeno nei confronti della sola Chiesa cattolica (come d’altronde non lo sono per gli enti no-profit che esercitano attività di interesse collettivo); ma rispondono alla stessa logica delle esenzioni stabilite per gli immobili pubblici». La sostanza dell’intervento (qui in versione integrale) è che se la Chiesa dovesse pagare l’Ici, allora lo dovrebbe pagare anche lo Stato. Si arriva perciò a un cortocircuito logico che ovviamente non può essere accettato: da qui l’esenzione fiscale per la Chiesa trova la sua legittimità. Sarebbe un insulto all’intelligenza di chi legge spiegare questa frode semantica che vede un capitale privato spacciato per pubblico e uno stato straniero considerato parte del nostro. Ma c’è da dire che il semisconosciuto manager avrebbe qualcosa da insegnare sia a Bagnasco sia a Feltri. Al primo che è più avvincente una balla sapientemente formulata di una difesa basata sull’attacco; al secondo che decostruire e ricostruire la realtà è molto più elegante di una maldestra arrampicata sugli specchi. Ma a noi, che oltre allo stile leggiamo la sostanza, resta solo un’amara certezza: il Vaticano non si tocca, non c’è crisi che regga. 2203 - IL PREZZO DELLA FEDE - DI ALESSANDRA MAIORINO da: www.cronachelaiche.it di giovedì 25 agosto 2011 Quanti, come noi di Cronache Laiche o come gli attivisti di associazioni e movimenti di cittadini laici, da sempre cercano di far notare il peso fiscale sostenuto dai contribuenti italiani per “mantenere” la Chiesa cattolica nella sua forma attuale, guardano piuttosto attoniti – e in un certo senso divertiti – al gran clamore che la questione dei “privilegi” vaticani sta sollevando in questi giorni. Tutti, ma proprio tutti, dai grandi ai piccoli media, pare sentano il dovere, in questo momento di crisi finanziaria, di denunciare, chi in maniera soft, chi in maniera più agguerrita, gli innumerevoli sgravi, esenzioni fiscali e benefici di cui gode l’apparato ecclesiastico cattolico in questo paese. Ottimo. Ma perché aspettare che il malato (ossia le finanze italiane) esali l’ultimo respiro per dirgli la verità? D’altra parte, un’ulteriore considerazione deve essere fatta in via preliminare: offrire un quadro davvero esaustivo dell’esborso e delle mancate entrate subite da parte dello Stato italiano in favore della Chiesa cattolica è impresa umanamente impossibile. È proprio il caso di dire che solo Dio sa a quanto ammonta la cifra effettiva. Come sostengono alcuni, noi uomini non possiamo che avere una visione difettiva e parziale della Provvidenza Divina. E allora, visto che questo è l’agone in cui occorre scendere, accontentiamoci dei nostri mezzi e tentiamo di fornire delle cifre; il lettore ci perdonerà le omissioni o le imprecisioni in cui inevitabilmente incorreremo. 13 8xmille. Fino ad un paio di anni fa, era un argomento tabu, roba da anticlericali conoscerne il funzionamento e l’effettiva destinazione. Poi sono venute alcune trasmissioni televisive, prima fra tutte Report di Marilena Gabanelli (se ve la siete persa e volete trascorrere un’oretta in agonia, pardon, allegria, recuperate qui, ne vale la pena), che hanno reso noto non solo il meccanismo perverso alla base della distribuzione di tale esazione, ma anche l’ingenua ignoranza dei fedeli che appongono la propria firma per destinare il proprio 8xmille alla Chiesa cattolica. Un’ingenua ignoranza di cui la Chiesa per anni si è servita per nascondere il fatto che sebbene solo uno scarso 40% dei contribuenti esprima una scelta, in base alle scelte espresse, quasi il 90% del gettito finisce nelle sue casse, e di questa entrata, che ammonta a circa un miliardo di euro l’anno, solo il 20% finisce nelle opere di bene reclamizzate nei suoi spot pubblicitari, mentre il rimanente (ossia l’80%), va in spese di culto e in sovvenzionamento del clero. A carico dello Stato. Il sovvenzionamento del clero e dei ministri di culto tratto dell’8xmille non comprende però quello dei cappellani militari e dei docenti di religione cattolica delle scuole pubbliche e statali, i cui stipendi sono invece pagati dallo Stato. La legge del n. 152 del 1° giugno 1961 stabilisce infatti che «L’Ordinario militare e il Vicario generale sono assimilati di rango, rispettivamente, al grado di generale di corpo d’armata e al grado di maggior generale [generale di brigata]. Gli ispettori sono assimilati di rango di brigadier generale [tenente colonnello]». Da un vecchio dato del Ministero della Difesa risalente al 2005, quando i cappellani militari erano 190, risulta che l’esborso quell’anno fu pari a circa 11 milioni di euro. Naturalmente a ciò vanno aggiunte le cifre (non note purtroppo a chi scrive) dei corrispettivi destinati alle altre cariche summenzionate e quelle delle pensioni percepite dai vari ex cappellani, ex vicari ed ex ispettori. Per quanto riguarda i docenti di religione, la legge n. 186/03 ha «trasformato i 15.000 insegnanti di religione cattolica in dipendenti statali a tutti gli effetti, con l’obbligo di provvedere a un loro impiego alternativo ove il vescovo ne revochi l’abilitazione. Poiché nel frattempo questi docenti sono diventati 25.000, i loro stipendi costano all’erario 950 milioni di euro l’anno» (da Chiesa padrona, Michele Ainis, ed. Garzanti 2009). Se pensate che già così la misura sia colma, aspettate la goccia che farà forse traboccare il vaso: il Trattato lateranense del 1929 – sì, quello del Duce – stabilisce all’art. 6 che «L’Italia provvederà, a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati, che alla Città del Vaticano sia assicurata un’adeguata dotazione di acque». L’articolo in questione non doveva risultare tuttavia troppo chiaro, poiché gli importi dovuti all’Acea sono rimasti inevasi per anni. Ci ha pensato poi il decreto del presidente del Consiglio del 23 aprile 2004 – Governo Berlusconi II – a mettere a posto i conti: 25 milioni di euro stanziati per l’anno 2004 come saldo degli arretrati e 4 milioni di euro l’anno per l’avvenire. “A spese nostre?”, si chiedeva in una nota trasmissione televisiva di qualche anno fa, “No, a spese vostre!”. Di Ici e altre bazzecole. Anche qui ci vorrebbe l’onniscienza divina per conoscere la vera entità del patrimonio immobiliare del Vaticano, ma un fatto è ormai noto: è esentasse. Il Governo Berlusconi II – sì, ancora lui – emana infatti un decreto, quello del 17 agosto 2005, n. 163, con il quale si ratifica la totale esenzione dell’Ici «per tutti i beni della Chiesa: un benefit di almeno 400 milioni di euro l’anno, secondo la stima più prudente» (M. Ainis, ibid.). Forse da una prospettiva italiana non risulta immediato l’effetto dirompente che tale decreto ha non solo sulle finanze dello Stato, o meglio dei comuni, ma anche sulle norme per la libera concorrenza di mercato per quegli esercizi commerciali che non possono vantare alcuna parentale, neanche lontana, con gli inabitanti di Oltretevere. L’Europa però lo vede bene, e chiede chiarimenti. Forse è anche per questo che l’anno seguente il Governo Prodi cerca di metterci una toppa, che però ha tanto il sapore della presa in giro: con il decreto del 4 luglio 14 2006 n. 223 si stabilisce che sono esenti dal pagamento dell’imposta comunale sugli immobili solo i locali a uso «non esclusivamente commerciale». E quali sono? Nessuno, ma proprio nessuno, volendo. Basti pensare che persino l’agenzia di viaggi del Vaticano, l’Opera Romana Pellegrinaggi, che organizza i charter da e per le mete della cristianità non paga l’Ici: si trova nel palazzo del Vicariato e la sua è considerata un’opera “pastorale”, così come quella di Roma Cristiana, il servizio di autobus gialli e bianchi a due piani che trasportano i turisti in giro per Roma al costo di 18 euro a biglietto. Poi ci sarebbero il dimezzamento dell’Ires (imposta di reddito sulle società); i finanziamenti alle scuole cattoliche e agli istituti di cura cattolici; i fondi alle università private – vedi l’Università Europea di Roma, della Congregazione dei Legionari di Cristo, fondata da Maciel Degollado, di cui avevamo trattato a proposito del “caso De Mattei” –; i finanziamenti dei “grandi eventi” (solo esempio: l’esposizione della Sindone tenutasi a Torino nella primavera 2010 è costata agli enti promotori, ossia comune e provincia di Torino e regione Piemonte, 2,4 milioni di euro); le sovvenzioni a Radio Maria, classificata (unica, insieme a Radio Padania) come “emittente radiofonica nazionale a carattere comunitario”, e beneficiaria per questo di un milione di euro nella finanziaria del dicembre 2004, legge n. 311, oltre che destinataria del 5xmille; poi ci sarebbe lo IOR, ma questo è un capitolo a parte. Con ciò ci auguriamo di non destare (nuovamente) le ire e la penna di Umberto Folena, che dalle colonne dell’Avvenire pochi giorni or sono tuonava contro tutti «quelli che», a suo dire, «vorrebbero far pagare l’Ici a chi ancora non la paga, ossia alle mense Caritas, agli oratori, alle sacrestie, ai monasteri… perché sono soltanto loro che ancora non pagano», e inveiva contro tutti «quelli che sul loro giornalone da 500 mila copie denunciano con veemenza che la Chiesa italiana nasconde il rendiconto dell’8 per mille». Ovviamente non si riferiva a noi, che non siamo affatto un “giornalone da 500 mila copie” e, al contrario di Avvenire, non percepiamo alcuna sovvenzione statale. Tuttavia sarà il caso di evidenziare che nel dare una notizia, ci curiamo di offrire al lettore l’eventuale legge di riferimento, il link al documento originale, o la fonte della data informazione. Non basta stracciarsi le vesti e dare del bugiardo a chi osa opporre obiezioni ad uno status quo dimostrato dai fatti. Folena e quanti gridano all’attentato contro la Chiesa cattolica e la sua carità, dimostrino (dati alla mano) di avere ragione, e cambieremo parere. Al momento, l’anomalia tutta italiana del Vaticano, e del suo pingue mantenimento all’interno di uno Stato sovrano e laico, è e resta cosa di evidenza innegabile. Le frecce all’arco dei suoi difensori non possono essere la negazione dei fatti; piuttosto ammettano, e noi ne converremo, che presentare al mondo e ai fedeli un papa e un apparato ecclesiastico disadorni d’oro e privi di preziosi sacri paramenti non farebbe la stessa impressione che fa ora. È (anche) per questo, forse, che la Chiesa non può rinunciarvi. Ma non può certo dirlo a voce alta. 2204 - STATO E CHIESA CATTOLICA - DI ALDO ZANCA da: www.criticaliberale.it – lunedì 29 agosto 2011 In che cosa credono i cattolici? Chi sono e quanti sono? La domanda non è impertinente e non vuole ficcare il naso nella coscienza altrui. La risposta serve per verificare se è giustificata o meno la pretesa della chiesa di rappresentarli, traendo da questo suo ruolo enormi vantaggi in termini materiali e di potere. Il laico non solo non ha assolutamente nulla contro la religione, ogni religione, ma ne difende a spada tratta la libertà e la sua presenza nello spazio pubblico. Questo significa che lo Stato, che è e dev’essere rigorosamente laico, riconosce le religioni e ne sostiene in vari modi la funzione in quanto «formazioni sociali ove si svolge la […] personalità [degli individui]» (art. 2 Costituzione). Lo Stato laico non è 15 indifferente al fenomeno religioso, nella misura in cui esso è un affare molto importante per tante persone. Un atto profondamente laico da parte dello Stato sarebbe quello di riconoscere gli stessi diritti riconosciuti alle associazioni religiose a quelle analoghe non religiose, così come avviene in Germania: «Alle associazioni religiose vengono equiparate quelle associazioni che perseguono il fine di coltivare in comune un'ideologia» (Legge fondamentale, art. 137/6). Ma nella stessa Germania funziona un meccanismo perverso basato sul ricatto morale e su un osceno collaborazionismo con lo Stato per il finanziamento delle chiese: puoi non pagare la tassa prevista ma come conseguenza vieni “sbattezzato” e quindi privato dei conforti religiosi. A partire da qui nascono i problemi e la necessità di una militanza laica per vigilare che lo Stato non attribuisca alle religioni un peso e un valore indebiti. In Italia questo rischio riguarda esclusivamente la chiesa cattolica, poiché le altre religioni hanno fatto e continuano a fare una gran fatica per poter fruire della tutela pubblica. Allora bisogna chiedersi quali sono i criteri usati per attribuire la giusta rilevanza ad ogni religione per concedere l’accesso ai benefici a carico di tutta la collettività nazionale. Durkheim sostiene che una religione è «un sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre, […[ le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono». Sistematicità, riferimento a cose considerate sacre e organizzazione comunitaria sono dunque i tre criteri che intercettano una religione. I pubblici poteri non solo debbono evitare di prendere per buone le dichiarazioni autoreferenziali ma procedere ad un accertamento obiettivo della consistenza reale delle varie chiese. Così come i versamenti dei lavoratori determinano la rappresentanza dei sindacati o i voti ottenuti determinano la misura dei contributi ai partiti. Anche a limitarsi al solo criterio organizzativo, già siamo fuori da ogni idea di equità. Per esempio: grazie ad un astuto meccanismo, nella ripartizione dell’8 per mille la chiesa cattolica percepisce anche oltre il 90% del gettito, malgrado che i contribuenti che esprimono l’opzione per essa si aggiri intorno al 35%, mentre più o meno il 60% non esprime nessuna opzione. La furbizia sta nel fatto che viene ripartito l’intero gettito proporzionalmente alle opzioni effettivamente espresse ed ecco che un 35% diventa un 90%. Il meccanismo funzione come nelle elezioni, dove le astensioni non incidono sulla distribuzione dei seggi. In sostanza la chiesa cattolica, in questo caso, si appropria della stragrande quantità di risorse pubbliche pur essendo una minoranza. Le cose si mettono sicuramente peggio se andiamo a sondare l’applicazione dei criteri circa il «sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre». Sono numerose le indagini che hanno dimostrato che i cattolici credono a quello che vogliono, mettendo in crisi il sedicente carattere istituzionale della chiesa, cioè l’oggettività di un credo che può riscontrare la legittimità di una rappresentanza “politica”. Per scrivere il mio ultimo libro (Religione e morale. Filosofia del condizionamento religioso, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2011) ho avuto alcune conversazioni con cattolici colti e conoscitori della dottrina. In tutti i casi è stato dichiarato il rifiuto del peccato originale e dell’inferno, quanto dire il nucleo essenziale della dottrina, così come è stata elaborata da Paolo e Agostino e trasmessa presso che inalterata fino ad oggi, almeno se l’autentico insegnamento della chiesa è quello che si legge nel Catechismo. La professione di fede di moltissimi sedicenti cattolici non osserva su punti essenziali il credo insegnato dalla chiesa. Dal punto di vista ideologico il cattolicesimo si presenta come una nebulosa, in cui c’è poca fede ben fondata, pochissima obbedienza alla gerarchia, moltissimo conformismo, dilagante neo-paganesimo. Sociologicamente, anche tenendo conto di una certa gradazione di intensità, è oggi impossibile tracciare con decente approssimazione l’identikit del cattolico, 16 fatta salva una ristrettissima fascia di militanti nell’ordine di alcune centinaia di migliaia e degli appartenenti al clero. Uno studio recentissimo (Roberto Cartocci, Geografia dell’Italia cattolica, il Mulino, Bologna 2011) getta nuova e interessante luce su questa nebulosa, che, a seconda dei parametri utilizzati, può oscillare da un minimo di 18 milioni, bambini compresi, a non più della metà degli italiani. Il fatto che la quasi totalità di essi sia battezzata non dice granché sull’effettiva adesione al credo cattolico. Viene fuori che il cattolicesimo sempre di più si addensa nelle aree del sottosviluppo economico, dell’inefficienza della pubblica amministrazione e del degrado civile. Il cattolicesimo sembra prosperare nelle situazioni di disgregazione sociale e di carenza di presenza dello Stato, cioè nel sud dell’Italia, dove il cattolicesimo si presenterebbe come «subculturale, tradizionalista, carismatico, miracolistico o forse anche celebrato popolarmente in superstizioni e magie» (Giancarlo Zizola). «All’antica frattura tra zona bianca e zona rossa – spiega Cartocci –, separate dal Po […], si è sostituita una nuova frattura, che corre più o meno da Roma ad Ascoli» (p. 138). La ricerca socio-economica individua una correlazione positiva tra secolarizzazione e sviluppo: «L’indice di secolarizzazione è strettamente legato agli indicatori di sviluppo economico, di rendimento delle istituzioni e di dotazione di capitale sociale. Le aree più cattoliche – conclude l’autore – sono anche quelle in cui si cumulano ridotto sviluppo, inefficienza delle istituzioni locali e della sanità regionale […] più religione meno capitale sociale» (p. 139), cioè il meridione. Ammonendo che la correlazione non significa causazione, si rileva che «gli elevati livelli di pratica religiosa e di fiducia nella chiesa costituiscono la veste culturale di quelle realtà italiane che sono nelle condizioni più critiche: ridotto sviluppo, inefficienza dei servizi, scarso capitale sociale. […] si presenta comunque, ineludibile, la sovrapposizione tra diffusione dei comportamenti conseguenti alle indicazioni della chiesa cattolica, da una parte, e i valori più bassi dello sviluppo economico, della qualità delle istituzioni locali e dello stock di civismo» (pp. 139-141). Gli indicatori che Cartocci utilizza per la costruzione dell’indice di secolarizzazione, intesa come recessione della pratica religiosa cattolica, sono: il tasso di matrimoni civili sul totale dei matrimoni, l’incidenza delle nascite di figli al di fuori del matrimonio sul totale, il tasso di studenti non avvalentisi dell’insegnamento della religione cattolica e la percentuale di contribuenti che non indica la chiesa cattolica come destinataria del finanziamento dell’8 per mille sul totale delle preferenze valide. L’autore mette in guardia dal rischio di sovrastimare certi grandi numeri, che sembrerebbero deporre a favore di un cattolicesimo largamente diffuso e radicato. Infatti «sulla scelta di avvalersi o meno gravano certamente motivazioni di natura extrareligiosa, come innanzitutto la mancanza di alternative didattiche adeguate e la convinzione [errata!] di molte famiglie che questa offerta didattica costituisca comunque un arricchimento morale e culturale» (pp. 154-155). Aggiungiamo noi che, per esperienza personale, c’è anche la preoccupazione che, soprattutto i più piccoli, non diventino oggetto di pratiche discriminatorie. E anche «sposarsi in chiesa può essere una scelta su cui incidono [moltissimo!] anche considerazioni profane e di tipo ritualistico e conformistico» (p. 159). Sulla scelta dell’8 per mille pesano sicuramente la rinuncia dello Stato di fare la stessa propaganda che la chiesa fa e l’uso scorretto che esso (meglio: il governo) fa della sua quota, in massima parte dirottata a favore della chiesa cattolica. Chi scrive ha, per questo, da tempo cessato di destinare il proprio 8 per mille allo Stato, preferendo la chiesa valdese. I cattolici sono oggi, secondo tutte le indagini serie, anche di campo cattolico stesso, una grossa minoranza, che però gode di una favorevole sovraesposizione grazie all’azione congiunta del conformismo sociale e del sostegno dei pubblici poteri, non solo di tipo economico-finanziario. I grandi numeri che si riferiscono al cattolicesimo (battesimi, 17 matrimoni, ora di religione, 8 per mille ecc.) sono il risultato di procedimenti drogati, che non rispecchiano affatto la reale consistenza sociologica e statistica delle adesioni al cattolicesimo in termini di comportamenti osservabili e di fedeltà dottrinale. In questa nuova situazione, che si cerca di tenere celata o di mascherare, viene meno ogni giustificazione politica e giuridica del regime concordatario, che può avere un senso solo in una società monoculturale e monoreligiosa, in cui altri raggruppamenti appaiono marginali e ininfluenti. L’argomento secondo il quale il cattolicesimo sarebbe la religione della maggioranza degli italiani sarebbe corretta se a “maggioranza” si aggiungesse l’aggettivo “relativa”, a fronte della quale c’è una stragrande maggioranza assoluta di conformisti, opportunisti, indifferenti, appartenenti ad altri credi religiosi e filosofici. Si tratta di applicare una buona volta validi e corretti criteri e strumenti di rilevazione. In questa nuova realtà, profondamente diversa rispetto a non molto tempo fa, in cui il cattolicesimo appare eroso dall’esterno dalla secolarizzazione e dall’interno dal vacillare dei capisaldi dottrinali, sarebbe corretto, nel quadro di un sano esercizio della laicità, cessare di accordargli l’attuale favore che si rivela scandalosamente sovradimensionato in relazione alla sua effettiva consistenza sia organizzativa che ideologica. Cominciando ad assegnare alla CEI la quota dell’8 per mille nella reale misura delle opzioni espresse, e arrivando, chissà quando, all’abolizione del regime concordatario, autentico obbrobrio civile. Un gesto di per sé modesto, ma carico di significato simbolico ai fini di testimoniare la laicità dello Stato, sarebbe quello di non prevedere più nelle cerimonie pubbliche la presenza delle “autorità religiose”, che sono solamente quelle cattoliche, discriminando tutte le altre, e di cancellare le parti relative del decreto del presidente del consiglio dei ministri del 14 aprile 2006. Nei posti riservati alle autorità il cittadino italiano non cattolico ha il diritto di non vedere personalità che per lui non rappresentano alcuna autorità. 2205 – GB: AGGIORNAMENTO DELLA LEGGE PER IL SUICIDIO ASSISTITO da: The Guardian drel 2 agosto 2011 - Traduzione per L.U. di Alberto Bonfiglioli La legge britannica sul suicidio, stabilita nel 1961 dal Suicide Act, ha 50 anni. Sembrava allora progressista perché depenalizzava il tentato suicidio. Tuttavia, introduceva anche il reato di assistenza al suicidio, con condanne sino a 14 anni di carcere. La legge riconosceva però che non sempre il prolungamento della vita sia la cosa migliore per il paziente e che i medici non sono obbligati a trattamenti ritenuti inutili. Infatti, il “Mental Capacity Act “del 2005 ha riconosciuto agli adulti capaci di intendere e di volere il diritto di rifiutare trattamenti medici per il prolungamento della loro vita, compreso il diritto di dichiarare in anticipo il loro rifiuto. Inoltre, i medici possono decidere d’interrompere tali trattamenti senza il consenso del paziente negli ultimi giorni o settimane di vita. Più di recente, il direttore dell’ufficio della procura Generale del Regno Unito ha emanato le linee guida per le condanne nel caso di assistenza al suicidio, secondo le quali una persona che fornisce tale assistenza potrebbe non essere perseguita se si riconosce che ha proceduto per compassione senza alcun altro tipo d’interesse. In altre parole, la pratica medica e l’applicazione della legge hanno sostituito in certa misura l’incapacità del Parlamento di aggiornare la Suicide Act 1961. Una tal evoluzione delle pratiche mediche e legali è comunque meglio della mancanza di scelte, ma non può essere considerata sostitutiva di una legge aggiornata che permetta ai malati terminali adulti e capaci di intendere e di volere di scegliere una morte medicalmente assistita, senza implicazioni penali per chi fornisce questo tipo di assistenza. Siamo arrivati a questo punto perché i parlamentari sembrano intimoriti dalla reazione di una minoranza molto attiva che si oppone al cambiamento. Tuttavia, come l’evoluzione di altre istanze istituzionali lo dimostra, non dovrebbe essere impossibile per il Parlamento emanare leggi che senza 18 danneggiare quelli che desiderino prolungare il fine della loro vita, rispetti la scelta di coloro che vogliono mettere fine alle loro sofferenze. Sarah Wootton, Presidente esecutivo Dignity in Dying 2206 - FRANCIA: UN FRANCESE SU DUE FAVOREVOLE ALL’ EUTANASIA da: Aduc salute n. 33-34 del 23.8.2011 Un francese su due favorevole all'eutanasia attiva, mentre il 45% la considera una soluzione accettabile solo in alcuni casi. Sono i dati di un sondaggio realizzato Oltralpe dall'istituto Ifop per il quotidiano 'Sud Ouest', per valutare l'orientamento dell'opinione pubblica, “agitata” dal dibattito sul tema riaperto dal caso di un medico dell'ospedale di Bayonne, Nicolas Bonnemaison, sotto accusa per aver praticato illegalmente l'eutanasia su almeno cinque pazienti anziani. La vicenda, ancora non del tutto chiara, ha fatto molto discutere e in poco tempo Bonnemaison è sotto accusa dal 12 agosto - è nato un vasto gruppo di sostegno al medico su Internet. I dati del sondaggio mostrano che la maggioranza dei francesi considera positivamente una legge a favore dell'eutanasia attiva, con un balzo in avanti rispetto al 2010 quando solo il 36% era assolutamente favorevole alla 'dolce morte' (contro il 49% di oggi): un aumento di 13 punti percentuali in 10 mesi. Più favorevoli le persone tra i 50 e i 64 anni (56%), mentre hanno maggiori riserve gli under 35 (41%). 19 2207 - GALILEO: NON BASTA GUARDARE… - DA WWW.RELIGIONSFREE.ORG 2208 - LE VIGNETTE DI VIRUS – GHEDDAFI DEVE ARRENDERSI… 2209 - LE VIGNETTE DE L’UNITA’ – BERLUSCONI NEL BUNKER 20