COMPORTAMENTO COLLETTIVO
E AZIONE RAZIONALE
Teoria del «comportamento collettivo»
e modello dell’azione razionale
• Le teorie del «comportamento collettivo»
(collective behaviour) spiegano le mobilitazioni
con una psicosociologia della frustrazione sociale,
ed evidenziano la potenza esplosiva delle
aspirazioni e dei desideri frustrati
• Il modello dell’azione razionale tende a
sottoporre le mobilitazioni a una forma di lettura
economica (gli individui che prendono parte a
movimenti sociali obbediscono alla logica del
calcolo costi/benefici, che condiziona il loro
impegno in prospettiva di un vantaggio materiale)
Le teorie del «comportamento
collettivo»
• I movimenti sociali sono solo una delle
componenti del «comportamento collettivo», a
fianco di un insieme di fenomeni come le ondate
di panico, le mode, i movimenti religiosi, le sette
• Per Blumer, l’elemento federatore di tutti questi
comportamenti sta nella loro carenza di
istituzionalizzazione, nella debolezza dei quadri
normativi che racchiudono l’agire sociale
• Smelser insiste sull’idea della necessità di una
mobilitazione in base ad una convinzione che
ridefinisca i termini dell’agire sociale
Coerenza dei diversi approcci teorici
• Graduale abbandono di un’ottica ereditata dalla
psicologia delle folle (le mobilitazioni non sono
patologie sociali, bensì hanno una loro razionalità)
• Si scivola da una visione centrata sul potenziale
distruttivo e minaccioso dei movimenti sociali fino alla
considerazione della loro capacità di creare mutamento
sociale
• Il modello epidemiologico è sostituito da una
problematica di convergenza (i comportamenti
collettivi nascono dalla sincronizzazione fra credenze e
frustrazioni già presenti negli individui, non da
fenomeni d’imitazione)
La mobilitazione
Una mobilitazione non nasce solo perché esiste
un malcontento. Quest’ultimo deve comunque
trovare un linguaggio che gli dia significato,
designi i suoi avversari, legittimi la
rivendicazione rispetto a certi valori
Perché gli uomini si ribellano? (Gurr)
• Frustrazione relativa è uno stato di tensione, una
soddisfazione attesa, generatrice di un potenziale
di malcontento e di violenza
• La frustrazione può essere definita come un saldo
negativo fra i «valori» che un individuo detiene in
un momento dato e quelli che egli si attende di
percepire in base alla sua condizione e alla sua
funzione sociale. Essa è relativa perché tributaria
di una logica della comparazione
• Il superamento collettivo delle soglie di
frustrazione è la chiave di ogni grande
movimento sociale.
• La frustrazione è solo un potenziale di
mobilitazione e di violenza: non le produce
meccanicamente
• Un movimento sociale esige un lavoro di
produzione di discorsi, di assunzione di
responsabilità, di attribuzione di significato ai
rapporti sociali vissuti, di produzione di simboli e
di parole d’ordine
L’homo economicus nella teoria dei
movimenti sociali
Il paradosso di Olson
Il senso comune dice che, quando un insieme di
individui può trovare vantaggio a mobilitarsi e
ne è consapevole, l’azione collettiva viene di
conseguenza. L’obiezione di Olson consiste
nell’affermare che un gruppo con queste
caratteristiche può non muoversi affatto
Lo scenario del «free rider»
(passeggero clandestino)
• Esiste una strategia ancora più fruttuosa della
mobilitazione: guardare gli altri mobilitarsi
• Il free rider è colui che decide di non
partecipare (mobilitarsi, aderire ad uno
sciopero, ecc.) perché usufruirà lo stesso degli
eventuali vantaggi che conseguirà il gruppo in
seguito alla mobilitazione
Incentivo selettivo
Solo un incentivo selettivo separato e selettivo stimolerà
un individuo razionale in un gruppo latente ad agire in un
modo orientato-al-gruppo. Cioè solo un vantaggio
strettamente riservato ai membri del gruppo motiverà
qualcuno a partecipare e contribuire al gruppo
Esistono tecniche che consentono di accostare i
comportamenti individuali a quella che sarebbe, in
astratto, la razionalità di un gruppo dotato di volontà
collettiva.
Per ottenere ciò è sufficiente abbassare i costi di
partecipazione all’azione, oppure alzare quelli di non
partecipazione
Le limitazioni al modello costruito da Olson
- Si applica alle mobilitazioni che puntano ai «beni
collettivi»
- La particolarità dei piccoli gruppi
- La sua griglia interpretativa non è per nulla
sufficiente là dove si tratti di lobbies filantropiche
o religiose
- I fenomeni legati alla sociabilità, alle relazioni
interpersonali e affettive sono difficilmente
convertibili nel linguaggio del calcolo economico
La RAT (Rational Action Theory)
e l’irrigidimento del modello
• I seguaci di questa teoria pretendono di applicare
il modello dell’homo economicus a tutti i fatti
sociali.
• Buchanan e Becker ritengono che il modello
dell’homo economicus poggia sul postulato
economico di una possibile interpretazione di
tutti i fenomeni in riferimento ad attori razionali
per i quali la partecipazione all’azione collettiva è
una pura scelta di calcolo del rendimento di
energie e risorse investite nell’azione
Deficienze del modello di Olson
1) I partecipanti razionali, attratti dalla posizione
del «free rider», perché non dovrebbero arrivare
fino a prevedere le analoghe previsioni altrui?
2) È ragionevole che un individuo in procinto di
partecipare ad una mobilitazione possa fare
come un giocatore di carte o di scacchi e
chiedersi cosa giocherà l’altro?
Vi sono delle situazioni nell’ambito delle quali la
partecipazione all’azione si rivela più redditizia della
strategia del «free rider»
Il buon impiego del calcolo razionale
Olson pone al centro del dibattito una verità
sgradevole per le analisi che aspirano alla
semplicità: la mobilitazione collettiva non è mai
scontata. Occorre spiegare le condizioni di
sviluppo dei movimenti sociali.
Il personaggio del militante, l’individuo
mobilitato, ha una consistenza sociale diversa da
quella di una macchina calcolatrice
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