CONOSCERE LA METRICA Vincenzo Grasso Editore, Padova Le Antologie che presentiamo raccolgono alcuni dei componimenti con i quali, da ogni parte d’Italia, molti appassionati hanno aderito alla Terza e alla Quarta Edizione del Premio Concorso Nazionale di Poesia Classica, ideato e organizzato dalla Casa Editrice Vincenzo Grasso, di Padova. A differenza di altri “certami” dedicati alla composizione poetica, noi abbiamo voluto ospitare anche apprendisti ed amanti del verso, indipendentemente dall’età e dalla perizia, per creare uno strumento didattico che stimoli, incoraggiando, attraverso l’esempio di quanti, sia pure con mezzi elementari, si adoperano e tentano il difficile sentiero delle Muse. «L’intuizione dell’Editore Vincenzo Grasso è quella di insegnare “dall’alto e dal basso”, come agiscono il sole e la terra sul seme: dunque non soltanto attraverso i modelli consolidati, ma anche sfruttando gli sforzi della passione, perfino sprovveduta, che tenda ad una conquista, o avverta il bisogno di una riconquista... Per essere più espliciti, noi intendiamo spronare, più che scoraggiare, “premiare” più che bocciare, sicuri che il criterio comunque porti anche le piante più umili a sbocciare. Se per godere di un’escursione in bicicletta ognuno pretendesse di misurarsi con Fausto Coppi, quasi tutti dovrebbero rinunciare: lasciamo che sui pedali ognuno si sforzi di salire e respiri il vento e gli odori delle altitudini, pure ammesso che mai prenderà il volo delle aquile! ...Ci auguriamo, allora, che l’esigenza di recupero di un “modo” in estinzione, che anima i promotori di questa iniziativa lodevole, trovi nelle pagine che seguono la sua giustificazione e funga da stimolo per chiunque voglia condividere con loro il movimento di riscossa della disciplina e della musica nella sfera di quel genere letterario chiamato “poesia”, che sembra già appartenere ad un’epoca superata. A torto, e con grave perdita per la Letteratura» (Amato Maria Bernabei). Pubblichiamo la Prefazione al Volume II, mentre rinviamo all'articolo Che cos'è la poesia: contributi alla comprensione, sempre su questo sito (in Cultura o in Archivi) per la Prefazione al Volume I. Per la poesia, case editrici a tre livelli Scrivere un’opera letteraria, per quanto modesta e di contenute proporzioni, è sempre un’impresa molto impegnativa; ma è ancora più faticoso, per non dire quasi impossibile, trovare il modo di farla stampare da un editore disposto ad accollarsi, per puro mecenatismo, le spese tipografiche e di distribuzione. La difficoltà aumenta quando il testo da pubblicare è in versi. E si tratta di una questione risaputa, antica quanto la storia dell’editoria. Accadde persino a Marcel Proust di vedersi restituire, da una nota casa editrice, il manoscritto Alla ricerca del tempo perduto; stessa umiliazione, in quel periodo, subì Dino Campana, quando gli comunicarono che i Canti orfici erano stati smarriti da Giovanni Papini tra le carte di “Lacerba”; parimenti, ebbe ad incassare un avvilente rifiuto Emily Dickinson, nel presentare ad una prestigiosa redazione il suo primo florilegio poetico. E quanto dovette penare, il grande Baudelaire, per accattivarsi quello che, più tardi, sarebbe diventato il suo stampatore ufficiale? Ma – opere poetiche a parte – numerosi furono anche i casi di romanzi ingiustamente respinti e, in seguito, divenuti celebri. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ad esempio, dovette versare lacrime amare, prima che l’editore Feltrinelli si persuadesse a pubblicare (postumo) Il Gattopardo. E si narra che, nel 1851, il Moby Dick di Melville fosse restituito al mittente con questa testuale, sconcertante motivazione: “Non adatto al mercato dei giovani”. Vennero mandati indietro con giudizio negativo anche l’Ulisse di Joyce, Il Signore degli anelli di Tolkien, Cent’anni di solitudine di García Márquez, Le avventure di Sherlock Holmes di Conan Doyle e – udite, udite! – le gesta di Harry Potter, che, peraltro, fino allora avevano registrato ben sette rifiuti editoriali. Eppure i nomi di Proust, Baudelaire, Dickinson e Campana, per attenerci alla sola categoria dei poeti, sopravvissero alla miopia dei censori, entrando a tutti gli effetti nella storia ufficiale della letteratura. Attualmente, in Italia, le case editrici che si occupano di poesia sono di tre livelli: al più alto, le roccheforti inespugnabili dei grandi editori, come Einaudi, Garzanti, Mondadori e Rizzoli; il livello medio, raccomandato a quei giovani che ritengono d’avere il capolavoro nel cassetto, è rappresentato da piccoli editori, talora sconosciuti, ma competenti e bene attrezzati, come Astrogallo (Ancona), Nicola Crocetti (Milano), Lacaita (Manduria), Manni (Lecce), Scheiwiller (Milano), S. Marco dei Giustiniani (Genova), Vincenzo Grasso (Padova) e Guanda (Milano), il più qualificato; il livello più basso, assolutamente sconsigliabile, è quello delle tipografie artigianali, sprovviste di marchio editoriale, o di certi pseudo-editori per esordienti: fabbriche di illusioni in cambio di compensi salati (fino a 5.000 €, secondo un recente sondaggio dell’Editrice Bibliografica, per un libretto di 50 pagine, destinato ad una tiratura di 300-500 copie). In alcuni paesi europei, come la Spagna, si stampa il doppio dei libri di poesia pubblicati in Italia, dove, peraltro, esistono più di 2.600 case editrici attive; in Portogallo, un editore medio riesce a piazzare nelle librerie, in uguale misura, prosa e poesia. Da noi, com’è noto, la selezione privilegia la narrativa (meglio se di firme celebri), o la saggistica (meglio se di carattere divulgativo). Il lettore italiano, in genere, è indifferente alle volute dell’endecasillabo, o alle suggestive evocazioni dell’analogia, divoratore, al contrario, della grigia prosa di rotocalchi e di giornali scandalistici, o sportivi. E mentre in Ungheria, per fare un esempio, i pendolari che abitualmente viaggiano in treno, o in autobus, sono spesso assorti nella lettura di antologie poetiche, qui il fruitore di opere in versi, cioè l’acquirente di sillogi e di “plaquettes”, è diventato una mosca bianca persino negli ambienti letterari. Il nostro, si sa, è un mondo che s’esprime in prosa; le solite conversazioni quotidiane si svolgono in un linguaggio essenzialmente informativo, per tanti aspetti lontano dalle soluzioni espressive offerteci dal mezzo poetico. Al fine di comprendere, e quindi d’apprezzare la poesia, bisognerebbe possedere adeguati strumenti interpretativi, i soli adatti a svelarci mondi a volte sconosciuti di immagini, parole e musica. Quello che, invece, sembra mancare nel nostro paese è una vera e propria educazione all’arte delle Muse, la sensibilità al verso, l’abitudine alla metrica e alla prosodia, sia tradizionali che d’avanguardia, e a tutto l’armamentario retorico usato dai “veri” poeti del passato. Parole come “antonomàsia”, “metonimìa”, “sinèddoche”, “anàfora”, ed altri termini indicanti, appunto, figure retoriche, tra poco scompariranno persino dal vocabolario dell’italiano colto. E nelle scuole superiori, purtroppo, il più delle volte il programma di letteratura italiana si ferma a Gabriele D’Annunzio. S’aggiunga, a tutto ciò, un fattore determinante per la crisi del settore: l’ammucchiarsi, sui banchi dei librai, di testi dal contenuto scadente e negletto: con il conseguente disorientamento del volonteroso lettore e l’aumento vertiginoso dei prezzi di copertina. La carriera del poeta Per quanto nessun albo professionale vieti l’esercizio abusivo dell’endecasillabo o del verso libero, tuttavia la carriera del poeta, oggi, è tra le più graduali e scandite, e l’accesso alla corporazione avviene attraverso una serie di prove che misurano non solo l’inclinazione ed il talento, ma anche la prudenza, la ragionevolezza e l’ostinazione del candidato nel suo proposito di scrivere versi e di voler emergere. Chi s’allontana troppo dal normale “cursus honorum” facilmente incontra un ostacolo insuperabile, la sfortuna, per cui non gli rimane che sperare in quella sorta di sessione di settembre, che corrisponde alla periodica scoperta di poeti ultrasettantenni. “Valorizzare e portare alla ribalta un poeta piuttosto anziano – ebbe a commentare, un giorno, Giovanni Raboni, direttore della casa editrice Guanda – è senz’altro cosa raffinata; però dovrebbe essere completamente sconosciuto”. Una mezza fama, infatti, è più pericolosa, per chi sogna tardivi riconoscimenti, di una totale oscurità, Diversa, comunque, è la strada maestra, segnata da tappe più o meno significative, che qui cercheremo d’elencare: a) dai 20 ai 25 anni, l’aspirante poeta pubblica sulle testate locali: il traguardo di questa prima fase è l’accesso a qualcuna delle riviste letterarie ufficiali o, per così dire, canoniche, come Paragone, Nuovi Argomenti, Il Verri ed altre; b) dai 25 ai 35 anni, il giovane è presente, con una microraccolta dei suoi versi, sull’Almanacco dello Specchio, o in un collettivo di Guanda: questo rito di passaggio sembra essere quasi obbligatorio. Per l’occasione, si procede anche ad una prima identificazione critica del soggetto, con definizioni come “orìfico”, “neodermètico”, “linea lombarda”, “settecentesco-pariniano”. Il nome dell’autore esce per la prima volta su alcuni articoletti di giornale, mentre si pubblica la sua prima raccolta complessiva nella collana di un editore “autorizzato”: Guanda, Mondadori, Garzanti, Einaudi, Rizzoli. A questo punto, egli può già sperare in qualche premio di prestigio, come il “Viareggio”, il “Carducci Pietrasanta”, il “Mario Luzi”: più facile, però, che il suddetto riconoscimento arrivi in occasione della seconda raccolta; c) dai 35 ai 50 anni, pubblicazione, appunto, della seconda raccolta o silloge, che viene presentata in varie recensioni su riviste specializzate: generalmente, questo è ritenuto il momento della verità. Intanto, il poeta consolida i propri rapporti con il mondo editoriale e scrive presentazioni per i giovani neofiti che si rivolgono a lui; d) dai 50 ai 60 anni, un’antologia delle sue migliori poesie esce in edizione economica; e) dopo i 60 anni, sopraggiunge la cosiddetta “acme”, od “epoca plenaria”: l’autore riceve lauree “honoris causa”, il premio dell’Accademia dei Lincei, targhe e diplomi a non finire, e le sue apparizioni in televisione diventano abbastanza frequenti. Candidatura al Nobel ed eventuale Nobel; f) morte del poeta e pubblicazione dell’ “Opera omnia” nei Meridiani di Mondadori. Questo schema di carriera trascura, ovviamente, tanti episodi collaterali, come le traduzioni, o gli scritti in prosa, nonché le varie collaborazioni ai “mass media”; omette, inoltre, il fenomeno delle antologie, che, oramai, vengono fuori ogni anno in autunno. Gli autori tengono molto alle antologie, le quali, però, sono armi a doppio taglio. A questo proposito, sempre il Raboni, in un’intervista, ebbe a commentare: “Un’inclusione avventata, o prematura, può provocare un lungo periodo di penalizzazione nei confronti dell’incluso, mentre una clamorosa esclusione comporta, verso il non ammesso, atteggiamenti accondiscendenti, o riparatori”. A doppio taglio ci sembrano anche certe manifestazioni tipo festival: per un successo giudicato eccessivo in uno di questi spettacoli, il poeta potrebbe procurarsi, per lungo tempo, il dubbio titolo di “cantautore”. In Italia, com’è noto, ci sono miriadi di persone che scrivono poesie (secondo le statistiche, 3 milioni di sillogi ed antologie occupano attualmente gli scaffali delle librerie), per cui, in tutto questo proliferare, il sistema selettivo da noi illustrato sembra introdurre un principio d’ordine e di gerarchia. Inoltre, i “Cerbero” e i “Minosse”, che garantiscono il filtraggio e, per così dire, la depurazione dei poeti, sono certamente uomini che possono sbagliare, ma spesso competenti ed estranei ad ogni settarismo. Semmai, possiamo dire che tutto l’insieme è abbastanza spietato verso chi, dal fondo di qualche provincia, parte con il piede sbagliato, o si sviluppa in maniera strana ed irregolare. Anche la lirica moderna ha le sue regole In questa antologia, riservata prevalentemente a poeti rispettosi della metrica classica, la Giuria del “premio” ha voluto includere anche un bel numero di liriche d’avanguardia, avendo ravvisato che i rispettivi autori, nel prendere a modello lo stile di maestri contemporanei, erano in possesso, sia pure con un grado di conoscenza talora limitato, dei valori metrici ed accentuali della versificazione. Tale scelta ci offre lo spunto per fare alcune riflessioni sulla poesia moderna, che, come avremo agio di spiegare, non è completamente esente da norme stilistiche. Guidati dal buon senso ed incoraggiati da un’opinione assai diffusa della critica ufficiale, siamo propensi a credere che la poesia di genere lirico1, quella che, per intenderci, assurge ai livelli più alti dell’arte poetica, non può essere che il frutto e l’espressione del sentimento e della fantasia, e non del ragionamento; che i simbolismi, le allegorie, l’uso insistente delle figure retoriche, le sottigliezze ed i cavilli filosofici, le deduzioni, le sentenze moralistiche, od altro, rappresentano degli intoppi, delle vere e proprie guastafeste che riescono, in qualche modo, ad intaccare la validità e l’autenticità di un componimento poetico; che, in sostanza, la lirica diventa “vera” quando scaturisce dal cuore e non dalla mente, quando è stimolata e dettata da esigenze particolari, che chiamiamo “ispirazione”. Ma, asserendo che in quest’arte occorre bandire ogni tipo di ragionamento, non vorremmo essere presi troppo alla lettera, pensando che il genere in questione debba risultare, a tutti i costi, sconclusionato, privo di logica, formato da parole senza senso, affiorate unicamente dal subconscio. Non dimentichiamoci, insomma, che uno degli obiettivi di questa nobile attività dell’ingegno, come, del resto, di qualsiasi espressione artistica, è di comunicare, di farsi capire. Per quanto il nostro verseggiare, ad una prima stesura, possa risultare ermetico, o di difficile comprensione, non dovremmo mai, dopo un’attenta e coscienziosa analisi, giungere alla conclusione che, forse, si tratta di una sequela di vocaboli astrusi od insensati. Niente, in quest’arte, va affidato al caso, al puro effetto musicale delle parole, o, peggio, alla nostra stramberia di… autori in “trance”, anche se Democrito, con una certa lungimiranza, osservava che “non c’è poeta senza qualche follia”. Il componimento lirico moderno, si sa, tende a rifiutare le regole ed i canoni convenzionali, rendendosi sciolto da sovrastrutture retoriche e da intendimenti pratici e didascalici: in genere, s’esprime in versi liberi e, non raramente, s’avvale di ritmi insoliti e bizzarri. Ma, a tal proposito, non possiamo non rilevare che l’importanza della metrica sembra rimanere inalterata nella poesia di molti contemporanei, pur constatandone il superamento e l’evoluzione dai procedimenti più tradizionali. Benché obsoleta, infatti, un’impostazione basata unicamente sulla presenza di versi legati al numero delle sillabe e alla posizione degli accenti, nonché sulla frequenza di rime e di rimandi lessicali, dobbiamo riconoscere che l’utilità prevalentemente stilistica di certi procedimenti rimane, nella ricerca e nella scelta del genere poetico, un punto fermo. In merito a ciò, pare che anche Benedetto Croce fosse d’accordo, se, in uno dei suoi famosi saggi di estetica, ebbe a precisare: “Il ritmo ed il metro, le rispondenze e le rime, le metafore […], tutti questi procedimenti, che i retori hanno il torto di studiare in modo astratto e di rendere, in tal guisa, estrinseci, accidentali e falsi, sono altrettanti sinonimi della forma artistica”. Questo autorevole giudizio ha il pregio – sia pure indirettamente – di metterci in guardia da certe mode contemporanee, troppo inclini ad abolire gli schemi che contraddistinguono il linguaggio poetico, pur senza incoraggiarci a seguire rigide norme, o a sottoporci a vincoli sicuramente limitativi per le nostre esigenze comunicative. Nella lirica contemporanea, quasi sempre di carattere soggettivo, il poeta appare in prima persona con la sua indole e i suoi affetti. Ma, nel perseguire princìpi di modernità e d’innovazione, egli non dovrà sentirsi autorizzato ad infarcirla di svarioni, facendoli passare per “licenze poetiche”. Fissare una propria emozione andando a capoverso, invertire l’ordine di soggetto e predicato, o troncare una parola, non fa, per ciò solo, di quello scritto una poesia. E la stravaganza di certi verseggiatori, che si compiacciono di disporre strofe e versi in modo da formare bizzarre figure geometriche, o di strutturare periodi ritmici terminanti con la congiunzione coordinante copulativa “e”, lasciando allo sconcertato lettore l’impressione di una tegola in bilico sul cornicione di una casa, è senz’altro da scoraggiare: determinati espedienti, infatti, servono solo a stupire e, oltre a non portare significativi contributi all’estro lirico, tendono, in genere, ad umiliare l’arte. Per quanto sembri strano, la poesia d’avanguardia non è completamente esente da norme e da canoni stilistici. Alcune sue regole, ad esempio, insegnano l’opportunità di creare versi contenuti, cioè di limitata lunghezza, dato che raggiungere e, magari, oltrepassare il margine della pagina significherebbe inficiare la funzione del verso medesimo (“voltare”, “andare a capo”); esortano a non trascurare il ritmo e l’eufonia, il cui scopo, evidentemente, è di connotare in modo netto il genere non prosastico del componimento “in fieri”; invitano ad esprimere concetti e a tratteggiare situazioni in forma sintetica, cercando – come abbiamo accennato più sopra – di bandire modi capziosi di ragionamento. Chi è 1 La lyra è lo strumento con cui, nell’antica Grecia, s’accompagnava la poesia denominata melica (mélos = canto), da contrapporre a logica (loghichè = ragionamento). impegnato a scrivere liriche, inoltre, dovrebbe evitare le “oscurità”, cioè quelle metafore, o quelle forme d’espressione che, all’infuori dell’autore, nessun altro sarebbe in grado di decifrare. Come si vede, si tratta di norme semplici ed abbastanza generiche, desunte, più che altro, dal buon senso e, quindi, non facilmente reperibili nei manuali di grammatica o di stilistica. Tuttavia è indispensabile, a questo punto, chiarire un concetto chiave: se l’autore non possiede la dote naturale di saper distinguere, in modo inequivocabile, il genere poetico da quello pseudo-poetico, o prosaico, non esiste regola al mondo che possa salvare la sua arte. È successo persino ai grandi poeti, in determinati momenti della loro produzione, di cadere nell’equivoco. Così, ad esempio, le pagine dell’Iliade, nelle quali Omero ci dà il catalogo delle navi greche, si possono senz’altro definire “prosa”, mentre quelle dell’incontro tenerissimo fra Ettore ed Andromaca vibrano di autentica poesia. In altre parole, nel compilare il freddo elenco delle navi achee, il famoso vate non è riuscito a raggiungere l’arte, perché, contro la sua volontà, ha usato il cervello al posto del cuore. “La viscerale passione del poeta, per arrivare ad essere fruibile dal lettore, – osserva Innocente Stefano Marangon 2, dopo aver lanciato una frecciatina a certi verseggiatori contemporanei – deve assurgere allo stato successivo, e cioè ad un piano universale sul quale tutti possano convergere. Spetta poi al lettore riportare al proprio vissuto un sentire che percepisce in comune”. Poeti d’avanguardia, ma non sdegnosi della tradizione Se è vero che, attualmente, la maggior parte dei poeti ama scrivere versi liberi, accantonando le strutture metriche a favore di una lirica più contenutistica e formalmente meno estetizzante, non possiamo però ignorare che un’alta percentuale di autori, magari votata ad un lirismo “puro”, non disdegna l’utilizzo di certe codificazioni usate in passato. Valga questo polìmetro di Salvatore Quasimodo, in cui si possono notare, in successione, un dodecasillabo (o doppio senario), un novenario ed un settenario, versi che presentano, tra l’altro, un raffinato gioco di contrapposizioni e di rimandi lessicali: Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera Anche la celebre poesia La capra, di Umberto Saba, è regolata dalla metrica tradizionale. Composta, infatti, da endecasillabi e settenari liberamente rimati, si chiude con un quinario, a mo’ di suggello, ed ha un’andatura quasi salmodiante, così: Ho parlato a una capra. Era sola sul prato, era legata. Sazia d’erba, bagnata dalla pioggia, belava […] ogni altra vita Molte poesie di Mario Luzi sono in endecasillabi sciolti, come Osteria: L’autunno affila le montagne, il vento fa sentire le vecchie pietre d’unto; 2 Assessore alla Cultura del Comune di Vigonza (PD). spande dal forno un fumo di fascine a fiotti tra le case e le topaie […] Codificazioni classiche si ritrovano anche nella produzione di Dino Campana, vedi il seguente componimento in endecasillabi a rima alternata: Poi che la nube si fermò nei cieli lontano sulla tacita infinita marina chiusa nei lontani veli, e ritornava l’anima partita […] Altri poeti mantengono forme metriche precise: Alfonso Gatto, ad esempio, usa sovente rime baciate, od alternate, di endecasillabi, prediligendo tra l’altro l’assonanza e la rimalmezzo; Cesare Pavese rielabora prevalentemente un verso di tipo greco, il cosiddetto “sotàdico”, composto di tredici sillabe, il quale veniva frequentemente adoperato negli antichi carmi dell’Ellade. Questo per dimostrare come certi schemi non siano completamente staccati da forme poetiche a noi contemporanee. Possiamo concludere, dunque, affermando che si può fare poesia innovativa e d’avanguardia anche senza disprezzare o ripudiare la tradizione, tenendo presente, tuttavia, le sagge parole di Platone: “Chi, senza la follia poetica, bussa alle porte dell’arte pensando di divenire poeta per mezzo della tecnica, non raggiunge lo scopo. E il suo prodotto, frutto di lima e di cesello, precipita dinanzi a quello del genio poetico”. Enzo Ramazzina, novembre 2010 ORIGINE, STRUTTURA E CONTENUTI DELL’OPERA Questa antologia, il cui obiettivo è di lasciare una traccia utile, un segno capace di restare nel tempo come una corteccia incisa, presenta un innovativo percorso editoriale, destinato soprattutto all’uso didattico nelle scuole, per il recupero e la diffusione della metrica tradizionale, disciplina che, com’è noto, insegna a creare e a riconoscere i versi, a riunire i versi in strofe e ad ordinare le strofe in componimenti poetici. Raccoglie complessivamente un centinaio di liriche, di cui circa la metà strutturate, appunto, secondo le regole della versificazione, realizzando, in tal modo, un progetto dell’Associazione culturale “Dante Alighieri”, che, in collaborazione con l’editore Vincenzo Grasso, da alcuni anni promuove il concorso “Cento poesie e una lyra”. Gli autori premiati e segnalati nella V edizione del suddetto concorso, provenienti da varie parti d’Italia, appaiono qui inseriti, per ordine alfabetico, con un numero significativo di poesie da loro stessi corredate di brevi commenti circa i motivi ispiratori e le particolarità tecniche ed estetiche più salienti. Di ogni poeta, una scheda riporta in sintesi, oltre ai principali cenni anagrafici, anche notizie sull’attività professionale e sull’eventuale “curriculum” letterario. Due sezioni contraddistinguono il contenuto della pubblicazione: la prima, piuttosto ampia, è riservata ai testi in lingua italiana, mentre la seconda, più ridotta, raccoglie i componimenti degli autori che prediligono la lingua veneta. A differenza della precedente iniziativa editoriale (“Conoscere la metrica”, ed. 2008), mirata ad ospitare quasi esclusivamente opere di poeti rispettosi delle regole classiche, la giuria del “premio” ha inteso inserire nel presente volume, oltre ad una ragguardevole selezione di liriche regolate dalla metrica tradizionale, anche un numero consistente di polìmetri, ossia di strofe formate da unità ritmiche di varia lunghezza, ma metricamente codificate, nonché una quantità significativa di poesie in versi liberi: perciò, ampio spazio è stato riservato in premessa al tema della poesia moderna o d’avanguardia, nell’intento di far cosa gradita ai cultori del genere. I commenti dei singoli autori – alcuni scritti in prima persona, altri in terza – seguono i rispettivi componimenti poetici, i cui versi, a volte, recano a fianco un numero, per indicare che sono chiosati in calce: ed è appena il caso di precisare che tutte le note a piè di pagina sono apposte dal giornalista-poeta Enzo Ramazzina, curatore dell’antologia, con il preciso intendimento didattico-formativo di promuovere ed incentivare un “laboratorio di poesia classica”, istituito dal menzionato sodalizio della “Dante Alighieri”. In altre parole, hanno lo scopo di chiarire eventuali incongruenze o dubbi dell’autore, aggiungendo ulteriori conoscenze a quelle già da lui possedute. Pertanto, gli “alunni delle muse” presenti in questo volume non abbiano a sentirsi mortificati per le osservazioni o le correzioni apposte in nota: sappiano comprendere, invece, che l’intenzione dell’esperto è di spronare più che scoraggiare, di premiare più che bocciare. L’appendice del libro, infine, ripropone il manualetto di “Grammatica metrica”, rimasto pressoché inalterato rispetto all’edizione 2008, nonché il “Glossario”, arricchito di una sessantina di voci (ivi comprese quelle attinenti alla stilistica e alle figure retoriche): strumenti fruibili sia per lo studente che, accostandosi alla poesia classica, è curioso di conoscerne le basi tecniche, sia per gli autori provvisti di una certa esperienza in materia di versificazione, i quali tuttavia intendono verificare la correttezza dei loro componimenti. L’editore – per usare le stesse parole del prof. Amato Maria Bernabei, supervisore della precedente antologia – si augura che l’esigenza d’osservare le regole della metrica, recuperando una metodologia quasi in estinzione, “trovi, nelle pagine che seguono, la sua giustificazione e funga da stimolo per chiunque voglia condividere con i promotori dell’iniziativa il movimento di riscossa della disciplina e della musica nella sfera di quel genere letterario chiamato ‘poesia’, che sembra già appartenere ad un’epoca superata. A torto, e con grave perdita per la nostra Letteratura”. Piergiorgio Boscariol, Presidente dell'Associazione Culturale Dante Alighieri: Laboratorio di poesia classica