i n P RO S P E T T I VA P E R S O N A
“Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1/ TE”
M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E C U LT U R A
Anno XLI - n.5 giugno 2014
Reg. n. 119 del 17-10-1974 - Tribunale di Teramo - R.O.C. n. 5615
Così muore la libertà di un Paese
A proposito di Ue
Il Rapporto 2014 della Corte dei Conti è tornato a dirci Questo meccanismo - che poi si chiama democrazia - è
che siamo il Paese più tartassato d’Europa: alla fine del stato scardinato a livello nazionale in molti modi.
2013 il 43,8% del Pil se n'è andato in tasse, tre punti più Pensiamo alle leggi elettorali che non ammettono la
del 2000 e quattro punti in più rispetto alla media degli scelta di candidati né partiti (ci hanno perfino persuaso
altri Paesi Ue (poi, com’è noto, c'è chi fornisce dati che ci sottraevano le preferenze “per il nostro bene”) e
ancora più cupi). In pratica siamo a livelda “leggi truffa” (presenti e future) per cui
li da esproprio (per non parlare degli
delle minoranze finiscono per avere
immobili).
abnormi maggioranze parlamentari.
Lavoriamo gratis per un padrone, lo
A livello internazionale il principio è stato
Stato, per oltre metà dell’anno, senza
travolto da progressive e colossali cessioni
avere in cambio servizi almeno decenti e
di sovranità che ci hanno sottratto il
assistendo, anzi, ad uno spettacolo di
governo della moneta, delle politiche
sprechi, ruberie e corruzione che fa ribolfiscali ed economiche cosicché tutti oggi
lire il sangue.
ci sentiamo governati da tecnocrazie che
Nonostante un dissanguamento così
non abbiamo eletto (dalla Bce alla
pesante la situazione non migliora. Siamo
Commissione europea) o da governi,
già al terzo anno di cura “illuminata” delcome quello tedesco, eletti da altri (con
l’economia e in due anni 20.000 aziende
annessa Bundesbank).
hanno chiuso, dal 2007 la produzione è
E siamo in balia di altre tecnocrazie sovracrollata del 25,5 % (mentre nel mondo
nazionali (come il Fmi o il Wto) che deciaumentava del 10%). Dal 2001 abbiamo
dono le sorti dei popoli e degli Stati (il caso
perso più di un milione di posti di lavoro.
greco, ma anche il caso italiano, dovrebbeL’(op)pressione fiscale è sempre più H.Bosch, morte e miseria,1490.
ro farci chiedere se siamo ancora popoli
forte,il debito pubblico continua a cresceche possono eleggere i loro governi).
re e la disoccupazione aumenta senza tregua. A ciò si Da ultimo, in Italia c’è in cantiere pure una legge, quelaggiungono le mille oppressioni burocratiche, che limi- la contro la cosiddetta omofobia, che rischia di introdurtano o rendono impossibile la libertà di intrapresa, e la re perfino il reato d’opinione. Inconcepibile in democraperdita progressiva della nostra competitività... zia. E stante la indeterminatezza, se approvata come è
Conclusione: la nostra libertà economica è morta. O stata proposta, metterà il bavaglio a chi esprime idee
almeno morente.
‘non allineate’ alla nouvelle vague del pensiero dominanÈ noto infatti il principio liberale su cui sono nate le te, con la conseguente violazione dei diritti costituzionademocrazie moderne: “no taxation without representation”. li, della libertà di manifestazione del pensiero, della
Tale principio dice che - contrariamente a quanto si libertà religiosa e della libertà di educazione dei genitopensa in Italia, specie a sinistra - le tasse non sono un ri verso i figli, comprendente anche l’educazione sessuasalasso dovuto al sovrano-Stato perché sperperi miliardi, le. A tal proposito, il movimento delle “Sentinelle in
magari sotto la bandiera ideologica (fasulla) della redi- piedi”, costituito in molte città per opporsi a questo Ddl,
stribuzione del reddito, come se i contribuenti fossero in queste settimane, durante le sue manifestazioni silendei rei da punire per i soldi guadagnati che - secondo gli ziose, è stato sottoposto in più casi ad atti di intolleranstatalisti - sarebbero sottratti ai “poveri”. Al contrario za inammissibili, di fronte ai quali le autorità e i media
sono nuova ricchezza prodotta col loro lavoro.
sono pressoché indifferenti.
Tale tributo deve essere governato da coloro che i
Politikon
(tar)tassati hanno eletto per amministrare i loro soldi.
(Liberamente ispirato da un articolo di Antonio Socci)
Scrive Marcello Veneziani che è’ iniziato il semestre europeo a guida italiana e
l’Anonimo Europeo invia il seguente messaggio in bottiglia. L’Europa non aderisce
ai popoli perché è un guanto indossato a
rovescio: è morbido e accogliente all’esterno, ispido e rigido all’interno. È permeabile fuori e impermeabile dentro. L’Europa si
veste quando è in casa e si spoglia quando
esce; indossa l’elmo (tedesco) e l’uniforme
(bancaria) tra le pareti domestiche e invece
esce in pigiama e pantofole. Dentro rompe
le scatole, fuori rompe le righe. Fiscale con
gli indigeni, inerme con gli allogeni.Che
l’Europa sia un guanto indossato a rovescio lo si capisce anche dal nome in codice
che usa: si fa chiamare Ue anziché Eu che
è il suo prefisso e che in greco indica ciò che
è bene e volge al meglio. I simboli a rovescio hanno sempre qualcosa di funesto: la
svastica è simbolo di luce ma i nazisti la
ruotarono al contrario, in direzione inversa. Simboli e metafora rispecchiano perfettamente la realtà europea. Uniforme all’interno, dove occorrerebbe riconoscere e valorizzare le differenze, informe all’esterno,
cioè incapace di esprimere una politica
estera univoca o almeno concorde, di darsi
una comune linea strategica, militare e per
fronteggiare l’immigrazione, l’importazione, la concorrenza extraeuropea e le forme
striscianti di colonizzazione. L’incapacità
di presentarsi unita all’esterno viene assurdamente compensata dalla rigidità dei suoi
parametri all’interno. Rovesciate il guanto.
E per i popoli mediterranei meno guanti e
più ventagli”.
Un’idea per la Nazionale di calcio
Eliminati dal mondiale di calcio, è iniziato il Toto Ct della
nazionale. L’Italia, umiliata dai lottatori di Costarica ed
Uruguay ha offerto uno spettacolo deprimente anche per
chi non fa del calcio una ragione di vita e di conversazione:
quando gioca la Nazionale l’orgoglio patrio si sveglia ma il
mondiale ha dimostrato che non vale il binomio genio e sregolatezza, paravento per le nostre vittorie, e forse sarebbe
meglio un po’ di regolatezza, ammesso che ci sia davvero il
genio nella compagine schierata da un Ct. poco grintoso,
poco incoraggiante anche a bordo campo. Il gioco è stato
lo specchio di una nazione senza attributi, di un popolo
alquanto rammollito, esterofilo, incapace di stimolare e
coltivare i talenti autoctoni, pronto ad arrangiarsi per vie
traverse, volto al compromesso, disposto ad osannare il
personaggio di turno senza vederne i limiti... ma tant’è gli
italiani sono fatti così! Per i calciatori troppi agi, troppi
soldi, troppe coccole, troppe chiacchiere e troppe copertine. Mancano pragmatismo, disciplina, umiltà, senso della
nazione, della comunità, del gruppo. Come succede in
Parlamento: privilegi e fiumi di parole. Però ora è arrivato
Renzi, nuovo Ct del governo.Comanda con pugno fermo,
annuncia mirabilie, vende il suo prodotto con straordinaria
maestria: offerte speciali di 80 euro, donne (possibilmente
belle) in pole position nelle liste, spot martellanti sulla velocità delle riforme, dei pagamenti dei debiti della P.A. alle
aziende, movimiento movimiento! Tasi e aumenti vari, sono
come gol presi in amichevole... Non fanno male!!!!
Vinceremo!
Affidiamo a Renzi, come ho letto, pure la Nazionale!
Accorpando gli incarichi risparmiamo i soldi dati a
Prandelli, Lui ha certo una ricetta vincente, ama accentrare il gioco, creare un
gruppo di fedelissimi/e,
gestire tutto o quasi
tutto e dovunque ‘mette
Come ogni anno LaTenda va
la faccia’. Facciamo un
in vacanza. Sappiamo che sarà
sondaggio: per il 40,8%
triste un’estate senza il nostro
sarebbe un ottimo Ct:
mensile ma siamo certi che
in tre settimane ricosaprete resistere!
struisce il team, in 15
Auguriamo buone vacanze a
giorni sistema i giocatutti e arrivederci a settembre.
tori atleticamente e tatPer vincere la nostalgia potete
ticamente, in 7 giorni fa
rileggere i numeri del giornale
fare tre amichevoli e un
sul sito:
mese dopo ci qualifiwww.prospettivapersona.it
chiamo per l’europeo !
La magnifica redazione
Ai lettori
VACANZE
PER TUTTI
Filastrocca vola e va
del bambino rimasto in città.
Chi va al mare ha vita serena
e fa castelli con la rena,
chi va ai monti fa le scalate
e prende la doccia delle cascate..
E chi quattrini non ne ha?
Solo resta in città:
si sdraia al sole sul marciapiede,
se non c'è un vigile che lo vede,
e i suoi battelli sottomarini
fanno vela nei tombini.
Quando divento Presidente
faccio un decreto a tutta la gente:
- Ordinanza numero uno:
in città non resta nessuno;
ordinanza che viene poi,
tutti al mare, paghiamo noi;
inoltre le Alpi e gli Appennini
sono donati a tutti i bambini.
Chi non rispetta il decreto
va in prigione difilato.
Gianni Rodari
APPUNTI E SPUNTI
2
Il Liberty - Forlì, Musei di San Domenico
Arte? Mah !Piuttosto voglia di rinnovare le stucchevoli case borghesi di mezza Europa, liberandole dal
buffet e controbuffet neogotici, neoclassici o quel
che volete ,in favore di snelli e arricciati salottini, di
bovindo azzurro cielo, di ingressi con le conchiglie
per appendere il cappello e divanetti a volute.
Questa è ,più o meno, l’opinione di molti riguardo al Liberty,
considerato più un estetismo
applicato alle arti che arte vera
e propria. Eppure la mostra di
Forlì ci ricorda che questo
stile, affermatosi alla fine
dell’800 in Europa e oltre, ha
avuto illustri maestri, addirittura Botticelli, evidente nelle
forme sinuose, allungate e nei
chiari colori pastello e
Michelangelo, così presente
negli scultorei nudi di atleti G.Boldini, donna al piano
che campeggiano nei manifesti
dei Fratelli Treves o negli olii di Giulio Aristide
Sartorio.
Un bisogno di grandeur e, insieme, una stilizzazione
estrema del segno grafico che riproduce, sì, fiori,
foglie, pavoni, intricate foreste, ramages e profonde
acque turchine, ma sempre senza intenzioni realistiche. Tutto è simbolico, misterioso, fluttuante, ed
anche sensuale, come i nudi mollemente atteggiati e
adagiati, spesso soffusi di violenti riflessi rosso-arancio : sono ninfe, dee, creature magiche colte nella
loro purezza irraggiungibile, come recitano i titoli dei
quadri, ma in realtà fortemente ambigue ed allusive.
Ed anche lo slancio eroico degli atleti , novelli ercoli, è solo un’utopia che gli imminenti venti di guerra
avrebbero presto ridimensionato.
Il Liberty ha influenzato quasi tutti gli artisti e gli
artigiani dell’epoca, e la mostra espone perciò oli,
pastelli, sculture, ceramiche, vetri, arazzi, costumi e
mobili intagliati: arduo e noioso sarebbe accennare a
tutti, meglio sorvolare sui più noti , come Previati,
Boldini o Boccioni, ed anche
sui “cugini” europei come
Klimt, o Beardsley o BurneJones, per sponsorizzare glorie
locali, come il romano Aristide
Sartorio, il faentino Domenico
Baccarini, il toscano Galileo
Chini.
Baccarini è presente con i suoi
autoritratti a matita, fortemente intimi ed espressivi, ma
anche con capolavori in maiolica come “ Volata di donne”,
che si avvitano danzanti intorno ad un vaso, e ci lascia un po’
in sospeso la sua morte precoce che ha interrotto
bruscamente chissà quali sviluppi. Chini, pittore e
ceramista ,oltre che mille altre cose, come l’eclettismo artigianale di quegli anni richiedeva, ha realizzato tele, fregi, splendidi vasi e pannelli importanti, tra
cui “La primavera classica” alla maniera di Klimt. A
Sartorio, infine, il compito di celebrare Roma
Capitale con il suo stile aulico e solenne, i suoi fregi
neoclassici e monumentali, rivisitati tuttavia in chiave fortemente simbolica.
Giorni felici…così conclude il dépliant della
mostra…la borghesia del primo novecento celebra il
suo stile…prima dell’uragano.
Artemisia
Le ciglia d’Oriente
Stevka Šmitran , Le ciglia d’Oriente, (la Vita
Felice Milano 2013).
Nel libro, presentato per la prima volta a
Teramo (sua città del cuore) il 3 luglio u.s.,
Stevka Šmitran fonde ricordi, emozioni,
vicissitudini dalle ‘ciglia d’Oriente’ dal sapore amaro con immagini oscillanti tra ombre
e luci della terra d’Abruzzo (le ultime poesie
sono dedicate a suo marito Luigi, recentemente scomparso). Città, luoghi, persone,
brevi excursus sono come affratellati da un
vincolo di amore e umanità che la poetessa,
cittadina del mondo, caparbiamente offre al
lettore.
Stevka Smitran è nata a Bosanska Gradiška,
città della Bosnia-Erzegovina dove ha trascorso l’infanzia, fulcro della sua biografia e
della sua poetica. Dopo gli studi universitari
a Belgrado, si trasferisce in Italia. Poetessa,
traduttrice e docente universitaria (insegna
presso la Facoltà di Scienze Politiche di
Teramo Lingua e letteratura russa). Ha pubblicato numerosi saggi sulla poesia slava , ha
tradotto opere di Ivo Andri e altri autori. Ha
pubblicato il libro di storia Gli uscocchi.
Pirati, ribelli, guerrieri tra gli imperi ottomano e
asburgico e la Repubblica di Venezia (2009).
Segretario del premio internazionale
“NordSud” di letteratura e Scienze presso la
fondazione Pescarabruzzo. Ha vinto premi
per le traduzione per la poesia edita e inedita. Nel 2007 ha ricevuto il riconoscimento
Great Women of the 21st Century dall’American
Biographical Institute.
G.D.L.
Viaggio in Persia
Eccoci tornati dalla Persia, noi donne ci siamo sfilate lo hijab, cioè il velo, dalla Isfahan è tutta chiara, luminosa, circondata dai monti e vanta una delle piaztesta (che non è poi tutta ‘sta tragedia, a parte, naturalmente, il peso simbolico ze più grandi e belle del mondo, patrimonio dell’Unesco, con diverse
che riveste), felici di smentire gli amici-corvi rimasti a casa che non mollano il moschee e l’antico palazzo governativo dove, per gradoni di pietra quasi da
loro scetticismo su una nazione ‘ostile e piena di pericoli’. Ma di che si ragiona? scalare, si accede ad una sala della musica con i soffitti traforati e destinati a
Mai vista gente così cordiale e disponibile, ci hanno sorriso, ci hanno fotogra- contenere maioliche, per il diletto del sovrano e delle sue favorite. Man mano
fato (eravamo quelli ‘vestiti strani’ rispetto a loro), ci hanno chiesto notizie di che si scende a Sud i chador si fanno tutti neri e stretti in viso, mentre l’archinoi e del nostro viaggio, curiosissimi di sapere qualcosa di
tettura si fa più solare e policroma, con maioliche multiun occidente estraneo e lontano più dell’effettiva distancolori, stucchi e pannelli intarsiati che tolgono il fiato,
za geografica. La nostra guida, Sorab, esperto in italiano
cupole, altari e torri del vento, perfetti meccanismi di
e molto molto ‘scafato’ in accoglienza turistica, ci ha conaereazione degli edifici.
dotto da Nord a Sud su questo immenso altopiano,
A Yazd siamo saliti, al tramonto, su un’altura dove c’è
mostrandoci i pezzi forti della collezione.
una ‘Torre del silenzio’, cimiteri zoroastriani en plein air,
Teheran è stata una delusione, e forse è meglio vederla
dove i defunti venivano lasciati come preda degli uccelper prima : è senza stile, un brutto agglomerato di edifici
li, perché la morte non corrompesse madre terra: difficile traffico caotico, e persino il palazzo reale del Golestan
mente si può trovare un posto pieno di pace e di raccoresta soffocato da mostri moderni in cemento, che nemglimento come quello, forse solo in montagna.
meno Farah Diba riuscì, a suo tempo, ad evitare. Però i
E alla fine, a Shiraz, arriva il piatto forte: come aperitisuoi musei vantano una produzione antichissima ed Persepoli, palazzo di Dario
vo, le rovine di Pasargad, con la tomba di Ciro il Grande,
eccelsa di manufatti di ogni tipo, vasi, statuette, decoraper pranzo, gli spettacolari bassorilievi sassanidi sui
zioni murarie, i bassorilievi ed il trono di Dario e poi oggetti in vetro raffina- monti Zagros e, per dolce, l’area archeologica di Persepoli, imponente ed
tissimi, da tenere testa tranquillamente anche a Murano. I palazzi sono deco- estesa, dove puoi immaginare facilmente la magnificenza, anche solo con
rati con migliaia di tessere di specchio, un ricamo di luce che investe pareti, quello che rimane dopo che i macedoni hanno dato tutto alle fiamme. Re e
soffitti, vetrate, ed anche se qualcuno ha arricciato il naso, sommerso dall’ef- popoli interi sfilano verso Dario: Parti, Medi, Assiri, Egiziani, Elamiti, Frigi,
fetto un po’ kitsch di tanto brillare, vi assicuro che a quei livelli c’è solo da rima- Armeni portano in dono cavalli, elefanti, cammelli, armi, cibo, pecore e leonnere storditi e guardare ammirati.
cini , tutti devoti e sottomessi in una processione lenta e ordinata, ferma nella
Scendendo per centinaia di chilometri verso Isfahan, ci si ferma a visitare pietra per l’eternità.
moschee, madrase, giardini, ottocentesche case di notabili, dove c’è un tripu- Ultimo atto, una visita ad un santuario normalmente proibito agli ‘infedeli’,
dio di fontane, lunghe piscine che nel riflesso raddoppiano i porticati e le d’obbligo un buffo chador bianco a fiorellini: in un fantastico ambiente di
arcate dei palazzi e dove i mirabili decori raccontano antiche storie, come specchi, intorno alla tomba del santo, brulicava una moltitudine di gente
quella della bella Shyrin (sirena?) nuda al bagno, che lasciò languire il suo seduta, in preghiera, in picnic coi bambini, in chiacchiere, in silenzio, una reliinnamorato per sposare un principe…
giosità familiare e colloquiale, molto diversa dalla nostra. Ma, attenzione, le
Ma anche i villaggi più piccoli, tutti in caratteristici mattoncini gialli locali, ragazze hanno il velo ormai lontano dalla fronte, e si appartano sotto i bellisfango e paglia, raccontano storie lontane, come quelle dei seguaci di simi ponti di Isfahan al tramonto, come da noi…
Zoroastro che adorano il fuoco in alto sulle colline, e tragiche storie vicine, …Khomeini ha salvato il popolo persiano dallo Scià…il futuro, inarrestabile,
fissate per sempre nelle foto dei figli soldati, morti combattendo contro l’Iraq lo salverà da Khomeini… con buona pace di Allah!
e immortalati ovunque, sui muri delle case e sui pali elettrici lungo le strade.
Lucia Pompei, hijab style
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la tenda n.5 giugno 2014
CULTURA
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La Selva delle lettere : Giorgio Bassani
Le varie esperienze esistenziali segnano profondamente Giorgio Bassani portandolo a ricercare nei suoi scritti (in cui è quasi sempre coincidente con i
suoi personaggi) una vena intimistica e sentimentale che si lega indissolubilmente al tema della solitudine e dell’emarginazione ed è accompagnata da
una profonda inquietudine che lo porta a non essere mai contento dei suoi
testi che ritocca continuamente per tutto il tempo in cui è attivo come scrittore. Palcoscenico e perno della sua narrativa, ambientata negli anni della dittatura fascista e del dopoguerra, è la città di Ferrara con il suo microcosmo
ebraico chiuso nel proprio egoismo, privo di ideali, di coraggio civile e fervore morale. Nei suoi racconti si intrecciano fatti vissuti e situazioni immaginate, i suoi personaggi escono dalla fantasia o sono tratti dalla realtà contribuendo alla nascita di quella letteratura della “memoria” ebraicaitaliana che
ci offre un accurato, umano e partecipato ritratto dei comportamenti della
ricca borghesia ebraica di una Ferrara terreno di coltura del Fascismo, città
chiusa e borghese, appartata dalla campagna da cui detrae la sua ricchezza,
città isolata nelle sue lotte intestine, nelle sue crudeli discriminazioni (basti
pensare all’emarginazione sofferta dal protagonista de “Gli occhiali d'oro”reo,
per la sua omosessualità, di contaminare quel culto della forza e incontenibile virilità caratteristica del tempo), nella sua innata ipocrisia, nel suo opportunismo cinico e freddamente gestito dai suoi protagonisti. Il suo moralismo
anticonformista lo avvicina ai “diversi”, ai solitari, alle figure storicamente
perdenti, ai sentimenti offesi dalla brutalità delle convenzioni e dei conformismi sociali (l’Edgardo Limentani dè “L’airone” che solo nel pensiero della
morte trova la giustificazione del vivere ai margini di una realtà incomprensibile). Nelle sue opere Bassani chiede al lettore di “non dimenticare” gli orrori della dittatura, delle persecuzioni razziali, del Nazismo e, se da una parte
in lui è fortissima la sfiducia nella storia, dall’altra la memoria tende alla conservazione gelosa e riservata dei sentimenti “umani”. Vuole essere il narratore, il testimone degli offesi, degli eroi vittime, degli oppositori, senti di appartenere a quella specie di narratori che non vogliono e non possono disinteressarsi del mondo, della “realtà nazionale” contemporanea, vuole essere il testimone-poeta che vive storicamente in mezzo alla gente, la scruta, la giudica,
la “racconta”. Nelle sue opere troviamo da una parte l'ebreo ricchissimo proprietario terriero appartato custode dei valori dell'ebraismo tradizionale:cultura raffinata, ricchezza, spirito di superiorità, culto delle tradizioni ebraiche,
la consapevolezza ereditaria che le persecuzioni non finiranno mai (“Il giardino dei Finzi-Contini”); dall’altra il tipico ebreo italiano, professionista borghese assimilato al suo tempo, iscritto al Partito Fascista, ben pensante,
colto, impotente davanti alla progressiva emarginazione e persecuzione antisemita, eppure ambedue destinati all'annientamento. Negli anni ’50 per
Bassani si delinea una sorta di ostilità, di damnatio da parte delle nuove avanguardie, diventa uno scrittore “scomodo” in un’epoca in cui il mondo ebraico
italiano predilige il rientro nella società senza suscitare problemi; sono gli
anni della normalizzazione sociale, gli ebrei non vogliono parlare delle persecuzioni subite, l’opinione pubblica italiana non ha voglia di rivelare le sue
vigliaccherie: quel mondo “morto” sembra l’ultima testimonianza di un’Italia
“antica” che nessuno vuole più. E se da una parte Bassani è profondamente
compromesso con il giudizio morale dello scrittore che si scioglie nella
costante presenza, intorno ai suoi personaggi, del coro della società di cui
sono parte, tutto è rappresentato con ferma e contenuta indignazione in cui
si fondono una profonda pietas del passato e una drammatica denuncia
morale: il dramma collettivo è filtrato nel grigiore della realtà quotidiana, in
una anonima angoscia, costruendo una fisionomia precisa e inconfondibile
dell’evento storico (significativa l’autobiografica riflessione dell’io-personaggio protagonista di “Dietro la porta”).
Modesta Corda
Nasce a Bologna nel1916, da una ricca famiglia della buona borghesia ebraica ferrarese.A Ferrara Bassani trascorre l'infanzia e la giovinezza fino alla maturità classica. A Bologna, dove si laurea in Lettere, è parte integrante di quel parterre culturale cittadino da cui usciranno alcuni dei più bei nomi della cultura contemporanea.Esordisce nel 1940 e pubblica, sotto lo pseudonimo di Giovanni Marchi, il
volume “Una città di pianura”. L’esperienza della guerra e le persecuzioni razziali lo costringono a trasferirsi a Roma dove è parte attiva nella Resistenza: viene
arrestato per antifascismo nel ‘43 e trascorre circa tre mesi in carcere. Lascia
Roma dopo la promulgazione delle leggi razziali abbandonando l’attivià letteraria
e l’insegnamento nelle scuole pubbliche. Continua tuttavia ad insegnare in una
scuola privata israelitica impegnandosi a trasmettere agli alunni quei valori etici
universali che arricchiscono l’animo dell’essere umano e sono patrimonio di tutti
senza distinzione di razza. Collaboratore e redattore di numerose riviste culturali, narratore, poeta,saggista, traduttore molto apprezzato, sceneggiatore cinematografico collabora con i maggiori registi del tempo. Responsabile per la narrativa
di varie case editrici, con l’editore Feltrinelli ha il merito di aver pubblicato il
“Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa da molti rifiutato. Riceve numerosi premi
e prestigiosi riconoscimenti in Italia e all’estero...insomma: un intellettuale di
grande spessore. Muore a Roma nel 2000.
Matisse, la figura. La forza della linea,l’emozione, il colore
Ferrara, un grande centro artistico inserito nel 1995 dall’UNESCO nella lista
dei Patrimoni dell’Umanità come città del Rinascimento, è stata essa stessa una
delle corti più sfarzose dell’epoca tanto da attirare grandi artisti, pittori, scultori
e letterati, nomi illustri come Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Niccolò
Copernico, Andrea Mantegna e Tiziano, solo per citarne alcuni.
Vale la pena girarla a piedi o sulle due ruote essendo definita “la capitale italiana della bicicletta”: Ferrara è infatti perfetta se assaporata dolcemente per non
perdere nemmeno uno scorcio tra le antiche mura, i vicoli medievali, le botteghe,
i monumenti e le belle architetture come il Palazzo dei
Diamanti, un prezioso edificio progettato nel 1492 da Biagio
Rossetti per conto di Sigismondo d’Este. Il suo nome è dovuto
alla presenza di 8.500 blocchi di marmo che compongono il
bugnato con quella caratteristica forma a punta di diamante.
Fino al 15 giugno u. s. ha ospitato la mostra “Matisse, la
figura. La forza della linea, l’emozione del colore”. In esposizione oltre 100 opere, provenienti dai musei più importanti del mondo, hanno permesso di conoscere uno dei più
noti artisti del XX secolo, illustre esponente del Fauvismo,
corrente artistica il cui tratto dominante era l’uso del colore come strumento di comunicazione e di espressione
emotiva. Matisse, considerato oggi il fondatore del modernismo insieme a Picasso, auspicava il libero uso del colore e la sua influenza si avverte fino agli esperimenti più radicali degli artisti del XX secolo: i
suoi dipinti continuano ad infondere equilibrio, purezza e tranquillità. Il
genio di Matisse ha cambiato il corso dell’arte del Novecento, imprimendo la sua visione nuova ad ogni genere artistico ma nessuno di questi l’ha
affascinato quanto la rappresentazione della figura, soprattutto femminile,
al punto da impegnarlo per l’intero arco della sua carriera in una ricerca
incessante attraverso tutte le tecniche. L’esposizione ci ha dato la sensazione di passeggiare all’interno del suo atelier, tra dipinti, sculture e opere su
carta, dalle opere giovanili a quelle della maturità, seguendo l’avventura
creativa grazie alla quale Matisse ha dato forma tangibile all’emozione
risvegliata dai suoi modelli e al piacere stesso di ritrarli. Un’esplosione di
gioiosa vitalità accende le icone giovanili, raggianti di colori puri, e fa danzare leggeri i corpi nei capolavori della prima maturità. Lo stesso slancio
percorre le opere dell’ultima fase, dove gli oggetti e l’ambiente sembrano
risuonare dell’energia emanata dalla figura. Quel che più mi interessa non è
né la natura morta, né il paesaggio, ma la figura. La figura mi permette ben più
degli altri temi di esprimere il sentimento, diciamo religioso, che ho della vita
(Henri Matisse, 1908) . Straordinarie e inattese le sculture in mostra, passaggio intermedio verso quello stile definitivo che si coglie nelle tele: i volti delle modelle, i riflessi della luce sulla figura, il mistero delle espressioni rivivono in ritratti dal fascino magnetico, in ambienti dagli arredi esotici... immagini che sono un inno alla bellezza e
all’arte. Matisse si è ispirato alla figura, il più antico dei
temi artistici, e ne ha sovvertito la rappresentazione tradizionale: con semplici sagome colorate ha composto sinfonie di forme quasi astratte che si espandono in uno spazio
infinito.
A chiudere la retrospettiva su uno dei più celebrati artisti
della prima metà del Novecento sono le “testimonianze
della stupefacente vitalità e dell’inesauribile forza d’immaginazione dell’ormai anziano e malato maestro”. Come la “Giovane donna in bianco, sfondo
rosso”, icona della mostra, o “Interno blu con due ragazze”, o ancora opere
rivoluzionarie come il celebre libro Jazz e la serie degli Acrobati. È qui che
Matisse inventa la tecnica delle gouches dècoupèes: “Ritaglia forme e motivi
da fogli di carta dipinti con colori puri e brillanti per poi assemblarli attraverso il collage. Queste creazioni incarnano l’essenza dell’arte di Matisse,
capace con pochi segni di toccare le corde più profonde dell’animo e di
infondere un senso di perfetta armonia, esercitando una straordinaria
influenza sugli artisti del suo tempo e delle generazioni a venire”.
la tenda n. 5 giugno 2014
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PARLIAMO DI...
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Cristina da Pizzano
Cristina (Christine) da Pizzano (de Pizan) nacque a Venezia nel 1365, ma
visse in Francia fin dalla più tenera età, dato che il padre, medico, astrologo e cattedratico, era tenuto in grande considerazione da reali e nobili
parigini. Sposa a 15 anni, a 25 vedova con tre figli, e in stato di povertà, si
lamenterà sempre della condizione di vedovanza ma con determinazione
mise a frutto la sua formazione, voluta da suo padre a dispetto del sesso,
scrivendo ballate dedicate a personaggi illustri, traendone vantaggi economici: fu dunque il primo scrittore professionista della letteratura francese. Nessuno prima di lei aveva fatto della
penna un mezzo per vivere! Perfezionò la sua cultura letteraria, leggendo le opere degli antichi e dei contemporanei e
il suo ‘sapere’, esteso ed eclettico, le valse la qualifica di
umanista. S’impegnò nella poesia lirica, poesia di corte, creando componimenti prevalentemente di carattere personale e amoroso. Quando scrive d’amore, divaga su temi convenzionali ma sempre invoca la sua esperienza, i dolori della
vedovanza, le sue difficoltà materiali, l’autenticità della sua
esperienza di donna. Il femminismo astratto delle precedente poesia lirica lei lo volle trasferire sul piano della vita pratica: per attirare sì compassione ma collegando i problemi
individuali a questioni di morale che già fanno intravedere il
suo gusto per la filosofia. Il successo delle sue opere, negli
ultimi anni del secolo, migliorò notevolmente la sua situazione economica. Un dibattito letterario su Le roman de la rose, in cui difese con successo il femminismo almeno a livello intellettuale, la rese di
colpo una figura letteraria di primo piano. Gli anni 1402-1407 furono per
Cristina un periodo di produzione intensa che meraviglia per il numero e
l’estensione delle sue composizioni in uno spazio di tempo così breve. La
sua vita sembrò allora confondersi con le sue opere. Ebbe fama nel campo
della poesia lirica ma le opere di carattere moralizzante la coinvolsero
maggiormente. Il solo riassunto delle opere basta a rivelare la sua tecnica
di composizione, basata sull’accumulazione di “exempla” presi dalle fonti
Donne
più diverse e sull’allegoria. Leggerle oggi non è facile ma nel basso
Medioevo questi procedimenti erano il fondamento stesso della creazione
letteraria: da qui il successo immediato e considerevole , a dispetto della
difficoltà di una lingua talvolta oscura, spesso appesantita dall’accumulazione delle subordinate, delle parentesi e degli incisi. Fu, dunque, una vera
professionista della scrittura: donna di lettere, abile manager della sua carriera e della diffusione delle sue opere. Se la ‘politica editoriale’ di Cristina
fu estremamente attenta, la politica, nel senso proprio del
termine, appare invece molto più fluttuante, opportunista,
dettata dalle necessità del momento. Negli scritti politici,
sotto il guazzabuglio degli exempla, propone concrete soluzioni ai problemi che dilaniavano la Francia secondo un
ideale politico che restò saldo nel corso degli anni: un desiderio di pace civile che richiedeva la concordia dei diversi
“états” e una concezione vigorosa della crescita del bene
pubblico. L’uno e l’altro potevano essere garantiti solo da un
re degno, incontestato e circondato da consiglieri illuminati
e disinteressati. Questa fermezza sui principi spiega paradossalmente la successione degli atti di fedeltà di Cristina a
vari prìncipi. Come la sua politica, così la sua morale passa
per un coacervo di luoghi comuni: l’onnipresenza del tema
della Fortuna sarebbe la piatta espressione di un pessimismo alla moda nel corso dell’autunno del Medioevo.
L’esistenza stessa di Cristina prova, invece, che la fatalità può essere combattuta. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in convento e morì intorno
al 1430. La sua opera ampiamente letta e copiata, poi stampata nel corso
dei secc. XV e XVI, conobbe l’inevitabile eclissi del secolo XVII.
Riscoperta, verso la metà dei secolo XVIII, da allora è stata incessantemente studiata, e persino usata da nazionalisti e da femministe. Oggi è
oggetto di studi eruditi ma poco conosciuta dal grande pubblico. Il nome
di Cristina, come simbolo della creazione letteraria femminile del
Medioevo, continua tuttavia a parlare alla memoria collettiva.
Giacomo Puccini - Gianni Schicchi
Il 14 dicembre 1918 il Metropolitan di New York metteva in scena il “Trittico”,
l’insieme delle tre opere brevi di Puccini: Gianni Schicchi, Suor Angelice e
Tabarro. La prima opera, composta nella primavera del 1918 su libretto di
Giovacchino Forzano, si riferiva a un sensazionale episodio di cronaca nera,
avvenuto intorno al 1250 a Firenze, che aveva avuto come protagonisti personaggi di due delle famiglie più importanti di Firenze: i Cavalcanti e i Donati.
Il fatto, centrato sulla sostituzione di persona, e dunque sull’inganno, dietro la
spinta dell’avidità, aveva destato grande scalpore, tanto che circa 30 anni dopo
Dante ne riferisce nel 30° canto dell’Inferno, dove incontra Gianni Schicchi
tra i falsari, collocati nella X bolgia; altre notizie dell’episodio il Forzano attinge da un anonimo fiorentino del XIV secolo, commentatore di Dante.
Il protagonista è reo di essersi sostituto ad altri “…falsificando sé in altrui
forma …per guadagnar la donna de la torma...” avendo voluto “falsificare in sé
Buoso Donati, testando e dando al testamento norma.” L’incontro fra il genio
del poeta fiorentino e il grande musicista lucchese, entrambi partecipi del
gusto per la beffa e l’umorismo nero tipici dello spirito toscano, produce
un’opera breve, ma indimenticabile, che ruota intorno a un testamento, asse
portante dell’intreccio. L’opera narra la vicenda con accenti veri, informandoci minuziosamente sull’età e i rapporti di parentela dei protagonisti, poiché
deve essere chiaro il ruolo dei lasciti inseriti nel testamento. I numerosi personaggi sono delineati in base alle caratteristiche psicologiche, mediante diversi
stili vocali; la narrazione è ricca di riferimenti storici e paesaggistici e di espressioni vernacolari, in perfetto stile verista, anzi questa si può considerare l’opera più verista di Puccini.
I personaggi in scena sono tanti, ma i veri protagonisti sono Gianni, imparentato con la famiglia dei Cavalcanti, sua figlia Lauretta e Ranuccio Donati,
figlio di Buoso e fidanzato di Lauretta. Lo stile musicale è piuttosto buffone-
Lirica
sco, con l’eccezione dell’aria di Lauretta, lirica e delicata, interpretata da tutti
i più grandi soprani.
L’azione inizia in una camera da letto dove giace Buoso Donati, appena deceduto, circondato dai parenti. Il tono grottesco dell’opera si manifesta quando
i familiari, preoccupati perché sanno di essere diseredati a favore di un convento, cercano un modo per cambiare il testamento. Al tema dell’avidità s’intreccia quello dell’amore, poiché Ranuccio Donati è innamorato di Lauretta,
che non è accettata dalla sua famiglia perché è senza dote, perciò quando
trova il testamento lo consegna ai parenti solo dopo che questi consentono al
suo matrimonio conla ragazza, figlia di Gianni Schicchi. Sarà proprio lo
Schicci, uomo ingegnoso e amante della burla, molto abile nel “contraffare
ogni uomo”, a escogitare un ingegnoso piano per accontentare gli eredi del
morto. Dopo un’accesa discussione, che termina con l’aria di Lauretta (O mio
babbino caro), egli fa nascondere il morto e si finge Buoso che sta per morire
e vuole fare testamento, imitandone l’aspetto e la voce, tanto da trarre in
inganno il notaio, chiamato a raccogliere le ultime volontà del moribondo.
Molto esilarante il momento in cui il finto Buoso, dopo aver diviso parte del
patrimonio tra i vari eredi legittimi, riserva al suo “caro amico” Gianni Schicchi
importanti lasciti fra cui la villa di Firenze e una bellissima mula, senza che i
presenti possano opporsi, sia per non compromettere tutto l’affare sia per evitare le dure sanzioni previste per il reato di falso (addio Firenze, addio). Dopo
l’uscita del notaio tutti si scagliano contro Schicchi, ma egli li scaccia dalla casa
che è diventata sua. Lauretta e Ranuccio esultano per la felicità, mentre
Gianni chiude l’opera rivolgendosi direttamente al pubblico: Per questa bizzarrìa m’ha cacciato all’inferno... e così sia. Ma con licenza del gran padre Dante, se
questa sera vi siete divertiti, concedetemi voi … l’attenuante”
Emilia Perri
Tempo d’estate...alta tecnologia da indossare
Dopo i Google Glass ancora una novità per l’alta tecnologia da indossare.
Stiamo parlando degli smartwatch, un tocco di vero glamour per l’estate visto
che la loro uscita, stando al mondo Android, è prevista per la fine di giugno.
Si vocifera sia in arrivo il G Watch della LG, il primo smartwatch con Android
Wear e sembra che arriverà anche in Italia.
L’utilizzo principale sarà quello per leggere e interagire con le notifiche ricevute sullo smartphone accoppiato e per impartire comandi vocali, come spiega la stessa casa produttrice in questo passaggio:
“Questo [Android Wear] si compone di due sezioni fondamentali: quella per
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la tenda n.5 giugno 2014
Cyberspace
ricevere le notifiche e informazioni contestuali (grazie a Google Now) e
un’altra per chiedere informazioni o impartire comandi vocali. In concreto,
tutte le volte che si riceve una chiamata, un messaggio di chat in Hangout o
una email, è possibile averne immediata notifica grazie appunto all’orologio.
D’altra parte l’integrazione con Google Now permette di avere sempre sott’occhio il meteo, eventuali voli, gli ultimi risultati della squadra del cuore.”
Lo smartwatch, dunque, funge da specchietto dello smartphone, forse ci indurrà a usare meno il telefono o forse no. Lo dirà soltanto l’uso che se ne farà!
Annarita Petrino
TERAMO E DINTORNI
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All’ombra del campanile
Libro in vetrina
Maurizio Di Biagio “All’ombra del campanile”Galleria di personaggi teramani- (Artemia edizioni, Teramo 2014)
Il titolo evocativo e poetico viene definito nella
sua concretezza semantica dal sottotitolo che ne
chiarisce anche il genere letterario. La recente
pubblicazione di Maurizio Di Biagio, giornalista
del quotidiano “Il Messaggero”, presentata il 15
maggio nella sala S.Carlo del Museo
Archelogico, è una rassegna di personaggi noti o
invisibili che costituiscono la microstoria cittadina. Alcuni sono ancora attivi ed inseriti nel tessuto sociale di Teramo, altri sono passati a miglior
vita ma continuano ad essere vivi nel cuore e
nella memoria di chi resta. L’opera, infatti, è una
raccolta di articoli scritti dall’autore nell’arco di
15/20 anni e già pubblicati su mensili (Il cittadino e Teramani), su settimanali (L’araldo abruzzese), su quotidiani (Il Messaggero), e da ultimo
anche sul suo blog “Il senso”. È arricchita inoltre
TEr...amo e odio!
Sei come una vecchia/abbandonata/
in un letto sghembo /disfatto,/
la polvere ti vela, / le rughe ti solcano/
mentre mollemente ti adagi /tra due
testate /consunte. / Somigli/a quelle
civiltà / in decadenza / con i segni
della carne corrotta /dopo il vizio. /
Ti odio, / così piena di buche, /sventrata in una piazza dall’ipogeo /e da
un parcheggio sotterraneo nell’altra, /
con le pietre del teatro romano /
immolate all’usura del tempo, / e
quelle del teatro ottocentesco /demolite per il commercio, / via gli enti, la
caserma, la telefonia, / via anche i
cervelli giovani, / città dormiente
ormai, /a misura di vecchi e bambini./
Ti amo disperatamente / per il macigno del Gan Sasso sul cuore,/ l’aria
fresca di Magnanella / nelle sere
afose,/ l’abbraccio muto e virente /
delle tue colline, / il richiamo appassionato /e ciarliero del tuo Duomo/e
dei tuoi resti medioevali /che risuonano di echi lontani,/ per l’orizzonte che
si spalanca/ sull’azzurro di quel mare
vicino./
Ti amo ed odio/ come una cartolina
ingiallita /dal colore dei miei sogni.
Elisabetta Di Biagio
da una decina di ritratti a matita eseguiti dallo
stesso scrittore e da un disegno policromo del
Duomo di Teramo realizzato in copertina dall’artista Enzo D’Ignazio.
“Ritratti a memoria” li definisce il prof. Elso
Simone Serpentini nella sua dotta prefazione,
parafrasando un titolo del filosofo Russell, o
piuttosto“schizzi” e non ritratti a tutto tondo,,
dapprima abbozzati e poi perfezionati con il tratteggio per restituire “pienamente il senso della
loro esistenza e della loro presenza in una città
spesso, troppo spesso, indifferente...”.
La memoria li consegna alla storia prolungando
la loro vita perchè, come dice Cicerone,”è tesoro
e custode di tutte le cose”, fissando per sempre il
loro sorriso o la loro lacrima e il loro dolore che
nel ricordo diventano eterni. Anche perchè a
scrivere di loro non è solo un giornalista ma uno
scrittore che non si è limitato a raccontarne le
storie ma ha frugato con curiosità umana nelle
loro anime.
Sala Cristina da Pizzano
Venerdì 13 giugno, si è svolta la cerimonia di intitolazione a Cristina da Pizzano (1364-1430?) della Sala polifunzionale della Provincia di Teramo. L’iniziativa è stata
promossa dal comitato “Se non Ora Quando?” nell’ambito del concorso scolastico sulla toponomastica femminile “Sulle vie della parità”. La classe IIA del Liceo scientifico ‘Einstein’ di Teramo ha individuato in Cristina da
Pizzano,intellettuale europea, letterata e filosofa, antesignana dell’emancipazione femminile, il personaggio di
rilievo a cui intitolare la Sala Polifunzionale, sito ideale in
quanto sede di convegni, incontri e altre occasioni di
scambio culturale.
Ricordiamo che la scrittrice teramana Aida Stoppa è
autrice del romanzo Io, Cristina. Storia di Cristina da
Pizzano. Alle origini della Querelle des femmes (Galaad
2012).
Per notizie in breve sul personaggio: andare a pag.4
Città sciatta
Le manifestazioni per la festa della Madonna delle
Grazie, a Teramo, il 2 luglio u.s., prevedevano un concerto della Banda di Ailano.Ebbene il concerto c’è stato ma
ha provocato ‘sconcerto’, anzi INDIGNAZIONE profonda nel pubblico presente: la musica a tutto volume
proveniente dal Luna Park ha di fatto mortificato in
modo indecoroso l’esibizione della Banda di Ailano. Si
può solo dire che è stata una mancanza di civiltà e di
rispetto verso l’arte e la musica.
Il valentissimo M° Nicola Samale ha diretto brani d’opera nel frastuono assordante (decibel a go go) del luna
Park.Molte persone erano esasperate. Ci si chiede: chi ha
permesso tanti decibel di rumore al punto da rendere la
buona
musica
della
Banda
inascoltabile?
Dobbiamo chiedere scusa ai bandisti e al loro Direttore
M°. Nicola Samale a nome dell’intera città.
Inciviltà e approssimazione: sul manifesto era sbagliato
persino il riferimento del professor Samale, musicista
assai noto, indicato come un generico ignoto M°
Nicola!!!! .
OSSERVATORIO TERAMANO
Buon appetito!
“Niente c’è di definitivo nel mondo, ma le cose meno
definitive di questo mondo sono le vittorie elettorali”. (Benito Mussolini, Scritti e discorsi, 1914/39). Mi
pare che il pensiero del Dux calci a pennello. Dopo
la sbornia elettorale. Adesso bisogna davvero mettersi a pensare come dare una svolta a Teramo e alla sua
popolazione. Svolta che coinvolga quelli che non
hanno lavoro. Svolta per quelli che cercano la luce
dietro l’angolo. Teramo deve sapersi riappropriare
del suo ruolo di capoluogo. Lo ha perso nel tempo.
Lo ha perso seguendo quanti hanno deciso di disseminare sul territorio eccellenze che dovevano restare
a Teramo. Adesso qualcuno sta cercando di fare
l’esatto contrario, riportare a Teramo quelle eccellenze sparse sul territorio provinciale, eccellenze che
nonno avuto soltanto un ruolo politico per strappare
voti. E basta. Riusciremo a rivedere la Teramo d’altri
tempi. Scriveva il maestro Fernando Aurini “Teramo
è una piccola incompiuta, tutto ciò che si intraprende resta sospeso, interrotto, e infatti la città si sviluppa caoticamente. Se vivesse una vita densa di contenuti morali, culturali e sociali sarebbe una splendida
opera verdiana, traboccante di vitalità, appassionata,
onesta e diretta”.
Rifletterci sopra dovrebbe essere il minimo. Ma c’è
tanto da fare nel nostro pubblico. Spero di vedere
realizzate alcune delle strombazzate opere annunciate durante la campagna elettorale avvelenata e strillata fino alla esasperazione. D’altra parte la situazione non pare sia mutata. E’ identica quella creatasi
dopo le ultime elezioni. Insomma vorrei sbagliare ma
di nuovo c’è poco. All’ombra del Duomo teramano.
Dunque riflessioni e poi tutti al mare ovviamente chi
potrà ancora permetterselo. Al ritorno troveremo le
rotonde annunciate (alcune iniziate), troveremo forse
i sotto passi di piazza Garibaldi ultimati e rimessi a
nuovo, troveremo insomma quanto è stato annunciata con tanto di fanfara prima delle elezioni. E al mare
che troveremo? Solito balletto di bandiere blu che
confermeranno la bontà delle nostre acque fino al
primo divieto di balneazione. Nulla di nuovo e allora
che fare, come evitare di affondare nel desolante
panorama del post elezioni? Scriveva Aurini “Quando
si parla del senso voluttuario dei teramani, nati come
pochi privilegiati con il gusto ed il piacere della buona
tavola, educati al culto della cucina, portati per istinto e per temperamento verso il mangiare ed il bere,
bisogna tenere presente che gli abitanti
dell’Intermania Urbs da secoli e secoli hanno fatto del
vino e della buona tavola il loro tempio più sacro.
Annodiamoci ancora, come una volta, in tutta serenità il tovagliolo dietro la nuca (anche se non è più
chic), allunghiamo i piedi sotto la tavola e pronunciamo di nuovo l’augurio sacro dei nostri antichi. Salute
e buon appetito”.
Ma si buon appetito. A tutti ai vincitori, agli sconfitti, ai trombati. Nessun problema comunque ci sarà
tempo per riprovarci. Tanto se le elezioni servissero a
qualche cosa probabilmente ce le avrebbero negate.
Ma questa è un’altra storia.
Gustavo Bruno
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La comfort zone
È una specie di ‘nicchia’ della mente, un rifugio dove mille ragioni ti inducono a pensare,
nel caos generale, come sia meglio ‘lasciar perdere’, ché tanto tutto è inutile. È più o meno
così che l’individuo, in quel momento supremo di reciprocità, comune a molti, inesistente
per i più, in cui l’altro dovrebbe diventare il tuo
prossimo e chiederti una risposta all’unico
imperativo per cui ha senso vivere, fornisce la
sonnacchiosa risposta di cui sopra…
Eppure è quel preciso momento che può
cambiare l’animalità in etica.
È soprattutto quella grossa fetta di umanità
che, tutto sommato, se la passa ‘non c’è male’
che continua a far finta di non saper che fare.
Si concentra sui fatti suoi, lancia piatte invettive, vaniloquio socio-politico approssimativo
e inutile almeno quanto i programi, tutti identici, dei vari ‘signori del potere’ di turno. Idee
di parte che ognuno sbandiera e propugna
come buone …all’immobilismo del potere. In
barba a quel pensiero filosofico che sostiene il
miglioramento della società dipendere da
quello del singolo, individuo per individuo.
Qualcuno che ci crede esiste, però, e quel
qualcuno fa la differenza, come a dire tiene
ancora alto sulla bilancia il piatto dei ‘buoni’ “Uscire dalla comfort zone in cui si assiste
passivi a ciò che accade” è ciò che sostiene,
fra gli altri, Nicoletta Iacobacci, una donna
che ha fatto di tutto perseguendo lo scopo di
svegliare il pensiero e l’azione dove poteva, dal
Arte in Centro
giornalismo al teatro, ad altri innovativi mezzi
di comunicazione, coordinatrice delle TV
pubbliche d’Europa, che sta studiando il
modo per creare programmi partecipativi e
propositivi fra le varie nazioni con la possibilità di interagire in tempo reale. Per aiutare il
cambiamento di metodiche infruttuose prendendo atto del ruolo ormai fondante, sempre
più completo e irrinunciabile che ha nella vita
umana l’apparato tecnologico. Farlo conoscere realmente e possedere ai giovani, senza
compromettere il ruolo dei libri ma anzi considerandoli un momento di riscontro gaudioso, teoria imperitura di ciò che si applica con
le macchine.
“Credo che il mondo evolva solo quando i
coraggiosi si prendono dei rischi”. Così in una
esplosione di creatività e con la speranza che
ciò che sta facendo sia sempre più accettato,
esorta la scuola ad avere “zero pigrizia” per
esprimersi attraverso una didattica veramente
partecipata, svegliando i sonni tra i banchi,
inventando, creando insieme nuove forme di
apprendimento aiutandosi con quel mezzo
che solo è andato veramente avanti sfidando
quasi lo stesso cervello umano e che è, appunto la tecnologia. Sicché la lezione, corale, recitata, fotografata, creata tra docenti e discenti
diventi palpitante, vero lavoro comune, non
dia tregua, interessi, coinvolga. Creando, si
spera, gli ‘svegli’ di domani.
abc
Estate ricca nella macroregione culturale del centro
Italia: Ascoli Piceno, Civitella del Tronto, Teramo,
Castelbasso, Atri, Loreto Aprutino, Pescara ospiteranno
nove mostre: 100 artisti internazionali, nove curatori,
una decina di sedi espositive, due regioni, tre provincie,
sei enti culturali. Sono i ragguardevoli numeri di “Arte in
Centro. Cultura contemporanea nei borghi e nelle città”, un
insieme di mostre che dal 4 luglio al 28 settembre animerà nel segno dell'arte contemporanea un vasto territorio, dalla Marca ascolana alla provincia pescarese passando per i centri storici del Teramano, creando nell'arco dell'estate un museo diffuso tra Marche e Abruzzo.
Ricomponendo in un quadro complessivo le nove
mostre di “Arte in Centro”, la proposta va dai maestri
storicizzati degli anni Sessanta alla nuova ricerca, in
un’ampia varietà di poetiche, linguaggi, medium, tra pittura, scultura, fotografia, video, installazione, performance.
CALENDARIO SINTETICO
Ascoli Piceno - galleria d’arte “O. Licini” (7 luglio/28
settembre?- “Amalasunta Collaudi. Dieci artisti e Licini”.
Castelbasso - (13 luglio/31 agosto) due mostre:.
“C’era una volta a Roma. Gli anni Sessanta intorno a piazza del Popolo” - mostra opere artisti contemporanei
“Paesaggi della mente” dedicata al pittore avezzanese
Alberto Di Fabio,
Teramo - ARCA - “Visioni. Enzo Cucchi” - (5 luglio/31
agosto).
Civitella del Tronto (Te) - (6 luglio/28 settembre),due
mostre “Visioni. Gianluigi Colin” - opere e istallazioni
“Visioni. Visione Territoriale” - mostra di creazioni in ceramica. (segue a p. 8)
Alma Tadema e i pittori dell’800 inglese
La mostra dedicata ad Alma Tadema e i pittori
dell’800 inglese, da poco conclusasi presso il
Chiostro del Bramante, a Roma, ha dato a molti
visitatori l’opportunità di scoprire o riapprezzare
e, perché no, anche criticare opere di artisti che
comunque, al di là del gusto personale hanno
segnato un lungo periodo dell’arte inglese. Ci riferiamo ai pittori dell’Aesthetic Movement (vedi
box) accomunati da tendenze simili, ma ognuno
con la sua personalità, i suoi temi prediletti, il suo
personalissimo stile: da Millais e Rossetti, i padri
preraffaelliti, insieme al poco più giovane Burnes
Jones, fino al genio di sir Alma Tadema e le sue
tele dedicate al mondo della Grecia e della Roma
Imperiale, che hanno ispirato i film mitologici fino
agli anni ’70.
Olandese di origine, naturalizzato inglese, AlmaTadema, ebbe una passione particolarssima per la
storia, l’archeologia e la vita quotidiana dell’antichità: era affascinato dall’architettura, dagli oggetti, dagli abiti di Roma antica, dalla bellezza formale della statuaria classica, ed ebbe la genialità di
introdurre tutti questi elementi in composizioni
che alludono ai costumi e allo stile di vita vittoriani. Sono tele, quelle in mostra, che ruotano intorno alla mitologia , al Medioevo e ai drammi shakespeariani, ma anche a scene di apparente quotidianità che si trasformano in quadri di enigmatica
bellezza fino all’apoteosi della storia antica che
diviene leggenda, come nel capolavoro di Alma
Tadema “Le rose di Eliogabalo”, una tela colossale esposta alla Royal Academy nel 1888 e ispirata
sia dalla Historia Augusta, sia soprattutto al
romanziere Huysmans, autore di À rebours, manifesto del Decadentismo europeo. In essa si vede il
crudele imperatore romano di origine siriana che
schiaccia gli ospiti sotto una cascata di rose.
Decadente e al tempo stesso precisissima nella
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la tenda n.5 giugno 2012
definizione dei particolari, ha per protagonista
non un eroe ma un un uomo, crudele e omicida. Il
dipinto divenne simbolo del gusto decadente contemporaneo. Un tema centrale del Movimento
Estetico è la donna: muse o modelle, femmes fatales, eroine d’amore, streghe, incantatrici, princi-
Lawrence Alma - Tadema, rose di Eliogabalo
pesse; l’essere angelicato che può diventare demonio, la salvezza che può diventare tentazione.
Nelle opere di questi artisti il corpo femminile non
è più prigioniero come nella vita quotidiana, bensì
denudato, e simboleggia una forma di voluttà. Le
donne sono tutte eroine dell’Antichità e del
Medio Evo; natura lussureggiante e palazzi sontuosi fanno da sfondo a queste figure sublimi,
lascive, sensuali.Questi pittori conobbero il
disprezzo e le opere subirono un vero diktat del
gusto. Un collezionista messicano, Pérez Simòn,
che ha messo a disposizione le opere in mostra, in
tempi di oblio le ha cercate ed acquistate fino ad
avere una delle raccolte private più importanti
dell’America Latina. La sua passione è l’amore per
la bellezza, oltre che la pittura raffinata. E chi
meglio di questi artisti riesce a unire in un connubio così pregevole queste due passioni?
Nella metà del XIX secolo, nel Regno Unito emerge un ideale chiaro e rivoluzionario: la ricerca di
una nuova bellezza. Gli artisti che aderiscono al
gruppo Aesthetic Movement non cercano nient'altro che una forma d'arte libera, affrancata dalle
convenzioni sociali, in aperto contrasto con il puritanesimo vittoriano. La tendenza investe l’arte ma
anche altre discipline quali l’incisione, la rilegatura, la moda e perfino la fotografia contagiando
tutte le forme di arti decorative. È l’avvento dell’arte per l’arte, di un’arte la cui unica vocazione è la
bellezza. I quadri dipinti dagli “esteti” non hanno
intenti narrativi, né morali; le loro sculture sono
semplicemente una fonte di delizia, evocatrice di
piaceri sensuali, per occhi e mani; la loro poesia ha
la pretesa di essere “pura”. Gli aderenti al
Movement adottano la teoria parnassiana diffusa,
nel 1835, da Théophile Gautier. Oscar Wilde
(1854-1900) si proclama primo guru dello stile, ne
diffonde gli ideali che si ispirano alle vicende storiche del passato e ai paesi lontani: l’Oriente, la
Grecia, l’antico Egitto e il Giappone. Gli eccessi e
la leziosità dei suoi adepti, indebolirono, forse, la
forza creativa del Movimento… la bellezza sfiorisce. Inoltre, nella sua fase tardiva, l’estetismo è
associato all’idea di decadenza, e perde definitivamente la sua carica innovativa
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Caccia al tesoro d’arte...teatrale
Siracusa è un tesoro d’arte di per sè. Quando poi si assiste alla rappresentazione di una tragedia greca nel teatro greco della città, allora l’emozione si
aggiunge al fascino, e diventa difficile farne a meno! Quest’anno, per il
Festival del Centenario dell’Inda-Istituto Nazionale Dramma Antico - è stata
messa in scena l’Orestea, l’unica trilogia tragica rimasta nella sua interezza, con
cui Eschilo vinse nelle Grandi Dionisie del 458 a. C. in Atene. Due serate
intense: Agamennone nella prima e Coefore e Eumenidi nella seconda.
Lo spettacolo inizia quando il sole scende dietro la gradinata più alta e la luce
è ancora chiara, l’atmosfera è sospesa, scende il silenzio sugli spalti e si accende la magia dell’antica poesia che ancora oggi commuove e fa riflettere. La
scenografia straordinaria, quest’anno ideata da Arnaldo Pomodoro, è essenziale: le porte monumentali della reggia di Argo,
elemento unico e fondamentale della scena, quando
si dischiudono per l’ingresso dei personaggi sembrano pagine di quel libro che ci viene raccontato.
Inizia la storia l’Agamennone: la scena è ricoperta di
terra scura da cui ‘emergono’ lenti e tristi i vecchi
argivi, il coro: non riescono a gioire del ritorno del
signore, presagiscono il dolore che si abbatterà
sulla città, intonano il canto, un lamento narrativo
che ricorda la piana di Troia ricca dei morti di una
guerra empia, la solitudine decennale della città di
Argo, la catastrofe che incombe. La terra scura
come ciò che è stato, è e sarà, è preludio all’ingresso di Clitennestra, vera protagonista della tragedia,
che grida lo strazio della sua maternità ferita, che è vittima e carnefice posseduta dal demone inevitabile della vendetta, amante appassionata di Egisto di
cui ha assorbito tutto il rancore per lo scempio subito dal padre Tieste. E poi
Cassandra che ‘sa’, ma per volere divino non è creduta, sa bene cosa sta per
succedere ed è impotente di fronte alla ineluttabilità degli eventi.
Tragedia statica, a tratti lenta, incombente che, con l’uccisione di
Agamennone si conclude e chiama il ‘sangue’ che sarà sparso nelle Coefore.
Poesia potentissima, linguaggio ardito nell’originale, un po’ troppo semplificato dalla traduzione proposta. Ma la suggestione del luogo, della recitazione
(particolarmente di Clitennestra e Cassandra), delle luci che si accendono nel
teatro prima che scenda la notte ci hanno proiettato in quel mondo arcaico,
in quell’Atene del V secolo in cui i tragediografi a teatro, attraveso fatti remoti, comunicavano i princìpi fondanti della civile convivenza, le regole della
polis: l’uomo deve imparare a conoscere i suoi limiti, non deve macchiarsi di
hybris, di tracotanza, perché violando le leggi etiche impersonate da Zeus, che
è anche Giustizia, provoca una catena di delitti nella sua stirpe, che non può
essere spezzata da mano umana. Sangue chiama sangue. Il libero arbitrio dell’uomo è un’apparenza, egli non ha scampo, l’unica via di redenzione è contrassegnata dal dolore che conduce alla conoscenza e all’accettazione del male
di vivere.Siamo di fronte al simbolo della irrazionalità della sorte umana, irrazionalità che conosce un ‘tentennamento’ nella seconda tragedia, Coefore, cioè
le portatrici di libagioni.
Quando ha fatto il suo ingresso (parodo) il coro delle Coefore, prigioniere troiane, vestite di nero con un incedere solenne e tradizionale, la suggestione è
stata fortissima. Il monologo di Oreste che esita sul da farsi, quello di Elettra,
scissa tra l’ubbidienza alla madre Clitennestra che le ordina di portare offerte
Saving Mr. Banks -
sulla tomba di Agamennone e l’amore per il padre ucciso, il riconoscimento di
Oreste, l’abbraccio tenerissimo tra i due... hanno scandito momenti di grande
commozione. L’acme, tuttavia, con grande bravura scenica è stato raggiunto
quando sulla tomba del padre, Oreste, Elettra e il coro piangono la sorte
amara del re, ne invocano l’aiuto per compiere l’atto di vendetta: dolore e odio
si confondono e Oreste, vero eroe tragico, di fronte all’alternativa tra due azioni colpevoli, matricidio o rinuncia a vendicare suo padre, ineluttabilmente sceglie di uccidere la madre. Egli ha obbedito ad Apollo, nel rispetto del volere
del dio ha scontato le colpe remote, il germe per tranciare la catena di delitti
è lanciato: una lunga e dolorosa espiazione e l’intervento della divinità segneranno il passaggio dall’irrazionale al razionale, la fine dell’automatica ‘trasmissione della colpa’.
Siamo alla terza tragedia, Eumenidi. Testo meno
poetico rispetto alle altre ma molto denso di spunti
su cui riflettere e dibattere. Entrano in scena le
Erinni, dee delle terra, con parrucche scarmigliate,
orribili, agitando bandiere nere si scatenano in una
lunga danza quasi macabra, prolungata, ossessiva e,
secondo noi, eccessiva (indulgenza alla moderna
cultura dell’immagine che esige ‘visioni’). Apollo
(Ugo Pagliai) arriva su un trespolo alto spinto a
mano come deus ex machina, Atena (Piera degli
Esposti) è assisa sul trono, ieratica e volutamente
inespressiva (bravi attori, magari un po’ troppo
avanti negli anni... ma era il festival del Centenario!). Si fronteggiano. La scena è affollata, Oreste supplice è in mezzo.
Atena istituisce un tribunale di 12 ateniesi, l’Areopago, preposto a giudicare:
tra le antiche dee sostenitrici del principio matriarcale e Apollo intervenuto in
nome della supremazia del sangue paterno ha luogo un dibattito in stile forense. Oreste è assolto grazie al voto determinante di Atena che promette alle
Erinni perpetui onori nella città di Atene. Esse diventano Eumenidi, benigne,
e un canto di benedizione, di pace e prosperità per l’Attica, chiude la trilogia.
Molte le concessioni ‘visive’ da parte del
regista che però non sminuiscono la
LA SAGA degli ATRIDI
resa scenica nè il valore del messaggio:
si sancisce il superamento del ‘principio Atreo, padre di Agamennone,
del taglione’. La comunità assume diret- uccide i figli di suo fratello Tieste
tamente l’amministrazione della giusti- per brama di potere e gliene dà in
zia affermandosi come norma suprema pasto le carni. Si salva solo il picdel vivere sociale. Per il colpevole si con- colo Egisto. Passano gli anni e
sidereranno il movente, le circostanze, Agamennone, tornato vincitore
le attenuanti e si interromperà la catena da Troia dopo aver sacrificato la
delle uccisioni imponendo l’atto sovra- figlia Ifigenia per permettere alla
no di una pacificazione, l’assoluzione. flotta greca di salpare, viene ucciLa salvezza, tuttavia, resta comunque so da Clitennestra, sua moglie, in
sancita dalla divinità: non stupisce per- accordo col suo amante Egisto.
ché Eschilo è uomo del V secolo, ‘reli- Anni dopo, Oreste, figlio di
gioso’ e fermamente convinto che divi- Agamennone e Clitennestra, con
nità e giustizia coincidano.
il sostegno di Elettra sua sorella,
Turista curioso uccide la madre e il suo amante.
(un film delizioso)
Uscito nell’inverno scorso, il film racconta le vicende della trasposizione cinematografica della storia di Mary Poppins.
Pamela Lyndon Travers è una scrittrice di romanzi per l’infanzia che vive a
Londra e fa impazzire il suo editore perché da vent'anni rifiuta di cedere i
diritti di “Mary Poppins” a Walt Disney. Ossessionato dalla promessa fatta alle
sue figlie, Mr. Disney sogna di realizzarne un musical in technicolor e infine
riesce a persuadere la cocciuta e bisbetica Miss Travers a partire per la
California. Impermeabile agli ossequi e all’amabilità di Walt Disney e dei suoi
assistenti, Pamela si siede in cattedra e passa in rassegna lo script e la sua
infanzia, sublimata nei suoi romanzi. Cresciuta in Australia da una madre fragile e un padre sognatore, costretto a lavorare in banca e deciso ad affogare la
propria vita nell’alcol, Pamela ha inventato Mary Poppins per salvare il suo
papà e i Mr. Banks del mondo. Di questo parla Saving Mr. Banks, ricordandoci la possibilità di aprirci ad altri mondi, per fuggire dalla realtà e poi magari
ritornarci con un maggiore grado di consapevolezza. La breccia verso l’altro
mondo intuita da bambina e sognata da adulta, Pamela l’ha trovata nella sua
governante volante che, mentre rassetta, converte i genitori al culto dell’immaginazione, delizia i bambini e si prende cura dei loro padri in ambasce. E i
padri sono i destinatari di questa commedia che è una contesa tra due personaggi e due movimenti, uno di resistenza (Miss Travers) e uno di assedio (Mr.
Disney). Da vent’anni Disney prova ad acquistare i diritti di “Mary Poppins”
perché ha fatto una promessa alle sue figlie, da altrettanti la Travers resiste
perché ha fatto una promessa a suo padre. Promesse che rivelano un rimosso,
un’infanzia ingrata e una ‘domanda di padre’ mai accolta. Realizzare l’adattamento cinematografico di “Mary Poppins” consente allora ai protagonisti di
fare i conti col genitore e di ‘riparare’ con l’immaginazione. Alla maniera di
Mary Poppins, il film di J. L. Hancock è coinvolgente e spruzzato di un gradevole sentimentalismo. Uno spettacolo popolare che nasconde un segreto e
ribadisce il fascino inalterato di Mary Poppins, tata volante portata dal vento
che inventa parole e manda giù pillole amare con lo zucchero.
Interpretato senza sbavature e cedimenti descrittivi da Emma Thompson e
Tom Hanks, bravi a scavare nella coscienza dei propri personaggi scovando
la propria attitudine fanciullesca, Saving Mr. Banks sparge una gioia misteriosa che alleggerisce i toni drammatici, assorbe il pragmatismo magico della
tata perfetta e compensa la mancanza del padre reale con la produzione lirica di uno immaginario. Un padre che i movimenti coreografici, le invenzioni
sceniche, gli sfondi a disegni animati e una rosa di canzoni indimenticabili
permettono di salvare e celebrare, restituendo a Pamela e a Walt tutto il
senso della loro eredità di figli. Questo è il segreto intimo di Saving Mr. Banks,
comprare con due penny carta e spago, riparando il proprio aquilone e la propria infanzia.
da M.M.
la tenda n. 5 giugno 2014
7
SATURA LANX
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Gusto letterario
Acqua fonte di vita e abisso di morte, barriera invalicabile e insperata via per l’eroe che con esso ingannò il ciclope Polifemo, creatura mostruosa, ostaggio
un ritorno alle cose lasciate e credute perse. Il mare e Odisseo sono due crea- della sua dimensione terragna e incapace di comprendere la libertà infinita
ture inscindibili che trovano senso l’una nell’altra. Cangiante come l’acqua che nasce dalla vastità delle distese marine.
che solca con la sua nave, il greco acquista nel tempo una sempre maggiore Ugo Foscolo fa di Ulisse il centro emotivo del sonetto A Zacinto, confessiocognizione di ciò che lo circonda. L’autocoscienza però lo condanna alla soli- ne di un poeta-bambino in cui le ossessioni biografiche si rincorrono come
tudine nella sopravvivenza: egli non riesce a rendere partecipi del suo desti- onde. Dall’acqua, principium vitae, nascono l’isola natale del poeta, indimenno i compagni che periranno per la loro insulsaggine. Nel XII libro Odisseo ticata Terra Madre, e Venere, dea dell’Amore e della Fecondità. Le due
conclude dunque la narrazione della sua epopea e
immagini femminili, la simbolica e la mitica, sono
archivia il passato; la nave con i suoi compagni a Zeus tuonò e insieme scagliò il fulmine sulla
accomunate dal canto di Omero, visto come Origine
bordo affonda tra Scilla e Cariddi ed egli rimane nave e questa (…) roteò tutta su se stessa (…); i della Poesia e metaforica figura paterna del Foscolo.
solo. Il naufragio di Odisseo, il suo peregrinare per
Come dal mare sono nate Zacinto e Venere, così il
compagni caddero fuori (…), intorno alla nave
il Mediterraneo e l’inesausta volontà di tornare ad
canto di Omero genera Ulisse, “bello di fama e di svenItaca non sono elementi narrativi che rimangono scura erano trasportati dalle onde: un dio li
tura” che, dopo tanto errare, “baciò la sua petrosa
circoscritti al solo poema omerico, ma sono diven- privò del ritorno .
Itaca”. Alla classicità dell’eroe greco si contrappone
tati nel tempo universali letterari reinterpretati semOmero, Odissea XII 415-419 romanticamente lo stesso Foscolo: nati dalla stessa
pre diversamente da scrittori come Joyce, Saba,
terra e dallo stessa acqua, essi sono segnati da un
Foscolo e Dante.
destino differente; infatti all’approdo di Ulisse in
Il ridotto spazio di una giornata, dalle otto del mattino alle due di notte, patria fa da contrappunto il “non-ritorno” a Zacinto del Foscolo, il quale potrà
copre il viaggio di Odisseo [Ulisse]/ Leopold Bloom nel romanzo ‘Ulysses’ di sfiorare la sua terra natale solo idealmente e attraverso il messaggio simboliJ. Joyce. All’epico continuum del poema omerico si sostituisce la straniante e co dei suoi versi.
minuziosa cronaca di una qualunque giornata vissuta da un commesso viag- Dopo Omero, Dante è il poeta che meglio ha interpretato il titanismo di un
giatore qualsiasi, l’ebreo dublinese Leopold Bloom che vagabonda per la sua eroe che vuole fino all’ultimo allargare il proprio campo di azione. All’Ulisse
città osservando attentamente la vita che scorre accanto a lui. Sposato ad una dantesco non è più sufficiente Itaca che pure è stata per lui l’agognata meta
donna che lo tradisce, Molly, sensuale e grottesca antitesi della testarda e della sua maturità. L’isola è diventata la prigione della mente per Ulisse che
raziocinante Penelope, Bloom durante l’arco del romanzo segue il corso dei ha invece sete di conoscere; la sua è però un’arsura che solo l’acqua del mare
suoi pensieri che vagano tra passato e presente, tra desideri, paure e intimi può placare. Lucidamente convince altri compagni ad intraprendere un “folle
ricordi. La vicenda, di per sé piatta e banale, trae però vitalità dal linguaggio volo” verso Occidente, dove muore il Sole e dove l’Oceano si confonde con
particolare e innovativo usato dallo scrittore. Lontanissimo dalle formule lin- l’Oscurità. Non è ybris quella che muove Ulisse ma esigenza di rimanere vivo
guistiche di Omero che affidava il suo messaggio poetico all’energia dell’af- mentalmente, tramite l’esperienza distillata attraverso l’uso dei sensi (“d’i
fabulazione orale e della memoria dei cantori, la lingua di Joyce è fatta per nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperienza (…) del mondo sanza
essere letta, assimilata e meditata. Lo scrittore attraverso la corrente ininter- gente”). Egli fa dunque appello alla curiositas dei suoi compagni (“considerate
rotta dei pensieri del protagonista, fa dello sperimentalismo linguistico l’asse la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoportante dell’opera. La prosa di Joyce può essere a ragione considerata il scenza”). La meta coincide con l’esplorazione della Terra di Nessuno, ipotetimare attraente e insidioso sul quale naviga il protagonista con la zattera del co e ultimo Regno di Ulisse oltre il Mediterraneo e le Colonne d’Ercole. Le
flusso di coscienza che lo anima; questo però è il mare sul quale è costretto a aspirazioni dei naviganti però si infrangono contro una “ montagna bruna per
navigare anche il lettore che, nella complessità dello stile dello scrittore, spes- la distanza”, alta più di qualsiasi altra vetta del mondo conosciuto: è la monso rischia di essere sommerso nel gorgo della dissoluzione delle rassicuranti tagna del Purgatorio, il regno del pentimento e della purificazione cristiana,
e sclerotizzate forme strutturali e linguistiche del romanzo borghese tra ‘800 inconciliabile con la visione pagana del mondo di Ulisse. L’eroe quindi muore
e ‘900.
perché estraneo alla realtà morale in cui è immerso Dante. Impietosa è quinPer Umberto Saba l’eroe della sua poesia Ulisse, coincide con l’In(de)finito da di la cronaca della fine del greco e dei suoi compagni: “Un turbo nacque esplorare. È un vecchio quello che confida al mare le sue segrete pulsioni. narra l’eroe dantesco - e percosse il legno al primo canto. Tre volte il fé girar con
Sintetiche e suggestive note paesaggistiche accompagnano i richiami alla gio- tutte l’acque; e la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui
vinezza dell’eroe: “nella mia giovinezza - egli confessa - ho navigato lungo le piacque infin che l’mar fu sovra noi richiuso”. Curiosamente i versi danteschi
coste dalmate”. Dalla visione incantata emergono “isolotti (…) a fior d’onda (…) richiamano quelli del XII libro dell’Odissea, in un’ideale composizione ad anelcoperti d’alghe, scivolosi, al sole belli come smeraldi”, lacerti di terraferma da evi- lo dove le medesime tematiche si rincorrono attraverso l’acqua dei secoli. “La
tare nei viaggi notturni “per sfuggirne l’insidia”. È chiaro come Ulisse sia saggezza di Ulisse si dispiega negli spazi e della favola contro avversari mostruosi
refrattario al richiamo della riva per tendere invece al mare, alla liquida e manifesti”*, ma nulla può la saggezza umana nei confronti dell’impronta
immensità nella quale perdersi , quella che Saba chiama “terra di nessuno” che indecifrabile di Dio che rimarrà per Ulisse un mistero insondabile quanto la
rappresenta la tensione estrema del vecchio marinaio dal “non domato spiri- profondità del mare che lo sommerge per sempre.
to”. Il poeta sottolinea quindi l’appartenenza dell’eroe al mare il quale diven- *Vittorio Sermonti
B.D.C.
ta il Regno di Ulisse, la Terra di Nessuno, dove Nessuno è il nome occulto del-
TACCUINO
Arte in centro (da p. 6)
Atri (Te)- Museo capitolare--(11 luglio/ 10 settembre)
"Stills of Peace and Everyday Life. Italia e Pakistan: una ricerca del
senso del contemporaneo" - fotografia, video arte di artisti contemporanei italiani e pakistani.
Pescara, palazzetto Albanese (12 luglio/12 settembre). “Vita Activa.
Figure del lavoro nell’arte contemporanea” - mostra di pittura.
Loreto Aprutino (Pe)- Centr o storico (4 luglio/7settembre)
“Loretoview. Festival di fotografia del paesaggio”.
Info: 0861 508000, arteincentro.com.
Redazione
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