Documenti e fonti Gli strumenti dello storico DOCUMENTO FONTE Documento = “è tutto ciò che porta in sé traccia dello spirito e della mano umana” (K. G. Droysen) Fonte = si definisce solo in rapporto alle conoscenze che possiamo attingere dal documento; documento rispetto al passato, fonte rispetto al futuro. LE FONTI FONTI PRIMARIE = testimonianze dirette FONTI SECONDARIE = testimonianze indirette LE FONTI SCRITTE MANOSCRITTE – intenzionali - non intenzionali A STAMPA sempre intenzionali LE FONTI NON SCRITTE OGGETTI arte uso quotidiano TRACCE cultura materiale lingua, tradizioni, ecc. FATTI istituzioni usi e costumi lingua FONTI E BIBLIOGRAFIA FONTI = tutto ciò che si riferisce al mio problema storico; sono l’OGGETTO della mia ricerca BIBLIOGRAFIA = tutto ciò che è stato scritto sul mio problema storico o su ciò che lo può illuminare; sono lo STRUMENTO della mia ricerca LA BIBLIOGRAFIA BIBLIOGRAIA PRIMARIA = libri frutto di un lavoro di ricerca diretta sui documenti (es.: una monografia originale su un problema storico particolare) BIBLIOGRAFIA SECONDARIA = libri scritti lavorando su altri libri (es.: un manuale o una sintesi interpretativa) LE SCIENZE AUSILIARIE DELLA STORIA Filologia (= ricostruzione critica di un testo) Codicologia (= studio dei codici antichi) Paleografia (= studio delle antiche scritture, per lo più latine medievali) Diplomatica (= studio formale degli antichi diplomi e documenti istituzionali) Grafologia (= studio delle forme di scrittura antiche o moderne) Epigrafia (= studio delle antiche epigrafi su pietra o marmo) Sfragistica (= studio degli antichi sigilli) Numismatica (= studio delle antiche monete) Araldica (= studio degli antichi emblemi e stemmi) I LUOGHI DI LAVORO DELLO STORICO L’ARCHIVIO – vi si conservano i documenti LA BIBLIOTECA – vi si conservano i libri e le collezioni di fonti a stampa IL MUSEO – vi si conservano fonti iconografiche o materiali IL MONDO – osservando tutto ciò che è prodotto umano L’ARCHIVIO L’archivio è la fotografia dell’istituzione che lo ha costituito, la memoria organizzata di un’istituzione. L’ordinamento originario corrisponde sempre a criteri pratici (non a criteri conservativi o di studio): bisogna sempre entrare nell’ottica dell’epoca per comprenderne il senso. L’ARCHIVIO L’archivio non è mai organizzato per argomenti, come può esserlo una biblioteca. E quasi sempre organizzato per funzioni. Es.: Corte, Casa reale, Senato, Interni, Esteri, Marina, Finanze, Materie religiose, Lettere private, ecc. GLI ARCHIVI Archivi pubblici (ma purtroppo non sempre aperti al pubblico!) statali, comunali o di enti pubblici Archivi privati (spesso confluiti in archivi pubblici) archivi di grandi famiglie nobili, borghesi o di aziende Archivi notarili o giudiziari Archivi ecclesiastici: Diocesani, parrocchiali, di enti ecclesiastici ARCHIVI DI STATO Sono gli archivi delle capitali degli antichi stati italiani: Torino, Milano, Venezia, Parma, Modena, Mantova, Bologna, Firenze, Vaticano, Roma, Napoli, Palermo, Cagliari Oggi quasi ogni capoluogo di provincia ha un archivio di stato. Per studiare l’età moderna in Veneto Si debbono utilizzare gli archivi di Stato di: 1. Venezia (periodo medievale, 1517-1797) 2. Milano (1805-1814, 1815-1859) 3. Vienna (1815-1866) Oltre agli archivi locali e comunali ARCHIVI COMUNALI Atti delle antiche amministrazioni comunali, dai liberi comuni medievali ad oggi. Vi si trovano: Referati, Estimi locali, Libri delle mutazioni, anagrafi ARCHIVI NOTARILI Raccolgono gli archivi dei singoli notai del distretto, solo dopo la cessazione della loro attività. Vi si trovano: Contratti, doti, testamenti, inventari post mortem. Utilissimi per la storia della vita quotidiana. ARCHIVI DI ENTI Ospedali Ospizi Orfanotrofi Accademie Università Conservano prevalentemente carte amministrative. ARCHIVI ECCLESIASTICI Diocesani: Documenti sull’attività dei vescovi, visite pastorali, seminari, inquisizione locale, stati delle anime Parrocchiali: Registri (battesimi, matrimoni, sepolture), stati delle anime Enti ecclesiastici: Abbazie, monasteri, Confraternite ARCHIVI PRIVATI Famigliari: Aristocratici, borghesi e mercanti (più rari), intellettuali Aziendali: Manifatture, imprese commerciali o industriali (solo nel XX secolo si incomincia a tutelarli) Veridicità delle fonti storiche Il problema dei falsi storici PERCHE’ I FALSI STORICI? Il testimone puo’ mentire (e spesso mente) Il testimone non riferisce tutto ciò che sa Il testimone riferisce tutto ciò che sa e ciò che non sa lo inventa Il testimone riferisce la sua verità (interpretata) I FALSI STORICI: UNA TIPOLOGIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. falso deliberato e intenzionale falso onesto plagio correzione del presunto errore rimaneggiamento sornione di un testo errore involontario deformazione della realta’ secondo schemi mentali le voci errata attribuzione nome falso attribuito a testo autentico testo falso attribuito a un nome noto testo falso e nome falso Il falso deliberato e intenzionale Il falso d’epoca Il falso posteriore (la falsa donazione di Costantino, svelta da L. Valla) I falsi d’arte I falsi diari di Hitler I “falsi d’epoca” medievali Il “falso d’epoca” di poco posteriore all’epoca del documento è un falso “giuridico” (o politico) con la fabbricazione del quale si intendeva tutelate la posizione di una persona o di un ente (città, monastero) contro qualche altra persona o ente, oppure si intendevano legittimare delle pretese di dominio territoriale, di godimento di beni ecc., che ad un certo punto della sua esistenza un comune, un principe, un monastero, si sentiva abbastanza forte per avanzare. Diversamente dai falsi moderni, che interessano solo per le vicende del falsificatore, i falsi d’epoca medievale (coeve) sono importanti per la storia dell’epoca e chiariscono molte ragioni delle dispute successive. I falsi cassinesi Pietro, diacono nell’abbazia di Montecassino, è autore di un Regesto del XII secolo dove sono raccolti gli atti che riguardano il monastero (nell’ordine: le bolle pontificie, i diplomi degli imperatori e dei re, dei duchi e dei principi, i documenti privati) molti dei quali falsi, dettati quasi sempre dal desiderio di aumentare la gloria del monastero e di sancire con atti ufficiali il suo potere ed i suoi privilegi. Fra i falsi documenti vi è, ad esempio l’atto con il quale Tertullio dona al monastero dei beni in Sicilia I falsi di Ravenna (secc. XI-XII): 1. 2. 3. 4. Risalgono al periodo della lotta per le investiture (1080-1084); si tratta di quattro documenti prodotti dal partito dell’antipapa Clemente III (Guiberto, già arcivescovo di Ravenna) allo scopo di contrastare le pretese della Curia Romana e sostenere le rivendicazioni imperiali. Papa Adriano I, unitamente al clero e al popolo di Roma, concede a Carlo Magno il diritto di eleggere il papa, la dignità di patrizio romano e l’investitura degli arcivescovi e dei vescovi. Papa Leone VIII rinnova a Ottone I imperatore il diritto di eleggere il pontefice e di investire arcivescovi e vescovi. Papa Leone VIII rinnova ancora a Ottone gli stessi diritti. Papa Leone VIII restituisce a Ottone I una serie di donazioni fatte da vari signori e re anticamente alla Chiesa (tutto lo Stato della Chiesa, l’Italia meridionale). Il Privilegium maius (1156, ma 1360) Nel 1156 l’imperatore Federico Barbarossa pareva aver concesso ad Enrico II di Babenberg, duca d’Austria, un privilegio, il Privilegium Minus, conosciuto però solo attraverso la cronaca di Ottone di Frisinga. Fra il 1369 e il 1370 le cancellerie ducali di Rodolfo IV d’Asburgo rendevano noto un altro privilegio, il cosiddetto Privilegium Maius, concesso dal medesimo Barbarossa il 17 settembre 1156, con il quale si concedevano ai duchi d’Austria il titolo di Arciduca palatino, elevandoli così al di sopra degli altri principi elettori, e la più ampia indipendenza dall’imperatore. L’imperatore Carlo IV di Lussemburgo (1354-1378) negava validità al privilegio che veniva però successivamente riconosciuto dall’imperatore Federico III d’Asburgo nel 1453. In realtà si trattava di un falso composto fra il 1356 e il 1359, teso a sancire con un atto ufficiale le pretese della casa d’Asburgo nell’ambito dell’impero. Da cosa si riconosce il falso? Nel documento si parla della “marchia a superiori parte fluminis Anasi”, cioè dell’alta Austria, che sarebbe stata aggregata nel 1156 al ducato d’Austria. Ma l’alta Austria venne aggregata al ducato solamente nel 1254 e il 1254 diviene così il termine a quo per la composizione del Privilegium. In un altro punto del documento troviamo menzionati i principes electores, ma questa espressione è ignota ai documenti prima del 1273: ecco un altro termine a quo. In un altro punto ancora il documento proclama che solo al primogenito della casa d’Austria spetta il dominio, in aperta contraddizione con la legge di famiglia del duca Alberto II d’Asburgo (1355), che stabilisce invece l’uguaglianza di tutti i figli. Un ulteriore confronto con la “Bolla d’oro” dell’imperatore Carlo IV (25 dicembre 1356) dimostra che il Privilegium non può essere stato redatto se non dopo la “Bolla” della quale tiene conto. Ecco quindi il termine a quo condotto in avanti sino al 1356. Per definire il termine ad quem basta constatare che in un documento del 18 giugno 1359 Rodolfo IV d’Asburgo si fa già chiamare “Palatinus Archidux Austriae”, riprendendo il titolo coniato dal Privilegium; il Privilegium, inoltre, è citato, tradotto in tedesco, in un documento 2 settembre 1359. Il falso “onesto” l’atto retrodatato il documento formalmente corretto ma non corrispondente al vero Il plagio (non sempre disonesto) Copiare l’opera altrui senza dichiarare la fonte (= “prestito”) Frequentissimo fino a metà ottocento (interi libri sono collages di citazioni di altri libri) Compito dello storico e del filologo e ricostruire le fonti (=l’universo delle letture di quell’autore) La correzione del presunto errore Testi antichi mal compresi o mal intesi e corretti dai copisti. Molte correzioni successive creano un testo falso. Interpolazione o rimaneggiamento sornione di un testo Aggiunta di testi o di parti apocrife all’interno di testi originali (per attribuire ai grandi del passato idee contemporanee) Manipolazioni, tipiche delle edizioni ottocentesche (censure, correzioni, sunti, integrazioni) ad opera dei curatori (es.: gli insulti e le parolacce censurate nelle prime edizioni delle lettere di Massimo d’Azeglio) Le false correzioni shakespeariane e la doppia frode di Collier e Madden John Payne Collier è un intellettuale di umili origini che inizia la sua carriera come giornalista e critico teatrale agli inizi del XIX secolo; diviene quindi un’autorità sulla storia delle origini del teatro inglese; vive infine gli ultimi anni della sua vita in completa disgrazia, dopo che alcuni dei suoi rivali avevano lo avevano smascherato come falsario, rivelando che gran parte dei documenti citati nelle sue opere erano inventati. I l suo falso più celebre è l’ in-folio di Shakespeare commentato dal cosiddetto “Vecchio correttore”, ossia un commentatore cinquecentesco le cui correzioni al testo shakespeariano furono ritenute autentiche da Collier ed inserite nelle sue pubblicazioni. Gli avversari di Collier dimostrarono che il “Vecchio correttore” era un testo che presentava pochi commenti e correzioni d’epoca, cui Collier aveva aggiunto moltissima note di suo pugno (prima a matita, poi a inchiostro), imitando quasi alla perfezione la grafia antica. ..ossia: di come il falsario finì falsato Collier ammise di aver falsificato, in passato, alcuni testi, ma negò di essere l’autore delle correzioni e si difese invano accusando altri di aver ingannato la sua buona fede. In realtà è assai probabile che in questo caso Collier fosse innocente e che il palinsesto del “Vecchio correttore” sia stato confezionato per distruggere la reputazione di Collier da uno dei suoi principali nemici: l’illustre bibliotecario ed erudito sir Frederick Madden, conservatore della sezione manoscritti del British Museum. Madden odiava Coller per vari motivi e lo disprezzava; inoltre aveva libero accesso al manoscritto da lui conservato; la sua preparazione in campo paleografico era nota (e la sua grafia più simile a quella del “Vecchio correttore” rispetto a quella di Collier). L’errore involontario (frequentissimo) Tipico per i dati anagrafici: errore di data (6/7/37 per 6/7/57) errore di nome (es.: Romagnoli o Carmagnani per Romagnani errore di luogo (Trino (VC) per Torino) errore di grafia (es.: Giampaolo, Gianpaolo per Gian Paolo) La deformazione della realtà secondo i propri schemi mentali I sogni, le apparizioni Gli animali mitici (es.: le sirene, i ciclopi) le “voci” danno forma alle nostre paure (M. Bloch, La guerra e le false notizie ) L’errata attribuzione Galleria Nazionale di Dresda: il ritratto di Ludovico il Moro a lungo attribuito a Leonardo da Vinci, poi rivelatosi (in seguito al ritrovamento dello schizzo autografo nel 1846) il ritratto dell’orafo Morett di Basilea di Hans Holbein La falsa attribuzione Operata da altri Voluta dall’autore per coprirsi dietro un nome autorevole per coprirsi dietro a un defunto Erasmo da Rotterdam e lo pseudo Cipriano Anche un intellettuale irreprensibile come Erasmo da Rotterdam è autore di un clamoroso falso, fabbricato per meglio sostenere le proprie tesi. Nel 1530 Erasmo pubblicò la quarta edizione delle opere di san Cipriano, cui era stata inclusa, all’ultimo momento, un ulteriore trattato – fino ad allora sconosciuto – De duplice martyrio. Il trattato elogiava le virtù dei martiri intesi nel senso tradizionale del termine, coloro che erano morti per essere stati testimoni di verità; esso però proseguiva elogiando anche altre forme di vita cristiana equivalenti, per merito, al martirio: quella di quanti erano pronti a morire, ma non erano chiamati a farlo; quello della vergine che lotta per non cadere in peccato Ersamo aveva sempre disprezzato il genere di cristianesimo di chi equiparava la sofferenza alla virtù, preferendo di gran lunga l’immagine di Cristo uomo che spera di evitare la morte nel Getsemani. Il testo di san Cipriano rispecchiava alcuni elementi chiave del pensiero di Erasmo, in quegli anni in polemica sia con l’ortodossia cattolica, sia con Lutero. Il testo è inoltre scritto un una splendido latino, ma appesantito da citazioni bibliche e patristiche, poco consuete in autori antichi. Questi elementi ed altri vezzi letterari rendono l’opera riconoscibile come farina del sacco del grande umanista fiammingo. Con quel falso egli cercava di dimostrare l’assenso della chiesa delle origini alla propria visione della teologia. C. M. Pfaff, Scipione Maffei e i falsi frammenti di sant’Ireneo Il tologo tedesco Cehristoph Matthäus Pfaff, dell’Università di Tubinga, all’inizio dl Settecento sostenne di aver scoperto nella biblioteca ducale di Torino quattro frammenti attribuibili a sant’Ireneo dai quali venivano confermate le tesi pietiste secondo cui il fulcro del cristianesimo era costituito dal semplice verbo di Cristo, mentre le dispute dogmatiche non sarebbero state che il frutto di malintesi. Poco tempo dopo l’erudito veronese Scipione Maffei, trattenutosi per ragioni di studio a Torino, dimostrò l’inesistenza, nella biblioteca, dei frammenti di sant’Ireneo, accusando Pfaff di falsificazione, sebbene il teologo tedesco difendesse ad oltranza la sua “scoperta” attribuendo la scomparsa ad un incendio. La falsa data Luogo di edizione falso o immaginario (es.: Cosmopoli) Artificio frequentissimo fra XVI e XVIII secolo per evitare ritorsioni contro gli autori e gli stampatori di testi proibiti Il nome falso attribuito a testo autentico il Piano di spartizione della Polonia di Pietro il Grande (1710) Il Testamento politico di Richelieu, edito nel 1688, subito contestato, denunciato come falso da Voltaire tra il 1737 e il 1749, riabilitato da G. Hanotaux nel 1880 in base a nuovi documenti. Ora considerato autentico nella sostanza, ma non redatto da Richelieu, bensì assemblato dai suoi collaboratori, dopo la morte del cardinale, sulla base di appunti e lettere autentiche. Il testo falso attribuito a un nome noto La donazione di Costantino a papa Stefano False edizioni: si pubblicano documenti falsi (per lo più lettere o memorie) dei quali non esiste l’originale (es.: le false lettere di Maria Antonietta edite da P. Vogt di Hunholstein nel 1864); tipica impostura erudita originata dalla vanità dell’autore o da un disegno politico sotteso (es.: le false lettere di vari intellettuali europei a Gregorio Leti, Amsterdam 1700, opera dello stesso Leti) Il testo falso attribuito a un nome noto L’Hypomnesticon di sant’Agostino L’Hypomnesticon, attribuito a sant’Agostino, divenne nel IX secolo oggetto di un’aspra controversia. Icmaro di Reims giudicò l’opera autentica. Prudenzio di Troyes la ritenne invece inattendibile, perché divergente per stile e contenuto dall’opera agostiniana e perché non compariva nel Commentario redatto dallo stesso Agostino sulla propria opera, né veniva mai citato da altri autori coevi. Un altro teologo dimostrò quanto fosse facile attribuire ad Agostino un libro che sosteneva argomenti a lui cari, attingendo alle sue opere e presentandosi come un compendio del suo pensiero, ma segnalò l’impiego i stilemi non agostiniani, oltre alla citazione della Bibbia nella versione di san Girolamo, impensabile in Agostino. Il testo falso attribuito a nome falso Mcpherson e il falso Ossian Nel XVIII secolo Thomas Chatterton e James Mcpherson ricorsero ai mezzi tradizionali (utilizzo di caratteri e grafia arcaica) per suffragare la loro affermazione di aver trascritto un poema epico da manoscritti originali e inaccessibili e da una lingua sconosciuta. In tal modo, con i Canti di Ossian, essi reinventarono una tradizione medievale e “gotica” che ebbe uno straordinario successo non solo in Inghilterra. Thomas Chatterton e il medioevo ricostruito Contempoaneo di Mcpherson e suo collaboratore in diverse occasioni, Thomas Chatterton (1752-1770) è una delle più interessanti figure di falsari del Settecento britannco. Nel corso della sua brevissima vita (morì suicida a soli diciott’anni) produsse una quantità incredibile di documenti, poemi, trattati, cronache che egli pretendeva di ascrivere alla Bristol tardomedievale. L’amore per la sua città e la passione per il medioevo fecero di lui un fabbricatore indefesso di falsi storici, quasi sempre abbastanza ben collocati nel loro ambiente. Chatterton si inventò di sana pianta un’intera città con le sue enormi porte, l’imponente cinta muraria, le sontuose cattedrali, dando a ciascuna di queste strutture una precisa connotazione fisica mediante una serie di bozzetti (di suo pungo) e accompagnandone la storia con appropriati documenti (di sua produzione) a suo dire tratti dall’archivio di un’antica chiesa abbandonata. Il falso poema medievale del monaco Thomas Rowley Il poema che lo rese celebre, pubblicato sotto il nome di Thomas Rowley, preteso monaco del Quattrocento, è una caso di imitazione quasi perfetta del linguaggio, dell’ortografia, dei caratteri dell’inglese tardomedievale. Parte dei documenti furono addirittura scritti su pergamena ed “invecchiati” con bagni d thè. Non è un caso che l’editore delle sue opere postume (E. Tyrwhitt, 1777) abbia inserito nel volume anche la riproduzione del testo di una lirica “medievale” di Rowley-Chatterton così abilmente contraffatta nei caratteri e negli stemmi da apparire un vero reperto archeologico. L’opera di Chatterton è sicuramente da collegare con il rigoglioso sviluppo degli studi di storia medievale nell’Inghilterra di metà Settecento, studi che abbracciavano ora anche la storia della vita quotidiana e non più solamante la storia di pricipi e sovrani. La stessa maggio raffinatezza dei falsi di Chatterton è conseguenza della maggior raffinatezza delle critica storica. Come si inventa una religione Il topos dell’improvviso e fortuito ritrovamento di un manoscritto dimenticato e rivelatore è anche alla base di una religione del nostro tempo, abbastanza diffusa negli Stati Uniti: la “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni”, più nota come Chiesa Mormone, fondata nel 1830 dal “profeta” americano Joseph Smith (1805-1838), un semplice pioniere, sulla base di alcune “visioni” e del ritrovamento del Libro di Mormon, un antico testo profetico, inciso in caratteri sconosciuti (l’alfabeto del deserto) su di una cinquantina di sottili tavolette dorate, rimasto sepolto per 1400 anni. Due professori di New York – Charles Anthon e Samuel I. Mitchell – ai quali fu sottoposta una trascizione del testo interpretarono i caratteri con i quali esso era inciso come una variante del fenicio, con aggiunti caratteri geroglifici sul modello egizio. Ma nessuno era in grado di leggerlo e tradurlo. Fu così che il “profeta” Smith si accinse da solo alla traduzione, ispirato direttaente da Dio. Trascritto in inglese il testo si componeva di quasi 500 pagine dalle quale emergeva un nuovoo libro della Legge ed un appello divino a rifondare la Chiesa di Cristo. La Chiesa Cristiana, corrotta e divisa in Europa, sarebbe dunque rinata nel Nuovo Mondo per poi riprendere l’opera di evangelizzazione mssionaria in Europa e in America.. La “scoperta” dell’antico Libro di Mormon e l’orgine della Chiesa Mormone Questo il contenuto del Libro di Mormon: Circa seicento anni prima di Cristo alcuni ebrei, avvertiti dell’imminente distruzione di Gerusalemme, si rifugiarono sul continente americano, attraversando l’Oceano con una barchetta. Qui svilupparono una civiltà dividendosi presto in due gruoppi: i Nephiti, di pelle bianca, pacifici e fedeli alle Sacre Scritture ebraiche, ed i Lamaniti, di pelle scura, ribelli, bellicosi e maledetti da Dio. I due popoli erano sovente in guerra fra loro. Quattrocento anni dopo il loro arrivo in America i Nephiti scoprirono i resti di un antico popolo, anch’esso di origine ebraica, sfuggito alla distruzione di Babele e rifugiato come loro in America. I Nephiti credevano fermamente in un Messia che sarebbe venuto a Gerusalemme ed i loro profeti avevano stabilito anche la data precisa della sua veuta e della sua morte. Al momento della Crocifissione un cataclisma distrusse gran parte delle città dei Nephiti, ma al momento della Resurrezione Cristo comparve ai superstiti, in terra americana, annunciando loro la sua parola e scegliendo fra loro dodici discepoli che avrebbero ristabilito la sua Chiesa sulla terra. Iniziò così un’era di prosperità e di pace fra i Nephiti che durò duecento anni. Ai duecento anni di pace segurono duecento anni di terribili guerre, scatenate dai Lamaniti, che distrussero la civiltà dei Nephiti e li dispersero. Poco prima della distruzione il generale e profeta nephita Mormon dettò gli annali del suo popolo che furono conservati da suo figlio Moroni fino all’anno 420 d.C., quando furono nascosti in un luogo segreto, per essere ritrovati 400 anni dopo da Joseph Smith. Pubblicata nel 1830, la traduzione del Libro di Mormon ebbe una rapida diffusione fra i pionieri americani e divenne la regola della nuova Chiesa fondata da Smith, successivamente costituitasi in comunità nel libero Stato dello Utah, sul territorio bonificato del Grande Lago Salato.