NON DIRE (NIENTE) 1 Libe edizioni www.libedizioni.it XABIER ERKIZIA NON DIRE (NIENTE) Traduzioni Roberta Gozzi, Alex Mendizabal Copertina Roberto Clemente Impaginazione Marcello Liberato, Aloña Intxaurrandieta © 2015 Associazione Culturale Libe edizioni - Roma NON DIRE (NIENTE) 7 PREFAZIONE La radio tocca intimamente, personalmente, quasi tutti... Sicuramente per quelli che come noi hanno conosciuto la radio (pensando che ci sarà qualcuno al mondo che non ha conosciuto o che non conoscerà la radio) non è una novità. Per chi è cresciuto con le eco distorte della radio al caldo della cucina o nel rifugio privato della propria automobile, senza pensarci, la sensazione che automaticamente sorge è quella dell’intimità. La radio ha la facoltà di guardare allo stesso tempo fuori e dentro, o, se si preferisce, sia fuori che dentro contemporaneamente. Ed è proprio lì che risiede in gran parte la sua magia, nelle modulazioni di frequenza, in quello che sorge ogni volta che la si ascolta, anche se lo si fa sempre meno. ...in quanto presenta un mondo di comunicazioni sottintese tra l’insieme scrittore-speaker e l’ascoltatore. In questo mondo di interferenze smarrite senza immagini luccicanti, Marshal McLuhan (è sua la citazione divisa in due parti) ha assolutamente ragione quando sceglie il silenzio come collante della costruzione della radio. Al di là dei luoghi comuni come la sua capacità di tenere compagnia, la radio, così come la conosciamo noi, è una 8 NON DIRE (NIENTE) macchina di rumori silenziosi. Il passaggio dal transistor analogico a quello digitale implica che la radio di oggi si sincronizzi automaticamente, trasformando il rumore in una interferenza. Nelle radio manuali di un tempo, invece, le interferenze erano le parole e la musica tra i rumori statici. La radio nacque in quel silenzio amniotico senza fine, inabissato nel rumore anonimo di mare che sembra sia esistito anche prima che la radio stessa fosse stata inventata. Prossimità e silenzio. Questo libro raccoglie la documentazione sorta all’interno dell’installazione sonora NON DIRE (NIENTE) presentata nello spazio Santa Rita di Roma nel novembre del 2015. Prende avvio dal lavoro di Armand Robin (1912-1961) poeta, traduttore e giornalista. Questo intellettuale francese che visse due guerre mondiali dedicò gran parte della sua vita ad ascoltare le radio di tutto il mondo, prima per il Ministero degli Interni francese e poi per conto suo. Per anni passò le notti, oltre a compiere il suo lavoro di spia dall’ufficio (dall’uditorio), a realizzare lunghi ascolti che gli sarebbero serviti per scrivere diagnosi critiche e precise dei sistemi di propaganda dell’epoca. Che poi avrebbe trasformato nei “bulletin d’ecoute”. Pensando che le sue analisi siano ancora valide per descrivere il panorama dei nostri media, l’esercizio proposto con questa installazione vuole essere una continuazione del suo lavoro. Seguendo le tracce NON DIRE (NIENTE) 9 lasciate nei suoi diari e in altri saggi, per realizzare l’installazione ho messo in pratica la metodologia da lui introdotta, in questi tempi che non sono i suoi. Ho passato le notti sul dial della radio, preso appunti, fatto registrazioni e provato ad immaginare o capire che forma e che natura hanno preso le eco sentite da Robin in un contesto contemporaneo. Per questo, la base di questa installazione è un diario, metà suono, metà parola, “bollettini d’ascolto” scritti sulle cose sentite che parzialmente appaiono pubblicati in questo libretto. Oltre ai testi ci sono alcune fotografie ed ho inserito anche delle note e dei silenzi anonimi scritti da alcuni visitatori durante i giorni in cui l’installazione è rimasta aperta al pubblico, utilizzando una macchina da scrivere che si trovava fra gli oggetti dell’installazione stessa. Come ultima cosa, e come annesso a questa pubblicazione, si possono ascoltare alcuni pezzi con registrazioni realizzate durante l’installazione, ai link che appaiono alla fine di questa introduzione. L’installazione NON DIRE (NIENTE) è stata presentata dal 10 al 22 novembre 2015 nella Sala Santa Rita di Roma, all’interno del Festival internazionale di arti sonore VISITAZIONI curato da Gianni Antognozzi, grazie all’imprescindibile aiuto dell’Associazione Culturale Euskara. 10 NON DIRE (NIENTE) Audio http://erkizia.audio-lab.org/non-dire-niente/ Ulteriori informazioni http://www.propostesonore.org/indice15-IT.html http://www.euskara.it NON DIRE (NIENTE) 11 12 NON DIRE (NIENTE) Su Armand Robin Armand Robin nacque nel 1912 in Bretagna. Appena finiti gli studi, e cosciente che il suo interesse per le lettere era decisamente superiore a quello per i numeri, trovò il suo spazio nell’effervescente mondo letterario della Parigi fra le due Guerre Mondiali. Poco più che ventunenne, attratto principalmente dall’ideologia comunista ma anche dalla cultura del Paese, partì per l’Unione Sovietica. Dopo esserci entrato come turista e insoddisfatto di quello che le guide ufficiali mostravano, decise di scappare e conoscere di prima mano la realtà delle zone rurali. Lì conobbe l’altra faccia del Comunismo: a Mosca per la prima volta vide - sono le sue parole - i capitalisti godere. Lì scoprì anche il livello di malvagità e manipolazione esercitata dal sistema di comunicazione e propaganda più grande di tutta Europa. Spinto dalla lacerazione provocata dal contrasto tra la sua immagine idealizzata e la realtà, divenne un ascoltatore professionista. Robin, il poeta, traduttore e saggista poliglotta (parlava più di 20 lingue e riusciva a capirne NON DIRE (NIENTE) 13 41) divenne “un ascoltatore specializzato in ciarlataneria e pettegolezzi”. Armand Robin, ascoltatore di radio straniere, divenne una spia delle onde radiofoniche. Con questa funzione cominciò a lavorare per i servizi d’intelligenza del governo francese prima della Guerra Mondiale e continuò a farlo anche durante l’occupazione tedesca e il Regime di Vichy. In quell’epoca iniziò a scrivere i suoi primi bollettini d’ascolto, nei quali raccoglieva i messaggi che ascoltava e l’analisi degli stessi. E lì iniziò la sua condanna: Ogni notte divento tutti gli uomini e tutti i Paesi. Quando cade l’ombra, mi assento dalla mia vita e le audizioni radio che regalo a me stesso mi aiutano a conquistare fatiche in verità più riparatrici di qualsiasi sogno. Cinesi, giapponesi, arabi, spagnoli, tedeschi, turchi, russi … emettono sopra di me il loro piccolo rumore, mi obbligano ad abbandonare i miei recinti; salto il muro dell’esistenza individuale e attraverso la parola altrui, assaporo meravigliosi divertimenti notturni dove nulla di me riesce a spiare me stesso. 14 NON DIRE (NIENTE) Nel 1942, dopo aver abbandonato il suo posto nell’amministrazione ed essere stato allontanato, ingiuriato e censurato dai circoli letterari vicini all’ideologia comunista che davano a Robin del collaborazionista, continuò ad ascoltare la radio e a pubblicare per conto proprio i suoi bollettini ed altri scritti. E nella misura in cui i suoi ascolti divennero più intensi, anche i sui scritti si fecero più radicali. Le ferite della propaganda sovietica e il disprezzo dei sui vicini lo fecero diventare l’ascoltatore più critico che si possa immaginare. Senza parola, sono tutto parola; senza lingua sono ogni lingua. Dalla mescolanza di tutte le lingue, sento comporsi un impronunciabile nonlinguaggio indicibilmente rumoroso. Se il dittatore possedesse incondizionatamente, come nel migliore dei suoi sogni, l’universo intero, stabilirebbe un gigantesco sproloquio permanente dove in realtà non si sentirebbe altro che uno spaventoso silenzio. “Il medioevo”, “la mentalità primitiva” hanno cominciato ad esistere davvero soltanto nella nostra epoca. Alla fine, una buona parte dell’umanità attuale non desidera per niente la vera parola, preferisce vivere circondata dal rumore. NON DIRE (NIENTE) 19 NON DIRE (NIENTE) BOLLETTINI D’ASCOLTO 20 NON DIRE (NIENTE) BOLLETTINO D’ASCOLTO # 1 1. giorno – 10 agosto 2015 Ho passato la notte in bianco cercando di scrivere il Primo bollettino d’ascolto. Ma questo non è un grande sforzo. Ci sono abbastanza abituato, anche senza Robin, lo facevo anche prima di conoscerlo. È più difficile, invece ascoltare la radio, per tante ore, difficile riuscire a seguire il suo instancabile continuum. Al di là dell’orario dei turni dei cronisti e dei tecnici, e dei segnali che scandiscono le ore, come fossero virgole in un testo scritto, ingoiandosi le loro piccole pause, una dopo l’altra. Facendo lo stesso esercizio che realizzò Armand Robin 50 anni fa, vorrei sapere se posso ottenere gli stessi risultati. Pur sapendo fin dall’inizio che non li otterrò. Pertanto questo esercizio potrebbe non avere alcun senso. Potrebbe essere nient’altro che una prova di onanismo dall’apparenza artistica. Insomma, al di là dei luoghi comuni sulla radio, soprattutto al di là di chi ne esalta la capacità di tenere compagnia, ascoltare la radio ha qualcosa di onanistico. Fare radio, ancora di più. “Lavoratori e nullafacenti, ricchi e poveri, giovani e vecchi, ammalati e sani, tutti, senza NON DIRE (NIENTE) 21 distinzioni, ascoltano la stessa trasmissione. E questa è una delle cose grandi, tranquillizzanti ma allo stesso tempo rischiose e spaventose” scrisse Rudolf Arnheim nel libro “Radio als Hörkunst” (Estetica radiofonica) pubblicato nel 1979. La frase, con la quale si può essere d’accordo senza molti problemi, nasconde una grande verità. Arnheim, senza volerlo, con l’intenzione di scrivere un saggio che sarebbe durato nel tempo, rappresenta un’epoca in cui tutti ascoltavano la radio. Avrà pensato che sarebbe stato così per sempre, forse, che la gente avrebbe sempre ascoltato la radio. Ma non è così. Se la leggiamo oggi, la frase di Arnheim non ha senso. Sicuramente nemmeno l’esercizio fatto da Robin. Non ha senso perché, anche se la radio di oggi è la stessa che loro conoscevano, in realtà non ha niente a che vedere con la radio che ascoltavano. Purtroppo, come mezzo di comunicazione, per quanto riguarda la produzione, è la stessa anche oggi, praticamente non è cambiata. Continua ad utilizzare uno spettro elettromagnetico, la si può sentire senza cavi ed è portatile. Ma, nonostante ciò, non ha niente a che vedere con quella di prima. Non mi chiamo Armand e la radio non è la radio. 22 NON DIRE (NIENTE) NON DIRE (NIENTE) 23 BOLLETTINO D’ASCOLTO # 2 2. giorno – 13 agosto 2015 “Traversé de mondes bruyants, appelé par tous les cris, je m’écorche dans les nuits ; avec les mélodies d’après-minuit je trompe les ombres ; les nuages qui passent la nuit sous le ciel sont désormais composés de vies humaines qui attendent de tomber et se meuvent obscurément en des règnes que fréquentent des oreilles qui n’entendent plus.” Non sono i giorni a passare, ma le notti. Solo di notte si possono sentire le urla tra la nebbia, i lamenti lanciati obbligatoriamente all’aria, come animali che escono a caccia di orecchie. La stanchezza ha qualcosa a che vedere con tutto questo. Arriva un momento in cui la statica, una specie di rumore bianco riempie le orecchie, le sazia, fino quasi alla nausea. Come se le orecchie fossero stomacate, se esistesse qualcosa del genere. Ma non c’è niente di tutto questo, nel bene e nel male, così siamo evoluti. Solo quelli che soffrono fischi alle orecchie o acufene hanno questa nausea. Sono loro, se c’è qualcuno, gli ascoltatori obbligati, violentemente, incessantemente stuprati. E paradossalmente, per 24 NON DIRE (NIENTE) loro quel rumore mutevole e allo stesso tempo obbligatoriamente continuo della radio è una medicina. Si ingoia i fischi della loro mente. È possibile che anch’io arrivi a questo punto. Posso confermarlo in questo secondo tentativo: le modulazioni della radio narcotizzano le orecchie. Inizio a rendermi conto dei rischi di questo esercizio. Mi ricordo di come Walter Benjamin nelle sue cronache sugli effetti dell’hashish raccontasse che l’udito si riduce sotto l’effetto degli oppiacei. Inizia a impigrirsi. Ascoltare tutto il giorno la radio, invece, non riduce l’udito, ma annebbia l’attenzione. Mette l’orecchio contro la mente, mentre la statica riempie tutte le fessure che restano. NON DIRE (NIENTE) 25 26 NON DIRE (NIENTE) BOLLETTINO D’ASCOLTO #3 5. giorno – 17 agosto 2015 Le musiche si infiltrano tra le parole... Il 12 giugno 1959, il pittore, musicista e cineasta svedese Friedrich Jürgenson, con l’obiettivo di raccogliere suoni per un documentario sui fringuelli, uscì di casa con microfono e magnetofono in mano. Trovato un luogo adeguato iniziò a registrare, finché il nastro non andò in errore. Pensando che il nastro non fosse in buone condizioni, interruppe la registrazione e cambiò la bobina. Continuò a registrare e, a un certo punto, sentì di nuovo degli strani rumori. Sembravano voci. Pensando che fossero interferenze dovute al segnale radio, tornò a casa. Mentre ascoltava le registrazioni trovò le presunte interferenze: “Friedel, mi senti? Sono la mamma” Sua madre lo chiamava Friedel, quando era viva. Da allora in poi, tralasciò tutti gli altri lavori e passò ore, giorni e settimane a registrare le voci dei morti. Finché, dopo tre mesi, non si sentì obbligato a fermarsi. Sentiva voci ovunque. NON DIRE (NIENTE) 27 Dopo un necessario riposo, ma convinto della sua scoperta, ritornò ben presto a registrare. Però adesso sentiva solo rumori e parole sparse. Deluso, a punto di rinunciare al suo progetto, in un’altra registrazione sentì una chiara voce che stava parlando con lui: “aspetta... aspetta... ascoltaci” Un giorno d’autunno del 1964 lo scrittore, filosofo e psicologo lettone Konstantin Raudive camminava per casa registrando con un magnetofono le sue idee e riflessioni sparse. A un certo punto dovette uscire e, senza rendersene conto, lasciò il magnetofono acceso. Quando tornò, resosi conto di quella distrazione, iniziò ad ascoltare il silenzio che era stato registrato e all’improvviso sentì la voce di sua madre, che ripeteva il suo nome da bambino: “Kosti, Kosti... “ Cercando negli archivi dei giornali (la radio oggi ha scelto la musica), ho trovato nel quotidiano The Guardian dell’anno 2002 un articolo scientifico dal titolo: “Il rumore può migliorare il tuo udito”. Come spiega l’articolo, scritto con il pretesto di analizzare i risultati di alcuni esperimenti realizzati dall’Università di Vienna, i peli delle nostre orecchie sono così 28 NON DIRE (NIENTE) sensibili che avvertono anche lo spostamento d’aria provocato dal movimento delle molecole. Questo effetto, sostanzialmente, ci dà la possibilità di sentire meglio alcuni suoni e quindi sono giunti alla conclusione che i rumori o i sussurri amplificano il nostro udito. Anche se non sembra vero, in mezzo al rumore siamo in grado sentire e distinguere i suoni dieci volte più facilmente che nel silenzio. Detto in un altro modo, quello che ci sembra un suono strano è la conseguenza di un ascolto più naturale di quanto pensiamo. Tuttavia, se lo si vuole, non sentiamo altro che il riflesso dei nostri desideri. Forse aveva ragione Arnheim: tutti ascoltiamo la stessa cosa. NON DIRE (NIENTE) 29 30 NON DIRE (NIENTE) BOLLETTINO D’ASCOLTO #4 8. giorno – 19 settembre 2015 DOVE SONO le voci? NON DIRE le voci? Potrebbe sembrare addirittura divertente. Robin, pur avendo passato le ore, i giorni, le settimane e gli anni ad ascoltare la radio, o forse proprio per questo, definì se stesso come un esperto in linguaggio falso. Chiunque ascolti la radio è oggi un esperto in linguaggio falso. Negli anni ‘30 e ‘40 le radio trasmettevano solo in Onda Media (AM). Tutte, senza distinzione nell’uso o nella latitudine, tutte le radio si trovavano sullo stesso dial. Poi sono venute la FM, i podcast e la TDT. E con essi è andato scomparendo e consumandosi un gran pezzo dell’immaginario radiofonico. Il pezzo che non coincide con le sintonie o le trasmissioni radiofoniche. Perché la radio, oltre alle parole che trasmette, è radio anche per quella parte di statica che esiste tra una emittente e l’altra. Come succede anche con le macchine elettriche, ci risulta difficile accettare una radio senza statica. Ci manca il rumore. Il rumore che affina l’udito. NON DIRE (NIENTE) 31 Adesso quella in AM è solo la radio dei fantasmi, è diventata pura statica. Nel diventare più radio che mai, ha deportato le voci. Come un quartiere abbandonato da tempo dai suoi abitanti e poco a poco mangiato dalla natura, sulle Onde Medie vivono solo satelliti che appaiono ogni tanto nel loro girare attorno al mondo nella ionosfera. Dove sono le voci di propaganda che sentiva Robin? Si sono forse suicidate nel loro inutile ripetersi? Nemmeno le voci di Iósif Stalin, di Churchill, di Hirohito, di Silvia Guerrico o di Tokyo Ros si sentono più in podcast. E in FM non hanno mai avuto uno spazio. 32 NON DIRE (NIENTE) NON DIRE (NIENTE) 33 BOLLETTINO D’ASCOLTO #5 9. giorno – 22 settembre 2015 Jonathan Crary suggerì che il sonno è la vetta più alta del capitalismo, l’unica che non ha ancora conquistato. Robin, pur essendo un comunista convinto, ammise che nella Mosca della URSS aveva visto per la prima volta i capitalisti nel fango, ruzzolando di piacere come i maiali. Probabilmente stavano festeggiando la vittoria, consci di tutte le possibili cime che avevano da conquistare davanti al più grande regalo che la Guerra Fredda gli avrebbe offerto. Non mi è chiaro, che cosa volesse ottenere esattamente Robin con questo esercizio che per certi aspetti possiamo considerare assurdo. In realtà aveva voluto fare una tanto necessaria e precisa diagnosi della macchina della propaganda, rivendicando e dando un senso all’unica ossessione che era diventata la base della sua vita. O semplicemente non era altro che la vittima del lavoro che per anni era stato costretto a fare. “Ho smesso di dormire: l’estrema negligenza è diventata il mio oppio, il mio Lete (...) Un crudele destino ha agito contro la mia 34 NON DIRE (NIENTE) volontà: una professione mi ha imprigionato. Un luogo mi ha intrappolato.” Quando la stanchezza ha la meglio, è difficile ... svegli... in piedi... NON DIRE (NIENTE) 35 36 NON DIRE (NIENTE) BOLLETTINO D’ASCOLTO #6 10. giorno – 23 settembre 2015 L’ascolto della radio che parla solo di se stessa mi obbliga a invitare nuovi interlocutori nelle mie scene notturne. Ho combinato l’ascolto di oggi con una lettura di Velimir Khlebnikov, più che per raddoppiare l’attenzione, per conoscere il precipizio che può sorgere tra diversi tipi di attenzione. Khlebnikov (1885-1922) fu uno degli esponenti del multiforme movimento futurista russo. Era uno scrittore e fece parte del movimento artistico Hylae, assieme a Kamensky e a Mayakovksy. Morì giovane. Uno dei suoi ultimi sorprendenti testi ha come titolo “La radio del futuro”. In esso, con un’alta dose di fantasia, immaginò la radio come il principale mezzo di comunicazione del futuro, e in quell’esercizio identificò la stessa radio come la base della tecnologia della comunicazione che oggi conosciamo. Khlebnikov immaginò che, lasciata in mano agli artisti, la radio sarebbe diventata un gigantesco mezzo di comunicazione che avrebbe diffuso e trasmesso le idee. Libri radiofonici, pareti radiofoniche da NON DIRE (NIENTE) 37 leggere, auditorium radiofonici, mostre di arte radiofonica, schermi radiofonici, club radiofonici... la radio che lui aveva sognato avrebbe creato gli strumenti per vedere ed ascoltare dal più piccolo evento naturale alla vivace attività delle grandi città. Quello che gli americani, e successivamente noi, abbiamo chiamato ebook, computer, ipad o discoteca. Sognando che anche la più povera delle case di un minuscolo villaggio godesse del piacere del suono che esce dalla radio, immaginò la radio come una gigantesca fonte di informazione di ogni tipo. Gli americani, e quindi anche noi, lo chiamiamo Internet. Tuttavia, lungi dall’essere solo l’innocente e preveggente frutto della fantastica immaginazione di un artista, Khlebnikov illustrò anche i pericoli di tale tecnologia: “Il rischio è grande. Se la radio si spegnesse, l’intero territorio soffrirebbe un blackout mentale, una perdita di coscienza momentanea.” Khlebnikov stava parlando proprio del blackout che Robin aveva sentito. Del blackout che l’eccesso di rumore avrebbe trasformato in un gigantesco silenzio. 38 NON DIRE (NIENTE) NON DIRE (NIENTE) 39 BOLLETTINO D’ASCOLTO #7 13. giorno – 26 settembre 2015 Forse come conseguenza dell’aver passato tante ore ad ascoltare la statica, continuo con la faccenda del rumore. In attesa che diventi silenzio. Victor Hugo, nel 1843 a Donibane Lohitzune sentì “La charrette de boeufs”. Il rumore stridente di un carro di buoi riempì le sue orecchie, fino a fargli raggiungere una specie di estasi. In quel lacerante rumore sentì i ricordi della sua infanzia. Nel silenzio sorto dal rumore recuperò ricordi intimi. Sentì della musica. E concluse: “amico, oggi non ti scriverò nient’altro.“ 40 NON DIRE (NIENTE) BOLLETTINO D’ASCOLTO #8 16. giorno – 28 settembre 2015 La radio si è chiusa. Come il castello. Non spenta, ma chiusa. È un fenomeno transnazionale, e non voglio credere che sia solo una questione estetica. La radio da tempo non accetta voci che non siano le sue. E, se lo fa, solo per telefono. La radio, a differenza della TV, non esce quasi mai per strada. È diventata la metafora di una fortezza a cui si lega un gigantesco megafono di epoche passate. Una prigione delle voci. E come in tutte le prigioni, obbliga colui che parla ad utilizzare la voce in un determinato modo. Puoi scorrere tutte le frequenze del dial da sinistra a destra e, anche se con differenti tonalità, ascolterai sostanzialmente sempre la stessa voce. Se è di un uomo, dolce, sensuale, maschile. Se è di una donna, dolce, sensuale, femminile. La radio ha perso il rumore. L’ha lasciato sulla AM e nelle interruzioni delle gallerie delle strade di montagna. Non ne ha più bisogno. Vorrebbe essere una televisione senza immagini. Robin, che dire, rispetto alla radio ancora sognatrice che immaginava Khlebnikov, la radio NON DIRE (NIENTE) 41 moderna ha perso non solo il bisogno ma anche la capacità di sognare. Non fa altro che ripetere ciò che dicono mezzi di comunicazione ben più diffusi in un balbettio ininterrotto e ansioso. Ha trasformato se stessa in uno svago, se si vuole in ozio dell’informazione. Emarginata, la radio non fa che ripetere la morte di se stessa. È un onanista suicida. 42 NON DIRE (NIENTE) NON DIRE (NIENTE) 43 BOLLETTINO D’ASCOLTO #9 17. giorno – 2 ottobre 2015 Pur ascoltando tutte le radio del mondo, quello che ascolteremo in tutte si chiama compressione. La compressione dà al linguaggio della radio quel suo splendore glossy. Il compressore, quello che interviene nella dinamica del suono, non quello che riguarda lo spazio occupato dai dati, fondamentalmente nacque per sistemare problemi di presenza e di volume. Nel Nord America, negli anni ‘20, ogni stazione radio aveva a disposizione un solo canale e una determinata potenza di emissione. Quando l’emissione di una radio superava tale potenza, si creava l’effetto definito “overmodulation”. Tale effetto, oltre a distorcere lo stesso suono, poteva creare delle interferenze nelle altre emittenti. L’obiettivo delle emittenti radiofoniche ai tempi era diverso. Come segno della loro natura propagandistica, le radio commerciali fin dalla loro nascita hanno giocato a un volume più alto nella gara del farsi sentire. Hanno imparato alla svelta che nello scorrere delle frequenze, la radio che si sente più alta ottiene il maggior numero di 44 NON DIRE (NIENTE) ascoltatori. Pertanto il compressore non è altro che uno strumento di efficienza. Senza arrivare a disturbare, uno strumento che serve per ascoltare più alta la propria voce. Attualmente il 99% delle trasmissioni radiofoniche utilizza la compressione. Il livello di compressione del suono, o se si preferisce la mancanza di dinamica, decide la qualità dell’emissione che stiamo ascoltando. La compressione è brillante, diretta. Può accecare le orecchie. La compressione non condiziona solo il segnale, ma anche l’infrastruttura che il segnale crea. Di conseguenza, sulla radio ha avuto probabilmente conseguenze irreversibili. A volte, in questa deriva che seguo andando a caccia lungo il dial, a volte ho dei dubbi se sto ascoltando la radio oppure un suono compresso. O se ci sia un qualche modo per distinguerli. O se mai potrò ascoltare senza bisogno di accecarmi, una radio che parli per il solo raccontare qualcosa. NON DIRE (NIENTE) 45 46 NON DIRE (NIENTE) BOLLETTINO D’ASCOLTO #10 20. giorno – 1 novembre 2015 Armand non capirebbe perché la radio mostra tanta musica. E a capirlo, senz’altro, finirebbe nauseato. Nauseato dagli autotune compressi. Forse, spinto da una scusa egoista di un progetto artistico, sto proiettando il mio esercizio sul suo. Come far finta di non sentire. L’ho incontrato in una domanda: quanti discorsi trasportiamo con noi? quante parlate? quanti successi vivono dentro di noi? Una mezza lettera e una sottigliezza concettuale separano la parola italiana NIENTE da quella spagnola MIENTE. “Il dittatore, seguendo il suo sogno, se tenesse tutto l’universo per sé, imporrebbe un’unica parlata. Un dire che farebbe sentire solo lo spaventoso silenzio. In tutte le lingue regnerebbe la parlata scartata. E quel mago, un mago isolato nell’afasia, nell’atonia e nella sordità, sarebbe il primo che le sue parole farebbero scomparire.” Prigioniera nei campi di concentramento di parole. La radio. NON DIRE (NIENTE) 47 Ed ecco il dolore di Armand Robin. Per ora, la cella che sto per lasciare. 48 NON DIRE (NIENTE) NON DIRE (NIENTE) 49 FOTOGRAFIE 1. COPERTINA / Xabier Erikizia 2. Armand Robin au poste de radio: photo de Claude Roland-Manuel 3. Bruce McClure @ Sala Santa Rita / Xabier Erkizia 4. NON DIRE (NIENTE) @ Sala Santa Rita, Roma / Marco Minciarelli 5. NON DIRE (NIENTE) @ Sala Santa Rita, Roma / Marco Minciarelli 6. Alex Mendizabal & Bruce McClure performing NON DIRE (NIENTE) @ Sala Santa Rita, Roma. Novembre 2015 / Xabier Erkizia 7. Alex Mendizabal & Bruce McClure performing NON DIRE (NIENTE) @ Sala Santa Rita, Roma. Novembre 2015 / Marco Minciarelli 50 NON DIRE (NIENTE) Installazione NON DIRE (NIENTE) · 3 radio AM, una radio hackerata, una macchina da scrivere e 3 casse acustiche. · 7 brani musicali + 10 scritti (bollettini d’ascolto) Sala Santa Rita, Roma (Italia) 10-22 novembre 2015 Visitazioni, International Sound Art festival Testi e suoni Xabier Erkizia Assistenza tecnica Julio Garcia, Marcello Liberato Curatore Giovanni Antognozzi NON DIRE (NIENTE) 51 Ringraziamenti Alex Mendizabal, Marcello Liberato, Gianni Antognozzi e familia, Julio Garcia, Luca Rullo, Roberta Gozzi, Arantxa Iturbe, Bruce McClure, Iñigo Telletxea, Xavier Balderas, audiolab, Silvia Pallini, ACE, Aloña Intxaurrandieta, Paola Rosa, Leire Mendizabal, Sebastian Mendizabal, Iben Mendizabal.