Antinopoli, alla vita, alla moda.
Photo ©Cédric Roulliat
Visioni di eleganza nelle solitudini.
Esposizione dal 1˚ ottobre 2013 al 28 febbraio 2014
in partenariato con il Musée du Louvre e l’Opéra national de Lyon.
Questa esposizione è riconosciuta d’interesse nazionale dal Ministero della Cultura e della
Comunicazione, Direzione generale dei patrimoni, Servizio dei Musées de France. Beneficia a questo
titolo di un eccezionale sostegno finanziario dello Stato. Beneficia inoltre di un sostegno della Direzione
regionale delle attività culturali Rhône-Alpes.
Ufficio stampa :
[email protected]
MTMAD
34 rue de la Charité
69002 Lyon
www.MTMAD.fr
CARTELLA STAMPA
Sommario
1. Comunicato stampa della mostra
2. Comunicato stampa del Ministero della Cultura e della Comunicazione
3. Introduzione
4. La campagna del 1897: la rivelazione delle necropoli di Antinopoli e dei loro tesori
5. La terza campagna di scavi del 1898
6. L’esposizione del prodotto della terza campagna di scavi al Musée Guimet di Parigi
nel 1898
7. Gli abiti scoperti durante la terza campagna di scavi (1898)
8. Le campagne successive (1899-1908)
9. I capolavori provenienti dalle diverse campagne
10. Il costume ad Antinopoli
11. La sepoltura di «Thaïs di Antinopoli» (Thaïas)
12. La sepoltura di Leukyôné
13. La sepoltura del «cavaliere bizantino»
14. La sepoltura del «conducente di carro»
15. La sepoltura del «funzionario porporato»
16. Lo «scialle di Sabina»
17. Immagini a disposizione della stampa
18. Intorno alla mostra
19. I partners
20. Presentazione del MTMAD – Musée des Tissus Musée des Arts Décoratifs
21. Informazioni pratiche
2
CARTELLA STAMPA
1 – Comunicato stampa della mostra
Antinopoli, alla vita, alla moda.
Visioni di eleganza nelle solitudini.
Questa esposizione è
riconosciuta d’interesse
nazionale dal Ministero della
Cultura e della Comunicazione,
Direzione generale dei
patrimoni, Servizio dei Musei
di Francia. Beneficia a questo titolo
di un eccezionale sostegno
finanziario dello Stato.
Mostra organizzata
dal Musée des Tissus,
in partenariato con
il Musée du Louvre
e l’Opéra national de Lyon.
Curatori :
Florence Calament – conservatrice del patrimonio, sezione
Copta, dipartimento delle Antichità egizie, Musée du Louvre
Maximilien Durand – direttore del Musée des Tissus e del Musée
des Arts décoratifs
Immagini a disposizione della stampa :
http:/www.echanges-ccil.fr/
Utente : presse
Password : pressemusee
Ufficio stampa : [email protected]
3
CARTELLA STAMPA
Nel 1896, Émile Guimet, celebre industriale lionese, ottiene di poter condurre un cantiere di scavo sul
mitico sito di Antinopoli. La città era stata fondata nel 130 dall’imperatore Adriano sul luogo dell’annegamento
del suo favorito Antinoo. Unica fondazione imperiale sul suolo egizio, Antinopoli (in greco Antinoopolis) è stata
voluta come una fucina di ellenismo e di raffinamento. Essa ospitava il palazzo del governatore ed era dotata di
monumenti notevoli: un arco di trionfo, dei portici monumentali, dei templi – tra cui il santuario di Antinoo, un
tempio di Iside, un tempio di Serapis – un teatro, un ippodromo… Durante i periodi romano e bizantino (fino
all’VIII secolo), è sicuramente una delle città più brillanti del mondo mediterraneo.
Incaricato da Émile Guimet, l’archeologo Albert Gayet dirige, nel 1896, una prima campagna molto
promettente. Nondimeno, è nel corso della seconda campagna che porta alla luce le necropoli della città. I
vestiti esumati dai sepolcri rivelano al mondo l’eleganza dei suoi abitanti. Émile Guimet, immediatamente
convinto dell’importanza della scoperta, persuade la Camera di Commercio di Lione a finanziare in gran parte la
terza campagna che avrà luogo nel 1898. Questa ha come obiettivo di proseguire l’esplorazione delle necropoli
e di procurare al museo dei Tessuti di Lione abiti o frammenti di indumenti fino ad allora sconosciuti. Degli
esemplari precoci e unici di tessuti in seta, segnatamente, sono rivelati in questa occasione. Il frutto della
campagna di scavi viene brevemente esposto a Parigi, al Musée Guimet, prima di integrare le collezioni del
Musée des Tissus nel 1899. Tali reperti, nondimeno, rimangono prevalentemente inediti. Infatti, solo qualche
pezzo è presentato al suo arrivo, mentre la maggior parte resta nelle casse, nello stato conservativo in cui si
trovava al momento del ritrovamento nello scavo.
Il successo dell’esposizione al Musée Guimet permette ad Albert Gayet di portare avanti l’esplorazione del sito.
Ogni anno, fino al 1908, il Palais du Costume, il Musée Guimet o il Petit Palais degli Champs-Élysées
organizzeranno un’esposizione estiva prima della dispersione del materiale, ripartito tra diversi musei, musei di
storia naturale o università. Il Musée des Tissus riceverà quasi ogni anno, sempre grazie a Émile Guimet, i pezzi
più significativi per la storia del costume o del tessile.
Oggi, il Musée du Louvre possiede la più importante collezione di oggetti esumati ad Antinopoli. Con la
recente riscoperta degli abiti provenienti dalla campagna del 1898, il Musée des Tissus rivela di conservare
altresì una collezione considerevole. Da quasi due anni, in effetti, le stoffe dimenticate nelle casse originali sono
state identificate, analizzate e restaurate per essere svelate al pubblico.
La mostra Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini presenta quindi, grazie al
partenariato tra questi due musei e per la prima volta, degli insiemi infine riuniti e numerose opere inedite. Per
la prima volta, inoltre, è precisamente dal punto di vista della storia della moda che questo materiale può
essere considerato. Infatti, diversi abiti completi da uomo e da donna – dalle calzature agli accessori passando
per i manti, le camicie o i vestiti – sono qui esposti.
In partenariato con l’Opéra national de Lyon, questi costumi sono stati oggetto di minuziose restituzioni, messe
poi in scena dal fotografo Cédric Roulliat. Essi rivelano le mode nell’abbigliamento della tarda Antichità, il gusto
degli eleganti per le stoffe di lusso, in seta o in lana, così come le influenze di un Oriente mitico, la Persia, di cui
si adottano allora gli abiti da cerimonia o il repertorio ornamentale.
Le stoffe, dal canto loro, mostrano anche che Antinopoli era un centro di produzione tessile di primaria
importanza, il quale rispondeva alle esigenze di una popolazione composita, titubante tra un paganesimo
crepuscolare e un cristianesimo sempre più ufficiale.
La mostra presenta la totalità della campagna del 1898 e gli elementi più eccezionali delle campagne
successive, organizzati intorno agli abiti della famosa «Thaïs», nella quale si è talvolta riconosciuto l’eroina del
romanzo di Anatole France e dell’opera di Jules Massenet, oppure a quelli di Leukyôné, la pagana ritrovata con
il suo lararium e associata da Albert Gayet al regno di Eliogabalo. Il Musée du Louvre ha concesso dei prestiti
importanti, tra i quali diversi capolavori esposti a Lione per la prima volta, come lo «scialle di Sabina»,
presentato finalmente assieme agli elementi conservati al Musée des Tissus e al Musée des Beaux-Arts di
Lione. Il Palais des Beaux-Arts di Lille e il Musée des Confluences di Lione hanno ugualmente accettato di
prestare le mummie vestite di un «conducente di carro» che officiava all’ippodromo, di un «funzionario
porporato», molto probabilmente addetto all’amministrazione del palazzo, e di un «cavaliere bizantino»
abbigliato con il costume caratteristico del suo rango.
Quasi duecentocinquanta opere (di cui settanta prestiti del Louvre) sono presentate nell’esposizione: abiti
completi, copricapo, calzature, frammenti, tappezzerie, cuscini funebri, corpi vestiti (per la maggior parte datati
tra i secoli IV e VIII), acquarelli contemporanei degli scavi e fotografie di Cédric Roulliat.
Esposizione dall’1 ottobre 2013 al 28 febbraio 2014.
4
CARTELLA STAMPA
2 - Comunicato stampa del Ministero della Cultura e della Comunicazione
Azioni a favore dei musei di Francia :
esposizioni che hanno ricevuto il riconoscimento di esposizione di interesse
nazionale
Aurélie Filippetti, ministro della Cultura e della Comunicazione, annuncia la lista delle 20
manifestazioni che ricevono il riconoscimento « Exposition d'intérêt national » (Esposizione
di interesse nazionale) nel 2013.
Il riconoscimento « Exposition d'intérêt national » ricompensa ogni anno i musei di Francia
che mettono in opera delle esposizioni di pregio tanto per la loro qualità scientifica quanto
per il carattere innovativo delle azioni di mediazione culturale che le accompagnano.
Queste Esposizioni di interesse nazionale si inscrivono nel quadro della politica di diffusione
e di allargamento del pubblico condotta dal Ministero della Cultura e della Comunicazione.
Esse partecipano altresì alla sua politica di azione territoriale, con la ricerca di una giusta
ripartizione dell’aiuto dello Stato tra le collettività promotrici di progetti. Le sovvenzioni
eccezionali assegnate ai progetti selezionati dalla Direzione generale dei patrimoni, servizio
musées de France, possono raggiungere i 50.000 euro.
Le esposizioni scelte nel 2013 sono le seguenti :
Interférences/Interferenzen, architecture, Allemagne-France, 1800-2000
Strasbourg - Musée d'art moderne et contemporain, 29 marzo – 21 luglio 2013
Mémoires vives, une histoire de l'art aborigène
Bordeaux – Musée d'Aquitaine, 26 ottobre 2013 – 30 marzo 2014
Georges-Antoine Rochegrosse (1859-1938)
Moulins – Musée Anne de Beaujeu, 29 giugno 2013 – 5 gennaio 2014
François-André Vincent (1746-1816) – Un artiste entre Fragonard et David
Tours – Musée des Beaux-Arts, 19 ottobre 2013 – 19 gennaio 2014
Sur la route des Indes : un ingénieur français sur la route du Tamilnadu
Châlons-en-Champagne – Musée des beaux-arts et d'archéologie
21 settembre 2013 – 15 bebbraio 2014
Courbet et Cézanne
Ornans – Musée Courbet, 29 giugno – 14 ottobre 2013
Tourbillonnante Joséphine Baker
Boulogne-Billancourt - musée des années 30, 21 novembre 2013 – 23 marzo 2014
Une odyssée gauloise. Parures de femmes à l'origine des premiers échanges entre la Grèce
et la Gaule - Lattes – Musée de Lattara, 27 aprile 2013 – 12 gennaio 2014
Le goût de Diderot
Montpellier – Musée Fabre, 5 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014
Aubusson, tapisseries des Lumières. Splendeurs de la manufacture royale, fournisseur de
e
l'Europe au XVIII Siècle.
Aubusson – Cité de la Tapisserie, 15 giugno – 31 ottobre 2013
Ours - mythes et réalités
Toulouse – Muséum d'histoire naturelle de Toulouse, 11 ottobre 2013 – 30 giugno 2014
5
CARTELLA STAMPA
Une renaissance, l'art entre Flandre et Champagne
Saint-Omer – Musée de l'hôtel Sandelin, 5 aprile – 1 luglio 2013
Picasso, Léger, Masson : l'histoire d'une galerie
Villeneuve d'Ascq – LaM, 28 settembre 2013 – 12 gennaio 2014
Clemenceau et les artistes modernes : Manet, Monet, Rodin.
Les Lucs-sur-Boulogne – Historial de la Vendée, 8 dicembre 2013 – 2 marzo 2014
Chaissac-Dubuffet – Entre plume et pinceau
Les Sables d'Olonne – musée de l'abbaye Sainte-Croix, 13 ottobre 2013 – 26 gennaio 2014
Joseph Cornel et les surréalistes à New York – Dali, Duchamp, Ernst, Man Ray
Lyon – Musée des beaux-arts, 18 ottobre 2013 – 10 febbraio 2014
Antinoé, à la vie à la mode. Visions d'élégance dans les solitudes
Lyon – musée des Tissus, 1 ottobre 2013 – 28 febbraio 2014
Nel quadro di Normandie impressionniste :
Un été au bord de l'eau ; loisir et impressionnisme
Caen – Musée des beaux-arts, 27 aprile – 29 settembre 2013
Eblouissants reflets – 100 chefs d'œuvre impressionnistes
Rouen – Musée des beaux-arts, 29 aprile – 30 settembre 2013
Vernon et les bords de Seine au temps des impressionnistes
Vernon – Musée Poulain, 7 aprile – 22 settembre 2013
Pissarro dans les ports : Rouen, Dieppe, le Havre
Le Havre – Musée d'art moderne André Malraux, 27 aprile - 29 settembre 2013
Nel quadro di Nancy Renaissance 2013 :
Un nouveau monde : naissance de la Lorraine moderne
Nancy – Musée Lorrain, 4 maggio – 4 agosto 2013
L'automne de la Renaissance : d'Arcimboldo à Caravage
Nancy – Musée des beaux-arts, 4 maggio – 4 agosto 2013
Nel quadro di Marseille-Provence 2013 – Capitale europea della cultura:
Le grand atelier du Midi, de Van Gogh à Bonnard
Marseille – Palais Longchamp, 13 giugno – 13 ottobre 2013
Nuage
Arles – Musée Réattu, 16 maggio – 31 ottobre 2013
Le grand atelier du Midi, de Cézanne à Matisse
Aix-en-Provence – Musée Granet, 13 giugno – 13 ottobre 2013
Ufficio stampa
Dipartimanto dell’informaz ione e della comunicazione
01 40 15 74 71
[email protected]
Direzio ne ge nera le de i patrimoni
Françoise Brézet 01 40 15 78 14 fra ncoise.breze [email protected] uv.fr
www.culturecomm uni catio n.gouv.fr
6
CARTELLA STAMPA
3 - Introduzione
Busto di Antinoo detto «Antinoüs
d'Écouen».
Marmo, copia del XVIII secolo
da un originale proveniente dalla villa
Adriana, conservato al museo del Prado.
A
ntinopoli (in greco Antinoopolis) è una capitale situata sulla riva orientale del Nilo, in Medio Egitto, a circa
trecento chilometri a sud del Cairo.
Deve il suo nome – che significa «la città di Antinoo» - e il suo prestigio alle circostanze della sua fondazione da
parte dell’imperatore Adriano il 30 ottobre dell’anno 130. La città viene stabilita proprio nel luogo dove il
favorito dell’imperatore, il giovane Antinoo, era appena annegato nel Nilo. Le circostanze del dramma non
sono chiare. L’efebo è stato assassinato? Si è immolato per scongiurare un oracolo nefasto al suo amante?
Comunque sia, Adriano resta inconsolabile. Fonda la città che porta il suo nome, divinizza il giovane uomo e gli
fa dedicare un culto, sotto il nome di Osiride-Antinoo.
L’organizzazione spaziale della città di Antinopoli è determinata dall’asse del Nilo e dalla catena montuosa
arabica che si erge sullo sfondo. La città si stende su una piana parallela alla riva del fiume e al riparo di questo
anfiteatro naturale, all’interno di una cinta trapezoidale di mura in mattoni crudi lunga più di cinque chilometri.
Preceduta da vestigia risalenti almeno al Medio Impero, la città è costruita secondo il modello delle colonie
greche già esistenti in Egitto, ma si tratta di un caso unico di fondazione imperiale sul suolo egizio. L’ambizione
politica espressa è quella di farne una vetrina e un tramite del potere di Roma nella provincia d’Egitto nonché
un nuovo centro di ellenismo.
Questa determinazione si traduce nel piano urbanistico : un arco di trionfo costituisce l’entrata monumentale
della città sul Nilo e delle vaste colonnate orlano le vie principali, il cardo e il decumanus, che si incrociano ad
angolo retto e servono i cinque quartieri (grammata) designati dalle prime lettere dell’alfabeto greco e il sesto
denominato Hadrianeios, a loro volta suddivisi in agglomerati; la città comprende inoltre un teatro, dei bagni
pubblici, un ampio ippodromo fuori delle mura e numerosi templi, tra i quali l’Antinoeion, dedicato «ad Antinoo
che troneggia assieme agli dei d’Egitto», come rivela un’iscrizione trovata sul sito.
Durante tutto il periodo romano e bizantino, Antinipoli è un eminente centro politico, religioso e intellettuale,
situato all’apertura di un nuovo accesso verso i porti del Mar Rosso, sulla Via Nova Hadriana, inaugurata nel
137. Capoluogo di un nome – o divisione amministrativa – essa ospita il palazzo del governatore provinciale.
Essa è anche sede di un vescovado e attira i pellegrini venuti per venerare la tomba del santo martire Colluthus,
vittima, nel IV secolo, delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano. L’insegnamento che vi è dispensato,
particolarmante nel campo delle matematiche e della medicina, è molto reputato.
Il culto degli dei dell’Egitto e dell’Impero, Iside, Osiride, Serapide, ma anche dei greci Apollo, Atena o Zeus,
sembra perdurare fino al periodo bizantino mentre, d’altra parte, pure il cristianesimo si impone. Tale diversità
confessionale corrisponde all’eterogeneità della popolazione.
La città declina poco a poco con la conquista araba dell’Egitto, nel 640. Le pietre dei monumenti servono
all’edificazione della nuova città del Cairo. Dopo l’VIII secolo, cade lentamente nell’oblio, e lo splendore della
7
CARTELLA STAMPA
città romana e bizantina non sopravvive che come un ricordo nei racconti meravigliosi della maggior parte dei
geografi arabi medievali.
Alcuni viaggiatori occidentali riscoprono le sue vestigia dalla fine del XVI secolo. Tuttavia le sue rovine escono
concretamente dal degrado grazie alla Spedizione d’Egitto e al lavoro di Edme François Jomard, che vi
soggiorna ben cinque volte tra il 1798 e il 1800 e che compone un disegno complessivo.
Il regno del viceré riformatore Muhammad Alí (1805-1849) risulta particolarmente devastatore: i lavori di
irrigazione e di industrializzazione congiunti allo stato di abbandono del sito causano quasi la disparizione delle
rovine.
Il potenziale archeologico di Antinopoli è nondimeno presentito da Émile Guimet (1836-1918). La sua
determinazione gli permette di ottenere l’autorizzazione di effettuarvi degli scavi, che egli stesso finanzia a
partire dal 1896. Gli ci saranno voluti dieci anni per mettere in opera questo progetto, da quando lanciò il suo
famoso: «Non ci sarebbe qualcosa da fare ad Antinopoli?». Un giovane archeologo, Albert Gayet (1856-1916),
viene scelto per guidare il cantiere. Consacrerà venti anni della sua vita e tutti i suoi sforzi alla rivelazione della
brillante civiltà di Antinopoli e della raffinata quotidianità dei suoi abitanti.
Pianta generale degli scavi di Antinopoli, di Albert Gayet, 1900 circa,
© La Nature 2037, 1912, fig. 7, p. 19.
8
CARTELLA STAMPA
4 - La campagna del 1897: la rivelazione delle necropoli di Antinopoli e dei loro tesori
Albert Gayet conduce la sua prima campagna sul sito di Antinopoli nel marzo-aprile del 1896. Lo
stesso Émile Guimet gli aveva affidato la missione di scoprire testimonianze della fusione del
simbolismo egizio nelle credenze greche e romane.
Devo dire subito che la mia attesa fu in parte delusa o, piuttosto, che l’importanza degli
sterri necessari per arrivare a scoprire, all’interno di una città, la quantità di statuette
religiose che mi aspettavo era talmente considerevole che paralizzò l’esplorazione.
Albert Gayet, 1905.
Le ricerche vengono orientate in primo luogo sulla città d’epoca faraonica che aveva preceduto la
fondazione di Adriano. Albert Gayet disvela innanzitutto le rovine del cortile e della sala ipostila di un
tempio dell’epoca di Ramses II, situato a nord-ovest dell’incrocio tra i due viali principali della città
romana. Nella pianura e nella montagna circostanti, rileva inoltre alcune tombe del Medio Impero.
Delle statuette greco-egizie, delle ceramiche, qualche maschera in gesso o in terracotta e qualche
piccolo oggetto egizio si vedono esposti al Musée Guimet al suo ritorno, ma alcun tessile appare
ancora fra le scoperte.
Sempre grazie ad un’esortazione del Musée Guimet,
Albert Gayet riprende gli scavi dal febbraio all’aprile del
1897. Porta alla luce le fondazioni di una cappella di
Amenofi IV, il cortile e il pronao di un tempio di granito
dedicato a Iside-Demetra e le vestigia di un tempio di
Serapide. Si allontana quindi dal limite della città e
scopre un «campo di offerte», vale a dire di numerose
anfore sigillate riempite di cereali, di miele o di gallette,
interrate nel suolo dai pellegrini venuti a venerare
Osiride-Antinoo. Ma, nel mese di marzo, egli scopre,
all’est della città, quattro quartieri di una necropoli che
attribuisce ai periodi faraonico, romano, bizantino e
copto.
Nessuna descrizione saprebbe rendere l’aspetto di questa necropoli di Antinopoli,
tale quale mi è stato dato di vedere nel corso stesso degli scavi eseguiti a cura del
Musée. Sotto un chiaro sole primaverile, il deserto sfumava, uniformemente
monotono, in larghe onde gialle, lucenti di un riverbero bianco da cui saliva come un
vapore luminoso, sfuggito a qualche focolare misterioso. A misura che ci si
avvicinava al campo di esplorazione, delle fosse, impercettibili da lontano,
annunciavano i pozzi di sondaggio. Attorno, i contorni degli operai si profilavano a
momenti, netti, con una precisione straordinaria. Delle bande di bambini, la testa
carica di una cesta di rosai intrecciati piena di frantumi, passavano cantando una
9
CARTELLA STAMPA
lamentazione. L’insieme del quadro non aveva inizialmente nulla di così funebre. Ma
quando, dall’alto di un monticello, lo sguardo abbracciava tutto il cantiere in
attività, si sarebbe detto essere sotto l’effetto di qualche fantastico incubo.
Disposte in file ravvicinate, come nei nostri cimiteri, le fosse svuotate si aprivano
spalancate mentre, sul versante delle sabbie riversate al loro fianco, giacevano i
coperchi delle sepolture, mescolati alle ossa dei morti. Delle teste, delle braccia,
delle gambe, dei tronchi disarticolati, dei lembi di stoffa ricoprivano ovunque il
suolo. Qui, erano stesi dei corpi interi, completamente vestiti.
Degli altri, spogliati del tutto, esibivano la loro miserevole nudità in un’attitudine
sinistra, che conservava come un’impronta di morte recente, e che rendeva più
orribile ancora il loro ammirevole stato di conservazione. Non un capello mancava a
queste fronti ingiallite; non un ciglio, a queste orbite vuote; non un’unghia, a queste
mani insecchite; non un pollice di pelle, a questi muscoli come pietrificati.
Albert Gayet, 1897.
L’archeologo porta alla luce le sepolture di diverse «signore romane», inumate con i loro più ricchi
apparati e adagiate su preziosi cuscini funerari, e quella di un «ufficiale», vestito di un mantello color
carminio ornato di passamanerie di seta.
La sola difficoltà è quella di togliere i vestiti senza strapparli, perché le pieghe, alla
lunga, hanno aderito, e la minima trazione riduce la stoffa in briciole; al punto che,
presa alla sprovvista questo inverno, l’esplorazione non ha dato che risultati
imperfetti, e che gli esemplari spediti al museo non vi giungeranno che in brandelli.
Albert Gayet, 1897.
Quando Émile Guimet scopre il prodotto della seconda campagna e gli esemplari unici di stoffe
preziose che da questa provengono, si convince che l’esplorazione vada proseguita. Per questo deve
trovare dei finanziamenti complementari. La Camera di Commercio di Lione è allora sollecitata. Il 27
settembre 1897, Émile Guimet fa pervenire al Presidente della Camera:
1 – due cornici contenenti delle stoffe trovate ad Antinopoli (Egitto) e risalenti al
periodo romano ; 2 – quattro buste contenenti dei frammenti di stoffe non incollate
affinché si possa esaminarne la tessitura ; 3 - un fascicolo che illustra il risultato
degli scavi. Monsieur Albert Gayet, il sapiente egittologo che dirigeva i lavori, non
non si aspettava minimamente di riscontrare stoffe di questa importanza. Male
attrezzato, egli non ha potuto raccogliere che dei piccoli pezzi. L’anno prossimo, le
precauzioni saranno prese meglio e i campioni di stoffa sicuramente più importanti.
Se la Camera di Commercio si interessa a tali ritrovamenti e se aggiunge 2000
franchi alle soscrizioni raccolte per gli scavi di Antinopoli, il Sig. Gayet riserverà tutte
le stoffe e le invierà alla Camera di Commercio la quale farà la sua scelta.
10
CARTELLA STAMPA
Senza esitare, e davanti all’importanza delle scoperte
fatte nel 1897 per la storia dei tessili della tarda
Antichità, la Camera di Commercio diventa il primo
socio degli scavi di Antinopoli al fine di dotare il suo
Musée des Tissus delle scoperte più considerevoli
provenienti dal sito. Essa otterrà il frutto quasi
integrale della terza campagna di scavo, svolta nel
1898.
Seta, Antinopoli, campagna del 1897,
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 26812.2
5 - La terza campagna di scavi del 1898
Albert Gayet conduce la sua terza campagna di scavi tra il febbraio e l’aprile del 1898. Questa volta,
concentra i suoi lavori sui quattro quartieri del cimitero della piana. Li nomina A, B, C e D, e vi
riconosce rispettivamente una «necropoli egizia» (A), una «necropoli romana» (B), una «necropoli
bizantina» (C) e delle «sepolture copte» (D). Ogni tomba riceve a sua volta un numero.
Così si parlerà, per esempio, dell’occupante della tomba B 281 – necropoli B, tomba 281 – o della
defunta inumata nella tomba B 417. È negli ultimi tre quartieri che egli porta alla luce degli esemplari
inediti di costumi.
Nelle tombe del primo gruppo, il morto è imbalsamato in maniera sommaria, gli
amuleti che lo circondano appartengono al rituale antico, niente annuncia i culti
olimpici. Nel secondo, i cadaveri sono talvolta ancora ricoperti di bende, ma non
mummificati. Un bagno di leggero bitume aromatizzato, e soprattutto l’azione della
sabbia li hanno preservati altrettanto e forse più che l’imbalsamatura faraonica. Le
carni si sono disseccate, la pelle si è indurita. Sul volto è posata una maschera di
gesso dipinto o dorato su cui sono incastonati degli occhi di smalto. Ma più spesso il
defunto è vestito di un abito simile a quello che portava in vita, e gli oggetti inumati
assieme a lui appartengono al culto greco-egizio. Nel quartiere copto, infine, i morti
sono abbigliati come i precedenti, ma le stoffe sono più grossolane, i ricami di cui
sono ornate meno curati, gli accessori meno lussuosi.
[…] In due mesi , duemila cave furono aperte. Cinquanta solamente nella necropoli
antica; trecentocinquanta nella necropoli romana; cinquecento nella necropoli
bizantina; millecento nel cimitero cristiano.
Albert Gayet, 1898.
Sfortunatamente non si sa quasi nulla dei defunti che riposavano nei sepolcri in muratura della
pianura, nei quartieri B e C, e ancora meno di quelli che giacevano, semplicemente rivestiti e interrati
direttamente nella sabbia, nel quartiere D. Albert Gayet è effettivamente in difficoltà nel fornire delle
precisazioni sulle tombe che fa aprire.
11
CARTELLA STAMPA
Peraltro sono tutte anonime, non sussiste di quelle dei primi tre gruppi che la camera
sotterranea, il monumento che un tempo segnalava l’esistenza di tutte loro essendo
sparito per servire come materiale da costruzione. Di lì una mancanza assoluta di
documenti sulla data che conviene assegnare a ciascuna di esse, e sulla personalità di
coloro che vi sono venuti a riposare. Qualche indicazione approssimativa può appena
essere fornita dalla natura degli oggetti che esse richiudono.
Albert Gayet, 1898.
Ciononstante, di questi defunti anonimi che egli esuma in gran numero, dai quali preleva alcuni lembi
di stoffe che avevano costituito, un tempo, i loro abiti da cerimonia, Albert Gayet schizza, nel corso
delle sue pubblicazioni, un ritratto ben incarnato e quasi vivente.
Da questo cimitero addormentato per secoli, i morti si alzano, nuovi Lazzari, con il
loro viso di un tempo ; le loro tuniche hanno conservato le pieghe che l’abitudine
aveva fissato alle sinuosità del corpo; le corone con le quali si adornavano il capo non
sono affatto appassite, e i simboli della loro fede, il ricordo di ciò che hanno amato, ci
sono resi tali quali al giorno in cui, da mani pie, furono deposti al loro fianco.
Albert Gayet, 1902.
Dal 22 maggio al 30 giugno 1898, il prodotto della campagna dell’inverno è esposto al Musée Guimet
di Parigi. Il pubblico parigino scopre allora con stupefazione la raffinatezza e il lusso delle stoffe di
Antinopoli. Diciotto vetrine sono dedicate agli oggetti portati alla luce nelle necropoli.
Un mobile ad ante contiene gli
esemplari più fragili e preziosi di sete
che guarniscono gli abiti di lusso.
Sette vetrine sono devolute a degli
abiti completi da uomo o da donna
che l’archeologo qualifica da «alto
dignitario», da «amazzone» - la
prima «pagana», la seconda
«cristiana». Le altre contengono
vestiti più o meno frammentari.
Piani del mobile a sportelli realizzato dalla Maison Goumain frères.
© Documenti conservati al Centre historique des Archives nationales, Paris.
Un piccolo fascicolo in-diciottesimo, senza illustrazioni, accompagna la visita. Si intitola Catalogo
degli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi del 1898 ed esposti al musée Guimet dal 22
maggio al 30 giugno 1898. Redatto in uno stile laconico e spesso impreciso, menziona brevemente
ogni pezzo presentato nell’esposizione. Costituisce, purtroppo, il solo resoconto degli scavi
dell’archeologo.
Il pubblico è entusiasta e la stampa ditirambica. La grande maggioranza delle stoffe viene riposta
nelle casse dopo l’esposizione. Esse sono spedite a Lione dove arrivano nel 1899. Certe stoffe sono
immediatamente estratte dalle casse ed esposte al Musée des Tissus. La maggior parte, però, rimane
12
CARTELLA STAMPA
inedita, non studiata e nello stato di conservazione del suo prelievo dallo scavo, fino alla loro
riscoperta nel 2012. Grazie al Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli, quasi tutte le vetrine
dell’esposizione del 1898 hanno potuto essere ricomposte e ogni opera ha potuto essere identificata.
Alcuni elementi d’abbigliamento senza eguali sono oggi presentati per la prima volta in seno alla
mostra Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini.
6 - L’esposizione del prodotto della terza campagna di scavi al Musée Guimet di Parigi nel 1898
Al ritorno dalla sua campagna dell’inverno 1898, Albert Gayet è già persuaso che si potrebbe scrivere
tutta una storia della civilità di Antinopoli, nei periodi romano e bizantino, soltanto grazie agli abiti
scoperti nelle sepolture.
Nell’esposizione che organizza al Musée Guimet di Parigi tra il 22 maggio e il 3 giugno 1898,
l’archeologo si sforza così di classificare i suoi ritrovamenti per consegnare al pubblico i grandi
capitoli di questa storia, sovente a discapito, purtroppo!, dell’unità archeologica delle sepolture.
La prima vetrina era dedicata all’arredo funebre che caratterizza le sepolture di «epoca romana», con
un «letto funebre intero» (tomba B 112) composto di un «cuscino», un «materasso» e una stoffa che
«si stendeva sulle gambe del morto». Dei «frammenti di un manto maschile» (tomba B 79), ornati di
passamani di seta, rivelano di già il lusso di queste sepolture. Un altro «cuscino» (tomba B 117) e uno
«specchio» evocano il tipo di oggetti rivelati dai sepolcri; questi gli consentono anche di giustapporre
il manto maschile allo specchio tipicamente femminile.
Nella seconda vetrina, il visitatore scopre in seguito il primo abito completo dell’esposizione. Si tratta
della tenuta dell’«alto dignitario» (tomba B 281). I quartieri B e C della necropoli, secondo
l’archeologo, sembrava comprendessero «delle divisioni riservate agli ufficiali imperiali residenti ad
Antinopoli». L’occupante della tomba B 281 era particolarmente rappresentativo di questa società,
poiché portava un «manto a lunghe maniche, in bourrette di seta porpora», guarnito di passamani di
seta, delle gambiere, sostenute da giarrettiere di cuoio passate in un cinturone, una camicia decorata
con galloni «rosso-bruno, damascati di rosso, blu e verde» e dei «sandali a stringhe e lacci di cuoio».
Nella terza vetrina, l’abito della «musicante», estratto dalla tomba B 176, rivelava il pendant
femminile della tenuta dell’«alto funzionario». Sfortunatamente oggi è perduto, ma le descrizioni di
Albert Gayet, nel Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi del 1898 e nelle sue
ulteriori pubblicazioni sono sufficientemente esplicite perché sia possibile figurarselo:
È la musicante Thotesbent, che calza delle pianelle in cuoio rosso cesellato e
decorate con passamanerie di cuoio blu, dorate al ferro, al modo delle rilegature.
La tunica trasparente ha uno sprone ricamato a fiori verdi e gialli, da cui scendono
due clavi che terminano con dei medaglioni lanceolati. Il suo vestito, di bourrette
di seta carminio, cade dritto, di forma simile alla tunica; è fatto di due panni di
stoffa cuciti insieme, ai quali si adattano delle maniche aderenti, più lunghe delle
braccia, e chiuse da polsini. Delle ricche passamanerie ornano il giro del collo e i
bordi. Sopra il tutto è gettata una mantellina arancione, provvista di un cercine di
giro-testa, che ricorda il costume esibito dalle statuette di Tanagra. Nelle mani,
riportate sul corpo, un fazzoletto a frange annodate. Qua e là, nel sepolcro, delle
bottiglie di profumo, delle cetre e delle nacchere d’avorio, una figura arcaica di
Iside, dei monili di bronzo e le perle di un collier spezzato.
13
CARTELLA STAMPA
Albert Gayet, 1902.
La quarta vetrina rivelava una variante di questo
abito femminile solenne. La defunta che lo
indossava, inumata nella tomba B 149, possedeva
anch’essa un vestito di lana ornato con
passamanerie, portato sopra una camicia di lino
fine. Essa aveva ugualmente raccolto i suoi capelli
in una retina e una cuffia, coperta da un ampio
mantello sostenuto da un «cercine», i suoi piedi
calzavano
delle
pianelle.
Il
visitatore
dell’esposizione comprendeva così quali fossero gli
elementi caratteristici del guardaroba femminile,
nelle epoche romana e bizantina.
B 149 Vestito
©P. Verrier.
Musée des Tissus
Nella quinta vetrina, Albert Gayet espone non dei costumi completi ma degli elementi che
permettono di comprendere le varianti dei tipi che egli ha presentati nelle tre precedenti vetrine. Un
«manto da uomo» a maniche lunghe, di colore turchese (tomba B 129), ricorda i frammenti disposti
nella prima vetrina. Una gambiera di lana garzata, proveniente da un’altra tomba (tomba B 271), lo
accompagna. L’uno e l’altra evocano gli elementi dell’abito dell’«alto dignitario», ma rivelano la
diversità e la preziosità delle stoffe impiegate per la confezione degli indumenti di lusso. Albert Gayet
espone ugualmente una terza versione della tenuta femminile (tomba B 285), composta da un
vestito in lana, una retina per capelli, un gallone proveniente da un copricapo e delle calzature di
cuoio.
Nella sesta vetrina si trova il quarto abito completo. Questo è emerso dalla tomba C 395 dove
riposava lo «scriba». Assieme a quello dell’«alto funzionario», tale abito supporta l’ipotesi
dell’archeologo secondo la quale i quartieri B e C erano riservati riservati a dei personaggi eminenti,
verosimilmente dotati di funzioni ufficiali, come suggerisce il loro manto di color carminio. Lo
«scriba» era peraltro accompagnato dal suo astuccio per calami e dal suo scrittoio, che gli erano valsi
anche l’appellazione di «maggiordomo bizantino» o di «segretario del governatore di Antinopoli».
La settima vetrina presentava i frammenti di tre lussuose tenute femminili, esumate nella necropoli C
di epoca «bizantina», nelle tombe 339, 408 e 370. Queste offrivano diversi tipi di camicie di lino fine,
decorate con delicati moduli di fiori in bocciolo, di vestiti in stoffe preziose o di mantelli di lana soffici
e colorati, sostenuti da «cercini».
Infine, l’ottava vetrina, l’ultima al centro della rotonda, racchiudeva i resti di un abito da uomo,
(tomba B 288): un manto a maniche lunghe, di colore turchese che faceva eco ai frammenti della
prima vetrina e all’esemplare completo della quinta, e una «calza di tela verde, dalla punta del piede
gialla», paragonabile a quelle dello «scriba».
Sul contorno della rotonda, quattro vetrine erano dedicate a degli abiti completi. La nona e la
dodicesima vetrina contenevano ciascuna un manto maschile a maniche lunghe, in lana garzata di
color carminio, impreziosito da passamani di seta. Il primo era risultato dalla tomba B 114 ed era
accompagnato da alcuni galloni della camicia del defunto. Nella dodicesima vetrina, invece, era
presentata la tenuta di un «alto funzionario», la quale comprendeva un mantello, delle gambiere
14
CARTELLA STAMPA
(jambières o anche houseaux) che l’archeologo chiama «houzaux (sic), di cuoio rosso-bruno, ornate
di un nastro di seta, di cui si vede ancora la traccia in basso», assieme al «cinturone di cuoio» e le
«giarrettiere che servivano a reggere le gambiere» e i galloni della camicia. Nella quattordicesima
vetrina era presentato il costume dell’«Amazzone pagana» (tomba B 106) il quale, con quello di
Thotesbend e quello dell’«Amazzone cristiana», costituisce l’insieme che l’archeologo considera
come il più considerevole. Esso comprende, in effetti, un manto di un tipo molto insolito, il «cercine»
che lo completava, un vestito di lana gialla, ornato da ricami, stretto da una cintura intrecciata, una
camicia di lino fine, un’eccezionale cuffia, portata sopra dei posticci di capelli naturali, e degli «stivali
di cuoio rosso goffrato». Il costume dell’«Amazzone cristiana» (tomba C 350), nella diciasettesima
vetrina, contrastava anch’esso con gli altri esemplari di indumenti femminili presentati all’interno
della rotonda. Il suo soprabito è unico nell’insieme delle scoperte fatte sul sito. Questo copriva i
capelli, aumentati di posticci di capelli naturali e raccolti in una retina di lana, ed era mantenuto sulla
fronte da un «cercine di lana». Esso si drappeggiava attorno ad un vestito di lana verde e viola, di
grandissima ampiezza, portato sopra una camicia di lino ornata con drappo di lana. Delle «babbucce»
di cuoio completavano la tenuta.
Nella decima e sedicesima vetrina, che comprendevano tre ripiani sovrapposti, Albert Gayet aveva
raccolto dei frammenti, talvolta coerenti, illustranti i diversi tipi di abito. La decima vetrina era
riservata alle necropoli B e C. Le vestigia degli indumenti da cerimonia erano riuniti sui primi due
ripiani. Questi presantavano, segnatamente, un abito completo da donna, emerso dalla tomba B 417,
e diversi frammenti di elementi di vestiario maschile di lusso. Sull’ultimo ripiano erano disposti gli
unici abiti completi da bambino dell’esposizione, oltre ad alcune porzioni di abiti da adulto. La
sedicesima vetrina, invece, era interamente dedicata alle sepolture della necropoli D. La diversità
delle stoffe e la varietà dei motivi hanno probabilmente guidato le scelte fatte dall’archeologo per il
suo allestimento. L’undicesima, la tredicesima e la quindicesima vetrina riunivano delle maschere di
gesso o delle statuette di terracotta e non contenevano nessuna stoffa.
Dopo aver scoperto il costume dell’«Amazzone cristiana», il visitatore poteva consultare gli esemplari
più fragili e preziosi dei tessuti estratti dalle tombe di Antinopoli in un mobile a sportelli concepito
specificamente per la loro conservazione. Albert Gayet aveva concentrato qui le stoffe che gli erano
sembrate particolarmente pregevoli. Vi si trovavano delle sete operate, alcune delle quali erano state
oggetto di importazione dall’Asia Centrale, ma anche qualche tappezzeria di lana che l’archeologo
aveva selezionata per le sue qualità estetiche o iconografiche.
Infine, ai piedi della scala, l’esposizione si concludeva con la diciottesima vetrina, anch’essa concepita
secondo lo stesso principio del mobile a sportelli, nella forma di «campionario» delle tecniche, delle
tipologie d’abito e dei motivi. Al termine del percorso, il visitatore aveva quindi una visione
relativamente chiara e precisa della geografia della necropoli, con i suoi quartieri B e C riservati alle
sepolture notabili e la sua divisione D probabilmente più popolare. Quest’ultima ha consegnato degli
indumenti relativamente comuni e delle stoffe meno prestigiose rispetto alle sepolture in muratura
della pianura.
L’esposizione Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini rievoca la
disposizione originale voluta dall’archeologo stesso. Ad eccezione dell’abito della «musicante»
Thotesbent il quale, rimasto al Musée Guimet di Parigi anche dopo l’evento, sembra essere stato
perduto durante la Prima Guerra mondiale, tutti gli insiemi hanno potuto essere ricostituiti. Essi sono
identificati e presentati qui per la prima volta. Ogni tessile è accompagnato dal relativo numero di
tomba e dalla descrizione datane da Albert Gayet nel suo Catalogo.
15
CARTELLA STAMPA
7 - Gli abiti scoperti durante la terza campagna di scavi (1898)
Tra gli abiti presentati durante l’esposizione al Musée Guimet di Parigi nel 1898 figura qualche abito
maschile completo, ma la maggioranza dei pezzi appartengono al vestiario femminile.
L’abito da cerimonia degli uomini si compone di biancheria in tela di lino, del tipo calze o calzoni
lunghi, comportanti dei piedi, come rivela la sepoltura dello «scriba» (tomba C 395). Al disopra di
questo primo indumento, gli uomini infilavano dei tubi di stoffa che coprivano le gambe. Queste
gambiere erano realizzate in drappi di lana e di lino, tessute in forma o tagliate in una lussuosa tela di
lana cachemire, garzata dopo la tessitura, e guarnita di una larga striscia di seta applicata alla caviglia.
Nella parte superiore, la gambiera si arrotondava per cingere l’anca. Una giarrettiera di cuoio, infilata
in un cinturone di cuoio, teneva la gambiera ben posizionata.
Una lunga camicia di lino bianco, che scendeva al disotto dei glutei, dissimulava il cinturone. Questa
prevedeva delle maniche ristrette al polso, e delle inserzioni a triangolo sui fianchi che la svasavano
nella parte inferiore. Il suo scollo a «V» era orlato con un gallone, generalmente tessuto alle
tavolette. Il gallone, alla punta dello scollo, scendeva nel mezzo del petto, si rigirava due volte su se
stesso al centro del ventre e risaliva verso lo scollo, simulando un’apertura tagliata sul davanti della
camicia. Esso si prolungava anche da una parte e dall’altra del collo in guisa di spalline. Lo stesso
gallone abbelliva infine anche i polsini.
Il pezzo più importante dell’abito degli uomini era sicuramente il grande manto che essi posavano
sulle spalle. Tagliato in un tessuto di lana cachemire di colore carminio o turchese, garzata dopo la
tessitura, era stretto in vita, scendeva fino alle caviglie e si apriva ampiamente sul davanti. Delle
lunghe maniche, svasate verso il basso, pendevano liberamente dalle spalle. Queste non venivano
infilate. Il risvolto destro del mantello comportava un grande bavero, che si apriva naturalmente
posizionandosi sulla spalla destra. Un colletto completava alcuni esemplari, contribuendo
all’adeguata vestibilità dell’indumento.
Tutti questi manti – preziosamente vellutati quelli di color carminio o coperti di lunghi ciuffi ondulati
a imitazione della pelliccia quelli di colore turchese – esibivano delle passamanerie della più grande
raffinatezza, composte di applicazioni di cordicelle di lino ricoperte di lana molto fine, di colore beige
aranciato, e di seta dalle decorazioni ispirate alla Persia sassanide. Questa era tagliata in larghe pezze
per i risvolti e i fondi delle maniche, in strisce per i bordi dell’abito o in sottili galloni per dissimulare
le cuciture di assemblaggio sul dietro e lungo le maniche.
Le calzature erano basse, in cuoio scuro, allacciate attorno alla caviglia, o alte, ed adottavano allora la
forma di stivaletti o di stivali.
Altri indumenti sembrano aver composto il guardaroba dei patrizi, come i vestiti di lana sottile,
anch’essi decorati di larghi passamani di seta o di galloni tessuti alle tavolette. Sfortunatamente, gli
esemplari conservati sono estremamente lacunosi, perché questi vestiti, direttamente a contatto col
corpo, hanno risentito gravemente delle operazioni di svestimento dei defunti.
Gli uomini che non appartenevano all’aristocrazia o che non esercitavano delle funzioni ufficiali
portavano delle tuniche di lino, talvolta estremamente fini. Esse erano tessute in un unico pezzo o in
tre elementi assemblati, comportavano a volte dei fermagli, all’interno o sulle due facce, e delle
decorazioni di arazzo, tessute contemporaneamente al fondo della tela o tessute a parte e cucite in
16
CARTELLA STAMPA
aggiunta. La diversità dei motivi che ornano questi vestiti è immensa: si trovano dei motivi geometrici
o vegetali, dei personaggi relativi al repertorio bucolico o campestre, delle scene inserite nei paesaggi
dei bordi del Nilo o degli episodi ispirati alla mitologia greco-romana e alla letteratura.
L’abito delle eleganti si compone di una camicia di lino, con o senza maniche, generalmente ornata di
moduli di fiori in bocciolo o sbocciati, che si posa sulla parte inferiore dell’indumento e risale in due
bande che svaniscono sui seni. Il basso della camicia è spesso traforato o sfrangiato.
Al disopra, esse indossavano un ampio vestito di lana. I più preziosi sono in lana cachemire, garzata
dopo la tessitura sulle due facce che presentano così un aspetto vellutato. Questi sono di colore
carminio o grigio-giallo. Le maniche sono ristrette al polso da una cucitura in sbieco. Lo scollo,
tagliato tondo, è bordato con un gallone applicato. Delle decorazioni in arazzo, parimenti applicate, si
dispongono in bande dalle spalle fino al seno, in quadrato o in medaglioni sulle spalle e sul fondo del
vestito, davanti e dietro, e infine sull’avanbraccio, sotto forma di paramani.
I loro capelli, acconciati in chignon sulla nuca, si incrementavano di posticci in capelli naturali fissati
da una parte e dall’altra della testa, dietro le orecchie. Il tutto era chiuso in una retina di lino o di
lana, poi coperto da una cuffia di lino, arricchita da barrures di lana, sovente rossa, a volte bouclée, e
decorata di seta. Essa copriva totalmente il capo. Un grande mantello in tela di lana, anch’essa
garzata, si posava sulla testa. Era sostenuto da un cercine di stoffa, intrecciato o tessuto alle tavolette
con degli anelli, che incorniciava il viso. I due lembi del mantello cadevano mollemente ai due lati del
corpo e potevano essere elegantemente drappeggiati. Ai piedi, calzavano dei sandali di cuoio, bruno
o rosso, decorati con applicazioni di cuoio blu o dorato.
L’estrema abilità dei tessitori permetteva di variare la struttura delle stoffe, e dunque di diversificare
gli effetti del vestiario femminile. Alcuni vestiti sono in tela di lana ad effetto crêpe. Essi sono più
morbidi, più ampi, e necessitavano di essere stretti in vita da una cintura in lana intrecciata, al
disopra della quale essi sbuffavano creando, sui lati, delle pieghe cilindriche. Essi sono peraltro
decorati con passamani in arazzo multicolore, tessuti assieme al fondo del vestito. Altri abiti sono
realizzati in tela di lana spessa, più rigida. Questi producevano un drappeggio più monumentale.
I manti, a loro volta, prevedevano diverse varianti. Generalmente abbinati ad un cercine di colore
affine, sono costituiti nella maggior parte dei casi, da un grande panno rettangolare sfrangiato alle
estremità, portato trasversalmente. La loro tessitura è morbida, a effetto crêpe, quando era cercato
un drappeggio complesso, oppure più pesante, in lana garzata, quando l’indumento doveva cascare
con nobiltà. Anche le calzature presentano variazioni multiple. Esse sono talvolta del tipo babbucce,
ma possono altresì adottare la forma di alti stivali in cuoio rosso.
Lo svelamento, operato da Albert Gayet, di questo vestiario estremamente raffinato ha
rappresentato una vera rivelazione. Fino ad allora, gli abiti della tarda Antichità non erano conosciuti
che attraverso i mosaici di Ravenna, per esempio, o i modelli dipinti o scolpiti della prima arte
bizantina. Nessun esemplare era pervenuto, e tali documenti non consentivano di valutare la
preziosità dei materiali impiegati, la seta, la lana cachemire, né le prodezze compiute dai tessitori
egiziani.
17
CARTELLA STAMPA
8 - Le campagne successive (1899-1908)
Al termine dall’esplorazione del 1898, Émile Guimet crede che le potenzialità del sito siano esaurite,
dal momento che Albert Gayet gli ha scritto di avere aperto duemila tombe nella necropoli B «la sola
ad avere dell’interesse». L’industriale prospetta dunque con l’archeologo la possibilità di concentrarsi
sui cimiteri romani di Achmounein (Hermopolis Magna), sulla riva sinistra del Nilo, capitale del nome
Ermopolita. Ma Albert Gayet si ostina a voler esplorare ulteriormente le necropoli di Antinopoli, e
cerca altre fonti di finanziamento per proseguire i suoi lavori. È presso la Société du Palais du
Costume che trova nuovi fondi. Questa finanzia le due seguenti campagne (1898-1899 e 1899-1900).
Il prodotto degli scavi è presentato sugli Champ-de-Mars, in occasione dell’Esposizione universale
dell’estate 1900, e al Musée Guimet, tra il dicembre 1900 e il gennaio 1901, poi venduto in un’asta
pubblica il 17 giugno 1901. È la prima volta che Albert Gayet espone spoglie abbigliate, fra le quali i
corpi di «tre cavalieri bizantini» prelevati «in un sotterraneo murato» o quello della «ricamatrice»
Euphemiâan. Aveva inoltre scoperto la tomba del «battiloro» Aurelio Colluthus e della sua sposa
Tisoïa, datata, grazie a dei documenti su papiro, alla metà del V secolo.
La sesta campagna (1901) e le due successive (1901-1902 e 1903) saranno poste sotto gli auspici del
Ministero dell’Istruzione pubblica e delle Belle Arti per il quale Albert Gayet diviene incaricato di
missione. Nel 1901, l’archeologo esuma la famosa «Thaïs» e il monaco Serapione, così come la
«signora Uraïonia», con il suo corredo funebre composto di diciotto tuniche. La settima campagna
porta alla luce le sepolture di un «cavaliere bizantino», di un «centurione romano», della pagana
Leukyôné, della «Dama bizantina» e della «Dama del monogramma». Nel 1903, egli dissotterra la
«maga» Myrithis e la «patrizia» Sabina. Gli abiti di «Thaïs», di Leukyôné e il corpo del «cavaliere
bizantino» sono presentati nella mostra Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle
solitudini, assieme allo «scialle» della «patrizia» Sabina, tutti riuniti per la prima volta in questo
contesto.
Mummie di Leukyôné e della «dama bizantina».
© Musée du Louvre, dipartimento delle Antichità egizie (fondo Guimet)
Il prodotto degli scavi è esposto ogni anno al Musée Guimet di Parigi, per un mese. Albert Gayet
pubblica un catalogo di supporto alla visita, paragonabile a quello redatto per l’esposizione del 1898.
Alla conclusione dell’esposizione, il materiale viene assegnato dallo Stato a diverse istituzioni, il
Musée Guimet e il Louvre, segnatamente, ma anche il Musée des Tissus di Lione e vari altri musei,
Musei di Storia naturale o Università francesi, compromettendo in tal modo l’apprezzamento globale
18
CARTELLA STAMPA
degli oggetti provenienti dalle necropoli. Molto spesso, le stoffe sono addirittura ritagliate prima di
essere disperse e incollate su cartone, per il gran dispiacere dell’archeologo che sognava di vedere
crearsi un «museo di Antinopoli»:
Cosa si fara di tutto ciò? Ahimè! La collezione raccolta l’anno scorso è stata
ripartita fra i musei di Parigi e di provincia. Quelli di Parigi non hanno affatto
spazio per esporre, e quelli di provincia, sconcertati dalla novità dei soggetti, ci
hanno in parte rinunciato.
Questa volta, la cosa si è aggravata; e la prima parola dei conservatori chiamati a
pronunciarsi è stata questa: “Non ci sarà mai il mezzo di sistemare tutto ciò; ci
vorrebbe un museo intero!” Sì, la frase era pertinente; ma, per disgrazia, un museo
non si improvvisa facilmente. Quindi hanno aggiunto: “Non c’è che un mezzo:
ritagliare tutto, prelevare tutto quello che è ricamato e lasciare da parte tutto il
resto.” E, per disgrazia ancora, ogni branca scientifica, volendo trovare in queste
reliquie dei materiali di insegnamento, ha creduto vedere in questa proposta la
migliore delle soluzioni.
Allora, tutta questa gente si appresta non solamente a uccidere questi resuscitati,
ma ad annientare una civiltà che la morte aveva messo al riparo, per l’eternità, nel
fondo delle necropoli. Tutte queste pieghe che hanno conservato l’impronta della
vita saranno disfatte. Sono troppo ribelli ancora; ma aspettate! Non c’è niente che
resista al vandalismo. Si confezioneranno una sorta di tamburi da ricamo; si
fisseranno sopra le stoffe, per mezzo di spilli; e, con una disinvoltura di manovre,
gli operatori dirigeranno su di esse dei vapori. Le pieghe distese, gli spilli le
tenderanno di nuovo; il lavoro ricomincerà sempre così, finché la stoffa sarà liscia.
A questo punto, si troveranno dei pezzi bene incollati su cartoni. Si avranno forse
anche dei lunghi saggi sugli intrecci di pizzo o sul punto dei ricami. Ma un mondo,
uscito dalle sue tombe, sarà scomparso, e questa volta per sempre. Questi corpi
che diremmo addormantati, queste teste che hanno mantenuto l’espressione di un
tempo, saranno pezzi da musei scientifici o da collezioni antropologiche; le foglie
delle corone andranno agli erbari; gli oggetti di cui questi morti sono attorniati
saranno dispersi.
Forse, le industrie d’arte possono attingere informazioni utili da tutto questo; ma
non c’è nessun bisogno, per fornire loro dei documenti, di distruggere una civiltà
per una seconda volta. Delle casse intere di frammenti, non esposti, sono là, e
basterebbero per soddisfarle tutte. E, inoltre, vi è un insegnamento più alto, quello
che l’arte e la storia sono in diritto di chiedere a questa evocazione. Non lo
possono trovare in una parte di ricamo incollato su un cartone; ci vogliono le
pieghe del vestito modellate sul corpo, l’impronta lasciata dalla vita. Non possono
nemmeno accontentarsi di un pezzo isolato, sono invece necessarie tutte le
collezioni che sarà possibile raccogliere ad Antinopoli, riunite in un solo insieme.
Albert Gayet, 1902.
Temendo di vedere esaurirsi le risorse del sito archeologico, il ministero ritira il suo sostegno
finanziario. Albert Gayet si rivolge allora alla giovanissima Società francese di scavi archeologici
(Société française de fouilles archéologiques), creata il 14 gennaio 1904, che conta fra i suoi primi
19
CARTELLA STAMPA
membri Émile Guimet, Édouard Aynard e Raymond Cox, nuovo conservatore del Musée des Tissus,
così come la stessa Camera di Commercio di Lione. La nuova Società si fa carico del finanziamento
delle due seguenti campagne (1904 e 1905) che vedranno, tra le altre, la scoperta di un «gladiatore»
e di un «conducente di carro», di Khelmis, «la preziosa cantatrice di Osiride-Antinoo», e di Slythias,
«la costumista delle immagini divine» oltre a un «funzionario porporato». Un’esposizione al Petit
Palais degli Champs-Élysées riunirà il prodotto delle due campagne in questione, prima della
dispersione tra i diversi sottoscrittori. È così che il corpo del «conducente di carro» e del «funzionario
porporato», presentate qui, integrano le collezioni del Palais des Beaux-Arts di Lille, donate al museo
nel 1908 dal sottoscrittore cui erano state inizialmente attribuite.
La Società francese di scavi archeologici non sostiene la campagna successiva (1906), sovvenzionata
invece dal Ministero dell’Istruzione pubblica e da alcuni privati. Albert Gayet esuma le spoglie della
Nouter hont, la «profetessa» anonima di Osiride-Antinoo, qualificata come ounnout o «astrologa», e
quella della Diounesast, chiamata anche «Baccante di Antinopoli» e «regale favorita di OsirideAntinoo». Per la dodicesima campagna, nel 1907, Émile Guimet riprende la mano per il suo museo
parigino, seguito da alcuni generosi donatori. Albert Gayet scopre il sepolcro della «Profetessa di
Osiride-Antinoo», poi assegnata al Musée de Grenoble.
La Camera di Commercio reitera la sua partecipazione agli scavi di Antinopoli dieci anni dopo la sua
prima soscrizione. Per la tredicesima campagna, e in collaborazione con diversi donatori privati,
accorda una somma importante ai lavori di Albert Gayet, che gli valgono l’ottenimento dei grandi
capolavori di questa campagna, come la famosa «Tenda a pesci» o la gambiera istoriata raffigurante
un re sassanide in combattimento. Il prodotto dello scavo viene esposto al Musée Guimet per un
mese prima di essere distribuito fra i diversi sottoscrittori. È l’ultima esposizione di Antinopoli in
questo luogo.
Le sei campagne successive (1909-1914) marcano un visibile affanno: Albert Gayet non è più
personalmente presente sul sito e le campagne non sono più così spettacolari. Esse si svolgono sotto
l’egida di un comitato di patrocinio che riunisce dei sussidi privati. Albert Gayet, violentemente
criticato dai suoi detrattori, muore senza aver avuto il tempo o l’opportunità di pubblicare i suoi
resoconti degli scavi. Questi documenti, che senza alcun dubbio sono esistiti, non si sono
apparentemente conservati. La leggenda vuole che egli li abbia distrutti per l’amarezza di non aver
potuto convincere le autorità a fondare un «museo di Antinopoli» e a preservare il materiale dalla
dispersione.
La collezione del Musée des Tissus, assieme a quella del Musée du Louvre, è oggi la più ricca per ciò
che concerne le stoffe prelevate dalle necropoli della città. Essa deve questa eccezionale qualità e
questa abbondanza alla perspicacia della Camera di Commercio, che per prima ha sostenuto gli scavi
condotti sul sito, rimanendo un sottoscrittore fondamentale che ha permesso il rinnovamento delle
campagne.
9 - I capolavori provenienti dalle diverse campagne
Alla conclusione della campagna del 1898, un pezzo straordinario giunge alle collezioni del Musée
des Tissus, il quale non è tuttavia descritto da Albert Gayet nel Catalogo degli oggetti raccolti ad
Antinopoli durante gli scavi del 1898. Faceva parte, forse, degli oggetti «non catalogati» o «senza
numero» menzionati nella lettera del 20 febbraio 1899, indirizzata da Léon de Milloué, il direttore del
20
CARTELLA STAMPA
Musée Guimet di Parigi, al Presidente della Camera di Commercio, lettera che accompagnava la lista
delle casse inviate a Lione. Lo stato di conservazione del pezzo non permetteva più di riconoscervi un
vestito: aveva soggiornato a lungo a contatto con un cadavere, e non vi si era scorto, probabilmente,
che un ammasso di stoffe sporche. Un recente restauro ha nondimeno rivelato un esemplare unico di
clamide. Questo indumento circolare, di quasi tre metri di diametro, era piegato in due e fermato
sulla spalla destra, liberando così totalmente il braccio da questo lato. Il tessuto veniva ripiegato
sull’avanbraccio sinistro al fine di lasciare uscire la mano, creando peraltro un elegante drappeggio.
Dei quadrati, disposti lungo la piega trasversale, apparivano colorati sul petto e sulla schiena, una
volta l’indumento indossato. Sull’esemplare di Lione questi sono stati incrostati, dopo essere stati
tinti in verde, nel fondo della stoffa in tela di lana crêpe non tinta. L’iconografia romana e bizantina
mostra numerose rappresentazioni di clamide. Questo indumento è originariamente una sopravveste
militare, la quale proteggeva gli ufficiali in campagna dai rigori del clima. Diviene, dal IV secolo, un
indumento da cerimonia riservato ai membri della corte imperiale o ai dignitari. La clamide del
Musée des Tissus è il solo esemplare conservato al mondo di questo vestito di prestigio.
La sesta e la settima campagna (1901 e 1901-1902) consegnano ugualmente dei pezzi notevoli che
sono oggi nelle collezioni del Musée des Tissus. Nel 1901, una sepoltura di donna particolarmente
curata rivela una sciarpa singolare. È in cotone di buona qualità. Ora, questa fibra non è prodotta in
Egitto alla fine dell’Antichità ma è importata dall’India. È là, d’altra parte, che la sciarpa è stata
tessuta, come mostrano le sue caratteristiche tecniche, e tinta a riserva, di indigo, in tre tappe. I
motivi sono stati riservati alla cera per il primo bagno di tintura. Essi appaiono in bianco sul fondo
blu. La seconda riserva permette di ottenere dei dettagli blu chiaro. L’ultima, il fondo blu intenso. La
decorazione dispiega un intreccio di rami fogliati organizzati in grandi medaglioni sui quali si
inscrivono dei fiori legati per lo stelo, sbocciati in larghi bouquets.
La stessa campagna ha altresì messo in luce un altro esemplare unico di indumento femminile: si
tratta di un pantalone, oggi molto frammentario poiché era portato direttamente sulle gambe del
cadavere. Ad ogni modo, i frammenti sono sufficientemente espliciti per restituire una mutanda
lunga, fatta di tela di lino quadrettata, rinforzata da una tela di lino fine, foderata, all’esterno, con
una sottilissima tela di lana, probabilmente cachemire, la cui qualità ricorda quasi l’aspetto della
seta. Dei passamani di seta, tagliati in striscie, decorano i lati e le estremità, dissimulando le cuciture.
Solo qualche sepoltura del Caucaso o della Cina ha lasciato emergere esemplari comparabili. Si
trattava evidentemente di un elemento di grande lusso.
Nel 1901-1902, Albert Gayet esuma un’altra importazione indiana: una sciarpa da donna, a righe e
quadri, tessuta in cotone di prima fioritura e in seta selvatica, di tipo Tussah. Le fibre, identificate dal
Laboratorio di ricerca dei Monumenti storici, permettono di affermare con certezza la provenienza
indiana di questo accessorio che ad oggi non ha equivalenti.
Questi quattro elementi scoperti nelle sepolture di Antinopoli lasciano intravedere le numerose
varianti offerte dai guardaroba maschile e femminile. Se il raffinamento dei materiali è una
preoccupazione costante degli eleganti, la diversità delle forme e delle provenienze è altrettanto
evidente in seno a questa città cosmopolita, all’incrocio delle vie commerciali che collegano Oriente e
Occidente. Il costume era quindi fortemente influenzato dalle mode dell’Impero, come dimostra la
clamide, ma integrava altresì degli elementi più asiatici, come il pantalone da donna, o degli accessori
esotici, come le sciarpe di cotone e di seta selvatica.
I centri di tessitura di Antinopoli erano essi stessi notevoli, come avevano provato le campagne del
1897 e 1898. È certo che vi si tesseva la seta preziosa che guarniva i manti da uomo, anch’essi
21
CARTELLA STAMPA
confezionati in città e secondo procedure di cucitura e di assemblaggio totalmente comparabili a
quelle degli altri indumenti scoperti sul sito. Ma vi si realizzavano anche degli abiti di gran lusso,
come il vestito da donna scoperto nel 1906, tessuto in lana verde e viola e ornato con personaggi
bacchici in lana gialla. Senza maniche, esso si presentava come un tessuto di grande ampiezza,
destinato ad essere aggiustato in vita con una cintura. I giromanica scendevano dai due lati delle
spalle per coprire le braccia; mentre lo stesso vestito creava eleganti pieghe cilindriche sui fianchi.
Sugli orli del vestito, i fili dell’ordito, rigirati in treccia, evidenziano un effetto decorativo inedito e
affatto grazioso, un’ondulazione regolare dei lati del vestito, dovuta a una battitura della trama al
momento della tessitura, più o meno compressa per creare tale estremità sinuosa. Nella parte bassa
del vestito, lungo il bordo, delle frange aggiunte accentuano ulteriormente la raffinatezza dell’abito.
Le gambiere di arazzo, esposte al Musée Guimet nel 1907 e nel 1908, ribadiscono la libertà dei
tessitori, i quali si impadronivano dei motivi sassanidi per reinterpretarli secondo le loro tecniche.
Queste gambiere erano tessute in forma, con delle cimose «a scala» sui lati, che permettevano di
assemblare più agevolmente i tubi destinati a rivestire la gamba del loro proprietario.
Il capolavoro più stimato rimane forse la famosa «Tenture aux poissons» scoperta nel 1908. Non si sa
nulla, sfortunatamente, delle circostanze del suo ritrovamento. La tessitura in tappezzeria senza
rovescio, cioè altrettanto rifinita su una faccia e sull’altra, indica che si trattava probabilmante di un
tendaggio destinato a separare due spazi, e dunque ad essere ugualmente visibile dai due lati. La sua
decorazione ad acque pescose ricorda le grandi composizioni dipinte o i mosaici più prestigiosi. È la
ragione per la quale è datata al III-IV secolo. La varietà delle sue colorazioni è considerevole. Questa è
ottenuta per mezzo di diversi procedimenti: impiego di numerosi colori, giustapposizione di toni per
ottenere delle sfumature, mélange, prima della filatura, di fibre di colori diversi per creare un tono
medio...
La straordinaria attività di tessitura che animava la città è ben istruita dai testi documentari su papiro
scoperti sul sito. I pezzi esumati da Albert Gayet mostrano d’altro canto come la padronanza degli
strumenti da parte dei tessitori fosse al suo apogeo nelle epoche romana e bizantina.
10 - Il costume ad Antinopoli
Albert Gayet, Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi del 1898, Paris, 1898, pp.
9-13 :
«Vestiti e oggetti ritrovati in questi sepolcri hanno, per la storia dell’arte, un valore inestimabile. Nei
sepolcri romani, in quelli dell’epoca bizantina, si sono potuti raccogliere così gli esemplari di
indumenti indossati dalle patrizie e dai funzionari imperiali residenti ad Antinopoli, le immagini delle
divinità lari da loro venerate, le mille cose familiari di cui ciascuno amava attorniarsi.
L’infatuazione di Roma per l’Oriente si manifesta, nel regno di Adriano, in un’evidente ricerca di
stoffe e mode asiatiche. Al fianco di un Romano di antica origine, stretto nel suo sudario per mezzo di
corde, il viso coperto da una maschera di gesso, un altro, calzato di sandali di cuoio a lacci o a
stringhe, porta già la sopravveste lunga, guarnita di bande di seta broccata, con risvolti di seta e collo
orlato di galloni o cordicelle d’oro. La manica è lunga, svasata sulla mano, ornata con un passamano
di seta, e restava fluttuante sulla spalla. Un altro avrà per calzature persino dei veri e propri stivali
alti; un terzo delle gambiere di tessuto simile a quello della sopravveste, e parimenti ornate di nastri
di seta o di galloni; un altro ancora delle vere gambiere in cuoio marocchino, similmente decorate.
22
CARTELLA STAMPA
Un cinturone di cuoio spesso, munito di giarrettiere, regge sui fianchi queste gambiere. Tutti portano
delle lunghe camicie di tela, con le maniche chiuse da un polsino con galloni damascati di arabeschi
policromi. Una fessura si schiude sul petto, decorata sui due bordi con un gallone analogo che,
girando attorno al collo e ripiegandosi su se stesso, forma un colletto, da cui si dipartono due spalline
lunghe circa dieci centimetri.
Thaïs orante, da GAYET,
1902-1, tavola in appendice al testo.
Per le donne, l’abito asiatico costituisce l’unica tenuta
solenne; qualche reminescenza classica si mescola
ancora, di tanto in tanto, ma non è già più che un ricordo,
un compromesso transitorio, che nel periodo bizantino
sarà completamente scomparso. Il loro costume consiste
in una lunga camicia di mussolina di lino, con sprone
curvato, ricamato secondo un modulo di delicati fiorellini
policromi con aree di meandri, di greche, di intrecci o di
chevrons, da cui discendono due clavi, che terminano con
dei piccoli medaglioni lanceolati che si stendono sul seno.
Tutta la parte inferiore, dal livello del ginocchio, è inoltre
coperta di un ricco ricamo policromo: moduli a pois, rami
di fiori, fiorellini sparsi o medaglioni arabescati. Sopra
quasta camicia è indossato un vestito di lana, di colore
acceso, giallo, verde, rosso, viola, fatto di due pezze di
stoffa rigate di bianco sui bordi, e assemblate su due
grossi cordoncini, sui quali si adattano delle maniche
aderenti, con polsini o passamani.
Il taglio è lo stesso che quello della camicia, nessuna fessura si apre sul petto. Attorno al collo sono
applicati dei galloni di seta broccata o delle passamanerie; uno sprone di Gobelin, a clavi simili a
quelli della camicia, orna il davanti; dei quadrati di Gobelins si posano anche sulle spalle e sul basso
del vestito, un po’ al disotto delle ginocchia, il cui livello è segnato da una piega trasversale fatta sulla
gonna, mentre sui passamani delle maniche si avvolgono ora un gallone di seta, ora un liséré di
Gobelin. Un cordoncino tessuto o intrecciato serve a stringere il vestito alla vita. Sul tutto è posata
una sopravveste di drap, di cui la tinta ordinaria varia dal grigio al giallo, e persino al rosso, passando
per il giallo aranciato. Il suo taglio è, pressappoco, quello del manto di corte. Lo scollo, piuttosto
curioso, è formato da un torsello di lana. È talora una sorta di enorme ciniglia di dieci-dodici
centimetri di diametro, talaltra una semplice banda di tessuto intrecciato, che termina alle due
estremità con delle frange, ripiegata in due e cucita, dopo essere stata preventivamente riempita di
lembi di spugna, di lana o di crine. Qualche volta, dei quadrati di Gobelin decorano il basso di questa
sopravveste, un poco al disotto del ginocchio, nella maniera in cui il vestito stesso è ornato; qualche
altra volta ancora, il disegno è tessuto direttamente sulla stoffa, chiuso in un medaglione. I piedi sono
calzati di pianelle di cuoio marocchino scuro o rosso, bordate di cuoio liscio blu, abbellite di arabeschi
o di motivi geometrici ornamentati, fissati col ferro, mentre delle passamanerie dorate e goffrate si
posano sul sopra del sandalo. Altre volte ancora, la pianella è interamente stampata d’oro, allo stesso
modo di una rilegatura; foderata all’interno di broccati di seta, o più modestamente di una tela di
lino. L’acconciatura consiste talvolta in una retina di pizzo di filo o di lana rossa, eseguita al tamburo,
simile a quelle che noi chiamiamo pizzo d’Auvergne, talaltra in una cuffia più o meno ricca, l’una
23
CARTELLA STAMPA
composta da galloni di ciniglia di lana a coste, applicati su una mussolina; l’altra di nastri di seta gialli,
blu e rossi, ugualmente assemblati su un trasparente di lino. Delle piccole cordicelle servono a volte a
mettere la cuffia in forma; altre volte, montata su una tela abbastanza forte, si presenta come una
vera cuffia a tre pezzi, tale quale la conosciamo ancora oggi. Dei grossi rotoli di lana, coperti da una
rete di pizzo, la reggono, gonfiando i capelli, sulle tempie. E questa capigliatura stessa, generalmente
tinta di biondo all’henné, si rialza sulla nuca, per raccogliersi in chignon, ricordando l’acconciatura
detta Tanagra. Un fazzoletto da tasca, ora bianco, ora giallo e verde a quadri, completa solitamente
questo abito, stretto ancora nelle mani della morta, mentre uno specchio è talvolta attaccato al
polso.
Paul Madeline, La « maga » Myrithis,
in GAYET, 1904-6, tavola in appendice al testo.
Paul Madeline, Leukyôné,
in GAYET, 1904-6, tavola in appendice al
testo.
[…] Tali sono i caratteri generali di questi abiti; ma se essi sono pressappoco permanenti, e per i
vestiti degli uomini e per quelli delle donne, si deve fare i conti con le innumerevoli varianti che il
capriccio della moda deveva per forza introdurre. Una delle principali consiste in quello che, in
mancanza di un altro termine, bisogna chiamare vestito scollato. Identico per tutto il resto a quello
descritto più sopra, esso è provvisto di un collo dritto (B 417) formato da un gallone che si stende,
incorniciando il davanti, aperto in quadrato.
La stessa sopravveste è suscettibile di qualche variante. Può essere arrotondata sulla destra, tagliata
in qualche sorta su questo lato a mezzaluna guarnita di marabò, e gettata sulla spalla sinistra, alla
maniera della toga romana, mentre il lembo sinistro continua a cadere dritto».
24
CARTELLA STAMPA
11 - La sepoltura di «Thaïs d’Antinopoli» (Thaïas)
Nel 1890, Anatole France pubblica Thaïs, un romanzo ispirato alla vita di una cortigiana del IV secolo,
vissuta ad Alessandria, convertita al cristianesimo da san Pafnuzio. La peccatrice pentita si ritira nel
deserto, dopo avere abbandonato le sue ricchezze e la sua vita di dissolutezze. Vi muore come una
santa. La Chiesa la celebra l’8 ottobre.
Nel romanzo tuttavia, il povero Pafnuzio, lui stesso diventato monaco per purificarsi da una gioventù
frivola, è segnato dal ricordo perturbante della bella Thaïs che egli ha appena convertita: l’ha
conosciuta intimamente prima di entrare al convento e non può risolversi a rinunciare a lei. Non
reggendo più, la raggiunge nel deserto per convincerla a fare ritorno, assieme a lui, alla sua vita di
prima. Arriva però troppo tardi e Thaïs, già consumata dall’ascetismo e dalla santità, spira tra le sue
braccia. Essa è salvata, e santa; Pafnuzio, quanto a lui, è dannato per il fuoco amoroso che la sola
vista di Thaïs ha riacceso nel suo cuore. Il successo del romanzo incoraggia Jules Massenet a
trascriverlo in opera, su un libretto di Louis Gallet. L’opera è eseguita per la prima volta a Parigi nel
1894. Sybil Sanderson, la musa di Jules Massenet, interpreta l’etera divenuta santa.
Nel 1901, Albert Gayet porta alla luce nelle necropoli di Antinopoli un sepolcro in muratura nel quale
rileva un’iscrizione:
+
ΕΚΟΙΜΗΘΗΜΑ
ΚΑΡΙΑΘΑΙΑC
ΘΕCCΑ…
Le prime due righe danno in greco l’identità della defunta : «Qui riposa la beata Thaïas […]». Albert
Gayet preferisce chiamarla «Thaïs», per promuovere i risultati dei suoi scavi grazie alla vantaggiosa
omonimia della defunta con la celebre cortigiana convertita.
Nell’esposizione organizzata al Musée Guimet di Parigi nel 1901, essa riposerà peraltro a fianco di un
altro defunto esumato durante la stessa campagna, vestito in abito da monaco e stretto in anelli di
ferro, la cui identità è stata rivelata da un’inscrizione portata su un coccio di terracotta. Si chiamava
25
CARTELLA STAMPA
Serapione... Fortunata coincidenza, di nuovo! Alcune versioni della leggenda di santa Thaïs
attribuiscono infatti la sua conversione a san Serapione il Sidonita piuttosto che a san Pafnuzio.
Thaïs di Antinopoli (Thaïas) e il monaco Serapione, riuniti fittiziamente al Musée Guimet – di fatto
non riposavano negli stessi quartieri della necropoli – attirano folle numerose di curiosi, ma anche di
fedeli. Lo stesso arcivescovo di Parigi si mobilita per interrogare Albert Gayet: si tratta veramente
delle spoglie di santa Thaïs? Albert Gayet risponde prudentemente che non potrebbe affermarlo...
Il corpo di Thaïs (Thaïas) e di Serapione, rimangono al Musée Guimet dopo l’esposizione. Sono lì
presentati fino al 1944. La mancanza di riscaldamento durante gli inverni 1940 e 1943 degrada
considerevolmente le spoglie che vengono dunque trasferite al Musée de l’Homme per essere lì
svestite e studiate. I resti sono tuttora conservati al Laboratorio di antropologia del Musée de
l’Homme; ma l’abito di Thaïs (Thaïas) si trova oggi al Musée du Louvre. È stato precedentemente
identificato ed è presentato qui al pubblico per la prima volta dallo svestimento del corpo.
Albert Gayet, nella Nota relativa agli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi eseguiti nel 19001901 ed esposti al musée Guimet dal 15 giugno al 31 luglio 1901, dà questa descrizione del costume
di Thaïs:
Tunica da sotto in tela rossa, bordure in velluto blu con losanghe e medaglioni
gialli. Vestito di lana gialla, guarnito sul fondo con un largo passamano porpora,
bordata di medaglioni arabescati gialli e verdi, con centro cruciforme.
Passamanerie che salgono al livello delle ginocchia. Larghe bande di seta a fondo
blu, disseminate di medaglioni arabescati gialli, e orlate di rosso, scendono dalle
spalle fino ai piedi, dietro e davanti. Sprone dello stesso stile della guarnitura del
basso del vestito.
Velo di garza carminio, rigato di giallo sui bordi, copre la testa e cade ad ampie
onde sulle spalle.
Mantellina di lino, con grosso cercine di ciniglia variopinta a incorniciare il viso,
ricamata sul basso con passamanerie a fondo rosso, con animali passanti e
arabeschi.
Calzature di cuoio scuro, bordate di cuoio lucido, dorato al ferro; passamanerie di
cuoio dorato con croce centrale sul sopra del piede.
L’archeologo non ha evidentemente descritto che gli elementi visibili sul corpo abbigliato. In realtà,
Thaïs di Antinopoli (Thaïas) indossava una prima camicia di lino di cui non resta nulla, poi due camicie
senza maniche, un primo vestito in lino e un secondo in lana, del quale non si conservano più che gli
ornamenti applicati, in arazzo di lana e lino o in sciamito operato di seta.
Nella tomba furono scoperti anche molteplici oggetti: una bara di legno, delle palme intrecciate,
quattro astucci per bicchieri, un cesto in vimini, un “rosario” di legno e avorio, una croce in bronzo,
una croce ansata e una croce greca in legno, due vasi di terracotta, un cesto di frasche di dattero,
delle canne e un grande vaso in terracotta.
La datazione al radiocarbonio degli abiti e della spoglia di Thaïs di Antinopoli (Thaïas) indica che la
defunta non ha potuto essere inumata prima della seconda metà del VII secolo. Le caratteristiche del
suo costume corrispondono perfettamante a questi risultati.
26
CARTELLA STAMPA
12 - La sepoltura di Leukyôné
Dal 1897, Albert Gayet non aveva scavato che i quartieri della necropoli situati sulla piana , tra «il
limite delle terre coltivabili e i primi contrafforti rocciosi». Si era presto convinto che, fra le
quarantamila sepolture esumate fino al 1901, le più curate non erano riservate che alle «classi medie
della popolazione di Antinopoli. Le più importanti sono state, finora, quelle di Thotesbent, la
musicante; di Aurelio Colluthus, il battiloro; di Euphémiâan, la ricamatrice; e altre ancora, che per i
pezzi raccolti nei dintorni dei corpi provano che esse furono quelle di funzionari o di ufficiali
subalterni, legati alla cancelleria o al palazzo» (Albert Gayet, 1902). Ma l’archeologo sogna di scoprire
le tombe dei patrizi.
Nel corso della settima campagna, che si svolge nel 1901-1902, egli scava i pendii della scogliera e
porta alla luce dei sepolcri in muratura particolarmente interessanti. Uno di essi, composto da un
vestibolo e da una camera funeraria a volta, aveva conservato, sulle pareti, il nome della defunta, in
greco: ΛΗΥΚΑΙΩΝΙΑ, che Albert Gayet traduce «Leukyôné».
Di tutte le morte uscite dalle tombe di Antinopoli, Leukyôné è, senza ombra di dubbio, assieme a
Thaïs (Thaïas), quella che più ispira l’archeologo. Egli commenta la sua sepoltura in diverse
pubblicazioni. La defunta riposava direttamente sul suolo senza bara, semplicemente coperta da un
sudario di tela unita. Delle «calzature di cuoio rosso con passamanerie dorate» erano deposte «nelle
pieghe della gonna, all’altezza delle ginocchia.» Il corpo era abbigliato di un «vestito di lana grigiogialla, le spalle avvolte in una sciarpa rossa, rigata di giallo sui bordi, dai quali pende una frangia; la
sua pesante capigliatura nera imprigionata sotto una retina di pizzo di lana viola a disegni gialli, la
fronte cinta da una corona di foglie di alloro e di rose, dalla quale i fiori sono caduti, petalo dopo
petalo [...].» La testa della defunta poggiava su un «cuscino a righe rosse e gialle».
È soprattutto il materiale funerario ritrovato nella tomba che suscita l’entusiasmo di Albert Gayet: il
«lararium» di Leukyôné e i suoi «amuleti» designano, per l’archeologo, «una donna greca, iniziata al
culto della Pietra-Nera e di Iside» del tempo dell’imperatore Eliogabalo (218-222) nonché «uno dei
tipi più perfetti del paganesimo trionfante» (Albert Gayet, 1902).
La presenta, nella ventiseiesima vetrina del Musée Guimet di Parigi, al fianco di una «dama
bizantina» che gli pare sicuramente cristiana, poiché
niente colpisce come questa opposizione di due donne, della stessa estrazione; la
prima, la pagana, rimasta carnale oltre la tomba, con il modellato morbido del suo
corpo che si direbbe, dopo tanti secoli, fremere ancora di voluttà. L’altra, la
cristiana, emaciata, disincarnata per le mortificazioni della penitenza, pia e casta,
benché la sua testa sia coronata di fuscelli di olivo, benché i suoi capelli biondi,
lunghi fino ai piedi al pari di quelli di un’altra Maddalena, siano intrecciati di
foglie, benché la sua ricca mise dichiari una civetteria dell’aldilà.
Albert Gayet, 1902.
I corpi di Leukyôné e della «dama bizantina» sono trasferiti nel 1944 al Musée de l’Homme, assieme
a quelli di Thaïs (Thaïas) e Serapione, per essere svestiti. Il costume di Leukyôné è oggi conservato al
Musée du Louvre. È presentato qui per la prima volta nella sua interezza. Delle datazioni al
27
CARTELLA STAMPA
radiocarbonio effettuate sulla spoglia, il vestito, la sopravveste, il cuscino funerario e il diadema
vegetale indicano che Leukyôné ha vissuto, verosimilmente, nel corso del VII secolo.
Il suo abito appartiene alla stessa tipologia di quelli degli eleganti ritrovati nei sepolcri in muratura
della piana, durante le campagna del 1897 e del 1898. Come i defunti provenienti dalle necropoli B e
C, Leukyôné portava un prezioso vestito in lana cachemire, un manto frangiato e barrato, in lana, e
una retina che imprigionava i suoi capelli. Albert Gayet stesso ha sottolineato le somiglianze esistenti
tra le sepolture della pianura, scavate nel 1897-1898, e quelle dei primi contrafforti della montagna.
Vi scopre peraltro anche delle sepolture maschili contenenti degli elementi di vestiario rivelati già
dalla seconda e dalla terza campagna, in particolare quella del «cavaliere bizantino», presentata
nell’attuale mostra del Musée des Tissus.
13 – La sepoltura del «cavaliere bizantino»
L’intera sepoltura del «cavaliere bizantino» è presentata nella venticinquesima vetrina
dell’esposizione dedicata al prodotto della settima campagna, nel 1902 al Musée Guimet di Parigi.
Questa sepoltura, particolarmente caratteristica, era situata per intero nella
montagna. L’appartamento funebre, composto di una camera abbastanza vasta,
scavata con copertura a volta, era preceduta un tempo da una cappella,
addossata alla roccia, i cui muri, tanto all’esterno quanto all’interno, erano
ricoperti di pitture a fresco, dissimulate sotto un intonaco.
All’entrata del sepolcro erano depositate delle grandi anfore dipinte, rinchiuse in
costruzioni di ciottoli, agglomerati in alcuni mortai. Il corpo, steso nella sua bara,
non era coperto che dal sudario ancora aderente. Mummia vestita di gambiere di
tela e di una tunica di tela ricamata. Numerose sciarpe ricamate; stivali alti.
Sciarpa di lana rossa, a supporto di una medaglia di san Giorgio. Croce di cristallo
di roccia e di quarzo. Piccolo quadro dipinto alla cera, figure religiose e
mitologiche. Pannello di legno scolpito, che si trovava inserito sul lato destro della
bara. Quattro grandi vasi decorati di pitture nere o rosse. Gruppo di terracotta
rappresentante la scena del banchetto.
Albert Gayet, 1902.
Nel 1903, per gli Annali del museo Guimet, Albert Gayet scrive un resoconto dettagliato della sua
campagna, nel quale offre numerose precisazioni sui sepolcri, «particolarmente caratteristici» dei
sotterranei della vallata nord-est, e sulle spoglie del «cavaliere bizantino». Pubblica anche delle
fotografie del pannello di legno a coda di rondine ornato da una rappresentazione scolpita
dell’albero della vita fra due leoni, pannello che era montato su uno dei fianchi della bara, oltre a due
vedute della spalla di un vaso con «l’ichtys», il pesce dei primi cristiani, e la rappresentazione del
giardino del paradiso. Infine, riproduce la fotografia del piccolo gruppo in terracotta raffigurante
un’agape.
Il corpo del «cavaliere» riposa su delle stoffe che costituiscono i sudari e il guanciale dell’allestimento
funebre. È vestito con una camicia in lino che scende fino alle ginocchia. I polsini sono guarniti di
larghi galloni applicati in sciamito operato di lana che presentano una bordura decorativa, su fondo
giallo, ornata di motivi rossi e verdi e un campo centrale blu scuro, dove si affronta una coppia di
28
CARTELLA STAMPA
uccelli, le testa rivolta all’indietro, attorno a uno stelo da cui scaturiscono dei pedicelli ai quali sono
sospese delle foglie in forma di picche. Sopra la camicia, il cadavere porta una tunica di lino, barrata e
ornata di arazzi, le cui maniche non sono infilate. Sui polsini, una decorazione di fine tessitura alle
tavolette.
Le gambe del defunto sono coperte da un indumento in tela di lino, nel quale Albert Gayet
riconosceva delle gambiere. Calza degli alti stivali di colore scuro. Al piede sinistro, solo il gambale
dello stivale si è conservato. La suola destra invece è pur presente, ma staccata dal resto dello stivale.
Sui piedi e sulla suola appare la madesima tela di lino che ricopre le gambe, e che forma delle «calze»
all’interno degli stivali. Una cucitura piatta, formata dai due bordi della stoffa di lino, ripiegati e cuciti
dissimulando il ripiego nell’assemblaggio, corre lungo le gambe. Nella suola, si ravvisa anche una
pezza ritagliata a forma di goccia, paragonabile a quella che è stata cucita nelle «calze» dello «scriba»
Pamias, scoperte nel 1898 nella tomba C 395. L’abito del «cavaliere bizantino» copre
manifestamente tutta la parte bassa del corpo, dai piedi fino alle anche. La vita e il cavallo non sono
visibili. Tuttavia, la tipologia dell’indumento, una sorta di calzone lungo che termina con dei piedi, è
perfettamente attestata dall’iconografia della tarda Antichità e del periodo bizantino. Nonostante
ciò, assieme alle «calze» dello «scriba», è il solo esemplare identificato, ad oggi, di questo elemento
misconosciuto del costume maschile da cerimonia. Una datazione al radiocarbonio, effettuata sui
capelli del cadavere, rivela che la sua inumazione ha potuto aver luogo tra il 580 e il 663.
14 – La sepoltura del «conducente di carro»
La nona campagna di scavo è condotta ad Antinopoli dal gennaio all’ aprile del 1904 grazie alle
risorse messe a disposizione dalla recentemente costituita Società francese di scavi archeologici. Col
beneficio di una sovvenzione di seimila franchi, Albert Gayet si mette alla ricerca delle sepolture
patrizie situate sulle creste della montagna. L’impresa si avvera però difficile. Prima di accedere alle
parti elevate, l’archeologo sgombera i sepolcri dei contrafforti del massiccio che «racchiudono,
anch’essi, delle sepolture: fosse a volta o sepolcri, riservati [...] alla alta borghesia [...].»
Dopodiché, Albert Gayet intraprende dei sondaggi nella zona in strapiombo, ma deve rapidamente
rinunciare per mancanza di crediti e di mezzi. «I primi passi fatti sul cammino che porta agli ipogei
(lo) avevano messo sulla traccia di nuove sepolture: quelle delle prime cime della montagna. Vi aveva
incontrato delle personalità che, fino a lì, (gli) erano sfuggite. Un conducente di carro, con i suoi
frustini, il suo pungolo, le sue redini. Altre ancora, che non ricordavano più i tipi già conosciuti ma
delle quali i tratti e il costume annunciavano una casta elevata.» Egli ridiscende quindi sui contrafforti
e porta alla luce delle nuove sepolture. Il materiale che vi scopre lo incita a riconoscere una divisione
riservata agli attori dei giochi olimpici di Antinopoli. Esuma, per esempio, le spoglie di un
«gladiatore» e quelle di Khelmis, «la preziosa cantatrice dell’Osiride-Antinoo.»
Albert Gayet annuncia, come ogni anno, i suoi ritrovamenti attraverso delle conferenze o degli
articoli. In La Renaissance latine, dedica qualche paragrafo al «conducente di carro»:
Il primo di questi Lazzari, dalle palpebre chiuse e come abbagliate dal chiarore del
sole al quale egli appariva dopo un sonno di diciassette secoli, fu un conducente di
carro, così come gli oggetti ritrovati deposti accanto a lui lo provano: dei frustini,
delle redini, un pungolo. Se le presupposizioni formulate su questi pezzi non
dovessero sembrare affatto convincenti, basterebbe osservare che le tombe vicine
29
CARTELLA STAMPA
furono quelle dei gladiatori o dei figuranti dei giochi olimpici affinché il dubbio si
cancelli e se ne faccia la prova. Chi era questo automedonte? Lo stato civile ci
manca; ma la personalità resta, e immediatamente questa si impone
nell’ambiente dell’ippodromo, che dispiega il suo stadio immenso ai piedi delle
bionde scogliere che dominano la porta orientale di Antinopoli. Non più che
l’individuo, il sito non è cambiato, la linea delle gradinate è rimasta, a dispetto del
tempo e degli uomini. È molto se appena i rivestimenti di pietra sono scomparsi,
strappati per servire a delle moderne costruzioni. I loro piani si sovrappongono
all’entrata di una vallata, dominata a picco da imponenti montagne, dalle creste
orizzontali, perforate sui loro fianchi da porte di tombe a siringa su delle bordure
così strette che a distanza si confondevano nella prospettiva di un piano continuo.
Sulla sinistra, a valle del fiume, vi è invece l’ondulazione molle delle sabbie opaline,
dove si pressano le stele e i cippi della necropoli. E l’impressione si fa assoluta,
palpabile, di questa arena in cui il sangue è scorso a fiotti, stesa là, come un trait
d’union, tra la città dei vivi, con le sue feste orgiastiche, e la città dei morti, con il
suo eterno riposo. E il quadro si anima, il passato diviene presente, il quadro si fa
magnifico. L’automedonte anonimo si risolleva, tale quale si era addormantato, il
corpo inguainato nella sua zimarra di bourrette di seta verde, guarnita di broccati
di seta, dagli ampi risvolti gallonati, simili a quelli dell’inizio del secolo scorso; i
piedi calzati in alti stivali di cuoio fulvo. Il suo viso dai tratti regolari, incorniciato
da una barba castana che scende in massa setosa; i suoi lunghi capelli ricci
denunciano il Latino freddo e placido, maestro di sé al momento voluto. Il tratto
corto delle sopracciglia sulla fronte dice la forza di volontà; le briglie in mano,
segue con lo sguardo i movimenti degli equipaggiamenti che gli contendono la
corsa. Altri hanno gli occhi fissi sulla folla ammassata sui gradini, si inebriano di
un’approvazione colta di passaggio, cercano nelle tribune un volto amico, spiando
un segno uscito dalla loggia del governatore, mascherata da veli preziosi. Egli
avanza dritto verso l’obiettivo, senza lasciarsi distrarre. Col suo frustino, dal
manico rivestito di cuoio intrecciato, con il pomello ornato da sottili cordicelle
frangiate, dalla cinghia larga e robusta, incita i suoi cavalli e li trattiene al
momento opportuno. Fu celebre, l’anonimo conducente di carro? Raccolse le
acclamazioni di questa popolazione in abiti da festa che si accalcava, avida di
spettacolo? Fu uno dei campioni di questa fazione di verdi di cui portò i colori? La
serenità del suo viso, l’autorità della sua maschera, la sicurezza diffusa sui suoi
tratti, autorizzano pienamente a supporlo.
Albert Gayet, 1904.
I corpi sono rivelati al pubblico solo l’anno seguente, durante l’esposizione organizzata dalla Società
francese di scavi archeologici al Petit Palais degli Champs-Élysées, nel giugno-luglio 1905. Le spoglie
sono in seguito donate al Palais des Beaux-Arts di Lille da un membro della Società. «Il corpo è
vestito di una zimarra di bourrette di seta verde guarnita di broccati di seta rossi e di un manto
tessuto in lino, a disegni bruni e neri. Presso il morto erano deposte delle fruste, delle redini
arrotolate e dei pezzi di equipaggiamento. Una statuetta dipinta, della quale non resta che la base;
una terracotta di lararium, immagine di Giove, due lampade di terracotta e ceramiche in quantità.»
Il defunto giace sull’asse di fondo della sua bara. Lungo il suo fianco destro si trovano i frustini, le
redini e gli equipaggiamenti che l’avevano fatto identificare come un «conducente di carro». La sua
30
CARTELLA STAMPA
testa, che ha conservato una capigliatura di media lunghezza, bruna, e qualche traccia della barba
corta che copriva le sue guance, riposa su un cuscino in taqueté di lana. Il suo volto era coperto da un
fazzoletto di lino di cui resta qualche traccia. Il corpo è avvolto in un grande sudario a losanghe, a
base saglia, dall’ordito in lana rossa e trama doppia in lino. Delle bande, in reps barrato, di lino e lana
multicolore, sono posate sul corpo. I piedi del morto sono ancora calzati di stivaletti di cuoio,
allacciati attorno alle caviglie, che hanno perso le loro suole. Alcuna traccia di vestiti è visibile sul
torso o sui polpacci del cadavere. Il defunto non sfoggiava dunque gambiere.
Un ampio manto, a maniche lunghe non infilate, è gettato sulle spalle del defunto. È stato
confezionato in una pezza di tela di lana cachemire, garzata dopo la tessitura, sulle due facce, in
modo da produrre delle lunghe fasce, pettinate in ondulazioni regolari che dissimulano totalmente la
tessitura. Il mantello non aveva un colletto. In compenso, il suo risvolto sinistro e il grande risvolto
destro, oggi voltati sul petto, erano decorati da passamanerie. Alcune serie di tre cordicelle di lino,
ricoperte di una tela sottile di lana beige, corrono lungo i bordi dei risvolti. Esse assicuravano la
tenuta e l’aplomb di queste parti dell’indumento. Il grande risvolto destro, precisamente, destinato a
ripiegarsi naturalmente verso la spalla, è guarnito con larghe pessamanerie di sciamito, sulle facce
interna ed esterna. La medesima seta è cucita specularmente sulla parte esterna del risvolto sinistro.
Si tratta di uno sciamito operato detto «semiseta», intessuto su un ordito in seta di colore rosa-beige,
per mezzo di due trame, la prima in seta rossa, la seconda in lana rossa. La decorazione è composta
da una rete di ottagoni, disposti in quinconce, tra i quali si inscrivono delle croci a braccia uguali,
marcate da una losanga, e degli esagoni. Gli ottagoni richiudono, da un registro all’altro, una rosetta
a quattro petali cordiformi o un quadrifoglio. Dei nastri della stessa seta, più stretti, orlavano i bordi
del manto.
Una datazione al radiocarbonio dei capelli del «conducente di carro» colloca la sua inumazione nel
corso del VII secolo, tra il 611 e il 690.
15 – La sepoltura del «funzionario porporato»
La decima campagna è finanziata dai crediti accordati, per la seconda volta, dalla Società francese di
scavi archeologici, per il valore di seimila franchi. Essa si persegue nella zona dei sepolcri in muratura
dei contrafforti della montagna, dove l’archeologo scopre nuove personalità notevoli, fra le quali
Slythias o Glythias, la «costumista delle immagini dell’Osiride-Antinoo», e il «funzionario porporato»,
del quale l’intera sepoltura è esposta al Petit Palais nella ventisettesima vetrina. Albert Gayet la
descrive così: «Il corpo è vestito di gambiere di bourrette di seta, grigio-gialla, sostenute da un
cinturone, e di una zimarra di bourrette di seta porpora, a larghi risvolti ornati di seta; le maniche,
molto più lunghe delle braccia, pendono liberamente sulle spalle. Uno scrittoio di bronzo, un
coperchio conico e un astuccio per calami, in cuoio, a tre aperture, sembrano indicare un funzionario
di palazzo. Ceramiche, pettine racchiuso in astuccio di cuoio cesellato, bastoncini da scrittura.»
Il cadavere giace su dei sudari, barrati di larghe bande vinaccia o ornati di grandi fiori in arazzo
applicato. Una stoffa di lino, barrata e ornata di arazzo contessuto, è posata sul suo petto. Il defunto
è vestito di una camicia di lino fine, il cui scollo, a punta, è guarnito da un gallone tessuto alle
tavolette. Ripiegato su se stesso, questo forma come delle spalline da una parte e dall’altra
dell’apertura dello scollo e scende al centro del petto prima di risalire verso il collo. È doppio, cucito
bordo a bordo, sulle spalle e sul davanti della camicia. Il medesimo gallone orna inoltre i polsini
dell’indumento.
31
CARTELLA STAMPA
Il defunto ha le gambe ricoperte da gambiere in tela di lana grigio-gialla, garzata sulle due facce. La
parte superiore delle gambiere è inaccessibile, ma gli attacchi che permettono di fissare le
giarrettiere al cinturone sembrano conservati. Le caviglie del defunto erano legate fra loro, ma non i
polsi. L’elemento più eminente della tenuta è evidentemente il grande manto steso sulle spalle del
morto. Questo è stato tagliato in una grande tela di lana, garzata sulle due facce, di colore carminio. I
risvolti e lo scollo erano guarniti con due serie di tre cordicelle di lino, ricoperte di una sottile tela di
lana beige, fra le quali sono applicati dei sottili nastri di taqueté operato di seta. La stessa seta,
rifiniva il bordo del manto. La parte inferiore delle maniche e la parte interna del grande risvolto
destro, destinate a ripiegarsi sulla spalla, comportavano delle passamanerie più larghe di questo
taqueté, decorate a piccoli quadri che disegnavano un reticolo losangato, segnato alle sue
intersezioni da dei quadrati più grandi e contenenti delle rosette a otto petali circolari. Si tratta qui
probabilmente di una seta di importazione.
Una datazione al radiocarbonio, effettuata sui capelli del «funzionario porporato», indica che
l’inumazione ha potuto situarsi tra il 576 e il 664.
16 – Lo «scialle di Sabina»
Da gennaio ad aprile 1903, Albert Gayet guida la sua ottava campagna sul sito di Antinopoli.
Concentra allora i suoi lavori nelle quattro zone del cimitero. La sua attenzione è portata innanzitutto
sulla necropoli della pianura. Questa gli fornisce l’essenziale della collezione che egli riporterà al
termine degli scavi.
Parallelamente, procede a dei sondaggi sui pendii della montagna, nelle vallate nord e nord-est già
esplorate l’anno precedente. Nel circo nord, porta alla luce dei sepolcri patrizi da cui provengono
diverse spoglie abbigliate e qualche oggetto notevole.
Al nord della piana, nei dintorni della tomba di Thaïs (Thaïas), scopre ancora, sotto delle sepolture già
aperte nel 1901, i corpi di diciotto donne, accompagnate da palme e avvolte in sudari mantenuti da
delle banderuole sulle quali appare un’iscrizione all’inchiostro, ΕΥΨΥΧΙ ΑΝΤΙΝΟΕ, che l’archeologo
traduce «gli Eletti di Antinopoli».
In uno dei sotterranei della valle nord, Albert Gayet esuma una sepoltura appartenente «al tipo del
sepolcro in muratura, ricoperto da un blocco agglomerato di pietra e mattoni», nella quale riposa
una donna nominata Sabina, (ΣΑΒΙΝΑ), «che, a stimare dalla ricchezza della sua toilette, possiamo
qualificare come patrizia, benché nessuna menzione di rango sia aggiunta al suo nome.»
Diversi oggetti erano stati disposti presso la morta, «una pietra gnostica, immagine di Abraxas, il
principe dei 365 cieli del sistema di Basilide; il pesce d’avorio, simboleggiante l’ichtys; un leone di
bronzo, emblema della forza; un collier di perle e ametista». Albert Gayet riconosce immediatamente
in Sabina, «malgrado il suo scialle pagano», una cristiana, «inquieta, è pur vero, un’adepta dei sistemi
gnostici».
Il cadavere, assieme al suo corredo funebre, è esposto al Musée Guimet tra il 7 giugno e il 7 luglio
1903. Condivide la venticinquesima vetrina con il corpo della «maga» Myrithis (ΜΥΡΙΘΙΣ), anch’ella
estratta dalla medesima zona della necropoli. Una fotografia illustra l’allestimento delle due tombe
da parte di Albert Gayet. In tale documento, Sabina appare in secondo piano, abbigliata di un
«vestito di lana rossa sul quale è drappeggiata una mantellina di bourrette di seta porpora, guarnita
32
CARTELLA STAMPA
di un grosso cercine a cingere la fronte». La parte inferiore del corpo è avvolta nello «scialle di lana
rossa, a quadri e passamanerie ad angolo, medaglione centrale e motivi ricamati ripetuti».
Manifestamente, la defunta giaceva sulla metà inferiore dello «scialle», l’altra metà essendo stata
ripiegata per coprire il cadavere. L’archeologo poteva dunque descrivere la parte accessibile della
stoffa, ornata di due quadrati d’angolo, il primo con «un Apollo che tende l’arco», il secondo con «un
altro Apollo di fronte a Iside-Venere», le «passamanerie» o galloni ad angolo retto, con «tutto un
mondo di piccole figure nude», «delle scene di pesca e di caccia, dei personaggi in barca, di passaggio
attraverso dei cespugli di loto», il «motivo modulare» del fondo, dove «queste immagini ricompaiono
isolate, (...) alternandosi a delle chiazze di fiori, rose e simbolici fiori di loto» e il motivo del «centro»,
«Apollo che conduce il suo carro» (Albert Gayet, 1903); ma il resto dello «scialle» gli è rimasto
invisibile, nascosto sotto la morta.
Al termine dell’esposizione, lo «scialle» è immediatamente suddiviso. Il Musée du Louvre ne
conserva un insieme considerevole per la sua iconografia: si riconosce, in un grande medaglione,
l’eroe Bellerofonte che combatte la Chimera con l’aiuto del cavallo alato Pegaso e, nei due quadrati,
Artemide cacciatrice e Apollo che insegue la ninfa Dafne la quale si trasforma in alloro; nelle bande
ad angolo retto si dispiega un peasaggio dei bordi del Nilo, con dei coccodrilli, degli ippopotami, delle
anatre e dei fiori di loto, in mezzo ai quali volteggiano dei genii pescatori, quando non nuotano nelle
onde del fiume. Il Musée des Beaux-Arts di Lione e il Musée des Tissus possiedono dei frammenti
importanti, sui quali delle piccole figure si danno ad attività bucoliche, campestri o erotiche.
La dispersione dei frammenti rende difficile apprezzare le dimensioni originarie dello «scialle» e la
disposizione dei motivi. Si è talvolta proposto di riconoscere un tendaggio in questa eccezionale
tessitura, la cui altezza doveva raggiungere quasi i tre metri. Ma la qualità della stoffa così come la
sua leggerezza – si tratta di una tela di lana effetto crêpe, ornata di arazzi contessuti – indicano che si
tratta proprio di un vestito. È così che Albert Gayet le restituisce, d’altra parte, in occasione di una
sfilata organizzata nel 1903, che mette in scena Thaïs, Leukyôné et Sabina.
L’analisi dei frammenti del Louvre, del Musée des Beaux-Arts e del Musée des Tissus di Lione, riuniti
qui per la prima volta, permette di proporre una nuova ricomposizione della decorazione, per quanto
concerne la parte superiore dello «scialle». La parte inferiore, sulla quale riposava il cadavere, è
sfortunatamente perduta in modo definitivo.
Il vestito doveva misurare due metri e settanta di larghezza per tre metri di altezza. La sua tessitura
ha richiesto l’intervento congiunto di almeno due tessitori, ciò che rivela l’analisi dell’insieme dei
motivi, i quali mostrano chiaramente «due mani» nel disegno delle figure e delle chiazze di fiori di
loto. L’elegante Sabina doveva portarlo sulla testa, con le due estremità dello «scialle» riportate sugli
avanbracci, lasciando così che il medaglione si schiudesse nel mezzo della sua schiena. L’ampiezza
della stoffa le permetteva di drappeggiarsi mollemente. Una datazione al radiocarbonio situa la
produzione dell’indumento tra il 340 e il 440.
33
CARTELLA STAMPA
17 - Immagini a disposizione della stampa
http:/www.echanges-ccil.fr/
Utente: presse
Password: pressemusee
Audrey Mathieu, Servizio fotografico - Centro di documentazione
+33 04 78 38 42 19 / [email protected]
Manto da uomo
Antinopoli, campagna del 1898,
Sepoltura di Achille, necropoli B, tomba 281.
Tela di lana garzata
con applicazione di sciamito di seta.
VI-VII secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 24872
Paio di gambiere da uomo
Antinopoli, campagna del 1898, sepoltura di Achille, necropoli B, tomba 281.
Arazzo di lana e lino.
VI-VII secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 28520.27 et MT 28520.28
34
CARTELLA STAMPA
Vestito dell’ «Amazzone pagana»
Antinopoli, campagna del 1898, necropoli B, tomba 106.
Tela di lino con arazzo di lana contessuto.
Prima metà del VI secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 28520.43
Manto dell’«Amazzone cristiana»
Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C, tomba 350.
Tela di lana garzata dopo la tessitura.
Prima metà del VII secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. SN
35
CARTELLA STAMPA
Frammenti di cuscino funebre
Antinopoli, campagna del 1898,
sepoltura di una «dama romana»,
necropoli B, tomba 117.
Taqueté di lana.
V-VI secolo.
Lyon, Musée des Tissus,
inv. MT 26812.19.1 et MT 26812.19.2
Calze dello scriba Pamias
Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C, tomba 395.
Tela di lino. Tela di lana garzata dopo la tessitura. Tela di lino quadrettata.
Fine del VI secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. SN
36
CARTELLA STAMPA
Cercine da testa
Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C,
tomba 339.
Intreccio in natté e saglia di lana.
VI secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 47555.3
Manto da donna
Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C, tomba 339.
Tela barrata di lana.
VI secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 47555.1
37
CARTELLA STAMPA
Manto da uomo
Antinopoli, campagna del 1898, necropoli B, tomba 288.
Tela di lana garzata; applicazione di sciamito in seta e lana
e di galloni alle tavolette in lana e lino.
VI secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 47554
Passamano di manica
Antinopoli, campagna del 1898, necropoli B, tomba 218.
Sciamito di seta.
VI secolo.
Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 26812.15
38
CARTELLA STAMPA
L’«Amazzone pagana» ©Cédric Roulliat
(modella Lydianne Chomienne)
Scribe©Cédric Roulliat
Lo scriba Pamias ©Cédric Roulliat
(modello Nicolas Nerriec)
Thaïs ©Cédric Roulliat
(modella Yasmina Remil)
39
CARTELLA STAMPA
18 - Intorno alla mostra
LE VISITE :

Visita commentata della mostra ogni domenica alle ore 15
 Visita insolita «Alla ricerca del medaglione perduto» (dai 7 anni)
Nel cuore dell’esposizione, i bambini aiutano la guida a risolvere alcuni enigmi, si
agghindano con abiti alla moda di Antinopoli e sono invitati a scoprire un tesoro
nascosto; delle visite ludiche ed interattive.
2ª domenica del mese, in famiglia alle ore 16:
13 ottobre, 10 novembre 2013, 12 gennaio e 9 febbraio 2014.
Vacanze scolari, senza adulti, martedì alle 10.30 :
22 e 29 ottobre 2013.
 Avvio al racconto (2-4 anni)
Al fianco degli adulti, i più piccoli partono alla scoperta di racconti, filastrocche e piccoli
giochi legati all’esposizione.
1ª domenica del mese alle 10.15:
3 novembre e 1 dicembre 2013, 5 gennaio e 2 febbraio 2014.
I LABORATORI
 Laboratorio adulti
Ricamo, tessitura di perle, ricerca tessile… Realizzare una creazione artistica in grande
libertà con diverse tecniche.
3° sabato del mese alle ore 10.30:
19 ottobre, 16 novembre, 21 dicembre 2013 e 18 gennaio 2014.
 Avvio museale (2-4 anni)
Toccare, ritagliare, mescolare, grattare, strappare: un momento di scambi ludici e
creativi che permettono di risvegliare i sensi dei genitori e dei bimbi, in collegamento
con la mostra.
3ª domenica del mese alle 10.15:
20 ottobre, 17 novembre e 15 dicembre 2013, 19 gennaio e 16 febbraio 2014.
 Esplorazione museale (4-6 anni)
In continuità con l’avvio museale, genitori e bambini proseguono la loro esplorazione
delle collezioni e sviluppano la loro creatività, in collegamento con la mostra.
1 volta per trimestre, la domenica alle 10.15:
24 novembre 2013 e 26 gennaio 2014.
 Laboratorio artistico
I bambini sono invitati a scoprire l’esposizione in una maniera ludica e creativa. Un
momento di relax per creare un’opera unica e originale.
Vacanze scolari, martedì, ore 10.45 per i bambini di 4-6 anni / ore 15.00 per i ragazzi di
7-12 anni:
22 e 29 ottobre 2013.
40
CARTELLA STAMPA
I CONCERTI
 AU FIL DU SON «Requiem, al cuore dell’esposizione»
Appuntamento mensile in partenariato con l’ensemble di musica antica La Note Brève. In
questa occasione, un’opera del museo è presentata al pubblico e messa in relazione con
un’opera musicale. Il pubblico è in seguito invitato ad ammirare l’opera del museo
ascoltando i pezzi musicali.
20 dicembre 2013 alle 12.30.
PER I GRUPPI
VISITE COMMENTATE della mostra in francese e in lingue straniere.
Varie tematiche nell’ambito stesso della mostra sono ugualmente proposte (materie, motivi,
costume e moda…).
Durata: 1h, 1h30, 2h.
SCUOLE
 RACCONTI
nido e scuola materna
Durata: 45 min / 1h
Nel cuore della mostra, un narratore accompagna i bambini sulle tracce dei fantasmi di
Antinopoli.
 VISITE SCOPERTA E TATTILI
scuola primaria e secondaria
Durata : 1h, 1h30, 2h
Un’insolita visita esplorativa per scoprire la mostra toccando e manipolando tessili ed
oggetti (riproduzioni) legati alle collezioni originali.
«Capolavori dell’esposizione»
Una proposta di lettura dettagliata delle maggiori opere della mostra.
«Alla scoperta delle materie tessili»
Lana, lino… fibre di ieri e di oggi.
«C’era una volta… Antinopoli»
Afrodite, cavallo alato, anatra, fiori di loto... una scoperta della mostra attraverso i motivi
tessili.
«Alla moda di Antinopoli»
Agghindati di abiti alla moda di Antinopoli, i bambini esplorano l’esposizione attorno alla
tematica del costume.
41
CARTELLA STAMPA
 LABORATORI
scuola primaria e secondaria
Durata: 2h /3h
I laboratori favoriscono la creatività mentre, allo stesso tempo, dispensano un savoir
faire.
Una breve visita si affianca a una creazione collettiva o individuale.
Creazione intorno ai motivi «copti»
Gli strumenti grafici, i giochi di colore…per realizzare un motivo in grande libertà ispirato
all’esposizione.
Il mio Scialle di Sabina
Grazie alle tecniche di stampa e di applicazione tessile, reinventa lo scialle di Sabina.
Il numero dei partacipanti è limitato secondo i luoghi e le attività.
Tariffe*
1h = 77€
1h30 = 100€
2h = 125€
Le tariffe variano in funzione del numero dei partecipanti.
Prenotazioni presso: Service culturel et pédagogique del MTMAD : +33 04 78 38 42 02 /
[email protected]
*dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 17.30
42
CARTELLA STAMPA
19 – I partners
Questa mostra è organizzata dal Musée des Tissus, in partenariato con il Musée du Louvre e
l’Opéra national de Lyon e con la collaborazione del Palais des Beaux-Arts de Lille, del Musée
gallo-romain de Fourvière e del Musée des Confluences.
Curatori dell’esposizione :
Florence Calament – conservatrice del patrimonio, sezione copta, dipartimento delle
Antichità egizie, Musée du Louvre
Maximilien Durand – direttore del Musée des Tissus e del Musée des Arts Décoratifs di
Lione
L’Opéra national de Lyon :
La ricostituzione identica agli originali dei costumi è il risultato di una collaborazione inedita,
iniziata da Maximilien Durand, fra il Musée des Tissus e l’atelier dell’Opéra national de Lyon.
A partire dallo studio degli abiti conservati al Musée des Tissus e dall’osservazione dei
disegni realizzati al momento degli scavi, l’atelier dell’Opéra, sotto la direzione di JeanMichel Daly, ha potuto disegnare i cartamodelli e realizzare gli abiti e i loro accessori.
Cédric Roulliat :
Cédric Roulliat, artista-fotografo, avvicina il suo lavoro a forme di narrazione popolari quali il
cinema o il fotoromanzo. Si definisce come un narratore troubadour che trasporta lo
spettatore in peregrinazioni emozionali.
Allestimento :
Loretta Gaïtis – architetto scenografo
Saluces – grafica e scenografia
Luci :
Sébastien Rodriguez – Musée des Tissus e Musée des Arts décoratifs
Fotografia :
Sylvain Pretto e Pierre Verrier – Musée des Tissus e Musée des Arts décoratifs
Catalogo :
Antinoé, à la vie, à la mode. Visions d’élégance dans les solitudes.
sotto la direzione di Maximilien Durand
440 pagine, 45€
Editions Fage, Lyon, 2013.
43
CARTELLA STAMPA
20 – Presentazione del MTMAD – Musée des Tissus Musée des Arts Décoratifs
Il Musée des Tissus è stato creato, alla metà del XIX secolo, in seguito alla prima Esposizione
universale tenutasi a Londra nel 1851. I fabbricanti lionesi che vi avevano partecipato
rientrarono con l’intima convinzione che fosse necessario fondare a Lione un museo di
campioni e di disegni. L’obiettivo di questa istituzione era, all’epoca, di difendere la
superiorità commerciale della seta lionese sostenuta allo stesso tempo da grandi
competenze tecniche e artistiche, testimonianza di un gusto sicuro per la disposizione e la
colorazione di motivi originali. I fabbricanti si rivolgono dunque alla Camera di Commercio
che decide di creare un museo d’Arte e d’Industria situato nel cuore del Palais du
Commerce, edificato da René Dardel a partire dal 1856. Il museo apre al pubblico nel marzo
1864 e propone una visione enciclopedica delle fonti d’ispirazione e di tutte le branche delle
arti applicate all’industria, presentando nelle sue gallerie sia degli oggetti d’arte che dei
tessili. Anche una biblioteca fu costituita al fine di completarne la dotazione. È soltanto negli
anni 1890, tuttavia, che questo museo prende il nome di museo storico dei Tessuti,
affermando chiaramente un proposito ridefinito, quello di illustrare una storia universale dei
tessili.
Il Musée des Tissus di Lione conserva oggi la più importante collezione di tessili a livello
mondiale, con quasi duemilioni cinquecentomila pezzi. Essa copre quattromilacinquecento
anni di produzione tessile – dall’Egitto faraonico fino ai nostri giorni, dal Giappone alle
Americhe, passando per la Cina, l’Oriente, l’Italia o ancora i Paesi Bassi – e tutti i tipi di
tessitura sono rappresentati. Il museo conserva ugualmente un gran numero di album di
campioni che offrono una visione esaustiva della produzione lionese tra la fine del XVIII
secolo e gli anni 1950. Il Musée des Tissus ospita inoltre al suo interno, fin dalla sua
fondazione nel 1954, il Centre international d’étude des textiles anciens (Centro
internazionale di studio dei tessili antichi) dedicato all’analisi e allo studio dei tessuti.
Nel 1985, il museo si arricchisce ulteriormente di un primo laboratorio di restauro riservato
alle sue proprie collezioni e, dal 1997, di un secondo laboratorio che mette la sua expertise al
servizio di altre collezioni ospitate in altre istituzioni.
Il Musée des Arts Décoratifs fu inaugurato, da par suo, nel 1925 nel palazzo Lacroix-Laval,
acquistato da una Società di amatori lionesi, d’origine o di elezione, con l’idea di perseguire
quest’opera di insegnamento universale della storia del gusto. In meno di venticinque anni,
questi amatori hanno dotato il museo di collezioni europee, orientali, cinesi e giapponesi, dal
Medioevo fino ai nostri giorni.
Completato da alcune acquisizioni finanziate dalla Camera di Commercio, il museo occupa
oggi la posizione di seconda collezione francese nell’ambito delle arti decorative. Questi due
musei riuniti, dopo il trasferimento del Musée des Tissus nella sede attuale, il palazzo
Villeroy, rue de la Charité, dipendono fin dalla loro origine dalla Chambre de Commerce e
d’Industrie di Lione ed entrambi figurano fra i « musées de France » dal 2002.
44
CARTELLA STAMPA
21 - Informazioni pratiche
I MUSEI
Musée des Tissus e Musée des Arts décoratifs
Maximilien DURAND
Direttore
Claire BERTHOMMIER
Conservatrice delle Collezioni
34, rue de la Charité
69002 Lyon
+33 04 78 38 42 00
Métro Bellecour o Ampère – Victor Hugo
Aperto dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 17.30.
Chiuso i lunedì e i festivi.
Biglietti : 10 € - 7,50 €
www.mtmad.fr
Seguite l’attualità dei musei anche sui social networks
IL SERVIZIO CULTURALE E DIDATTICO
Cécile DEMONCEPT
Responsabile (+33 04 78 38 42 06)
Daisy BONNARD
Assistente (+33 04 78 38 42 02)
[email protected]
Il servizio culturale e didattico organizza visite guidate per adulti e ragazzi, per gruppi o per visitatori
individuali così come laboratori, conferenze, eventi familiari o professionali.
IL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
Pascale LE CACHEUX
Responsabile (+33 04 78 38 42 17)
Audrey MATHIEU
Studi documentari e fototeca (+33 04 78 38 42 19)
Vincent CROS
Studi documentari (+33 04 78 38 42 03)
[email protected] et [email protected]
Biblioteca in libero accesso dal martedì al giovedì (10.00-12.30 e 14.00-17.30).
L’ORGANIZZAZIONE DEI VOSTRI EVENTI
Alloggiato, dal 1946, nel sontuoso palazzo De Villeroy, residenza del Governatore nel XVIII secolo, il
Musée des Tissus apre le sue porte per accogliere le vostre manifestazioni.
La sua elevata capacità di accoglienza così come i suoi spazi di ampiezza e di caratteri molto vari,
permettono di immaginare tutti i tipi di ricevimento. Delle visite guidate delle collezioni permanenti
del Musée des Tissus e del Musée des Arts Décoratifs oltre che delle esposizioni temporanee, per
gruppi di 20 persone, possono essere associate a tali eventi.
Marie-Claire NOYERIE
Responsabile Amministrazione e Gestione (+33 04 78 38 42 07)
[email protected]
45
Scarica

Comunicato stampa