Antinopoli, alla vita, alla moda. Photo ©Cédric Roulliat Visioni di eleganza nelle solitudini. Esposizione dal 1˚ ottobre 2013 al 28 febbraio 2014 in partenariato con il Musée du Louvre e l’Opéra national de Lyon. Questa esposizione è riconosciuta d’interesse nazionale dal Ministero della Cultura e della Comunicazione, Direzione generale dei patrimoni, Servizio dei Musées de France. Beneficia a questo titolo di un eccezionale sostegno finanziario dello Stato. Beneficia inoltre di un sostegno della Direzione regionale delle attività culturali Rhône-Alpes. Ufficio stampa : [email protected] MTMAD 34 rue de la Charité 69002 Lyon www.MTMAD.fr CARTELLA STAMPA Sommario 1. Comunicato stampa della mostra 2. Comunicato stampa del Ministero della Cultura e della Comunicazione 3. Introduzione 4. La campagna del 1897: la rivelazione delle necropoli di Antinopoli e dei loro tesori 5. La terza campagna di scavi del 1898 6. L’esposizione del prodotto della terza campagna di scavi al Musée Guimet di Parigi nel 1898 7. Gli abiti scoperti durante la terza campagna di scavi (1898) 8. Le campagne successive (1899-1908) 9. I capolavori provenienti dalle diverse campagne 10. Il costume ad Antinopoli 11. La sepoltura di «Thaïs di Antinopoli» (Thaïas) 12. La sepoltura di Leukyôné 13. La sepoltura del «cavaliere bizantino» 14. La sepoltura del «conducente di carro» 15. La sepoltura del «funzionario porporato» 16. Lo «scialle di Sabina» 17. Immagini a disposizione della stampa 18. Intorno alla mostra 19. I partners 20. Presentazione del MTMAD – Musée des Tissus Musée des Arts Décoratifs 21. Informazioni pratiche 2 CARTELLA STAMPA 1 – Comunicato stampa della mostra Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini. Questa esposizione è riconosciuta d’interesse nazionale dal Ministero della Cultura e della Comunicazione, Direzione generale dei patrimoni, Servizio dei Musei di Francia. Beneficia a questo titolo di un eccezionale sostegno finanziario dello Stato. Mostra organizzata dal Musée des Tissus, in partenariato con il Musée du Louvre e l’Opéra national de Lyon. Curatori : Florence Calament – conservatrice del patrimonio, sezione Copta, dipartimento delle Antichità egizie, Musée du Louvre Maximilien Durand – direttore del Musée des Tissus e del Musée des Arts décoratifs Immagini a disposizione della stampa : http:/www.echanges-ccil.fr/ Utente : presse Password : pressemusee Ufficio stampa : [email protected] 3 CARTELLA STAMPA Nel 1896, Émile Guimet, celebre industriale lionese, ottiene di poter condurre un cantiere di scavo sul mitico sito di Antinopoli. La città era stata fondata nel 130 dall’imperatore Adriano sul luogo dell’annegamento del suo favorito Antinoo. Unica fondazione imperiale sul suolo egizio, Antinopoli (in greco Antinoopolis) è stata voluta come una fucina di ellenismo e di raffinamento. Essa ospitava il palazzo del governatore ed era dotata di monumenti notevoli: un arco di trionfo, dei portici monumentali, dei templi – tra cui il santuario di Antinoo, un tempio di Iside, un tempio di Serapis – un teatro, un ippodromo… Durante i periodi romano e bizantino (fino all’VIII secolo), è sicuramente una delle città più brillanti del mondo mediterraneo. Incaricato da Émile Guimet, l’archeologo Albert Gayet dirige, nel 1896, una prima campagna molto promettente. Nondimeno, è nel corso della seconda campagna che porta alla luce le necropoli della città. I vestiti esumati dai sepolcri rivelano al mondo l’eleganza dei suoi abitanti. Émile Guimet, immediatamente convinto dell’importanza della scoperta, persuade la Camera di Commercio di Lione a finanziare in gran parte la terza campagna che avrà luogo nel 1898. Questa ha come obiettivo di proseguire l’esplorazione delle necropoli e di procurare al museo dei Tessuti di Lione abiti o frammenti di indumenti fino ad allora sconosciuti. Degli esemplari precoci e unici di tessuti in seta, segnatamente, sono rivelati in questa occasione. Il frutto della campagna di scavi viene brevemente esposto a Parigi, al Musée Guimet, prima di integrare le collezioni del Musée des Tissus nel 1899. Tali reperti, nondimeno, rimangono prevalentemente inediti. Infatti, solo qualche pezzo è presentato al suo arrivo, mentre la maggior parte resta nelle casse, nello stato conservativo in cui si trovava al momento del ritrovamento nello scavo. Il successo dell’esposizione al Musée Guimet permette ad Albert Gayet di portare avanti l’esplorazione del sito. Ogni anno, fino al 1908, il Palais du Costume, il Musée Guimet o il Petit Palais degli Champs-Élysées organizzeranno un’esposizione estiva prima della dispersione del materiale, ripartito tra diversi musei, musei di storia naturale o università. Il Musée des Tissus riceverà quasi ogni anno, sempre grazie a Émile Guimet, i pezzi più significativi per la storia del costume o del tessile. Oggi, il Musée du Louvre possiede la più importante collezione di oggetti esumati ad Antinopoli. Con la recente riscoperta degli abiti provenienti dalla campagna del 1898, il Musée des Tissus rivela di conservare altresì una collezione considerevole. Da quasi due anni, in effetti, le stoffe dimenticate nelle casse originali sono state identificate, analizzate e restaurate per essere svelate al pubblico. La mostra Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini presenta quindi, grazie al partenariato tra questi due musei e per la prima volta, degli insiemi infine riuniti e numerose opere inedite. Per la prima volta, inoltre, è precisamente dal punto di vista della storia della moda che questo materiale può essere considerato. Infatti, diversi abiti completi da uomo e da donna – dalle calzature agli accessori passando per i manti, le camicie o i vestiti – sono qui esposti. In partenariato con l’Opéra national de Lyon, questi costumi sono stati oggetto di minuziose restituzioni, messe poi in scena dal fotografo Cédric Roulliat. Essi rivelano le mode nell’abbigliamento della tarda Antichità, il gusto degli eleganti per le stoffe di lusso, in seta o in lana, così come le influenze di un Oriente mitico, la Persia, di cui si adottano allora gli abiti da cerimonia o il repertorio ornamentale. Le stoffe, dal canto loro, mostrano anche che Antinopoli era un centro di produzione tessile di primaria importanza, il quale rispondeva alle esigenze di una popolazione composita, titubante tra un paganesimo crepuscolare e un cristianesimo sempre più ufficiale. La mostra presenta la totalità della campagna del 1898 e gli elementi più eccezionali delle campagne successive, organizzati intorno agli abiti della famosa «Thaïs», nella quale si è talvolta riconosciuto l’eroina del romanzo di Anatole France e dell’opera di Jules Massenet, oppure a quelli di Leukyôné, la pagana ritrovata con il suo lararium e associata da Albert Gayet al regno di Eliogabalo. Il Musée du Louvre ha concesso dei prestiti importanti, tra i quali diversi capolavori esposti a Lione per la prima volta, come lo «scialle di Sabina», presentato finalmente assieme agli elementi conservati al Musée des Tissus e al Musée des Beaux-Arts di Lione. Il Palais des Beaux-Arts di Lille e il Musée des Confluences di Lione hanno ugualmente accettato di prestare le mummie vestite di un «conducente di carro» che officiava all’ippodromo, di un «funzionario porporato», molto probabilmente addetto all’amministrazione del palazzo, e di un «cavaliere bizantino» abbigliato con il costume caratteristico del suo rango. Quasi duecentocinquanta opere (di cui settanta prestiti del Louvre) sono presentate nell’esposizione: abiti completi, copricapo, calzature, frammenti, tappezzerie, cuscini funebri, corpi vestiti (per la maggior parte datati tra i secoli IV e VIII), acquarelli contemporanei degli scavi e fotografie di Cédric Roulliat. Esposizione dall’1 ottobre 2013 al 28 febbraio 2014. 4 CARTELLA STAMPA 2 - Comunicato stampa del Ministero della Cultura e della Comunicazione Azioni a favore dei musei di Francia : esposizioni che hanno ricevuto il riconoscimento di esposizione di interesse nazionale Aurélie Filippetti, ministro della Cultura e della Comunicazione, annuncia la lista delle 20 manifestazioni che ricevono il riconoscimento « Exposition d'intérêt national » (Esposizione di interesse nazionale) nel 2013. Il riconoscimento « Exposition d'intérêt national » ricompensa ogni anno i musei di Francia che mettono in opera delle esposizioni di pregio tanto per la loro qualità scientifica quanto per il carattere innovativo delle azioni di mediazione culturale che le accompagnano. Queste Esposizioni di interesse nazionale si inscrivono nel quadro della politica di diffusione e di allargamento del pubblico condotta dal Ministero della Cultura e della Comunicazione. Esse partecipano altresì alla sua politica di azione territoriale, con la ricerca di una giusta ripartizione dell’aiuto dello Stato tra le collettività promotrici di progetti. Le sovvenzioni eccezionali assegnate ai progetti selezionati dalla Direzione generale dei patrimoni, servizio musées de France, possono raggiungere i 50.000 euro. Le esposizioni scelte nel 2013 sono le seguenti : Interférences/Interferenzen, architecture, Allemagne-France, 1800-2000 Strasbourg - Musée d'art moderne et contemporain, 29 marzo – 21 luglio 2013 Mémoires vives, une histoire de l'art aborigène Bordeaux – Musée d'Aquitaine, 26 ottobre 2013 – 30 marzo 2014 Georges-Antoine Rochegrosse (1859-1938) Moulins – Musée Anne de Beaujeu, 29 giugno 2013 – 5 gennaio 2014 François-André Vincent (1746-1816) – Un artiste entre Fragonard et David Tours – Musée des Beaux-Arts, 19 ottobre 2013 – 19 gennaio 2014 Sur la route des Indes : un ingénieur français sur la route du Tamilnadu Châlons-en-Champagne – Musée des beaux-arts et d'archéologie 21 settembre 2013 – 15 bebbraio 2014 Courbet et Cézanne Ornans – Musée Courbet, 29 giugno – 14 ottobre 2013 Tourbillonnante Joséphine Baker Boulogne-Billancourt - musée des années 30, 21 novembre 2013 – 23 marzo 2014 Une odyssée gauloise. Parures de femmes à l'origine des premiers échanges entre la Grèce et la Gaule - Lattes – Musée de Lattara, 27 aprile 2013 – 12 gennaio 2014 Le goût de Diderot Montpellier – Musée Fabre, 5 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014 Aubusson, tapisseries des Lumières. Splendeurs de la manufacture royale, fournisseur de e l'Europe au XVIII Siècle. Aubusson – Cité de la Tapisserie, 15 giugno – 31 ottobre 2013 Ours - mythes et réalités Toulouse – Muséum d'histoire naturelle de Toulouse, 11 ottobre 2013 – 30 giugno 2014 5 CARTELLA STAMPA Une renaissance, l'art entre Flandre et Champagne Saint-Omer – Musée de l'hôtel Sandelin, 5 aprile – 1 luglio 2013 Picasso, Léger, Masson : l'histoire d'une galerie Villeneuve d'Ascq – LaM, 28 settembre 2013 – 12 gennaio 2014 Clemenceau et les artistes modernes : Manet, Monet, Rodin. Les Lucs-sur-Boulogne – Historial de la Vendée, 8 dicembre 2013 – 2 marzo 2014 Chaissac-Dubuffet – Entre plume et pinceau Les Sables d'Olonne – musée de l'abbaye Sainte-Croix, 13 ottobre 2013 – 26 gennaio 2014 Joseph Cornel et les surréalistes à New York – Dali, Duchamp, Ernst, Man Ray Lyon – Musée des beaux-arts, 18 ottobre 2013 – 10 febbraio 2014 Antinoé, à la vie à la mode. Visions d'élégance dans les solitudes Lyon – musée des Tissus, 1 ottobre 2013 – 28 febbraio 2014 Nel quadro di Normandie impressionniste : Un été au bord de l'eau ; loisir et impressionnisme Caen – Musée des beaux-arts, 27 aprile – 29 settembre 2013 Eblouissants reflets – 100 chefs d'œuvre impressionnistes Rouen – Musée des beaux-arts, 29 aprile – 30 settembre 2013 Vernon et les bords de Seine au temps des impressionnistes Vernon – Musée Poulain, 7 aprile – 22 settembre 2013 Pissarro dans les ports : Rouen, Dieppe, le Havre Le Havre – Musée d'art moderne André Malraux, 27 aprile - 29 settembre 2013 Nel quadro di Nancy Renaissance 2013 : Un nouveau monde : naissance de la Lorraine moderne Nancy – Musée Lorrain, 4 maggio – 4 agosto 2013 L'automne de la Renaissance : d'Arcimboldo à Caravage Nancy – Musée des beaux-arts, 4 maggio – 4 agosto 2013 Nel quadro di Marseille-Provence 2013 – Capitale europea della cultura: Le grand atelier du Midi, de Van Gogh à Bonnard Marseille – Palais Longchamp, 13 giugno – 13 ottobre 2013 Nuage Arles – Musée Réattu, 16 maggio – 31 ottobre 2013 Le grand atelier du Midi, de Cézanne à Matisse Aix-en-Provence – Musée Granet, 13 giugno – 13 ottobre 2013 Ufficio stampa Dipartimanto dell’informaz ione e della comunicazione 01 40 15 74 71 [email protected] Direzio ne ge nera le de i patrimoni Françoise Brézet 01 40 15 78 14 fra ncoise.breze [email protected] uv.fr www.culturecomm uni catio n.gouv.fr 6 CARTELLA STAMPA 3 - Introduzione Busto di Antinoo detto «Antinoüs d'Écouen». Marmo, copia del XVIII secolo da un originale proveniente dalla villa Adriana, conservato al museo del Prado. A ntinopoli (in greco Antinoopolis) è una capitale situata sulla riva orientale del Nilo, in Medio Egitto, a circa trecento chilometri a sud del Cairo. Deve il suo nome – che significa «la città di Antinoo» - e il suo prestigio alle circostanze della sua fondazione da parte dell’imperatore Adriano il 30 ottobre dell’anno 130. La città viene stabilita proprio nel luogo dove il favorito dell’imperatore, il giovane Antinoo, era appena annegato nel Nilo. Le circostanze del dramma non sono chiare. L’efebo è stato assassinato? Si è immolato per scongiurare un oracolo nefasto al suo amante? Comunque sia, Adriano resta inconsolabile. Fonda la città che porta il suo nome, divinizza il giovane uomo e gli fa dedicare un culto, sotto il nome di Osiride-Antinoo. L’organizzazione spaziale della città di Antinopoli è determinata dall’asse del Nilo e dalla catena montuosa arabica che si erge sullo sfondo. La città si stende su una piana parallela alla riva del fiume e al riparo di questo anfiteatro naturale, all’interno di una cinta trapezoidale di mura in mattoni crudi lunga più di cinque chilometri. Preceduta da vestigia risalenti almeno al Medio Impero, la città è costruita secondo il modello delle colonie greche già esistenti in Egitto, ma si tratta di un caso unico di fondazione imperiale sul suolo egizio. L’ambizione politica espressa è quella di farne una vetrina e un tramite del potere di Roma nella provincia d’Egitto nonché un nuovo centro di ellenismo. Questa determinazione si traduce nel piano urbanistico : un arco di trionfo costituisce l’entrata monumentale della città sul Nilo e delle vaste colonnate orlano le vie principali, il cardo e il decumanus, che si incrociano ad angolo retto e servono i cinque quartieri (grammata) designati dalle prime lettere dell’alfabeto greco e il sesto denominato Hadrianeios, a loro volta suddivisi in agglomerati; la città comprende inoltre un teatro, dei bagni pubblici, un ampio ippodromo fuori delle mura e numerosi templi, tra i quali l’Antinoeion, dedicato «ad Antinoo che troneggia assieme agli dei d’Egitto», come rivela un’iscrizione trovata sul sito. Durante tutto il periodo romano e bizantino, Antinipoli è un eminente centro politico, religioso e intellettuale, situato all’apertura di un nuovo accesso verso i porti del Mar Rosso, sulla Via Nova Hadriana, inaugurata nel 137. Capoluogo di un nome – o divisione amministrativa – essa ospita il palazzo del governatore provinciale. Essa è anche sede di un vescovado e attira i pellegrini venuti per venerare la tomba del santo martire Colluthus, vittima, nel IV secolo, delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano. L’insegnamento che vi è dispensato, particolarmante nel campo delle matematiche e della medicina, è molto reputato. Il culto degli dei dell’Egitto e dell’Impero, Iside, Osiride, Serapide, ma anche dei greci Apollo, Atena o Zeus, sembra perdurare fino al periodo bizantino mentre, d’altra parte, pure il cristianesimo si impone. Tale diversità confessionale corrisponde all’eterogeneità della popolazione. La città declina poco a poco con la conquista araba dell’Egitto, nel 640. Le pietre dei monumenti servono all’edificazione della nuova città del Cairo. Dopo l’VIII secolo, cade lentamente nell’oblio, e lo splendore della 7 CARTELLA STAMPA città romana e bizantina non sopravvive che come un ricordo nei racconti meravigliosi della maggior parte dei geografi arabi medievali. Alcuni viaggiatori occidentali riscoprono le sue vestigia dalla fine del XVI secolo. Tuttavia le sue rovine escono concretamente dal degrado grazie alla Spedizione d’Egitto e al lavoro di Edme François Jomard, che vi soggiorna ben cinque volte tra il 1798 e il 1800 e che compone un disegno complessivo. Il regno del viceré riformatore Muhammad Alí (1805-1849) risulta particolarmente devastatore: i lavori di irrigazione e di industrializzazione congiunti allo stato di abbandono del sito causano quasi la disparizione delle rovine. Il potenziale archeologico di Antinopoli è nondimeno presentito da Émile Guimet (1836-1918). La sua determinazione gli permette di ottenere l’autorizzazione di effettuarvi degli scavi, che egli stesso finanzia a partire dal 1896. Gli ci saranno voluti dieci anni per mettere in opera questo progetto, da quando lanciò il suo famoso: «Non ci sarebbe qualcosa da fare ad Antinopoli?». Un giovane archeologo, Albert Gayet (1856-1916), viene scelto per guidare il cantiere. Consacrerà venti anni della sua vita e tutti i suoi sforzi alla rivelazione della brillante civiltà di Antinopoli e della raffinata quotidianità dei suoi abitanti. Pianta generale degli scavi di Antinopoli, di Albert Gayet, 1900 circa, © La Nature 2037, 1912, fig. 7, p. 19. 8 CARTELLA STAMPA 4 - La campagna del 1897: la rivelazione delle necropoli di Antinopoli e dei loro tesori Albert Gayet conduce la sua prima campagna sul sito di Antinopoli nel marzo-aprile del 1896. Lo stesso Émile Guimet gli aveva affidato la missione di scoprire testimonianze della fusione del simbolismo egizio nelle credenze greche e romane. Devo dire subito che la mia attesa fu in parte delusa o, piuttosto, che l’importanza degli sterri necessari per arrivare a scoprire, all’interno di una città, la quantità di statuette religiose che mi aspettavo era talmente considerevole che paralizzò l’esplorazione. Albert Gayet, 1905. Le ricerche vengono orientate in primo luogo sulla città d’epoca faraonica che aveva preceduto la fondazione di Adriano. Albert Gayet disvela innanzitutto le rovine del cortile e della sala ipostila di un tempio dell’epoca di Ramses II, situato a nord-ovest dell’incrocio tra i due viali principali della città romana. Nella pianura e nella montagna circostanti, rileva inoltre alcune tombe del Medio Impero. Delle statuette greco-egizie, delle ceramiche, qualche maschera in gesso o in terracotta e qualche piccolo oggetto egizio si vedono esposti al Musée Guimet al suo ritorno, ma alcun tessile appare ancora fra le scoperte. Sempre grazie ad un’esortazione del Musée Guimet, Albert Gayet riprende gli scavi dal febbraio all’aprile del 1897. Porta alla luce le fondazioni di una cappella di Amenofi IV, il cortile e il pronao di un tempio di granito dedicato a Iside-Demetra e le vestigia di un tempio di Serapide. Si allontana quindi dal limite della città e scopre un «campo di offerte», vale a dire di numerose anfore sigillate riempite di cereali, di miele o di gallette, interrate nel suolo dai pellegrini venuti a venerare Osiride-Antinoo. Ma, nel mese di marzo, egli scopre, all’est della città, quattro quartieri di una necropoli che attribuisce ai periodi faraonico, romano, bizantino e copto. Nessuna descrizione saprebbe rendere l’aspetto di questa necropoli di Antinopoli, tale quale mi è stato dato di vedere nel corso stesso degli scavi eseguiti a cura del Musée. Sotto un chiaro sole primaverile, il deserto sfumava, uniformemente monotono, in larghe onde gialle, lucenti di un riverbero bianco da cui saliva come un vapore luminoso, sfuggito a qualche focolare misterioso. A misura che ci si avvicinava al campo di esplorazione, delle fosse, impercettibili da lontano, annunciavano i pozzi di sondaggio. Attorno, i contorni degli operai si profilavano a momenti, netti, con una precisione straordinaria. Delle bande di bambini, la testa carica di una cesta di rosai intrecciati piena di frantumi, passavano cantando una 9 CARTELLA STAMPA lamentazione. L’insieme del quadro non aveva inizialmente nulla di così funebre. Ma quando, dall’alto di un monticello, lo sguardo abbracciava tutto il cantiere in attività, si sarebbe detto essere sotto l’effetto di qualche fantastico incubo. Disposte in file ravvicinate, come nei nostri cimiteri, le fosse svuotate si aprivano spalancate mentre, sul versante delle sabbie riversate al loro fianco, giacevano i coperchi delle sepolture, mescolati alle ossa dei morti. Delle teste, delle braccia, delle gambe, dei tronchi disarticolati, dei lembi di stoffa ricoprivano ovunque il suolo. Qui, erano stesi dei corpi interi, completamente vestiti. Degli altri, spogliati del tutto, esibivano la loro miserevole nudità in un’attitudine sinistra, che conservava come un’impronta di morte recente, e che rendeva più orribile ancora il loro ammirevole stato di conservazione. Non un capello mancava a queste fronti ingiallite; non un ciglio, a queste orbite vuote; non un’unghia, a queste mani insecchite; non un pollice di pelle, a questi muscoli come pietrificati. Albert Gayet, 1897. L’archeologo porta alla luce le sepolture di diverse «signore romane», inumate con i loro più ricchi apparati e adagiate su preziosi cuscini funerari, e quella di un «ufficiale», vestito di un mantello color carminio ornato di passamanerie di seta. La sola difficoltà è quella di togliere i vestiti senza strapparli, perché le pieghe, alla lunga, hanno aderito, e la minima trazione riduce la stoffa in briciole; al punto che, presa alla sprovvista questo inverno, l’esplorazione non ha dato che risultati imperfetti, e che gli esemplari spediti al museo non vi giungeranno che in brandelli. Albert Gayet, 1897. Quando Émile Guimet scopre il prodotto della seconda campagna e gli esemplari unici di stoffe preziose che da questa provengono, si convince che l’esplorazione vada proseguita. Per questo deve trovare dei finanziamenti complementari. La Camera di Commercio di Lione è allora sollecitata. Il 27 settembre 1897, Émile Guimet fa pervenire al Presidente della Camera: 1 – due cornici contenenti delle stoffe trovate ad Antinopoli (Egitto) e risalenti al periodo romano ; 2 – quattro buste contenenti dei frammenti di stoffe non incollate affinché si possa esaminarne la tessitura ; 3 - un fascicolo che illustra il risultato degli scavi. Monsieur Albert Gayet, il sapiente egittologo che dirigeva i lavori, non non si aspettava minimamente di riscontrare stoffe di questa importanza. Male attrezzato, egli non ha potuto raccogliere che dei piccoli pezzi. L’anno prossimo, le precauzioni saranno prese meglio e i campioni di stoffa sicuramente più importanti. Se la Camera di Commercio si interessa a tali ritrovamenti e se aggiunge 2000 franchi alle soscrizioni raccolte per gli scavi di Antinopoli, il Sig. Gayet riserverà tutte le stoffe e le invierà alla Camera di Commercio la quale farà la sua scelta. 10 CARTELLA STAMPA Senza esitare, e davanti all’importanza delle scoperte fatte nel 1897 per la storia dei tessili della tarda Antichità, la Camera di Commercio diventa il primo socio degli scavi di Antinopoli al fine di dotare il suo Musée des Tissus delle scoperte più considerevoli provenienti dal sito. Essa otterrà il frutto quasi integrale della terza campagna di scavo, svolta nel 1898. Seta, Antinopoli, campagna del 1897, Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 26812.2 5 - La terza campagna di scavi del 1898 Albert Gayet conduce la sua terza campagna di scavi tra il febbraio e l’aprile del 1898. Questa volta, concentra i suoi lavori sui quattro quartieri del cimitero della piana. Li nomina A, B, C e D, e vi riconosce rispettivamente una «necropoli egizia» (A), una «necropoli romana» (B), una «necropoli bizantina» (C) e delle «sepolture copte» (D). Ogni tomba riceve a sua volta un numero. Così si parlerà, per esempio, dell’occupante della tomba B 281 – necropoli B, tomba 281 – o della defunta inumata nella tomba B 417. È negli ultimi tre quartieri che egli porta alla luce degli esemplari inediti di costumi. Nelle tombe del primo gruppo, il morto è imbalsamato in maniera sommaria, gli amuleti che lo circondano appartengono al rituale antico, niente annuncia i culti olimpici. Nel secondo, i cadaveri sono talvolta ancora ricoperti di bende, ma non mummificati. Un bagno di leggero bitume aromatizzato, e soprattutto l’azione della sabbia li hanno preservati altrettanto e forse più che l’imbalsamatura faraonica. Le carni si sono disseccate, la pelle si è indurita. Sul volto è posata una maschera di gesso dipinto o dorato su cui sono incastonati degli occhi di smalto. Ma più spesso il defunto è vestito di un abito simile a quello che portava in vita, e gli oggetti inumati assieme a lui appartengono al culto greco-egizio. Nel quartiere copto, infine, i morti sono abbigliati come i precedenti, ma le stoffe sono più grossolane, i ricami di cui sono ornate meno curati, gli accessori meno lussuosi. […] In due mesi , duemila cave furono aperte. Cinquanta solamente nella necropoli antica; trecentocinquanta nella necropoli romana; cinquecento nella necropoli bizantina; millecento nel cimitero cristiano. Albert Gayet, 1898. Sfortunatamente non si sa quasi nulla dei defunti che riposavano nei sepolcri in muratura della pianura, nei quartieri B e C, e ancora meno di quelli che giacevano, semplicemente rivestiti e interrati direttamente nella sabbia, nel quartiere D. Albert Gayet è effettivamente in difficoltà nel fornire delle precisazioni sulle tombe che fa aprire. 11 CARTELLA STAMPA Peraltro sono tutte anonime, non sussiste di quelle dei primi tre gruppi che la camera sotterranea, il monumento che un tempo segnalava l’esistenza di tutte loro essendo sparito per servire come materiale da costruzione. Di lì una mancanza assoluta di documenti sulla data che conviene assegnare a ciascuna di esse, e sulla personalità di coloro che vi sono venuti a riposare. Qualche indicazione approssimativa può appena essere fornita dalla natura degli oggetti che esse richiudono. Albert Gayet, 1898. Ciononstante, di questi defunti anonimi che egli esuma in gran numero, dai quali preleva alcuni lembi di stoffe che avevano costituito, un tempo, i loro abiti da cerimonia, Albert Gayet schizza, nel corso delle sue pubblicazioni, un ritratto ben incarnato e quasi vivente. Da questo cimitero addormentato per secoli, i morti si alzano, nuovi Lazzari, con il loro viso di un tempo ; le loro tuniche hanno conservato le pieghe che l’abitudine aveva fissato alle sinuosità del corpo; le corone con le quali si adornavano il capo non sono affatto appassite, e i simboli della loro fede, il ricordo di ciò che hanno amato, ci sono resi tali quali al giorno in cui, da mani pie, furono deposti al loro fianco. Albert Gayet, 1902. Dal 22 maggio al 30 giugno 1898, il prodotto della campagna dell’inverno è esposto al Musée Guimet di Parigi. Il pubblico parigino scopre allora con stupefazione la raffinatezza e il lusso delle stoffe di Antinopoli. Diciotto vetrine sono dedicate agli oggetti portati alla luce nelle necropoli. Un mobile ad ante contiene gli esemplari più fragili e preziosi di sete che guarniscono gli abiti di lusso. Sette vetrine sono devolute a degli abiti completi da uomo o da donna che l’archeologo qualifica da «alto dignitario», da «amazzone» - la prima «pagana», la seconda «cristiana». Le altre contengono vestiti più o meno frammentari. Piani del mobile a sportelli realizzato dalla Maison Goumain frères. © Documenti conservati al Centre historique des Archives nationales, Paris. Un piccolo fascicolo in-diciottesimo, senza illustrazioni, accompagna la visita. Si intitola Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi del 1898 ed esposti al musée Guimet dal 22 maggio al 30 giugno 1898. Redatto in uno stile laconico e spesso impreciso, menziona brevemente ogni pezzo presentato nell’esposizione. Costituisce, purtroppo, il solo resoconto degli scavi dell’archeologo. Il pubblico è entusiasta e la stampa ditirambica. La grande maggioranza delle stoffe viene riposta nelle casse dopo l’esposizione. Esse sono spedite a Lione dove arrivano nel 1899. Certe stoffe sono immediatamente estratte dalle casse ed esposte al Musée des Tissus. La maggior parte, però, rimane 12 CARTELLA STAMPA inedita, non studiata e nello stato di conservazione del suo prelievo dallo scavo, fino alla loro riscoperta nel 2012. Grazie al Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli, quasi tutte le vetrine dell’esposizione del 1898 hanno potuto essere ricomposte e ogni opera ha potuto essere identificata. Alcuni elementi d’abbigliamento senza eguali sono oggi presentati per la prima volta in seno alla mostra Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini. 6 - L’esposizione del prodotto della terza campagna di scavi al Musée Guimet di Parigi nel 1898 Al ritorno dalla sua campagna dell’inverno 1898, Albert Gayet è già persuaso che si potrebbe scrivere tutta una storia della civilità di Antinopoli, nei periodi romano e bizantino, soltanto grazie agli abiti scoperti nelle sepolture. Nell’esposizione che organizza al Musée Guimet di Parigi tra il 22 maggio e il 3 giugno 1898, l’archeologo si sforza così di classificare i suoi ritrovamenti per consegnare al pubblico i grandi capitoli di questa storia, sovente a discapito, purtroppo!, dell’unità archeologica delle sepolture. La prima vetrina era dedicata all’arredo funebre che caratterizza le sepolture di «epoca romana», con un «letto funebre intero» (tomba B 112) composto di un «cuscino», un «materasso» e una stoffa che «si stendeva sulle gambe del morto». Dei «frammenti di un manto maschile» (tomba B 79), ornati di passamani di seta, rivelano di già il lusso di queste sepolture. Un altro «cuscino» (tomba B 117) e uno «specchio» evocano il tipo di oggetti rivelati dai sepolcri; questi gli consentono anche di giustapporre il manto maschile allo specchio tipicamente femminile. Nella seconda vetrina, il visitatore scopre in seguito il primo abito completo dell’esposizione. Si tratta della tenuta dell’«alto dignitario» (tomba B 281). I quartieri B e C della necropoli, secondo l’archeologo, sembrava comprendessero «delle divisioni riservate agli ufficiali imperiali residenti ad Antinopoli». L’occupante della tomba B 281 era particolarmente rappresentativo di questa società, poiché portava un «manto a lunghe maniche, in bourrette di seta porpora», guarnito di passamani di seta, delle gambiere, sostenute da giarrettiere di cuoio passate in un cinturone, una camicia decorata con galloni «rosso-bruno, damascati di rosso, blu e verde» e dei «sandali a stringhe e lacci di cuoio». Nella terza vetrina, l’abito della «musicante», estratto dalla tomba B 176, rivelava il pendant femminile della tenuta dell’«alto funzionario». Sfortunatamente oggi è perduto, ma le descrizioni di Albert Gayet, nel Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi del 1898 e nelle sue ulteriori pubblicazioni sono sufficientemente esplicite perché sia possibile figurarselo: È la musicante Thotesbent, che calza delle pianelle in cuoio rosso cesellato e decorate con passamanerie di cuoio blu, dorate al ferro, al modo delle rilegature. La tunica trasparente ha uno sprone ricamato a fiori verdi e gialli, da cui scendono due clavi che terminano con dei medaglioni lanceolati. Il suo vestito, di bourrette di seta carminio, cade dritto, di forma simile alla tunica; è fatto di due panni di stoffa cuciti insieme, ai quali si adattano delle maniche aderenti, più lunghe delle braccia, e chiuse da polsini. Delle ricche passamanerie ornano il giro del collo e i bordi. Sopra il tutto è gettata una mantellina arancione, provvista di un cercine di giro-testa, che ricorda il costume esibito dalle statuette di Tanagra. Nelle mani, riportate sul corpo, un fazzoletto a frange annodate. Qua e là, nel sepolcro, delle bottiglie di profumo, delle cetre e delle nacchere d’avorio, una figura arcaica di Iside, dei monili di bronzo e le perle di un collier spezzato. 13 CARTELLA STAMPA Albert Gayet, 1902. La quarta vetrina rivelava una variante di questo abito femminile solenne. La defunta che lo indossava, inumata nella tomba B 149, possedeva anch’essa un vestito di lana ornato con passamanerie, portato sopra una camicia di lino fine. Essa aveva ugualmente raccolto i suoi capelli in una retina e una cuffia, coperta da un ampio mantello sostenuto da un «cercine», i suoi piedi calzavano delle pianelle. Il visitatore dell’esposizione comprendeva così quali fossero gli elementi caratteristici del guardaroba femminile, nelle epoche romana e bizantina. B 149 Vestito ©P. Verrier. Musée des Tissus Nella quinta vetrina, Albert Gayet espone non dei costumi completi ma degli elementi che permettono di comprendere le varianti dei tipi che egli ha presentati nelle tre precedenti vetrine. Un «manto da uomo» a maniche lunghe, di colore turchese (tomba B 129), ricorda i frammenti disposti nella prima vetrina. Una gambiera di lana garzata, proveniente da un’altra tomba (tomba B 271), lo accompagna. L’uno e l’altra evocano gli elementi dell’abito dell’«alto dignitario», ma rivelano la diversità e la preziosità delle stoffe impiegate per la confezione degli indumenti di lusso. Albert Gayet espone ugualmente una terza versione della tenuta femminile (tomba B 285), composta da un vestito in lana, una retina per capelli, un gallone proveniente da un copricapo e delle calzature di cuoio. Nella sesta vetrina si trova il quarto abito completo. Questo è emerso dalla tomba C 395 dove riposava lo «scriba». Assieme a quello dell’«alto funzionario», tale abito supporta l’ipotesi dell’archeologo secondo la quale i quartieri B e C erano riservati riservati a dei personaggi eminenti, verosimilmente dotati di funzioni ufficiali, come suggerisce il loro manto di color carminio. Lo «scriba» era peraltro accompagnato dal suo astuccio per calami e dal suo scrittoio, che gli erano valsi anche l’appellazione di «maggiordomo bizantino» o di «segretario del governatore di Antinopoli». La settima vetrina presentava i frammenti di tre lussuose tenute femminili, esumate nella necropoli C di epoca «bizantina», nelle tombe 339, 408 e 370. Queste offrivano diversi tipi di camicie di lino fine, decorate con delicati moduli di fiori in bocciolo, di vestiti in stoffe preziose o di mantelli di lana soffici e colorati, sostenuti da «cercini». Infine, l’ottava vetrina, l’ultima al centro della rotonda, racchiudeva i resti di un abito da uomo, (tomba B 288): un manto a maniche lunghe, di colore turchese che faceva eco ai frammenti della prima vetrina e all’esemplare completo della quinta, e una «calza di tela verde, dalla punta del piede gialla», paragonabile a quelle dello «scriba». Sul contorno della rotonda, quattro vetrine erano dedicate a degli abiti completi. La nona e la dodicesima vetrina contenevano ciascuna un manto maschile a maniche lunghe, in lana garzata di color carminio, impreziosito da passamani di seta. Il primo era risultato dalla tomba B 114 ed era accompagnato da alcuni galloni della camicia del defunto. Nella dodicesima vetrina, invece, era presentata la tenuta di un «alto funzionario», la quale comprendeva un mantello, delle gambiere 14 CARTELLA STAMPA (jambières o anche houseaux) che l’archeologo chiama «houzaux (sic), di cuoio rosso-bruno, ornate di un nastro di seta, di cui si vede ancora la traccia in basso», assieme al «cinturone di cuoio» e le «giarrettiere che servivano a reggere le gambiere» e i galloni della camicia. Nella quattordicesima vetrina era presentato il costume dell’«Amazzone pagana» (tomba B 106) il quale, con quello di Thotesbend e quello dell’«Amazzone cristiana», costituisce l’insieme che l’archeologo considera come il più considerevole. Esso comprende, in effetti, un manto di un tipo molto insolito, il «cercine» che lo completava, un vestito di lana gialla, ornato da ricami, stretto da una cintura intrecciata, una camicia di lino fine, un’eccezionale cuffia, portata sopra dei posticci di capelli naturali, e degli «stivali di cuoio rosso goffrato». Il costume dell’«Amazzone cristiana» (tomba C 350), nella diciasettesima vetrina, contrastava anch’esso con gli altri esemplari di indumenti femminili presentati all’interno della rotonda. Il suo soprabito è unico nell’insieme delle scoperte fatte sul sito. Questo copriva i capelli, aumentati di posticci di capelli naturali e raccolti in una retina di lana, ed era mantenuto sulla fronte da un «cercine di lana». Esso si drappeggiava attorno ad un vestito di lana verde e viola, di grandissima ampiezza, portato sopra una camicia di lino ornata con drappo di lana. Delle «babbucce» di cuoio completavano la tenuta. Nella decima e sedicesima vetrina, che comprendevano tre ripiani sovrapposti, Albert Gayet aveva raccolto dei frammenti, talvolta coerenti, illustranti i diversi tipi di abito. La decima vetrina era riservata alle necropoli B e C. Le vestigia degli indumenti da cerimonia erano riuniti sui primi due ripiani. Questi presantavano, segnatamente, un abito completo da donna, emerso dalla tomba B 417, e diversi frammenti di elementi di vestiario maschile di lusso. Sull’ultimo ripiano erano disposti gli unici abiti completi da bambino dell’esposizione, oltre ad alcune porzioni di abiti da adulto. La sedicesima vetrina, invece, era interamente dedicata alle sepolture della necropoli D. La diversità delle stoffe e la varietà dei motivi hanno probabilmente guidato le scelte fatte dall’archeologo per il suo allestimento. L’undicesima, la tredicesima e la quindicesima vetrina riunivano delle maschere di gesso o delle statuette di terracotta e non contenevano nessuna stoffa. Dopo aver scoperto il costume dell’«Amazzone cristiana», il visitatore poteva consultare gli esemplari più fragili e preziosi dei tessuti estratti dalle tombe di Antinopoli in un mobile a sportelli concepito specificamente per la loro conservazione. Albert Gayet aveva concentrato qui le stoffe che gli erano sembrate particolarmente pregevoli. Vi si trovavano delle sete operate, alcune delle quali erano state oggetto di importazione dall’Asia Centrale, ma anche qualche tappezzeria di lana che l’archeologo aveva selezionata per le sue qualità estetiche o iconografiche. Infine, ai piedi della scala, l’esposizione si concludeva con la diciottesima vetrina, anch’essa concepita secondo lo stesso principio del mobile a sportelli, nella forma di «campionario» delle tecniche, delle tipologie d’abito e dei motivi. Al termine del percorso, il visitatore aveva quindi una visione relativamente chiara e precisa della geografia della necropoli, con i suoi quartieri B e C riservati alle sepolture notabili e la sua divisione D probabilmente più popolare. Quest’ultima ha consegnato degli indumenti relativamente comuni e delle stoffe meno prestigiose rispetto alle sepolture in muratura della pianura. L’esposizione Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini rievoca la disposizione originale voluta dall’archeologo stesso. Ad eccezione dell’abito della «musicante» Thotesbent il quale, rimasto al Musée Guimet di Parigi anche dopo l’evento, sembra essere stato perduto durante la Prima Guerra mondiale, tutti gli insiemi hanno potuto essere ricostituiti. Essi sono identificati e presentati qui per la prima volta. Ogni tessile è accompagnato dal relativo numero di tomba e dalla descrizione datane da Albert Gayet nel suo Catalogo. 15 CARTELLA STAMPA 7 - Gli abiti scoperti durante la terza campagna di scavi (1898) Tra gli abiti presentati durante l’esposizione al Musée Guimet di Parigi nel 1898 figura qualche abito maschile completo, ma la maggioranza dei pezzi appartengono al vestiario femminile. L’abito da cerimonia degli uomini si compone di biancheria in tela di lino, del tipo calze o calzoni lunghi, comportanti dei piedi, come rivela la sepoltura dello «scriba» (tomba C 395). Al disopra di questo primo indumento, gli uomini infilavano dei tubi di stoffa che coprivano le gambe. Queste gambiere erano realizzate in drappi di lana e di lino, tessute in forma o tagliate in una lussuosa tela di lana cachemire, garzata dopo la tessitura, e guarnita di una larga striscia di seta applicata alla caviglia. Nella parte superiore, la gambiera si arrotondava per cingere l’anca. Una giarrettiera di cuoio, infilata in un cinturone di cuoio, teneva la gambiera ben posizionata. Una lunga camicia di lino bianco, che scendeva al disotto dei glutei, dissimulava il cinturone. Questa prevedeva delle maniche ristrette al polso, e delle inserzioni a triangolo sui fianchi che la svasavano nella parte inferiore. Il suo scollo a «V» era orlato con un gallone, generalmente tessuto alle tavolette. Il gallone, alla punta dello scollo, scendeva nel mezzo del petto, si rigirava due volte su se stesso al centro del ventre e risaliva verso lo scollo, simulando un’apertura tagliata sul davanti della camicia. Esso si prolungava anche da una parte e dall’altra del collo in guisa di spalline. Lo stesso gallone abbelliva infine anche i polsini. Il pezzo più importante dell’abito degli uomini era sicuramente il grande manto che essi posavano sulle spalle. Tagliato in un tessuto di lana cachemire di colore carminio o turchese, garzata dopo la tessitura, era stretto in vita, scendeva fino alle caviglie e si apriva ampiamente sul davanti. Delle lunghe maniche, svasate verso il basso, pendevano liberamente dalle spalle. Queste non venivano infilate. Il risvolto destro del mantello comportava un grande bavero, che si apriva naturalmente posizionandosi sulla spalla destra. Un colletto completava alcuni esemplari, contribuendo all’adeguata vestibilità dell’indumento. Tutti questi manti – preziosamente vellutati quelli di color carminio o coperti di lunghi ciuffi ondulati a imitazione della pelliccia quelli di colore turchese – esibivano delle passamanerie della più grande raffinatezza, composte di applicazioni di cordicelle di lino ricoperte di lana molto fine, di colore beige aranciato, e di seta dalle decorazioni ispirate alla Persia sassanide. Questa era tagliata in larghe pezze per i risvolti e i fondi delle maniche, in strisce per i bordi dell’abito o in sottili galloni per dissimulare le cuciture di assemblaggio sul dietro e lungo le maniche. Le calzature erano basse, in cuoio scuro, allacciate attorno alla caviglia, o alte, ed adottavano allora la forma di stivaletti o di stivali. Altri indumenti sembrano aver composto il guardaroba dei patrizi, come i vestiti di lana sottile, anch’essi decorati di larghi passamani di seta o di galloni tessuti alle tavolette. Sfortunatamente, gli esemplari conservati sono estremamente lacunosi, perché questi vestiti, direttamente a contatto col corpo, hanno risentito gravemente delle operazioni di svestimento dei defunti. Gli uomini che non appartenevano all’aristocrazia o che non esercitavano delle funzioni ufficiali portavano delle tuniche di lino, talvolta estremamente fini. Esse erano tessute in un unico pezzo o in tre elementi assemblati, comportavano a volte dei fermagli, all’interno o sulle due facce, e delle decorazioni di arazzo, tessute contemporaneamente al fondo della tela o tessute a parte e cucite in 16 CARTELLA STAMPA aggiunta. La diversità dei motivi che ornano questi vestiti è immensa: si trovano dei motivi geometrici o vegetali, dei personaggi relativi al repertorio bucolico o campestre, delle scene inserite nei paesaggi dei bordi del Nilo o degli episodi ispirati alla mitologia greco-romana e alla letteratura. L’abito delle eleganti si compone di una camicia di lino, con o senza maniche, generalmente ornata di moduli di fiori in bocciolo o sbocciati, che si posa sulla parte inferiore dell’indumento e risale in due bande che svaniscono sui seni. Il basso della camicia è spesso traforato o sfrangiato. Al disopra, esse indossavano un ampio vestito di lana. I più preziosi sono in lana cachemire, garzata dopo la tessitura sulle due facce che presentano così un aspetto vellutato. Questi sono di colore carminio o grigio-giallo. Le maniche sono ristrette al polso da una cucitura in sbieco. Lo scollo, tagliato tondo, è bordato con un gallone applicato. Delle decorazioni in arazzo, parimenti applicate, si dispongono in bande dalle spalle fino al seno, in quadrato o in medaglioni sulle spalle e sul fondo del vestito, davanti e dietro, e infine sull’avanbraccio, sotto forma di paramani. I loro capelli, acconciati in chignon sulla nuca, si incrementavano di posticci in capelli naturali fissati da una parte e dall’altra della testa, dietro le orecchie. Il tutto era chiuso in una retina di lino o di lana, poi coperto da una cuffia di lino, arricchita da barrures di lana, sovente rossa, a volte bouclée, e decorata di seta. Essa copriva totalmente il capo. Un grande mantello in tela di lana, anch’essa garzata, si posava sulla testa. Era sostenuto da un cercine di stoffa, intrecciato o tessuto alle tavolette con degli anelli, che incorniciava il viso. I due lembi del mantello cadevano mollemente ai due lati del corpo e potevano essere elegantemente drappeggiati. Ai piedi, calzavano dei sandali di cuoio, bruno o rosso, decorati con applicazioni di cuoio blu o dorato. L’estrema abilità dei tessitori permetteva di variare la struttura delle stoffe, e dunque di diversificare gli effetti del vestiario femminile. Alcuni vestiti sono in tela di lana ad effetto crêpe. Essi sono più morbidi, più ampi, e necessitavano di essere stretti in vita da una cintura in lana intrecciata, al disopra della quale essi sbuffavano creando, sui lati, delle pieghe cilindriche. Essi sono peraltro decorati con passamani in arazzo multicolore, tessuti assieme al fondo del vestito. Altri abiti sono realizzati in tela di lana spessa, più rigida. Questi producevano un drappeggio più monumentale. I manti, a loro volta, prevedevano diverse varianti. Generalmente abbinati ad un cercine di colore affine, sono costituiti nella maggior parte dei casi, da un grande panno rettangolare sfrangiato alle estremità, portato trasversalmente. La loro tessitura è morbida, a effetto crêpe, quando era cercato un drappeggio complesso, oppure più pesante, in lana garzata, quando l’indumento doveva cascare con nobiltà. Anche le calzature presentano variazioni multiple. Esse sono talvolta del tipo babbucce, ma possono altresì adottare la forma di alti stivali in cuoio rosso. Lo svelamento, operato da Albert Gayet, di questo vestiario estremamente raffinato ha rappresentato una vera rivelazione. Fino ad allora, gli abiti della tarda Antichità non erano conosciuti che attraverso i mosaici di Ravenna, per esempio, o i modelli dipinti o scolpiti della prima arte bizantina. Nessun esemplare era pervenuto, e tali documenti non consentivano di valutare la preziosità dei materiali impiegati, la seta, la lana cachemire, né le prodezze compiute dai tessitori egiziani. 17 CARTELLA STAMPA 8 - Le campagne successive (1899-1908) Al termine dall’esplorazione del 1898, Émile Guimet crede che le potenzialità del sito siano esaurite, dal momento che Albert Gayet gli ha scritto di avere aperto duemila tombe nella necropoli B «la sola ad avere dell’interesse». L’industriale prospetta dunque con l’archeologo la possibilità di concentrarsi sui cimiteri romani di Achmounein (Hermopolis Magna), sulla riva sinistra del Nilo, capitale del nome Ermopolita. Ma Albert Gayet si ostina a voler esplorare ulteriormente le necropoli di Antinopoli, e cerca altre fonti di finanziamento per proseguire i suoi lavori. È presso la Société du Palais du Costume che trova nuovi fondi. Questa finanzia le due seguenti campagne (1898-1899 e 1899-1900). Il prodotto degli scavi è presentato sugli Champ-de-Mars, in occasione dell’Esposizione universale dell’estate 1900, e al Musée Guimet, tra il dicembre 1900 e il gennaio 1901, poi venduto in un’asta pubblica il 17 giugno 1901. È la prima volta che Albert Gayet espone spoglie abbigliate, fra le quali i corpi di «tre cavalieri bizantini» prelevati «in un sotterraneo murato» o quello della «ricamatrice» Euphemiâan. Aveva inoltre scoperto la tomba del «battiloro» Aurelio Colluthus e della sua sposa Tisoïa, datata, grazie a dei documenti su papiro, alla metà del V secolo. La sesta campagna (1901) e le due successive (1901-1902 e 1903) saranno poste sotto gli auspici del Ministero dell’Istruzione pubblica e delle Belle Arti per il quale Albert Gayet diviene incaricato di missione. Nel 1901, l’archeologo esuma la famosa «Thaïs» e il monaco Serapione, così come la «signora Uraïonia», con il suo corredo funebre composto di diciotto tuniche. La settima campagna porta alla luce le sepolture di un «cavaliere bizantino», di un «centurione romano», della pagana Leukyôné, della «Dama bizantina» e della «Dama del monogramma». Nel 1903, egli dissotterra la «maga» Myrithis e la «patrizia» Sabina. Gli abiti di «Thaïs», di Leukyôné e il corpo del «cavaliere bizantino» sono presentati nella mostra Antinopoli, alla vita, alla moda. Visioni di eleganza nelle solitudini, assieme allo «scialle» della «patrizia» Sabina, tutti riuniti per la prima volta in questo contesto. Mummie di Leukyôné e della «dama bizantina». © Musée du Louvre, dipartimento delle Antichità egizie (fondo Guimet) Il prodotto degli scavi è esposto ogni anno al Musée Guimet di Parigi, per un mese. Albert Gayet pubblica un catalogo di supporto alla visita, paragonabile a quello redatto per l’esposizione del 1898. Alla conclusione dell’esposizione, il materiale viene assegnato dallo Stato a diverse istituzioni, il Musée Guimet e il Louvre, segnatamente, ma anche il Musée des Tissus di Lione e vari altri musei, Musei di Storia naturale o Università francesi, compromettendo in tal modo l’apprezzamento globale 18 CARTELLA STAMPA degli oggetti provenienti dalle necropoli. Molto spesso, le stoffe sono addirittura ritagliate prima di essere disperse e incollate su cartone, per il gran dispiacere dell’archeologo che sognava di vedere crearsi un «museo di Antinopoli»: Cosa si fara di tutto ciò? Ahimè! La collezione raccolta l’anno scorso è stata ripartita fra i musei di Parigi e di provincia. Quelli di Parigi non hanno affatto spazio per esporre, e quelli di provincia, sconcertati dalla novità dei soggetti, ci hanno in parte rinunciato. Questa volta, la cosa si è aggravata; e la prima parola dei conservatori chiamati a pronunciarsi è stata questa: “Non ci sarà mai il mezzo di sistemare tutto ciò; ci vorrebbe un museo intero!” Sì, la frase era pertinente; ma, per disgrazia, un museo non si improvvisa facilmente. Quindi hanno aggiunto: “Non c’è che un mezzo: ritagliare tutto, prelevare tutto quello che è ricamato e lasciare da parte tutto il resto.” E, per disgrazia ancora, ogni branca scientifica, volendo trovare in queste reliquie dei materiali di insegnamento, ha creduto vedere in questa proposta la migliore delle soluzioni. Allora, tutta questa gente si appresta non solamente a uccidere questi resuscitati, ma ad annientare una civiltà che la morte aveva messo al riparo, per l’eternità, nel fondo delle necropoli. Tutte queste pieghe che hanno conservato l’impronta della vita saranno disfatte. Sono troppo ribelli ancora; ma aspettate! Non c’è niente che resista al vandalismo. Si confezioneranno una sorta di tamburi da ricamo; si fisseranno sopra le stoffe, per mezzo di spilli; e, con una disinvoltura di manovre, gli operatori dirigeranno su di esse dei vapori. Le pieghe distese, gli spilli le tenderanno di nuovo; il lavoro ricomincerà sempre così, finché la stoffa sarà liscia. A questo punto, si troveranno dei pezzi bene incollati su cartoni. Si avranno forse anche dei lunghi saggi sugli intrecci di pizzo o sul punto dei ricami. Ma un mondo, uscito dalle sue tombe, sarà scomparso, e questa volta per sempre. Questi corpi che diremmo addormantati, queste teste che hanno mantenuto l’espressione di un tempo, saranno pezzi da musei scientifici o da collezioni antropologiche; le foglie delle corone andranno agli erbari; gli oggetti di cui questi morti sono attorniati saranno dispersi. Forse, le industrie d’arte possono attingere informazioni utili da tutto questo; ma non c’è nessun bisogno, per fornire loro dei documenti, di distruggere una civiltà per una seconda volta. Delle casse intere di frammenti, non esposti, sono là, e basterebbero per soddisfarle tutte. E, inoltre, vi è un insegnamento più alto, quello che l’arte e la storia sono in diritto di chiedere a questa evocazione. Non lo possono trovare in una parte di ricamo incollato su un cartone; ci vogliono le pieghe del vestito modellate sul corpo, l’impronta lasciata dalla vita. Non possono nemmeno accontentarsi di un pezzo isolato, sono invece necessarie tutte le collezioni che sarà possibile raccogliere ad Antinopoli, riunite in un solo insieme. Albert Gayet, 1902. Temendo di vedere esaurirsi le risorse del sito archeologico, il ministero ritira il suo sostegno finanziario. Albert Gayet si rivolge allora alla giovanissima Società francese di scavi archeologici (Société française de fouilles archéologiques), creata il 14 gennaio 1904, che conta fra i suoi primi 19 CARTELLA STAMPA membri Émile Guimet, Édouard Aynard e Raymond Cox, nuovo conservatore del Musée des Tissus, così come la stessa Camera di Commercio di Lione. La nuova Società si fa carico del finanziamento delle due seguenti campagne (1904 e 1905) che vedranno, tra le altre, la scoperta di un «gladiatore» e di un «conducente di carro», di Khelmis, «la preziosa cantatrice di Osiride-Antinoo», e di Slythias, «la costumista delle immagini divine» oltre a un «funzionario porporato». Un’esposizione al Petit Palais degli Champs-Élysées riunirà il prodotto delle due campagne in questione, prima della dispersione tra i diversi sottoscrittori. È così che il corpo del «conducente di carro» e del «funzionario porporato», presentate qui, integrano le collezioni del Palais des Beaux-Arts di Lille, donate al museo nel 1908 dal sottoscrittore cui erano state inizialmente attribuite. La Società francese di scavi archeologici non sostiene la campagna successiva (1906), sovvenzionata invece dal Ministero dell’Istruzione pubblica e da alcuni privati. Albert Gayet esuma le spoglie della Nouter hont, la «profetessa» anonima di Osiride-Antinoo, qualificata come ounnout o «astrologa», e quella della Diounesast, chiamata anche «Baccante di Antinopoli» e «regale favorita di OsirideAntinoo». Per la dodicesima campagna, nel 1907, Émile Guimet riprende la mano per il suo museo parigino, seguito da alcuni generosi donatori. Albert Gayet scopre il sepolcro della «Profetessa di Osiride-Antinoo», poi assegnata al Musée de Grenoble. La Camera di Commercio reitera la sua partecipazione agli scavi di Antinopoli dieci anni dopo la sua prima soscrizione. Per la tredicesima campagna, e in collaborazione con diversi donatori privati, accorda una somma importante ai lavori di Albert Gayet, che gli valgono l’ottenimento dei grandi capolavori di questa campagna, come la famosa «Tenda a pesci» o la gambiera istoriata raffigurante un re sassanide in combattimento. Il prodotto dello scavo viene esposto al Musée Guimet per un mese prima di essere distribuito fra i diversi sottoscrittori. È l’ultima esposizione di Antinopoli in questo luogo. Le sei campagne successive (1909-1914) marcano un visibile affanno: Albert Gayet non è più personalmente presente sul sito e le campagne non sono più così spettacolari. Esse si svolgono sotto l’egida di un comitato di patrocinio che riunisce dei sussidi privati. Albert Gayet, violentemente criticato dai suoi detrattori, muore senza aver avuto il tempo o l’opportunità di pubblicare i suoi resoconti degli scavi. Questi documenti, che senza alcun dubbio sono esistiti, non si sono apparentemente conservati. La leggenda vuole che egli li abbia distrutti per l’amarezza di non aver potuto convincere le autorità a fondare un «museo di Antinopoli» e a preservare il materiale dalla dispersione. La collezione del Musée des Tissus, assieme a quella del Musée du Louvre, è oggi la più ricca per ciò che concerne le stoffe prelevate dalle necropoli della città. Essa deve questa eccezionale qualità e questa abbondanza alla perspicacia della Camera di Commercio, che per prima ha sostenuto gli scavi condotti sul sito, rimanendo un sottoscrittore fondamentale che ha permesso il rinnovamento delle campagne. 9 - I capolavori provenienti dalle diverse campagne Alla conclusione della campagna del 1898, un pezzo straordinario giunge alle collezioni del Musée des Tissus, il quale non è tuttavia descritto da Albert Gayet nel Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi del 1898. Faceva parte, forse, degli oggetti «non catalogati» o «senza numero» menzionati nella lettera del 20 febbraio 1899, indirizzata da Léon de Milloué, il direttore del 20 CARTELLA STAMPA Musée Guimet di Parigi, al Presidente della Camera di Commercio, lettera che accompagnava la lista delle casse inviate a Lione. Lo stato di conservazione del pezzo non permetteva più di riconoscervi un vestito: aveva soggiornato a lungo a contatto con un cadavere, e non vi si era scorto, probabilmente, che un ammasso di stoffe sporche. Un recente restauro ha nondimeno rivelato un esemplare unico di clamide. Questo indumento circolare, di quasi tre metri di diametro, era piegato in due e fermato sulla spalla destra, liberando così totalmente il braccio da questo lato. Il tessuto veniva ripiegato sull’avanbraccio sinistro al fine di lasciare uscire la mano, creando peraltro un elegante drappeggio. Dei quadrati, disposti lungo la piega trasversale, apparivano colorati sul petto e sulla schiena, una volta l’indumento indossato. Sull’esemplare di Lione questi sono stati incrostati, dopo essere stati tinti in verde, nel fondo della stoffa in tela di lana crêpe non tinta. L’iconografia romana e bizantina mostra numerose rappresentazioni di clamide. Questo indumento è originariamente una sopravveste militare, la quale proteggeva gli ufficiali in campagna dai rigori del clima. Diviene, dal IV secolo, un indumento da cerimonia riservato ai membri della corte imperiale o ai dignitari. La clamide del Musée des Tissus è il solo esemplare conservato al mondo di questo vestito di prestigio. La sesta e la settima campagna (1901 e 1901-1902) consegnano ugualmente dei pezzi notevoli che sono oggi nelle collezioni del Musée des Tissus. Nel 1901, una sepoltura di donna particolarmente curata rivela una sciarpa singolare. È in cotone di buona qualità. Ora, questa fibra non è prodotta in Egitto alla fine dell’Antichità ma è importata dall’India. È là, d’altra parte, che la sciarpa è stata tessuta, come mostrano le sue caratteristiche tecniche, e tinta a riserva, di indigo, in tre tappe. I motivi sono stati riservati alla cera per il primo bagno di tintura. Essi appaiono in bianco sul fondo blu. La seconda riserva permette di ottenere dei dettagli blu chiaro. L’ultima, il fondo blu intenso. La decorazione dispiega un intreccio di rami fogliati organizzati in grandi medaglioni sui quali si inscrivono dei fiori legati per lo stelo, sbocciati in larghi bouquets. La stessa campagna ha altresì messo in luce un altro esemplare unico di indumento femminile: si tratta di un pantalone, oggi molto frammentario poiché era portato direttamente sulle gambe del cadavere. Ad ogni modo, i frammenti sono sufficientemente espliciti per restituire una mutanda lunga, fatta di tela di lino quadrettata, rinforzata da una tela di lino fine, foderata, all’esterno, con una sottilissima tela di lana, probabilmente cachemire, la cui qualità ricorda quasi l’aspetto della seta. Dei passamani di seta, tagliati in striscie, decorano i lati e le estremità, dissimulando le cuciture. Solo qualche sepoltura del Caucaso o della Cina ha lasciato emergere esemplari comparabili. Si trattava evidentemente di un elemento di grande lusso. Nel 1901-1902, Albert Gayet esuma un’altra importazione indiana: una sciarpa da donna, a righe e quadri, tessuta in cotone di prima fioritura e in seta selvatica, di tipo Tussah. Le fibre, identificate dal Laboratorio di ricerca dei Monumenti storici, permettono di affermare con certezza la provenienza indiana di questo accessorio che ad oggi non ha equivalenti. Questi quattro elementi scoperti nelle sepolture di Antinopoli lasciano intravedere le numerose varianti offerte dai guardaroba maschile e femminile. Se il raffinamento dei materiali è una preoccupazione costante degli eleganti, la diversità delle forme e delle provenienze è altrettanto evidente in seno a questa città cosmopolita, all’incrocio delle vie commerciali che collegano Oriente e Occidente. Il costume era quindi fortemente influenzato dalle mode dell’Impero, come dimostra la clamide, ma integrava altresì degli elementi più asiatici, come il pantalone da donna, o degli accessori esotici, come le sciarpe di cotone e di seta selvatica. I centri di tessitura di Antinopoli erano essi stessi notevoli, come avevano provato le campagne del 1897 e 1898. È certo che vi si tesseva la seta preziosa che guarniva i manti da uomo, anch’essi 21 CARTELLA STAMPA confezionati in città e secondo procedure di cucitura e di assemblaggio totalmente comparabili a quelle degli altri indumenti scoperti sul sito. Ma vi si realizzavano anche degli abiti di gran lusso, come il vestito da donna scoperto nel 1906, tessuto in lana verde e viola e ornato con personaggi bacchici in lana gialla. Senza maniche, esso si presentava come un tessuto di grande ampiezza, destinato ad essere aggiustato in vita con una cintura. I giromanica scendevano dai due lati delle spalle per coprire le braccia; mentre lo stesso vestito creava eleganti pieghe cilindriche sui fianchi. Sugli orli del vestito, i fili dell’ordito, rigirati in treccia, evidenziano un effetto decorativo inedito e affatto grazioso, un’ondulazione regolare dei lati del vestito, dovuta a una battitura della trama al momento della tessitura, più o meno compressa per creare tale estremità sinuosa. Nella parte bassa del vestito, lungo il bordo, delle frange aggiunte accentuano ulteriormente la raffinatezza dell’abito. Le gambiere di arazzo, esposte al Musée Guimet nel 1907 e nel 1908, ribadiscono la libertà dei tessitori, i quali si impadronivano dei motivi sassanidi per reinterpretarli secondo le loro tecniche. Queste gambiere erano tessute in forma, con delle cimose «a scala» sui lati, che permettevano di assemblare più agevolmente i tubi destinati a rivestire la gamba del loro proprietario. Il capolavoro più stimato rimane forse la famosa «Tenture aux poissons» scoperta nel 1908. Non si sa nulla, sfortunatamente, delle circostanze del suo ritrovamento. La tessitura in tappezzeria senza rovescio, cioè altrettanto rifinita su una faccia e sull’altra, indica che si trattava probabilmante di un tendaggio destinato a separare due spazi, e dunque ad essere ugualmente visibile dai due lati. La sua decorazione ad acque pescose ricorda le grandi composizioni dipinte o i mosaici più prestigiosi. È la ragione per la quale è datata al III-IV secolo. La varietà delle sue colorazioni è considerevole. Questa è ottenuta per mezzo di diversi procedimenti: impiego di numerosi colori, giustapposizione di toni per ottenere delle sfumature, mélange, prima della filatura, di fibre di colori diversi per creare un tono medio... La straordinaria attività di tessitura che animava la città è ben istruita dai testi documentari su papiro scoperti sul sito. I pezzi esumati da Albert Gayet mostrano d’altro canto come la padronanza degli strumenti da parte dei tessitori fosse al suo apogeo nelle epoche romana e bizantina. 10 - Il costume ad Antinopoli Albert Gayet, Catalogo degli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi del 1898, Paris, 1898, pp. 9-13 : «Vestiti e oggetti ritrovati in questi sepolcri hanno, per la storia dell’arte, un valore inestimabile. Nei sepolcri romani, in quelli dell’epoca bizantina, si sono potuti raccogliere così gli esemplari di indumenti indossati dalle patrizie e dai funzionari imperiali residenti ad Antinopoli, le immagini delle divinità lari da loro venerate, le mille cose familiari di cui ciascuno amava attorniarsi. L’infatuazione di Roma per l’Oriente si manifesta, nel regno di Adriano, in un’evidente ricerca di stoffe e mode asiatiche. Al fianco di un Romano di antica origine, stretto nel suo sudario per mezzo di corde, il viso coperto da una maschera di gesso, un altro, calzato di sandali di cuoio a lacci o a stringhe, porta già la sopravveste lunga, guarnita di bande di seta broccata, con risvolti di seta e collo orlato di galloni o cordicelle d’oro. La manica è lunga, svasata sulla mano, ornata con un passamano di seta, e restava fluttuante sulla spalla. Un altro avrà per calzature persino dei veri e propri stivali alti; un terzo delle gambiere di tessuto simile a quello della sopravveste, e parimenti ornate di nastri di seta o di galloni; un altro ancora delle vere gambiere in cuoio marocchino, similmente decorate. 22 CARTELLA STAMPA Un cinturone di cuoio spesso, munito di giarrettiere, regge sui fianchi queste gambiere. Tutti portano delle lunghe camicie di tela, con le maniche chiuse da un polsino con galloni damascati di arabeschi policromi. Una fessura si schiude sul petto, decorata sui due bordi con un gallone analogo che, girando attorno al collo e ripiegandosi su se stesso, forma un colletto, da cui si dipartono due spalline lunghe circa dieci centimetri. Thaïs orante, da GAYET, 1902-1, tavola in appendice al testo. Per le donne, l’abito asiatico costituisce l’unica tenuta solenne; qualche reminescenza classica si mescola ancora, di tanto in tanto, ma non è già più che un ricordo, un compromesso transitorio, che nel periodo bizantino sarà completamente scomparso. Il loro costume consiste in una lunga camicia di mussolina di lino, con sprone curvato, ricamato secondo un modulo di delicati fiorellini policromi con aree di meandri, di greche, di intrecci o di chevrons, da cui discendono due clavi, che terminano con dei piccoli medaglioni lanceolati che si stendono sul seno. Tutta la parte inferiore, dal livello del ginocchio, è inoltre coperta di un ricco ricamo policromo: moduli a pois, rami di fiori, fiorellini sparsi o medaglioni arabescati. Sopra quasta camicia è indossato un vestito di lana, di colore acceso, giallo, verde, rosso, viola, fatto di due pezze di stoffa rigate di bianco sui bordi, e assemblate su due grossi cordoncini, sui quali si adattano delle maniche aderenti, con polsini o passamani. Il taglio è lo stesso che quello della camicia, nessuna fessura si apre sul petto. Attorno al collo sono applicati dei galloni di seta broccata o delle passamanerie; uno sprone di Gobelin, a clavi simili a quelli della camicia, orna il davanti; dei quadrati di Gobelins si posano anche sulle spalle e sul basso del vestito, un po’ al disotto delle ginocchia, il cui livello è segnato da una piega trasversale fatta sulla gonna, mentre sui passamani delle maniche si avvolgono ora un gallone di seta, ora un liséré di Gobelin. Un cordoncino tessuto o intrecciato serve a stringere il vestito alla vita. Sul tutto è posata una sopravveste di drap, di cui la tinta ordinaria varia dal grigio al giallo, e persino al rosso, passando per il giallo aranciato. Il suo taglio è, pressappoco, quello del manto di corte. Lo scollo, piuttosto curioso, è formato da un torsello di lana. È talora una sorta di enorme ciniglia di dieci-dodici centimetri di diametro, talaltra una semplice banda di tessuto intrecciato, che termina alle due estremità con delle frange, ripiegata in due e cucita, dopo essere stata preventivamente riempita di lembi di spugna, di lana o di crine. Qualche volta, dei quadrati di Gobelin decorano il basso di questa sopravveste, un poco al disotto del ginocchio, nella maniera in cui il vestito stesso è ornato; qualche altra volta ancora, il disegno è tessuto direttamente sulla stoffa, chiuso in un medaglione. I piedi sono calzati di pianelle di cuoio marocchino scuro o rosso, bordate di cuoio liscio blu, abbellite di arabeschi o di motivi geometrici ornamentati, fissati col ferro, mentre delle passamanerie dorate e goffrate si posano sul sopra del sandalo. Altre volte ancora, la pianella è interamente stampata d’oro, allo stesso modo di una rilegatura; foderata all’interno di broccati di seta, o più modestamente di una tela di lino. L’acconciatura consiste talvolta in una retina di pizzo di filo o di lana rossa, eseguita al tamburo, simile a quelle che noi chiamiamo pizzo d’Auvergne, talaltra in una cuffia più o meno ricca, l’una 23 CARTELLA STAMPA composta da galloni di ciniglia di lana a coste, applicati su una mussolina; l’altra di nastri di seta gialli, blu e rossi, ugualmente assemblati su un trasparente di lino. Delle piccole cordicelle servono a volte a mettere la cuffia in forma; altre volte, montata su una tela abbastanza forte, si presenta come una vera cuffia a tre pezzi, tale quale la conosciamo ancora oggi. Dei grossi rotoli di lana, coperti da una rete di pizzo, la reggono, gonfiando i capelli, sulle tempie. E questa capigliatura stessa, generalmente tinta di biondo all’henné, si rialza sulla nuca, per raccogliersi in chignon, ricordando l’acconciatura detta Tanagra. Un fazzoletto da tasca, ora bianco, ora giallo e verde a quadri, completa solitamente questo abito, stretto ancora nelle mani della morta, mentre uno specchio è talvolta attaccato al polso. Paul Madeline, La « maga » Myrithis, in GAYET, 1904-6, tavola in appendice al testo. Paul Madeline, Leukyôné, in GAYET, 1904-6, tavola in appendice al testo. […] Tali sono i caratteri generali di questi abiti; ma se essi sono pressappoco permanenti, e per i vestiti degli uomini e per quelli delle donne, si deve fare i conti con le innumerevoli varianti che il capriccio della moda deveva per forza introdurre. Una delle principali consiste in quello che, in mancanza di un altro termine, bisogna chiamare vestito scollato. Identico per tutto il resto a quello descritto più sopra, esso è provvisto di un collo dritto (B 417) formato da un gallone che si stende, incorniciando il davanti, aperto in quadrato. La stessa sopravveste è suscettibile di qualche variante. Può essere arrotondata sulla destra, tagliata in qualche sorta su questo lato a mezzaluna guarnita di marabò, e gettata sulla spalla sinistra, alla maniera della toga romana, mentre il lembo sinistro continua a cadere dritto». 24 CARTELLA STAMPA 11 - La sepoltura di «Thaïs d’Antinopoli» (Thaïas) Nel 1890, Anatole France pubblica Thaïs, un romanzo ispirato alla vita di una cortigiana del IV secolo, vissuta ad Alessandria, convertita al cristianesimo da san Pafnuzio. La peccatrice pentita si ritira nel deserto, dopo avere abbandonato le sue ricchezze e la sua vita di dissolutezze. Vi muore come una santa. La Chiesa la celebra l’8 ottobre. Nel romanzo tuttavia, il povero Pafnuzio, lui stesso diventato monaco per purificarsi da una gioventù frivola, è segnato dal ricordo perturbante della bella Thaïs che egli ha appena convertita: l’ha conosciuta intimamente prima di entrare al convento e non può risolversi a rinunciare a lei. Non reggendo più, la raggiunge nel deserto per convincerla a fare ritorno, assieme a lui, alla sua vita di prima. Arriva però troppo tardi e Thaïs, già consumata dall’ascetismo e dalla santità, spira tra le sue braccia. Essa è salvata, e santa; Pafnuzio, quanto a lui, è dannato per il fuoco amoroso che la sola vista di Thaïs ha riacceso nel suo cuore. Il successo del romanzo incoraggia Jules Massenet a trascriverlo in opera, su un libretto di Louis Gallet. L’opera è eseguita per la prima volta a Parigi nel 1894. Sybil Sanderson, la musa di Jules Massenet, interpreta l’etera divenuta santa. Nel 1901, Albert Gayet porta alla luce nelle necropoli di Antinopoli un sepolcro in muratura nel quale rileva un’iscrizione: + ΕΚΟΙΜΗΘΗΜΑ ΚΑΡΙΑΘΑΙΑC ΘΕCCΑ… Le prime due righe danno in greco l’identità della defunta : «Qui riposa la beata Thaïas […]». Albert Gayet preferisce chiamarla «Thaïs», per promuovere i risultati dei suoi scavi grazie alla vantaggiosa omonimia della defunta con la celebre cortigiana convertita. Nell’esposizione organizzata al Musée Guimet di Parigi nel 1901, essa riposerà peraltro a fianco di un altro defunto esumato durante la stessa campagna, vestito in abito da monaco e stretto in anelli di ferro, la cui identità è stata rivelata da un’inscrizione portata su un coccio di terracotta. Si chiamava 25 CARTELLA STAMPA Serapione... Fortunata coincidenza, di nuovo! Alcune versioni della leggenda di santa Thaïs attribuiscono infatti la sua conversione a san Serapione il Sidonita piuttosto che a san Pafnuzio. Thaïs di Antinopoli (Thaïas) e il monaco Serapione, riuniti fittiziamente al Musée Guimet – di fatto non riposavano negli stessi quartieri della necropoli – attirano folle numerose di curiosi, ma anche di fedeli. Lo stesso arcivescovo di Parigi si mobilita per interrogare Albert Gayet: si tratta veramente delle spoglie di santa Thaïs? Albert Gayet risponde prudentemente che non potrebbe affermarlo... Il corpo di Thaïs (Thaïas) e di Serapione, rimangono al Musée Guimet dopo l’esposizione. Sono lì presentati fino al 1944. La mancanza di riscaldamento durante gli inverni 1940 e 1943 degrada considerevolmente le spoglie che vengono dunque trasferite al Musée de l’Homme per essere lì svestite e studiate. I resti sono tuttora conservati al Laboratorio di antropologia del Musée de l’Homme; ma l’abito di Thaïs (Thaïas) si trova oggi al Musée du Louvre. È stato precedentemente identificato ed è presentato qui al pubblico per la prima volta dallo svestimento del corpo. Albert Gayet, nella Nota relativa agli oggetti raccolti ad Antinopoli durante gli scavi eseguiti nel 19001901 ed esposti al musée Guimet dal 15 giugno al 31 luglio 1901, dà questa descrizione del costume di Thaïs: Tunica da sotto in tela rossa, bordure in velluto blu con losanghe e medaglioni gialli. Vestito di lana gialla, guarnito sul fondo con un largo passamano porpora, bordata di medaglioni arabescati gialli e verdi, con centro cruciforme. Passamanerie che salgono al livello delle ginocchia. Larghe bande di seta a fondo blu, disseminate di medaglioni arabescati gialli, e orlate di rosso, scendono dalle spalle fino ai piedi, dietro e davanti. Sprone dello stesso stile della guarnitura del basso del vestito. Velo di garza carminio, rigato di giallo sui bordi, copre la testa e cade ad ampie onde sulle spalle. Mantellina di lino, con grosso cercine di ciniglia variopinta a incorniciare il viso, ricamata sul basso con passamanerie a fondo rosso, con animali passanti e arabeschi. Calzature di cuoio scuro, bordate di cuoio lucido, dorato al ferro; passamanerie di cuoio dorato con croce centrale sul sopra del piede. L’archeologo non ha evidentemente descritto che gli elementi visibili sul corpo abbigliato. In realtà, Thaïs di Antinopoli (Thaïas) indossava una prima camicia di lino di cui non resta nulla, poi due camicie senza maniche, un primo vestito in lino e un secondo in lana, del quale non si conservano più che gli ornamenti applicati, in arazzo di lana e lino o in sciamito operato di seta. Nella tomba furono scoperti anche molteplici oggetti: una bara di legno, delle palme intrecciate, quattro astucci per bicchieri, un cesto in vimini, un “rosario” di legno e avorio, una croce in bronzo, una croce ansata e una croce greca in legno, due vasi di terracotta, un cesto di frasche di dattero, delle canne e un grande vaso in terracotta. La datazione al radiocarbonio degli abiti e della spoglia di Thaïs di Antinopoli (Thaïas) indica che la defunta non ha potuto essere inumata prima della seconda metà del VII secolo. Le caratteristiche del suo costume corrispondono perfettamante a questi risultati. 26 CARTELLA STAMPA 12 - La sepoltura di Leukyôné Dal 1897, Albert Gayet non aveva scavato che i quartieri della necropoli situati sulla piana , tra «il limite delle terre coltivabili e i primi contrafforti rocciosi». Si era presto convinto che, fra le quarantamila sepolture esumate fino al 1901, le più curate non erano riservate che alle «classi medie della popolazione di Antinopoli. Le più importanti sono state, finora, quelle di Thotesbent, la musicante; di Aurelio Colluthus, il battiloro; di Euphémiâan, la ricamatrice; e altre ancora, che per i pezzi raccolti nei dintorni dei corpi provano che esse furono quelle di funzionari o di ufficiali subalterni, legati alla cancelleria o al palazzo» (Albert Gayet, 1902). Ma l’archeologo sogna di scoprire le tombe dei patrizi. Nel corso della settima campagna, che si svolge nel 1901-1902, egli scava i pendii della scogliera e porta alla luce dei sepolcri in muratura particolarmente interessanti. Uno di essi, composto da un vestibolo e da una camera funeraria a volta, aveva conservato, sulle pareti, il nome della defunta, in greco: ΛΗΥΚΑΙΩΝΙΑ, che Albert Gayet traduce «Leukyôné». Di tutte le morte uscite dalle tombe di Antinopoli, Leukyôné è, senza ombra di dubbio, assieme a Thaïs (Thaïas), quella che più ispira l’archeologo. Egli commenta la sua sepoltura in diverse pubblicazioni. La defunta riposava direttamente sul suolo senza bara, semplicemente coperta da un sudario di tela unita. Delle «calzature di cuoio rosso con passamanerie dorate» erano deposte «nelle pieghe della gonna, all’altezza delle ginocchia.» Il corpo era abbigliato di un «vestito di lana grigiogialla, le spalle avvolte in una sciarpa rossa, rigata di giallo sui bordi, dai quali pende una frangia; la sua pesante capigliatura nera imprigionata sotto una retina di pizzo di lana viola a disegni gialli, la fronte cinta da una corona di foglie di alloro e di rose, dalla quale i fiori sono caduti, petalo dopo petalo [...].» La testa della defunta poggiava su un «cuscino a righe rosse e gialle». È soprattutto il materiale funerario ritrovato nella tomba che suscita l’entusiasmo di Albert Gayet: il «lararium» di Leukyôné e i suoi «amuleti» designano, per l’archeologo, «una donna greca, iniziata al culto della Pietra-Nera e di Iside» del tempo dell’imperatore Eliogabalo (218-222) nonché «uno dei tipi più perfetti del paganesimo trionfante» (Albert Gayet, 1902). La presenta, nella ventiseiesima vetrina del Musée Guimet di Parigi, al fianco di una «dama bizantina» che gli pare sicuramente cristiana, poiché niente colpisce come questa opposizione di due donne, della stessa estrazione; la prima, la pagana, rimasta carnale oltre la tomba, con il modellato morbido del suo corpo che si direbbe, dopo tanti secoli, fremere ancora di voluttà. L’altra, la cristiana, emaciata, disincarnata per le mortificazioni della penitenza, pia e casta, benché la sua testa sia coronata di fuscelli di olivo, benché i suoi capelli biondi, lunghi fino ai piedi al pari di quelli di un’altra Maddalena, siano intrecciati di foglie, benché la sua ricca mise dichiari una civetteria dell’aldilà. Albert Gayet, 1902. I corpi di Leukyôné e della «dama bizantina» sono trasferiti nel 1944 al Musée de l’Homme, assieme a quelli di Thaïs (Thaïas) e Serapione, per essere svestiti. Il costume di Leukyôné è oggi conservato al Musée du Louvre. È presentato qui per la prima volta nella sua interezza. Delle datazioni al 27 CARTELLA STAMPA radiocarbonio effettuate sulla spoglia, il vestito, la sopravveste, il cuscino funerario e il diadema vegetale indicano che Leukyôné ha vissuto, verosimilmente, nel corso del VII secolo. Il suo abito appartiene alla stessa tipologia di quelli degli eleganti ritrovati nei sepolcri in muratura della piana, durante le campagna del 1897 e del 1898. Come i defunti provenienti dalle necropoli B e C, Leukyôné portava un prezioso vestito in lana cachemire, un manto frangiato e barrato, in lana, e una retina che imprigionava i suoi capelli. Albert Gayet stesso ha sottolineato le somiglianze esistenti tra le sepolture della pianura, scavate nel 1897-1898, e quelle dei primi contrafforti della montagna. Vi scopre peraltro anche delle sepolture maschili contenenti degli elementi di vestiario rivelati già dalla seconda e dalla terza campagna, in particolare quella del «cavaliere bizantino», presentata nell’attuale mostra del Musée des Tissus. 13 – La sepoltura del «cavaliere bizantino» L’intera sepoltura del «cavaliere bizantino» è presentata nella venticinquesima vetrina dell’esposizione dedicata al prodotto della settima campagna, nel 1902 al Musée Guimet di Parigi. Questa sepoltura, particolarmente caratteristica, era situata per intero nella montagna. L’appartamento funebre, composto di una camera abbastanza vasta, scavata con copertura a volta, era preceduta un tempo da una cappella, addossata alla roccia, i cui muri, tanto all’esterno quanto all’interno, erano ricoperti di pitture a fresco, dissimulate sotto un intonaco. All’entrata del sepolcro erano depositate delle grandi anfore dipinte, rinchiuse in costruzioni di ciottoli, agglomerati in alcuni mortai. Il corpo, steso nella sua bara, non era coperto che dal sudario ancora aderente. Mummia vestita di gambiere di tela e di una tunica di tela ricamata. Numerose sciarpe ricamate; stivali alti. Sciarpa di lana rossa, a supporto di una medaglia di san Giorgio. Croce di cristallo di roccia e di quarzo. Piccolo quadro dipinto alla cera, figure religiose e mitologiche. Pannello di legno scolpito, che si trovava inserito sul lato destro della bara. Quattro grandi vasi decorati di pitture nere o rosse. Gruppo di terracotta rappresentante la scena del banchetto. Albert Gayet, 1902. Nel 1903, per gli Annali del museo Guimet, Albert Gayet scrive un resoconto dettagliato della sua campagna, nel quale offre numerose precisazioni sui sepolcri, «particolarmente caratteristici» dei sotterranei della vallata nord-est, e sulle spoglie del «cavaliere bizantino». Pubblica anche delle fotografie del pannello di legno a coda di rondine ornato da una rappresentazione scolpita dell’albero della vita fra due leoni, pannello che era montato su uno dei fianchi della bara, oltre a due vedute della spalla di un vaso con «l’ichtys», il pesce dei primi cristiani, e la rappresentazione del giardino del paradiso. Infine, riproduce la fotografia del piccolo gruppo in terracotta raffigurante un’agape. Il corpo del «cavaliere» riposa su delle stoffe che costituiscono i sudari e il guanciale dell’allestimento funebre. È vestito con una camicia in lino che scende fino alle ginocchia. I polsini sono guarniti di larghi galloni applicati in sciamito operato di lana che presentano una bordura decorativa, su fondo giallo, ornata di motivi rossi e verdi e un campo centrale blu scuro, dove si affronta una coppia di 28 CARTELLA STAMPA uccelli, le testa rivolta all’indietro, attorno a uno stelo da cui scaturiscono dei pedicelli ai quali sono sospese delle foglie in forma di picche. Sopra la camicia, il cadavere porta una tunica di lino, barrata e ornata di arazzi, le cui maniche non sono infilate. Sui polsini, una decorazione di fine tessitura alle tavolette. Le gambe del defunto sono coperte da un indumento in tela di lino, nel quale Albert Gayet riconosceva delle gambiere. Calza degli alti stivali di colore scuro. Al piede sinistro, solo il gambale dello stivale si è conservato. La suola destra invece è pur presente, ma staccata dal resto dello stivale. Sui piedi e sulla suola appare la madesima tela di lino che ricopre le gambe, e che forma delle «calze» all’interno degli stivali. Una cucitura piatta, formata dai due bordi della stoffa di lino, ripiegati e cuciti dissimulando il ripiego nell’assemblaggio, corre lungo le gambe. Nella suola, si ravvisa anche una pezza ritagliata a forma di goccia, paragonabile a quella che è stata cucita nelle «calze» dello «scriba» Pamias, scoperte nel 1898 nella tomba C 395. L’abito del «cavaliere bizantino» copre manifestamente tutta la parte bassa del corpo, dai piedi fino alle anche. La vita e il cavallo non sono visibili. Tuttavia, la tipologia dell’indumento, una sorta di calzone lungo che termina con dei piedi, è perfettamente attestata dall’iconografia della tarda Antichità e del periodo bizantino. Nonostante ciò, assieme alle «calze» dello «scriba», è il solo esemplare identificato, ad oggi, di questo elemento misconosciuto del costume maschile da cerimonia. Una datazione al radiocarbonio, effettuata sui capelli del cadavere, rivela che la sua inumazione ha potuto aver luogo tra il 580 e il 663. 14 – La sepoltura del «conducente di carro» La nona campagna di scavo è condotta ad Antinopoli dal gennaio all’ aprile del 1904 grazie alle risorse messe a disposizione dalla recentemente costituita Società francese di scavi archeologici. Col beneficio di una sovvenzione di seimila franchi, Albert Gayet si mette alla ricerca delle sepolture patrizie situate sulle creste della montagna. L’impresa si avvera però difficile. Prima di accedere alle parti elevate, l’archeologo sgombera i sepolcri dei contrafforti del massiccio che «racchiudono, anch’essi, delle sepolture: fosse a volta o sepolcri, riservati [...] alla alta borghesia [...].» Dopodiché, Albert Gayet intraprende dei sondaggi nella zona in strapiombo, ma deve rapidamente rinunciare per mancanza di crediti e di mezzi. «I primi passi fatti sul cammino che porta agli ipogei (lo) avevano messo sulla traccia di nuove sepolture: quelle delle prime cime della montagna. Vi aveva incontrato delle personalità che, fino a lì, (gli) erano sfuggite. Un conducente di carro, con i suoi frustini, il suo pungolo, le sue redini. Altre ancora, che non ricordavano più i tipi già conosciuti ma delle quali i tratti e il costume annunciavano una casta elevata.» Egli ridiscende quindi sui contrafforti e porta alla luce delle nuove sepolture. Il materiale che vi scopre lo incita a riconoscere una divisione riservata agli attori dei giochi olimpici di Antinopoli. Esuma, per esempio, le spoglie di un «gladiatore» e quelle di Khelmis, «la preziosa cantatrice dell’Osiride-Antinoo.» Albert Gayet annuncia, come ogni anno, i suoi ritrovamenti attraverso delle conferenze o degli articoli. In La Renaissance latine, dedica qualche paragrafo al «conducente di carro»: Il primo di questi Lazzari, dalle palpebre chiuse e come abbagliate dal chiarore del sole al quale egli appariva dopo un sonno di diciassette secoli, fu un conducente di carro, così come gli oggetti ritrovati deposti accanto a lui lo provano: dei frustini, delle redini, un pungolo. Se le presupposizioni formulate su questi pezzi non dovessero sembrare affatto convincenti, basterebbe osservare che le tombe vicine 29 CARTELLA STAMPA furono quelle dei gladiatori o dei figuranti dei giochi olimpici affinché il dubbio si cancelli e se ne faccia la prova. Chi era questo automedonte? Lo stato civile ci manca; ma la personalità resta, e immediatamente questa si impone nell’ambiente dell’ippodromo, che dispiega il suo stadio immenso ai piedi delle bionde scogliere che dominano la porta orientale di Antinopoli. Non più che l’individuo, il sito non è cambiato, la linea delle gradinate è rimasta, a dispetto del tempo e degli uomini. È molto se appena i rivestimenti di pietra sono scomparsi, strappati per servire a delle moderne costruzioni. I loro piani si sovrappongono all’entrata di una vallata, dominata a picco da imponenti montagne, dalle creste orizzontali, perforate sui loro fianchi da porte di tombe a siringa su delle bordure così strette che a distanza si confondevano nella prospettiva di un piano continuo. Sulla sinistra, a valle del fiume, vi è invece l’ondulazione molle delle sabbie opaline, dove si pressano le stele e i cippi della necropoli. E l’impressione si fa assoluta, palpabile, di questa arena in cui il sangue è scorso a fiotti, stesa là, come un trait d’union, tra la città dei vivi, con le sue feste orgiastiche, e la città dei morti, con il suo eterno riposo. E il quadro si anima, il passato diviene presente, il quadro si fa magnifico. L’automedonte anonimo si risolleva, tale quale si era addormantato, il corpo inguainato nella sua zimarra di bourrette di seta verde, guarnita di broccati di seta, dagli ampi risvolti gallonati, simili a quelli dell’inizio del secolo scorso; i piedi calzati in alti stivali di cuoio fulvo. Il suo viso dai tratti regolari, incorniciato da una barba castana che scende in massa setosa; i suoi lunghi capelli ricci denunciano il Latino freddo e placido, maestro di sé al momento voluto. Il tratto corto delle sopracciglia sulla fronte dice la forza di volontà; le briglie in mano, segue con lo sguardo i movimenti degli equipaggiamenti che gli contendono la corsa. Altri hanno gli occhi fissi sulla folla ammassata sui gradini, si inebriano di un’approvazione colta di passaggio, cercano nelle tribune un volto amico, spiando un segno uscito dalla loggia del governatore, mascherata da veli preziosi. Egli avanza dritto verso l’obiettivo, senza lasciarsi distrarre. Col suo frustino, dal manico rivestito di cuoio intrecciato, con il pomello ornato da sottili cordicelle frangiate, dalla cinghia larga e robusta, incita i suoi cavalli e li trattiene al momento opportuno. Fu celebre, l’anonimo conducente di carro? Raccolse le acclamazioni di questa popolazione in abiti da festa che si accalcava, avida di spettacolo? Fu uno dei campioni di questa fazione di verdi di cui portò i colori? La serenità del suo viso, l’autorità della sua maschera, la sicurezza diffusa sui suoi tratti, autorizzano pienamente a supporlo. Albert Gayet, 1904. I corpi sono rivelati al pubblico solo l’anno seguente, durante l’esposizione organizzata dalla Società francese di scavi archeologici al Petit Palais degli Champs-Élysées, nel giugno-luglio 1905. Le spoglie sono in seguito donate al Palais des Beaux-Arts di Lille da un membro della Società. «Il corpo è vestito di una zimarra di bourrette di seta verde guarnita di broccati di seta rossi e di un manto tessuto in lino, a disegni bruni e neri. Presso il morto erano deposte delle fruste, delle redini arrotolate e dei pezzi di equipaggiamento. Una statuetta dipinta, della quale non resta che la base; una terracotta di lararium, immagine di Giove, due lampade di terracotta e ceramiche in quantità.» Il defunto giace sull’asse di fondo della sua bara. Lungo il suo fianco destro si trovano i frustini, le redini e gli equipaggiamenti che l’avevano fatto identificare come un «conducente di carro». La sua 30 CARTELLA STAMPA testa, che ha conservato una capigliatura di media lunghezza, bruna, e qualche traccia della barba corta che copriva le sue guance, riposa su un cuscino in taqueté di lana. Il suo volto era coperto da un fazzoletto di lino di cui resta qualche traccia. Il corpo è avvolto in un grande sudario a losanghe, a base saglia, dall’ordito in lana rossa e trama doppia in lino. Delle bande, in reps barrato, di lino e lana multicolore, sono posate sul corpo. I piedi del morto sono ancora calzati di stivaletti di cuoio, allacciati attorno alle caviglie, che hanno perso le loro suole. Alcuna traccia di vestiti è visibile sul torso o sui polpacci del cadavere. Il defunto non sfoggiava dunque gambiere. Un ampio manto, a maniche lunghe non infilate, è gettato sulle spalle del defunto. È stato confezionato in una pezza di tela di lana cachemire, garzata dopo la tessitura, sulle due facce, in modo da produrre delle lunghe fasce, pettinate in ondulazioni regolari che dissimulano totalmente la tessitura. Il mantello non aveva un colletto. In compenso, il suo risvolto sinistro e il grande risvolto destro, oggi voltati sul petto, erano decorati da passamanerie. Alcune serie di tre cordicelle di lino, ricoperte di una tela sottile di lana beige, corrono lungo i bordi dei risvolti. Esse assicuravano la tenuta e l’aplomb di queste parti dell’indumento. Il grande risvolto destro, precisamente, destinato a ripiegarsi naturalmente verso la spalla, è guarnito con larghe pessamanerie di sciamito, sulle facce interna ed esterna. La medesima seta è cucita specularmente sulla parte esterna del risvolto sinistro. Si tratta di uno sciamito operato detto «semiseta», intessuto su un ordito in seta di colore rosa-beige, per mezzo di due trame, la prima in seta rossa, la seconda in lana rossa. La decorazione è composta da una rete di ottagoni, disposti in quinconce, tra i quali si inscrivono delle croci a braccia uguali, marcate da una losanga, e degli esagoni. Gli ottagoni richiudono, da un registro all’altro, una rosetta a quattro petali cordiformi o un quadrifoglio. Dei nastri della stessa seta, più stretti, orlavano i bordi del manto. Una datazione al radiocarbonio dei capelli del «conducente di carro» colloca la sua inumazione nel corso del VII secolo, tra il 611 e il 690. 15 – La sepoltura del «funzionario porporato» La decima campagna è finanziata dai crediti accordati, per la seconda volta, dalla Società francese di scavi archeologici, per il valore di seimila franchi. Essa si persegue nella zona dei sepolcri in muratura dei contrafforti della montagna, dove l’archeologo scopre nuove personalità notevoli, fra le quali Slythias o Glythias, la «costumista delle immagini dell’Osiride-Antinoo», e il «funzionario porporato», del quale l’intera sepoltura è esposta al Petit Palais nella ventisettesima vetrina. Albert Gayet la descrive così: «Il corpo è vestito di gambiere di bourrette di seta, grigio-gialla, sostenute da un cinturone, e di una zimarra di bourrette di seta porpora, a larghi risvolti ornati di seta; le maniche, molto più lunghe delle braccia, pendono liberamente sulle spalle. Uno scrittoio di bronzo, un coperchio conico e un astuccio per calami, in cuoio, a tre aperture, sembrano indicare un funzionario di palazzo. Ceramiche, pettine racchiuso in astuccio di cuoio cesellato, bastoncini da scrittura.» Il cadavere giace su dei sudari, barrati di larghe bande vinaccia o ornati di grandi fiori in arazzo applicato. Una stoffa di lino, barrata e ornata di arazzo contessuto, è posata sul suo petto. Il defunto è vestito di una camicia di lino fine, il cui scollo, a punta, è guarnito da un gallone tessuto alle tavolette. Ripiegato su se stesso, questo forma come delle spalline da una parte e dall’altra dell’apertura dello scollo e scende al centro del petto prima di risalire verso il collo. È doppio, cucito bordo a bordo, sulle spalle e sul davanti della camicia. Il medesimo gallone orna inoltre i polsini dell’indumento. 31 CARTELLA STAMPA Il defunto ha le gambe ricoperte da gambiere in tela di lana grigio-gialla, garzata sulle due facce. La parte superiore delle gambiere è inaccessibile, ma gli attacchi che permettono di fissare le giarrettiere al cinturone sembrano conservati. Le caviglie del defunto erano legate fra loro, ma non i polsi. L’elemento più eminente della tenuta è evidentemente il grande manto steso sulle spalle del morto. Questo è stato tagliato in una grande tela di lana, garzata sulle due facce, di colore carminio. I risvolti e lo scollo erano guarniti con due serie di tre cordicelle di lino, ricoperte di una sottile tela di lana beige, fra le quali sono applicati dei sottili nastri di taqueté operato di seta. La stessa seta, rifiniva il bordo del manto. La parte inferiore delle maniche e la parte interna del grande risvolto destro, destinate a ripiegarsi sulla spalla, comportavano delle passamanerie più larghe di questo taqueté, decorate a piccoli quadri che disegnavano un reticolo losangato, segnato alle sue intersezioni da dei quadrati più grandi e contenenti delle rosette a otto petali circolari. Si tratta qui probabilmente di una seta di importazione. Una datazione al radiocarbonio, effettuata sui capelli del «funzionario porporato», indica che l’inumazione ha potuto situarsi tra il 576 e il 664. 16 – Lo «scialle di Sabina» Da gennaio ad aprile 1903, Albert Gayet guida la sua ottava campagna sul sito di Antinopoli. Concentra allora i suoi lavori nelle quattro zone del cimitero. La sua attenzione è portata innanzitutto sulla necropoli della pianura. Questa gli fornisce l’essenziale della collezione che egli riporterà al termine degli scavi. Parallelamente, procede a dei sondaggi sui pendii della montagna, nelle vallate nord e nord-est già esplorate l’anno precedente. Nel circo nord, porta alla luce dei sepolcri patrizi da cui provengono diverse spoglie abbigliate e qualche oggetto notevole. Al nord della piana, nei dintorni della tomba di Thaïs (Thaïas), scopre ancora, sotto delle sepolture già aperte nel 1901, i corpi di diciotto donne, accompagnate da palme e avvolte in sudari mantenuti da delle banderuole sulle quali appare un’iscrizione all’inchiostro, ΕΥΨΥΧΙ ΑΝΤΙΝΟΕ, che l’archeologo traduce «gli Eletti di Antinopoli». In uno dei sotterranei della valle nord, Albert Gayet esuma una sepoltura appartenente «al tipo del sepolcro in muratura, ricoperto da un blocco agglomerato di pietra e mattoni», nella quale riposa una donna nominata Sabina, (ΣΑΒΙΝΑ), «che, a stimare dalla ricchezza della sua toilette, possiamo qualificare come patrizia, benché nessuna menzione di rango sia aggiunta al suo nome.» Diversi oggetti erano stati disposti presso la morta, «una pietra gnostica, immagine di Abraxas, il principe dei 365 cieli del sistema di Basilide; il pesce d’avorio, simboleggiante l’ichtys; un leone di bronzo, emblema della forza; un collier di perle e ametista». Albert Gayet riconosce immediatamente in Sabina, «malgrado il suo scialle pagano», una cristiana, «inquieta, è pur vero, un’adepta dei sistemi gnostici». Il cadavere, assieme al suo corredo funebre, è esposto al Musée Guimet tra il 7 giugno e il 7 luglio 1903. Condivide la venticinquesima vetrina con il corpo della «maga» Myrithis (ΜΥΡΙΘΙΣ), anch’ella estratta dalla medesima zona della necropoli. Una fotografia illustra l’allestimento delle due tombe da parte di Albert Gayet. In tale documento, Sabina appare in secondo piano, abbigliata di un «vestito di lana rossa sul quale è drappeggiata una mantellina di bourrette di seta porpora, guarnita 32 CARTELLA STAMPA di un grosso cercine a cingere la fronte». La parte inferiore del corpo è avvolta nello «scialle di lana rossa, a quadri e passamanerie ad angolo, medaglione centrale e motivi ricamati ripetuti». Manifestamente, la defunta giaceva sulla metà inferiore dello «scialle», l’altra metà essendo stata ripiegata per coprire il cadavere. L’archeologo poteva dunque descrivere la parte accessibile della stoffa, ornata di due quadrati d’angolo, il primo con «un Apollo che tende l’arco», il secondo con «un altro Apollo di fronte a Iside-Venere», le «passamanerie» o galloni ad angolo retto, con «tutto un mondo di piccole figure nude», «delle scene di pesca e di caccia, dei personaggi in barca, di passaggio attraverso dei cespugli di loto», il «motivo modulare» del fondo, dove «queste immagini ricompaiono isolate, (...) alternandosi a delle chiazze di fiori, rose e simbolici fiori di loto» e il motivo del «centro», «Apollo che conduce il suo carro» (Albert Gayet, 1903); ma il resto dello «scialle» gli è rimasto invisibile, nascosto sotto la morta. Al termine dell’esposizione, lo «scialle» è immediatamente suddiviso. Il Musée du Louvre ne conserva un insieme considerevole per la sua iconografia: si riconosce, in un grande medaglione, l’eroe Bellerofonte che combatte la Chimera con l’aiuto del cavallo alato Pegaso e, nei due quadrati, Artemide cacciatrice e Apollo che insegue la ninfa Dafne la quale si trasforma in alloro; nelle bande ad angolo retto si dispiega un peasaggio dei bordi del Nilo, con dei coccodrilli, degli ippopotami, delle anatre e dei fiori di loto, in mezzo ai quali volteggiano dei genii pescatori, quando non nuotano nelle onde del fiume. Il Musée des Beaux-Arts di Lione e il Musée des Tissus possiedono dei frammenti importanti, sui quali delle piccole figure si danno ad attività bucoliche, campestri o erotiche. La dispersione dei frammenti rende difficile apprezzare le dimensioni originarie dello «scialle» e la disposizione dei motivi. Si è talvolta proposto di riconoscere un tendaggio in questa eccezionale tessitura, la cui altezza doveva raggiungere quasi i tre metri. Ma la qualità della stoffa così come la sua leggerezza – si tratta di una tela di lana effetto crêpe, ornata di arazzi contessuti – indicano che si tratta proprio di un vestito. È così che Albert Gayet le restituisce, d’altra parte, in occasione di una sfilata organizzata nel 1903, che mette in scena Thaïs, Leukyôné et Sabina. L’analisi dei frammenti del Louvre, del Musée des Beaux-Arts e del Musée des Tissus di Lione, riuniti qui per la prima volta, permette di proporre una nuova ricomposizione della decorazione, per quanto concerne la parte superiore dello «scialle». La parte inferiore, sulla quale riposava il cadavere, è sfortunatamente perduta in modo definitivo. Il vestito doveva misurare due metri e settanta di larghezza per tre metri di altezza. La sua tessitura ha richiesto l’intervento congiunto di almeno due tessitori, ciò che rivela l’analisi dell’insieme dei motivi, i quali mostrano chiaramente «due mani» nel disegno delle figure e delle chiazze di fiori di loto. L’elegante Sabina doveva portarlo sulla testa, con le due estremità dello «scialle» riportate sugli avanbracci, lasciando così che il medaglione si schiudesse nel mezzo della sua schiena. L’ampiezza della stoffa le permetteva di drappeggiarsi mollemente. Una datazione al radiocarbonio situa la produzione dell’indumento tra il 340 e il 440. 33 CARTELLA STAMPA 17 - Immagini a disposizione della stampa http:/www.echanges-ccil.fr/ Utente: presse Password: pressemusee Audrey Mathieu, Servizio fotografico - Centro di documentazione +33 04 78 38 42 19 / [email protected] Manto da uomo Antinopoli, campagna del 1898, Sepoltura di Achille, necropoli B, tomba 281. Tela di lana garzata con applicazione di sciamito di seta. VI-VII secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 24872 Paio di gambiere da uomo Antinopoli, campagna del 1898, sepoltura di Achille, necropoli B, tomba 281. Arazzo di lana e lino. VI-VII secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 28520.27 et MT 28520.28 34 CARTELLA STAMPA Vestito dell’ «Amazzone pagana» Antinopoli, campagna del 1898, necropoli B, tomba 106. Tela di lino con arazzo di lana contessuto. Prima metà del VI secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 28520.43 Manto dell’«Amazzone cristiana» Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C, tomba 350. Tela di lana garzata dopo la tessitura. Prima metà del VII secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. SN 35 CARTELLA STAMPA Frammenti di cuscino funebre Antinopoli, campagna del 1898, sepoltura di una «dama romana», necropoli B, tomba 117. Taqueté di lana. V-VI secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 26812.19.1 et MT 26812.19.2 Calze dello scriba Pamias Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C, tomba 395. Tela di lino. Tela di lana garzata dopo la tessitura. Tela di lino quadrettata. Fine del VI secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. SN 36 CARTELLA STAMPA Cercine da testa Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C, tomba 339. Intreccio in natté e saglia di lana. VI secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 47555.3 Manto da donna Antinopoli, campagna del 1898, necropoli C, tomba 339. Tela barrata di lana. VI secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 47555.1 37 CARTELLA STAMPA Manto da uomo Antinopoli, campagna del 1898, necropoli B, tomba 288. Tela di lana garzata; applicazione di sciamito in seta e lana e di galloni alle tavolette in lana e lino. VI secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 47554 Passamano di manica Antinopoli, campagna del 1898, necropoli B, tomba 218. Sciamito di seta. VI secolo. Lyon, Musée des Tissus, inv. MT 26812.15 38 CARTELLA STAMPA L’«Amazzone pagana» ©Cédric Roulliat (modella Lydianne Chomienne) Scribe©Cédric Roulliat Lo scriba Pamias ©Cédric Roulliat (modello Nicolas Nerriec) Thaïs ©Cédric Roulliat (modella Yasmina Remil) 39 CARTELLA STAMPA 18 - Intorno alla mostra LE VISITE : Visita commentata della mostra ogni domenica alle ore 15 Visita insolita «Alla ricerca del medaglione perduto» (dai 7 anni) Nel cuore dell’esposizione, i bambini aiutano la guida a risolvere alcuni enigmi, si agghindano con abiti alla moda di Antinopoli e sono invitati a scoprire un tesoro nascosto; delle visite ludiche ed interattive. 2ª domenica del mese, in famiglia alle ore 16: 13 ottobre, 10 novembre 2013, 12 gennaio e 9 febbraio 2014. Vacanze scolari, senza adulti, martedì alle 10.30 : 22 e 29 ottobre 2013. Avvio al racconto (2-4 anni) Al fianco degli adulti, i più piccoli partono alla scoperta di racconti, filastrocche e piccoli giochi legati all’esposizione. 1ª domenica del mese alle 10.15: 3 novembre e 1 dicembre 2013, 5 gennaio e 2 febbraio 2014. I LABORATORI Laboratorio adulti Ricamo, tessitura di perle, ricerca tessile… Realizzare una creazione artistica in grande libertà con diverse tecniche. 3° sabato del mese alle ore 10.30: 19 ottobre, 16 novembre, 21 dicembre 2013 e 18 gennaio 2014. Avvio museale (2-4 anni) Toccare, ritagliare, mescolare, grattare, strappare: un momento di scambi ludici e creativi che permettono di risvegliare i sensi dei genitori e dei bimbi, in collegamento con la mostra. 3ª domenica del mese alle 10.15: 20 ottobre, 17 novembre e 15 dicembre 2013, 19 gennaio e 16 febbraio 2014. Esplorazione museale (4-6 anni) In continuità con l’avvio museale, genitori e bambini proseguono la loro esplorazione delle collezioni e sviluppano la loro creatività, in collegamento con la mostra. 1 volta per trimestre, la domenica alle 10.15: 24 novembre 2013 e 26 gennaio 2014. Laboratorio artistico I bambini sono invitati a scoprire l’esposizione in una maniera ludica e creativa. Un momento di relax per creare un’opera unica e originale. Vacanze scolari, martedì, ore 10.45 per i bambini di 4-6 anni / ore 15.00 per i ragazzi di 7-12 anni: 22 e 29 ottobre 2013. 40 CARTELLA STAMPA I CONCERTI AU FIL DU SON «Requiem, al cuore dell’esposizione» Appuntamento mensile in partenariato con l’ensemble di musica antica La Note Brève. In questa occasione, un’opera del museo è presentata al pubblico e messa in relazione con un’opera musicale. Il pubblico è in seguito invitato ad ammirare l’opera del museo ascoltando i pezzi musicali. 20 dicembre 2013 alle 12.30. PER I GRUPPI VISITE COMMENTATE della mostra in francese e in lingue straniere. Varie tematiche nell’ambito stesso della mostra sono ugualmente proposte (materie, motivi, costume e moda…). Durata: 1h, 1h30, 2h. SCUOLE RACCONTI nido e scuola materna Durata: 45 min / 1h Nel cuore della mostra, un narratore accompagna i bambini sulle tracce dei fantasmi di Antinopoli. VISITE SCOPERTA E TATTILI scuola primaria e secondaria Durata : 1h, 1h30, 2h Un’insolita visita esplorativa per scoprire la mostra toccando e manipolando tessili ed oggetti (riproduzioni) legati alle collezioni originali. «Capolavori dell’esposizione» Una proposta di lettura dettagliata delle maggiori opere della mostra. «Alla scoperta delle materie tessili» Lana, lino… fibre di ieri e di oggi. «C’era una volta… Antinopoli» Afrodite, cavallo alato, anatra, fiori di loto... una scoperta della mostra attraverso i motivi tessili. «Alla moda di Antinopoli» Agghindati di abiti alla moda di Antinopoli, i bambini esplorano l’esposizione attorno alla tematica del costume. 41 CARTELLA STAMPA LABORATORI scuola primaria e secondaria Durata: 2h /3h I laboratori favoriscono la creatività mentre, allo stesso tempo, dispensano un savoir faire. Una breve visita si affianca a una creazione collettiva o individuale. Creazione intorno ai motivi «copti» Gli strumenti grafici, i giochi di colore…per realizzare un motivo in grande libertà ispirato all’esposizione. Il mio Scialle di Sabina Grazie alle tecniche di stampa e di applicazione tessile, reinventa lo scialle di Sabina. Il numero dei partacipanti è limitato secondo i luoghi e le attività. Tariffe* 1h = 77€ 1h30 = 100€ 2h = 125€ Le tariffe variano in funzione del numero dei partecipanti. Prenotazioni presso: Service culturel et pédagogique del MTMAD : +33 04 78 38 42 02 / [email protected] *dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 17.30 42 CARTELLA STAMPA 19 – I partners Questa mostra è organizzata dal Musée des Tissus, in partenariato con il Musée du Louvre e l’Opéra national de Lyon e con la collaborazione del Palais des Beaux-Arts de Lille, del Musée gallo-romain de Fourvière e del Musée des Confluences. Curatori dell’esposizione : Florence Calament – conservatrice del patrimonio, sezione copta, dipartimento delle Antichità egizie, Musée du Louvre Maximilien Durand – direttore del Musée des Tissus e del Musée des Arts Décoratifs di Lione L’Opéra national de Lyon : La ricostituzione identica agli originali dei costumi è il risultato di una collaborazione inedita, iniziata da Maximilien Durand, fra il Musée des Tissus e l’atelier dell’Opéra national de Lyon. A partire dallo studio degli abiti conservati al Musée des Tissus e dall’osservazione dei disegni realizzati al momento degli scavi, l’atelier dell’Opéra, sotto la direzione di JeanMichel Daly, ha potuto disegnare i cartamodelli e realizzare gli abiti e i loro accessori. Cédric Roulliat : Cédric Roulliat, artista-fotografo, avvicina il suo lavoro a forme di narrazione popolari quali il cinema o il fotoromanzo. Si definisce come un narratore troubadour che trasporta lo spettatore in peregrinazioni emozionali. Allestimento : Loretta Gaïtis – architetto scenografo Saluces – grafica e scenografia Luci : Sébastien Rodriguez – Musée des Tissus e Musée des Arts décoratifs Fotografia : Sylvain Pretto e Pierre Verrier – Musée des Tissus e Musée des Arts décoratifs Catalogo : Antinoé, à la vie, à la mode. Visions d’élégance dans les solitudes. sotto la direzione di Maximilien Durand 440 pagine, 45€ Editions Fage, Lyon, 2013. 43 CARTELLA STAMPA 20 – Presentazione del MTMAD – Musée des Tissus Musée des Arts Décoratifs Il Musée des Tissus è stato creato, alla metà del XIX secolo, in seguito alla prima Esposizione universale tenutasi a Londra nel 1851. I fabbricanti lionesi che vi avevano partecipato rientrarono con l’intima convinzione che fosse necessario fondare a Lione un museo di campioni e di disegni. L’obiettivo di questa istituzione era, all’epoca, di difendere la superiorità commerciale della seta lionese sostenuta allo stesso tempo da grandi competenze tecniche e artistiche, testimonianza di un gusto sicuro per la disposizione e la colorazione di motivi originali. I fabbricanti si rivolgono dunque alla Camera di Commercio che decide di creare un museo d’Arte e d’Industria situato nel cuore del Palais du Commerce, edificato da René Dardel a partire dal 1856. Il museo apre al pubblico nel marzo 1864 e propone una visione enciclopedica delle fonti d’ispirazione e di tutte le branche delle arti applicate all’industria, presentando nelle sue gallerie sia degli oggetti d’arte che dei tessili. Anche una biblioteca fu costituita al fine di completarne la dotazione. È soltanto negli anni 1890, tuttavia, che questo museo prende il nome di museo storico dei Tessuti, affermando chiaramente un proposito ridefinito, quello di illustrare una storia universale dei tessili. Il Musée des Tissus di Lione conserva oggi la più importante collezione di tessili a livello mondiale, con quasi duemilioni cinquecentomila pezzi. Essa copre quattromilacinquecento anni di produzione tessile – dall’Egitto faraonico fino ai nostri giorni, dal Giappone alle Americhe, passando per la Cina, l’Oriente, l’Italia o ancora i Paesi Bassi – e tutti i tipi di tessitura sono rappresentati. Il museo conserva ugualmente un gran numero di album di campioni che offrono una visione esaustiva della produzione lionese tra la fine del XVIII secolo e gli anni 1950. Il Musée des Tissus ospita inoltre al suo interno, fin dalla sua fondazione nel 1954, il Centre international d’étude des textiles anciens (Centro internazionale di studio dei tessili antichi) dedicato all’analisi e allo studio dei tessuti. Nel 1985, il museo si arricchisce ulteriormente di un primo laboratorio di restauro riservato alle sue proprie collezioni e, dal 1997, di un secondo laboratorio che mette la sua expertise al servizio di altre collezioni ospitate in altre istituzioni. Il Musée des Arts Décoratifs fu inaugurato, da par suo, nel 1925 nel palazzo Lacroix-Laval, acquistato da una Società di amatori lionesi, d’origine o di elezione, con l’idea di perseguire quest’opera di insegnamento universale della storia del gusto. In meno di venticinque anni, questi amatori hanno dotato il museo di collezioni europee, orientali, cinesi e giapponesi, dal Medioevo fino ai nostri giorni. Completato da alcune acquisizioni finanziate dalla Camera di Commercio, il museo occupa oggi la posizione di seconda collezione francese nell’ambito delle arti decorative. Questi due musei riuniti, dopo il trasferimento del Musée des Tissus nella sede attuale, il palazzo Villeroy, rue de la Charité, dipendono fin dalla loro origine dalla Chambre de Commerce e d’Industrie di Lione ed entrambi figurano fra i « musées de France » dal 2002. 44 CARTELLA STAMPA 21 - Informazioni pratiche I MUSEI Musée des Tissus e Musée des Arts décoratifs Maximilien DURAND Direttore Claire BERTHOMMIER Conservatrice delle Collezioni 34, rue de la Charité 69002 Lyon +33 04 78 38 42 00 Métro Bellecour o Ampère – Victor Hugo Aperto dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 17.30. Chiuso i lunedì e i festivi. Biglietti : 10 € - 7,50 € www.mtmad.fr Seguite l’attualità dei musei anche sui social networks IL SERVIZIO CULTURALE E DIDATTICO Cécile DEMONCEPT Responsabile (+33 04 78 38 42 06) Daisy BONNARD Assistente (+33 04 78 38 42 02) [email protected] Il servizio culturale e didattico organizza visite guidate per adulti e ragazzi, per gruppi o per visitatori individuali così come laboratori, conferenze, eventi familiari o professionali. IL CENTRO DI DOCUMENTAZIONE Pascale LE CACHEUX Responsabile (+33 04 78 38 42 17) Audrey MATHIEU Studi documentari e fototeca (+33 04 78 38 42 19) Vincent CROS Studi documentari (+33 04 78 38 42 03) [email protected] et [email protected] Biblioteca in libero accesso dal martedì al giovedì (10.00-12.30 e 14.00-17.30). L’ORGANIZZAZIONE DEI VOSTRI EVENTI Alloggiato, dal 1946, nel sontuoso palazzo De Villeroy, residenza del Governatore nel XVIII secolo, il Musée des Tissus apre le sue porte per accogliere le vostre manifestazioni. La sua elevata capacità di accoglienza così come i suoi spazi di ampiezza e di caratteri molto vari, permettono di immaginare tutti i tipi di ricevimento. Delle visite guidate delle collezioni permanenti del Musée des Tissus e del Musée des Arts Décoratifs oltre che delle esposizioni temporanee, per gruppi di 20 persone, possono essere associate a tali eventi. Marie-Claire NOYERIE Responsabile Amministrazione e Gestione (+33 04 78 38 42 07) [email protected] 45