MASTER: DIRITTI, RAPPRESENTANZA, TUTELE “Ambiente e sicurezza sul lavoro: analisi storica, esperienze locali, considerazioni e proposte per potenziare l’azione sindacale.” Giovanni Claudio Zuffo (CGIL Verona) Tesi conclusiva del percorso formativo del progetto sperimentale ISF/CGIL per l’alta formazione dei quadri e dirigenti sindacali del Veneto Cison di Valmarino (TV) - 2004 - Indice Presentazione …………………………………………………………………………….3 1. Lavoro e salute : un difficile connubio ……………………………………………….4 1.1 Lavoro e salute: il lavoro come fonte di benessere economico, il lavoro come causa di malessere sanitario…………………………………………7 2. Dalle lotte operaie alle leggi di tutela: nasce il diritto alla salute…………………..11 3. L’incubo dei rischi ambientali………………………………………………………..18 4. Le norme europee e il nuovo modello gestionale della prevenzione……………….22 5. Le riforme del lavoro: flessibilità, precarietà e ritorno all’insicurezza………….....24 6. Dall’esperienza veronese una proposta operativa …………………………………28 Bibliografia ……………………………………………………………………………….35 2 Presentazione La tesi si propone di dimostrare come sia sempre stato difficile, per l’essere umano, coniugare l’attività produttiva industriale con la difesa della salute analizzando le conseguenze che il lavoro industriale ha determinato per l’ambiente di vita e di lavoro (inquinamento, infortuni, malattie professionali). Attraverso un percorso di analisi storica e sociale, che risale fino alla 1^ rivoluzione industriale, argomenta come il diritto alla salute, frutto delle proteste individuali e delle lotte collettive dei lavoratori, sia passato attraverso i principi della “non delega” e della “validazione consensuale” degli anni ’60 e l’aiuto della medicina del lavoro per approdare alle principali norme di legge che lo hanno sancito anche nel nostro Paese. Affronta anche i disastri e gli inquinamenti ambientali che hanno indotto il Sindacato dei lavoratori ad introdurre delle considerazioni "ambientali" nei contratti di lavoro facendo riferimento alle conseguenze che le normative europee per il miglioramento delle condizioni lavorative hanno prodotto in Italia introducendo nuove figure, nuovi strumenti e modelli partecipativi diversi dal passato per gestire il processo generale di prevenzione dei rischi nelle aziende. Alcuni passaggi, legati all’analisi delle riforme del lavoro, pacchetto “Treu” e “Legge Biagi”, si collegano poi allo scenario attuale ed alle mutate condizioni dei lavoratori che rendono il rapporto di lavoro sempre più flessibile e precario con conseguenze anche sul piano del diritto alla salute e sicurezza. Infine con una descrizione sintetica delle vicende vissute dal Sindacato veronese negli anni ‘70/’80, sul fronte della difesa del diritto alla salute in alcune aziende storiche della città e della provincia, riassume l’esperienza della Camera del Lavoro di Verona, che, a partire dagli anni ’90, ha portato all’istituzione di un servizio unitario che si occupa delle politiche legate alla prevenzione dei rischi lavorativi e della crescita culturale sul tema della salute e sicurezza sul lavoro e negli ambienti di vita. Un’opportunità in più per la CGIL di accrescere le sue conoscenze, competenze e capacità sul versante della contrattazione, dei diritti e delle tutele dei lavoratori . 3 1. Lavoro e salute : un difficile connubio Affrontare ai nostri giorni il tema della salute sul lavoro potrebbe sembrare fin troppo facile, se non addirittura superfluo, dal momento che, secondo il nostro ordinamento giuridico, viene considerato un diritto ed un dovere e, come tale, un bene indisponibile negli scambi che intercorrono nelle contrattazioni sindacali. Eppure ancor oggi è un argomento piuttosto difficile da trattare vista la prassi diffusa di accettare i rischi lavorativi che continuano a produrre danni all’uomo e all’ambiente nonostante vi siano un’infinità di obblighi, per la prevenzione e la protezione, che le norme di legge pongono a carico dell’imprenditore, dei suoi collaboratori e di quanti lavorano per la sua impresa. Non è raro per un sindacalista sentirsi rimproverare, soprattutto dagli operatori della prevenzione pubblica, di dimenticarsi delle norme di legge che chiamano sempre gli inadempienti a fare i conti con pesanti sanzioni penali e non soltanto nei periodi ben noti che accompagnano gli atti negoziali nelle fasi calde della contrattazione. Per dirla tutta, senza retorica e recriminazione alcuna sull’argomento, della salute e della sicurezza sul lavoro se ne reclamerebbe il diritto solo in precise occasioni definite di comodo: quando ci scappa il morto o quando si tratta di rivendicare nuovi aumenti salariali. Il “cuore” di ogni piattaforma contrattuale, per intenderci ciò che da sempre interessa veramente i lavoratori, non sembrerebbe essere la salute bensì il denaro. In effetti sono ancora professionali troppi coloro che pensano agli infortuni ed alle malattie come il prezzo che l’essere umano deve necessariamente pagare se vuole lavorare per vivere. Ammalarsi per contratto di lavoro non è una fatalità ma diventa un rischio tangibile se si trascura la prevenzione.1 I lavoratori del Petrolchimico di Marghera assunti negli anni ‘60 e ’70 che sono stati colpiti da tumore (polmonare, carcinoma al polmone e alla laringe, linfoma, carcinoma pancreatico, cirrosi), dovuto all'esposizione al Cloruro Vinile Monomero, negli ultimi trent'anni, ne sono una prova sconcertante, come l’esposizione all’amianto che è causa di morte per circa mille persone all’anno. Infatti, nel periodo 1988/97 sono stati rilevati 9.094 decessi (5.942 uomini e 3.152 donne) per tumore maligno della pleura.2 1 2 R.Guariniello, Se il lavoro uccide, Riflessioni di un magistrato , Nuovo Politecnico, Einaudi, Torino, 1985, pag. Rapporto ISTISAN “La mortalità per tumore maligno della pleura nei Comuni italiani (1988 -1997)”, Istituto Superiore di Sanità (ISS) in http://www.ministerosalute.it/dettaglio/pdPrimoPiano.jsp?id=111&sub=6&lang=it 4 Eppure che l’amianto sia un materiale cancerogeno lo si sa da almeno 40 anni3. Da allora i lavoratori che si sono ammalati per aver respirato le terribili fibre d’amianto utilizzato massicciamente nelle produzioni industriali fino agli anni ‘80 si contano a migliaia. E’ un elenco lunghissimo di lavoratori e di lavoratrici che avevano lavorato ignari del pericolo esistente nelle fabbriche della morte come l’Eternit di Casale Monferrato, la Sacelit di San Filippo del Mela, le Officine delle Ferrovie dello Stato e del suo indotto (FERVET di Castelfranco Veneto, la STANGA di Padova, le O.F.V. di Verona, ecc,), l’ex Italsider – ora ILVA - di Taranto e tantissime altre ancora. Nei prossimi quindici anni l’amianto falcerà diverse centinaia di vite di lavoratori italiani che hanno contratto il mesotelioma pleurico operando in modo diretto o indiretto a contatto con il pericoloso materiale, che può covare fino a 25-35 anni prima di scatenare patologie cancerogene. Di contro e’ ormai dimostrato che le persone che hanno un lavoro vivono più a lungo di quelle disoccupate che, statisticamente, vanno più facilmente incontro a morte per tumore, malattie cardiache, incidenti e suicidio; inoltre, per un uomo di mezza età perdere il lavoro raddoppia il rischio di morire nei cinque anni successivi. Quando poi ci sono problemi sociali concomitanti (precarietà, abitazione povera, basso reddito, isolamento, ecc.), è sempre la salute a soffrirne grandemente. 4 Non sembra, quindi, un caso che l’ispirazione dell’uomo ad avere un’efficiente tutela contro eventi dannosi che provocano una situazione di bisogno nei riguardi delle esigenze della vita, sia stata oggetto, specialmente dal principio del secolo scorso fino ai giorni nostri, dell’attenzione di legislatori e di studiosi di problemi economico e sociali5. D’altro canto il percorso, da quel processo inarrestabile di trasformazione economica iniziato con la prima rivoluzione industriale, per giungere ai nostri giorni, è stato lungo e tortuoso, spesso cosparso di mille insidie, contraddizioni e ostacoli accompagnati dall’ignoranza e della noncuranza dei pericoli. Anche quando i pericoli sono ben conosciuti, come quelli sempre presenti sul lavoro e negli ambienti di vita, la sfida ai rischi conseguenti è spesso accettata nonostante ogni anno gli 3 Nel 1959, in una conferenza tenutasi a Johannesburg, Kit Sleggs e Chris Wagner avevano presentato i risultati della loro ricerca, svolta attraverso biopsie su malati neri della z ona mineraria dove si estraeva crocidolite, con 33 casi di mesotelioma documentati e successivamente pubblicati sul British Journal of Industrial Medicine in http://www.zadig.it/recensioni/asbesto.php 4 Ministero della Sanità Inglese: " Our Healhier Nation — a Contract for Health" (1998), Geddes da Filicaia M: "Determinanti di salute e Piano sanitario nazionale " Politiche sanitarie; vol.1, n.1, gennaio -febbraio 2000, Ministero della Sanità: " Relazione sullo stato sanitario del Paese 1999 "; pagg. 47-66, 115-131. 5 infortuni, le malattie professionali, i disastri, le tragedie, i lutti creino sofferenza e tantissimo dolore. Non dobbiamo stupirci più di tanto se consideriamo che la malattia come punizione divina ha accompagnato il pensiero dell’essere umano attraverso secoli di storia. Per centinaia d’anni la salute è stata considerata assenza di malattia, a partire da quando l’antico Asclepìade6 scacciava nel tempio della salute il male inferto all’uomo dalla collera divina, per giungere al medico moderno che combatte il micro-organismo patogeno, intruso nel macro-organismo a comprometterne la salute7. Non vi è, comunque, dubbio che attraverso l’uso sapiente delle cure mediche e dei farmaci, sono stati fatti passi da gigante per migliorare la salute degli individui portando l’attesa di vita di una persona alla nascita dai 25 anni del medio-evo agli oltre 80 anni del secolo che stiamo vivendo. In effetti, così come riporta l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di tempo ne è trascorso veramente tanto prima di dare alla salute la più appropriata definizione di “stato di completo benessere psico-fisico e sociale” e comprenderne poi appieno il significato. La salute, quindi, non come l’opposto o il contrario della malattia, bensì come la malattia manifestazione della vita, come insegna il filosofo e medico francese Georges Canguilhem – la salute differisce dalla malattia non per grado, ma per qualità. La salute è, per così dire, la buona qualità della vita8. La sensibilità dell’essere umano, in veste di prestatore d’opera retribuita, rispetto ai rischi lavorativi che da sempre minacciano la sua salute, è stato un crescendo continuo, legata soprattutto all’apprendimento percepito attraverso il corpo e l’uso delle macchine, il movimento per utilizzarle, l’ambiente di lavoro e le sostanze utilizzate. I lavoratori hanno preso atto, seppur dall’esperienza corporale (sensazioni e percezioni), che i risultati del loro mal-essere, sono un sottoprodotto che il lavoro stesso genera, e lo stanno a dimostrare, ancora oggi, le migliaia di morti e i milioni di infortunati e tecnopatici che ogni anno soffrono, più o meno in silenzio, nonostante un diritto sancito da leggi e norme conquistate con anni e anni di lotte operaie. 5 A.D. Ferrari, Sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro, settore dell’industria , Massagrande, Villafranca (VR), senza data, pag.27 6 Asclepìade di Bitinia, medico greco (Prusa, Bitinia, ca. 130 -Roma 40 a.C.) che introdusse per primo la cla ssificazione delle malattie in acute e croniche. Nell’antica Grecia il dio patrono della medicina, noto presso i romani come Esculapio, era Asclepio che secondo la leggenda avrebbe ricevuto i rudimenti dell’arte medica dal centauro Chitone, suo educatore. Dalla tradizione dei sacerdoti di Asclepio deriva la medicina greca. 7 A.Baldasseroni , F.Carnevale, Mal da lavoro, Storia della salute dei lavoratori , Laterza, Bari, 1999, Introduzione. 8 A.Baldasseroni , F.Carnevale, op. cit., Introduzione, pag. 6 D'altronde che il lavoro faccia male alla salute è acquisizione antica: già Ippocrate nel V secolo a.C., sottolineando l’importanza di una corretta anamnesi, rilevava che “i lavori causano danno”.9 I rischi correlati ad alcuni lavori gli erano, infatti, ben noti avendo egli stesso individuato malattie di origine “professionale” tra i tessitori e i sarti. La relazione tra lavoro e malattia era chiara anche a Galeno, che parlava di “mali professionali”, ed a Plinio il Giovane che aveva scritto delle malattie degli schiavi, descrivendone i sintomi. Il medico persiano Avicenna, che per primo aveva individuato la colica da piombo, conosceva bene il fenomeno delle patologie derivanti dal lavoro svolto; e lo sapevano pure gli anatomisti Malpigli e Morgagni che ai primi del ‘700 avevano trattato delle lavorazioni e dei materiali che provocavano determinate malattie. 1.1 Lavoro e salute: il lavoro come fonte di benessere economico, il lavoro come causa di malessere sanitario. Fu, nel secolo dei lumi, ancora una volta un medico, Benardino Ramazzini, nato a Carpi nel 1663, a posare il suo sguardo – l’occhio del clinico – su chi lavorando produceva e lavorando si ammalava10. Con acute osservazioni scientifiche, egli seppe indagare in profondità sui rischi di tutti i mestieri del tempo e sulle singole tecniche adoperate; dedicò molta attenzione all’ambiente di lavoro, agli strumenti, agli orari lavorativi, all’inalazioni di polveri, gas e vapori, agli odori, agli sforzi, all’inadeguatezza e all’irregolarità dell’alimentazione, e tutto questo gli consentì di dimostrare il nesso esistente tra il lavoro svolto e la malattia riscontrata. Si può quindi sostenere che Bernardino Ramazzini fu il primo a porre in luce il carattere prioritario della prevenzione rispetto all’intervento riparatore successivo. La storia della salute nel mondo è una snervante sequela di episodi drammatici che confermano una sostanziale indifferenza ai problemi della prevenzione. Chi volesse accostarsi ai differenti modelli di prevenzione apparsi nel mondo e nella storia, spiarne il funzionamento e capirne il senso profondo, deve rivolgere la sua attenzione ad un elemento davvero decisivo qual’è stato il “rischio illecito” o, rovesciando il discorso, la “sicurezza garantita”. 9 P.Agnello Modica, A.Marchini, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, Un diritto un impegno , Effepi srl, Roma, senza data, pag.13 10 A.Baldasseroni, F.Carnevale, op. cit., Introduzione, pag. 7 Da questo angolo di visuale, si sono fronteggiati per centinaia di anni due sistemi con fisionomie diametralmente opposte: la “sicurezza assoluta” e la “massima sicurezza ragionevolmente praticabile”. La storia legislativa della salute nei diversi paesi è in gran parte la storia del loro avvicendarsi, o piuttosto del loro amalgamarsi in svariatissime formule ibride, marcate dalla combinazione tra i caratteri dell’uno e dell’altro paradigma.11 Il diffondersi delle macchine e del loro utilizzo, con la conseguente maggiore pericolosità e nocività sul lavoro, assieme al sorgere della grande industria e della concentrazione industriale, costituirono la causa prima del delinearsi della “questione sociale” nei vari Stati europei. “Con l’estendersi dell’uso delle macchine e con la divisione del lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente e con ciò ogni attrattiva per l’operaio. Egli diviene un semplice accessorio della macchina, al quale si richiede soltanto un’operazione manuale semplicissima, estremamente monotona e facilissima da imparare. Quindi le spese che causa l’operaio si limitano quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza dei quali egli ha bisogno per il proprio mantenimento e per la riproduzione della sua specie”.12 Queste erano le idee sul lavoro industriale espresse, e riportate nella prima parte de “Il Manifesto del partito Comunista”, nel 1848 da Karl Marx e Friedrich Engels. La “questione sociale”, che piano piano si tramutò in “questione operaia”, si identificò con le problematiche che la rivoluzione industriale portò dentro la vita di un popolo: condizioni di gravi difficoltà per i lavoratori salariati (salari di sussistenza, sfruttamento minorile e femminile, orari superiori alle umane possibilità, situazione abitativa disumana, carenze igienico-sanitarie e di sicurezza sul lavoro). In Inghilterra la realtà delle fabbriche senza regole e la mancanza di leggi di previdenza sociale furono percepite come una minaccia incombente per tutta la collettività e per questo furono approntate le prime urgenti riforme.13 In Italia la “questione sociale”, che assunse inizialmente l’aspetto di “questione agraria”, riguardava soprattutto il mondo contadino, in quanto il paese era prevalentemente agricolo e, anche dopo l’Unità, le condizioni di vita nelle campagne rimasero per molto tempo 11 R. Guariniello op. cit., pag.80 C.G.I.L.Il lavoro nella prima rivoluzione industriale, E.S.I., Roma, 1971, pag. 13 Con i “Factory Act”, che si susseguirono dal 1813 al 1850, vennero regolamentati il lavoro femminile e quello minorile. 12 8 inaccettabili a causa delle malattie infestanti, della scarsa alimentazione, delle abitazioni cadenti e dell’altissimo tasso di mortalità. Nel nostro paese la concreta problematica, inerente la tutela delle condizioni di lavoro e la sicurezza della persona del lavoratore, fu elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, contemporaneamente al formarsi della grande industria italiana, solamente nell’ultimo scorcio del 1800. Nelle fabbriche non era facile abituare gli operai ai ritmi che il lavoro imponeva, anche in ragione della loro eterogeneità e provenienza - come ci ricorda E.Michel - : “I primi operai di fabbrica venivano reclutati tra coloro che avevano lavorato nell’industria a domicilio delle zone rurali e nel frattempo avevano rinunciato ad ogni attività agricola, tra braccianti e i contadini cacciati dalla terra con le recinzioni; infine tra i fanciulli consegnati dagli orfanatrofi e i rinchiusi negli ospizi di mendicità”.14 Erano perlopiù contadini, uomini, donne e bambini, strappati al lavoro dei campi per venire sfruttati, sottopagati e costretti a ritmi e condizioni vergognose con orari che arrivavano a 12-14 ore al giorno. L’ambiente malsano, in cui erano costretti, e la fatica fisica li facevano gravemente ammalare e molto spesso morire. Si ha notizia delle prime forme di protesta della classe operaia contro le condizioni lavorative all’inizio del diciottesimo secolo in Inghilterra, dove l’oggetto principale della contestazione era lo sfruttamento padronale inglese che riduceva i lavoratori al semplice ruolo di comuni salariati (invece di occuparsi dell'intera produzione di un oggetto si dovevano limitare a ripetere fino allo sfinimento la stessa operazione). All’epoca, però, lo sfruttamento economico e la repressione politica impedivano ogni tipo di protesta legale spingendo così un gran numero di lavoratori ad agire clandestinamente e con violenza. Per scoraggiare la formazione di associazioni combattive e di opposizione, venne promulgata nel 1793 una legge che legittimava unicamente le cosiddette Friendly Societies, che non avevano finalità di lotta, ma solo di mutuo soccorso contro la disoccupazione e gli infortuni, grazie ai contributi versati dai soci. I lavoratori sempre più declassati ed immiseriti diedero così vita a molti episodi di terrorismo economico opponendo ferma resistenza, soprattutto alle innovazioni tecnologiche, 14 E.Michel, Storia dell’industria in CGIL, Il lavoro nella prima rivoluzione industr iale, E.S.I., Roma, 1971, pag. 9 attraverso la distruzione delle nuove macchine tessili che venivano considerate responsabili dei bassi salari e della disoccupazione. La grande ondata di agitazioni “luddiste”15 e di atti di sabotaggio, che culminarono nell'assalto alla manifattura di William Cartwright nella contea di York (1812), cessò con arresti e processi di massa (164 imputati) terminati con ben tredici condanne a morte. Furono proprio le fabbriche che, originando lo spostamento dei lavoratori dalla campagna alla città, avevano dapprima causato il disgregamento di antiche comunità di lavoro e familiari, a provocare successivamente il ricrearsi di un nuovo spirito di solidarietà e di nuove comunità: le associazioni sindacali. L’associarsi aiutava ad eliminare la pericolosità derivante dall’essere addetti a macchine scarsamente conosciute, a rivedere la disciplina e gli orari di lavoro, a migliorare le condizioni igieniche delle fabbriche, a contrastare l’uso indiscriminato delle donne e dei fanciulli in lavori pesanti ed in lavori notturni. La presa di coscienza del movimento operaio della comune situazione di disagio fece nascere quel diffuso spirito di solidarietà che si svilupperà nelle fabbriche man mano che si accresceva nei lavoratori la consapevolezza di poter porre freno al potere discrezionale del datore di lavoro. La lotta dei lavoratori inglesi, che si concluse con la formazione delle Trade Unions, lascerà da una parte le strutture organizzative della classe operaia e dall’altra la formulazione e l’applicazione di una legislazione tesa a proteggere il lavoratore. 15 L’origine di tale movimento di protesta degli operai inglesi viene fatta risalire a un mitico operaio Ned Ludd (la cui esistenza non è certa), che nel 1779 diede il via al sabotaggio della produzione meccanizzata rompendo un telaio tessile. 10 2. Dalle lotte operaie alle leggi di tutela: nasce il diritto alla salute Accanto all’autoritarismo e al liberismo dei governi nei confronti del movimento operaio nacque una politica più attenta al lavoro favorevole alla legislazione sociale. Nell'intento di arginare il socialismo la Germania introdusse le assicurazioni sociali operaie contro le malattie e gli infortuni sul lavoro e quella per l'invalidità e la vecchiaia che diventarono obbligatorie, mentre osteggiò per lungo tempo le rivendicazioni operaie per la limitazione dell'orario di lavoro e per il salario minimo garantito. L’Italia arrivò successivamente, nel 1886 con la prima legge a tutela del lavoro delle donne con punizioni per lo sfruttamento di manodopera minorile. In seguito andarono via via aggiungendosi nuove misure protettive per i lavoratori nelle industrie in cui si manipolavano sostanze dannose per la salute. La legislazione “protettrice” del lavoro, introdotta in modo autonomo in ogni Stato europeo, si ispirava tuttavia agli stessi motivi: un senso di umanità nei confronti della classe economicamente più debole caldeggiato dalla religione e dalla morale aggiunto alla forte preoccupazione per l'ordine politico e sociale gravemente minacciato dalle frange più estremiste dei partiti sovversivi. Il miglioramento delle condizioni dei lavoratori era quindi finalizzato, da un lato alla prevenzione dei turbamenti sociali e rendere più sopportabili le leggi repressive nei confronti della massa operaia e dall’altro alla preoccupazione di avere un esercito di leva fatto, soprattutto da contadini in cattive condizioni fisiche. L’infortunio, la malattia, tutto ciò che in qualche modo era stato affrontato nell’Ottocento in una forma di autoprotezione da parte delle Società di Mutuo Soccorso diventò progressivamente, nel corso del Novecento, la richiesta di allargare e stabilizzare questi diritti attraverso l’impegno legislativo dello Stato.16 All'inizio del ventesimo secolo la libertà di organizzazione sindacale venne, di fatto, acquisita in tutta Europa, ma il riconoscimento più o meno generico del diritto di associazione operaia non corrispondeva alla totale libertà pratica di funzionamento. La libertà di sciopero, ad esempio, all'inizio non contestata e generalmente riconosciuta nei vari Stati europei, venne mortificata sul piano della sua efficacia da misure coercitive e poliziesche. 16 A. Pepe, Il valore del lavoro nella società italiana , Ediesse, Roma 2003, pag.185. 11 I primi passi verso il diritto alla salute dei lavoratori, dal punto di vista costrittivo, furono svolti dal Codice Civile del 1865 che fece nascere, nell’Italia appena unita, il rapporto di obbligo-diritto in base al quale il datore di lavoro era tenuto a fornire un sano ambiente di lavoro e strumenti idonei al prestatore di lavoro che, a sua volta, era abilitato a pretendere l’esatto adempimento dell’obbligo stesso. Dopo anni di tempestose discussioni in Parlamento bisognerà però attendere il 9 febbraio 1886 per vedere approvata la prima legge diretta a proteggere il lavoro infantile in opifici, miniere e cave. Ma i primi veri e propri interventi normativi per la sicurezza dei lavoratori arrivarono con la Legge 12 marzo 1898, n.80 in materia di assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro17 e grazie al Regio Decreto 18 giugno 1899, n.230 contenente il Regolamento generale sulla prevenzione degli infortuni18. La lunga serie di provvedimenti legislativi che seguì, dal punto di vista contenutistico, rappresentò tutti i limiti di tutela ipotizzabile a quell’epoca, ove l’evento dannoso veniva considerato quale fatto ineluttabile, in concreto solamente risarcibile ma non prevedibile se non a mezzo dell’iniziativa del datore di lavoro che applicasse le prescritte misure di sicurezza che, di fatto, si riducevano nei primi rudimentali regolamenti sulla prevenzione. L’individualismo liberalistico, infatti, lasciava l’individuo e, come tale anche il lavoratore, arbitro delle sorti della sua salute e della sua conservazione, mirando esclusivamente a fornire al singolo quegli strumenti e quei supporti tecnici che ne permettessero il mantenimento e l’eventuale ripristino finalizzato alla produzione. La prima guerra mondiale (1915-1918), la grande crisi del 1929-1933, l'avvento dei fascismi in Italia, Germania, Spagna, Giappone, le difficoltà della società sovietica furono eventi così gravi da lasciare in secondo piano l'attenzione per le questioni legate alla difesa della salute e sicurezza dei lavoratori e alla tutela dell’ambiente. Il primo provvedimento specifico della prevenzione avente per oggetto la tutela dell’integrità fisica del lavoratore nell’ambito della sua prestazione è costituito dal Regio Decreto 14 aprile 1927 avente ad oggetto, appunto, l’igiene del lavoro. E’ proprio in quest’ambito che s’inserisce l’art. 2087 del Codice Civile del 1942, attraverso il quale il legislatore pone a carico del datore di lavoro un vero e proprio obbligo di prevenzione che rimarrà fino ai giorni nostri: “L'imprenditore è tenuto ad adottare 17 18 Successivamente modificata dalla Legge 29 giugno 1903, n.243 Per delega attribuita con Legge 30/88 12 nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”19. L’avvento della Costituzione Repubblicana nel 1947 comportò l’ampliamento di prospettiva di tutta la problematica inerente l’argomento innestando, in stretta correlazione con la rimozione degli ostacoli che impediscono un’effettiva eguaglianza, in termini di dignità e libertà, un concreto principio di tutela del lavoro in tutte le sue forme e manifestazioni che, per l’aspetto che c’interessa, impose nuovi contenuti sul tema della salute negli ambienti di lavoro. Attraverso gli articoli 32 e 35 viene rappresentato il punto di partenza di un sistema in cui la tutela della salute del lavoratore, intesa come tutela della personalità fisica, morale e psichica, costituisce un onere per tutta la collettività. La grande tragedia della seconda guerra mondiale (1939-1945), che si chiuse con l'utilizzo bellico dell'energia atomica, generò la prima grande paura sul destino dell'umanità; per la prima volta gli esseri umani provarono collettivamente la sensazione che le forze che potevano essere scatenate con la tecnologia avevano dimensioni e potenza senza precedenti. La bomba atomica poteva realizzare la morte di milioni di persone per volta e i residui radioattivi potevano disperdersi nell'intera biosfera raggiungendo livelli di pericolosità tali da compromettere la stessa sopravvivenza dell'intera umanità. Dopo la guerra, a ridosso degli anni sessanta, venne così a crearsi una maggiore sensibilità dell'opinione pubblica che cominciò a prestare maggiore attenzione ai segni e ai guasti di un uso imprevidente della tecnica, sollecitato da una disordinata crescita economica e merceologica La prima fase dello sviluppo del problema salute e sicurezza sul lavoro nel nostro ordinamento giuridico può ritenersi chiusa a metà degli anni ’50 quando il Parlamento delegò il Governo dell’epoca ad emanare una normativa generale sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull’igiene del lavoro che si concretizzò con il D.P.R. 27 aprile 1955, n.547 e con il D.P.R. 19 marzo 1956, n.303. A questi due decreti va riconosciuta l’importanza di costruire la “prima forma d’intervento organico e globale, in tema di sicurezza del lavoro, con effettive finalità di prevenzione, nel superamento della logica della monetizzazione”. 20 19 R.D. 16 marzo 1942, n.262, Approvazione del t esto del Codice Civile (pubblicato nella edizione straordinaria della G.U. n. 79 del 4 /4/1942, Libro quinto del lavoro, Titolo II, Del lavoro nell’impresa, Capo I, Dell’impresa in generale, Sezione I, Dell’imprenditore, articolo 2087, Tutela delle condizi oni di lavoro 20 G. Natullo, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995, p.31. 13 Attraverso tali importanti precedenti, si passa alla presa di coscienza dell’evitabilità dell’infortunio o della malattia professionale. Contemporaneamente all’emanazione della Carta Sociale Europea21 venne avviata negli anni ’60 una nuova fase legata alla nascita dell’iniziativa del movimento operaio organizzato in difesa della salute nelle fabbriche torinesi, in particolare, che troverà poi pieno sviluppo nazionale nel decennio successivo. Ecco che i rischi iniziarono ad essere valutati pariteticamente allo scopo di assegnare le indennità stabilite corrispondendo paghe di posto secondo l’attitudine del lavoratore ad affrontare e subire i rischi, come elemento di professionalità.22 Le lotte sindacali hanno poi condotto il movimento dei lavoratori verso una nuova coscienza che, superando la logica della “monetizzazione” (più rischi, più soldi), ha affermato un nuovo principio: "La salute non si vende, la nocività si elimina". Il movimento fondato sul controllo operaio dell'ambiente di lavoro è andato crescendo sul rifiuto della delega ai tecnici nella soluzione dei problemi della salute e della nocività. Protagonista di questo cambiamento è il “gruppo omogeneo”, il collettivo operaio che, a partire dal recupero della propria esperienza, dà vita a momenti di mobilitazione e di cosciente presenza politica, in collegamento con il territorio e con l'iniziativa del movimento democratico per la riforma sanitaria. Il concetto di "gruppo omogeneo" è diventato un cavallo di battaglia delle lotte operaie per la salute negli anni '60-'70 assieme ad altri due concetti guida: quello della “non delega” e quello della “validazione consensuale”. “L’approccio ai problemi dell’ambiente di lavoro dal punto di vista della classe operaia – dice Garavini23 – e quindi della necessità di presentarsi davanti a questi problemi in una posizione di classe non subordinata, porta, nell’esperienza della lotta, ad un’elaborazione concettuale di grande rilievo. Si tratta in primo luogo della riconquista del concetto di non oggettività della tecnologia. Ma una tecnologia non oggettiva non si modifica che contrapponendo un punto di vista della classe operaia, che parta dalle esigenze degli operai e le confronti con l’organizzazione capitalistica del lavoro. Questo punto di vista non può essere 21 Carta Sociale Europea, 4 novembre 1961, Parte I, punto 3, Art.3 in http://www.regione.emilia romagna.it/lavorominorile/Lavminreg/Consiglio_Europa/CartaSociale.htm 22 G. Marri, in Medicina dei Lavoratori, Anno X –N.2, Marzo-Aprile 1983, pag.169 23 S.Garavini , La lotta operaia degli anni sessanta, in Giovani Critica, Torino, 1971, n.29, p.8. 14 delegato ad altri operai interessati; può essere maturato ed arricchito in rapporto alla conoscenza dei tecnici, ma deve essere espresso senza delega.”24 L’esercizio di poteri effettivi da parte del Sindacato, l’esercizio della sua funzione di denuncia e di iniziativa a tutela della salute del lavoratore trova il suo centro nella presa di coscienza della interdipendenza tra organizzazione del lavoro e danno subito da parte dei lavoratori.25 Le conquiste realizzate dal movimento sindacale puntarono a far assumere una responsabilità diretta ed una più ampia partecipazione dei lavoratori eliminando la “delega” che, di fatto, esisteva per i medici di fabbrica, per gli Enti, ecc. Questa scelta non significava, comunque, che si dovessero escludere le responsabilità per la sicurezza nei luoghi di lavoro, degli enti preposti a questi compiti. La linea sindacale della salute, nella sua fase suprema, era destinata ad uscire dalle fabbriche, per porsi all’esterno ed incontrare gli interessi di tutta la società, anche per caratterizzare la tanto attesa riforma sanitaria.26 E’ il “gruppo omogeneo” di lavoratori che si trova ad operare nelle stesse condizioni di lavoro, magari da 15-20 anni e che quindi conosce a fondo queste condizioni, tutto quello che è successo ai compagni di lavoro e di che cosa si sono ammalati, che sa insegnare al medico onesto e competente dove sono i punti critici.27 Da quest’interazione nasce il concetto di “non delega”, cioè di non delegare al medico burocrate di fabbrica la gestione della salute. Il medico deve prima imparare dall'enorme esperienza di vita dell'utente. Le lotte operaie che si svilupparono in Italia, contagiate dalla contestazione studentesca, nella loro prima fase ('68-'69) si configurarono come lotte contro l'organizzazione del lavoro (ritmi, orari, nocività, ecc.), lotte controllate e gestite dalla base e sfocianti in nuove strutture di democrazia operaia: i delegati. L’elezione dei delegati nelle fabbriche, da parte dei gruppi operai omogenei, avveniva direttamente su scheda bianca, con la possibilità di rappresentanza effettiva e di un rapporto tra 24 AA.VV., Rapporto dalle fabbriche, Organizzazione del lavoro e lotte in difesa della salute in un’inchiesta nuova ed esemplare, Editori Riuniti, 1973. 25 R.Ravenna, in Fabbrica e salute, Atti della conferenza nazionale CGIL -CISL-UIL,“La tutela della salute nell’ambiente di lavoro”, Rimini 27 -30 marzo, Edizioni Sesi, Roma, 1972, pag.39. 26 A.Baldasseroni, F.Carnevale, op.cit, pag.236. 27 Il primo di questi medici fu Ivar Oddone, professore presso la clinica del lavoro di Milano, che si accorse, incontrando i lavoratori, che imparava molto più lui sulle condizioni di lavoro e sul rapporto tra le loro condizioni di lavoro e le loro malattie di quanto lui non fosse in grado né di conoscere prima, né di spiegare ai lavoratori. 15 lavoratori e delegati che rende possibile l’utilizzazione dell’esperienza accumulata dai lavoratori stessi nella lotta contro la nocività ambientale.28 Negli anni ’60 fu vinta dal movimento sindacale una grande battaglia contro la monetizzazione dei rischi comportati da ambienti di lavoro non salubri; si affermò la “non delega”, ed il controllo operaio sui processi produttivi; venne costruita una coscienza ed una capacità di individuare i rischi nei luoghi di lavoro, fu rifiutata la “delega” al tecnico perché la tecnica è soprattutto verifica delle esperienze e dei bisogni che si rinnovano29. Nella seconda fase ('72-' 73) esse si precisarono come lotte per riaffermare le posizioni di forza raggiunte precedentemente e posero per la prima volta a livello di massa il problema dell’unione lavoro-qualificazione culturale: le 150 ore per il diritto allo studio. Andò così ad affermarsi, allargandosi a macchia d’olio tra i lavoratori, il rifiuto di monetizzare la nocività e quindi la richiesta di un ambiente di lavoro e di un’organizzazione del lavoro funzionali alla massima igiene fisica e mentale del singolo e del gruppo. La fabbrica venne individuata non solo come produttrice di oggetti di consumo, macchinari o servizi, ma anche come produttrice di malattie, infortuni, morti, distruzione dell'ambiente. Solo l'iniziativa dei lavoratori poteva imporre un'altra organizzazione del lavoro, capace di rispettare i bisogni dell’essere umano produttore. Se pensiamo a quello che provava un operaio di fonderia, di verniciatura, di torneria, un rotocalcografo, un linotypista o un cartaio quando improvvisamente scopriva di essere malato o intossicato, abbiamo subito il senso della lotta che dovevano fare per evitare che di lavoro si morisse.30 Per trasformare l'ambiente di lavoro divenne necessario conoscere, nel dettaglio, tutte le condizioni (rumore, calore, polvere, faticosità e orari di lavoro, ritmi, ecc.) in cui si svolgeva il processo produttivo e verificare se esistesse un legame tra le malattie dei lavoratori e quelle condizioni. Al fine di acquisire queste conoscenze il primo strumento venne rappresentato dalle osservazioni spontanee dei lavoratori del gruppo omogeneo che opportunamente raccolte e sistematizzate fornivano un quadro scientifico delle realtà. 28 G.Marri, in op.cit., pag.169 R.Tonini, FILLEA Campania, Contrattare la sicurezza, Ambiente, prevenzione e tutela dell a salute in edilizia, Atti del convegno svoltosi a Napoli il 19 febbraio 1988, C.Salemi, Roma, 1988, Conclusioni, pag.151. 30 B.Maconale e C.Ramella, in Centro Studi Federlibro FIM -SISM-CISL di Verona, La salute non è in vendita, Per la lotta alla nocività in fabbrica, Quaderno per delegati e militanti sindacali, Stamperia Zendrini, Verona, 1973, pag.4. 29 16 L’analisi delle condizioni dei lavoratori sul posto di lavoro e nella società esigono anzitutto una conoscenza, un controllo costante da parte dei lavoratori. Questi sono realisticamente possibili se si svolgono nella fabbrica o nell’azienda, nei luoghi di abitazione e di percorso pendolare31. Se la malattia che un lavoratore lamentava veniva denunciata anche dagli altri lavoratori addetti alla stessa lavorazione ciò significava che quella malattia era specifica di quel “gruppo omogeneo” e quindi venivano individuate le comuni nocività che la provocavano. La salute venne così ad assumere un significato dinamico nel tempo, vale a dire non venne più pensata e verificata in termini di benessere psico-fisico del momento ma in termini di condizioni atte a preservarla nel tempo. E’ a questo punto della storia che interviene anche l’obbligo, sancito dal D.P.R. 30 giugno 1965 n.1124 per ogni datore di lavoro, di stipulare un’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali che possono verificarsi nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni svolte. Ma gli impegni di lotta, per rendere il lavoratore protagonista in una diversa organizzazione del lavoro e per un’effettiva difesa della salute in fabbrica, furono veramente premiati con lo Statuto dei diritti dei lavoratori. La Legge 20 maggio 1970, n.300 generò l’effetto di conferire una dimensione collettiva, al diritto individuale, espresso dall’art. 2087 di cui si è accennato sopra, e per la prima volta i lavoratori nel loro insieme, diventano titolari del potere di controllo e di proposta in tema di prevenzione. 32 In virtù di questa nuova legge si aprì la via che porterà a nuove tutele per le lavoratrici madri (Legge 3 dicembre 1971 n.1204), alla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (Legge 9 dicembre 1977 n.903) e sul finire degli anni ’70 alla riforma sanitaria (Legge 23 dicembre 1978 n.833) che rappresentò un vero e proprio mutamento direzionale del sistema italiano di prevenzione, orientato verso il decentramento nel territorio dei servizi di vigilanza, trasferiti in linea di massima dagli Ispettorati del Lavoro alle Unità Sanitarie Locali. 31 C.Delpiano, in CGIL -CISL-UIL, L’ambiente di lavoro, Atti del convegno provinciale unitario Torino 17 novembre 1970, Edizioni Stasind, Roma, 1970, pag.185. 32 L.300, art.9 ,“I lavoratori, mediante le loro rappresentanza, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute, e la loro integrità fisica ”. 17 3. L’incubo dei rischi ambientali Nell’ambito delle proprie competenze, l’Unità Sanitaria Locale avrebbe dovuto provvedere, oltre all’igiene e medicina del lavoro ed alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, in particolare, anche all’igiene dell’ambiente.33 Invece proprio a metà degli anni ’70 i cittadini italiani scoprirono in modo tragico, dopo gli incidenti di Flixborough in Inghilterra, di Seveso e Manfredonia, i rischi potenziali dell’industria chimica che allora era in piena espansione. Gli incidenti alle fabbriche, le esplosioni nelle centrali nucleari, la contaminazione delle acque, la proliferazione eccessiva di alghe nei mari, l’impoverimento delle risorse idriche, l’erosione del suolo, la distruzione delle foreste, la congestione e l’inquinamento delle città, le perdite di petrolio nel mare, furono alcuni dei segni tangibili di ciò che l’uomo stava provocando all’ambiente. Da quando nel 1966 venne introdotto un nuovo concetto di considerare la Terra come una navicella spaziale (Spaceship Earth) ci si rese subito conto che questo nostro pianeta era l'unica cosa che avessimo in comune nello spazio (una casa comune a tutti) e che le nostre risorse potevano essere tratte tutte e soltanto da questa navicella spaziale e le sostanze di rifiuto (scorie, sottoprodotti,ecc.) sarebbero restate sempre e comunque dentro il nostro pianeta. Non ci si illuse più di prendere risorse da altri corpi celesti o di smaltire i nostri rifiuti negli spazi interplanetari. Per meglio comprendere il significato delle lotte ecologiche degli anni ‘70 merita ricordare che la protesta "ecologica" (anche se non si chiamava così) iniziò nel corso del decennio precedente fra i lavoratori nelle fabbriche. E’ stato il movimento operaio ad iniziare l’analisi delle condizioni di lavoro ed i pericoli costituiti dalle sostanze sempre più dannose che venivano immesse e utilizzate nel ciclo produttivo. Registriamo oggi più di allora come il miracolo economico italiano - ma in generale dei paesi industrializzati - sia stato possibile attraverso un maggiore sfruttamento dei lavoratori che venivano “avvelenati” nelle fabbriche, proprio come i loro familiari venivano “avvelenati” fuori dalle fabbriche. 33 Tali competenze, previste dalla Legge 23 dicembre 1978, n.833, “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (art.2, comma 2, lett.h ) sono state abrogate dal DPR 5 giugno 1993, n.177 (in G.U. 5 giugno 1993, n.130) emanato a seguito del referendum indetto con DPR 25 febbraio 1993 e successivamente trasferite all’Agenzia per l’Ambiente (ANPA) 18 Si tratta di una pagina delle lotte ecologiche che ha portato i lavoratori ad introdurre delle clausole "ambientali" nei contratti di lavoro chiedendo che la concentrazione delle sostanze tossiche nell'aria delle fabbriche non superasse dei limiti posti di sicurezza: le massime concentrazioni ammissibili (MAC). Nonostante questa rinnovata attenzione a Seveso, dal reattore B di un impianto dell’azienda chimica ICMESA (proprietà della ditta Givaudan) impiegato per la produzione di esaclorofene (un prodotto che si credeva relativamente innocuo in quanto veniva usato dall’industria cosmetica), fuoriuscì una nube tossica che il vento propagò velocemente nel territorio circostante densamente abitato. In realtà si appurò successivamente che si trattava di TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-pdiossina), una sostanza chimica altamente tossica e cancerogena, capace di provocare innumerevoli disturbi alla natura ed all’uomo. Gli effetti dell’esposizione alla nube cominciarono ad essere avvertiti dalla popolazione, in cui si segnalarono casi di intossicazione, seguiti da ricoveri di emergenza e dalla moria di molti animali. Settecento persone vennero fatte sfollare, mentre l’allarme si estese anche ad altri undici comuni limitrofi, tra cui Meda, Desio, Barlassina, Bovisio Masciago, Nova Milanese, Seregno, Lentate sul Seveso e Cesano Maderno. Successivamente, l’ICMESA venne demolita, unitamente alle abitazioni della zona A, la più contaminata. Tonnellate di terreno inquinato dalla diossina vennero inoltre rimosse, all’interno di un processo di bonifica delle aree colpite. Negli ultimi 20 anni sono stati compiuti molti studi sugli effetti che a Seveso l’esposizione alla diossina ha provocato sugli animali, sull’uomo e sulle piante che risultano ancora gravemente contaminate nel fusto e nel fogliame, contaminando quindi anche il foraggio destinato agli allevamenti, e di conseguenza, per un effetto a cascata, anche il latte da essi risultante. Nelle settimane immediatamente successive all’incidente, sono stati segnalati oltre duecento casi di cloracne, una dermatosi che forma lesioni e cisti sebacee gialle dal forte odore di cloro. In quel preciso momento la comunità internazionale si rese conto del pericolo insito nell’uso di sostanze chimiche. Purtroppo all’epoca non esisteva alcuna politica armonizzata di gestione dei rischi industriali e gli Stati membri della Comunità agivano in ordine sparso. 19 Di fronte a tale constatazione la Comunità Europea emanò una specifica direttiva nel 1982, denominata “Direttiva Seveso”. Ma ancora, nonostante gli interventi legislativi che seguirono, la mattina del 18 luglio 1988, alle 6.15, nell’industria chimica Farmoplant, della Montedison, a Massa Carrara, scoppiò una cisterna di 40 metri cubi contenente Rogor (un pesticida) e cicloesanone (un solvente)34. Entrambi altamente tossici. Si sviluppò un incendio, spento dopo alcune ore, e una gigantesca nube nera si alzò in cielo. Circa cinquantamila persone, tra villeggianti e residenti, terrorizzate dal fragore del boato, scapparono, intasando le autostrade, e cercando rifugio in zone più interne, verso le Alpi Apuane. Per trenta ore non venne dato un allarme ufficiale e la popolazione non fu informata della gravità dell’incidente, ma 150 intossicati, solo il primo giorno, si rivolsero ad ospedali e pronto soccorso: accusavano tosse, arrossamento degli occhi, tracheiti, abbassamento della pressione e bradicardia. Un odore acre, nauseabondo, derivante dal pesticida bruciato, si diffuse ovunque, anche all’interno delle abitazioni. Nel torrente Lavello i pesci morirono, e le Usl proclamarono il divieto di balneazione lungo un chilometro di costa; raccomandarono inoltre di non cibarsi di frutta e verdura locale e di lavarsi in modo molto accurato. La Farmoplant era una ditta già da tempo contestata, poiché più incidenti si erano già verificati, a partire dal 1976: esplosioni, incendi, infortuni mortali, inquinamento della falda freatica, perdita di sostanze tossiche e conseguente spargimento di sostanze maleodoranti. Il 25 ottobre 1987, un referendum tra gli abitanti di Massa era finalmente riuscito ad ottenere la chiusura dell’azienda, posta a soli tre chilometri dal centro città. Una sentenza successiva del Tar ne aveva tuttavia consentito la riapertura, poiché, di seguito ad alcune modifiche apportate, l’azienda si poteva considerare affidabile e sicura, nonché a basso rischio di inquinamento. Sempre lo stesso anno il 23 luglio 1988 dall’ACNA (Azienda Coloranti Nazionali e Affini), un’industria chimica di proprietà dell’ENICHEM situata a Cengio (SV), in Valle Bormida, al confine fra Piemonte e Liguria, si sprigionò una nube di anidride solforosa. Tale incidente indusse l’allora Ministro dell’Ambiente Giorgio Ruffolo a decretare la chiusura temporanea dell’impianto. 34 La Farmoplant produceva ogni anno 2500 -3000 tonnellate di Rogor, insetticida usato sugli oliv i, ortaggi, cereali, agrumi e fragole; cioè il 30 -40% della produzione mondiale. 20 È un bilancio già drammatico, destinato tuttavia, secondo le testimonianze degli ultimi processi che si sono svolti negli anni ’80 e ‘90, ad aggravarsi ulteriormente nel corso dei decenni. L’inquinamento industriale avvelena ancora l’aria, l’acqua, il suolo ed il sottosuolo, sottrae all’economia, specialmente quella agricola, migliaia di posti di lavoro, fa morire capi di bestiame, fa comparire prodotti geneticamente mostruosi, fa ammalare i lavoratori ed i cittadini e permette al cancro di portarsi via ogni anno migliaia di persone. Giungono condanne, cui puntualmente seguono prescrizioni ed assoluzioni che contribuiscono a diffondere il mito che ogni epidemia sia un disastro che non poteva essere previsto. Anche in questo caso apparentemente il binomio "sviluppo = inquinamento ambientale" è stato acquisito nell'immaginario collettivo come una equazione necessaria ed ineluttabile. Per il nostro paese quella degli anni ’80 è stata una fase critica sia per l’economia che per il Sindacato indotto, dai problemi di difesa del posto di lavoro e del potere d’acquisto dei salari, ad allentare la presa sul versante della salute e sicurezza sul lavoro rispetto all’obiettivo primario del costante miglioramento delle condizioni di lavoro. Il trend degli infortuni sul lavoro ricominciò a salire. Culmine di questa crisi fu l’incidente, che costò la vita a dodici giovani operai arsi vivi nei cantieri navali di Ravenna, avvenuto il 13 marzo del 1987 durante le operazioni di manutenzione di una grande nave. La tragedia portò il Senato della Repubblica italiana ad affidare un’indagine, ad una commissione di 21 senatori (presieduta dall’ex segretario della CGIL Luciano Lama), che documentasse, oltre allo stato di salute dei lavoratori, anche la situazione organizzativa dei corpi preposti alla prevenzione e al controllo del rispetto della normativa vigente, nonché lo stato di attuazione della legge di riforma sanitaria a dieci anni dalla sua promulgazione, legge ritenuta, a giudizio unanime, poco e male applicata.35 I lavori della Commissione Lama si conclusero con otto proposte di legge che però non vennero mai trasformate in legge perché nuovi input sul piano normativo stavano venendo dalla Comunità Europea. 35 A.Baldasseroni, F.Carnevale, op. cit., p. 251 21 4. Le norme europee e il nuovo modello gestionale della prevenzione Il dibattito in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro si evolveva dunque parallelamente sia in ambito nazionale che europeo dal momento che la costruzione dell’Europa richiedeva l’eliminazione di tutti gli ostacoli normativi al libero scambio tra gli stati membri attraverso regole minime, anche su questa materia, uguali per tutti. Il fattore che forse contribuì, più di ogni altro, ad accelerare il cambiamento di prospettiva, in tema di tutela della salute sul lavoro nel nostro paese, fu l’opera meritoria e costante dell’Unione Europea, passando da una posizione iniziale di carattere orientativo con le raccomandazioni, ad una successiva più vincolante, con le direttive, che hanno cercato di fornire agli Stati membri opportuni stimoli in senso innovativo.36 La fonte normativa rappresentata dall’Unione Europea, mediante trattati ed accordi, ha acquisito il potere di emanare direttive (e anche regolamenti, raccomandazioni, pareri e decisioni) da dover recepire nell’ordinamento di ciascuno dei Paese membri. La vastità delle materie trattate e gli aspetti tecnici delle direttive da recepire ed integrare nel nostro ordinamento portò il Parlamento italiano a delegare al Governo tale compito che, nella fase di preparazione e stesura degli schemi del decreto, vide il Ministero del Lavoro svolgere varie consultazioni per acquisire informazioni e pareri. Successivamente venne acquisito il parere delle Commissioni lavoro di Camera e Senato che a loro volta avevano svolto audizioni per registrare pareri e raccogliere indicazioni su un testo ormai definitivo. In questa fase vennero introdotte modifiche importanti, anche grazie ad emendamenti presentati dalle forze sindacali, come da tecnici specialistici, attraverso le loro associazioni, e dalla Consulta Interassociativa per la Prevenzione. Infine il Presidente della Repubblica controfirmava il 19 settembre 1994, ultimo giorno concesso dalla delega, il Decreto Legislativo n.626 destinato a rivoluzionare il modello gestionale della prevenzione vigente prima di allora nel nostro paese. Il fenomeno che investì l’intero sistema produttivo italiano, oltre a dettare una serie di prescrizioni minime per il miglioramento continuo della sicurezza e della salute dei lavoratori in tutti i luoghi di lavoro, sia pubblici che privati, stravolse il tradizionale modello di comando e controllo attuando una sorta di responsabilizzazione documentata delle azioni preventive svolte in azienda. 36 E.Greco, P.Tosti, G.Oombuen,G.M.Pirone, Verso una nuova cultura della prevenzione , Istituto di Medicina Sociale, Roma, 2000, Introduzione, pag.3 22 Nuove figure come il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, gli Addetti alla gestione dell’emergenza, gli Organismi Paritetici, con ruoli chiave e funzioni diverse a garanzia della salute e sicurezza dei lavoratori, iniziarono così a muovere i primi passi da protagonisti verso nuove attività di prevenzione e tutela. L’approccio alla sicurezza subì un cambiamento epocale, passando, grazie alla nuova filosofia introdotta in Italia con il recepimento delle norme comunitarie degli anni ’80 e ‘90, da una concezione tecnico-normativa, centrata sul rispetto delle norme di legge e sull’adozione di particolari soluzioni tecniche, ad una concezione progettuale al centro della quale non c’è la “macchina” ma il lavoratore e il suo benessere psico-fisico (dal “dover essere” al “saper essere”, dal “dover fare” al “saper fare”) ; Cambiò così anche la metodologia di intervento con l’estensione del concetto di “programmazione” anche alla prevenzione dei rischi lavorativi che oggi deve quindi essere: progettata, programmata, agìta, verificata e aggiornata nel tempo. Anche la legislazione “ambientale” avrebbe dovuto diventare il primo elemento delle competitività aziendale invece è stata subita per le mille letture asservite spesso a personali convincimenti ideologici legati all’immediato risparmio economico divenendo, di fatto, un fattore di criticità per la conduzione aziendale ecosostenibile. La strategia globale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in materia di salute per tutti nel luogo di lavoro, elaborata dai Centri collaborativi sulla promozione della salute nel luogo di lavoro e sottoscritta dalla 49esima Assemblea mondiale della salute (risoluzione WHA49.12), richiede approcci innovativi e la partecipazione attiva delle aziende e di altri luoghi di lavoro37. Nella gestione della sicurezza, invece, ferma restando la responsabilità finale del datore di lavoro, tutti i lavoratori vengono ora chiamati ad occuparsi della propria ed altrui incolumità fin dal momento della progettazione delle misure di prevenzione e protezione, con funzioni e livelli diversi di responsabilità. La filosofia, che sta alla base del decreto legislativo 626/94, consiste nel fare assegnamento sull’impostazione organizzativa/gestionale dell’impresa che rifletta la “volontà politica”, espressa dal vertice aziendale, di conseguire la sicurezza.38 37 B.Baranski, in ISPESL, Symposium Europeo sulla promozione della salute nei paesi del sud Europa , Atti della conferenza Nazionale sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Italia, Siracusa 5,6,7 aprile 2001, Rodamedia Communicatio n, Roma, 2002, pag.33 38 IPSOA, Modulo Sicurezza 2003, IPSOA SCUOLA D’IMPRESA, Lavis (TN), 2003, pag.105 23 5. Le riforme del lavoro: flessibilità, precarietà e ritorno all’insicurezza Nel 1996, a seguito di un altro gravissimo infortunio nel quale trovarono la morte sei lavoratori durante le prove tecniche di collaudo di una nave metaniera, il Governo affidò al Comitato paritetico delle Commissioni Lavoro del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, presieduto dal Senatore Carlo Smuraglia, una nuova indagine conoscitiva sulla sicurezza e l’igiene del lavoro. La situazione rilevata dalla “Commissione Smuraglia”, riportata nelle conclusioni a cui pervenne, fu tutt’altro che soddisfacente. Nonostante il fervore dei dibattiti, delle iniziative e gli interessi risvegliati da tutte le parti dal Decreto Legislativo 626/94, gli infortuni continuavano a verificarsi e le malattie professionali, soprattutto quelle “perdute”39 erano ancora molto diffuse. La Commissione indicò, quindi, molti interventi che avrebbero dovuto essere attuati per imprimere una svolta radicale nell’attuazione di un vero sistema di prevenzione, tra i quali anche la necessità di completare e coordinare il sistema normativo italiano. In quegli anni, però, nei paesi più industrializzati interveniva un aumento di richiesta di flessibilità nei rapporti di lavoro e pertanto anche il Governo italiano di centro sinistra si fece promotore, nel 1997, di una legge di riforma che tentava di costruire alcune risposte, alcune delle quali riguardanti le richieste dettate dal mercato del lavoro italiano: l’evasione della legge sul divieto di intermediazione della manodopera, il lavoro nero, l’uso abnorme dei contratti a tempo determinato, gli straordinari nei casi di punte stagionali, ecc.. La legge n.196, detta “Pacchetto Treu”, introdusse una pluralità di forme contrattuali maggiormente flessibili quali il lavoro interinale, temporaneo e il part-time che, dal 1998 al 2003, contribuirono ad una crescita degli occupati di poco più di un milione e 600 mila unità. Il sistema delle imprese italiane iniziò ad adottare il lavoro interinale come una modalità normale di ricorso a prestazioni temporanee nonostante non fosse lavoro a buon mercato in quanto l’impresa doveva pagare al fornitore della mano d’opera il prezzo del servizio svolto. Sempre il Governo di centro-sinistra si fece promotore di un patto sociale che presentò a tutte le forze sociali ed alle istituzioni a Genova nel corso di una conferenza nazionale sulla salute e sicurezza sul lavoro. Il manifesto programmatico “Carta 2000” venne ben accolto e siglato da tutti: Regioni, imprenditori e rappresentanti del mondo del lavoro e della società civile. Purtroppo, oltre a rimanere un sogno incompiuto, “Carta 2000” è stata definitivamente accantonata dall’attuale Governo di centro-destra che ha preferito imboccare una nuova strada con 39 Vengono così chiamate quelle patologie il cui nesso con la professione svolta non è ancora pienamente riconosciuto . 24 il libro bianco del Ministro del Lavoro Maroni e le pericolose deleghe, conferite dalla maggioranza Parlamentare, che non hanno niente a che vedere con il precedente dibattito sul Testo Unico per il riassetto normativo in materia di sicurezza sul lavoro. Con la legge delega 14 febbraio 2003 n. 30 ed il correlativo decreto legislativo di attuazione 10 settembre 2003, n. 276, nota come “Legge Biagi”, venne così a determinarsi una seconda riforma del mercato del lavoro, definita epocale, che vorrebbe rispondere alle sollecitazioni provenienti dal mondo della produzione, in conseguenza del progresso scientifico nell’ordinamento giuridico e tecnico e dell’esigenza di avvalersi di più adeguati sistemi organizzativi nelle imprese. L’obiettivo dichiarato della riforma doveva essere quello di innalzare la quota di incroci tra domanda ed offerta di lavoro, realizzati in forma organizzata e non spontanea, come richiede un mercato del lavoro sempre più complesso e sofisticato. In proposito, è pur vero che il quadro a livello europeo segnala un incrocio domanda-offerta in forma organizzata che raggiunge numeri doppi di quelli che le strutture pubbliche italiane mediano ma è altrettanto vero che le nuove forme di lavoro, quali il lavoro somministrato, il lavoro a progetto ed occasionale, invece di rispondere al bisogno di flessibilità per la struttura produttiva e di superare il divario che ci separa da realtà più avanzate e quindi di recuperare alla mediazione organizzata, dettano in realtà un costo altissimo che è andato a gravare sulle spalle di chi ha famiglia e figli da mantenere generando nei lavoratori un grande senso di insicurezza, che rischia di trasformare l’essere umano in una bestia famelica pronta a saltare su qualsiasi pseudo-impiego e attenta a non farsi trovare impreparata dai suoi simili. Eugenio Scalfari, in un suo recente editoriale di commento al D.Lgs. 276/03, ha detto: “…crescerà una generazione furba e dura, egoista e ansiosa, nevrotica e mal vissuta”.40 Non sappiamo ancora dire se sarà davvero così…speriamo di no! Intanto le indagini statistiche indicano che i tassi di mortalità e di infortuni sul lavoro dei lavoratori precari sono almeno due/tre volte superiori a quelli dei lavoratori stabili e permanenti.41 Un aspetto poco esplorato finora, ma fondamentale per la comprensione e la prevenzione del fenomeno infortunistico che in Italia costa ogni anno 28.400 milioni di euro, il 3% del Pil. Come ci ha ricordato Giuseppe Casadio, segretario nazionale CGIL : “Il Governo, per la prima volta nella storia del paese, è riuscito a far approvare una legge, la cosiddetta riforma del mercato del lavoro, sulla quale più di 5 milioni di persone hanno detto già di essere fortemente contrarie. Una legge che contiene decine di deleghe in bianco al Governo, il cui scopo è rendere il 40 In Quaderni di Rassegna Sindaca le n.2, 2003 25 lavoratore sempre più solo e debole nel mercato del lavoro. Da oggi i lavoratori, grazie al Governo, non sono nulla di più di merce: si possono vendere, scambiare, trattare come l’azienda meglio crede. Con l’approvazione del disegno di legge 848 il Governo colpisce infatti i più elementari diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, di oggi e di domani”.42 Nel caso specifico della sicurezza ed igiene del lavoro viene consentito al Governo di adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni di legge vigenti. L’ambito di applicazione della delega è vastissimo quanto generico e consente di intervenire praticamente su tutti i punti cardine della materia, trattando voci differenti, che vanno dal sistema sanzionatorio alle norma tecniche di sicurezza delle macchine, dalla compatibilità delle misure tecniche ed amministrative di prevenzione con le caratteristiche gestionali ed organizzative delle imprese artigiane alla razionalizzazione delle competenze istituzionali. Abbiamo di che preoccuparci vista la manifesta volontà di quanti vogliono diversificare la tutela dei lavoratori in base alle tipologie contrattuali. Come ha sottolineato Paola Agnello Modica, segretaria nazionale della CGIL,: “Desta molto allarme l’ipotesi di adeguamento del sistema prevenzionistico alle nuove forme e tipologie di lavoro: non solo un agente chimico o biologico non ti chiede che tipo di rapporto di lavoro hai prima di colpire il tuo corpo, ma anzi sono i dati della stessa Unione Europea che confermano che vanno rafforzate le misure di prevenzione nei rapporti flessibili e precari.”43 Nonostante la rivoluzione epocale, introdotta dal D.Lgs.626/94, le attuali politiche liberiste nel campo della flessibilità e della frammentazione dell’organizzazione del lavoro stanno portando però a peggiorare la condizione lavorativa che continua a produrre infortuni e malattie professionali, ed in particolare i tumori contratti in ambiente di lavoro - ancora largamente sottostimati rispetto alla loro entità reale - le malattie all’apparato muscolo - scheletrico e la sofferenza psichica (stress, burn-out, mobbing), quest’ultime in aumento significativo in tutta l’Europa. Chi ne fa maggiormente le spese sono tutte le categorie di lavoratori meno protette: gli immigrati, i dipendenti del settore dei servizi (in particolare le donne soggette spesso ai lavori più faticosi e ripetitivi ai quali si somma l’attività non meno gravosa dovuta ai lavori domestici), i lavoratori precari ed atipici ed i lavoratori in nero privi di tutele in materia di sicurezza e di prevenzione sul lavoro. 41 Ispesl /Eurispes, ricerca “Incidenti sul lavoro e lavoro atipico” in http://www.rassegna.it/2003/sicurezza/articoli/atipici/Incidenti%20sul%20lavoro%20e%20lavoro%20atipico.doc 42 Stralcio dell’intervista rilasciata all’agenzia ADNKRONOS dal Segretario naz. CGIL Giuseppe Casadio il 4 febbraio 2003 dopo l’approvazione del Senato della delega sul mercato del lavoro, ribattezzata “riforma Biagi” . 43 Agnello Modica P., Le azioni e le proposte del sindacato italian o, Relazione al seminario CGI L-CISL-UIL, Modena, 2002 26 Anche la classe operaia tradizionale è «sotto tiro»: dall'allungamento dell'età pensionabile, all'aumento dello stress legato alle esigenze di un’organizzazione del lavoro meno che mai a misura d'essere umano, dai turni di lavoro "impossibili" con l’intensificazione del lavoro notturno ai ritmi di produzione sempre più elevati, dalla dilatazione dell’orario di lavoro, con l’uso selvaggio degli straordinari fino alla violenza morale del ricatto. In Italia nel 2002 vi sono stati 967.785 infortuni, 1.397 morti, 25.000 invalidità permanenti, 51.000 incidenti durante gli spostamenti per lavoro, 26.000 casi di malattia professionale.44 Le più colpite sono le regioni del Nord: Lombardia in testa, seguita da Emilia e Veneto. Le tre regioni insieme costituiscono da sole il 48% del totale degli infortuni. Colpi, urti, incidenti alla guida, piedi in fallo, sono, in ordine di frequenza, le cause principali degli infortuni sul lavoro. Rispetto gli anni precedenti sono in aumento le malattie professionali legate al sistema muscolo scheletrico (artropatie, sindrome del tunnel carpale e discopatie). Oltre alla cervicale, il mal di schiena è diventato uno dei problemi sanitari principali. Anche l’anno scorso, inoltre, sono stati denunciati oltre 70.000 casi di lesione della colonna vertebrale: i lavoratori esposti al rischio di sovraccarico biomeccanico e posture scorrette della colonna vertebrale sono soprattutto quelli che svolgono la movimentazione manuale dei carichi ed attività che espongono a vibrazioni. Tra il 2001 ed il 2002 oltre 3.000 lavoratori hanno subito la perdita di un arto: si tratta di 14 persone amputate ogni singolo giorno di lavoro! Ed è ancora più agghiacciante il fatto che non se ne parli più di tanto, quasi fossimo di fronte a qualche cosa di inevitabile o che non ci riguardasse. Addirittura quest’anno si sono letti commenti incoraggianti riguardo un irrisorio calo di qualche punto percentuale sugli infortuni nel confronto 2002/2001: a mio avviso, davvero troppo poco per poter gioire. 44 INAIL, Rapporto annuale, 2002, in http://www.edscuola.it/archivio/handicap/inail_infortuni02%20.pdf 27 6. Dall’esperienza veronese una proposta operativa Per meglio comprendere come il mondo del lavoro sia stato protagonista di ogni fenomeno legato alle trasformazioni economiche avvenute nel nostro paese merita analizzare l’evoluzione produttiva di Verona, una delle città venete dove, agli inizi degli anni ’50, la popolazione attiva era ancora occupata prevalentemente nell’agricoltura mentre il ramo industriale non assorbiva che il 30% dell’intera popolazione. 45 L’industria veronese è sempre stata caratterizzata dalla presenza di parecchie attività metallurgiche e meccaniche, residuo della produzione bellica dell’ultimo conflitto, la cui attività di recupero e trasformazione fece nascere diverse officine come le Adige, che nel tempo si specializzeranno nella produzione di mezzi di trasporto pesante, e le Galtarossa che avranno le prime consistenti commesse per il materiale ferroviario. Iniziative industriali, come quella di Riello a Legnago, di Biasi a Verona e della Ferroli a S.Bonifacio, caratterizzeranno invece l’economia locale portando il settore termomeccanico a livelli di competitività europea. La provincia di Verona sarà coinvolta nello sviluppo del cosiddetto “Modello Veneto” che stabilisce la possibilità di un allargamento dello sviluppo economico su tutto il territorio. Agli inizi degli anni ’70, proprio quando incominciavano ad espandersi le attività di servizio, si profilò una grave battuta d’arresto per l’economia veneta e Verona visse la fase storica più importante per la difesa della salute e della sicurezza sul lavoro. Durante le prime manifestazioni di protesta si faceva sentire in tutta la provincia l’eco delle lotte contro la nocività attuate dall’Uranio Accumulatori di Verona promosse dal Circolo Operaio Zai (Zona Artigianale Industriale) noto con la sigla C.O.Z. e sorto per volontà dei superstiti dell’esperienza politica dei marxisti-leninisti (P.C.d’I.) linea rossa.46 Con la prima vertenza storica dell’Uranio gli operai erano infatti riusciti a respingere qualsiasi tentativo di monetizzare il rischio dettato dal piombo coinvolgendo l’Istituto di Medicina del Lavoro che, in un clima di pluralismo delle concezioni sociali della medicina, era riuscito a creare, sotto la guida del professor Edoardo Gaffuri, così come a Milano ed in altre città italiane, i primi nuclei di medicina del lavoro che fornirono importanti contributi all’attività sindacale per la conoscenza e la prevenzione dei rischi lavorativi. 45 Rossin Luigi in Dalla protesta individuale alla mobilitazione collettiva, La nascita del sindacato in una fabbrica del veronese, Editrice Centro Studi “O.Peron”, S.Bonifacio (VR), 1992, pag.4 46 Rossin Luigi, op. cit., pag.122 28 L’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Verona, attraverso alcuni decenni, sfornò una moltitudine di medici specializzati in una branca della medicina che, utilizzando conoscenza e strumenti propri di tutte le discipline che confluiscono nella medicina, opera per riconoscere, prevenire e curare le malattie prodotte dagli agenti patogeni presenti nell’ambiente di lavoro.47 Sarà grazie a questi medici che vennero studiati ed analizzati approfonditamente i cicli produttivi favorendo l’opera successiva di risanamento ambientale di molte fabbriche veronesi. L’attuazione nel luglio del 1972 della Federazione CGIL-CISL-UIL, permise, inoltre, l’impegno per una riunificazione su base unitaria fra i sindacati dei metalmeccanici con la nascita della F.L.M. Su questa base fu possibile affrontare in maniera più organica il problema della salvaguardia della salute sui luoghi di lavoro alla luce delle acquisizione teoriche raggiunte a livello nazionale e delle esperienze delle singole fabbriche. Si arrivò così ad ottenere, il 23 luglio 1973, l’istituzione di un Centro per la Cura e la Prevenzione delle malattie del lavoro che, approvato dalla Regione del Veneto e dall’Amministrazione dell’Ospedale generale “Z.Manani” di S.Bonifacio, iniziò a svolgere indagini ambientali in stretto contatto con i Consigli di Fabbrica. I due soli medici del Centro visitarono in un anno centinaia di lavoratori delle fabbriche notoriamente nocive introducendo un importante strumento di controllo: il libretto personale sanitario e di rischio. Per quanto concerneva la prevenzione il libretto offriva lo strumento per una vasta partecipazione operaia al controllo dell’ambiente di lavoro e del proprio stato di salute, attraverso le due schede con questionario c’era la possibilità di confrontare la propria valutazione sullo stato di salute personale con quella del medico e di rapportarle con il giudizio sul posto di lavoro e la quantificazione del rischio dello stesso.48 Verona visse un'altra fase di estremo interesse all’inizio degli anni ’80 allorché andò intrecciandosi l’operato della “medicina del lavoro” con gli avvenimenti culturali, sociali e normativi che condussero alla formulazione della Legge di riforma sanitaria, all'avvio delle Unità Sanitarie Locali con i loro Servizi di Medicina del Lavoro (SMAL) e i neonati Servizi Ispettivi di Prevenzione Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPISAL). Negli anni successivi, i medici del lavoro, che fecero da apripista agli attuali Medici Competenti previsti dal D.Lgs. 626/94, offrirono un contributo rilevante per l'elaborazione teorica e la verifica sul 47 E. Gaffuri in La salute non è in vendita, Per la lotta alla nocività in fabbrica , Centro Studi Federlibro – Fim -SISMCisl di Verona, Verona, 1973, pag.19 48 Rossin Luigi, op. cit., pag.162 29 campo dell’intervento strutturato del Sindacato dei Lavoratori per la difesa della salute nelle fabbriche veronesi. La partecipazione dei lavoratori e del mondo del lavoro all’implementazione del modello partecipativo della prevenzione in fabbrica, introdotto con la Riforma Sanitaria, la sperimentazione di modelli territoriali di prevenzione partecipata, il loro impatto sociale, culturale ed economico, anche attraverso innovazioni dei sistemi produttivi, la localizzazione periferica degli operatori della salute in fabbrica (medici del lavoro nei Consorzi di Medicina del Lavoro e nei Servizi Comunali prima della riforma, nei Servizi Ulss, dopo) concorsero, in maniera non direttamente quantificabile, ai positivi cambiamenti strutturali e sovrastrutturali del mondo del lavoro che oggi evidenziano il positivo risultato. Andarono affermandosi alcune importanti conquiste sulle condizioni di lavoro di diverse unità produttive che storicamente inquinavano, erano fonte di rischi infortunistici e facevano ammalare i lavoratori, come l’Uranio che produceva accumulatori al piombo, la Ferroli che produceva caldaie e radiatori, la Perlini S.P.A. e la Perlini O.M.C, l’O.M.E.P, la Zanardi di Minerbe, la Baldo di Albaredo d’Adige, l’Officina e Fonderia Galtarossa, le fonderie Biasi, le officine Grafiche Mondatori, la Tiberhien, l’Officina Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, ecc.). Si consolidò un sistema di vigilanza che, opportunamente supportato dall’azione giudiziaria ferma e decisa (spesso si procedeva al sequestro cautelativo dei cantieri edili non a norma di legge) contribuì a creare le basi relazionali con le associazioni datoriali per addivenire alla firma di importanti protocolli d’intesa per l’istituzione del Comitato Paritetico Territoriale per l’edilizia e l’Osservatorio Provinciale per l’industria. Mentre il C.P.T. nacque per promuovere e divulgare la cultura antinfortunistica ai lavoratori e ai tecnici e nel contempo offrire una consulenza alle imprese edili, al fine di ridurre il rischio di infortunio sui cantieri, l’Osservatorio aveva per oggetto l’elaborazione di proposte operative atte a promuovere, ad ogni livello, la diffusione della “cultura della sicurezza” sarà l’antesignano dell’Organismo Paritetico Provinciale previsto dall’art.20 del D.Lgs. 626/94. All’inizio degli anni ’90 permanevano, però, ancora diverse situazioni in cui si riscontrava un peggioramento delle condizioni di lavoro causato dai ritmi, dall’utilizzo di nuove sostanze e nuove tecnologie, dal fatto che le nuove norme di prevenzione o non venivano rispettate o non erano ancora ben definite. 30 Inoltre, le dinamiche dello sviluppo, della crescita industriale e dei consumi manifestavano crescenti livelli di incompatibilità con l’ecosistema, configurando una minaccia alla qualità dell’ambiente sociale. Ai rischi di esposizione tradizionali andavano assommandosi nuove situazioni di rischio che dettarono al Sindacato veronese una dotazione nuova soprattutto dal punto di vista concettuale per analizzare ed interpretare i rapporti esistenti tra il lavoro e la salute. Tutto ciò imponeva una ricerca di un nuovo equilibrio tra le attività trasformative, la soddisfazione dei bisogni umani e l’ecosistema di riferimento. La CGIL di Verona, partendo dalla consapevolezza di non possedere esperienze, conoscenze, cultura sufficienti per affrontare in termini organici e scientificamente validi le questioni ambientali decise di favorire l’incontro tra l’organizzazione sindacale ed alcuni preziosi interlocutori istituendo “CONSULTA AMBIENTE LAVORO” un organo tecnico consultivo per i problemi d’igiene e sicurezza del lavoro e ambientali. I componenti della “Consulta Ambiente Lavoro” della CGIL erano medici e tecnici dei servizi delle ULSS, avvocati, ingegneri, formatori, delegati e funzionari sindacali che periodicamente si incontravano per lavorare su progetti e programmi comuni. Andò delineandosi un quadro sempre più definito delle potenzialità esistenti nella provincia veronese per proporre ed affrontare, assieme a CISL ed UIL in un’ottica sinergica, le problematiche relative alla salute e sicurezza dei lavoratori veronesi. Venne ideato e sviluppato, assieme all’Istituto di Medicina del Lavoro e ai Servizi pubblici di Vigilanza (SPISAL), un lavoro sistematico di formazione e informazione teso a costruire una nuova culturale sindacale nell’apparato (funzionari, dirigenti) ed a creare una rete diffusa di “Delegati alla Sicurezza” con una sufficiente cultura ambientalista e della sicurezza ed adeguate conoscenze tecniche. “Consulta Ambiente e Lavoro” oltre a fornire consulenza alle federazioni sindacali di categoria della CGIL nell’impostazione delle piattaforme rivendicative aziendali, sulle questioni della sicurezza e dell’ambiente di lavoro, iniziò ad erogare informazioni attraverso uno sportello aperto a tutti i cittadini veronesi. Lo sportello iniziò a censire le aziende inquinanti, a raccogliere dati e documentazione sulla nocività aziendale, a ratificare l’elezione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la sicurezza individuati ed eletti nelle aziende dell’intera provincia veronese. Nel contempo i servizi ispettivi delle tre ULSS (SPISAL), diedero vita ad un loro coordinamento provinciale promovendo un'iniziativa sull'attuazione del D.Lgs. 626/94 con 31 l'obiettivo di coinvolgere tutti i soggetti sociali ed economici individuati dalla norma e, lavorando insieme, pervenire ad indicazioni concrete. L’obiettivo era quello di costituire gruppi di studio specifici in grado di esaminare gli aspetti pratici connessi alla applicazione della legge, analizzare i vincoli e le difficoltà reali o “apparenti”, formulare indicazioni sulle priorità per l’attuazione degli interventi preventivi. In tre giornate di lavoro vennero coinvolti oltre 150 soggetti interessati alle problematiche inerenti la sicurezza del lavoro: datori di lavoro, dirigenti, preposti, responsabili del servizio di prevenzione aziendale, sindacalisti, lavoratori, progettisti, amministratori pubblici, operatori degli SPISAL e dei VV. FF., consulenti del lavoro, commercialisti, insegnanti di scuole professionali e dell'Edilscuola, dirigenti d'azienda, direttori sanitari, primari ospedalieri, medici competenti, rappresentanti degli ordini degli architetti e degli ingegneri, rappresentanti dei collegi dei periti e dei geometri, dirigenti di case di cura private, rappresentanti di associazioni di categoria degli industriali e degli artigiani, ecc. L’auspicio che il lavoro di tali gruppi potesse in futuro continuare trovò in qualche modo rispondenza nel costituirsi di alcuni punti di riferimento quali lo “Sportello 626 della Camera del Commercio” e i vari servizi dedicati che le associazioni datoriali misero a disposizione di quanti dovevano superare nella pratica quotidiana le innumerevoli difficoltà che il mestiere di “operatore della prevenzione” ai vari livelli comporta. Si crearono le basi per una "rete della prevenzione" costituita da operatori e professionisti, sia pubblici che privati, interessati a partecipare ad un comune progetto di diffusione della cultura della prevenzione nella speranza potesse trasformarsi in una strada informatica comunicante con tutti gli ambienti di lavoro. La “Consulta Ambiente e Lavoro” della CGIL non trovava, quindi, più ragione di esistere, perlomeno nella forma indipendente dalle altre sigle sindacali, e la segreteria Confederale decise di proporre a CISL ed UIL un servizio unitario. Nacque così S.A.L.U.Te. il Servizio Ambiente Lavoro Unitario Territoriale che iniziò ad operare nel 1997 con tre sportelli provinciali presso le rispettive sedi di CGIL, CISL,UIL. Lo sportello della CGIL si giovò della precedente esperienza e progredì nella fornitura dei servizi ai lavoratori ed ai loro rappresentanti sindacali ampliando il proprio raggio d’azione. Attualmente costituisce un valido aiuto, ed una punto di riferimento stabile che collabora anche con il Patronato e l’Ufficio Vertenze Legale della Camera del Lavoro per una più ampia tutela della salute e sicurezza. 32 Oltre ad occuparsi prevalentemente di ASSISTENZA, CONSULENZA e FORMAZIONE dei Rappresentanti dei Lavoratori (RSA/RSU/RLS) fornisce informazioni attraverso diversi canali: lo sportello, che è aperto tutti i giorni della settimana presso la Camera del lavoro di Verona, RLSNEWS, la testata in formato elettronico che viene spedita tramite mail, il Notiziario sull’evoluzione delle normative legate all’ambiente ed alla sicurezza sul lavoro (consultabili sul sito dell’INCA CGIL regionale http://www.inca.it/veneto/PaginaNEWS.htm, la RASSEGNA STAMPA che riporta mensilmente gli articoli di maggiore interesse riguardanti la sicurezza sul lavoro apparsi nei quotidiani locali, regionali e nazionali, la RASSEGNA NORMATIVA che riassume mensilmente le leggi nazionali, regionali e le normative comunitarie emanate. S.A.L.U.Te. cerca di soddisfare il più alto numero di richieste informative che pervengono, anche telefonicamente, attraverso l’utilizzo di più strumenti (telefono, cellulare, fax, posta elettronica e-mail, notiziari e schede, opuscoli, ecc.). Un ulteriore contributo, all’azione di tutela del Patronato INCA, perviene dall’attività di raccolta ed elaborazione dei dati sui fattori di rischio e sugli infortuni e malattie professionali in tutte le aziende del territorio veronese (Documenti di Valutazione dei Rischi, registri infortuni, relazioni annuali sugli accertamenti sanitari periodici, ecc.). Anche l’anagrafe dei R.L.S. viene curata dallo sportello, in accordo con l’Organismo Paritetico e le federazioni sindacali di categoria, per favorire l’avvio della procedura relazionale tra i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza individuati dai lavoratori nei loro diversi comparti produttivi con i rispettivi interlocutori aziendali (R.S.P.P., Medico Competente, Datori di Lavoro, Dirigenti e Preposti). Un operatore di S.A.L.U.Te. assiste, su richiesta, i R.L.S. affinché formulino le loro osservazioni al documento obbligatorio di valutazione dei rischi e sappiano gestire al meglio le segnalazioni e le proposte che pervengono loro dai lavoratori rappresentati . Questa opportunità ha permesso, in diverse aziende, di organizzare incontri periodici con i referenti aziendali che, sfruttando l’art.11 del D.Lgs. 626/94, hanno portato alla programmazione di investimenti per l’implementazione di miglioramenti tecnologici e organizzativi ed all’avvio di percorsi di formazione dei lavoratori per ampliare il livello di conoscenza e di partecipazione ai processi aziendali di prevenzione. Periodicamente, su richiesta delle categorie sindacali o di propria iniziativa avendone registrato la necessità, S.A.L.U.Te. organizza corsi di formazione (anche se la formazione resta un obbligo dei Datori di Lavoro) per conferire ai R.L.S. gli strumenti conoscitivi per 33 esercitare le attribuzioni di cui all’art.19 del D.Lgs. 626/94. Viene privilegiata l’ottica della partecipazione attiva reciproca al processo di prevenzione aziendale secondo gli indirizzi adottati dal legislatore comunitario e recepiti nel nostro ordinamento giuridico in attuazione delle direttive europee. Dal momento che le risorse economiche ed umane di una Camera del Lavoro come quella di Verona non possono essere infinite, per far fronte alla mole di servizi richiesti, si è pensato di mettere in campo alcuni progetti con le Università di Verona, Trento e Padova. Pertanto lo sportello CGIL di S.A.L.U.Te. si avvale della collaborazione sinergica di studenti neolaureandi e di laureati (Giurisprudenza, Scienza della Formazione, Psicologia del Lavoro, Medicina del Lavoro) che, attraverso appropriati progetti di tirocinio formativo obbligatorio previsti dagli ordinamenti universitari, contribuiscono alla realizzazione di studi e ricerche nel campo della prevenzione dei rischi lavorativi e nel contempo alla loro formazione personale vissuta da una postazione privilegiata L’attività di sportello viene intervallata dalla partecipazione a momenti informativi che vengono organizzati nei luoghi di lavoro con assemblee, con seminari e con corsi di formazione che vengono realizzati presso le sale del Centro Servizi CGIL s.r.l.. L’attività dello scorso anno ha portato all’elaborazione di un progetto presentato dalla FLFP-CGIL che è stato finanziato con il fondo Regionale CGIL e che ha permesso la realizzazione di “PUNTO DISAGIO” il centro di ascolto, informazione ed intervento sul disagio lavorativo e sul mobbing. Questo nuovo servizio mette in campo, per la difesa e tutela della dignità della persona sul lavoro, strumenti, mezzi e persone diversificate per ruolo e competenza, intercettando tutti i segnali negativi di un’organizzazione del lavoro “malata” intervenendo con maggiore determinazione, incisività e soprattutto professionalità nell’attività di front-office. E’ stato inoltre possibile collaborare con il gruppo regionale che, nell’ambito del “Piano per la prevenzione e promozione della salute negli ambienti di lavoro 2002-2004”, ha l’obiettivo di elaborare un pacchetto formativo per le aziende riguardo ai rischi di tipo psico-sociale (mobbing) insiti nell’organizzazione aziendale. Si è dato, altresì, corso ad un progetto di collaborazione con il gruppo di lavoro del Servizio di Medicina del Lavoro di Verona che, sempre nell’ambito del piano regionale triennale succitato, prevede un progetto sperimentale per la diagnosi e l’orientamento del Mobbing. Con l’Ufficio Vertenze e il patronato INCA è andato consolidandosi un rapporto di collaborazione per la predisposizione della documentazione utile e necessaria nella difficile 34 trattazione dei casi di risarcimento del danno biologico dei lavoratori infortunati e ammalati a causa dell’inosservanza delle norme di legge da parte dei datori di lavoro. L’esperienza è senz’altro positiva e pertanto può offrire spunti ed idee a quanti vogliano emularla nell’intento di dare alcune risposte anche nell’ambito della contrattazione. Materiali, metodologie, casi, ecc. possono servire alla costruzione di piattaforme integrative utili e necessarie al miglioramento continuo delle condizioni ambientali e operative dei lavoratori e delle lavoratrici. Gli avvenimenti che ci attendono non devono trovarci impreparati e soprattutto divisi. Per il Sindacato, a partire dalla CGIL, si tratterà di consolidare a livello nazionale la buona pratica di inserire le questioni dell’ambiente e della sicurezza nella contrattazione estendendo il modello a livello territoriale. Dobbiamo prevedere campagne di intervento mirate ad aggredire i fenomeni locali di insicurezza e insalubrità degli ambienti di lavoro con sistematicità e continuità in un quadro programmato che saldi l’azione della contrattazione ad una più generale di confronto con le istituzioni pubbliche preposte alla vigilanza e alla prevenzione. 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