PELLACHIN SABRINA
MASTER UNIVERSITARIO DI I° LIVELLO IN NURSING ONCOLOGICO
1° ANNO
A.A. 2003-2004
RELAZIONE DI TIROCINIO
presso il servizio
Pediatria Oncologica Degenza
OIRM – TORINO
Periodo dal 24.05.2004 al 04.06.2004
INTRODUZIONE:
Gli obiettivi che mi sono preposta prima di iniziare il mio tirocinio, spinta dalla voglia di poter portar via quanto più avrei potuto sono
stati i seguenti:
Descrivere l’organizzazione e la struttura del reparto.
Identificare le tipologie ed il funzionamento degli accessi venosi centrali utilizzati nel paziente pediatrico oncologico.
Descrivere l’assistenza prestata al paziente pediatrico oncologico confrontandola con quella prestata al paziente adulto
oncologico.
Identificare le modalità terapeutiche utilizzate per la cura del paziente oncologico pediatrico.
Ma forse non mi sono resa conto che chiedevo un po’ troppo considerando il breve periodo, pertanto il mio lavoro finale si è poi
basato sul descrivere brevemente:
La struttura del reparto
Una sintesi delle principali patologie oncologiche pediatriche trattate.
Quali sono state le principali differenze che ho notato tra il paziente oncologico pediatrico ed il paziente oncologico adulto
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IL REPARTO:
L’ATTIVITA’:
Il reparto di Degenza è una delle unità operative che, insieme al Day-Hospital con annesso Ambulatorio e al Centro Trapianti di
Midollo Osseo, costituisce la Divisione di Pediatria Oncologica.
Il Centro è specializzato nel trattamento della patologia neoplastica dall’infanzia all’adolescenza, partecipa a protocolli nazionali di
trattamento, e ha una propria attività di Laboratorio di ricerca per leucemie e tumori solidi.
Segue i differenti protocolli di trattamento dei tumori cerebrali nell'infanzia (Programma Neuro-oncologico). E' il Centro coordinatore
del trattamento del medulloblastoma in età pediatrica.
Collabora, nell'ambito della propria attività di assistenza e ricerca, con la Divisione di Neuropsichiatria Infantile, sia con regolari
riunioni settimanali con i bambini e loro genitori, sia con colloqui individuali. Inoltre il Servizio di Neuropsichiatria Infantile partecipa a
programmi di valutazione delle capacità cognitive in lungosopravviventi di leucemie acute.
IL PERSONALE:
Primario della Divisione:
Prof. Enrico Madon
Medico Responsabile del Reparto di degenza:
Dr. Alessandro Sandri
Caposala del Reparto di Degenza:
Mariella Borgogno
Il personale del reparto è costituito da:
personale medico che comprende anche specializzandi, medici borsisti, medici frequentatori;
personale infermieristico,
operatori tecnici,
psicologa.
Poiché all’interno del reparto è prevista un’attività scolastica, sono presenti anche:
insegnanti di scuola materna, che svolgono servizio dal Martedì al Giovedì dalle ore 8.00 alle ore 13.00
insegnanti di scuola elementare, che svolgono servizio dal Lunedì al Venerdì dalle ore 8.30 alle ore 14.00
insegnanti di scuola media inferiore e superiore, che prestano servizio dal Lunedì al Venerdì.
L’obiettivo della scuola in ospedale è il reinserimento del bambino o del ragazzo nella propria scuola di origine, a tale scopo tutti i
docenti instaurano e mantengono costanti rapporti con gli insegnanti della scuola di appartenenza del piccolo degente, al fine di
garantire, per quanto possibile, lo svolgimento del programma scolastico e quindi un ritorno a scuola il più possibile al pari con i
propri compagni.
Le lezioni si possono svolgere sia presso l’aula della scuola in reparto, sia nella camera di degenza dell’alunno, valutando
ovviamente le richieste del bambino/ragazzo ma anche e soprattutto le sue condizioni fisiche.
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Nell'ambito della Divisione e in collaborazione con il resto del personale, troviamo anche la figura dei volontari dell'UGI (Unione
Genitori Italiani) i quali svolgono la propria attività d’assistenza e aiuto, fornendo sussidio tecnico-logistico (ad es. offre alloggio alle
famiglie dei bambini che provengono fuori regione) e burocratico ai bambini ed ai loro genitori. Sono persone che seguono un corso
prima di accedere all’interno dell’ospedale, si occupano esclusivamente di bambini e famiglie di bambini affetti da patologia
oncologica pertanto sono presenti non solo nella divisione oncologica ma anche in quella ematologica e spesso l’associazione
fornisce anche aiuti economici alle famiglie più indigenti.
L’UBICAZIONE E LA STRUTTURA DEL REPARTO:
E’ possibile accedere al reparto di Oncologia Degenza, sito al quinto piano dell’Ospedale Infantile Regina Margherita, attraverso
l’ascensore del piano terra dopo l’entrata centrale.
Entrando in reparto si devono indossare i calzari di protezione, oppure calzature da adibire al solo uso del reparto. A tale scopo sulla
sinistra appena entrati in reparto, si trovano due scarpiere, così da potervi riporre le calzature di ricambio.
Le stanze di degenza sono tutte posizionate sul lato sinistro del corridoio.
Vi sono 12 stanze di degenza ed ognuna di esse è dotata di un servizio igienico con doccia.
Ogni camera è composta da un letto per il paziente, uno per il genitore che assiste il bambino durante la notte (letto richiudibile), ed
una poltrona per l’assistenza diurna. L’armadio guardaroba si trova all’interno della camera dove troviamo anche un televisore, un
videolettore, e su richiesta anche la consolle play station.
Ogni camera è inoltre dotata di aspiratore a muro, dispositivo per l’ossigeno, prese multiple a muro al fine di permettere il
funzionamento contemporaneo di una o più pompe infusionali ed eventuali monitor necessari per la rilevazione dei parametri vitali.
Sempre sul lato sinistro troviamo ancora:
La sala medici
L’ufficio della caposala
Una stanza magazzino
Sul lato destro del corridoio troviamo:
La cucina
Il locale deposito ed il lavatoio dotato anche di lavatrice utilizzabile dai genitori dei degenti previo
accordo col personale
La medicheria e l’ufficio della segretaria
La sala riunioni
La stanza del medico in turno notte
Lo spogliatoio del personale
In fondo al reparto è ubicata la sala giochi dove vi sono a disposizione sia dei pazienti che dei genitori: televisore, videoregistratore,
frigorifero, distributore del caffè, tostapane, forno a microonde, giocattoli, libri, videocassette, videogiochi, computer; con annessa
l’aula scolastica dotata di computer collegato ad internet per il cui utilizzo bisogna rivolgersi alle insegnanti.
LE INFORMAZIONI:
Il personale sanitario, così come le maestre e i volontari dell’UGI sono sempre a disposizione dei degenti e dei genitori per dare ogni
tipo d’informazione ed al fine di agevolarne l’orientamento è stato realizzato un libretto informativo che viene rilasciato al genitore al
primo ingresso in reparto, all’interno vengono illustrati la struttura del reparto e come raggiungerlo, a quali esami saranno sottoposti i
pazienti durante la prima degenza, gli orari delle visite mediche - dei pasti - delle attività scolastiche, come muoversi all’interno del
reparto, quali sono le regole di comportamento da rispettare durante la degenza.
Per chi desiderasse ulteriori informazioni e dettagli sulle attività svolte dalla Divisione è a disposizione anche un sito internet a cui far
riferimento.
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LE PRINCIPALI PATOLOGIE oncologiche pediatriche
EPATOBLASTOMA
Epidemiologia:
L’epatoblastoma è la neoplasia primitiva del fegato più comune nell’infanzia. L’età media alla diagnosi è di 1 anno, e la maggior
parte dei casi insorge in bambini di età inferiore a 3 anni. Tale precocità d’insorgenza è da ricercare nella natura embrionale
dell’epatoblastoma che spiega anche la sua frequente associazione con numerose alterazioni congenite. C’è una maggiore
incidenza nel sesso maschile con un rapporto Maschi e femmine di 1,7 a 1.
Aspetti clinici:
L’epatoblastoma, nella maggior parte dei casi, si presenta con una massa addominale asintomatica in bambini al di sotto dei 2 anni
di età. Altri sintomi quali: anoressia, perdita di peso, pallore cutaneo, dolore addominale, si presentano in una fase più avanzata
della malattia e sono comunque meno frequenti che nell’epatocarcinoma.
Indagini Diagnostiche:
All’esame obiettivo si evidenzia l’epatomegalia. Infatti, circa il 10% dei casi di epatoblastoma, viene scoperto con un controllo
pediatrico di routine. Il più importante test di laboratorio per la diagnosi ed il monitoraggio dell’epatoblastoma è il dosaggio dell’alphafetoproteina (alphaFP). Per quanto riguarda gli esami strumentali, l’ecografia permette di individuare la sede della massa tumorale e
di differenziarne la natura, solida o liquida. La RMN definisce l’estensione della massa, e dei rapporti con le strutture adiacenti. La
radiografia del torace e, con maggiore accuratezza, la TC, vengono utilizzate per documentare la presenza o l’assenza di metastasi
polmonari.
Terapia:
L’epatoblastoma è un tumore chemiosensibile e la chemioterapia preoperatoria consente l’escissione dei tumori, inizialmente non
resecabili, nel 70% dei casi. Anche le eventuali metastasi polmonari possono rispondere alla chemioterapia. I farmaci più utilizzati
sono i sali di Platino (Cisplatino e Carboplatino) in combinazione con Vincristina, 5-fluorouracile o Adriamicina. La chirurgia rimane
un presidio terapeutico irrinunciabile; viene praticata sempre dopo almeno due cicli di chemioterapia neoadiuvante.
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TUMORI CEREBRALI
I tumori cerebrali costituiscono una parte importante dell'oncologia pediatrica, rappresentando il 20% di tutti i tumori infantili.
Nell'insieme comprendono tumori diversi a seconda del tessuto d'origine, della sede d'insorgenza all'interno del sistema nervoso
centrale, della storia naturale della malattia in termini di epidemiologia e di velocità di crescita del tessuto neoplastico e capacità di
disseminazione.
Epidemiologia:
I tumori cerebrali possono insorgere dall'età neonatale all'adolescenza, e l'età d’insorgenza è un fattore importante per la
presentazione clinica della malattia e soprattutto per gli effetti nocivi a distanza del trattamento globale. L'incidenza annuale dei
tumori cerebrali in soggetti al di sotto dei 15 anni di età è di 2-2,5 per 100.000. Un certo numero di casi è portatore di anomalie
congenite: la più frequente è la neurofibromatosi di Recklinghausen, nella quale coesistono frequentemente gliomi di basso grado
delle vie ottiche. La ripartizione fra i sessi presenta una lieve preponderanza maschile, più evidente per il medulloblastoma ed i
pinealomi.
Aspetti clinici e di istopatologia:
I tumori cerebrali dell'infanzia si possono sviluppare in tutto il SNC, ma il 55% di essi si riscontra in fossa cranica posteriore. Si
distinguono due grossi gruppi:
i tumori gliali o astrocitari suddivisi in basso grado (I e II) ed alto grado (III e IV). A questo gruppo appartengono anche gli
ependimomi;
i tumori primitivi neuroectodermici (PNET) che includono un gran numero di tumori maligni costituiti da cellule neuroepiteliali poco differenziate. In questo gruppo si riconoscono: i medulloblastomi, gli ependimoblastomi, i medulloepiteliomi,
i pinealoblastomi.
Terapia:
La neurochirurgia, la radioterapia e la chemioterapia sono i presidi terapeutici utili in un approccio multidisciplinare a questa
patologia, ma ancora il ruolo di ognuno di essi deve essere ottimizzato ai fini sia dell'efficacia del trattamento sia della qualità della
vita.
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LEUCEMIE
La leucemia è una patologia sistemica legata ad una proliferazione blastica delle cellule midollari.
Epidemiologia:
La leucemia è la più comune forma di tumore pediatrico, rappresenta circa 1/3 di tutte le neoplasie pediatriche. La frequenza delle
leucemie aumenta dopo la nascita, con un picco a 4-5 anni; per poi diminuire rapidamente. La leucemia linfatica acuta (LLA)
rappresenta gran parte del picco precoce mentre la leucemia mieloide acuta (LMA) rimane costante nel tempo. Come altre patologie
neoplastiche infantili, la leucemia è più frequente nei maschi. Circa l’85% delle leucemie acute infantili sono linfoblastiche. Il 10%
delle LMA appaiono sotto 1 anno di età.
Eziopatogenesi:
La maggior incidenza di leucemia acuta in pazienti con sindrome di Down o di Klinefelter fa supporre una relazione fra anomalie
genetiche e leucemia. L’aumentata incidenza in bambini con sindrome di Fanconi o di Bloom, oppure con immunodeficienze
primarie è di ulteriore supporto a questa ipotesi. L’idea che vi sia un’influenza di fattori ereditari è basata sull’alta concordanza di
leucemia in gemelli identici. Il rischio di sviluppare leucemia, in un gemello di un paziente affetto, è del 20%. Alcuni studi su
cromosomi di pazienti affetti fanno pensare che la componente “ereditarietà” giochi un ruolo importante. L’esposizione ad agenti
esterni quali solventi, radiazioni, sostanze chimiche, pesticidi, farmaci, campi elettromagnetici è stata correlata allo sviluppo di
leucemie infantili. Sopravvissuti, di giovane età, alla bomba atomica in Giappone e bambini esposti a radiazioni in utero, hanno
mostrato un’aumentata incidenza di leucemia. La maggior parte delle malattie ematopoietiche maligne presenta difetti citogenetici
acquisiti ed è comunemente accettato che queste patologie siano il risultato di anomalie cromosomiche.
LEUCEMIA CRONICA
Le leucemie croniche sono malattie mieloproliferative con una storia clinica che si protrae per alcuni anni, tuttavia alcuni sottotipi
possono avere un’evoluzione rapida. Sono rare nel bambino, meno del 5% di tutte le leucemie.
Leucemia Mieloide Cronica
Le LMC si presentano sotto due forme principali, una che è caratterizzata dalla presenza del cromosoma Philadelphia (Ph1) e l’altra,
detta giovanile, che non esprime questo marker citogenetico. La prima forma è più frequente nel bambino al di sopra di 4 anni e
nell’adolescente. E’ caratterizzata da una proliferazione clonale di tutte le linee mieloidi, con iperplasia mieloide del midollo osseo,
ematopoiesi extramidollare, epatosplenomegalia, assenza di adenopatie, febbre o lesioni emorragiche. Spesso sono presenti
anemia o piastrinosi.
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LEUCEMIA ACUTA
Le leucemie acute possono essere suddivise in linfoblastiche e mieloidi a seconda che colpiscano la linea linfatica o mieloide. La
presenza di una quota uguale o superiore al 30% di blasti nel midollo è diagnostica. Nei casi di LLA la quota è superiore al 80%,
mentre per la LMA è spesso inferiore al 70%. Per quanto attiene alla terapia i linfomi linfoblastici e di Burkitt, se infiltrano
massivamente il midollo (blasti superiori al 25%) sono considerati nel gruppo delle leucemie. La diagnosi e la classificazione delle
leucemie si basa sull’identificazione dei blasti e sulla loro attribuzione alle linee cellulari.
Leucemia Linfatica Acuta
Le LLA sono caratterizzate da una proliferazione, nel midollo osseo, di un clone cellulare bloccato ad uno stadio precoce della
differenziazione. La proliferazione dei blasti inibisce la crescita delle linee cellulari normali. Il quadro clinico che consegue a ciò
può essere duplice. Una prima evenienza è data da un esordio brutale (in 8-10 giorni) il bambino diventa pallido, astenico,
febbrile e presenta emorragie muco-cutanee. La seconda evenienza è caratterizzata da esordio più lento (1-3 mesi) ed è segnato
da episodi infettivi, dolori articolari e muscolari, apparizione progressiva di pallore e adenopatie con epatosplenomegalie. Un solo
prelievo di midollo osseo è sufficiente per porre diagnosi, grazie agli studi citologici ed immunofenotipici. Malgrado l’eterogeneità
dei protocolli, dovuta alla variabilità dei fattori prognostici utilizzati, i principi generali sono i seguenti:
Eradicare le cellule leucemiche dal midollo osseo, preservando i progenitori normali.
Proporre un trattamento intensivo precoce ad ogni paziente con una fase d’induzione, seguita da una di
consolidamento. L’uso di farmaci attivi, con meccanismi d’azione diversi, somministrati alla dose massimale, è un
approccio terapeutico intensivo che permette di ridurre rapidamente la massa tumorale e di evitare fenomeni di
resistenza indotta. La fase di induzione ha lo scopo di ottenere una remissione completa in 3 settimane, ovvero una
normalizzazione del mielogramma e la scomparsa dei siti tumorali. Alcuni gruppi utilizzano il trapianto di cellule
staminali da donatore come consolidamento anche al momento della prima remissione completa, ma solo nei pazienti
ad alto rischio.
Realizzare una terapia di mantenimento, che permetta di limitare il rischio di recidiva.
Attuare una profilassi cerebro-meningea durante la fase di consolidamento.
Adattare i protocolli ai fattori prognostici come, ad esempio, i pazienti con LLA di età inferiore ad 1 anno o superiore a 9
con un numero di globuli bianchi >50.000. Le recidive si presentano nel 20-30% dei pazienti e di questi il 60% nel
primo anno dopo la diagnosi, quindi durante la terapia, mentre il 20% avviene nel primo anno dopo la fine della terapia.
Attualmente la sopravvivenza a 5 anni è dell’ordine dell’84%.
Leucemia Mieloide Acuta
In senso stretto il termine “leucemia mieloide acuta” indica una proliferazione neoplastica delle linee mieloidi o granulocitica. La
diagnosi di LMA richiede la presenza del 30% o più di blasti mieloidi nel midollo osseo. In alcuni tipi di LMA, la cellula leucemica
dominante può non essere un mieloblasto. L’esordio può essere progressivo o rapido, segnato da una sindrome emorragica o
un’infezione severa. Il bambino è pallido, astenico, affetto da una sindrome emorragica più o meno evidente, che va dalla
presenza di qualche petecchia a sanguinamenti massivi che fanno sospettare una CID. La febbre può, però, essere il solo segno
di un’infezione, in questi bambini agranulocitari. All’esame obiettivo si ritrova, una volta su due, un epatosplenomegalia, rare sono
le adenopatie. L’infiltrazione cutanea è frequente nella forma monoblastica e possibile in quella mieloblastica. Fra i segni biologici
i più importanti da ricordare sono: l’anemia, la leucocitosi, la piastrinopenia, una CID è spesso presente nel caso di leucemie
granulocitiche. La terapia ha per scopo quello di eradicare il clone leucemico al fine di permettere la ripresa di un ematopoiesi
normale ed il ripopolamento del midollo osseo da parte di cellule normali. Il seguito del trattamento permette di mantenere questo
stato.
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I LINFOMI
I linfomi sono neoplasie maligne caratterizzate dalla proliferazione di cellule costituenti il tessuto linfatico, quali i linfociti, gli istiociti, i
loro precursori e derivati. Questo ampio gruppo comprende il linfoma di Hodgkin, che costituisce un’entità a se stante, ed altri, che
rientrano nella categoria dei linfomi non Hodgkin.
LINFOMA DI HODGKIN
Epidemiologia.
Negli Stati Uniti vengono diagnosticati ogni anno all’incirca 7500 nuovi casi di morbo di Hodgkin. Mentre nei linfomi non Hodgkin
l’incidenza aumenta linearmente con l’età, nel caso dei linfomi di Hodgkin in circa il 50% dei pazienti la malattia si manifesta tra i 20
e i 40 anni, mentre in meno del 10% dei casi insorge clinicamente quando il paziente ha un’età inferiore ai 10anni o superiore ai
60anni; è più frequente nei maschi, soprattutto nei giovani adulti e la predominanza maschile è ancora più sorprendente nei bambini
(più dell’80% dei casi infantili riguardano bambini maschi).
Eziologia:
Ancora del tutto sconosciuti sono i fattori causali di questa malattia, nonostante siano stati segnalati gruppi di pazienti con un
aumentato rischio di ammalarsi: questo rischio è stato correlato a fattori tra i quali l’ipotesi di un’infezione virale è quella più
accreditata. Un virus che possiede un oncogene a bassa potenzialità infettando un individuo predisposto geneticamente e
interagendo con fattori ambientali, sarebbe in grado di causare la malattia, soprattutto con l’aumentare dell’età in cui avviene
l’infezione. Il quadro biologico è quello di un disturbo cronico del sistema immunitario.
Aspetti clinici:
Il LH si presenta in genere come una massa o un gruppo di linfonodi duri, liberamente mobili e spesso non dolenti, appartenenti alla
rete linfatica superficiale o profonda. Le stazioni superficiali più frequentemente interessate sono le stazioni cervicali (60-80%) e
quelle ascellari (10-20%); più raro all’esordio è il coinvolgimento dei linfonodi inguinali (5-10%). Le stazioni profonde, all’esordio,
sono colpite nel 30-50% dei casi e possono essere isolate o associate al coinvolgimento di stazioni superficiali: le stazioni ilomediastiniche (frequenti e riscontrate spesso con RX di routine del torace), lombo-aortiche, iliache, del tripode celiaco, dell’ilo
epatico e splenico sono le più frequentemente interessate. Il 25-30% dei pazienti ha sintomi aspecifici, di cui il più comune è
senz’altro la febbricola associata a sudorazione notturna ricorrente; in un piccolo numero di pazienti si può osservare febbre elevata
intermittente accompagnata da abbondantissima sudorazione notturna. Questi due sintomi sono più frequenti in pazienti anziani e
con malattia di stadio avanzato. Un altro sintomo molto importante è la perdita di peso superiore al 10%, avvenuta in 6 mesi o meno
senza causa apparente. Affaticabilità, malessere generale, debolezza sono altri sintomi piuttosto frequenti ed il prurito è presente in
circa il 10% dei casi: spesso è generalizzato e può essere associato ad arrossamento cutaneo.
Stadiazione
e
Diagnosi:
La stadiazione del linfomi di Hodgkin è quella di Ann Arbor, e tutti gli stadi sono ulteriormente suddivisi in base all’assenza (A) o alla
presenza (B) dei seguenti sintomi sistemici: febbre significativa, sudorazione notturna, perdita di peso superiore al 10% in 6 mesi o
meno senza causa apparente. L’iter diagnostico vede in primo luogo l’anamnesi con particolare attenzione ai segni sistemici,
l’esame obiettivo per evidenziare l’interessamento linfonodali e la splenomegalia, la documentazione anatomo-patologica del reperto
bioptico e la valutazione di parametri di laboratorio (emocromo, VES, funzionalità epatica e renale); questi esami però non danno
informazioni riguardo l’estensione del morbo di Hodgkin o riguardo l’interessamento di specifici organi, e gli esami di laboratorio
presentano una scarsa specificità. L’RX del torace e la TC dell’addome e della pelvi ha un ruolo importante nella stadiazione del LH .
Terapia:
Attualmente il linfoma di Hodgkin deve essere considerato una malattia potenzialmente guaribile. La radioterapia può guarire più
dell’80% dei pazienti con linfoma localizzato e la chemioterapia più del 50% di pazienti con malattia disseminata. A prescindere dal
tipo di trattamento somministrato, la maggior parte delle ricadute (90%) si manifesta entro il terzo anno dal termine della terapia e
solo circa il 10% recidiva dopo tale periodo. Ciò significa che se un paziente rimane in remissione completa per almeno quattro anni
può essere considerato praticamente guarito.
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LINFOMI NON HODGKIN
Epidemiologia:
Sono le neoplasie maligne più comuni nei pazienti tra i 20 e i 40 anni mentre tra i tumori pediatrici sono i più frequenti nell’età
compresa tra i 10 e i 19 anni. I LNH dell’infanzia e dell’adolescenza presentano una entità clinico-patologica diversa da quelli
osservati nell’adulto per la presentazione clinica ed il quadro istologico. La presentazione clinica è quella di una malattia a
localizzazione prevalentemente extralinfonodale e a rapido accrescimento e sono nel 90% dei casi classificati tra i linfomi ad alto
grado di malignità. I LNH sono circa il 10-13% di tutte le neoplasie dell’età pediatrica. Sono di osservazione sporadica al di sotto dei
2 anni. I maschi sono più colpiti, con un rapporto tra maschi e femmine da 2,5 a 3,1.
Eziologia:
L’eziopatogenesi dei linfomi non Hodgkin è attualmente ancora sconosciuta. Nell’uomo il linfoma di Burkitt, alcuni linfomi a cellule B
ad alto grado ed il linfoma a cellule T dell’adulto hanno dimostrato avere una possibile eziologia virale. Il virus di Epstein Barr, in
concomitanza con fattori climatico-ambientali e con l’endemia malarica, ha una stretta correlazione con la patogenesi del linfoma di
Burkitt e del linfoma ad alto grado in pazienti con immunodeficienza ed il virus della leucemia umana a cellule T (HTLV-1) è l’agente
eziologico del linfoma a cellule T dell’adulto. Un più alto rischio di sviluppare un linfoma esiste in patologie immunitarie congenite con
immunodeficienza (Sindrome atassia teleangectasia, Sindrome di Klinefelter, Sindrome di Chediak-Higashi, Sindrome di WiscottAldrich), patologie acquisite con immunodeficienza (infezione da HIV-1, immunosoppressione iatrogena, ipogammaglobulinemia
acquisita), patologie autoimmuni (Sindrome di Sjogren, artrite reumatoide, LES, sprue non tropicale), esposizione chimica o
farmacologica a fenitoina, radiazioni o precedente polichemioterapia o radioterapia.
Classificazione
e
Biologia:
Dopo la classificazione anatomo-patologica proposta da Rappaport nel 1966 basata sull’aspetto citologico e la modalità di crescita
delle cellule e quella immunologica di Lukes-Collins del 1973-74 basata sulla cellula di origine del linfoma, è stata proposta nel 1980
una classificazione operativa per uso clinico (Working Formulation) che può essere considerata come una sintesi delle due
precedenti. Questa classificazione suddivide i linfomi in 3 diversi sottogruppi: a basso, medio ed alto grado di malignità.
Aspetti clinici:
Nelle fasi iniziali la sintomatologia generale può essere assente poiché la febbre, l’astenia, il pallore, la perdita di peso compaiono
più tardivamente nella malattia (solo il 20% dei casi presentano sintomatologia sistemica all’esordio) e sono in ogni caso meno
frequenti rispetto al linfoma di Hodgkin. I linfomi non Hodgkin si manifestano fin dall’esordio con una più diffusa compromissione
linfonodale ed extralinfonodale rispetto al linfoma di Hodgkin.
Stadiazione
e
Diagnosi:
La determinazione dell’estensione della malattia al momento della diagnosi è di fondamentale importanza per intraprendere una
corretta strategia terapeutica. La stadiazione di Ann Arbor creata per il morbo di Hodgkin è stata applicata anche ai linfomi non
Hodgkin, e si basa sul numero di siti di localizzazione del tumore e sulla presenza o assenza di sintomi sistemici.
Classificazione di Ann Arbor per il morbo di Hodgkin
Stadio I: Interessamento di una singola stazione linfonodali (I) o di un singolo sito extralinfatico (IE).
Stadio II: Interessamento di due o più stazioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma (II) o con interessamento
limitato di organi o tessuti extralinfatici contigui (IIE).
Stadio III: Interessamento di stazioni linfonodali da ambedue i versanti del diaframma (III), che possono includere la
milza (IIIS) e/o anche alcuni organi extralinfatici limitati e contigui (IIIE, IIIES).
Stadio IV: Focolai di interessamento multipli o disseminati di uno o più organi o tessuti extralinfatici con o senza
interessamento linfatico.
Indagini necessarie alla diagnosi sono: esami radiologici, tomografia assiale (TC), l’aspirato midollare, la scintigrafia epatica ed
ossea, la risonanza magnetica.
Terapia:
Gli schemi terapeutici da seguire una volta effettuata la diagnosi e valutata l’estensione del linfoma si basano principalmente sulla
chemioterapia e sulla radioterapia in combinazioni differenti in considerazione del tipo di linfoma, dell’età del paziente e della
presenza contemporanea di forme morbose (cardiache, renali, polmonari, ecc…) che potrebbero influenzare la tossicità d’organo.
Nei casi in cui non si riesca a raggiungere la remissione completa o in cui ci siano recidive la prognosi è molto infausta, pur
utilizzando chemioterapie di salvataggio e trapianto di midollo osseo.
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NEUROBLASTOMA
Il neuroblastoma (NBL) è un tumore maligno embrionario specifico del bambino, che prende origine dal tessuto simpatico, da cui
fisiologicamente prendono origine la midollare del surrene ed i gangli del sistema nervoso simpatico.
Epidemiologia:
Sebbene il NBL sia molto raro, esso tuttavia rappresenta il tumore solido più frequente nei soggetti d’età inferiore ai cinque anni. Il
NBL, infatti, costituisce il 7-10% di tutti i tumori solidi osservati in età pediatrica. Il 93% dei NBL è diagnosticato prima dei 6 anni, ed
un terzo prima dell’anno di età. I casi diventano molto più rari nelle età successive e la diagnosi è eccezionale nell’adolescente e
nell’adulto. Caratteristica è la scoperta in epoca prenatale, tramite ecografia. Il NBL è più frequente nel bambino con un rapporto
maschi/femmine di 1 a 3. Nessun agente eziologico, ambientale, fisico, chimico o virale è stato messo in evidenza nella genesi del
NBL. E’ stata però evocato che un’esposizione intrauterina all’alcool, all’idantoina ed al fenobarbital possa incrementare il rischio di
NBL. Non è associato in maniera significativa a malformazioni congenite, benché descritto in soggetti con la neurofibromatosi o la
sindrome di Beckwitt-Widemann.
Aspetti Clinici:
Le manifestazioni cliniche sono correlate alla sede d’insorgenza ed alla presenza di metastasi. Di regola questo tumore risiede in
sede addominale con una frequenza del 60-70% ed è in genere a partenza surrenalica con sintomi spesso aspecifici quali
anoressia, vomito, vaghi dolori addominali. Il neuroblastoma intratoracico (20%), originando nel mediastino posteriore, può causare
tosse, insufficienza respiratoria, disfagia. Quello in sede paraspinale (definito tumore di Dumbell), penetrando nello speco vertebrale
e comprimendo il midollo spinale, può dare difficoltà alla deambulazione fino alla paraplegia, stipsi e disturbi vescicali. Più del 60%
dei neuroblastoma presenta alla diagnosi una disseminazione metastatica. Le metastasi si localizzano più frequentemente alle ossa,
al midollo osseo, al fegato, oltre che nei linfonodi. Anch’esse danno una sintomatologia legata alla massa e dipendente dalla
localizzazione. Una localizzazione caratteristica è quella retro-orbitaria con le caratteristiche ecchimosi, che fanno parte della
sindrome di Hutchinson. Un sintomo frequente è una diarrea liquida con atonia intestinale ed abbondante perdita di potassio, dovuta
all’azione del VIP (peptide intestinale vasoattivo), prodotto dal tumore quando tende alla maturazione.
Indagini diagnostiche e stadiazione:
La diagnosi di NBL si effettua tramite:
TAC o RMN, per documentare la sede e le dimensioni del tumore;
dosaggio delle catecolamine urinarie (Dopa, Dopamina, Adrenalina, Noradrenalina) e dei loro metaboliti l’Acido
Omovanillico e Manilvandelico (HVA; VMA);
biopsia ossea ed aspirato midollare, per valutare l’eventuale infiltrazione neoplastica midollare;
RX dello scheletro, per mettere in evidenza eventuali metastasi ossee;
scintigrafia con MIBG (metil-iodio-benzil-guanidina), sostanza radioattiva elettivamente captata dalle cellule del NBL.
Terapia:
La terapia del NBL comporta un approccio multidisciplinare che comprende:
chirurgia (CH),
radioterapia (RT),
chemioterapia (CHT).
La CHT ha un ruolo fondamentale nella terapia del NBL, che è certamente un tumore chemiosensibile. La CH ha lo scopo di essere
la più radicale possibile, asportando la massa primitiva e tutte le linfoadenopatie locoregionali patologiche, spesso risulta assai
difficile per il grado di infiltrazione del tumore nei confronti delle strutture vicine. Benché il NBL sia un tumore radiosensible, la RT
non ha un ruolo predominante nella strategia terapeutica. Particolarmente interessante è considerata oggi la radioterapia con Metil
Iodio Benzil Guanidina marcata con iodio 131 che iniettata per via endovenosa viene captata dalle cellule del neuroblastoma ove la
metil guanidina è un metabolita essenziale alla produzione delle catecolamine, quindi è un trattamento selettivo contro le cellule
neoplastiche. Tale sostanza è anche utilizzata a scopo diagnostico (scintigrafia con MIBG).
I risultati ottenuti sono eccellenti (100% di guarigione) nelle forme localizzate operabili immediatamente, meno buoni ma sempre
soddisfacenti nelle forme non operabili (70%). Le forme metastatiche restano ancora una patologia estremamente grave con una
sopravvivenza a 3 anni che non supera il 30%.
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TUMORE DI WILMS o NEFROBLASTOMA
IL TUMORE DI WILMS (TW) o NEFROBLASTOMA, è un tumore renale caratteristico dell’età pediatrica, solo occasionalmente si
sviluppa in età adulta. Il TW rappresenta uno dei grandi successi della moderna oncologia per i progressi raggiunti sia nella
comprensione della sua eziologia sia nella terapia. Con gli attuali protocolli terapeutici si è in grado di curare il 90% dei bambini
affetti da TW.
Epidemiologia:
Il TW rappresenta il 5-10% dei tumori infantili. Non c’è differenza d’incidenza nei due sessi. L’età media alla diagnosi è 3.5 anni e
nell’80% dei casi la diagnosi viene fatta prima dei 5 anni. Il TW si può presentare sia in forma sporadica che in forma familiare, e lo si
può associare ad alcune anomalie congenite. Studi cromosomici, su pazienti, hanno portato alla scoperta di alterazioni
cromosomiche e tali alterazioni sono presenti anche in pazienti con TW non associato ad altre anomalie. La bilateralità del tumore è
presente nel 5% dei casi, maschi e femmine sono colpiti con la stessa frequenza.
Aspetti Clinici:
La manifestazione clinica più frequente è la presenza di una massa addominale asintomatica. Altri segni e sintomi associati
includono malessere, dolori addominali e macro o microematuria nel 20-30% dei casi. L’ipertensione, presente nel 30-63% dei casi,
può essere dovuta o ad un’aumentata secrezione di renina, secondaria alla compressione dell’arteria renale da parte del tumore, o
alla produzione di una sostanza renina-simile da parte delle cellule tumorali.
Indagini diagnostiche:
Le indagini ecografia, TC o RMN oltre a confermare la diagnosi sono necessarie per la stadiazione, sia in termini di diffusione locale
che sistemica della malattia che condiziona la modalità terapeutica.
Terapia:
L’attuale ottima sopravvivenza, approssimativamente 90%, raggiunta nel TW è dovuta ad un approccio multidisciplinare e ad una
terapia multimodale che utilizza contemporaneamente la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia per ottenere la massima
percentuale di guarigione con la minima tossicità.
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SARCOMI DEI TESSUTI MOLLI
Costituiscono un gruppo di neoplasie maligne derivanti dalle cellule mesenchimali primordiali che danno normalmente origine al tessuto
muscolare striato, cartilagineo, osseo e fibroso.
Il RABDOMIOSARCOMA (RMS) è il più frequente sarcoma dei tessuti molli, rappresentando oltre il 50% dell’intero gruppo: più rari sono
gli altri istotipi quali fibrosarcoma, liposarcoma, leiomiosarcoma, sarcoma sinoviale, angiosarcoma, emangiopericitoma, sarcoma
neurogenico. Il rabdomiosarcoma è la più comune forma di sarcoma dei tessuti molli in età pediatrica, e rappresentano il 5% di tutti i
tumori solidi infantili, 3° per incidenza dopo il neuroblastoma ed il tumore di Wilms. Circa 2/3 dei casi sono diagnosticati in bambini d’età
inferiore a 6 anni, il rapporto maschi/femmine rivela una incidenza lievemente superiore nel sesso maschile.
Sebbene il RMS possa insorgere virtualmente ovunque nel corpo, ci sono alcune presentazione tipiche per età alla diagnosi, sede e
istologia:
I tumori della testa e del collo sono più comuni nei bambini al di sotto degli 8 anni e, quelli dell’orbita, sono comunemente della
varietà istologica embrionale.
I tumori delle estremità, invece, si manifestano prevalentemente negli adolescenti.
L’unica forma di RMS della vescica e della vagina si riscontra prevalentemente nei neonati.
Aspetticlinici:
Il RMS può insorgere:
nel collo (35-40%),
nel tratto genito-urinario (20-25%),
nelle estremità (20%),
nel tronco (7-10%),
nella regione intratoracica (3%),
nella regione perineo-anale (2%),
in altri siti (1%).
La massa è il sintomo più frequente, può essere dolente oppure scoperta dal paziente o dai suoi familiari accidentalmente Il prelievo
bioptico dalla sede di lesione è l’unico mezzo per formulare la diagnosi e stabilire il sottotipo istologico, è necessario un spirato midollare
e/o biopsia ossea per valutare l’eventuale coinvolgimento midollare, l’esame citologico del liquor: per tutti i pazienti con tumore primitivo
a sede parameningea, l’ecografia, la TC per lo studio delle lesioni ossee, e linfonodali addominale e delle metastasi polmonari, la RMN
soprattutto per gli arti, la pelvi e le masse paraspinali.
Terapia:
La strategia terapeutica del RMS è attualmente multidisciplinare. Vengono infatti utilizzate tre modalità terapeutiche: chirurgia,
radioterapia e chemioterapia. I fattori prognostici più significativi sono l’estensione della malattia all’esordio, la sede primitiva, l’istologia
e la risposta al trattamento.
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OSTEOSARCOMA
L’osteosarcoma é una dei più comuni tumori delle ossa che si manifestano durante l’infanzia. Il picco d’incidenza é tra i 10 e i 20
anni, l’incidenza annua è compresa tra 1.6 e 2.8 nuovi casi per milione di bambini sotto i 15 anni con rapporto tra maschi e femmine
1,6 a 1.
Aspetti Clinici:
L’osteosarcoma si manifesta più comunemente con dolore osseo, talvolta aumento di volume della parte colpita e alcuni deficit
motori, che sono più evidenti in presenza di frattura patologica. Raramente a differenza del sarcoma di Ewing, ci sono sintomi
sistemici. Nel 60% dei casi il tumore colpisce le aree ossee dell’articolazione del ginocchio nelle metafisi del femore o tibia, ma può
manifestarsi in qualsiasi osso. I tumori extraossei sono estremamente rari. I principali siti di diffusione metastatica sono
generalmente i polmoni e, meno spesso, le altre ossa. Non è sicuro se tali lesioni ossee rappresentino metastasi o siano
espressione di un processo multifocale primario.
Indagini Diagnostiche:
La radiografia dell’osso colpito spesso mostra un caratteristico aspetto radiologico dell’osteosarcoma a " forma di raggi divergenti da
un punto centrale" si ha quando il tumore penetra la corticale infiltra e solleva il periostio. La TC dell’osso colpito può dare maggiori
informazioni sull’estensione del tumore, sia nella cavità midollare che nei tessuti molli, ed evidenzia le lesioni nella regione
immediatamente adiacente l’osso. Gli esami radiologici devono essere estesi a tutto il corpo per individuare metastasi, ma in
particolare al polmone ove la radiografia toracica e la tomografia computerizzata evidenziano le frequenti piccolissime lesioni. Le
metastasi ossee sono rare e si rilevano con la scintigrafia. La fosfatasi alcalina serica elevata è un marker tumorale. La diagnosi
definitiva si effettua con l’istologia eseguita su pezzo bioptico.
Terapia:
Una volta fatta la diagnosi di osteosarcoma si deve formulare una strategia di trattamento personalizzata. Il trattamento corretto
dipende dall’età del paziente, dalla sede del tumore e dalla presenza o assenza di metastasi. Prima dell’avvento della
chemioterapia, solo il 20% dei pazienti con osteosarcoma poteva essere curato, di solito con l’amputazione La chemioterapia ha
cambiato questo profilo clinico, nei pazienti trattati con chemioterapia, le metastasi polmonari si presentano molto più tardi, a volte 4
o più anni dall’inizio dalla diagnosi del tumore primitivo. La presenza di metastasi polmonari alla diagnosi, o il loro susseguente
sviluppo, prima rendevano i pazienti incurabili, ora, grazie ad interventi chirurgici molto più aggressivi e alla chemioterapia, la
possibilità di cura é maggiore.
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SARCOMA DI EWING
Il sarcoma di Ewing insorge più frequentemente nella seconda decade di vita e nel sesso maschile. E’ il tumore maligno dell’osso più
comune nell’infanzia e nel giovane adulto.
Aspetti Clinici:
I sintomi all’esordio possono ricordare un’osteomielite, con febbre, dolore locale, iperemia della cute soprastante la parte interessata,
aumento della VES. Un trauma è spesso presente nell’anamnesi prossima. Le ossa più frequentemente colpite sono quelle piatte
e/o piccole. La radiografia, benché non specifica, mostra una lesione, il più spesso diafisaria, osteolitica con reazione periostea
(periostio a bulbo di cipolla) e un grosso tumore delle parti molli. Per la certezza diagnostica è necessario effettuare una biopsia La
stadiazione della malattia prevede un TC del torace, lo studio radiologico delle stazioni linfonodali locoregionali ed una loro
eventuale biopsia, una scintigrafia ed una biopsia osteomidollare, per valutare l’infiltrazione midollare.
Indagini Diagnostiche:
La valutazione radiologica dell’osso colpito consente di interpretare la natura della lesione e valutarne l’estensione. La lesione ossea
è generalmente osteolitica con distruzione della normale trama ossea. L’estensione e le caratteristiche del tumore sono valutate con
estremo dettaglio da TAC e RM, esse consentono di definire l’estensione intramidollare della neoplasia, i suoi rapporti con le
strutture vicine e sono determinanti nello stabilire l’entità della risposta al trattamento effettuato e nel fornire informazioni utili per la
programmazione del trattamento locale chirurgico e/o radioterapico. Le altre indagini radiologiche necessarie a completare la
valutazione dell’estensione della neoplasia sono la radiografia del torace e la TAC polmonare per riconoscere localizzazioni
metastatiche al polmone. La scintigrafia ossea globale ha un’elevata sensibilità a riconoscere lesioni ossee secondarie in fase
presintomatica. In casi selezionati l’angiografia può essere utile per la pianificazione dell’intervento chirurgico. La presenza di cellule
maligne nel Midollo osseo deve essere ricercata con l’aspirato midollare e con la biopsia ossea.
Terapia e
Prognosi:
Il trattamento del sarcoma di Ewing prevede l'associazione di chemioterapia, chirurgia e radioterapia. Nel sarcoma di Ewing osseo
localizzato, la chemioterapia viene attualmente utilizzata in funzione neoadiuvante e adiuvante; associata alla chirurgia, attualmente
poco mutilante grazie alle attuali tecniche. Nella malattia già metastatizzata alla diagnosi le possibilità di sopravvivenza a lungo
termine sono inferiori al 30%. Quando la malattia è localizzata, fattori considerati importanti ai fini prognostici sono:
sede della lesione primitiva
elevati valori delle LDH
età alla diagnosi
entità dell’estensione della neoplasia
Con la terapia combinata, la sopravvivenza senza ricaduta a 5 anni è valutabile attorno al 50-70%. In caso di diffusione metastatica,
il controllo dell’evoluzione della neoplasia è temporaneo, ma possibile, nelle metastasi che compaiono tardivamente dopo la
conclusione della terapia, mentre è assai ridotto per le metastasi che compaiono nel corso del trattamento adiuvante.
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LE PRINCIPALI DIFFERENZE tra PAZIENTE bambino e PAZIENTE adulto
BAMBINO
ADULTO
La terapia viene preparata tutta sotto cappa sia il
chemioterapico, com’è giusto preparare, ma anche tutto ciò che
riguarda la terapia così detta di supporto.
Per il calcolo del dosaggio del chemioterapico si tiene conto di
peso, altezza ed età del paziente. Vista l’evoluzione del paziente
ad ogni ricovero si rimisurano tutti i valori.
Viene preparata sotto cappa solo il farmaco chemioterapico, la
terapia di supporto è preparata su “piano libero”.
Il paziente è più soggetto a complicanze piastrinopeniche,
esegue controlli ematologici di sreening piatrinopenico sovente,
e trasfonde con più frequenza durante la degenza.
Il bambino viene molto idratato durante la chemioterapia.
I farmaci sono somministrati sulla base del milligrammo per peso
corporeo anche se non sono chemioterapici.
Viene tenuto sotto controllo il bilancio idrico del paziente per
tutta la sua degenza, ed eventualmente corretto con l’utilizzo di
furosemide qualora il paziente non urini a sufficienza.
La terapia è tutta somministrata attraverso pompe insusionali,
sia che si tratti di chemioterapici sia che si tratti di terapia di
supporto.
I pazienti hanno tutti un catetere venoso centrale prima di
iniziare terapia.
Data l’età del paziente è permessa la presenza giornaliera del
genitore, esiste anche un letto personale per la degenza
notturna.
È implicito il ruolo del genitore come “care giver” del degente e a
cui far riferimento ed insegnare le tecniche.
Anche se ricoverato si lascia al genitore la gestione del bambino
come a domicilio.
Il genitore tende a mantenere il suo ruolo anche se all’interno di
una struttura ospedaliera.
Viene presa in considerazione l’assenza del bambino dalla
scuola e il come occupare il tempo in ospedale, vengono
organizzate attività scolastiche e d’intrattenimento.
Per il calcolo del dosaggio del farmaco chemioterapico si tiene
conto del peso e dell’altezza del paziente, viene a mancare la
relazione dell’età. Considerato che l’adulto non si sviluppa,
l’altezza viene misurata al primo ingresso e poi ricontrollata solo
se dopo un periodo prolungato d’assenza riprende la terapia.
Sono meno frequenti le complicanze da piastrinopenia,
trasfonde più raramente rispetto al bambino ed esegue
screening piastrinopenici ematici meno frequentemente.
L’adulto viene idratato in fase di chemioterapia solo se lo
richiede il tipo di farmaco che viene infuso o si riscontrano
necessità individuali del paziente.
I farmaci vengono somministrati sulla base di milligrammi di
produzione, ma la dose non varia indipendentemente dal peso
del paziente.
Solo se vengono somministrati farmaci nefrotossici o se il
paziente ha di base problemi renali, si controlla la diuresi, ma
difficilmente viene impostato un bilancio.
Non sempre sono utilizzate le pompe infusionali per la
somministrazione della terapia.
Non sempre il paziente è dotato di catetere venoso centrale per
la somministrazione della terapia.
Poiché adulto, non si considera la possibilità della presenza di
un’altro adulto, e qualora sia necessaria, sulla base delle
condizioni del paziente, non è previsto un letto per l’assistenza
notturna.
Bisogna ricercare la presenza del “care giver”, non sempre i
famigliari sono disponibili considerando il soggetto “adulto” e
capace di gestirsi.
Spesso il paziente ricoverato viene privato della sua capacità di
gestirsi autonomamente le attività che compiva già a casa. (ad
esempio si tende a sostituirsi al paziente nella gestione della
stomia,) A volte è lo stesso paziente che ricoverato “dimentica”
di “essere capace di”.
L’adulto ricoverato viene ritenuto capace di gestirsi il tempo del
ricovero. Non esistono intrattenimenti organizzati dalla struttura,
non si tiene conto che è lontano dal suo ambiente lavorativo.
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