Un volume avvincente
L’affascinante Dalmazia
di Dario Alberi
DEL POPOLO
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Dino Saffi a pagina 8
IL PROLOGO
La «scelta», molla scatenante degli esodi
di Dario Saftich
La guerra degli anni Novanta ha scavato solchi profondi tra la gente. La nascita dei nuovi Stati sulle ceneri dell’ex
Jugoslavia, e in particolare le divisioni su
base nazionale e confessionale in Bosnia
ed Erzegovina, con la creazione di confini ufficialmente “inesistenti”, ovvero invisibili, ma ben percepibili dalle popolazioni interessate, ha favorito l’innescarsi
di un esodo strisciante verso le rispettive
“Nazioni madri”. Complice anche l’istituto della doppia cittadinanza, tantissimi
croati di Bosnia hanno lasciato la loro terra, oppure si sono radicati... a metà nelle
aree più vicine al confine, soprattutto in
Dalmazia. Ormai è ben nota la vicenda
degli elenchi elettorali “gonfiati” nelle
località limitrofe all’Erzegovina, che ha
scatenato l’ira di parecchi partiti convinti di essere danneggiati alle elezioni amministrative da quello che vedono come
una sorta di “turisti del voto”. Ma non
è certo la volontà di inquinare le elezioni in Croazia a spingere i croati di Bosnia a prendere la residenza in Dalmazia:
l’obiettivo di fondo è quello di poter godere di qualche beneficio, di cui fruiscono i “residenti veri”, ma forse a volte anche il desiderio di poter disporre di qualche carta di riserva da giocare nel caso
le cose dovessero mettersi di nuovo male
nei rapporti tra i popoli bosniaci. Non per
niente la volontà di Zagabria di cancellare la doppia residenza (per adeguarsi alle
disposizioni europee) ha suscitato un’autentica psicosi tra i croati di Bosnia, mes-
si con le spalle al muro, spesso terrorizzati dall’idea di essere costretti a compiere
una scelta netta. Di fronte alle “minacce”
neanche tanto velate di un esodo ancora
più massiccio verso la Croazia, le modifiche di legge sono state annacquate. In
altre parole pur cancellando formalmente
la doppia residenza, dovrebbero permanere i benefici che essa attualmente comporta. Serviranno chiaramente acrobazie
amministrative e burocratiche per conseguire questo risultato.
Ma quello che più interessa dall’ottica
nostrana è il fatto che l’evocazione di un
esodo di massa dei croati di Bosnia, abbia
spinto gli analisti in Croazia a tracciare
dei “parallelismi psicologici” con un altro
esodo, troppo spesso dimenticato, quello
degli italiani dalla Dalmazia, da Fiume
e dall’Istria. Il noto scrittore croato, originario della Bosnia, Miljenko Jergović,
sullo “Jutarnji List” è stato molto chiaro:
“Dopo l’altra guerra le autorità jugoslave
hanno costretto gli italiani istriani e dalmati a compiere una scelta: o rimanere
oppure optare per la cittadinanza italiana
e andarsene. Circondati dall’ostilità della
popolazione slava maggioritaria, con lo
stimma di essersi stati a fianco del potere fascista di Mussolini, gli italiani indigeni hanno scelto in massa la partenza per
l’Italia. A prescindere dal fatto che sia stata concessa loro a prima vista la facoltà di
scegliere, da un punto di vista tecnico, ma
anche morale, si è trattato di un genocidio. Possiamo, ma anche non dobbiamo,
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Sabato, 8 ma
Imotski, molti bosniaci di etnia croata hanno la “residenza”
in questa località dalmata di confine
accettare il pretesto che quelli erano altri
tempi e che dopo il 1945 allo stesso modo
si sono comportati altri Stati e altri poteri
vincitori”. Al ragionamento di Jergović si
deve aggiungere, perlomeno, il ricordo di
un altro esodo, di un altro calvario, quello degli italiani di Dalmazia dopo la Prima guerra mondiale, già allora costretti a
“scegliere”. Ora lo stesso incubo, pur con
tutte le dovute differenze storiche, si ritrovano a viverlo le popolazioni della Bosnia
e in genere dell’ex Jugoslavia, venute a
trovarsi in una “zona sbagliata”. Corsi e
ricorsi della storia, si dirà. Ma anche un
modo per capire che davvero è necessario comprendere le tragedie del passato
per evitare che abbiano a ripetersi... Il
caso bosniaco evidenzia che non siamo di
fronte a un luogo comune... La storia dalmata si dimostra ancora una volta emblematica per discernere quanto è successo
poi anche nell’entroterra.
2 dalmazia
Sabato, 8 maggio 2010
PERSONAGGI Il celebre compositore, nato a Spalato il 18 aprile del 1819, moriva il 21 m
Il padre italiano e dalmata dell’opere
Francesco Ezechiele Ermenegildo Su
di Barbara Rosi
C
osmopolita, eclettico, è stato un personaggio indubbiamente singolare nel panorama musicale mondiale, che
ha avuto i suoi maggiori successi
come autore di operette, genere nel
quale si rivelò assai prolifico, lasciando dietro di sé una serie di lavori dai nomi altisonanti, come era
costume dell’epoca: La bella Glatea, Banditi a cavallo, La dama di
picche, Cavalleria leggera, Poeta e contadino. Ma nonostante
ciò, per alcuni versi è caduto nell’oblio, forse anche perché “oscurato” dalla fama di coloro che,
tutt’oggi, sono considerati i veri
re del genere, vale a dire Johann
Strauss jr. e Jacques Offenbach.
Di Francesco Ezechiele Ermenegildo Cavaliere Suppé-Demelli,
universalmente noto come Franz
von Suppé, ricorre, il 21 maggio
prossimo, il 115.esimo anniversario della morte.
L’omaggio triestino
A questo compositore nato
a Spalato, triestino d’adozione,
viennese per spirito e natura e in
assoluto cosmopolita per educazione, contemporaneo di Johann
Strauss figlio, di cui poco si esegue
e meno ancora, forse si conosce, in
particolar modo nella sua città natia, il capoluogo giuliano dedica un
omaggio nell’ambito del 41.esimo
Festival internazionale dell’ope-
retta (organizzata dal Teatro Lirico
“Giuseppe Verdi”, da sempre fiore
all’occhiello della programmazione artistica della Fondazione lirica
triestina, la manifestazione si terrà
a dall’8 al 24 luglio 2010). La Sala
de Banfield Tripcovich ospiterà,
il 9 luglio, l’Hommage a Suppé,
una carrellata tra le più belle marce, ouvertures, arie tratte da La
bella Galatea, Boccaccio, Poeta e
contadino, ecc.
Dunque Trieste rispolvera questo musicista, generalmente noto
come il “padre dell’operetta viennese”, un protagonista la cui “luce”
e il successo furono di tale portata,
tra la metà e la fine del XIX secolo,
da resistere al confronto e rivaleggiare con il francese Jacques Offenbach. Del resto, considerato il
suo “pedigree”, Suppé è stato quasi predestinato a diventare una promessa come compositore di opere teatrali. Infatti, era imparentato
niente meno che con un “luminare” dell’opera quale Gaetano Donizetti – era un suo “cugino” di grado
lontanissimo –, che prese una parte attiva nell’istruzione del Nostro,
quando il talento del compositore,
all’epoca ancora in erba, era diventato già evidente.
Il cosmopolitismo
nelle vene
Francesco Ezechiele Ermenegildo, Cavaliere-Suppé Demelli,
vede la luce a Spalato il 18 aprile del 1819 (muore a Vienna il 21
maggio del 1895). Per parte paterna, la sua famiglia, di cui si ha traccia fin dal XVI secolo, è austriaca
di estrazione fiamminga; la madre,
Katharina Landovsky, viennese di
nascita, vanta ascendenze boeme e
polacche. Ma in casa si parla l’italiano. Il padre del compositore, Pietro de Suppé-Demelli, di Cremona,
arriva a Spalato dove viene trasferito in quanto funzionario dell’amministrazione austriaca. Infatti, dopo
secoli di dominio veneziano, crollata la Serenissima e liquidata la
presenza francese-napolenonica, la
città dalmata era entrata a far parte
della vasta compagine multietnica
degli Asburgo. La famiglia inizial-
mente scoraggia la carriera musicale di Suppé, per la quale il giovane
dimostra indubbie attitudini quale
compositore. Già a 13 anni scrive
la sua prima messa, la nota Missa
dalmatica, eseguita per la prima
volta in una chiesa francescana a
mente – Donizetti, nel 1842). Ma
il padre ha previsto un altro futuro per il ragazzo: lo vuole giurista.
E su pressioni paterne Francesco
Suppé si iscrive all’Università di
Padova, per studiare diritto, anche
se, segretamente, continua a curare la passione per la musica, in
particolare durante le visite a Milano, dove può ascoltare le opere
di Gioachino Rossini e Gaetano
Donizetti, e dove incontra il giovane Giuseppe Verdi.
Dall’Italia a Vienna
La copertina del manoscritto del
Requiem in do minore di Franz
von Suppé (si noti la grafia del
suo nome proprio, Suppé)
Presto però il genitore muore (1835) e il giovane lasciò il
Belpaese – dove comunque torna spesso, curando il contatto con
Donizetti, che lo ospita per brevi
periodi, e gli fornisce anche qualche consiglio – per trasferirsi, con
la madre, a Vienna, e immergersi tutto nella musica. Aveva già
pronta la sua prima operina, Il
pomo, composta a Zara nel 1834,
né ha dimenticato i brevi soggiorni bergamaschi, che rievoca con la
sua prima opera comica, intitolata
appunto Bergamo (1840).
Scorci
Debutta giovanissimo: aveva 13
anni quando compose la «Missa
Dominica», che fu eseguita
per la prima volta nella chiesa
francescana di Zara nel 1832
Zara, nel 1832. Suppé apprende i
rudimenti musicali proprio a Zara
– dove frequenta il Ginnasio – dal
direttore di Banda, Ferrari, e dall’organista del Duomo, Cigala.
Lo «zio» Donizetti
Ama l’Arte dei Suoni, in particolare il flauto (a Verona, durante
l’adolescenza, studierà flauto e armonia); ma gli piace anche cantare, tanto che, con gli anni, maturerà una robusta voce baritonale, che
saltuariamente esibirà anche sul
palcoscenico (interpreta addirittura la parte di Dulcamara ne L’elisir
d’amore, guarda caso dell’amato
“zio” – come lo chiama familiar-
Simon Sechter (organista, compositore e direttore d’orchestra austriaco, noto anche come teorico e didatta); poco dopo comincia la sua
carriera di direttore allo “Josephstädter”, inizialmente senza essere
pagato, ma con la possibilità di poter rappresentare lì le proprie opere. Infatti, qppena giunto a VienLa sua vita ha una svolta quando na compone subito un’altra Messa
conosce Franz Pokorny, il direttore (1836) e una nuova opera, Virginia
del teatro “Josephstädter”. Nella ca- (1837); fra il 1841 e il 1845 ha già
pitale austriaca, dopo aver frequen- al suo attivo più di una ventina di
tato (con scarso successo) il Poli- lavori teatrali, fra quali Gertrude
tecnico e la Facoltà di Medicina, della Valle (su libretto del dalmata
decide di intraprendere l’attività di Giovanni Brazzanovich), rappremusicista, guadagnandosi qualcosi- sentati con successo a Bratislava,
na come suonatore di flauto e inse- Sopron e Baden.
gnante di italiano. Ha come maestri
Una carriera
Ignaz von Seyfried (compositore,
direttore d’orchestra e insegnante
in ascesa
di musica austriaco; è stato uno dei
Sono anni in cui la sua carriera
direttori d’orchestra più noti del suo
tempo a Vienna, allievo, tra gli altri, musicale è in costante, rapida ascedi W. A. Mozart e di Johann Georg sa. Ed è proprio ciò che lo spinge
Albrechtberger, e in rapporti di ami- a “ribattezzarsi”: considerato che
cizia con Ludwig van Beethoven) e sulla scena viennese occorreva,
Suppé con alcuni musicisti e compositori viennesi: Carl Binder, Anton M. Storch, Heinrich Proch
e Anton Emil Titl, litografia di Josef Kriehuber, 1852
dalmazia 3
Sabato, 8 maggio 2010
maggio 1895 nella capitale asburgica
etta viennese:
uppé Demelli
i storici di Spalato, città natale di Suppé
La lista
delle sue
composizioni
comprende ben
30 operette e
più di 180 fra
balletti e altre
musiche di
scena
tuttavia, un nome che suonasse
meglio del suo, troppo italiano,
“nasce” Franz von Suppé. Del resto, nell’idioma tedesco, “Suppe”
significava “brodo”, il che, nell’ambito della critica teatrale, veniva usualmente adoperato in senso
negativo. “Franz” per Francesco e
“von” al posto del nobiliare “de”
completarono il suo biglietto da visita “mitteleuropeo”, viennese.
Tra i suoi indubbi successi, arriva, nel 1846, Poeta e contadino,
commedia cantata che, fra i suoi
primi titoli, è quello che tutt’oggi
viene eseguito, magari solo per alcuni brani, come la celebre ouverture. Ormai è anche un affermato
direttore d’orchestra, la produzione
di nuovi titoli prosegue febbrile.
Nel 1860 compone l’operetta
di due atti Das Pensionat, dedicata alla figlia del suo benefattore
Pokorny, Alois; è con quest’opera
che Suppé dà inizio al fortunatissimo genere dell’operetta viennese,
genere che nei decenni successivi
sarebbe poi stato ripreso da diversi compositori, fra i quali Johann
Strauss figlio. Dopo il fallimento
del teatro “Josephstädter” diventa direttore al “Kaitheater” (poi
distrutto da un incendio), per poi
spostarsi definitivamente al “Carltheater”, con l’attore e manager
Carl Treumann. A seguito dei suoi
grandi successi, dovuti all’attività
di compositore, nel 1881, riceve
la cittadinanza viennese con tutti
gli onori.
Celebri ouverture
La lista delle composizioni
di Suppé conta 30 ben operette e più di 180 fra balletti e altre musiche di scena. Sebbene
la maggior parte delle opere di
Suppé siano quasi affondate nell’oblio, le sue ouverture sono celebri tutt’oggi. Fra suoi titoli più
significativi, da ricordarsi Der
Tannenhäuser (parodia del wagneriano Tannhäuser), La bella
Galatea (prima Operetta austriaca, che precede di 9 anni il Pipistrello di Strauss), Cavalleria
leggera (1866), Fatinitza (1876,
operetta) dove fa cantare una
donna travestita da ufficiale russo ed il cui successo gli consente
di comprarsi una bella villa (oggi
Museo Suppé), ancora una parodìa di Wagner, Lohengelb. Viene invitato con tutti gli onori a
Un clima «fecondo»
Nella seconda metà dell’Ottocento cominciò
a inasprirsi la questione del Regno di Dalmazia:
i politici croati chiedevano l’annessione della regione alla Croazia, osteggiati dagli autonomisti
(italiani). Per un po’ di tempo i dalmati italiani
riuscirono a evitare, o meglio a posticipare la dipendenza da Zagabria. Alle accese lotte politiche,
tra il 1860 e il 1866 la Dalmazia visse una significativa fioritura culturale, e in questo clima nacque e cominciò a formarsi Francesco de Suppè
Demelli. Attivi erano i teatri di Zara, Sebenico e
Spalato, i cui edifici nel XIX secolo, venivano costruiti in base alla tipologia degli edifici teatrali
barocchi italiani (ma i teatri dalmati possedevano delle soluzioni originali derivanti dalla sintesi delle condizioni ambientali e della realtà umana e sociale propria del territorio). Oltre al teatro
“Nobile”, inaugurato nel 1783, Zara ebbe il “Teatro Nuovo”, progettato dall’architetto Miho Klaić
nel 1865. Nei teatri dalmati più importanti, come
il teatro “Bajamonti” di Spalato e il “Bondin” di
Ragusa, il pubblico poteva assistere alle migliori
opere liriche italiane di Donizetti, Verdi e Bellini,
eseguite da orchestre esterne o da dilettanti locali. Nel 1863 a Zara si esibì la grande diva Eleonora Duse ne “I miserabili” di Victor Hugo. Sempre
a Zara operò, in quegli anni, il maestro d’orchestra de Suppé, il quale, il 7 agosto del 1860, tenne
un concerto presso la locale Società Filarmonica,
suscitando un entusiasmo irrefrenabile con il refrain “Tu Dalmazia mio suol natio” e con il motivo “Desio per la Dalmazia”, che fu assunto dalla
cittadinanza quale proprio inno.
Nel 1876, dopo aver festeggiato il successo
di Fatinitza, pensò che era diventato opportuno rivedere il suo primo lavoro di musica sacra. Commentando, in una lettera al francescano
Donato Fabianić, un amico d’infanzia di Zara,
scrisse: “Il mese scorso ho notato per caso una
parte della composizione che ho scritto a tredici anni a Zara e che è stata allestita nella chiesa
di San Francesco, con il vostro aiuto. Confesso
che mi è venuto da ridere molto quando ho visto quello che è stato scritto. È una sciocchezza, senza voce guida, armonia e carattere, senza il minimo sentore di arte musicale, con melodie banali e profane. E mi è venuta l’idea di
riscriverlo...”. Sotto il titolo di Missa Dalmatica quam terna virili voce pulsantibus organis
concinendam, composuit et Dalmatiae patriae
suae dicavit Franciscus nob. Suppé, questa seconda versione della giovanile Missa Dalmatica
debuttò nel 1890 sotto la direzione del maestro
di cappella della cattedrale di Zara, il Mo. Antonio Ravasio. Va ricordato che il milanese Ravasio (1835 – 1912) fu anche il primo maestro
concertatore del Teatro Nuovo di Zara, teatro
che fu eretto su proposta del musicista e critico
musicale Giovanni Salghetti Drioli, della famiglia proprietaria di una delle maggiori distillerie di maraschino della città, e raccolta da alcuni degli zaratini più in vista: lo stesso Salghetti
Drioli, assieme a Natale Filippi, Simeone Cattich, Antonio de Stermich di Valcrociata, Nicolò
Luxardo, Giuseppe Perlini ed altri, costituirono
quindi la Società per Azioni del Teatro Nuovo,
Il frontespizio della Missa Dalmatica
che incaricò del progetto l’architetto veneziano
Enrico Trevisanato; la direzione dei lavori venne affidata all’architetto zaratino Miho Klaić. I
lavori iniziarono il 25 aprile 1864, ancor prima
che giungessero i necessari permessi da Vienna.
La costruzione venne affidata all’imprenditore
zaratino Angelo Cantù (proti muratori Nicolò
Trigari e Giovanni Mazzoni), l’ossatura interna
a Francesco Fabbrovich, coadiuvato dai maestri
d’ascia Francesco Fisser, Guglielmo Zillio, Giacomo Uzigović; la decorazione interna al triestino Leone Bottinelli e al veneziano Carlo Franco;
il palcoscenico a Jacopo Caprara.
Il teatro costò la ragguardevole cifra di
110.000 fiorini e venne aperto al pubblico la sera
del 10 settembre 1865 per la festa di commiato
del governatore barone Lazar de Mamula; l’inaugurazione ufficiale ebbe luogo il 7 ottobre 1865,
vigilia del santo patrono San Simeone profeta e
da allora data d’inizio della stagione teatrale, con
la rappresentazione di Un ballo in maschera di
Giuseppe Verdi. Il Maestro Ravasio scritturò per
la stagione il soprano Lena Tencajoli, il soprano
leggero Fanny Guillemin, il baritono Ercole Storti-Gozzi e il basso Giuseppe Wagner.
Per decenni il teatro sarà il centro della vita
culturale ed artistica zaratina. Vi avranno luogo
spettacoli di vario genere: opere liriche, operette,
balletti, commedie, drammi, spettacoli di varietà,
film muti e sonori, balli e veglioni. La locale Società Filarmonica (fondata nel 1858) vi teneva da
sei a otto concerti nell’apposita sala del secondo
piano, della capienza di 400 posti a sedere, mentre il teatro poteva ospitare 1.500 spettatori: un
numero esorbitante, tenuto conto del fatto che la
città in quegli anni contava dai sette ai diecimila
abitanti. Nel 1870 il Teatro Nuovo subì un incendio le cui cause non furono chiarite: secondo alcuni, si trattò di un atto doloso, in quanto il teatro
era il simbolo degli italiani della Dalmazia.
Bayreut (1876), a Parigi, Bruxelles e in Italia, nel 1879, anno in
cui consegna il suo capolavoro,
l’operetta Boccaccio, alla quale
si sono ispirate varie canzonette
triestine. Nel 1888 sarà a Trieste,
ospite della “Colonia americana” (già “club dei papagài”) della
quale compose l’Inno intitolato
Blangémose alla Colonia americana, su testo di Augusto Levi.
Suppé fu, dunque, l’italiano
iniziatore dell’operetta viennese.
Muore il 21 maggio 1895. Ad accompagnarlo, al cimitero, una folla enorme, al canto della sua marcia Oh tu Austria mia. Quasi tutta
Vienna è ai suoi funerali.
valevano scene d’inseguimenti
di cavalli al galoppo.
Immeritato oblio
Colonne sonore
Oggi non rimangono che le
sue ouvertures, tra le quali le
più celebri sono senza dubbio
Poeta e Contadino e Cavalleria leggera. La prima è caratteristica per il valzer sentimentale che arriva dopo la potenza
tumultuosa dell’insieme orchestrale ed i suoi ritmi esuberanti. La seconda inizia con la fanfara, specchio della tradizione militare austriaca, ma è im-
La tomba di Franz von Suppé
provvisamente interrotta da una
“czarda” ungherese, e chiude
con l’eccitante galoppo equestre che richiama, per l’esaltazione del dinamismo ritmico,
l’ouverture del Guglielmo Tell
rossiniano. Entrambe queste ultime due hanno fatto da colonna
sonora a tanti film e addirittura
a cartoni animati, nei quali pre-
Uno dei motivi dell’oblio di
Suppé è forse il suo tipo di valzer: il suo lato debole, se lo si
confronta con il grande Strauss.
Quelli che compose per La bella Galatea e per Fatinitza furono definiti “non straussiani”. Di
gradevole ascolto è anche l’ouverture Il labirinto della fortuna, della quale anche Donizetti
non avrebbe disdegnato i brontolii oscuri ed agitati che lasciano
poi il seguito al fluire di una dolce melodia e di un galoppo intriso di malinconia.
La produzione di Suppé è sostanzialmente limitata all’operetta, mentre il Suppè “serio”, autore,
fra l’altro, di lieder e di musica sacra – tra cui la nota Missa Dalmatica – resta ancor sempre poco conosciuto. I 115 anni trascorsi dalla
sua scomparsa potrebbero essere
un’occasione più che opportuna
per riscoprire la sua opera e rappresentare alcuni dei suoi titoli anche e soprattutto nei teatri di Spalato e Zara.
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dalmazia
Sabato, 8 maggio 2010
Sabato, 8 maggio 2010
SPORT Per praticare questo sport «modesto» bastava la passione. Eppure, nonostante tutto, i successi e i grandi giocatori non sono mancati in Dalmazia (2 e fine)
Spalato, stella di prima grandezza
anche nel firmamento del calcetto
Calcio e calcetto, due mondi due sport. Oggi questi due sport
hanno giocatori propri, proprie Federazioni. Però non tanti fa andavano a “bracetto” tanto che condividevano i giocatori e quasi
tutto il resto. Ma vediamo di scoprire come sia cresciuto questo
sport, che ancora oggi molti trattano come solo un divertimento.
Spalato è stato uno dei principali centri in Croazia in cui il calcetto
ha messo radici profonde.
A
rrivò la guerra e inevitabilmente i vari campionati e tornei finirono per spegnersi. L’amore verso questo sport rimase grande,
però si dovettero aspettare i primi
mesi del 1993 per veder “nascere” il
primo campionato croato di calcetto.
Interessante rilevare che questo torneo alla fine “incoronò” il campione
per l’anno 1992?!? Al primo campionato nazionale l’unica squadra a rappresentare la Dalmazia fu la Truman,
ribattezzata con il nome di Truman
Elektroprijenos.
Quattro i tornei
Il campionato venne ripartito in
quattro tornei disputati nelle città di
Fiume, Virovitica, Zagabria e Osijek.
Alla fine, nonostante tante squadre
potessero godere dell’“aiuto” di sva-
riati giocatori di calcio professionisti,
la Truman Elektroprijenos conquistò
un ottimo secondo posto piazzandosi
a soli tre punti dal primo classificato.
La squadra ebbe pure il miglior attacco con 61 reti e la seconda difesa.
Alcuni mesi prima di partecipare al campionato nazionale, la squadra prese parte al terzo campionato
spalatino di prima divisione, durante
il quale venne a mancare il tris nelle
vittorie. L’attesa spasmodica del primo campionato nazionale, svariate
assenze e infortuni fecero sì che la
squadra si dovette accontentare del
secondo posto.
Nella stagione successiva, 1993,
il campionato fu di nuovo organizzato a livello di piccoli tornei, tra giugno e luglio. Due turni vennero disputati pure a Spalato. Alla fine la
La prima partita storica della squadra spalatina nell’UEFA futsal cup
Truman Elektroprijenos conquistò
di nuovo il secondo posto, a cinque
punti dal vincitore. In questo campionato giocò pure un’altra squadra
spalatina, la Matt, finita terza.
Nella stagione 1993/94, la prima
in cui ci fu un vero campionato con
le classiche partite di andata e ritorno,
la Truman Elektroprijenos finì terza a
soli tre punti dal Sokoli di Samobor,
che conquistò il titolo a sorpresa. Alle
sue spalle si piazzò la Matt.
Anni di vacche magre
La coppa per la vittoria nel campionato della Croazia rimasta
per sempre a Spalato
e Video Nes. Da notare che la lega
era composta da ben sei squadra spalatine, tre di Ragusa (Dubrovnik),
due di Metković e una di Pola.
Fece seguito un’altra stagione interlocutoria con un terzo posto nel
campionato meridionale e la sconfitta nel quarti di finale contro i futuri campioni, la squadra zagabrese
di Uspinjača.
La rifondazione
La squadra dell’ultimo “scudetto”, quello del 2005/06
Campione nazionale per la stagione 2001/02
risultati sempre peggiori non soltanto
a livello nazionale, ma pure a livello spalatino. Pertanto il 27 settembre 1996 venne decisa la fusione tra
il Truman Picasso e il Ballantines (ex
Matt). Visto che nel 1996 la città di
Spalato si ritrovò a festeggiare i 1700
anni dalla sua fondazione, la nuova
squadra prese il nome di Split 1700.
E fu subito un successo! Nel campionato 1996/97 la compagine non
ebbe in pratica avversari degni di tal
nome e stravinse il campionato. Si
impose con ben otto punti di vantaggio sulla seconda classificata.
Nonostante lo strapotere iniziale
seguirono tre stagioni buie in cui la
squadra finì nell’ordine, quarta, settima e seconda.
In seguito il campionato cominciò a subire delle modifiche e la forza della squadra spalatina iniziò a
scemare. Il campionato venne suddiviso in due leghe e la squadra, ora
con il nome di Truman Picasso, arrivò soltanto quarta nel campionato
meridionale. E per giunta si piazzò
al quarto posto tra le squadre spalatine dietro a Foto Ante Stojan, Matt
La crisi si fece via via sempre
più acuta e la forza dell’ex Optimist
andò scemando a vista d’occhio, con
Titoli a bizzeffe
Nella stagione 2000/01 la compagine iniziò il campionato in sordina con un secondo posto nel torneo
meridionale; però poi nei quarti riuscì a battere il sempre ostico e forte Uspinjača di Zagabria, mentre in
semifinale sconfisse il vincitore del
campionato settentrionale, il Petar
RKM (Zagabria). E infine nella finale ad arrendersi dinanzi agli spalatini fu lo Square (Ragusa/Dubrovnik).
E così per la squadra, nel frattempo
ribattezzata con il nome di Split Star
šport, arrivò il secondo titolo nazionale.
Seguirono altri tre titoli nazionale.
Gli spalatini registrarono una serie di
successi pure nel campionato 2004/
05, però caddero a sorpresa nei quarti di finale contro i cugini del Torcida
Eu. Nav.
Nella stagione 2005/06, nonostante il mediocre terzo posto nel campionato, arrivò il nuovo titolo nazionale,
con la vittoria in finale contro l’emergente Gospić.
Manca il guizzo finale
Seguono infine anni trascorsi al
vertice, ma senza il guizzo finale. La
concorrenza a Spalato divenne via
via sempre più agguerrita. Nel 2006/
07 la squadra uscì di scena già nelle semifinali; nel 2007/08 arrivò alla
finale però perse il titolo contro il
Gospić, mentre nella stagione 2008/
09 fu sconfitta già in semifinale dalla
compagine istriana di Sottopedena, il
Potpićan ‘98.
In Europa discreti
risultati
Nella Coppa Croazia la squadra
spalatina ha registrato ottimi successi appena dal 2000. La prima
vittoria l’ha sfiorata nella stagione 1996/97, quando è stata battuta
nella partita di ritorno della finale.
Ha fatto seguito una nuova sconfitta nella finale a una sola partita. Il
primo successo è arrivato nella stagione 2000/01 con la vittoria contro lo Square (Ragusa/Dubrovnik)
per 5-4. Successo poi ripetuto nel-
La coppa per la vittoria nel
campionato 2001/02
le successive due stagioni. Dopo
il terzo posto nella stagione 2003/
04 gli spalatini sono tornati a vincere la coppa nel 2004/05 e 2005/
06. Infine nelle ultime due stagioni,
2007/08 e 2008/09 sono stati battuti in finale.
La squadra ha partecipato anche a cinque edizioni della Coppa
Europea, passando regolarmente il
primo turno
Fior di campioni per un gioco spesso considerato di «seconda classe»
Goran Kovačević, Željko Babić e Denis Kosor
Sono le prime stelle della società spalatina. Si tratta di giocatori che sono stati
scoperti giovanissimi nelle scuole del professor Vibor Velčić, loro primo allenatore.
Per anni sono stati le colonne portanti del
gioco della squadra del capoluogo dalmata. Sono stati loro a trascinare il club sulla
strada del successo negli anni ‘80 e in buona parte degli anni ‘90. Le statistiche ufficiali ci dicono che Denis Kosor ha disputato 186 partite segnando 134 reti, Željko
Babić (170-119) e Goran Kovačević (143141). Nella nazionale croata ha giocato
solo Denis Kosor (una presenza e una rete).
Nei campionato croati Željko Babić ha totalizzato 71 presenze con 39 reti. Per Denis
Kosor 131 e 82.
Aljoša Staničić, Alen Depont, Siniša
Burazer e Ivica Osibov
Sono le stelle spalatine che hanno brillato nei vari campionato croati. Secondo l’ultima statistica ufficiale della società Aljoša
Staničić è in assoluto il giocatore con più
presenze, ben 192. Oltre al portiere in campo si è distinto negli anni d’oro della società in particolare Alen Depont, con 151 presenze e 231 reti! Registriamo pure i dati lusinghieri di Siniša Burazer (150-92) e Ivica
Osibov (125-121). In nazionale il più gettonato è stato Alen Depont con 33 presenze
e otto reti, seguito da Ivica Osibov (22-7) e
Aljoša Staničić (14). Nella lista della nazionale di tutti i tempi spiccano i nomi di Frane Despotović con 45 presenze (secondo
posto) e 11 reti e Nikola Tomičić (41-16).
Robert Jarni, un grande sia nel calcio
sia nel calcetto
Uno degli ultimi grandi difensori dell’Hajduk. Nazionale croato sia di calcio,
sia di calcetto, una vera rarità.
Nato a Čakovec il 26 ottobre 1968, i primi passi li compie nella squadra della città
natia, il MTČ. Nel 1985 arriva a Spalato e
solo un anno dopo debutta in prima squadra al Trofeo Marjan. Per l’Hajduk gioca
come seniores per cinque anni, fino al 1991.
In totale per lui vi sono 232 presenze e 48
reti. Due i trofei vinti con l’Hajduk, ovvero due coppe di Jugoslavia nel 1986/87 e
nel 1990/91. Una volta lasciato l’Hajduk
comincia il suo girovagare per l’Europa.
Prima tappa l’Italia, ovvero il Bari. Dopo
due anni passa a Torino: dapprima nel 1993
per un anno sfonda nelle file granata e poi
pure per un anno si va valere alla Juventus.
Con i bianconeri vince sia lo scudetto che
la Coppa Italia. Nell’estate del 1995 va in
Spagna. Prima per tre anni è membro del
Real di Betis e dopo per un anno, dal 1998,
del Real Madrid con il quale vincerà la coppa Intercontinentale. Seguono due stagioni
al Las Palmas e poi in Grecia con il Panathinaikos.
Nella sua lunga carriera ha giocato pure
per la selezione mondiale. Con la nazionale
juniores della Jugoslavia ha vinto nel 1987
il Campionato del mondo.
Nella nazionale della Jugoslavia ha totalizzato sette presenze e una rete. Da segnalare la sua partecipazione ai mondiali
I numeri
1992/93 Prima lega
Secondo posto con sette vittorie, tre pareggi e una sconfitte, differenza reti 61-25. A
giocare la maggioranza delle
partite sono stati: Luka Kokeza, Marko Mijić, Denis LučićLavčević, Denis Kosor, Siniša
Burazer, Goran Kovačević, Ivo
Vidošević, Dean Galić, Željko
Babić e Frane Peroš. Migliori marcatori Goran Kovačević
con 15 e Siniša Burazer con
10 reti.
di Igor Kramarsich ([email protected])
italiani del 1990. Seguono altri due mondiali con la Croazia, nel 1998 (medaglia di
bronzo) e nel 2002. Con la nazionale della
Croazia ha esordito nel 1990 e ha chiuso ai
mondiali del 2002. Per lui pure la partecipazione agli Europei del 1996. Per la nazionale croata ha disputato 81 partite e segnato
una rete (pesante visto che è stata segnata ai
mondiali del 1998). Per sei anni, dal 2000
al 2006, è stato il giocatore con più presenze in nazionale.
E’ un raro esempio di giocatore che, oltre ad aver avuto una grande carriera nel
mondo del calcio, ha registrato pure risultati invidiabile nel mondo del calcetto. A questo gioco si è affacciato nel 2003
con il Split Gašperov. E’ stato subito un
successo. Con la compagine spalatina ha
vinto due campionati nazionali, nel 2004
e 2006, e due coppe nazionali, nel 2005
e 2006. Inevitabile che indossasse pure la
maglietta della nazionale. Ha collezionato
in totale quattro presenze, segnando pure
tre reti.
La squadra che ha giocato il primo campionato croato, 1992/93
5
1999/00 Prima lega
Secondo posto con 16 vittorie, tre pareggi e sette sconfitte,
differenza reti 151-106. A giocare
la maggioranza delle partite sono
stati: Alen Depont, Denis Kosor,
Željko Blagajić e Aljoša Staničić.
Migliori marcatori Alen Depont
con 68 e Siniša Alebić e Denis
Kosor con 15 reti.
2000/01 Prima lega,
girone sud
Secondo posto con otto vittorie,
uno pareggi e tre sconfitte, diffe1993 Prima lega
renza reti 53-43. Campione nazioSecondo posto con cinque vit- nale dopo i play off! A giocare la
torie, quattro pareggi e una sconfit- maggioranza delle partite sono state, differenza reti 51-26. A giocare ti: Ante Perajica, Aljoša Staničić,
la maggioranza delle partite sono Ivo Podrug e Alen Depont. Migliostati: Luka Kokeza, Denis Kosor, ri marcatori Alen Depont con 24 e
Siniša Burazer, Goran Kovačević, Ivica Osibov con 14 reti.
Ivo Vidošević e Željko Babić. Migliori marcatori Ivo Vidošević con
2001/02 Prima lega
17 e Željko Babić con nove reti.
Primo posto con 17 vittorie, due pareggi e tre sconfitte,
1994 Prima lega
differenza reti 107-48. A giocaTerzo posto con 13 vittorie, re la maggioranza delle partiquattro pareggi e tre sconfitte, te sono stati: Alen Depont, Sladifferenza reti 90-42. A giocare ven Gračanin, Ivo Podrug, Ivan
la maggioranza delle partite sono Botić, Pjer Malvasija e Nikola
stati: Siniša Burazer, Denis Ko- Tomičić. Migliori marcatori Ivisor, Ivo Vidošević, Denis Lučić- ca Osibov con 26 e Alen Depont
Lavčević, Nikša Zokić, Goran con 24 reti.
Kovačević e Željko Babić. Migliori marcatori Denis Kosor con
2002/03 Prima lega
18 e Ivo Vidošević con 17 reti.
Primo posto con 18 vittorie,
due pareggi e due sconfitte, dif1994/95 Prima lega,
ferenza reti 132-54. A giocare la
girone sud
maggioranza delle partite sono
Quarto posto con 11 vittorie, stati: Ivo Osibov, Sandro Salaquattro pareggi e sette sconfitte, can, Pjer Malvasija, Alen Depont
differenza reti 121-105. A giocare e Ivan Vujinović. Migliori marcala maggioranza delle partite sono tori Ivica Osibov e Alen Depont
stati: Frane Peroš, Joško Vrgoč, con 28 reti
Željko Babić, Kristijan Sindik,
Siniša Burazer e Ivo Vidošević.
2003/04 Prima lega
Migliori marcatori Siniša BuraPrimo posto con 17 vittorie,
zer con 18 e Ivo Vidošević con quattro pareggi e una sconfitta,
17 reti.
differenza reti 108-58. A giocare
la maggioranza delle partite sono
1995/96 Prima lega,
stati: Dean Banić, Josip Čagalj,
girone sud
Aljoša Staničić, Alen Depont,
Terzo posto con 11 vittorie, tre Frane Josipović e Nikola Tomičić.
pareggi e cinque sconfitte, diffe- Migliori marcatori Senudin Džafić
renza reti 97-77. A giocare la mag- con 20 e Alen Depont con 19 reti.
gioranza delle partite sono stati:
Joško Biskupović, Denis Lučić2004/05 Prima lega
Lavčević, Joško Vgoč e Aljoša
Primo posto con 18 vittorie, un
Staničić. Migliori marcatori Srđan pareggio e tre sconfitte, differenza
Kovač con 17 e Joško Biskupović reti 115-64. Sconfitta nei quarti di
con 14 reti.
finale dei play off per il titolo. A
giocare la maggioranza delle par1996/97 Prima lega
tite sono stati: Alen Depont, Ivica
Primo posto con 16 vittorie, tre Osibov, Frane Despotović, Sandro
pareggi e tre sconfitte, differen- Salacan e Ivo Jukić. Migliori marza reti 121-68. A giocare la mag- catori Alen Depont con 39 e Ivica
gioranza delle partite sono stati: Osibov con 22 reti.
Siniša Burazer, Joško Biskupović,
Željko Mijić, Renato Brajko,
2005/06 Prima lega
Srđan Kovač, Nikola Tomičić e
Terzo posto con 12 vittorie, sei
Pjer Malvasija. Migliori marca- pareggi e due sconfitte, differenza
tori Srđan Kovač con 29 e Niko- reti 95-48. Campione nazionale
la Tomišić e Pjer Malvasija con dopo i play off! A giocare la mag24 reti.
gioranza delle partite sono stati:
Robert Jarni, Frane Despotović,
1997/98 Prima lega
Ivica Osibov, Ivo Jukić e Vibor
Quarto posto con 14 vittorie, Podlipec. Migliori marcatori Sersei pareggi e quattro sconfitte, ginho Camara Sobral con 30 e Sedifferenza reti 127-86. A giocare nudin Džafić con 20 reti.
la maggioranza delle partite sono
stati: Denis Kosor, Pjer Malva2006/07 Prima lega
sija, Joško Buskupović, Joško
Terzo posto con 14 vittorie,
Silić, Aljoša Staničić e Alen De- cinque pareggi e tre sconfitte, difpont. Migliori marcatori Alen De- ferenza reti 85-41. Terzo posto nei
pont con 29 e Pjer Malvasija con play off per il titolo.
26 reti.
2007/08 Prima lega
1998/99 Prima lega
Secondo posto con 17 vittorie,
Sesto posto con 12 vittorie, due pareggi e tre sconfitte, diffedue pareggi e dodici sconfitte, renza reti 110-47. Sconfitta nella
differenza reti 134-143. A gio- finale dei play off per il titolo.
care la maggioranza delle partite sono stati: Joško Buskupović,
2008/09 Prima lega
Siniša Burazer, Srđan Kovač,
Secondo posto con 14 vittoDenis Kosor, Zoran Marković rie, tre pareggi e cinque sconfite Ivo Vidošević. Migliori mar- te, differenza reti 84-47. Sconfitcatori Srđan Kovač con 46 e ta nella semifinali dei play off per
Denis Kosor con 15 reti.
il titolo.
6 dalmazia
Sabato, 8 maggio 2010
LIBRI L’avvincente raccolta di racconti di Marica Bodrožić ci riporta indietro negli ann
Tito, la Dalmazia e il nonno: un
di Mauro Cereghini
A
rriva in libreria “È morto
Tito”, raccolta di racconti
di Marica Bodrožić, scrittrice tedesca di origini croate. Gli
anni Ottanta dell’entroterra dalma-
ta, tra natura possente e religiosità
popolare, scrive “Osservatorio sui
Balcani” sono al centro della narrazione. Una scrittura che è poesia
narrata, a tratti fantastica.
“In paese da giorni non si parlava d’altro. Il televisore era incandescente, e il nonno non capiva perché mai un uomo appena
morto e già sottoterra corresse di
qua e di là sullo schermo”. Inizia
così “È morto Tito”, raccolta di
racconti della giovane scrittrice
tedesca di origini dalmate Marica Bodrožić. E già da queste prime frasi si possono cogliere alcune caratteristiche ricorrenti nel
libro. Lo sguardo anzitutto, quel
misto di innocenza infantile e distacco sognante che dà un tono
lieve, quasi ironico al narrare. Il
titolo potrebbe far pensare ad un
lavoro sulla figura di Josip Broz,
o dove comunque la sua presenza sia incombente. Invece l’unico
dei ventiquattro brevi racconti ad
accennare qualcosa di vagamente
politico è il primo, da cui viene
il titolo del libro. Tutto il restante materiale è narrazione di vita,
ritratti di personaggi semplici o
curiosi nella Dalmazia degli anni
ottanta, a tratti scrittura fantastica
che sconfina nella poesia. Parole
come Jugoslavia, Croazia o socialismo neppure compaiono.
STORIE DI PAESE Storie
di paese dunque, tanto che più di
Tito risulta protagonista il nonno.
È lui a comparire più spesso nei
racconti della Bodrožić bambina,
o della controfigura narrante, ed è
con la sua morte che si chiude il libro. Preludio per un passaggio all’età adulta dell’autrice – “gli anni
lontani dell’oblio di sé erano ormai perduti” – come forse la morte di Tito lo è stata per il suo paese.
Insieme al nonno compaiono altre
figure familiari a partire dai genitori, seppure spesso lontani per lavoro, e poi zio Joseph l’emigrante, zia Aurora che perse due figli,
Rado e Ana promessi sposi traditi
o Lore la cantautrice. Una piccola
spoon river dell’entroterra dalmata, una cronaca di villaggio fatta
con gli occhi curiosi e ingenui di
una bambina, che scopre il mondo
duro e arretrato dei contadini.
UNA CAMPAGNA ARIDA Anche questo si può cogliere
dall’incipit del libro: siamo negli
anni Ottanta del ventesimo secolo, in un Paese europeo alle soglie
dell’era digitale, eppure c’è ancora un mondo della terra che fatica
a capire la televisione. Le persone sono in lotta con la natura aspra
circostante, le estati afose, gli inverni gelidi, le serpi che uccidono. La campagna della Dalmazia
interna è arida, sassosa, pretende
fatica e silenzio. “Le diventavano
sempre più chiare le leggi di quel
paese maledetto e il fatto che quella terra di nessuno si sarebbe definitivamente impossessata di lei se
non si fosse decisa ad andarsene”.
Il mare non è lontano, qualcuno si
imbarca e lo attraversa. Altri par-
tono per lavorare all’estero, i gastarbeiter che mantenevano parte
dell’allora Jugoslavia con i soldi
spediti ai familiari. Ma insieme
la impoverivano di menti e braccia proprio nelle sue regioni più
povere.
LA PULSIONE ALL’URBICIDIO Così dalla poetica impoliticità dei racconti, il lettore può
cogliere comunque dati profondi su quello che è stato uno dei
retroterra per la catastrofe degli
anni novanta. La povertà materiale e culturale delle periferie rurali, il senso di solitudine autistica,
la pulsione all’urbicidio di cui ha
scritto Bogdan Bogdanović. Quell’invidia rabbiosa che porta gli
abitanti del villaggio a devastare i
campi del signor Kovinjski in uno
dei racconti, L’amante dei gigli.
“In quella notte, chi era a favore
dei fiori era contro il paese e la sua
gente, e questo tutti quegli uomini
in preda all’ira non potevano tollerarlo”.
UN CATTOLICESIMO RADICATO Un’altra caratteristica che emerge è la pervasiva religiosità popolare. La Bodrožić
bambina la respira dentro e fuori
casa, ora con curiosità e leggerezza – “Vivevo con tranquillità quelle ore silenziose e sature di incenso” – ora invece con timore. Un
cattolicesimo duro e radicato, che
il quarantennio socialista non ha
piegato. Una religiosità dove chi
sopravvive al morso di un serpente è bollato come maligno, dove
cioè si mescolano riti sacri e cre-
denze popolari, controllo sociale e
invocazioni per il raccolto. A farci
caso, siamo negli stessi anni e nelle stesse zone in cui inizia il fenomeno di Međugorje.
LA NATURA E infine, ma è
più corretto dire soprattutto, la natura. I racconti sono immersi nelle descrizioni di fiori, alberi, insetti, nuvole, pioggia… Gli elementi materiali e animali sono forse
i protagonisti principali accanto
all’autrice bambina che va scoprendo il mondo. Nostalgia di una
naturalità perduta, ma ancor più
spunti per fantasticare sulla realtà, o per immaginare altri mondi fantastici. “Si scatenarono dei
temporali e il vento non risparmiò
più nulla. Al suo passaggio lasciò
tutto cambiato. Caddi, la mia pelle escoriata attirava gli insetti. Cominciai a immaginare di possedere più corpi. Avevo nostalgia dei
pezzi del mio corpo volati via”.
TORTUOSO E CREATIVO
La scrittura a volte si fa onirica,
difficile da seguire perché abbraccia il registro poetico. Le parole si
fanno suoni, colori di un racconto
che avanza per suggestioni. Complesso, tortuoso e creativo lo definisce Claudio Magris nell’introduzione, dove rende omaggio
alla capacità dell’autrice di usare
la lingua tedesca pur mantenendo
una luce dalmata. Altrettanta capacità è servita credo alla traduttrice, per questo esordio italiano
della Bodrožić merito della casa
editrice Zandonai, sempre attenta
ai fermenti mitteleuropei.
Un imprenditore sta realizzando una copia fedele della località dalmata
San Pietro della Brazza rivive in Texas
Dopo più di cinque anni di
lotte senza quartiere con l’amministrazione, per districarsi tra
piani urbanistici e questioni burocratiche, l’imprenditore Jeffry
Blackard ha iniziato la sua singolare impresa edilizia nei pressi della città di McKinney, nel
nord del Texas. La notizia desta
un certo interesse vista l’idea
dell’imprenditore di costruire
una cittadina che dovrebbe fregiarsi del nome di Adriatica ed
essere praticamente una copia
dell’idilliaca località di Supetar
(San Pietro della Brazza) sull’isola di Brazza (Brač). A dare
particolare risalto all’investimento è stato il giornale “Dallas
Business Journal”.
Dopo aver investito nella realizzazione di strutture ricettive e
alberghi a Supetar l’imprenditore Blackard, presidente dell’azienda Blackard Group Inc.,
“innnamoratosi” della graziosa
località dalmata, ha deciso di
costruirne una pressoché identica dalle sue parti, nel Texas.
L’imprenditore ha iniziato la
sua opera acquistando 18 ettari
di terreno con un lago delle stesse dimensioni nel ranch di Stonebridge, nella contea del Collin. Anche la riva del lago è stata modificata per permetterle di
avere le esatte dimensioni della
riva di San Pietro della Brazza.
Tra mille difficoltà i lavori,
alfine, hanno avuto inizio. Nella prima fase delle cinque previste per la costruzione della cittadina, è stato scelto di realizzare
un castello ed una spaziosa zona
uffici su una superficie di circa
2.790 metri quadri. Si è deciso
di ubicare la struttura su un piccolo colle all’entrata della cittadina. Questo è il luogo in cui saranno ubicate alcune tra le più
importanti strutture della località tra le quali l’agenzia immobiliare Keller Williams. Lo spazio rimanante sarà riservato a tre
piccole strutture: la Starbucks,
un bar per la degustazione di
vini ed un centro benessere.
L’imprenditore Blackard per
poter avere una visione completa della cittadina isolana e
per riuscire nella sua opera di
riprodurre negli States la copia
fedele della località di San Pietro della Brazza, è solito recarsi
in Dalmazia praticamente ogni
tre settimane. Anche la provenienza della pietra utilizzata per
le costruzioni di cui dovrebbe
fregiarsi la Supetar americana
sarebbe la stessa utilizzata da
Michelangelo per le sue opere.
Per quanto riguarda invece la
costruzione di abitazioni, i la- de e le altre opere infrastruttu- collaboratore Gary Schell, prevori avranno inizio una volta ul- rali. Per la costruzione di case sidente della rinomata ditta Intimate la lastricatura delle stra- Blackard ha ingaggiato come novative Custom Homes di San
Francisco.
Gli affari stanno andando a
gonfie vele, a quanto pare, visto
che tante delle strutture ancora in costruzione sono già state
vendute: tra queste tredici lussuose ville accanto al lago, la
cui superficie varia da un minimo di 230 ad un massimo di
600 metri quadri. Il prezzo? Da
capogiro come del resto quello
delle case in Dalmazia: si va da
500mila a 1 milione di dollari.
Sono state già vendute anche 62
case a schiera la cui superficie
va dai 150 ai 320 metri quadri
per un prezzo che “spazia” dai
275mila agli oltre 50 mila dollari. ˝Adriatica sarà una vera e
propria cittadina di tipo euro-
dalmazia 7
Sabato, 8 maggio 2010
i Ottanta del Ventesimo secolo
no sguardo benevolo al passato
Un paradiso dinanzi a Lesina
Le isole Spalmadori proprio
non c’entrano con l’inferno
Parte integrante del panorama di Lesina-città è la micronesia delle Isole Spalmadori
(Pakleni otoci) che chiudono e
proteggono il porto e il Canale.
Quest’ultimo ha una larghezza
massima di 5 chilometri e minima di 600 metri, e con ciò abbiamo fornito anche le distanze
fra Lesina e la collana di isole e
scogli dirimpettai che si estende
per undici chilometri. Si va da
Vodnjak Veli, la più estrema verso Est, agli isolotti di Galesnik
e Pokonji Dol, quest’ultimo all’ingresso sud-orientale del Canale con sopra la torre del faro.
Fra le due estremità si trovano
le isole di Vodonjak Mali e San
Clemente che è la maggiore e
alle cui spalle giacciono Dobri e
Stambedar, quindi Borovac, Planikovac, Marinkovac, Paržanj,
Jerolim (Girolamo), tutte emergenti dal mare ad un’altezza fra
i 25 e i 45 metri, eccezion fatta
La calatafatura con pece e resina si riferiva in particolare alle
galee veneziane, per cui dal sostantivo “spalmador” in veneto,
è derivato Spalmadori. Ed dalla corruzione del verbo “spalmar” è derivato il nome di una
baia sull’isola di San Clemente:
Palmižana.
Un editto medievale minacciava severe punizioni per chi inquinasse le acque del porto della
città di Lesina. Per sradicare una
vecchia abitudine dei pescatori
che facevano pulizia delle barche proprio nel porto, e lì incatramavano le chiglie con la pece,
fu ordinato che questi lavori fossero eseguiti esclusivamente nelle baie delle isole deserte dirimpettaie. E da allora fu così.
L’isola maggiore, San Clemente (chiamata Isola Grande fino al XV secolo) prende il
nome da una cappella del santo,
costruitavi nel XIV secolo e tut-
per la maggiore la cui massima
cima raggiunge i 96 metri e sembra una montagna.
La fascia costiera di queste
isole scarnificate, calcaree, è
completamente nuda e rocciosa,
e molto articolata. I rilievi, invece, sono coperti da macchie e
bassa boscaglia. I canali fra isola ed isola hanno bassi fondali,
non raccomandabili per la navigazione su grosse imbarcazioni; le correnti marine sono forti,
specialmente quando soffiano i
venti meridionali. Nel canale fra
Lesina-città e le isole Spalmadori il mare raggiunge profondità
varianti fra i 65 e i 75 metri; anche sotto costa l’acqua è piuttosto profonda.
Chi conosce la lingua letteraria croata e non il dialetto
lesinese che abbonda di venetismi è portato a tradurre il nome
di questa micronesia con “Isola
dell’Inferno”. Ma “pakleni” non
deriva da “paklo” (inferno) bensì da “paklina” che vuol dire resina, pece. La traduzione è, dunque, “Isole della Pece”. Il nome
italiano di Spalmadori – adoperato anche dai Croati autoctoni
dell’isola nonostante la denominazione ufficiale – è comunque
il più adeguato (oltre ad essere il
più antico) perchè sulle isole non
si estraeva la pece, su esse semplicemente pescatori ed armatori andavano a calatafare le navi.
tora esistente nell’unico minuscolo abitato di Vlaka che conta
cinque abitanti in tutto. Altri due
piccoli villaggi sono Palmizana e
Momića Polja, abitati solo periodicamente da chi sull’isola possiede vigneti. Nella cappella di
san Celmente a Vlaka, rifatta in
stile barocco e ancora una volta restaurata nel 1870, si vedono iscrizioni relative alla celebre
battaglia navale di Lissa avvenuta nel 1866 nella quale persero la
vita anche parecchi Lesinesi. Sulla medesima isola sono state rinvenute tracce di castellieri illirici
del primo milennio avanti Cristo
e di abitati romani, questi nella
baia di Solina. A Palmižana, nell’insenatura di Vinogradišće, c’è
una bella spiaggia con arenile circondata dalla pineta che d’estate accoglie un camping. Il locale
marina offre 170 posti barca.
Nulla di particolare si può
dire per le altre isole, eccezion
fatta per Girolamo che porta il
nome di un patrizio lesinese, Girolamo Grivicich, il quale si fece
frate francescano e regalò l’isola
di sua proprietà al Comune, nel
1497. Sull’isoletta fece costruire un piccolo ospizio del quale
si vedono tuttora le rovine. Inoltre pagò le spese per il quadro di
Francesco da Santacroce che si
trova nella chiesa del Convento
francescano di Lesina città.
Giovanni Contus
La rocca di Knin, uno dei centri più importanti dell’entroterra dalmata
Una narrazione lirica, si
potrebbe dire. Guidata dallo sguardo benevolo, quasi di
rimpianto, per il passato. Ma
peo, con tanto stile ed eleganza.
Invece della solita piscina comunale gli abitanti potranno godere del lusso di avere la piscina
collegata all’albergo – boutique
che offrirà cibo, bevande, divertimento e anche il relax di un
centro benessere, ha affermato
Blackard.
Il rappresentante diplomatico
croato negli Stati Uniti, Marijan
Gubić, ha fatto visita tempo addietro alla futura cittadina di
Adriatica, mostrando grande interesse per quest’opera edilizia
così particolare. Ha affermato
inoltre che quest’opera dovrebbe rappresentare anche un invito per tutti i i texani a visitare
l’originale Supetar croata e magari per investire in Croazia e in
particolar modo in Dalmazia.
Tamara Tomić
insieme attraversata, sottotraccia, dagli echi di una tragedia
in arrivo. Forse l’approssimarsi
dell’adolescenza, forse l’emi-
grazione in Germania, forse
altro. “Una nostalgia, qualcosa
che, in case straniere, non passa mai”.
8 dalmazia
Sabato, 8 maggio 2010
VIAGGI Un’opera avvincente di storia e cultura che si legge tutta d’un fiato
L’affascinante Dalmazia di Alberi
Traù
di Dino Saffi
U
n libro affascinante, avvincente! Chi già conosce
il volume “Istria: storia,
arte e cultura” sempre di Dario
Alberi, non può non gettarsi a capofitto nella lettura dell’altrettanto eccellente opera dedicata alla
costa dalmata ed alle sue isole. Il
libro è voluminoso, ben 1.675 pagine che però si leggono, potremmo dire, tutte d’un fiato. Come in
“Istria”, nessun monumento di
nessun luogo, dai piccoli paesini alle città, viene trascurato dalla profonda dedizione dell’autore
guidato da grande passione e soprattutto dal grande amore che lo
lega a queste terre.
L’opera più
completa in lingua
italiana
Ci troviamo al cospetto dell’opera in lingua italiana forse
più completa dedicata alla costa
e alle isole della Dalmazia, nella
sua accezione geografica storica.
Si parte, difatti, dalla Liburnia
per arrivare alla Riviera di Ragusa, si visitano le isole di Cherso e
Veglia, quelle di Arbe e Pago, per
giungre fino alle isole meridionali dell’arcipelago raguseo. Più di
mille città, paesi e borgate vengono descritti con cura e ricchezza di particolari nel loro profilo
storico, artistico e paesaggistico.
Centinaia di cartine e illustrazioni inedite arricchiscono il volume per scoprire ogni angolo di
questo splendido territorio. Siamo di fronte a un libro. indispensabile al turista, allo studioso e
all’appassionato Dario Alberi,
il geometra e imprenditore triestino spentosi all’età di 72 anni,
era un costruttore in tutti i sensi.
Nella sua vita ha voluto sempre
“costruire” qualcosa. Fosse un
edificio, un viaggio o un’opera
letteraria. Alberi era specializzato nel campo della pittura e della decorazione di interni. Un’arte che aveva appreso seguendo
le orme del padre Narciso, assieme al quale - negli anni Sessanta e Settanta - aveva ristrutturato
chiese e palazzi storici di mezza
Trieste e della Regione Friuli Venezia Giulia (dal Castello di Mi-
ramare a Villa Manin di Passariano), ma anche nel resto d’Italia e
all’estero.
In giro con il camper
Con le sue maestranze aveva
contribuito, per esempio, a riportare all’antico splendore vari palazzi
sul Canal Grande di Venezia, poi
aveva lavorato a Verona, a Londra,
a Parigi (nella villa del miliardario
Kashoggi).
Dopo un’intensa vita di lavoro,
aveva passato le redini dell’impresa al figlio, dedicandosi finalmente
a quel che più gli piaceva: viaggiare, soprattutto in Istria e in Dalmazia, le sue mete preferite, attraversate in lungo e in largo, in tutte le
stagioni, prima in barca e poi con
il suo camper. E, ovunque si fermasse, anche davanti a una chiesetta su un colle o a quattro case di
pietra in riva al mare, tirava fuori la macchina fotografica e il suo
block notes per “rubare” le immagini, le informazioni, l’atmosfera
del posto. E, tornato a casa da ogni
viaggio, partendo da quegli appunti, da quegli schizzi e da quelle fotografie, incominciava una ricerca paziente, anzi una “ricostruzione”, vera e propria. Che partiva
dalle vicende storiche, dai nomi
dei luoghi, perfino dagli aneddoti,
collegando pazientemente tutte le
tessere, come in un mosaico, fino
a ridar vita a questo affascinante
“atlante dell’anima”.
La sua casa di Duino era in realtà una splendida villa in armonia
con la natura, con una terrazza che
sembrava la prua di una nave, protesa sul mare. Un comodo approdo
per la sua barca a vela, di cui però
- confessava - dopo tanto navigare lungo le coste dell’Istria e tra le
isole della Dalmazia si era alla fine
stufato, preferendole un camper
ben attrezzato, con cui affrontare
anche le strade sterrate dell’interno della penisola istriana e giù giù
fino a Cherso, Veglia, Lussino e oltre, fino alla Dalmazia tutta.
co ad un percorso tutto in bianco
nero che è un dettaglio della modernità di questa guida.
«Un’altra avventura»
Tutto ruota attorno
alle città
A chi gli chiedeva che cosa lo
avesse spinto a un lavoro di ricerca durato anni e anni, Dario Alberi
con un sorriso rispondeva: “Potrei
dire che me l’ha ordinato il medico:
Basta auto, alla tua età: vai a piedi!,
mi disse quando andai in pensione.
Così sono andato a camminare, con
la mia compagna e il cane”. Divertendosi molto, diceva. E così ha riscoperto prima l’Istria, poi la Dalmazia, dando modo anche agli altri
di conoscere, per il tramite delle sue
opere, queste due splendide regioni.
Infatti dopo “la sua Istria”, Dario
Alberi ha pianificato una nuova impresa, dedicando tutto il suo interesse alla Dalmazia. “Sarà un’altra avventura - aveva detto, con l’entusiasmo di un ragazzino - perchè anche
della Dalmazia si trova niente in libreria”. E il suo libro si configura
davvero per il lettore come un’avventura bellissima.
Per la Dalmazia di Dario Alberi transitano il soffio di San Marco e la forza del Leone: è una terra di incanti che va dal Quarnero
all’area ragusea. Dentro le quasi
1.700 pagine ci sono il condensato storico e culturale di secoli
di storia. Le mani di Dario Alberi riproducono un territorio ed anche i paesaggi dell’anima. Barca,
camper, matite e carta sono stati
gli strumenti del suo viaggio in
Istria e Dalmazia. Guide senza
nemmeno una foto potrebbero
sembrare un’assurdità oggidì, in
un’epoca tutta schiava delle immagini. Invece diventano il respiro stesso della modernità, il viati-
Il titolo di questa opera, scrive
l’autore scomparso, si dovrebbe
rìferire alla meravigliosa Litoranea adriatica, (1.035 chilometri),
che potremmo definire la “Strada
del sole”, un’arteria piena di curve, che attraverso tutta la Dalmazia. L’opera - è la conclusione della secca prefazione di Dario Alberi - si potrebbe anche riferire alle
“città dalmate”, in quanto la storia
della Dalmazia è compresa quasi
tutta nella storia delle sue città. Per
secoli, infatti, l’ambito geografico
dalmata è rimasto circoscritto soprattutto a una stretta fascia costiera, in quanto i turchi erano padroni
dell’entroterra. Solamente nel diciottesimo secolo le forze ottomane sono state respinte indietro e si
è arrivati agli attuali confini fra la
Dalmazia (ovvero la Croazia) e la
Bosnia ed Erzegovina.
Non si può conferire, naturalmente, alla storia legata a doppio
filo ai vari “campanili” un unico
registro: le città sono abbastanza
diverse per essere considerate separatamente una dall’altra ma, nello stesso tempo, abbastanza simili
e, pertanto, è a queste che bisogna
guardare per capire la vera essenza
delle vicende storiche regionali. Si
tratta di vicende che sono per molti ancora semisconosciute. Inoltre la
Dalmazia è anche una terra che per
secoli ha mantenuto pure tantissimi
nomi italiani per le località, fino agli
inizi del ventesimo secolo. Nomi da
non dimenticare. Ed anche questo
è un pregio non da poco di quest’opera che li immortala.
Anno VI / n. 54 dell’ 8 maggio 2010
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
Edizione: DALMAZIA
Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Teo Superina
Collaboratori: Barbara Rosi, Igor Kramarsich, Tamara Tomić, Giovanni Contus
e Dino Saffi
Sebenico, la storia della Dalmazia è “concentrata” nelle sue città
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004
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L`affascinante Dalmazia di Dario Alberi