Un volume avvincente L’affascinante Dalmazia di Dario Alberi DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww Dino Saffi a pagina 8 IL PROLOGO La «scelta», molla scatenante degli esodi di Dario Saftich La guerra degli anni Novanta ha scavato solchi profondi tra la gente. La nascita dei nuovi Stati sulle ceneri dell’ex Jugoslavia, e in particolare le divisioni su base nazionale e confessionale in Bosnia ed Erzegovina, con la creazione di confini ufficialmente “inesistenti”, ovvero invisibili, ma ben percepibili dalle popolazioni interessate, ha favorito l’innescarsi di un esodo strisciante verso le rispettive “Nazioni madri”. Complice anche l’istituto della doppia cittadinanza, tantissimi croati di Bosnia hanno lasciato la loro terra, oppure si sono radicati... a metà nelle aree più vicine al confine, soprattutto in Dalmazia. Ormai è ben nota la vicenda degli elenchi elettorali “gonfiati” nelle località limitrofe all’Erzegovina, che ha scatenato l’ira di parecchi partiti convinti di essere danneggiati alle elezioni amministrative da quello che vedono come una sorta di “turisti del voto”. Ma non è certo la volontà di inquinare le elezioni in Croazia a spingere i croati di Bosnia a prendere la residenza in Dalmazia: l’obiettivo di fondo è quello di poter godere di qualche beneficio, di cui fruiscono i “residenti veri”, ma forse a volte anche il desiderio di poter disporre di qualche carta di riserva da giocare nel caso le cose dovessero mettersi di nuovo male nei rapporti tra i popoli bosniaci. Non per niente la volontà di Zagabria di cancellare la doppia residenza (per adeguarsi alle disposizioni europee) ha suscitato un’autentica psicosi tra i croati di Bosnia, mes- si con le spalle al muro, spesso terrorizzati dall’idea di essere costretti a compiere una scelta netta. Di fronte alle “minacce” neanche tanto velate di un esodo ancora più massiccio verso la Croazia, le modifiche di legge sono state annacquate. In altre parole pur cancellando formalmente la doppia residenza, dovrebbero permanere i benefici che essa attualmente comporta. Serviranno chiaramente acrobazie amministrative e burocratiche per conseguire questo risultato. Ma quello che più interessa dall’ottica nostrana è il fatto che l’evocazione di un esodo di massa dei croati di Bosnia, abbia spinto gli analisti in Croazia a tracciare dei “parallelismi psicologici” con un altro esodo, troppo spesso dimenticato, quello degli italiani dalla Dalmazia, da Fiume e dall’Istria. Il noto scrittore croato, originario della Bosnia, Miljenko Jergović, sullo “Jutarnji List” è stato molto chiaro: “Dopo l’altra guerra le autorità jugoslave hanno costretto gli italiani istriani e dalmati a compiere una scelta: o rimanere oppure optare per la cittadinanza italiana e andarsene. Circondati dall’ostilità della popolazione slava maggioritaria, con lo stimma di essersi stati a fianco del potere fascista di Mussolini, gli italiani indigeni hanno scelto in massa la partenza per l’Italia. A prescindere dal fatto che sia stata concessa loro a prima vista la facoltà di scegliere, da un punto di vista tecnico, ma anche morale, si è trattato di un genocidio. Possiamo, ma anche non dobbiamo, dalmazia An no VI • 2010 n. 54 • o i g g Sabato, 8 ma Imotski, molti bosniaci di etnia croata hanno la “residenza” in questa località dalmata di confine accettare il pretesto che quelli erano altri tempi e che dopo il 1945 allo stesso modo si sono comportati altri Stati e altri poteri vincitori”. Al ragionamento di Jergović si deve aggiungere, perlomeno, il ricordo di un altro esodo, di un altro calvario, quello degli italiani di Dalmazia dopo la Prima guerra mondiale, già allora costretti a “scegliere”. Ora lo stesso incubo, pur con tutte le dovute differenze storiche, si ritrovano a viverlo le popolazioni della Bosnia e in genere dell’ex Jugoslavia, venute a trovarsi in una “zona sbagliata”. Corsi e ricorsi della storia, si dirà. Ma anche un modo per capire che davvero è necessario comprendere le tragedie del passato per evitare che abbiano a ripetersi... Il caso bosniaco evidenzia che non siamo di fronte a un luogo comune... La storia dalmata si dimostra ancora una volta emblematica per discernere quanto è successo poi anche nell’entroterra. 2 dalmazia Sabato, 8 maggio 2010 PERSONAGGI Il celebre compositore, nato a Spalato il 18 aprile del 1819, moriva il 21 m Il padre italiano e dalmata dell’opere Francesco Ezechiele Ermenegildo Su di Barbara Rosi C osmopolita, eclettico, è stato un personaggio indubbiamente singolare nel panorama musicale mondiale, che ha avuto i suoi maggiori successi come autore di operette, genere nel quale si rivelò assai prolifico, lasciando dietro di sé una serie di lavori dai nomi altisonanti, come era costume dell’epoca: La bella Glatea, Banditi a cavallo, La dama di picche, Cavalleria leggera, Poeta e contadino. Ma nonostante ciò, per alcuni versi è caduto nell’oblio, forse anche perché “oscurato” dalla fama di coloro che, tutt’oggi, sono considerati i veri re del genere, vale a dire Johann Strauss jr. e Jacques Offenbach. Di Francesco Ezechiele Ermenegildo Cavaliere Suppé-Demelli, universalmente noto come Franz von Suppé, ricorre, il 21 maggio prossimo, il 115.esimo anniversario della morte. L’omaggio triestino A questo compositore nato a Spalato, triestino d’adozione, viennese per spirito e natura e in assoluto cosmopolita per educazione, contemporaneo di Johann Strauss figlio, di cui poco si esegue e meno ancora, forse si conosce, in particolar modo nella sua città natia, il capoluogo giuliano dedica un omaggio nell’ambito del 41.esimo Festival internazionale dell’ope- retta (organizzata dal Teatro Lirico “Giuseppe Verdi”, da sempre fiore all’occhiello della programmazione artistica della Fondazione lirica triestina, la manifestazione si terrà a dall’8 al 24 luglio 2010). La Sala de Banfield Tripcovich ospiterà, il 9 luglio, l’Hommage a Suppé, una carrellata tra le più belle marce, ouvertures, arie tratte da La bella Galatea, Boccaccio, Poeta e contadino, ecc. Dunque Trieste rispolvera questo musicista, generalmente noto come il “padre dell’operetta viennese”, un protagonista la cui “luce” e il successo furono di tale portata, tra la metà e la fine del XIX secolo, da resistere al confronto e rivaleggiare con il francese Jacques Offenbach. Del resto, considerato il suo “pedigree”, Suppé è stato quasi predestinato a diventare una promessa come compositore di opere teatrali. Infatti, era imparentato niente meno che con un “luminare” dell’opera quale Gaetano Donizetti – era un suo “cugino” di grado lontanissimo –, che prese una parte attiva nell’istruzione del Nostro, quando il talento del compositore, all’epoca ancora in erba, era diventato già evidente. Il cosmopolitismo nelle vene Francesco Ezechiele Ermenegildo, Cavaliere-Suppé Demelli, vede la luce a Spalato il 18 aprile del 1819 (muore a Vienna il 21 maggio del 1895). Per parte paterna, la sua famiglia, di cui si ha traccia fin dal XVI secolo, è austriaca di estrazione fiamminga; la madre, Katharina Landovsky, viennese di nascita, vanta ascendenze boeme e polacche. Ma in casa si parla l’italiano. Il padre del compositore, Pietro de Suppé-Demelli, di Cremona, arriva a Spalato dove viene trasferito in quanto funzionario dell’amministrazione austriaca. Infatti, dopo secoli di dominio veneziano, crollata la Serenissima e liquidata la presenza francese-napolenonica, la città dalmata era entrata a far parte della vasta compagine multietnica degli Asburgo. La famiglia inizial- mente scoraggia la carriera musicale di Suppé, per la quale il giovane dimostra indubbie attitudini quale compositore. Già a 13 anni scrive la sua prima messa, la nota Missa dalmatica, eseguita per la prima volta in una chiesa francescana a mente – Donizetti, nel 1842). Ma il padre ha previsto un altro futuro per il ragazzo: lo vuole giurista. E su pressioni paterne Francesco Suppé si iscrive all’Università di Padova, per studiare diritto, anche se, segretamente, continua a curare la passione per la musica, in particolare durante le visite a Milano, dove può ascoltare le opere di Gioachino Rossini e Gaetano Donizetti, e dove incontra il giovane Giuseppe Verdi. Dall’Italia a Vienna La copertina del manoscritto del Requiem in do minore di Franz von Suppé (si noti la grafia del suo nome proprio, Suppé) Presto però il genitore muore (1835) e il giovane lasciò il Belpaese – dove comunque torna spesso, curando il contatto con Donizetti, che lo ospita per brevi periodi, e gli fornisce anche qualche consiglio – per trasferirsi, con la madre, a Vienna, e immergersi tutto nella musica. Aveva già pronta la sua prima operina, Il pomo, composta a Zara nel 1834, né ha dimenticato i brevi soggiorni bergamaschi, che rievoca con la sua prima opera comica, intitolata appunto Bergamo (1840). Scorci Debutta giovanissimo: aveva 13 anni quando compose la «Missa Dominica», che fu eseguita per la prima volta nella chiesa francescana di Zara nel 1832 Zara, nel 1832. Suppé apprende i rudimenti musicali proprio a Zara – dove frequenta il Ginnasio – dal direttore di Banda, Ferrari, e dall’organista del Duomo, Cigala. Lo «zio» Donizetti Ama l’Arte dei Suoni, in particolare il flauto (a Verona, durante l’adolescenza, studierà flauto e armonia); ma gli piace anche cantare, tanto che, con gli anni, maturerà una robusta voce baritonale, che saltuariamente esibirà anche sul palcoscenico (interpreta addirittura la parte di Dulcamara ne L’elisir d’amore, guarda caso dell’amato “zio” – come lo chiama familiar- Simon Sechter (organista, compositore e direttore d’orchestra austriaco, noto anche come teorico e didatta); poco dopo comincia la sua carriera di direttore allo “Josephstädter”, inizialmente senza essere pagato, ma con la possibilità di poter rappresentare lì le proprie opere. Infatti, qppena giunto a VienLa sua vita ha una svolta quando na compone subito un’altra Messa conosce Franz Pokorny, il direttore (1836) e una nuova opera, Virginia del teatro “Josephstädter”. Nella ca- (1837); fra il 1841 e il 1845 ha già pitale austriaca, dopo aver frequen- al suo attivo più di una ventina di tato (con scarso successo) il Poli- lavori teatrali, fra quali Gertrude tecnico e la Facoltà di Medicina, della Valle (su libretto del dalmata decide di intraprendere l’attività di Giovanni Brazzanovich), rappremusicista, guadagnandosi qualcosi- sentati con successo a Bratislava, na come suonatore di flauto e inse- Sopron e Baden. gnante di italiano. Ha come maestri Una carriera Ignaz von Seyfried (compositore, direttore d’orchestra e insegnante in ascesa di musica austriaco; è stato uno dei Sono anni in cui la sua carriera direttori d’orchestra più noti del suo tempo a Vienna, allievo, tra gli altri, musicale è in costante, rapida ascedi W. A. Mozart e di Johann Georg sa. Ed è proprio ciò che lo spinge Albrechtberger, e in rapporti di ami- a “ribattezzarsi”: considerato che cizia con Ludwig van Beethoven) e sulla scena viennese occorreva, Suppé con alcuni musicisti e compositori viennesi: Carl Binder, Anton M. Storch, Heinrich Proch e Anton Emil Titl, litografia di Josef Kriehuber, 1852 dalmazia 3 Sabato, 8 maggio 2010 maggio 1895 nella capitale asburgica etta viennese: uppé Demelli i storici di Spalato, città natale di Suppé La lista delle sue composizioni comprende ben 30 operette e più di 180 fra balletti e altre musiche di scena tuttavia, un nome che suonasse meglio del suo, troppo italiano, “nasce” Franz von Suppé. Del resto, nell’idioma tedesco, “Suppe” significava “brodo”, il che, nell’ambito della critica teatrale, veniva usualmente adoperato in senso negativo. “Franz” per Francesco e “von” al posto del nobiliare “de” completarono il suo biglietto da visita “mitteleuropeo”, viennese. Tra i suoi indubbi successi, arriva, nel 1846, Poeta e contadino, commedia cantata che, fra i suoi primi titoli, è quello che tutt’oggi viene eseguito, magari solo per alcuni brani, come la celebre ouverture. Ormai è anche un affermato direttore d’orchestra, la produzione di nuovi titoli prosegue febbrile. Nel 1860 compone l’operetta di due atti Das Pensionat, dedicata alla figlia del suo benefattore Pokorny, Alois; è con quest’opera che Suppé dà inizio al fortunatissimo genere dell’operetta viennese, genere che nei decenni successivi sarebbe poi stato ripreso da diversi compositori, fra i quali Johann Strauss figlio. Dopo il fallimento del teatro “Josephstädter” diventa direttore al “Kaitheater” (poi distrutto da un incendio), per poi spostarsi definitivamente al “Carltheater”, con l’attore e manager Carl Treumann. A seguito dei suoi grandi successi, dovuti all’attività di compositore, nel 1881, riceve la cittadinanza viennese con tutti gli onori. Celebri ouverture La lista delle composizioni di Suppé conta 30 ben operette e più di 180 fra balletti e altre musiche di scena. Sebbene la maggior parte delle opere di Suppé siano quasi affondate nell’oblio, le sue ouverture sono celebri tutt’oggi. Fra suoi titoli più significativi, da ricordarsi Der Tannenhäuser (parodia del wagneriano Tannhäuser), La bella Galatea (prima Operetta austriaca, che precede di 9 anni il Pipistrello di Strauss), Cavalleria leggera (1866), Fatinitza (1876, operetta) dove fa cantare una donna travestita da ufficiale russo ed il cui successo gli consente di comprarsi una bella villa (oggi Museo Suppé), ancora una parodìa di Wagner, Lohengelb. Viene invitato con tutti gli onori a Un clima «fecondo» Nella seconda metà dell’Ottocento cominciò a inasprirsi la questione del Regno di Dalmazia: i politici croati chiedevano l’annessione della regione alla Croazia, osteggiati dagli autonomisti (italiani). Per un po’ di tempo i dalmati italiani riuscirono a evitare, o meglio a posticipare la dipendenza da Zagabria. Alle accese lotte politiche, tra il 1860 e il 1866 la Dalmazia visse una significativa fioritura culturale, e in questo clima nacque e cominciò a formarsi Francesco de Suppè Demelli. Attivi erano i teatri di Zara, Sebenico e Spalato, i cui edifici nel XIX secolo, venivano costruiti in base alla tipologia degli edifici teatrali barocchi italiani (ma i teatri dalmati possedevano delle soluzioni originali derivanti dalla sintesi delle condizioni ambientali e della realtà umana e sociale propria del territorio). Oltre al teatro “Nobile”, inaugurato nel 1783, Zara ebbe il “Teatro Nuovo”, progettato dall’architetto Miho Klaić nel 1865. Nei teatri dalmati più importanti, come il teatro “Bajamonti” di Spalato e il “Bondin” di Ragusa, il pubblico poteva assistere alle migliori opere liriche italiane di Donizetti, Verdi e Bellini, eseguite da orchestre esterne o da dilettanti locali. Nel 1863 a Zara si esibì la grande diva Eleonora Duse ne “I miserabili” di Victor Hugo. Sempre a Zara operò, in quegli anni, il maestro d’orchestra de Suppé, il quale, il 7 agosto del 1860, tenne un concerto presso la locale Società Filarmonica, suscitando un entusiasmo irrefrenabile con il refrain “Tu Dalmazia mio suol natio” e con il motivo “Desio per la Dalmazia”, che fu assunto dalla cittadinanza quale proprio inno. Nel 1876, dopo aver festeggiato il successo di Fatinitza, pensò che era diventato opportuno rivedere il suo primo lavoro di musica sacra. Commentando, in una lettera al francescano Donato Fabianić, un amico d’infanzia di Zara, scrisse: “Il mese scorso ho notato per caso una parte della composizione che ho scritto a tredici anni a Zara e che è stata allestita nella chiesa di San Francesco, con il vostro aiuto. Confesso che mi è venuto da ridere molto quando ho visto quello che è stato scritto. È una sciocchezza, senza voce guida, armonia e carattere, senza il minimo sentore di arte musicale, con melodie banali e profane. E mi è venuta l’idea di riscriverlo...”. Sotto il titolo di Missa Dalmatica quam terna virili voce pulsantibus organis concinendam, composuit et Dalmatiae patriae suae dicavit Franciscus nob. Suppé, questa seconda versione della giovanile Missa Dalmatica debuttò nel 1890 sotto la direzione del maestro di cappella della cattedrale di Zara, il Mo. Antonio Ravasio. Va ricordato che il milanese Ravasio (1835 – 1912) fu anche il primo maestro concertatore del Teatro Nuovo di Zara, teatro che fu eretto su proposta del musicista e critico musicale Giovanni Salghetti Drioli, della famiglia proprietaria di una delle maggiori distillerie di maraschino della città, e raccolta da alcuni degli zaratini più in vista: lo stesso Salghetti Drioli, assieme a Natale Filippi, Simeone Cattich, Antonio de Stermich di Valcrociata, Nicolò Luxardo, Giuseppe Perlini ed altri, costituirono quindi la Società per Azioni del Teatro Nuovo, Il frontespizio della Missa Dalmatica che incaricò del progetto l’architetto veneziano Enrico Trevisanato; la direzione dei lavori venne affidata all’architetto zaratino Miho Klaić. I lavori iniziarono il 25 aprile 1864, ancor prima che giungessero i necessari permessi da Vienna. La costruzione venne affidata all’imprenditore zaratino Angelo Cantù (proti muratori Nicolò Trigari e Giovanni Mazzoni), l’ossatura interna a Francesco Fabbrovich, coadiuvato dai maestri d’ascia Francesco Fisser, Guglielmo Zillio, Giacomo Uzigović; la decorazione interna al triestino Leone Bottinelli e al veneziano Carlo Franco; il palcoscenico a Jacopo Caprara. Il teatro costò la ragguardevole cifra di 110.000 fiorini e venne aperto al pubblico la sera del 10 settembre 1865 per la festa di commiato del governatore barone Lazar de Mamula; l’inaugurazione ufficiale ebbe luogo il 7 ottobre 1865, vigilia del santo patrono San Simeone profeta e da allora data d’inizio della stagione teatrale, con la rappresentazione di Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Il Maestro Ravasio scritturò per la stagione il soprano Lena Tencajoli, il soprano leggero Fanny Guillemin, il baritono Ercole Storti-Gozzi e il basso Giuseppe Wagner. Per decenni il teatro sarà il centro della vita culturale ed artistica zaratina. Vi avranno luogo spettacoli di vario genere: opere liriche, operette, balletti, commedie, drammi, spettacoli di varietà, film muti e sonori, balli e veglioni. La locale Società Filarmonica (fondata nel 1858) vi teneva da sei a otto concerti nell’apposita sala del secondo piano, della capienza di 400 posti a sedere, mentre il teatro poteva ospitare 1.500 spettatori: un numero esorbitante, tenuto conto del fatto che la città in quegli anni contava dai sette ai diecimila abitanti. Nel 1870 il Teatro Nuovo subì un incendio le cui cause non furono chiarite: secondo alcuni, si trattò di un atto doloso, in quanto il teatro era il simbolo degli italiani della Dalmazia. Bayreut (1876), a Parigi, Bruxelles e in Italia, nel 1879, anno in cui consegna il suo capolavoro, l’operetta Boccaccio, alla quale si sono ispirate varie canzonette triestine. Nel 1888 sarà a Trieste, ospite della “Colonia americana” (già “club dei papagài”) della quale compose l’Inno intitolato Blangémose alla Colonia americana, su testo di Augusto Levi. Suppé fu, dunque, l’italiano iniziatore dell’operetta viennese. Muore il 21 maggio 1895. Ad accompagnarlo, al cimitero, una folla enorme, al canto della sua marcia Oh tu Austria mia. Quasi tutta Vienna è ai suoi funerali. valevano scene d’inseguimenti di cavalli al galoppo. Immeritato oblio Colonne sonore Oggi non rimangono che le sue ouvertures, tra le quali le più celebri sono senza dubbio Poeta e Contadino e Cavalleria leggera. La prima è caratteristica per il valzer sentimentale che arriva dopo la potenza tumultuosa dell’insieme orchestrale ed i suoi ritmi esuberanti. La seconda inizia con la fanfara, specchio della tradizione militare austriaca, ma è im- La tomba di Franz von Suppé provvisamente interrotta da una “czarda” ungherese, e chiude con l’eccitante galoppo equestre che richiama, per l’esaltazione del dinamismo ritmico, l’ouverture del Guglielmo Tell rossiniano. Entrambe queste ultime due hanno fatto da colonna sonora a tanti film e addirittura a cartoni animati, nei quali pre- Uno dei motivi dell’oblio di Suppé è forse il suo tipo di valzer: il suo lato debole, se lo si confronta con il grande Strauss. Quelli che compose per La bella Galatea e per Fatinitza furono definiti “non straussiani”. Di gradevole ascolto è anche l’ouverture Il labirinto della fortuna, della quale anche Donizetti non avrebbe disdegnato i brontolii oscuri ed agitati che lasciano poi il seguito al fluire di una dolce melodia e di un galoppo intriso di malinconia. La produzione di Suppé è sostanzialmente limitata all’operetta, mentre il Suppè “serio”, autore, fra l’altro, di lieder e di musica sacra – tra cui la nota Missa Dalmatica – resta ancor sempre poco conosciuto. I 115 anni trascorsi dalla sua scomparsa potrebbero essere un’occasione più che opportuna per riscoprire la sua opera e rappresentare alcuni dei suoi titoli anche e soprattutto nei teatri di Spalato e Zara. 4 dalmazia Sabato, 8 maggio 2010 Sabato, 8 maggio 2010 SPORT Per praticare questo sport «modesto» bastava la passione. Eppure, nonostante tutto, i successi e i grandi giocatori non sono mancati in Dalmazia (2 e fine) Spalato, stella di prima grandezza anche nel firmamento del calcetto Calcio e calcetto, due mondi due sport. Oggi questi due sport hanno giocatori propri, proprie Federazioni. Però non tanti fa andavano a “bracetto” tanto che condividevano i giocatori e quasi tutto il resto. Ma vediamo di scoprire come sia cresciuto questo sport, che ancora oggi molti trattano come solo un divertimento. Spalato è stato uno dei principali centri in Croazia in cui il calcetto ha messo radici profonde. A rrivò la guerra e inevitabilmente i vari campionati e tornei finirono per spegnersi. L’amore verso questo sport rimase grande, però si dovettero aspettare i primi mesi del 1993 per veder “nascere” il primo campionato croato di calcetto. Interessante rilevare che questo torneo alla fine “incoronò” il campione per l’anno 1992?!? Al primo campionato nazionale l’unica squadra a rappresentare la Dalmazia fu la Truman, ribattezzata con il nome di Truman Elektroprijenos. Quattro i tornei Il campionato venne ripartito in quattro tornei disputati nelle città di Fiume, Virovitica, Zagabria e Osijek. Alla fine, nonostante tante squadre potessero godere dell’“aiuto” di sva- riati giocatori di calcio professionisti, la Truman Elektroprijenos conquistò un ottimo secondo posto piazzandosi a soli tre punti dal primo classificato. La squadra ebbe pure il miglior attacco con 61 reti e la seconda difesa. Alcuni mesi prima di partecipare al campionato nazionale, la squadra prese parte al terzo campionato spalatino di prima divisione, durante il quale venne a mancare il tris nelle vittorie. L’attesa spasmodica del primo campionato nazionale, svariate assenze e infortuni fecero sì che la squadra si dovette accontentare del secondo posto. Nella stagione successiva, 1993, il campionato fu di nuovo organizzato a livello di piccoli tornei, tra giugno e luglio. Due turni vennero disputati pure a Spalato. Alla fine la La prima partita storica della squadra spalatina nell’UEFA futsal cup Truman Elektroprijenos conquistò di nuovo il secondo posto, a cinque punti dal vincitore. In questo campionato giocò pure un’altra squadra spalatina, la Matt, finita terza. Nella stagione 1993/94, la prima in cui ci fu un vero campionato con le classiche partite di andata e ritorno, la Truman Elektroprijenos finì terza a soli tre punti dal Sokoli di Samobor, che conquistò il titolo a sorpresa. Alle sue spalle si piazzò la Matt. Anni di vacche magre La coppa per la vittoria nel campionato della Croazia rimasta per sempre a Spalato e Video Nes. Da notare che la lega era composta da ben sei squadra spalatine, tre di Ragusa (Dubrovnik), due di Metković e una di Pola. Fece seguito un’altra stagione interlocutoria con un terzo posto nel campionato meridionale e la sconfitta nel quarti di finale contro i futuri campioni, la squadra zagabrese di Uspinjača. La rifondazione La squadra dell’ultimo “scudetto”, quello del 2005/06 Campione nazionale per la stagione 2001/02 risultati sempre peggiori non soltanto a livello nazionale, ma pure a livello spalatino. Pertanto il 27 settembre 1996 venne decisa la fusione tra il Truman Picasso e il Ballantines (ex Matt). Visto che nel 1996 la città di Spalato si ritrovò a festeggiare i 1700 anni dalla sua fondazione, la nuova squadra prese il nome di Split 1700. E fu subito un successo! Nel campionato 1996/97 la compagine non ebbe in pratica avversari degni di tal nome e stravinse il campionato. Si impose con ben otto punti di vantaggio sulla seconda classificata. Nonostante lo strapotere iniziale seguirono tre stagioni buie in cui la squadra finì nell’ordine, quarta, settima e seconda. In seguito il campionato cominciò a subire delle modifiche e la forza della squadra spalatina iniziò a scemare. Il campionato venne suddiviso in due leghe e la squadra, ora con il nome di Truman Picasso, arrivò soltanto quarta nel campionato meridionale. E per giunta si piazzò al quarto posto tra le squadre spalatine dietro a Foto Ante Stojan, Matt La crisi si fece via via sempre più acuta e la forza dell’ex Optimist andò scemando a vista d’occhio, con Titoli a bizzeffe Nella stagione 2000/01 la compagine iniziò il campionato in sordina con un secondo posto nel torneo meridionale; però poi nei quarti riuscì a battere il sempre ostico e forte Uspinjača di Zagabria, mentre in semifinale sconfisse il vincitore del campionato settentrionale, il Petar RKM (Zagabria). E infine nella finale ad arrendersi dinanzi agli spalatini fu lo Square (Ragusa/Dubrovnik). E così per la squadra, nel frattempo ribattezzata con il nome di Split Star šport, arrivò il secondo titolo nazionale. Seguirono altri tre titoli nazionale. Gli spalatini registrarono una serie di successi pure nel campionato 2004/ 05, però caddero a sorpresa nei quarti di finale contro i cugini del Torcida Eu. Nav. Nella stagione 2005/06, nonostante il mediocre terzo posto nel campionato, arrivò il nuovo titolo nazionale, con la vittoria in finale contro l’emergente Gospić. Manca il guizzo finale Seguono infine anni trascorsi al vertice, ma senza il guizzo finale. La concorrenza a Spalato divenne via via sempre più agguerrita. Nel 2006/ 07 la squadra uscì di scena già nelle semifinali; nel 2007/08 arrivò alla finale però perse il titolo contro il Gospić, mentre nella stagione 2008/ 09 fu sconfitta già in semifinale dalla compagine istriana di Sottopedena, il Potpićan ‘98. In Europa discreti risultati Nella Coppa Croazia la squadra spalatina ha registrato ottimi successi appena dal 2000. La prima vittoria l’ha sfiorata nella stagione 1996/97, quando è stata battuta nella partita di ritorno della finale. Ha fatto seguito una nuova sconfitta nella finale a una sola partita. Il primo successo è arrivato nella stagione 2000/01 con la vittoria contro lo Square (Ragusa/Dubrovnik) per 5-4. Successo poi ripetuto nel- La coppa per la vittoria nel campionato 2001/02 le successive due stagioni. Dopo il terzo posto nella stagione 2003/ 04 gli spalatini sono tornati a vincere la coppa nel 2004/05 e 2005/ 06. Infine nelle ultime due stagioni, 2007/08 e 2008/09 sono stati battuti in finale. La squadra ha partecipato anche a cinque edizioni della Coppa Europea, passando regolarmente il primo turno Fior di campioni per un gioco spesso considerato di «seconda classe» Goran Kovačević, Željko Babić e Denis Kosor Sono le prime stelle della società spalatina. Si tratta di giocatori che sono stati scoperti giovanissimi nelle scuole del professor Vibor Velčić, loro primo allenatore. Per anni sono stati le colonne portanti del gioco della squadra del capoluogo dalmata. Sono stati loro a trascinare il club sulla strada del successo negli anni ‘80 e in buona parte degli anni ‘90. Le statistiche ufficiali ci dicono che Denis Kosor ha disputato 186 partite segnando 134 reti, Željko Babić (170-119) e Goran Kovačević (143141). Nella nazionale croata ha giocato solo Denis Kosor (una presenza e una rete). Nei campionato croati Željko Babić ha totalizzato 71 presenze con 39 reti. Per Denis Kosor 131 e 82. Aljoša Staničić, Alen Depont, Siniša Burazer e Ivica Osibov Sono le stelle spalatine che hanno brillato nei vari campionato croati. Secondo l’ultima statistica ufficiale della società Aljoša Staničić è in assoluto il giocatore con più presenze, ben 192. Oltre al portiere in campo si è distinto negli anni d’oro della società in particolare Alen Depont, con 151 presenze e 231 reti! Registriamo pure i dati lusinghieri di Siniša Burazer (150-92) e Ivica Osibov (125-121). In nazionale il più gettonato è stato Alen Depont con 33 presenze e otto reti, seguito da Ivica Osibov (22-7) e Aljoša Staničić (14). Nella lista della nazionale di tutti i tempi spiccano i nomi di Frane Despotović con 45 presenze (secondo posto) e 11 reti e Nikola Tomičić (41-16). Robert Jarni, un grande sia nel calcio sia nel calcetto Uno degli ultimi grandi difensori dell’Hajduk. Nazionale croato sia di calcio, sia di calcetto, una vera rarità. Nato a Čakovec il 26 ottobre 1968, i primi passi li compie nella squadra della città natia, il MTČ. Nel 1985 arriva a Spalato e solo un anno dopo debutta in prima squadra al Trofeo Marjan. Per l’Hajduk gioca come seniores per cinque anni, fino al 1991. In totale per lui vi sono 232 presenze e 48 reti. Due i trofei vinti con l’Hajduk, ovvero due coppe di Jugoslavia nel 1986/87 e nel 1990/91. Una volta lasciato l’Hajduk comincia il suo girovagare per l’Europa. Prima tappa l’Italia, ovvero il Bari. Dopo due anni passa a Torino: dapprima nel 1993 per un anno sfonda nelle file granata e poi pure per un anno si va valere alla Juventus. Con i bianconeri vince sia lo scudetto che la Coppa Italia. Nell’estate del 1995 va in Spagna. Prima per tre anni è membro del Real di Betis e dopo per un anno, dal 1998, del Real Madrid con il quale vincerà la coppa Intercontinentale. Seguono due stagioni al Las Palmas e poi in Grecia con il Panathinaikos. Nella sua lunga carriera ha giocato pure per la selezione mondiale. Con la nazionale juniores della Jugoslavia ha vinto nel 1987 il Campionato del mondo. Nella nazionale della Jugoslavia ha totalizzato sette presenze e una rete. Da segnalare la sua partecipazione ai mondiali I numeri 1992/93 Prima lega Secondo posto con sette vittorie, tre pareggi e una sconfitte, differenza reti 61-25. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Luka Kokeza, Marko Mijić, Denis LučićLavčević, Denis Kosor, Siniša Burazer, Goran Kovačević, Ivo Vidošević, Dean Galić, Željko Babić e Frane Peroš. Migliori marcatori Goran Kovačević con 15 e Siniša Burazer con 10 reti. di Igor Kramarsich ([email protected]) italiani del 1990. Seguono altri due mondiali con la Croazia, nel 1998 (medaglia di bronzo) e nel 2002. Con la nazionale della Croazia ha esordito nel 1990 e ha chiuso ai mondiali del 2002. Per lui pure la partecipazione agli Europei del 1996. Per la nazionale croata ha disputato 81 partite e segnato una rete (pesante visto che è stata segnata ai mondiali del 1998). Per sei anni, dal 2000 al 2006, è stato il giocatore con più presenze in nazionale. E’ un raro esempio di giocatore che, oltre ad aver avuto una grande carriera nel mondo del calcio, ha registrato pure risultati invidiabile nel mondo del calcetto. A questo gioco si è affacciato nel 2003 con il Split Gašperov. E’ stato subito un successo. Con la compagine spalatina ha vinto due campionati nazionali, nel 2004 e 2006, e due coppe nazionali, nel 2005 e 2006. Inevitabile che indossasse pure la maglietta della nazionale. Ha collezionato in totale quattro presenze, segnando pure tre reti. La squadra che ha giocato il primo campionato croato, 1992/93 5 1999/00 Prima lega Secondo posto con 16 vittorie, tre pareggi e sette sconfitte, differenza reti 151-106. A giocare la maggioranza delle partite sono stati: Alen Depont, Denis Kosor, Željko Blagajić e Aljoša Staničić. Migliori marcatori Alen Depont con 68 e Siniša Alebić e Denis Kosor con 15 reti. 2000/01 Prima lega, girone sud Secondo posto con otto vittorie, uno pareggi e tre sconfitte, diffe1993 Prima lega renza reti 53-43. Campione nazioSecondo posto con cinque vit- nale dopo i play off! A giocare la torie, quattro pareggi e una sconfit- maggioranza delle partite sono state, differenza reti 51-26. A giocare ti: Ante Perajica, Aljoša Staničić, la maggioranza delle partite sono Ivo Podrug e Alen Depont. Migliostati: Luka Kokeza, Denis Kosor, ri marcatori Alen Depont con 24 e Siniša Burazer, Goran Kovačević, Ivica Osibov con 14 reti. Ivo Vidošević e Željko Babić. Migliori marcatori Ivo Vidošević con 2001/02 Prima lega 17 e Željko Babić con nove reti. Primo posto con 17 vittorie, due pareggi e tre sconfitte, 1994 Prima lega differenza reti 107-48. A giocaTerzo posto con 13 vittorie, re la maggioranza delle partiquattro pareggi e tre sconfitte, te sono stati: Alen Depont, Sladifferenza reti 90-42. A giocare ven Gračanin, Ivo Podrug, Ivan la maggioranza delle partite sono Botić, Pjer Malvasija e Nikola stati: Siniša Burazer, Denis Ko- Tomičić. Migliori marcatori Ivisor, Ivo Vidošević, Denis Lučić- ca Osibov con 26 e Alen Depont Lavčević, Nikša Zokić, Goran con 24 reti. Kovačević e Željko Babić. Migliori marcatori Denis Kosor con 2002/03 Prima lega 18 e Ivo Vidošević con 17 reti. Primo posto con 18 vittorie, due pareggi e due sconfitte, dif1994/95 Prima lega, ferenza reti 132-54. A giocare la girone sud maggioranza delle partite sono Quarto posto con 11 vittorie, stati: Ivo Osibov, Sandro Salaquattro pareggi e sette sconfitte, can, Pjer Malvasija, Alen Depont differenza reti 121-105. A giocare e Ivan Vujinović. Migliori marcala maggioranza delle partite sono tori Ivica Osibov e Alen Depont stati: Frane Peroš, Joško Vrgoč, con 28 reti Željko Babić, Kristijan Sindik, Siniša Burazer e Ivo Vidošević. 2003/04 Prima lega Migliori marcatori Siniša BuraPrimo posto con 17 vittorie, zer con 18 e Ivo Vidošević con quattro pareggi e una sconfitta, 17 reti. differenza reti 108-58. A giocare la maggioranza delle partite sono 1995/96 Prima lega, stati: Dean Banić, Josip Čagalj, girone sud Aljoša Staničić, Alen Depont, Terzo posto con 11 vittorie, tre Frane Josipović e Nikola Tomičić. pareggi e cinque sconfitte, diffe- Migliori marcatori Senudin Džafić renza reti 97-77. A giocare la mag- con 20 e Alen Depont con 19 reti. gioranza delle partite sono stati: Joško Biskupović, Denis Lučić2004/05 Prima lega Lavčević, Joško Vgoč e Aljoša Primo posto con 18 vittorie, un Staničić. Migliori marcatori Srđan pareggio e tre sconfitte, differenza Kovač con 17 e Joško Biskupović reti 115-64. Sconfitta nei quarti di con 14 reti. finale dei play off per il titolo. A giocare la maggioranza delle par1996/97 Prima lega tite sono stati: Alen Depont, Ivica Primo posto con 16 vittorie, tre Osibov, Frane Despotović, Sandro pareggi e tre sconfitte, differen- Salacan e Ivo Jukić. Migliori marza reti 121-68. A giocare la mag- catori Alen Depont con 39 e Ivica gioranza delle partite sono stati: Osibov con 22 reti. Siniša Burazer, Joško Biskupović, Željko Mijić, Renato Brajko, 2005/06 Prima lega Srđan Kovač, Nikola Tomičić e Terzo posto con 12 vittorie, sei Pjer Malvasija. Migliori marca- pareggi e due sconfitte, differenza tori Srđan Kovač con 29 e Niko- reti 95-48. Campione nazionale la Tomišić e Pjer Malvasija con dopo i play off! A giocare la mag24 reti. gioranza delle partite sono stati: Robert Jarni, Frane Despotović, 1997/98 Prima lega Ivica Osibov, Ivo Jukić e Vibor Quarto posto con 14 vittorie, Podlipec. Migliori marcatori Sersei pareggi e quattro sconfitte, ginho Camara Sobral con 30 e Sedifferenza reti 127-86. A giocare nudin Džafić con 20 reti. la maggioranza delle partite sono stati: Denis Kosor, Pjer Malva2006/07 Prima lega sija, Joško Buskupović, Joško Terzo posto con 14 vittorie, Silić, Aljoša Staničić e Alen De- cinque pareggi e tre sconfitte, difpont. Migliori marcatori Alen De- ferenza reti 85-41. Terzo posto nei pont con 29 e Pjer Malvasija con play off per il titolo. 26 reti. 2007/08 Prima lega 1998/99 Prima lega Secondo posto con 17 vittorie, Sesto posto con 12 vittorie, due pareggi e tre sconfitte, diffedue pareggi e dodici sconfitte, renza reti 110-47. Sconfitta nella differenza reti 134-143. A gio- finale dei play off per il titolo. care la maggioranza delle partite sono stati: Joško Buskupović, 2008/09 Prima lega Siniša Burazer, Srđan Kovač, Secondo posto con 14 vittoDenis Kosor, Zoran Marković rie, tre pareggi e cinque sconfite Ivo Vidošević. Migliori mar- te, differenza reti 84-47. Sconfitcatori Srđan Kovač con 46 e ta nella semifinali dei play off per Denis Kosor con 15 reti. il titolo. 6 dalmazia Sabato, 8 maggio 2010 LIBRI L’avvincente raccolta di racconti di Marica Bodrožić ci riporta indietro negli ann Tito, la Dalmazia e il nonno: un di Mauro Cereghini A rriva in libreria “È morto Tito”, raccolta di racconti di Marica Bodrožić, scrittrice tedesca di origini croate. Gli anni Ottanta dell’entroterra dalma- ta, tra natura possente e religiosità popolare, scrive “Osservatorio sui Balcani” sono al centro della narrazione. Una scrittura che è poesia narrata, a tratti fantastica. “In paese da giorni non si parlava d’altro. Il televisore era incandescente, e il nonno non capiva perché mai un uomo appena morto e già sottoterra corresse di qua e di là sullo schermo”. Inizia così “È morto Tito”, raccolta di racconti della giovane scrittrice tedesca di origini dalmate Marica Bodrožić. E già da queste prime frasi si possono cogliere alcune caratteristiche ricorrenti nel libro. Lo sguardo anzitutto, quel misto di innocenza infantile e distacco sognante che dà un tono lieve, quasi ironico al narrare. Il titolo potrebbe far pensare ad un lavoro sulla figura di Josip Broz, o dove comunque la sua presenza sia incombente. Invece l’unico dei ventiquattro brevi racconti ad accennare qualcosa di vagamente politico è il primo, da cui viene il titolo del libro. Tutto il restante materiale è narrazione di vita, ritratti di personaggi semplici o curiosi nella Dalmazia degli anni ottanta, a tratti scrittura fantastica che sconfina nella poesia. Parole come Jugoslavia, Croazia o socialismo neppure compaiono. STORIE DI PAESE Storie di paese dunque, tanto che più di Tito risulta protagonista il nonno. È lui a comparire più spesso nei racconti della Bodrožić bambina, o della controfigura narrante, ed è con la sua morte che si chiude il libro. Preludio per un passaggio all’età adulta dell’autrice – “gli anni lontani dell’oblio di sé erano ormai perduti” – come forse la morte di Tito lo è stata per il suo paese. Insieme al nonno compaiono altre figure familiari a partire dai genitori, seppure spesso lontani per lavoro, e poi zio Joseph l’emigrante, zia Aurora che perse due figli, Rado e Ana promessi sposi traditi o Lore la cantautrice. Una piccola spoon river dell’entroterra dalmata, una cronaca di villaggio fatta con gli occhi curiosi e ingenui di una bambina, che scopre il mondo duro e arretrato dei contadini. UNA CAMPAGNA ARIDA Anche questo si può cogliere dall’incipit del libro: siamo negli anni Ottanta del ventesimo secolo, in un Paese europeo alle soglie dell’era digitale, eppure c’è ancora un mondo della terra che fatica a capire la televisione. Le persone sono in lotta con la natura aspra circostante, le estati afose, gli inverni gelidi, le serpi che uccidono. La campagna della Dalmazia interna è arida, sassosa, pretende fatica e silenzio. “Le diventavano sempre più chiare le leggi di quel paese maledetto e il fatto che quella terra di nessuno si sarebbe definitivamente impossessata di lei se non si fosse decisa ad andarsene”. Il mare non è lontano, qualcuno si imbarca e lo attraversa. Altri par- tono per lavorare all’estero, i gastarbeiter che mantenevano parte dell’allora Jugoslavia con i soldi spediti ai familiari. Ma insieme la impoverivano di menti e braccia proprio nelle sue regioni più povere. LA PULSIONE ALL’URBICIDIO Così dalla poetica impoliticità dei racconti, il lettore può cogliere comunque dati profondi su quello che è stato uno dei retroterra per la catastrofe degli anni novanta. La povertà materiale e culturale delle periferie rurali, il senso di solitudine autistica, la pulsione all’urbicidio di cui ha scritto Bogdan Bogdanović. Quell’invidia rabbiosa che porta gli abitanti del villaggio a devastare i campi del signor Kovinjski in uno dei racconti, L’amante dei gigli. “In quella notte, chi era a favore dei fiori era contro il paese e la sua gente, e questo tutti quegli uomini in preda all’ira non potevano tollerarlo”. UN CATTOLICESIMO RADICATO Un’altra caratteristica che emerge è la pervasiva religiosità popolare. La Bodrožić bambina la respira dentro e fuori casa, ora con curiosità e leggerezza – “Vivevo con tranquillità quelle ore silenziose e sature di incenso” – ora invece con timore. Un cattolicesimo duro e radicato, che il quarantennio socialista non ha piegato. Una religiosità dove chi sopravvive al morso di un serpente è bollato come maligno, dove cioè si mescolano riti sacri e cre- denze popolari, controllo sociale e invocazioni per il raccolto. A farci caso, siamo negli stessi anni e nelle stesse zone in cui inizia il fenomeno di Međugorje. LA NATURA E infine, ma è più corretto dire soprattutto, la natura. I racconti sono immersi nelle descrizioni di fiori, alberi, insetti, nuvole, pioggia… Gli elementi materiali e animali sono forse i protagonisti principali accanto all’autrice bambina che va scoprendo il mondo. Nostalgia di una naturalità perduta, ma ancor più spunti per fantasticare sulla realtà, o per immaginare altri mondi fantastici. “Si scatenarono dei temporali e il vento non risparmiò più nulla. Al suo passaggio lasciò tutto cambiato. Caddi, la mia pelle escoriata attirava gli insetti. Cominciai a immaginare di possedere più corpi. Avevo nostalgia dei pezzi del mio corpo volati via”. TORTUOSO E CREATIVO La scrittura a volte si fa onirica, difficile da seguire perché abbraccia il registro poetico. Le parole si fanno suoni, colori di un racconto che avanza per suggestioni. Complesso, tortuoso e creativo lo definisce Claudio Magris nell’introduzione, dove rende omaggio alla capacità dell’autrice di usare la lingua tedesca pur mantenendo una luce dalmata. Altrettanta capacità è servita credo alla traduttrice, per questo esordio italiano della Bodrožić merito della casa editrice Zandonai, sempre attenta ai fermenti mitteleuropei. Un imprenditore sta realizzando una copia fedele della località dalmata San Pietro della Brazza rivive in Texas Dopo più di cinque anni di lotte senza quartiere con l’amministrazione, per districarsi tra piani urbanistici e questioni burocratiche, l’imprenditore Jeffry Blackard ha iniziato la sua singolare impresa edilizia nei pressi della città di McKinney, nel nord del Texas. La notizia desta un certo interesse vista l’idea dell’imprenditore di costruire una cittadina che dovrebbe fregiarsi del nome di Adriatica ed essere praticamente una copia dell’idilliaca località di Supetar (San Pietro della Brazza) sull’isola di Brazza (Brač). A dare particolare risalto all’investimento è stato il giornale “Dallas Business Journal”. Dopo aver investito nella realizzazione di strutture ricettive e alberghi a Supetar l’imprenditore Blackard, presidente dell’azienda Blackard Group Inc., “innnamoratosi” della graziosa località dalmata, ha deciso di costruirne una pressoché identica dalle sue parti, nel Texas. L’imprenditore ha iniziato la sua opera acquistando 18 ettari di terreno con un lago delle stesse dimensioni nel ranch di Stonebridge, nella contea del Collin. Anche la riva del lago è stata modificata per permetterle di avere le esatte dimensioni della riva di San Pietro della Brazza. Tra mille difficoltà i lavori, alfine, hanno avuto inizio. Nella prima fase delle cinque previste per la costruzione della cittadina, è stato scelto di realizzare un castello ed una spaziosa zona uffici su una superficie di circa 2.790 metri quadri. Si è deciso di ubicare la struttura su un piccolo colle all’entrata della cittadina. Questo è il luogo in cui saranno ubicate alcune tra le più importanti strutture della località tra le quali l’agenzia immobiliare Keller Williams. Lo spazio rimanante sarà riservato a tre piccole strutture: la Starbucks, un bar per la degustazione di vini ed un centro benessere. L’imprenditore Blackard per poter avere una visione completa della cittadina isolana e per riuscire nella sua opera di riprodurre negli States la copia fedele della località di San Pietro della Brazza, è solito recarsi in Dalmazia praticamente ogni tre settimane. Anche la provenienza della pietra utilizzata per le costruzioni di cui dovrebbe fregiarsi la Supetar americana sarebbe la stessa utilizzata da Michelangelo per le sue opere. Per quanto riguarda invece la costruzione di abitazioni, i la- de e le altre opere infrastruttu- collaboratore Gary Schell, prevori avranno inizio una volta ul- rali. Per la costruzione di case sidente della rinomata ditta Intimate la lastricatura delle stra- Blackard ha ingaggiato come novative Custom Homes di San Francisco. Gli affari stanno andando a gonfie vele, a quanto pare, visto che tante delle strutture ancora in costruzione sono già state vendute: tra queste tredici lussuose ville accanto al lago, la cui superficie varia da un minimo di 230 ad un massimo di 600 metri quadri. Il prezzo? Da capogiro come del resto quello delle case in Dalmazia: si va da 500mila a 1 milione di dollari. Sono state già vendute anche 62 case a schiera la cui superficie va dai 150 ai 320 metri quadri per un prezzo che “spazia” dai 275mila agli oltre 50 mila dollari. ˝Adriatica sarà una vera e propria cittadina di tipo euro- dalmazia 7 Sabato, 8 maggio 2010 i Ottanta del Ventesimo secolo no sguardo benevolo al passato Un paradiso dinanzi a Lesina Le isole Spalmadori proprio non c’entrano con l’inferno Parte integrante del panorama di Lesina-città è la micronesia delle Isole Spalmadori (Pakleni otoci) che chiudono e proteggono il porto e il Canale. Quest’ultimo ha una larghezza massima di 5 chilometri e minima di 600 metri, e con ciò abbiamo fornito anche le distanze fra Lesina e la collana di isole e scogli dirimpettai che si estende per undici chilometri. Si va da Vodnjak Veli, la più estrema verso Est, agli isolotti di Galesnik e Pokonji Dol, quest’ultimo all’ingresso sud-orientale del Canale con sopra la torre del faro. Fra le due estremità si trovano le isole di Vodonjak Mali e San Clemente che è la maggiore e alle cui spalle giacciono Dobri e Stambedar, quindi Borovac, Planikovac, Marinkovac, Paržanj, Jerolim (Girolamo), tutte emergenti dal mare ad un’altezza fra i 25 e i 45 metri, eccezion fatta La calatafatura con pece e resina si riferiva in particolare alle galee veneziane, per cui dal sostantivo “spalmador” in veneto, è derivato Spalmadori. Ed dalla corruzione del verbo “spalmar” è derivato il nome di una baia sull’isola di San Clemente: Palmižana. Un editto medievale minacciava severe punizioni per chi inquinasse le acque del porto della città di Lesina. Per sradicare una vecchia abitudine dei pescatori che facevano pulizia delle barche proprio nel porto, e lì incatramavano le chiglie con la pece, fu ordinato che questi lavori fossero eseguiti esclusivamente nelle baie delle isole deserte dirimpettaie. E da allora fu così. L’isola maggiore, San Clemente (chiamata Isola Grande fino al XV secolo) prende il nome da una cappella del santo, costruitavi nel XIV secolo e tut- per la maggiore la cui massima cima raggiunge i 96 metri e sembra una montagna. La fascia costiera di queste isole scarnificate, calcaree, è completamente nuda e rocciosa, e molto articolata. I rilievi, invece, sono coperti da macchie e bassa boscaglia. I canali fra isola ed isola hanno bassi fondali, non raccomandabili per la navigazione su grosse imbarcazioni; le correnti marine sono forti, specialmente quando soffiano i venti meridionali. Nel canale fra Lesina-città e le isole Spalmadori il mare raggiunge profondità varianti fra i 65 e i 75 metri; anche sotto costa l’acqua è piuttosto profonda. Chi conosce la lingua letteraria croata e non il dialetto lesinese che abbonda di venetismi è portato a tradurre il nome di questa micronesia con “Isola dell’Inferno”. Ma “pakleni” non deriva da “paklo” (inferno) bensì da “paklina” che vuol dire resina, pece. La traduzione è, dunque, “Isole della Pece”. Il nome italiano di Spalmadori – adoperato anche dai Croati autoctoni dell’isola nonostante la denominazione ufficiale – è comunque il più adeguato (oltre ad essere il più antico) perchè sulle isole non si estraeva la pece, su esse semplicemente pescatori ed armatori andavano a calatafare le navi. tora esistente nell’unico minuscolo abitato di Vlaka che conta cinque abitanti in tutto. Altri due piccoli villaggi sono Palmizana e Momića Polja, abitati solo periodicamente da chi sull’isola possiede vigneti. Nella cappella di san Celmente a Vlaka, rifatta in stile barocco e ancora una volta restaurata nel 1870, si vedono iscrizioni relative alla celebre battaglia navale di Lissa avvenuta nel 1866 nella quale persero la vita anche parecchi Lesinesi. Sulla medesima isola sono state rinvenute tracce di castellieri illirici del primo milennio avanti Cristo e di abitati romani, questi nella baia di Solina. A Palmižana, nell’insenatura di Vinogradišće, c’è una bella spiaggia con arenile circondata dalla pineta che d’estate accoglie un camping. Il locale marina offre 170 posti barca. Nulla di particolare si può dire per le altre isole, eccezion fatta per Girolamo che porta il nome di un patrizio lesinese, Girolamo Grivicich, il quale si fece frate francescano e regalò l’isola di sua proprietà al Comune, nel 1497. Sull’isoletta fece costruire un piccolo ospizio del quale si vedono tuttora le rovine. Inoltre pagò le spese per il quadro di Francesco da Santacroce che si trova nella chiesa del Convento francescano di Lesina città. Giovanni Contus La rocca di Knin, uno dei centri più importanti dell’entroterra dalmata Una narrazione lirica, si potrebbe dire. Guidata dallo sguardo benevolo, quasi di rimpianto, per il passato. Ma peo, con tanto stile ed eleganza. Invece della solita piscina comunale gli abitanti potranno godere del lusso di avere la piscina collegata all’albergo – boutique che offrirà cibo, bevande, divertimento e anche il relax di un centro benessere, ha affermato Blackard. Il rappresentante diplomatico croato negli Stati Uniti, Marijan Gubić, ha fatto visita tempo addietro alla futura cittadina di Adriatica, mostrando grande interesse per quest’opera edilizia così particolare. Ha affermato inoltre che quest’opera dovrebbe rappresentare anche un invito per tutti i i texani a visitare l’originale Supetar croata e magari per investire in Croazia e in particolar modo in Dalmazia. Tamara Tomić insieme attraversata, sottotraccia, dagli echi di una tragedia in arrivo. Forse l’approssimarsi dell’adolescenza, forse l’emi- grazione in Germania, forse altro. “Una nostalgia, qualcosa che, in case straniere, non passa mai”. 8 dalmazia Sabato, 8 maggio 2010 VIAGGI Un’opera avvincente di storia e cultura che si legge tutta d’un fiato L’affascinante Dalmazia di Alberi Traù di Dino Saffi U n libro affascinante, avvincente! Chi già conosce il volume “Istria: storia, arte e cultura” sempre di Dario Alberi, non può non gettarsi a capofitto nella lettura dell’altrettanto eccellente opera dedicata alla costa dalmata ed alle sue isole. Il libro è voluminoso, ben 1.675 pagine che però si leggono, potremmo dire, tutte d’un fiato. Come in “Istria”, nessun monumento di nessun luogo, dai piccoli paesini alle città, viene trascurato dalla profonda dedizione dell’autore guidato da grande passione e soprattutto dal grande amore che lo lega a queste terre. L’opera più completa in lingua italiana Ci troviamo al cospetto dell’opera in lingua italiana forse più completa dedicata alla costa e alle isole della Dalmazia, nella sua accezione geografica storica. Si parte, difatti, dalla Liburnia per arrivare alla Riviera di Ragusa, si visitano le isole di Cherso e Veglia, quelle di Arbe e Pago, per giungre fino alle isole meridionali dell’arcipelago raguseo. Più di mille città, paesi e borgate vengono descritti con cura e ricchezza di particolari nel loro profilo storico, artistico e paesaggistico. Centinaia di cartine e illustrazioni inedite arricchiscono il volume per scoprire ogni angolo di questo splendido territorio. Siamo di fronte a un libro. indispensabile al turista, allo studioso e all’appassionato Dario Alberi, il geometra e imprenditore triestino spentosi all’età di 72 anni, era un costruttore in tutti i sensi. Nella sua vita ha voluto sempre “costruire” qualcosa. Fosse un edificio, un viaggio o un’opera letteraria. Alberi era specializzato nel campo della pittura e della decorazione di interni. Un’arte che aveva appreso seguendo le orme del padre Narciso, assieme al quale - negli anni Sessanta e Settanta - aveva ristrutturato chiese e palazzi storici di mezza Trieste e della Regione Friuli Venezia Giulia (dal Castello di Mi- ramare a Villa Manin di Passariano), ma anche nel resto d’Italia e all’estero. In giro con il camper Con le sue maestranze aveva contribuito, per esempio, a riportare all’antico splendore vari palazzi sul Canal Grande di Venezia, poi aveva lavorato a Verona, a Londra, a Parigi (nella villa del miliardario Kashoggi). Dopo un’intensa vita di lavoro, aveva passato le redini dell’impresa al figlio, dedicandosi finalmente a quel che più gli piaceva: viaggiare, soprattutto in Istria e in Dalmazia, le sue mete preferite, attraversate in lungo e in largo, in tutte le stagioni, prima in barca e poi con il suo camper. E, ovunque si fermasse, anche davanti a una chiesetta su un colle o a quattro case di pietra in riva al mare, tirava fuori la macchina fotografica e il suo block notes per “rubare” le immagini, le informazioni, l’atmosfera del posto. E, tornato a casa da ogni viaggio, partendo da quegli appunti, da quegli schizzi e da quelle fotografie, incominciava una ricerca paziente, anzi una “ricostruzione”, vera e propria. Che partiva dalle vicende storiche, dai nomi dei luoghi, perfino dagli aneddoti, collegando pazientemente tutte le tessere, come in un mosaico, fino a ridar vita a questo affascinante “atlante dell’anima”. La sua casa di Duino era in realtà una splendida villa in armonia con la natura, con una terrazza che sembrava la prua di una nave, protesa sul mare. Un comodo approdo per la sua barca a vela, di cui però - confessava - dopo tanto navigare lungo le coste dell’Istria e tra le isole della Dalmazia si era alla fine stufato, preferendole un camper ben attrezzato, con cui affrontare anche le strade sterrate dell’interno della penisola istriana e giù giù fino a Cherso, Veglia, Lussino e oltre, fino alla Dalmazia tutta. co ad un percorso tutto in bianco nero che è un dettaglio della modernità di questa guida. «Un’altra avventura» Tutto ruota attorno alle città A chi gli chiedeva che cosa lo avesse spinto a un lavoro di ricerca durato anni e anni, Dario Alberi con un sorriso rispondeva: “Potrei dire che me l’ha ordinato il medico: Basta auto, alla tua età: vai a piedi!, mi disse quando andai in pensione. Così sono andato a camminare, con la mia compagna e il cane”. Divertendosi molto, diceva. E così ha riscoperto prima l’Istria, poi la Dalmazia, dando modo anche agli altri di conoscere, per il tramite delle sue opere, queste due splendide regioni. Infatti dopo “la sua Istria”, Dario Alberi ha pianificato una nuova impresa, dedicando tutto il suo interesse alla Dalmazia. “Sarà un’altra avventura - aveva detto, con l’entusiasmo di un ragazzino - perchè anche della Dalmazia si trova niente in libreria”. E il suo libro si configura davvero per il lettore come un’avventura bellissima. Per la Dalmazia di Dario Alberi transitano il soffio di San Marco e la forza del Leone: è una terra di incanti che va dal Quarnero all’area ragusea. Dentro le quasi 1.700 pagine ci sono il condensato storico e culturale di secoli di storia. Le mani di Dario Alberi riproducono un territorio ed anche i paesaggi dell’anima. Barca, camper, matite e carta sono stati gli strumenti del suo viaggio in Istria e Dalmazia. Guide senza nemmeno una foto potrebbero sembrare un’assurdità oggidì, in un’epoca tutta schiava delle immagini. Invece diventano il respiro stesso della modernità, il viati- Il titolo di questa opera, scrive l’autore scomparso, si dovrebbe rìferire alla meravigliosa Litoranea adriatica, (1.035 chilometri), che potremmo definire la “Strada del sole”, un’arteria piena di curve, che attraverso tutta la Dalmazia. L’opera - è la conclusione della secca prefazione di Dario Alberi - si potrebbe anche riferire alle “città dalmate”, in quanto la storia della Dalmazia è compresa quasi tutta nella storia delle sue città. Per secoli, infatti, l’ambito geografico dalmata è rimasto circoscritto soprattutto a una stretta fascia costiera, in quanto i turchi erano padroni dell’entroterra. Solamente nel diciottesimo secolo le forze ottomane sono state respinte indietro e si è arrivati agli attuali confini fra la Dalmazia (ovvero la Croazia) e la Bosnia ed Erzegovina. Non si può conferire, naturalmente, alla storia legata a doppio filo ai vari “campanili” un unico registro: le città sono abbastanza diverse per essere considerate separatamente una dall’altra ma, nello stesso tempo, abbastanza simili e, pertanto, è a queste che bisogna guardare per capire la vera essenza delle vicende storiche regionali. Si tratta di vicende che sono per molti ancora semisconosciute. Inoltre la Dalmazia è anche una terra che per secoli ha mantenuto pure tantissimi nomi italiani per le località, fino agli inizi del ventesimo secolo. Nomi da non dimenticare. Ed anche questo è un pregio non da poco di quest’opera che li immortala. Anno VI / n. 54 dell’ 8 maggio 2010 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat Edizione: DALMAZIA Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Teo Superina Collaboratori: Barbara Rosi, Igor Kramarsich, Tamara Tomić, Giovanni Contus e Dino Saffi Sebenico, la storia della Dalmazia è “concentrata” nelle sue città La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004