I SETTE PRINCIPI DELLA
TEORIA DELLA
COMPLESSITÀ
Noi abbiamo accettato la sfida della complessità.
L’abbiamo studiata, approfondita, elaborata. Per
accettare la sfida della complessità non è comunque
necessario leggere libri o consultare riviste. La sfida
della complessità ha a che fare con il vissuto di
ognuno di noi. Per accettare la sfida della complessità
è sufficiente immergersi nella rete della vita con gli
occhi aperti e la curiosità tipica dei bambini (De Toni,
Comello, p. 82)
1. Autoorganizzazione
La vita è il riflesso di un fenomeno molto più ampio,
che mi piacerebbe vedere definito da una legge
antagonista al secondo principio della
termodinamica: una legge che descrivesse la
tendenza della materia a organizzarsi e che
prevedesse le proprietà generali dell’organizzazione
che ci aspetteremmo di riscontrare nell’universo.
(Farmer, 1998)
• Nel concetto di autoorganizzazione è
implicita una «chiusura» del sistema su se
stesso che gli permette di mantenere una sua
singolarità.
→ I sistemi viventi sono dotati di una
“chiusura operazionale” che ne permette
l’autonomia rispetto all’ambiente e la
produzione autosufficiente di significato
(N. Wiener)
• I biologi cileni Maturana e Varela hanno
approfondito l’auto-organizzazione dei
sistemi viventi definendola auto-poiesi
(Varela, Maturana 1985)
– Es. Immunologia come respingere il non-sé
Se ne deduce che:
1) i processi di auto-organizzazione
dell’organismo non sono identici ai processi di
auto-organizzazione dell’ambiente.
2) tuttavia, la continua interazione fra organismo e
ambiente fa sì che si istituiscano degli
“accoppiamenti strutturali”, che consentono
all’organismo di sviluppare delle organizzazioni
interne che, pur essendo autonome, sono in
risonanza con la struttura dell’ambiente.
• Esiste una “via di mezzo” fra autonomia
ed eteronomia, fra solipsismo ed eterodeterminazione del soggetto, che permette
di pensare «la co-emergenza delle unità
autonome e dei loro mondi» (Varela, 1985,
p. 132).
I sistemi complessi sono
auto-eco-organizzati
• Ciascun individuo è dotato di proprie
logiche e di una produzione autonoma di
significato.
«Occorre mettersi nella testa di un altro senza
ridurre la logica dell’altro alla propria logica, e
lasciare che l’altro compia un’analoga
operazione di “trans-spezione” (M. Maruyama)
nei nostri confronti» (Ceruti, 1985, p. 15).
• Il mondo degli individui è costituito da tanti
punti di vista irriducibili l’uno all’altro, ma
che, ciononostante, possono dialogare fra
loro.
→ non esiste una “teoria del tutto”,
una master equation, una grand theory
• La nozione di complessità conduce ad un
“arretramento” “quasi estetico” di fronte a
teorie onnicomprensive, ma semplificatrici
(Stenger, 1985, p. 51).
• Morin usa il termine “dialogica” per
alludere a un siffatto confronto fra più punti
di vista:
C’è una pluralità di istanze. Ciascuna di queste
istanze è decisiva; ciascuna è insufficiente;
ciascuna di queste istanze comporta il principio
di incertezza […] Il problema […] è di fare
comunicare queste istanze separate; è in
qualche modo di fare il circolo (Morin, 1984, pp.
77-78).
– Il cervello è una proprietà emergente del
cervello
– Gli stormi di uccelli si auto-organizzano
– La vita sociale delle formiche è un sistema
auto-organizzato….
• I sistemi complessi possono essere frutto di
leggi semplici
– Gli uccelli artificiali possono organizzarsi in
stormi obbedendo semplicemente a tre regole:
1. Separazione: si gira per evitare un affollamento
locale
2. Allineamento: gira verso la direzione media degli
uccelli del vicinato
3. Coesione: gira verso la posizione media degli
uccelli del vicinato
PRIGIONIERO A
tace
confessa
PRIGIONIERO B
tace
A ottiene 1 anno A ottiene la libertà
di carcere
B ottiene 20 anno
B ottiene 1 anno di carcere
di carcere
confessa
A ottiene 20
anni di carcere
B ottiene la
libertà
A ottiene 12 anni
di carcere
B ottiene 12 anni
di carcere
• Se il gioco viene «reiterato» (giocato più
volte) diventa sconveniente competere:
conviene cooperare.
Gioco:
http://serendip.brynmawr.edu/bb/pd.html
• logica “passo passo”: si fa un passo e si
attende la risposta dell’ambiente; poi si fa
un altro passo che tiene conto di tale
risposta e così via.
• Un agente adattivo è in continuo scontro con
l’ambiente.
• La previsione è una caratteristica intrinseca dei
sistemi complessi adattativi, che va molto oltre
l’uso cosciente di teorie o modelli.
– Ad esempio la farfalla viceré sarebbe molto gustosa per gli
uccelli, se non fosse che raramente viene mangiata perché il
disegno delle ali imita alla perfezione il disegno delle ali di
una farfalla disgustosa, la farfalla monarca. Il DNA della
farfalla viceré codifica un modello che le permette di
svolazzare, scommettendo la vita sul fatto che tale modello
sia corretto.
– Si ha uno stupefacente caso di perizia implicita negli
architetti medievali che progettarono le grandi capitali
gotiche. Il loro modello di fisica era del tutto implicito e
intuitivo.
• I sistemi evolvono perché sono in
retroazione con l’ambiente: questa è stata
la grande intuizione di Darwin.
 per John Holland la retroazione era la
questione centrale (Waldrop, 1992, tr. it.
2002, p. 286)
• Per Holland la conoscenza:
1. è fatta di strutture mentali che obbediscono a
regole;
2. queste regole sono in competizione fra loro
cosicché l’esperienza rende quelle utili sempre
più forti e sempre più deboli quelle inutili;
3. nuove regole plausibili vengono generate
dalla combinazione di quelle esistenti.
• Questi tre principi provocano l’emergenza di
gerarchie costituendo la struttura organizzativa
di base dell’intera conoscenza umana.
→ Holland chiama questa gerarchia modello
interno
– Ci serviamo di regole generale deboli – con alcune
eccezioni forti – per anticipare le categorie alle quali
appartengono gli oggetti: “Se un organismo ha forma
idrodinamica, è dotato di pinne e vive nell’acqua, allora
è un pesce”, ma “Se ha anche la pelle liscia, respira aria
ed è grande allora è una balena”.
• Holland diceva: “in contrasto con la corrente
ufficiale, ritengo la competizione molto più
essenziale della coerenza”.
• C’è poi una sorta di magia nel fatto che la
competizione produca un incentivo molto forte
alla cooperazione.
Cooperazione e competizione possono sembrare
antitetiche, ma per certi aspetti fondamentali sono due
facce della stessa medaglia (Waldrop, 1992, tr. it. p. 289).
Competizione e cooperazione
• Compresenza di competizione e cooperazione: il
sistemi auto-organizzati competono perché
debbono difendere la propria autoorganizzazione;
debbono cooperare perché hanno bisogno di
interagire con l’ambiente per sopravvivere
– Un’organizzazione è un mix fra competizione e
cooperazione
– Il tutto è più della somma delle parti, ma è anche meno
della somma delle parti
– Per un sano sviluppo psichico, la gratitudine deve
vincere sull’odio (M. Klein)
2. Orlo del caos
Devo trovarmi in uno stato di semi-trance per ottenere questi
risultati: una condizione in cui la parte consapevole è
temporaneamente “fuori uso” e il subconscio assume il controllo
dell’attività compositiva, perché attraverso la parte inconscia
della mente, che appartiene all’Onnipotenza, che arriva
l’ispirazione. Ma devo stare attento a non perdere del tutto la
consapevolezza, altrimenti le idee svaniscono […] Ma non
faccia l’errore, amico mio, di pensare che siccome
attribuisco tutta quell’importanza all’ispirazione che viene
dall’alto non ci sia altro oltre a essa. La struttura è
altrettanto fondamentale, perché senza un’accurata
elaborazione, l’ispirazione è solo “una canna scossa dal
vento” oppure “suono di ottoni e tintinnio di cimbali”.
(Brahms, cit. in De Toni, Comello, p. 114)
• Le quattro classi di universalità di Stephen
Wolfram:
– regole della classe I: regole che portavano al un
“punto attrattore”
– regole della classe II: regole che portavano a un
attrattore periodico
– regole della classe III: regole che portavano al caos
– regole della classe IV: regole che conducevano a
strutture coerenti
• A livello fisico, esistono transizione di
fase di primo e di secondo ordine.
– le prime sono quelle che avvengono in modo
repentino, come il passaggio del ghiaccio ad
acqua quando si superano gli zero gradi.
– esistono però transizioni che nel passaggio
fra i due stati realizzano un perfetto equilibrio.
• In molti sistemi non lineari l’equazione del
moto contiene un parametro numerico che
funziona come una sorta di manopola della
sintonia, che controlla in che misura il
sistema è caotico (Waldrop, 1992, tr. 2002)
→ Chris Langton, per definire questo «stato
di grazia» della transizione, utilizzò il termine
«margine del caos» o «orlo del caos»
Sistemi dinamici
Ordine  “complessità”  caos
Materia
Solido  “transizione di fase”  fluido
Computazione
Termina  “indecidibile”  non termina
Vita
Staticità  “vita/intelligenza”  frenesia caotica
– L’orlo del caos rappresenta una condizione
di «ordine dinamico».
• Prigogine afferma che in condizioni
prossime al disequilibrio la materia, che
prima era «cieca», inizia a «vedere» e si
riescano, conseguentemente, a costruire
nuove relazioni dinamiche, emergenze,
creazioni. Il caos può essere pensato
come un fattore di creatività.
– Naturalmente spingersi troppo in là in
direzione dell’orlo del caos può portare
alla distruzione…
• Sembra che l’evoluzione – anche se è una
questione spinosa dire quale organismo è
più evoluto – spinga gli esseri verso una
maggiore complessità e li renda capaci di
muoversi lungo il margine del caos. Perché?
(Waldrop, 1992, tr. it 1996, p. 475)
– Cfr. con l’universo creativo di Whitehead
La complessità è dunque, almeno in parte, lo
studio dell’innovazione che pervade l’universo
(McElroy, 2000, cit. in De Toni, Comello, p. 123)
• Il fisico Per Bak scoprì quella che lui definì la
«criticità auto-organizzata», ovvero la tendenza dei
sistemi naturali a tendere all’orlo del caos mediante
un’auto-organizzazione.
• L’esempio utilizzato da Bak per descrivere il fenomeno è quello
di granelli di sabbia che cadono costantemente dall’alto fino a
formare un mucchietto di sabbia. Ad un certo punto il
mucchietto di sabbia non riesce più a crescere e risulta
autoorganizzato, nel senso che ha raggiunto una stabilità di per
sé; gli ulteriori granelli scivoleranno lungo le pareti. Il mucchietto
di sabbia si trova in una situazione di criticità, nel senso che i
granelli di sabbia sono appena stabili e sembrano sul punto di
cedere, ma non lo fanno. Non si può dire alla caduta di un
nuovo granello cosa potrà accadere: se una grande frana o un
piccolo spostamento di alcuni granelli. Entrambe le possibilità di
verificheranno, ma le valanghe di grandi dimensioni saranno
rare, mentre i piccoli spostamenti frequenti.
• Anzi, la frequenza media delle grandi valanghe è
inversamente proporzionale a una qualche potenza
della dimensione stessa («legge di elevamento a
potenza»)
→ «è molto importante notare, prosegue Bak, come tale
legge di elevamento a potenza sia molto comune in natura.
È stata osservata nell’attività solare, nella luce emessa
dalle galassie, nel flusso di corrente elettrica che attraversa
un resistore e nel flusso di acqua in un fiume. I grandi
impulsi sono rari, quelli piccoli sono comuni, ma in ogni
caso la frequenza segue questo andamento. il fenomeno è
così diffuso che la spiegazione della sua ubiquità è
diventata uno dei misteri più insondabili della fisica.
Perché?» (Waldrop, p. 491)
• Dal disordine nasce spesso la creazione
Ogni sistema vivente è minacciato dal disordine
ma nello stesso tempo se ne nutre (Morin, 1994,
p. 117)
• Per Dewey la vita è un’alternanza fra ordine
e disordine: la creatura si «mette in moto»
quando percepisce una perdita dell’equilibrio
nell’interazione con l’ambiente.
– Tale concetto è stato presente a lungo in
psicologia nell’idea che gli esseri viventi
perseguissero l’equilibrio, l’omeostasi.
• Freud ne parlava come di «principio di costanza»
→ Tuttavia in Dewey è centrale l’idea che
l’equilibrio che si conquista produce un
incremento qualitativo rispetto
all’equilibrio perduto.
La vita consiste in fasi in cui l’organismo perde il passo
rispetto alla marcia delle cose circostanti e poi lo recupera,
o con uno sforzo o per qualche felice circostanza. E in una vita
che si sviluppa, il ricupero non è mai un mero ritorno allo
stato precedente, in quanto esso si è arricchito dello stato
di squilibrio e di resistenza attraverso il quale è passato con
successo. Se il vuoto tra l’organismo e l’ambiente è troppo
largo, l’essere vivente muore. Se la sua attività non viene
intensificata da un momentaneo dislivello, esso non fa che
vegetare. La vita si sviluppa allorché un momentaneo
sbandamento permette il passaggio a un equilibrio più vasto
tra le energie dell’organismo e quelle delle condizioni in cui esso
vive. (Dewey, Arte come esperienza, cap. 1)
• Anche il nostro senso della bellezza è ispirato
dalla combinazione di ordine e disordine
Perché il profilo di un albero spoglio piegato dal vento
impetuoso contro un cielo serale viene percepito come bello,
mentre il profilo di un edificio universitario funzionale non
viene percepito come tale, nonostante tutti gli sforzi
dell’architetto? La risposta, anche se un po’ speculativa, mi
sembra venire dalla nuova comprensione dei sistemi
dinamici. Il nostro senso della bellezza è ispirato dalla
combinazione armonica di ordine e disordine quale si
presenta in oggetti naturali; in nuvole, alberi, catene di
montagne, cristalli di neve. Le forme di tutti questi oggetti
sono processi dinamici consolidati in forme fisiche, e
particolari combinazioni di ordine e disordine sono tipiche di
tali forme (Gert Eilenberger, Freedom, science and aestetics, in Schӧnheit im
Chaos, p. 35, cit. in Gleich, 1987, tr.it. 2000, p. 120).
• Ma questa è la tesi centrale del libro di
Dewey! L’arte deriva dallo sperimentare
momenti di armonia; ma l’armonia
presuppone la disarmonia, perché…
…laddove ogni cosa è già completa non esiste
compimento. Ci prospettiamo con piacere il
Nirvana e una felicità celestiale e uniforme soltanto
perché essi si proiettano sullo sfondo di questo
nostro mondo di violenza e di lotta.
• L’armonia così raggiunta non è
semplicemente l’opposto della disarmonia,
ma «ingloba» in sé l’emozione e
l’intelligenza profuse nella lotta che hanno
permesso di giungere ad essa.
L’ordine non è imposto dal di fuori, ma è costituito dai rapporti
di reazione armonica che le energie producono l’una sull’altra.
Poiché è attivo (e non statico come sarebbe se fosse estraneo
a ciò che si svolge), l’ordine si sviluppa da sé. […] L’ordine
non può essere che oggetto di ammirazione in un mondo
costantemente minacciato dal disordine. […]
In un mondo come il nostro ogni essere vivente che raggiunga
sufficiente sensibilità ogni qual volta trovi attorno a sé un
ordine confacente accoglie l’ordine corrispondendogli con un
sentimento di armonia.
(Dewey, Arte come esperienza, cap. 1)
Dalla cultura dell’ «or» alla cultura
dell’ «and»
• Accettare l’ordine e il disordine
contemporaneamente significa, più in
generale, accettare la contraddizione (De
Toni, Comello, p. 127) → per la teoria della
complessità il gioco degli opposti non è un
gioco a somma nulla (a differenza di quanto
pensava la scienza classica).
Il pensiero logico, lineare, il pensiero aristotelico per cui A è
A e non può essere «non-A», pur essendo alla base del
nostro processo di conoscenza, non è in grado di aiutarci
ad «interpretare» la realtà complessa dove A è A ma anche
«non-A», dove un evento è illogico ma anche logico, nello
stesso tempo/luogo, ma modificando la configurazione
complessiva (il punto di osservazione potremmo dire)
(Celestino, 2002, cit. in De Toni, Comello, p. 129)
• Si tratta, in definitiva, di una ripresa della
dialettica hegeliana dove, tuttavia, l’esito
non è prestabilito, non è un «sistema»
(come accade nel pensiero hegeliano), ma
è sospinto dal basso, dalla creatività della
natura ed è fondamentalmente aperto.
• Se volessimo fare degli esempi a livello psicologico
potremmo dire che può amare veramente solo chi
ha conosciuto l’odio e l’ha superato; che può essere
veramente temerario chi sa cos’è la paura,
altrimenti è solo uno spericolato: quell’amore, quella
temerarietà contengono il loro opposto, che è stato
in essi «inglobato», «mediato», «sintetizzato»…
• per Jung i contenuti della psiche collettiva (gli archetipi)
hanno natura bivalente: bene/male, forza/debolezza,
calma/imprudenza ecc. Sta al percorso di
individuazione di ciascuno sintetizzarli in una unità più
vasta…
3. Il principio
ologrammatico
La parte è nel tutto, il tutto è nella parte
Morin
Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
Blake
La scienza ha iniziato un dialogo fruttuoso con la natura ma
lo sbocco di questo dialogo è stato dei più sorprendenti. Esso
ha rivelato all’uomo una natura passiva e morta, una natura
che si comporta come un automa che, una volta
programmato, segue eternamente le regole scritte sul suo
programma. In questo senso il dialogo con la natura ha
isolato l’uomo dalla natura, piuttosto di metterlo a più stretto
contatto con essa. Uno dei più grandi successi della ragione
umana è diventato una triste verità. La scienza è stata vista
come una cosa che disincanta tutto ciò che tocca.
Prigogine, Stengers
(1979, tr. it. 1981, p. 8, cit. in De Toni, Comello, p. 135)
→Concezione della natura come un «meccanismo» da
concepire secondo la logica del «riduzionismo» per cui
il tutto è la somma delle parti e un sistema può essere
ridotto all’insieme dei sottosistemi di cui è formato.
→ questa concezione è un’approssimazione che si
può considerare accettabile solo per i sistemi prossimi
all’equilibrio, ma cessa di essere valida per i sistemi
lontani dall’equilibrio, per il quali vale la regola che «il
tutto è più della somma delle parti»
→Lontano dall’equilibrio vengono meno logiche di
tipo «lineare» e parcellare e compaiono
interazioni «non lineari» e globali: «vicino
all’equilibrio la materia è cieca; lontano
dall’equilibrio, inizia a vedere» (Prigogine)
• Ora, siccome ogni sistema ha bisogno di interagire
con l’ambiente per sopravvivere (→ cfr. «sistemi
aperti»), è necessario sottolineare che tale interazione
avviene secondo logiche non-lineari
→L’interazione dell’organismo con l’ambiente è
qualcosa di più di un mero scambio di materia e
informazioni, di un mero adattamento meccanico:
Questi luoghi comuni biologici sono qualcosa di più di
luoghi comuni biologici (Dewey).
→Il mantenimento dell’equilibrio di cui il sistema
vivente ha bisogno per sopravvivere non è
meccanico, ma frutto di una continua tensione;
ed è inoltre cumulativo, capace di «apprendere
dall’esperienza» → Per rendere conto di questa
tensione viva fra organismo e ambiente, Dewey usa
il termine «transattività»
→Certamente i sistemi viventi evolvono perché
sono in «retroazione» con l’ambiente: questa è
stata la grande intuizione di Darwin (Waldrop, cit.
p. 286).
→Ma gli scienziati di Santa Fe, pur non essendo
creazionisti, non riuscivano a convincersi che solo
il caso e la selezione potessero aver combinato
tutto. L’evoluzione sembrava essere qualcosa di
più che non la semplice somma di mutazioni
casuali e selezione naturale (pp. 407 ss.)
• Un sistema, per essere tale, deve essere sia un
«tutto» ma anche articolato in «parti».
– Un sistema complesso è un sistema composto
da molte parti differenziate, organizzate
gerarchicamente (un esempio è il corpo umano),
fra le quali intercorre una fitta rete di relazioni
“non-lineari”.
• Il funzionamento del sistema in quanto «tutto»
coesiste con il funzionamento del sistema in quanto
articolato in parti autonome; analogamente ogni
sistema vivente può essere considerato parte
dell’Ambiente: ogni sistema è auto-ecoorganizzato.
• Al limite si deve considerare l’esistenza di un unico
grande sistema: l’intero universo: ogni suddivisione
in parti è arbitraria e provvisoria e risponde alla
logica delle «parti» (che però sono a loro volta parte
del sistema!):
Il mondo non ci si presenta ordinatamente in sistemi, sottosistemi,
ambienti e così via. Queste sono divisioni che operiamo noi stessi con
vari scopi. È evidente che differenti comunità di osservatori troveranno
conveniente dividere il mondo in differenti maniere, e saranno
interessati a sistemi differenti in situazioni differenti: ora ad esempio
alla cellula, con il resto del mondo come ambiente, e in seguito al
sistema postale, o al sistema economico, o al sistema atmosferico. Le
discipline scientifiche costituite hanno naturalmente sviluppato diverse
maniera privilegiate di dividere il mondo in ambiente e sistema, in linea
con i loro differenti scopi e hanno sviluppato anche differenti
metodologie e terminologie consistenti con le loro motivazioni. (Varela,
1979, cit. in De Toni, Comello, p. 139)
• Il principio ologrammatico* nelle teorie della
complessità si riferisce al fatto che le «parti» sono
«concresciute» (cfr. Whitehead) nel «tutto»
– Ad esempio, il fare un’ «esperienza» comporta un
integrarla in un funzionamento psichico già esistente: l’
esperienza «pura» non esiste se non in quanto collocata
su un sostrato esperienziale già esistente e verrà quindi
«colorata» da questo; a sua volta l’intero psichismo del
soggetto verrà modificato da quell’esperienza.
– Di più: le medesime esperienze, registrate nella
memoria, appaiono diverse, vengono «riprogrammate»,
ogni volta che il soggetto nella sua totalità cambia
* Il termine ologramma deriva dalle parole greche holos (intero)
+ gramma (trasferimento) = trasferimento dell’intero nella parte
La memoria è registrata in modo ologrammatico e richiede
una continua interazione tra parte e totalità; anche la
tessitura semantica del linguaggio richiede un
collegamento analogo, poiché la definizione di una parola
richiama la maggior parte delle parole della lingua. Una
precisa relazione ologrammatica esiste tra la parola e la
frase; infatti il senso della frase è nelle parole, il senso delle
parole è nella frase
De Angelis
(1986, cit. in De Toni, Comello, p. 140)
• Maturana e Varela (1980, tr. it. 1985) parlano di
accoppiamento strutturale per significare gli
accoppiamenti fra organismo e medium
(ambiente)
Se gli organismi viventi in quanto sistemi dinamici hanno
strutture che cambiano continuamente, e se reciprocamente
selezionano l’uno nell’altro i loro rispettivi percorsi di
cambiamenti strutturali ontogenetici mediante le loro interazione
senza perdita dell’autopoiesi, allora essi generano, come un
dominio di interazioni comunicative ricorsivo o in espansione,
ontogenesi inter-allacciate insieme costituenti un dominio di
condotte consensuali che si influenzano reciprocamente che
diventa specificato durante la sua generazione. (Maturana,
Varela, 1973, tr. it. 1985, p. 180)
→ durante le interazioni col medium: cambia la
struttura, permane l’organizzazione (i sistemi vivente
continuano a auto-organizzarsi pur cambiando
strutturalmente → cambiano, ma restano se stessi).
→ passaggio da un paradigma informativo ad un
paradigma perturbativo della comunicazione: in
quest’ultimo caso non è necessario presupporre
un terreno comune fra gli interlocutori, perché
ciascuno costruisce da sé il senso sulla base del
suo dominio cognitivo. (Bocchi, Ceruti, 1985, XIII)
→ tradotto in termini educativi, ciò significa che
non c’è alcun apprendimento senza una
costruzione attiva e autonoma del soggetto.
(idem)
Come è possibile che un sistema esista in un mondo se non
facendosi una rappresentazione di questo mondo? (Varela).
→ questa possibilità deriva dal fatto che i sistemi viventi
sono caratterizzati da “chiusura operazionale”: la
chiusura è capace di una creazione di senso in virtù
della stessa chiusura del sistema
→ I sistemi autonomi obbediscono alla logica
della coerenza interna e si fanno una propria
«immagine» del mondo; un sistema eteronomo
funziona invece con una logica della
corrispondenza e si fa una «rappresentazione»
del mondo
→ il cervello non opera con rappresentazioni del
mondo esterno, ma ciò non significa che sia
una monade che si relaziona solo con sé.
→ La posizione più corretta è quella di
ammettere che ci sia una via di mezzo, nel
vedere come il sistema è il suo mondo
nascono contemporaneamente. (Varela,
in Bocchi, Ceruti, 1985)
PROPOSIZIONI
→ idee (interconnesse in reti proposizionali)
→ conoscenza dichiarativa (teorica)
Ellen D. Gagné:
la conoscenza è
rappresentata
mentalmente da
PRODUZIONI
→ schemi operativi
→ conoscenza procedurale (pratica
= sapere come fare qualcosa)
IMMAGINI
→ rappresentano le informazioni in modo
continuo (piuttosto che discreto come
avviene con e proposizioni)
→ le immagini conservano gli attributi fisici
della realtà (immagini mentali di oggetti)
• I frattali sono legati a quella che Morin chiama
«organizzazione ricorsiva», che è
quell’organizzazione i cui effetti e i cui prodotti
sono necessari per la sua stessa causazione.
→ È il problema dell’auto-organizzazione.
• Una società è prodotta da individui, le cui
interazioni producono una totalità che retroagisce
sugli individui per co-produrli quali esseri umani.
4. Impossibilità della
previsione
• Prigogine e Stengers (1979, tr. it 1999, p. 287)
evidenziano come in certi testi Talmudici si legge
Ventisei tentativi hanno preceduto la genesi attuali e tutti
erano destinati a fallire. Il mondo dell’uomo è uscito dal
grembo caotico di questi detriti anteriori, ma nemmeno
esso ha un certificato di garanzia: anche esso è esposto al
rischio del fallimento e del ritorno al nulla. «Speriamo che
questo funzioni!», esclamò Dio creando il mondo, e questa
speranza ha accompagnato tutta l’ulteriore storia del
mondo e dell’umanità ha sottolineato fin dall’inizio come
questa storia è segnata col marchio della radicale
incertezza.
• La “non-linearità” è l’aspetto fondamentale che
rende un sistema complesso non uguale alla
semplice somma delle parti di cui è costituito. → è
la non linearità che sancisce la non calcolabilità
della dinamica del tutto in termini di sommatoria
della dinamica delle parti.
– La Gestalttheorie ha intuitivamente usato il concetto di
campo per indicare la compresenza di forze che
animano il sistema e che lo rendono dinamicamente un
tutt’uno, non scomponibile nella sommatoria delle parti.
• I. Prigogine ha evidenziato come la non-linearità sia
caratteristica dei sistemi instabili, cioè sistemi lontani
dallo stato di equilibrio.
→Tutti i sistemi possono essere considerati
instabili. Trattarli come stabili può avvenire
per approssimazione e in determinate
condizioni.
→Tale approssimazione è utile perché consente la
“calcolabilità” del sistema in termini riduzionistici e il
sistema diventa, pertanto, prevedibile con buona
approssimazione.
• Questa approssimazione cessa però di diventare
trascurabile nei sistemi lontani dall’equilibrio.
→ Questi richiedono che si abbandoni il
modello meccanicistico che li descrive in
termini di sommatoria della dinamica delle
parti in quanto, in tali condizioni, manifestano
dei comportamenti “intrinsecamente
aleatori”; essi diventano descrivibili solo
probabilisticamente (Prigogine, 1996, tr. it.
1997, p. 35).
• Nei sistemi instabili si generano “fluttuazioni”
che innescano risonanze e correlazioni fra le parti
su distanze macroscopiche: tali risonanze
conducono a comportamenti collettivi che
producono nuove strutture.
• In prossimità dell’equilibrio, come ama
ripetere Prigogine, la materia è “cieca”;
lontano dall’equilibrio, “comincia a
vedere”.
→Le interazioni fra le parti del sistema e quelle
con il contesto, trascurabili in sistemi stabili o
quasi stabili, diventano fondamentali per
descrivere la dinamica di un sistema lontano
dall’equilibrio; i confini del sistema si
indeboliscono e il sistema inizia a interagire
col contesto.
→Tali sistemi instabili incontrano dei “punti di
biforcazione” nei quali essi possono
assumere diverse modalità di funzionamento
collettivo.
→È interessante notare che, in queste
condizioni, i sistemi sono estremamente
sensibili a fluttuazioni anche minime
(«effetto farfalla»).
• Nozioni come quelle di risonanza, punti di
biforcazione, cambiamento di stato (o transizione di
fase), aggancio di fase ecc. sono utilizzati dai teorici
della complessità per dar conto di come l’evolvere di
strutture complesse non sia semplicemente
spiegabile in termini di sommatoria del
funzionamento delle parti.
→I sistemi complessi, a differenza delle
idealizzazioni tratte dalla meccanica classica,
sono sensibili a perturbazioni, “rumori”, processi
intrinseci ed estrinseci (Prigogine, Stengers, 1979,
tr. it. 1981, p. 268, n. 1).
• La previsione non è l’essenza della
scienza; lo sono la comprensione e la
spiegazione (Philip Anderson)
• Il fatto che i sistemi complessi non siano
prevedibili non comporta che siano casuali
Il fatto che un’organizzazione o un regime di
funzionamento […] siano sempre alla mercé di una
fluttuazione non significa, vogliamo sottolinearlo, che essi
siano arbitrari […]: un’organizzazione o un regime di
funzionamento non deducibile da una legge naturale è pur
sempre condizionato da un calcolo che spiega che i
processi naturali macroscopici stabili sono generati da una
molteplicità di processi disordinati e che in certe condizioni
sono in balia dell’attività fluttuante di cui essi sono il
prodotto (Prigogine, Stengers, 1979, tr. it. 1981, cit. in De
Toni, Comello, p. 161)
• La porzione di intrinseca aleatorietà dei fenomeni
complessi impedisce che l’uomo possa raggiungere
l’ottimo → egli deve convivere con la sub-ottimalità
→Ma ciò non implica che si debba rinunciare
alla pianificazione: dobbiamo scommettere
sui nostri modelli di interpretazione della
realtà, pur sapendo che non sono esaustivi
→Complessità non significa infatti caos e
dunque imprevedibilità totale. Complessità
significa possibilità (De Toni, Comello)
• L’unica via per intuire l’evolvere della realtà è
porre attenzione ai segnali deboli
– Per Harris e Zeisler (2002, cit. In De Toni, Comello, p.
164) affermano che una delle principali mancanze
della società americana prima dell’11 settembre è
stata proprio l’incapacità di ascoltare i segnali deboli
La previsione di un sistema complesso adattativo fatta mediante
l’estrapolazione di trend e assunzione di feedback lineari […] è
spesso sbagliata e in qualche caso può rivelarsi tragica, come
dimostrato dagli eventi dell’11 settembre […] Così, segnali deboli
come il report del National Intelligence Counsil del 1999, che
sosteneva che «kamikaze di Al Quaeda potrebbero volare su un
mezzo imbottito di esplosivo verso il Pentagono, gli edifici della
CIA, o a Casa Bianca», o le indagini dell’FBI sull’iscrizione di
studenti stranieri alle scuole di volo americane sono state messe
in secondo piano o scaricate..
• Infatti, potendo i sistemi complessi,
soprattutto quando in condizioni di instabilità,
modificarsi in base a sollecitazioni minime, è
opportuno comprendere le delicate dinamiche
dei sistemi complessi, i loro tempi interni, la
loro sensibilità a determinate sollecitazioni
anche minime, i vincoli e le possibilità del
sistema ecc.
→ Lewin: avere occhi e orecchi nei punti
nevralgici della situazione
• Appaiono pertanto importanti:
• le «dimensioni stilistiche, tematiche,
immaginative», come evidenzia Ceruti
(1986, 5^ ed. 2000, p. 10),
• la capacità di «afferrare la realtà» in un
modo che precede la capacità analitica:
«vago», magmatico e inconscio, come
diceva Whitehead,
• l’uso delle funzioni sintetiche e
integrative, sia consce (razionalità) che
inconsce (intuizione)
L’intuizione per Jung
• Jung distingue quattro funzioni psicologiche, due razionali e
due irrazionali: funzione intellettiva e affettiva e funzioni
sensoriale e intuitiva
…l’intuizione non è né una sensazione, né un sentimento, né un pensiero,
benché possa manifestarsi anche sotto queste forme. Il contenuto
dell’intuizione si presenta come un tutto in sé concluso, che non si capisce
come si sia formato. Intuire equivale a capire istintivamente. L’intuito è,
come la funzione sensoriale, una funzione percettiva irrazionale. Al
contrario del carattere di «derivato», di «prodotto» dei contenuti delle
funzioni affettiva e intellettiva, i contenuti delle funzioni intuizionale e
sensoriale hanno il carattere del già esistente. Perciò la conoscenza
intuizionale ha quell’impronta di certezza che ha permesso a Spinoza di
definire la «scientia intuitiva» la forma di conoscenza più alta possibile […]
L’intuizione può essere soggettiva o oggettiva. La prima è una percezione
di fattori psichici inconsci di valenza prevalentemente soggettiva, la
seconda una percezione di dati di fatto che poggiano su percezione
subliminali dell’oggetto e su sentimenti e pensieri da esse indotti. (Jung,
Tipi psicologici, 1920, tr. it. 1993, pp. 363-364)
L’animale vivo è pienamente presente, tutto là, in ognuna
delle sue azioni: nelle sue occhiate caute, nel suo
annusare accorto, nel suo drizzare gli orecchi
improvvisamente. Tutti i suoi sensi indistintamente stanno
sul chi vive. Se state attenti, vedete il movimento
confondersi con la sensazione e la sensazione con il
movimento, determinando quella grazia animale con la
quale all’uomo riesce così difficile gareggiare.
Dewey, Arte come esperienza
5. Potere delle
connessioni
• Importanza centrale della rete di relazioni
di un sistema
– Le relazioni entrano a far parte del discorso
scientifico con la meccanica quantistica
• In un sistema sull’orlo del caos vale
l’effetto butterfly
Dato che alla fine tutti i fenomeni naturali sono interconnessi, per
spiegare ognuno di essi abbiamo bisogno di comprendere tutti
gli altri, il che è ovviamente impossibile. Ciò che rende possibile
trasformare l’approccio sistemico in una scienza è la scoperta
del fatto che esiste una conoscenza approssimata. Questa
intuizione è di importanza cruciale per tutta la scienza moderna.
Il vecchio paradigma è basato sulla fede cartesiana nella
certezza della conoscenza scientifica. Nel nuovo paradigma si
riconosce che tutti i concetti e le teorie scientifiche sono limitati e
approssimati. La scienza non può mai fornire alcuna
comprensione completa e definitiva.
F. Capra
(La rete della vita, cit. in De Toni, Comello, p. 175)
• Boolean network
6. Causalità circolare
• Causalità deterministica:
– Causa
– Stimolo
– Input
Effetto
Risposta
Output
• L’acqua bolle perché ho acceso il fuoco
• Causalità non deterministica
1. Non possiamo conoscere con infinita
precisione lo stato di un sistema in tutti i
suoi dettagli: piccolissime variazioni allo
stato presente del sistema possono causare
grandi variazioni dello stato futuro del sistema
→ effetto farfalla
2. Anche conoscendo con precisione infinita le
condizioni iniziali del sistema, sostiene Prigogine,
esiste un tipo di indeterminatezza che rende
descrizione probabilistica dei sistemi complessi
irriducibile (e non solamente una conseguenza
dall’impossibilità di ottenere una misurazione
precisa)
Che ne è del demone di Laplace? […] Il caos deterministico ci insegna
che un tale essere sovrumano potrebbe predire il futuro solo
conoscendo lo stato del mondo con precisione infinita. Oggi possiamo
però spingerci oltre: esiste infatti una forma di instabilità dinamica
ancora più forte, in virtù della quale le traiettorie vengono distrutte per
quanto esatta possa essere la descrizione. Questo tipo di instabilità
ha un’importanza fondamentale, applicandosi, come vedremo, non
solo alla meccanica quantistica ma anche alla dinamica classica. Esso
è centrale in tutta l’argomentazione di questo lavoro. (Prigogine, La
fine delle certezze, 1996, tr. it. 1997, p. 37)
• Riduzionismo → pensiero occidentale: il mondo può
essere diviso in parti e ogni parte può essere
considerata indipendente dal tutto.
→Il tutto come insieme di parti
→Ma allora il tutto, in sé, non esiste
• Olismo → pensiero orientale: il mondo è un tutto
indiviso e le parti non sono che aspetti del tutto.
→La parte come un aspetto del tutto
→Ma allora la parte non esiste
- Ātman = Braham: l’anima individuale è tutt’uno con Dio (se è
capace di rinunciare alle limitazioni derivanti dagli «attaccamenti»
terreni): «io sono in realtà questo intero universo», si legge in un
celebre dialogo fra Indra e Prajāpati nelle Upanişad
- Pensare il mondo come un tutto ci sprofonda «in una notte in cui
tutte le vacche sono nere» (Hegel) e vi è l’impossibilità di dire
qualcosa di alcunché.
•
Whitehead: il mondo come un «organismo» in continua
evoluzione creativa; per evolvere, l’universo genera
parti indipendenti tramite un intrinseco principio di
limitazione (che fa parte del processo creativo):
→ esiste sia il tutto che le parti, l’unità e la differenza,
l’unità primordiale e ciò che è divenuto
→ logica bivalente o bipolare o paradossale: occorre
pensare come irriducibili tanto la parte come qualcosa di
assoluto (come a un “fatto ostinato”) quanto la
connessione della parte col tutto
Non c’è “un lupo che mangia un agnello”, come dice Bradley nella sua
logica, ma “quel lupo che mangia quell’agnello in quel posto in quel
momento: il lupo lo sapeva, lo sapeva l’agnello e lo sapevano gli uccelli da
preda” […] L’entità reale compie il suo divenire in un sentimento
complesso che implica un legame completamente determinato con ogni
elemento dell’universo (Whitehead, Il processo e la realtà, tr.it. 1965, pp. 121; 123).
→ logica paradossale: ogni «parte» è sia in
relazione di causalità diretta con altre «parti» sia in
relazione di causalità circolare con l’intero
universo. In questa ultima accezione, ogni parte in
quanto è causa di qualcosa è anche causata
• causalità diretta (o lineare) vs. causalità
circolare
– La causalità circolare è comparsa nel ‘900
con la cibernetica
– Secondo Greco «potremmo affermare che il
concetto di causalità circolare rappresenta già
una buona definizione di ciò che oggi viene
chiamata complessità» (1999, cit. in De Toni,
Comello, p. 197)
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