PERCORSI DIDATTICI
D’Annunzio e la musica
Raffaele Mellace
IL NESSO TRA D’ANNUNZIO E LA MUSICA È UN BANCO DI PROVA PERFETTO PER L’INDAGINE INTERDISCIPLINARE. L’ARTICOLO
PROPONE QUATTRO PERCORSI, DIVERSISSIMI MA TUTTI SIGNIFICATIVI: DUE DI MUSICA DA LEGGERE (EVOCATA NELLA PROSA E
IMITATA NELLA POESIA DANNUNZIANE), DUE DI MUSICA DA ASCOLTARE (NEL TEATRO D’OPERA E NELLE LIRICHE DA CAMERA).
I
rapporti di Gabriele d’Annunzio con
la musica e i musicisti sono stati
probabilmente più fitti, articolati e
consapevoli di qualsiasi altro letterato italiano del Novecento. Interesse, competenza, sensibilità del poeta per la musica si declinano in una varietà di generi
letterari, a coprire gli ambiti della prosa, della poesia e del teatro.
Musica e prosa: esperienze
estetiche preziose
La centralità dell’arte musicale nell’invenzione dannunziana si manifestò con
piena evidenza alla svolta del secolo nuovo con la pubblicazione del romanzo Il
fuoco (1900). Il protagonista, Stelio Èffrena, è dominato dalla figura di Richard
Wagner: il compositore tedesco è visto
come l’alfiere d’una nuova forma d’arte e al contempo come voce critica della società borghese. Opera nelle situazioni chiave del romanzo il filtro di titoli a fine Ottocento ancora poco noti in
Italia: Tristano, Sigfrido, Parsifal. Nel romanzo agisce anche una seconda dinamica musicale: a Wagner si contrappone l’esaltazione dell’antica civiltà musicale italiana, col progetto di erigere sul
Gianicolo a Claudio Monteverdi «un teatro di marmo», ossia l’omologo del leggendario teatro wagneriano di Bayreuth. Il romanzo testimonia dunque
una duplice passione, apparentemente
antitetica, per gli esiti più avanzati del
Romanticismo tedesco e per l’antica
Nuova Secondaria - n. 3 2013 - Anno XXXI
G. d’Annunzio - A. Franchetti,
La figlia di Jorio, libretto a
stampa, Ricordi, Milano 1906,
collezione privata.
musica patria: tendenze destinate entrambe a sviluppi straordinari nella
cultura italiana dei primi decenni del
nuovo secolo. La musica innerva lo
stesso tessuto narrativo grazie a una scrittura vibrante ma al tempo stesso puntuale, che tradisce la competenza tecnica del poeta (d’Annunzio aveva esercitato la critica musicale).
Già le pagine del Piacere (1889) erano
spesso risuonate di musica. Ad esempio
quando i nomi del «divino Federico»
(Chopin) e di Schumann si erano intrecciati nel ricordo di un’attività musicale concepita come esperienza profondamente formativa, reagente formidabile per un’«anima che si schiude».
Oppure quando la «bella ospite» Maria
Ferres discute «con sottilità d’intenditrice» commentando in termini per
nulla ingenui un imprecisato quintetto
di Boccherini («Mi ricordo bene che in
alcune parti il quintetto, per l’uso dell’unisono, si riduceva a un duo; ma gli
effetti ottenuti con la differenza dei
timbri erano d’una finezza straordinaria»). È sempre la suggestione della
musica a indurre nel protagonista Andrea Sperelli la fantasticheria sul timbro
della voce di Maria, segnata dalla compresenza del timbro «dell’altra». Una duplice esecuzione di musica “antica” propone un’aria dalla Nina di Paisiello e dei
pezzi per tastiera di Leonardo Leo, J.-Ph.
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Rameau e J.S. Bach, spettro d’un passa- zio poeta la musicalità, arma di punta nella rivoluzione in chiave decadente del linto che evoca sentimenti di morte:
guaggio poetico italiano, nel solco tracRiviveva meravigliosamente sotto le sue
ciato dall’Art poétique di Paul Verlaine
dita la musica del XVIII secolo, così ma(«De la musique avant toute chose»). Si
linconica nelle arie di danza; che paion
tratta naturalmente in prima istanza di
composte per esser danzate in un pomeagire sulla costruzione ritmico-metrica del
riggio languido d’una estate di San Marverso, ma non sono infrequenti i riferitino, entro un parco abbandonato, tra fontane ammutolite, tra piedestalli senza
menti diretti a esperienze musicali, a costatue, sopra un tappeto di rose morte, da
minciare dai testi che qui, per motivi di
coppie di amanti prossimi a non amar più.
spazio, si menzionano soltanto. A tacere
delle non poche liriche di tema musicaSarà la corda della malinconia a risuonare
le (le due Laudi dedicate a Bellini e a Vernel Notturno (1921), quando il pianista
di, o titoli come Notturnino in “Fa miGiorgio Levi eseguirà l’aria detta La Frenore”, La gavotta, Sopra un’aria antica, Soscobalda, mentre nella Leda senza cigno
pra un “Adagio” [di Johannes Brahms], So(1913) era stata la volta delle sonate di Dopra un “Erotik” [di Edvard Grieg], Ancomenico Scarlatti, di cui si evoca «l’elera sopra l’“Erotik”), saranno sufficienti due
ganza, l’allegrezza, la franchezza, la voesempi di primissimo piano: l’organizlubilità, la voluttà»; una raffinata selezione
zazione eminentemente musicale della
liederistica, lungo il vasto arco teso tra
Pioggia nel pineto, che si anima di un’auBeethoven e Hugo Wolf, aveva soccorso
tentica sinfonia silvestre perforata da
d’Annunzio nell’esprimere la tensione del
binomio eros-thanatos in Forse che sì, forse che no (1910). Nei frammenti delle Faville del maglio (1924) il mottetto Peccantem me quotidie del Palestrina, già citato nel Fuoco, viene collegato direttamente a una traumatica esperienza estetica compiuta a Bologna nell’adolescenza e interpretato come simbolo della
dialettica tra morte e purificazione.
La musica funge insomma da reagente
nel moltiplicare le esperienze estetiche,
sinestetiche e perfino autobiografiche
della narrativa dannunziana: un esito
conseguito tramite il ricorso ad autori,
composizioni e linguaggi musicali restituiti in termini spesso sorprendentemente circostanziati, mentre la prosa
stessa ambisce a emulare le dinamiche
sinfoniche e il procedimento dei Leitmotive, i “motivi ricorrenti” introdotti da
Wagner nei propri drammi musicali.
G. d’Annunzio -
Musica e poesia: «De la
musique avant toute chose»
È noto quanto sia centrale nel d’Annun-
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voci solistiche ed evocata nel dettaglio dei
successivi eventi sonori: le «parole più
nuove / che parlano gocciole e foglie / lontane», le diverse piante che si trasformano
in «stromenti / diversi / sotto innumerevoli dita», «l’accordo / delle aeree cicale» cui «un canto vi si mesce / più roco»,
ossia la voce della rana, che «canta nell’ombra più fonda» una parte dotata
d’una propria autonomia («Solo una
nota / ancor trema, si spegne, / risorge,
trema, si spegne»); oppure si consideri la
rievocazione preziosa ed estenuata del
passato attraverso il suono antico del clavicembalo in Consolazione, a riprendere
un tema già del Piacere.
Nella poesia, così come forse ancor più
nella prosa dannunziana, emerge il ruolo che lo scrittore volentieri accordava all’arte musicale come componente essenziale dell’esistenza dell’individuo
(nel Vittoriale volle una stanza della mu-
R. Zandonai,
Francesca da Rimini,
libretto a stampa,
Ricordi, Milano 1914,
collezione privata.
Nuova Secondaria - n. 3 2013 - Anno XXXI
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sica) e dell’intera società (lo Statuto di eccessiva»1. La “tragedia lirica” Parisina,
Fiume definisce la musica «istituzione re- che Puccini e Alberto Franchetti avevaligiosa e sociale»).
no rifiutato, approdò nel 1912 a Pietro
Mascagni. Soggetto che affastella passioni
esasperate e incestuose, violenza, esotiD’Annunzio e i musicisti:
smo e fervore mistico, viene interpretala via maestra della scena
Fu tuttavia innanzitutto sul piano del to dal compositore attraverso un sensiteatro – versante all’epoca fortunatissi- bilissimo declamato che nulla occulta del
mo della produzione dannunziana e per torrenziale dettato verbale. Dalla collascelta consapevole aperto alla compo- borazione serrata tra i due artisti non
nente musicale – che la parola del poe- uscì il «Tristano italiano», come d’Anta si trasformò effettivamente in musi- nunzio si augurava, bensì una partituca, giovandosi del contributo di nume- ra spiccatamente antiverista, sotto una
rosi e importanti compositori coevi. patina arcaicizzante.
Non con Giacomo Puccini, più d’una Grande successo arrise nel 1914 a Franvolta tentato da una collaborazione il- cesca da Rimini, che pervenne al comlustre, ma disinteressato a un teatro di positore Riccardo Zandonai, nella ridupoesia percepito come estraneo alla zione che l’editore Tito Ricordi aveva reapropria drammaturgia, teatro in cui lizzato della tragedia dannunziana: un ti«manca sempre il vero e spoglio e sem- tolo arricchito già dall’origine da una fitplice senso umano. Tutto sempre è pa- ta serie di riferimenti musicali, realizzarossismo, corda tirata, espressione ultra ti come musica in scena già nella trage-
G. d’Annunzio I. Montemezzi, La
nave, libretto a
stampa, Ricordi,
Milano 1918,
collezione privata.
Nuova Secondaria - n. 3 2013 - Anno XXXI
dia in prosa. Zandonai rispose con una
formula personale di arcaismo sonoro, alternando silenzi carichi di tensione, agìti quasi totalmente dall’orchestra che rivela ciò che le labbra dei personaggi tacciono, scene collettive di mobile leggerezza e vocalità distesa e accorata.
Tra i compositori cui il teatro dannunziano ispirò musiche di scena e più
ambiziose traduzioni operistiche occorrerà citare almeno Italo Montemezzi, che compose La Nave, sempre su riduzione librettistica di Tito Ricordi,
coniugando genuino patriottismo (durante la “prima” alla Scala, il 3 novembre 1918, fu annunciata in sala la presa
di Trento e Trieste) e accesa sensibilità
decadente che raggiunge esiti memorabili nella raffinata orchestrazione; ma anche Alberto Franchetti, autore della Figlia di Jorio (1906), su fedele riduzione
del libretto del compositore stesso; Nadia Boulanger e Stéphane-Raoul Pugno,
che insieme misero in musica La ville
morte (1912).
La figura del vate esercitò un fascino duraturo in modo particolare su due giovani compositori. Innanzitutto Gian
Francesco Malipiero (1882-1973), la
cui collaborazione con d’Annunzio si
protrasse dal 1913 con l’assidua frequentazione del Vittoriale, la corresponsabilità della Raccolta Nazionale
dei Classici della Musica Italiana e la pubblicazione delle opere di Monteverdi, sotto gli auspici del «Poeta che nell’anno
1900 [nelle pagine del Fuoco] esaltava il
divino Claudio». Dell’Immaginifico,
Malipiero avrebbe musicato nel 1910 i
Sonetti delle fate (dalla Chimera), nel
1913 il Sogno d’un tramonto d’autunno
e nel ’23 il Ditirambo terzo che chiude le
Stagioni italiche.
1. Lettera dell’11 novembre 1918, cit. in Eugenio Gara (a
cura di), Carteggi pucciniani, Ricordi, Milano 1958, p. 470.
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Ancora più rilevante la collaborazione
con Ildebrando Pizzetti (1880-1968),
inaugurata col coro per il Prologo della
Nave (1905), poi diventato l’intera serie
delle musiche di scena per la tragedia, cui
seguiranno quelle per La Pisanelle
(1913). La felice sintonia tra poeta e musicista – di lui d’Annunzio apprezzava soprattutto la sensibilità nel tradurre il colore arcaico delle situazioni – portò alla
tragedia Fedra, nata appositamente per
Pizzetti (1912, rappresentata nel 1915).
Le ambizioni arcaicizzanti di «Ildebrandus Parmensis» (che di d’Annunzio avrebbe intonato anche la Sinfonia
del fuoco, 1913, per il film Cabiria e, ancora nel 1954, una libera riduzione della Figlia di Jorio) trattengono la musica
al limite d’una ritrosia ascetica che esalta il declamato verbale avvolgendolo di
un’aura d’intensa sacralità, in nome
d’una tersa classicità, ormai lontana
dalla scrittura wagneriana.
Un siffatto mutamento di clima estetico in senso “mediterraneo” suscitava l’interesse del poeta, che d’altra parte era stato aperto anche alla collaborazione con
«Magister Claudius», alias il compositore
francese Claude Debussy, in occasione
del Martyre de Saint-Sébastien (1911),
«mistero» per soli, coro e orchestra, interpretato dalla «grande sacerdotessa»
Ida Rubinstein, la celebre attrice e danzatrice in cui Paul Valéry dichiarava
d’aver trovato l’artefice d’uno spettaco-
lo fondato sulla collaborazione di diverse
arti. Esperimento di teatro simbolista
anti-drammatico strutturato in cinque
«mansioni» (ossia “quadri”, quasi a riprodurre lo schema compositivo delle
vetrate gotiche), su un tema, l’androgino, dal fascino morboso, giocato sull’ulteriore ambiguità tra soggetto sacro
e culto pagano della bellezza, il Martyre offre alle musiche di scena di Debussy l’occasione d’una serie di interventi diversi, dal melologo (recitazione parlata
accompagnata dall’orchestra) ai brani
strumentali, dalle danze alle arie solistiche, ai cori.
D’Annunzio e i musicisti:
poesia rivestita di musica
Un ultimo capitolo del rapporto tra
d’Annunzio e la musica riguarda l’intonazione di testi poetici come liriche da
camera. Spiccano in questo catalogo
ideale alcuni titoli (particolarmente fortunati O falce di luna calante da Canto
novo e le due Romanze dalla Chimera),
ma spicca soprattutto il nome d’un
compositore, il conterraneo Francesco
Paolo Tosti (1846/1916), «il biondo
Apollo musagete», maestro di canto
delle figlie della regina Vittoria d’Inghilterra, più anziano del poeta d’una generazione, e autore, fin dal 1880, di ben
34 romanze su testi dannunziani, a cominciare dal ciclo dei sette Idilli selvaggi dedicatogli dal poeta. Per una dozzi-
na d’anni la collaborazione proseguì
stretta (il poeta scriveva testi di gusto salottiero come Vuol note o banconote o En
hamac), con le cinque romanze di Malinconia (1883), la squisita “arietta di Posillipo” ’A vucchella (1992) e le Canzoni
di Amarante (1907). Autonomamente
Tosti avrebbe composto i cicli Consolazione (1909) e La sera (1916), entrambi
dal Poema paradisiaco. Da segnalare anche l’interesse nutrito da Ottorino Respighi (1879-1936), che intonò due Notturni e Mattinata (1909), La donna sul
sarcofago, La statua (1919) e Quattro liriche (1920) dal Poema paradisiaco. Notevoli anche I pastori (1908) ed Erotica
(1911) di Pizzetti, e La sera fiesolana
(1923) di Alfredo Casella (1883-1947).
L’assidua frequentazione del verbo dannunziano da parte di più generazioni di
musicisti risultò in esperienze numerose e talora cospicue tanto sulle assi dei
teatri quanto nei salotti. Se esse non sortirono una svolta radicale nel panorama
musicale italiano, espressero tuttavia in
termini emblematici il gusto d’una lunga stagione della cultura del Paese e si offrono ancora oggi, nei testi dannunziani così come nelle registrazioni sempre
più facilmente disponibili delle intonazioni musicali, all’apprezzamento dei
loro valori estetici.
Raffaele Mellace
Università degli Studi di Genova
BIBLIOGRAFIA
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