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ETS
EDUCAZIONE
TERAPEUTICA
STRUTTURATA
2 ipoglicemia
Gruppo ETS dell’AMD
Coordinatore
MARIANO AGRUSTA
Componenti
PAOLO DI BERARDINO SERGIO DI PIETRO
FRANCESCO GALEONE
SANDRO GENTILE MASSIMO LEPRI
Con il contributo di
NICOLETTA MUSACCHIO
UMBERTO VALENTINI
per il Gruppo Scuola AMD
WALTER DE BIGONTINA
per il Gruppo VRQ-A AMD
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Gli autori Mariano Agrusta, Paolo Di Berardino, Sergio Di Pietro,
Francesco Galeone, Sandro Gentile, Massimo Lepri, Walter De Bigontina,
Nicoletta Musacchio, Umberto Valentini hanno contribuito
pariteticamente alla stesura del volume
“ETS” Educazione terapeutica strutturata”
una iniziativa AMD realizzata grazie a un contributo non condizionante di
LifeScan Italia e Novo Nordisk Farmaceutici S.p.A.
©2002-2003 AMD-Associazione Medici Diabetologi
Editore UTET S.p.A. Divisione Periodici Scientifici
Sede legale: Corso Raffaello 28, 10125 Torino
Sede operativa: Viale Tunisia 37, 20124 Milano
Responsabile editoriale: Karin Berger
Redazione: Adriana Maffei
Grafica: Lucrezia Alfieri
Illustrazioni: Vittorio Sedini
Stampa: Officine Grafiche De Agostini, Novara
Finito di stampare nel mese di novembre 2002
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Indice
● Presentazione
pag 5
● La scelta formativa di AMD applicata
all’educazione terapeutica strutturata
pag 7
● Verifica del processo di educazione terapeutica pag 12
e miglioramento continuo
● Che cos’è e come si presenta l’ipoglicemia
pag 17
● Perché l’ipoglicemia
pag 21
● Prevenzione dell’ipoglicemia
pag 29
3
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Presentazione
Q
uesto secondo volume dedicato all’ipoglicemia nasce,
nell’ambito del progetto AMD, con l’intento di promuovere e attuare corsi di formazione volti a
garantire il miglioramento delle conoscenze e delle
capacità cliniche, così da consentire una costante crescita professionale che assicuri nel tempo un’assistenza al malato
sempre migliore. Relativamente ai contenuti dedicati all’ipoglicemia, esso rappresenta solo un pretesto per innestarsi sugli
aspetti di carattere metodologico considerati più rilevanti per
una efficace azione educativa. Risulta pertanto scontato che
è in altra sede che va ricercata una più ampia e approfondita
trattazione specificamente dedicata all’ipoglicemia.
Il Consiglio Direttivo AMD, attraverso questa iniziativa,
intende valorizzare le competenze già esistenti e uniformare
i diversi corsi così da garantire e tutelare la qualità del
risultato, rendendoli ancora più efficaci, promuovendo questo
progetto di Educazione Terapeutica Strutturata.
Il programma ministeriale ECM sancisce la necessità di una
formazione continua e stabilisce le modalità per ottenere i
crediti formativi a garanzia di un aggiornamento delle conoscenze, delle competenze e delle abilità specifiche, come titolo
professionalizzante.
Per l’accreditamento delle nostre attività di aggiornamento
e formazione, la Scuola AMD, su mandato del Direttivo
Nazionale, si è fatta carico di organizzare, coordinare, verificare e promuovere i prodotti formativi AMD.
L’azione di questo coordinamento è stata finalizzata:
●
●
●
a dare uniformità e maggiore efficacia ai corsi nazionali
e regionali, in modo da ottenere prodotti accreditati attraverso un metodo omogeneo di progettazione, realizzazione
e valutazione
a supportare, sviluppare e valorizzare le competenze esistenti nell’Associazione
a identificare e attuare le strategie per ottenere una forte capillarizzazione degli eventi, innescando un processo a “cascata”
5
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Ipoglicemia
Tutti i progetti formativi di AMD destinati ai colleghi, che il
Consiglio Direttivo AMD approva, vengono pertanto organizzati secondo una precisa metodologia:
●
●
●
●
preparazione di un progetto sul tema proposto
raccolta e/o preparazione di materiale formativo sui temi
scelti da AMD utili per l’aggiornamento continuo e la crescita culturale dei soci
presentazione del progetto e delle sue finalità a un gruppo
di formatori che hanno il compito, insieme ai responsabili
del progetto, di identificare il percorso e gli strumenti più
idonei per trasmettere in periferia i contenuti e gli obiettivi
specifici identificati
organizzazione dei corsi in periferia sotto la responsabilità dei formatori per trasmettere in maniera omogenea
e capillare il messaggio formativo
Questo libretto costituisce quindi uno strumento di lavoro
metodologico e il primo anello di un progetto articolato a
cascata che coinvolgerà dapprima équipe diabetologiche e,
successivamente, i pazienti.
Il Gruppo ETS AMD
6
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La scelta formativa
di AMD applicata
all’educazione
terapeutica strutturata
Nicoletta Musacchio, Umberto Valentini
I
l metodo scelto da AMD è quello di attivare processi formativi
fondati sul team di lavoro e anche per il progetto del Gruppo
ETS questo metodo è ritenuto il migliore.
Perché un gruppo di persone (équipe) arrivi a essere un team di lavoro
è necessario innescare un momento di crescita formativa che permetta questa trasformazione. Per tale motivo abbiamo scelto come
tecnica d’elezione del nostro processo formativo: il team building.
IL PROCESSO FORMATIVO CONSENTE
●
di apprendere e sperimentare tecniche di formazione
basata sul lavoro di gruppo e l’interazione
●
di acquisire consapevolezza dell’applicabilità della
tecnica nel proprio ambito professionale
●
la progettazione, realizzazione e verifica di un risultato
Team building
La costruzione di un team di lavoro è uno strumento formativo di
grande rilevanza.
Questa tecnica consente infatti che le persone acquistino consapevolezza
delle proprie capacità, siano in grado di riconoscere quelle altrui, si
abituino all’analisi e alla diagnosi delle dinamiche del gruppo, capiscano come attivare i processi di integrazione e di differenziazione.
7
Il metodo scelto
da AMD
è quello
di attivare
processi formativi
fondati sul team
di lavoro
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Ipoglicemia
Il team è:
un insieme
di persone
interdipendenti
consapevoli
della loro unità,
interagenti
in un certo
periodo e in un
certo ambito,
legate da un senso
di appartenenza
con valori, regole,
ruoli dichiarati,
negoziati,
condivisi
Il team permette la gestione delle attività utilizzando le diverse
competenze di ognuno facilitando l’integrazione con arricchimento
reciproco e apprendimento individuale.
Per funzionare necessita di un linguaggio comune a tutti, la conoscenza
di informazioni e risorse comuni, un sistema di monitoraggio.
Perché l’équipe di lavoro o di cura, alla quale siamo abituati, si trasformi in team è necessaria una evoluzione che richiede abilità specifiche e prevede che tutte le persone coinvolte pensino e agiscano in
un modo nuovo.
L’équipe è: un insieme di persone legate da un senso di unità, interdipendenti, interagenti in un certo periodo e in certo ambito, legate da un
senso di appartenenza, con valori, norme, ruoli dichiarati e condivisi,
orientate verso la stessa meta.
Perché il processo avvenga in maniera corretta è fondamentale utilizzare adeguati strumenti formativi e monitorare l’andamento
della costruzione del team. La conoscenza e la corretta applicazione delle tecniche di interazione e di monitoraggio è parte integrante dei corsi di Formazione Formatori della Scuola AMD.
● Impegnate
a raggiungere
un obiettivo scelto
IL TEAM DI LAVORO
● Impegnate
a svolgere
un compito con
una metodologia
di lavoro comune
● Motivate
da interessi
professionali
o di persona
●
è uno strumento importante per la gestione delle
persone, per lavorare insieme, per integrarsi
●
permette la gestione delle diverse attività utilizzando
le diverse competenze di ognuno facilitando l’integrazione con apprendimento individuale e arricchimento reciproco
●
necessita di un linguaggio comune a tutti, la conoscenza di informazioni e risorse comuni, un sistema di
monitoraggio
FASI DELLA REALIZZAZIONE DEL PROCESSO
A. Progettare il risultato
1. Contestualizzazione e contratto d’aula
Identificare gli obiettivi possibili e realizzabili partendo dalle competenze e dalle
aspettative di tutti (la raccolta delle aspettative)
● Scegliere l’obiettivo da raggiungere integrandolo e negoziandolo
● Analizzare le difficoltà e le possibili risorse
● Verificare la fattibilità e la coerenza del risultato atteso
●
8
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La scelta formativa di AMD
2. Scegliere il metodo e pianificare le tappe
3. Assegnare ruoli e compiti
4. Scegliere strumenti e modalità di verifica
B. Realizzare il risultato
1. Ridefinire i ruoli secondo l’evolversi del processo
2. Favorire il clima di partecipazione e coinvolgimento
3. Incentivare la razionalizzazione delle difficoltà e dei momenti di crisi del
lavoro
4. Facilitare l’analisi e la diagnosi dei problemi (problem finding)
5. Facilitare i processi di soluzione e verifica (problem solving)
6. Scegliere e prevedere sistemi di monitoraggio del processo
C. Verificare il risultato
1. Verificare il lavoro svolto
2. Verificare il corretto utilizzo delle risorse
3. Verificare la coerenza con i ruoli assegnati e le competenze dimostrate
4. Valutare l’integrazione e la collaborazione del team
5. Verificare la condivisione del risultato
6. Condividere la responsabilità del risultato
7. Analizzare e valorizzare le nuove competenze acquisite
GLI STRUMENTI SCELTI DA AMD
Fase di costruzione
La gestione del team
Raccolta aspettative
La mappa del sapere
comune
● Il contratto d’aula
Il giro di tavolo
La discussione visualizzata
● Il Metaplan
● Le scelte pesate
●
●
●
●
Analisi
delle esigenze
Verifica
Progettazione
evento
Realizzazione
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Il monitoraggio del
team
Il righello
La radart chart
Questionari di autovalutazione
● Il test di Moreno
●
●
●
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Ipoglicemia
In questo processo di apprendimento il formatore svolge diverse
attività e interpreta ruoli con specificità distinte che deve imparare
a riconoscere ed esaudire.
Questi sono i principi generali secondo i quali è stato progettato il
percorso formazione formatori. Il nostro processo formativo, però, partendo dalle peculiarità specifiche della nostra professione, ci ha permesso di personalizzare il processo, facendo nascere una figura che ha
in sé competenze di “formazione clinica”, di “formatore d’aula” e di
“gestione del team”.
IL FORMATORE È
Responsabile della formazione: definisce e gestisce il
percorso di formazione
● Responsabile di progetto: fa l’analisi delle necessità,
progetta, coordina e gestisce gli eventi e ne verifica i
risultati
● Tutor: coordina l’aula, facilita il processo ed è garante
del raggiungimento degli obiettivi didattici
● Testimone: portatore di esperienze e/o di soluzioni
adottate
● Docente: erogatore di contenuti specifici a fronte di programmi e obiettivi didattici predefiniti
● Docente interno: erogatore di contenuti specifici a
fronte di programmi e obiettivi didattici predefiniti e anche
contestualizzati rispetto alla realtà di appartenenza
●
Il formatore AMD
Uno strumento per realizzare il progetto formativo di AMD è rappresentato dal formatore che deve essere in grado di erogare
una formazione efficace e omogenea valorizzando le competenze
preesistenti e presidiando la nostra professionalità diabetologica.
Ogni progetto curato da AMD deve garantire il raggiungimento
di alcuni prodotti che ne documentino la qualità e ne permettano
la verifica, la riproducibilità, la vendibilità e, soprattutto, garantiscano l’acquisizione dei crediti formativi.
Questa modalità organizzativa un po’ complessa ci permette di
garantire la massima capillarizzazione possibile di tutti gli eventi
formativi di AMD, consentendo a tutti i Soci interessati di sperimentare tecniche di formazione moderne e duttili, esportabili
anche nel nostro quotidiano.
10
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La scelta formativa di AMD
IL FORMATORE AMD GARANTISCE
Progettazione documentata. Nella scheda di progettazione dovranno essere
chiari il mandato, gli obiettivi generali e quelli specifici, i contenuti teorici e le
attività da sperimentare, i metodi e gli strumenti scelti per ottenere il risultato
atteso. Questo documento verrà presentato al committente insieme al contratto
di lavoro e si specificheranno i responsabili del progetto, il team di progettazione
e di realizzazione e infine nome e qualifica di relatori, docenti e tutor.
Realizzazione documentata
Programma dettagliato: durante la fase di progettazione si preparerà un programma ragionato (una sorta di canovaccio) del corso ove step by step il team
descriverà nel dettaglio il procedere del lavoro (chi fa cosa, chi dice cosa, chi usa
cosa, i tempi, gli obiettivi parziali ecc.). Questo permetterà un’ampia condivisione del lavoro con i tutor non coinvolti nella progettazione, una fedele riproduzione del lavoro anche in una seconda fase, una verifica della coerenza del progetto nella sua globalità, l’archiviazione del prodotto, e testimonierà la serietà
e professionalità della progettazione.
Materiale d’aula: si preparerà il materiale di supporto da consegnare a ogni partecipante con copia del programma, lista dei partecipanti, copia delle relazioni,
materiale utile per lo svolgimento del corso.
Report del corso: si organizzerà il lavoro in modo di recuperare tutto il materiale
prodotto durante il corso (foto, tutor dedicato alla story board…) così da preparare
un accurato report di tutto il processo di lavoro.
Valutazione documentata. Il formatore AMD ha a disposizione e ha sperimentato
molti strumenti, soprattutto di verifica e valutazione: utilizzarli nel lavoro valorizza molto il prodotto.
Prevedere sin dall’inizio il materiale di verifica permette anche durante il corso
una verifica sul campo che consente di “aggiustare il tiro”.
Inoltre, subito alla fine del lavoro si è in grado di consegnare ed elaborare dati
interessanti.
Verifica del processo: radart-chart, righello, questionari, esercitazioni (supervisione
e registrazione per la verifica delle abilità) ecc.
Verifica del prodotto: questionari di gradimento, questionari conoscitivi per la
verifica dell’apprendimento ecc.
Verifica della docenza: questionari di valutazione.
11
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Verifica del processo
di educazione
terapeutica
e miglioramento
continuo
Walter de Bigontina
Come già illustrato nel primo volume di questa collana dedicato al
piede diabetico, a cui si rimanda per una più ampia trattazione, la
verifica di un processo di formazione passa attraverso una serie di tappe
che prevedono:
▼ l’analisi e progettazione degli interventi in un’ottica di qualità
▼ la realizzazione del progetto, con la registrazione dei dati capaci
di generare informazioni
▼ la valutazione dell’attività formativa con l’impiego di strumenti
adeguati, comprensiva anche del giudizio del destinatario dell’intervento, il diabetico o/e un suo familiare
Dal punto di vista concettuale e metodologico si tratta dell’applicazione della tecnica di problem solving, nota anche come “ciclo
PDCA” o “ciclo di deming”1 nucleo della filosofia del miglioramento continuo della qualità.
Il ciclo è descritto nei suoi cosiddetti “sette passi” che sono raccolti nel
riquadro e raggruppati nelle quattro fasi di Plan, Do, Check, Act.
Il ciclo di Deming, tanto facile da descrivere, ma assai più difficile
da realizzare in modo compiuto, fa parte della cultura e della valigetta di strumenti sia della metodologia del lavoro di gruppo, sia di
molti approcci alla qualità. Infatti, è utilizzato dalla Quality Assurance,
nota in Italia con il termine di verifica e revisione della qualità VRQ,
dal Total Quality Management TQM, dal Continuous Quality Improvement
1
Deming WE. L’impresa di qualità. Isedi, Torino, 1989
12
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Verifica del processo di educazione terapeutica
IL CICLO DI DEMING
Plan
1. Identificare il problema
2. Analizzare le caratteristiche del problema
3. Ricercare le cause del problema
4. Identificare le possibili soluzioni
● Do
5. Dar seguito alla pianificazione della soluzione
scelta
● Check
6. Verificare i risultati dell’azione risolutiva
● Act
7. Ottimizzare le soluzioni
●
CQI2. Il ciclo del problem solving, inoltre, è applicabile sia alle
situazioni complesse di pianificazione-verifica-re-ingenierizzazione
di organizzazioni di grandi dimensioni, sia a situazioni organizzative
più semplici, quale la valutazione diagnostico-terapeutica di un caso
clinico individuale (Wienand, 2002).
È comprensibile come questa fase di verifica dei risultati corrisponda
alla fase check del ciclo di problem solving e come i momenti precedenti
(plan e do) e seguenti (act) corrispondano ai diversi capitoli del presente manuale.
Poiché il concetto di verifica contiene di necessità quello di misura, ne
consegue che, per poter misurare, è necessario disporre di dati sia qualitativi, sia quantitativi. Questi dati possono essere raggruppati in
sistemi, uno orientato alla valutazione della qualità più specificamente
vista dalla parte del servizio, l’altro rivolto alla qualità vista dalla parte
del cittadino (soddisfazione, esiti formativi) con l’uso set d’indicatori,
questionari o quant’altro permetta di inferire giudizi.
Una prima serie di dati necessari per la produzione di informazioni sono
derivabili dal data set posseduto da ogni cartella informatizzata. A questo
2
Il concetto del “Continuous Quality Improvement” compare in letteratura alla fine degli anni ’80 (Berwick, 1989), qualche anno dopo
quello di “Quality Assurance” di Vuori (1982), dal quale voleva distinguersi. Per “Quality Assurance” (in Italia nota anche come
VRQ, verifica e revisione della qualità) si deve intendere un processo dinamico che, valutando le attività di cui si compone una prestazione sanitaria, mediante il coinvolgimento di tutte le figure professionali partecipanti al processo, ha lo scopo di prevenire le conseguenze
della cattiva qualità. La QA comprende l’approccio circolare ai problemi della qualità, di analisi-progettazione-realizzazione-valutazione, conosciuta nel mondo sanitario da diversi anni. Il Total Quality Management, invece, è un approccio gestionale che è diffuso
a tutte le componenti di un’organizzazione di lavoro in funzione di un miglioramento orientato al cliente e fondato sulla soddisfazione
dei componenti del gruppo di lavoro. Il Continuous Quality Improvement, utilizzando gli strumenti e i metodi del TQM, si differenzia
per un maggior impegno nel lungo periodo da parte dell’alta dirigenza, a favore di un’attività formativa del personale pervasiva, per
la misurazione continua delle performance volta a valutare l’efficacia delle attività di miglioramento prodotte. Il CQI consiste nell’uso
sistematico da parte dell’organizzazione di tecniche in genere provenienti dal mondo manifatturiero, in funzione dello sviluppo di una
nuova visione e cultura del lavoro. Nel 1993, il Ministero della salute canadese, riconosceva come prioritaria la gestione della qualità
nei sistemi sanitari: Quest for Quality (HSDC, 1993).
13
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Ipoglicemia
proposito, può essere utile vedere il File Dati proposto dal Gruppo per
l’Informatizzazione della Diabetologia di AMD www.aemmedi.it\file
dati\. Una seconda serie di dati potrà essere raccolta con la collaborazione del centro elaborazione dati aziendale.
Per produrre la prima serie d’informazioni, possono servire i seguenti dati
File dati AMD
Tipo /Formato campo
Data di nascita soggetto
Gg/mm/aaaa
Anno diagnosi DM
aaaa
Alcol
S/N
Terapia insulinica
S/N
AMD008 HbA1c (eventualmente
normalizzato DCCT)
xx.x
ICD-9-CM, 1997
AMD038 polineuropatia
250.6 [357.2]
AMD039 neuropatia autonoma
250.6 [337.1]
AMD044 cardiopatia ischemica
cronica
414.9
AMD067 rene nefropatia,
sdr nefrosica
250.4
AMD071 macroangiopatia
cerebrale
437.0, 437.9
Angiopatia periferica
250.7
AMD086 autocontrollo glicemia
S/N
AMD087 educazione sanitaria
S/N
A questi dati va aggiunto il dato di:
▼ presenza di gravi ipoglicemie (impossibilità di trattamento correttivo autonomo)
▼ presenza di ipoglicemia inavvertita
▼ esito dei questionari di soddisfazione
▼ esito dei questionari di valutazione delle conoscenze acquisite
Infine, informazioni possono essere tratte dalle banche dati aziendali:
▼ n. prescrizioni di glucagone fl, codice ACT
▼ diagnosi di ricovero riportate nelle SDO, secondo codifica ICD-9-CM
Di seguito, vengono riportate, come traccia di lavoro, alcune griglie per
la valutazione del bisogno formativo, del processo di formazione e della valutazione di risultato, mediante una proposta di criteri e alcuni indicatori.
14
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Verifica del processo di educazione terapeutica
La sperimentazione e la produzione di un appropriato set d’indicatori, quale è quello offerto in questo manuale, rappresenta il
momento propedeutico del passaggio alla fase act del ciclo di problem
solving. Al termine di questa fase infatti, l’organizzazione si può congratulare con se stessa per il risultato documentato dagli indicatori
e quindi mantenere il processo formativo progettato, oppure dovrà
reingenierizzare in tutto o in parte il percorso formativo.
VALUTAZIONE DEL BISOGNO
Criterio
Obiettivo
Misura
La popolazione diabetica deve
essere stratificata secondo il
rischio di crisi ipoglicemiche*
Conoscere quanti sono i diabetici a rischio maggiore di
ipoglicemia
Accessibilità3: documento di pianificazione degli interventi per la
classe a maggior rischio nell’unità
di tempo (secondo criteri di disponibilità di dati, di priorità ecc.)
L’educazione terapeutica deve
essere efficace. Si dovrebbe
conoscere lo stato di salute
della popolazione di riferimento
Valutare il numero di episodi ipoglicemici gravi (hanno richiesto
l’intervento di un sanitario)
Efficacia: tassi di prestazioni in PS
per ipoglicemia o eventi correlati
all’ipoglicemia
Valutare il numero di ricoveri
per crisi ipoglicemiche (SDO)
Appropriatezza: tasso di eventiricovero
Registrare le prescrizioni di
glucagone
Efficienza: rapporto numero fiale
glucagone erogate/totale dei soggetti a rischio
Pianificare e registrare la partecipazione a una attività formativa specifica
Efficienza: attestato di partecipazione, dichiarazione di responsabilità delegata
L’operatore deve possedere
i requisiti di formazione
*soggetti in terapia insulinica, con bassi valori di HbA1c, d’età > 70 anni, con diabete di lunga durata, con presenza di neuropatia diabetica, con presenza di ipoglicemia inavvertita, con presenza di grave complicanza micro- macrovascolare, con problemi psicosociali. La selezione deve essere adattata alla capacità del sistema informativo adottato.
VALUTAZIONE DI PROCESSO
Criterio
Obiettivo
Misura
Assicurare le cure appropriate a
chi ne ha veramente bisogno
Effettuare un ciclo di terapia
educativa sull’ipoglicemia alle
classi a rischio maggiore
Accessibilità: rapporto soggetti
a rischio formati/totale soggetti a
rischio
Conoscere quale è il guadagno
di conoscenza dei partecipanti
Avere un questionario delle
conoscenze
Efficacia: tasso di incremento delle
conoscenze
3
Accessibilità: possibilità di utilizzare una risorsa in modo proprio e tempestivo. Efficacia: misura della probabilità di beneficio per individui
di una popolazione definita nel contesto operativo. Appropriatezza: congruenza al problema al miglior livello possibile per tutta la popolazione. Efficienza: capacità di ottenere il risultato al costo inferiore (Orlandini D. Manuale di Accreditamento AMD, Glossario, 1999).
15
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Ipoglicemia
Criterio
Obiettivo
Misura
Rispettare i tempi.
Prevedere e usare bene le risorse
Avere una scheda di registrazione
Appropriatezza: registrazione
della scheda
Garantire la sicurezza e il rispetto
dei partecipanti
Avere un’istruzione per il consenso informato e definito
i problemi di sicurezza
(DL 626/94)
Appropriatezza: scheda di consenso firmata, registro, diario dei
corsi, documenti aziendali
Misurare il grado di empowerment dei partecipanti
Somministrare i questionari di
valutazione
Appropriatezza: registrazione dei
questionari al termine di ogni corso
Avere un registro degli invitati
e dei partecipanti
Fidelizzazione: registrazione del
tasso di partecipazione rapporto
invitati/partecipanti, del tasso di
abbandono (partecipanti usciti prematuramente/partecipanti)
VVALUTAZIONE
ALUTAZIONEDEL
DI RISULTATO
RISULTATO
Criterio
Obiettivo
Misura
Monitorare le richieste d’assistenza dei partecipanti ai corsi
Istituire un registro, raccogliere
informazioni
Efficacia: numero di richieste per problemi ipoglicemici nell’unità di tempo
Efficacia: rapporto n. di richieste
inappropriate/n. delle richieste nell’unità di tempo
Conoscere l’impatto dell’attività educativa
Registrare quanti degli aventi
bisogno sono stati raggiunti
nel periodo
Efficacia: rapporto n. diabetici a rischio
maggiore coinvolti/n. soggetti a
rischio maggiore nell’unità di tempo
Conoscere il guadagno di formazione, il gradimento dei
diabetici
Registrare i risultati dei questionari delle conoscenze e di
soddisfazione
Efficacia: risultati ottenuti/standard4
L’educazione terapeutica
deve essere efficace. Si
dovrebbe conoscere l’andamento dello stato di salute
della popolazione di riferimento dopo l’avvio dei corsi
Registrare il regolare possesso
di glucagone (farmaco non scaduto) da parte dei partecipanti
ai corsi
Efficacia: rapporto n. partecipanti
in possesso di glucagone fl/n. partecipanti ai corsi nell’unità di tempo
Valutare il tasso di ipoglicemie
dei partecipanti
Efficacia: rapporto n. nuovi
eventi/n. eventi precedenti nell’unità di tempo
Valutare il tasso di accessi in
PS per ipoglicemia dei partecipanti
Efficacia: rapporto n. ricoveri post
corsi/n. dei ricoveri precedenti nell’unità di tempo
4
Standard: valore assunto o auspicato da un indicatore rispetto a un valore di riferimento prefissato
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Che cos’è
e come si presenta
l’ipoglicemia
Definizione di ipoglicemia
Il termine ipoglicemia indica una condizione biochimica di caduta
dei livelli glicemici al di sotto dell’intervallo normale, ma in realtà
viene usato per definire la comparsa dei sintomi clinici legati a
questa condizione biochimica.
Livelli glicemici critici
I livelli glicemici ai quali compaiono i sintomi dell’ipoglicemia sono
in genere compresi tra 70 e 55-60 mg/dl, anche se esiste un’ampia
gamma di variazioni in parte legate alla tolleranza individuale, in parte
dipendente da fattori in grado di:
a) ridurre la soglia di comparsa dei sintomi, quali:
▼ età dei pazienti (nei neonati e nei bambini)
▼ elevata frequenza di ipoglicemie
▼ rapidità di caduta dei livelli glicemici
▼ presenza di neuropatia autonomica
▼ assunzione di alcol o di farmaci
b) elevare la soglia di comparsa dei sintomi
▼ cattivo controllo metabolico
▼ diabete di lunga durata
▼ età del paziente (negli anziani)
Sintomi
Pur esistendo una discreta variabilità individuale nella frequenza
dei sintomi che caratterizzano l’ipoglicemia, è abbastanza codificato che l’intensità dei sintomi è maggiore in presenza di valori
17
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Ipoglicemia
glicemici più bassi e che esiste una progressione delle manifestazioni cliniche schematizzabile come segue.
PROGRESSIONE DELLE MANIFESTAZIONI CLINICHE
● I segni iniziali dipendono dalla produzione degli ormoni come le catecolamine
che comportano sintomi reattivi come tremori, sudorazione fredda, palpitazioni,
ansia e sensazione di fame
● Disturbi conseguenti alla riduzione del glucosio a livello cerebrale sono disorientamento e confusione mentale, irritabilità, nervosismo e contemporaneamente astenia, svogliatezza e sonnolenza. In questa fase anche la coordinazione
motoria e il giudizio critico delle proprie azioni può essere compromesso in modo
pericoloso perché si realizzano in un soggetto apparentemente vigile
● Compaiono poi sintomi più gravi come apatia, sonnolenza, stato convulsivo,
scosse muscolari e coma
● Al perdurare e all’approfondirsi dell’ipoglicemia possono comparire alterazioni elettroencefalografiche, espressione di danno cerebrale permanente, fino alla morte
Se l’ipoglicemia è lieve e avvertita, e quindi corretta dal paziente, l’episodio regredisce nell’arco di pochi minuti.
SINTOMI DA IPOGLICEMIA MODERATA
● se la concentrazione di glucosio nel sangue continua a scendere (per esempio sotto
i 50 mg/dl) e non si interviene tempestivamente, ai sintomi prima descritti se ne
associano altri e, in particolare: difficoltà a concentrarsi, confusione mentale,
sonnolenza, disturbi della vista, a volte è presente irrequietezza con aggressività
Spesso sono i familiari o gli astanti ad accorgersi delle condizioni e/o
cambiamenti del comportamento del paziente.
Nella grave ipoglicemia possono essere presenti inoltre alterazioni neurologiche focali con afasia o emiparesi e assenza di riflessi.
Nei bambini talvolta si nota un cambiamento dell’umore con disturbi
del comportamento, mentre nelle persone anziane possono essere
presenti deficit neurologici focali già con valori glicemici a limiti inferiori della norma; inoltre, un’ipoglicemia in alcuni pazienti può precipitare un evento cardiovascolare acuto, quale infarto del miocardio,
in un paziente diabetico predisposto.
Sintomi gravi: se l’ipoglicemia continua a non essere trattata
e non si interviene adeguatamente, il paziente comincia a presentare alterazioni progressive e ingravescenti della coscienza, con
18
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Che cos’è e come si presenta l’ipoglicemia
stato soporoso, convulsioni fino al coma ipoglicemico. Tale condizione
è caratterizzata da perdita di coscienza del paziente il quale si presenta inoltre freddo, pallido, sudato, con polso frequente.
Situazioni particolari
Sintomi ipoglicemici con valori glicemici elevati
Molti pazienti in cattivo compenso metabolico sviluppano una sorta
di adattamento al perdurare di elevati livelli glicemici per cui manifestano i sintomi dell’ipoglicemia quando presentano valori ben più
elevati di quelli ai quali solitamente compaiono i sintomi clinici e
cioè compresi tra 90 e 120 mg/dl.
Ipoglicemia asintomatica
La comparsa dei sintomi neurologici dell’ipoglicemia dovuti alla neuroglicopenia, ma non preceduti da quelli premonitori derivanti dalla
secrezione degli ormoni dello stress, va sotto il nome di ipoglicemia
asintomatica. È questa un condizione legata, nella maggioranza dei casi,
al fatto che in precedenza il diabetico ha spesso vissuto per lunghi periodi
in una situazione al limite dell’ipoglicemia, cosa che ha provocato una
perdita di sensibilità e l’incapacità di riconoscere la stessa ipoglicemia
per deficit dei meccanismi controregolatori e/o per la presenza di complicanze neurologiche. È una condizione potenzialmente pericolosa
perché non consente una utile e precoce attuazione dei provvedimenti
necessari a interrompere l’aggravamento della sintomatologia.
Considerazioni conclusive
L’esperienza dell’ipoglicemia vissuta dal paziente per la prima
volta, specie se non adeguatamente preparato, risulta il più delle
volte drammatica e potenzialmente in grado di condizionare
molti comportamenti futuri contrari al raggiungimento di un
corretto equilibrio metabolico.
È purtroppo degno di nota il fatto che molti trattati dedichino
solo poco spazio a questa che rappresenta una delle principali
cause di ricorso ai reparti di emergenza e contemporaneamente una
evenienza frequente nella vita di molti diabetici.
Va quindi sottolineata la necessità di un’adeguata preparazione del
paziente sui sintomi, sulle cause e sulle misure da adottare per prevenire e curare l’ipoglicemia.
È inoltre necessario spiegare ai pazienti che, per quanto i sintomi
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Ipoglicemia
possano essere molto violenti, la risoluzione di una crisi ipoglicemica è in genere cosa piuttosto semplice e veloce e che il recupero
dello stato di benessere può essere completo se vengono attuate precocemente misure adeguate.
SINTOMI CLINICI DELL’IPOGLICEMIA E FATTORI PATOGENETICI
IN RAPPORTO AI LIVELLI GLICEMICI
Livelli glicemici (mg/dl)
Fattori patogenetici
Manifestazioni cliniche
70-60
Catecolamine
Tremori
Sudorazione
Palpitazioni
Astenia
< 60
Neuroglicopenia
Irritabilità
Nervosismo
Astenia sempre più intensa
< 50
Neuroglicopenia
Confusione mentale
Disorientamento
Svogliatezza
Sonnolenza
Perdita del potere critico
< 40
Neuroglicopenia
Convulsioni
Perdita di coscienza
< 30
Neuroglicopenia
Coma
Danni cerebrali permanenti
Morte
< 20
SINTOMI CLINICI DI IPOGLICEMIA IN RAPPORTO
AL MOMENTO DI COMPARSA
Precoci (reattivi)
Tardivi (da neuroglicopenia)
Sudorazione
Confusione mentale
Tremori
Difficoltà di concentrazione
Palpitazioni
Debolezza muscolare
Sensazione di calore
Disturbi visivi
Irritabilità
Sonnolenza
Sensazione di fame
Astenia
Parestesie
Alterazioni della personalità
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Perché l’ipoglicemia
L
e crisi ipoglicemiche reali o supposte sono un evento clinico
frequente. Possono verificarsi quando uno qualsiasi dei processi (assorbimento, deposito o rilascio dei nutrienti), degli
organi (tratto gastrointestinale, muscolo scheletrico, fegato, ipofisi,
corteccia surrenale) o degli ormoni (insulina, glucagone, cortisone,
catecolamine, ormone della crescita, ormone tiroideo) coinvolti nel
sistema regolatorio sono interessati da un processo patologico. Il
quadro sintomatologico può presentarsi nei pazienti diabetici in
terapia farmacologica, nei pazienti con iniziali alterazioni del
metabolismo glucidico e nei soggetti metabolicamente sani. Poiché
allo specialista diabetologo si rivolgono tutte queste tipologie di
pazienti, la classificazione più utile del “perché delle ipoglicemie”
può essere basata proprio sulle caratteristiche dei malati.
SENZA ALTERAZIONI DEL METABOLISMO GLUCIDICO
●
Quadri morbosi che possono mentire un’ipoglicemia
●
Ipoglicemie vere non legate al diabete
Da tossici o medicamenti
Da patologie diverse
INIZIALI ALTERAZIONI DEL METABOLISMO GLUCIDICO
DIABETE
●
Trattamento ipoglicemizzante orale
●
Trattamento insulinico
●
Errori di trattamento
Équipe diabetologica
Paziente
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Ipoglicemia
Senza alterazioni
del metabolismo glucidico
Quadri morbosi che possono mentire un’ipoglicemia
L’ipoglicemia reattiva idiopatica (o funzionale) era definita dalla comparsa di sintomi adrenergici e lievemente neuroglicopenici alcune
ore dopo un pasto, dal presentarsi dei sintomi in coincidenza di una
ipoglicemia documentabile e dalla remissione dei sintomi mediante
la somministrazione di cibo o di glucosio. Attualmente è chiaro che
la maggior parte dei pazienti a cui era stata fatta questa diagnosi in
realtà non presentava alcun disordine del metabolismo del glucosio.
Molti sintomi comunemente riscontrabili nella vita quotidiana, quali
l’affaticamento, la depressione, l’incapacità a concentrarsi, la sudorazione, le palpitazioni, il nervosismo potevano essere attribuiti all’ipoglicemia.
L’indagine clinica sistematica ha fornito le seguenti informazioni:
▼
▼
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▼
i soggetti normali possono avere bassi livelli di glicemia dopo un
carico orale di glucosio (in uno studio di 650 soggetti normali
con carico orale di 100 g, il 10% aveva un valore nadir di glicemia
di 47 mg/dl, e il 2,5% aveva valori di 39 mg/dl);
quelli che hanno bassi livelli di glicemia dopo un test di tolleranza
orale al glucosio, frequentemente hanno livelli normali di glicemia dopo un pasto misto;
dopo un carico orale di glucosio si possono presentare sintomi
senza vera ipoglicemia;
i pazienti che riferiscono “ipoglicemia” frequentemente hanno una
base emozionale per questi sintomi.
In un gruppo di pazienti sottoposti a una valutazione per ipoglicemia reattiva, i valori che si riscontrarono al Minnesota Multiphasic
Personality Inventory erano differenti da quelli di un gruppo di
pazienti di controllo.
Ipoglicemie vere
Tossici o medicamenti
Un’ipoglicemia fittizia dovuta ad autosomministrazione clandestina
di insulina, a scopo suicida o criminale, dovrebbe essere sempre considerata nella diagnosi differenziale dell’ipoglicemia; questa situazione
si incontra più frequentemente in parenti di pazienti diabetici o in
ambiente sanitario.
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Perché l’ipoglicemia
In pazienti psichiatrici, lo shock insulinico terapeutico può provocare un’ipoglicemia prolungata e danni cerebrali irreversibili.
L’ipoglicemia indotta dall’alcol a digiuno si sviluppa in modo caratteristico in individui malnutriti o con severo deficit alimentare nell’arco di 6-36 ore dall’ingestione di una moderata o grande quantità
di alcol.
Deriva essenzialmente dalla diminuzione della produzione epatica di
glucosio dovuta alla diminuzione della gluconeogenesi epatica, anche
se possono intervenire altri meccanismi, come le alterazioni della secrezione dell’asse ipotalamo-ipofiso-surrenale o ipotalamo-ipofisario.
Una severa ipoglicemia nei bambini può essere anche provocata dall’assunzione casuale di alcol.
Nei pazienti con malaria da Plasmodium falciparum curati con
chinino per via endovenosa si ha un’ipoglicemia dovuta alla stimolazione massiva dell’insulina da parte del chinino.
I beta-bloccanti possono favorire l’ipoglicemia per la loro azione
inibitoria sulla lipolisi nel tessuto adiposo, che rappresenta una fonte
di energia alternativa quando la concentrazione di glucosio è bassa.
L’ipoglicemia dovuta ai beta-bloccanti è stata osservata in bambini
dopo 6-10 ore di digiuno. Una terapia con beta-bloccanti somministrata alla madre può avere ripercussioni sul feto e aumentare
l’ipoglicemia neonatale.
Usata nel trattamento dell’infezione da Pneumocystis carinii, un’infezione opportunistica frequentemente osservata in pazienti con sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), la pentamidina
induce citolisi massiva delle cellule beta delle insule di Langerhans,
un processo che porta a iperinsulinemia temporanea e ipoglicemia
seguita da diabete insulinopenico.
Altri farmaci. Ouabaina, mebedanzolo, isoproterenolo, trisaminometano o THAM, mesossalato, disopiramide, tranilcipromina e probabilmente gli inibitori delle monoaminoossidasi possono causare ipoglicemia per stimolazione del rilascio
di insulina. Potassio para-amino benzoato, aloperidolo, propossifene, steroidi anabolici e guanitidina sono stati ritenuti possibili cause di ipoglicemia attraverso meccanismi non noti.
Clofibrato e ACE-inibitori potenziano le proprietà ipoglicemizzanti degli antidiabetici orali.
Patologie diverse
Insulinoma. Gli insulinomi sono neoplasie rare che derivano dalle
cellule beta delle insule di Langerhans. Secondo i dati pubblicati, nel
68-85% dei casi questi tumori sono adenomi singoli benigni; adenomi
multipli o microadenomatosi diffusa si osservano nel 10-19% dei casi;
carcinomi delle cellule insulari sono meno frequenti (2-11%).
L’adenoma delle cellule insulari può essere parte della sindrome plurighiandolare. Esso talvolta coesiste con il gastrinoma pancreatico della
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Ipoglicemia
sindrome di Zollinger-Ellison. Questi tumori secernono insulina a
velocità apparentemente non influenzata dai normali meccanismi
fisiologici. Creutzfeldt e il suo gruppo hanno proposto l’originale concetto che la cellula tumorale abbia perso, in qualche caso parzialmente
in altri completamente, la capacità di trattenere il suo prodotto, la
proinsulina, quando essa non è necessaria per l’organismo. Nella
cellula beta normale un basso livello di glicemia arresta il rilascio di
insulina, mentre nelle cellule beta tumorali questo meccanismo non
funziona correttamente.
Nesidioblastosi e iperplasia delle cellule beta. La nesidioblastosi
è una rara malattia che conduce a ipoglicemia permanente nell’infanzia.
Essa è caratterizzata fondamentalmente dalla presenza nel pancreas
di microadenomi. Polak e Bloom hanno mostrato che in questa
malattia il contenuto pancreatico di somatostatina è ridotto e hanno
suggerito che il deficit di somatostatina può essere uno dei fattori
responsabili del rilascio inappropriato di insulina.
L’ipoglicemia alimentare generalmente si verifica in pazienti che
sono stati sottoposti a chirurgia dello stomaco. Tipicamente si
riscontra nei pazienti sottoposti a gastrectomia totale, ma può
anche verificarsi dopo gastrectomia parziale. In rare occasioni l’ipoglicemia alimentare si può sviluppare anche in pazienti non sottoposti a chirurgia dello stomaco (gastrite ipersecretiva).
L’ipoglicemia alimentare è la forma più seria di ipoglicemia
reattiva dell’adulto.
In contrasto ad altre forme di ipoglicemia reattiva dell’adulto, nell’ipoglicemia alimentare i sintomi possono includere convulsioni
o coma, e il disturbo può essere letale.
Tipicamente il paziente sviluppa sintomi adrenergici o neurologici di ipoglicemia da 30 a 60 minuti dopo il pasto. L’ipoglicemia
alimentare sembra riflettere la perdita della normale funzione di
serbatoio dello stomaco, il rapido assorbimento del glucosio e la
persistenza dell’effetto dell’insulina dopo l’utilizzazione del glucosio ingerito.
Si sviluppa rapidamente iperglicemia, spesso entro 30 minuti
dal carico di glucosio. L’iperglicemia costituisce uno stimolo
insulinogenico per le cellule beta del pancreas.
L’effetto dell’insulina secreta può persistere dopo l’utilizzazione
del carico di glucosio, con conseguente ipoglicemia. È stato suggerito che l’asse entero-insulare sia alterato, quale conseguenza della
chirurgia gastrica, e che ci sia un’aumentata secrezione di un
ormone enterico che stimola la secrezione di insulina.
La diagnosi di ipoglicemia alimentare dovrebbe essere contemplata
in qualsiasi paziente con una storia di chirurgia gastrica che presenti
sintomi compatibili con una ipoglicemia, comprese le convulsioni e
il coma, che insorgano da circa 30 minuti a 2 ore dopo il pasto.
L’uso di pasti piccoli e frequenti poveri in zuccheri semplici è generalmente efficace.
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Perché l’ipoglicemia
Iniziali alterazioni
del metabolismo glucidico
Una sintomatologia ipoglicemica attenuata può precedere anche di
anni l’insorgere del diabete mellito conclamato. L’iperinsulinemia
che caratterizza i pazienti con futura malattia diabetica è frequentemente causa di ipoglicemie reattive che compaiono dopo 3-5 ore
dal pasto. In genere la sintomatologia è modesta e si risolve spontaneamente anche se spesso il paziente impara a correggerla con l’assunzione di piccole quantità di carboidrati. Uno studio metabolico
completo svelerebbe una parziale riduzione del picco precoce della
secrezione insulinica e un’iperinsulinemia protratta nel tempo con
conseguente dissociazione tra valore glicemico e tasso insulinemico.
Questi fenomeni sono naturalmente più frequenti nei familiari di
primo grado dei diabetici e nei pazienti obesi, in quanto notoriamente
soggetti con sindrome da resistenza insulinica. In caso di crisi ipoglicemiche ripetute, escluse le cause discusse nella parte precedente,
è necessario sottoporre i pazienti a un test da carico orale di glucosio
con dosaggio anche della insulinemia. Il test può essere reso più sensibile dalla somministrazione di dosaggi maggiori di glucosio
(100 g) e dal protrarsi della prova a 180’.
Diabete
Trattamento ipoglicemizzante orale
Non ci sono dubbi che l’ipoglicemia da sulfaniluree è sottostimata e poco descritta, e le molecole più recenti non sono state
ancora valutate sulla loro sicurezza. Esistono pochi dati circa la
frequenza di questa condizione, ma in uno studio prospettico a
2 anni, il 2% dei pazienti presentava un’ipoglicemia sintomatica
e lo 0,4% richiedeva il ricovero ospedaliero per tale ragione. Il
rischio di grave ipoglicemia aumentava con l’età, con malattie
intercorrenti e malnutrizione, e i casi fatali sembravano essere più
frequenti rispetto all’ipoglicemia indotta da insulina.
Alcune precauzioni essenziali devono essere prese quando si prescrivono le sulfaniluree nei soggetti anziani. La principale tra queste
è di non perseguire uno stretto controllo della glicemia e, laddove possibile, interrompere la terapia farmacologica. Deve essere valutata la
funzionalità epatica e renale, poiché i farmaci escreti dal rene si accumulano in presenza d’insufficienza renale, così come quelli metabolizzati dal fegato in presenza di epatopatie. Le sulfaniluree “istruiscono”
le cellule beta a rispondere al glucosio, e quindi le infusioni di glu-
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Ipoglicemia
cosio possono facilmente causare un’ipoglicemia di rimbalzo. In uno
studio condotto su 57 casi di ipoglicemia associata alla glibenclamide, gli autori dimostrarono che l’ipoglicemia era associata a
una funzionalità renale anormale nel 21% dei casi osservati, a una funzionalità epatica anormale nell’8%, a un’assunzione di cibo ridotta,
a diarrea o a entrambe nel 25% e all’ingestione di alcol nel 4%;
furono sospettate interazioni tra farmaci in 22 casi sui 57 esaminati.
Trattamento insulinico
Vi sono due condizioni di base che predispongono all’ipoglicemia grave
nei pazienti insulino-dipendenti, denominate in modo inappropriato iperinsulinemia periferica e ridotta secrezione degli ormoni controregolatori.
La terapia insulinica produce iperinsulinizzazione nel circolo
periferico (sistemico) ed è stato dimostrato che la velocità di rilascio
periferico dell’insulina, richiesta per normalizzare la produzione
epatica di glucosio e i livelli di glicemia in pazienti con diabete
mellito tipo 1, produce livelli plasmatici di insulina almeno due
volte maggiori rispetto a quelli di soggetti non diabetici.
L’iperinsulinemia terapeutica, pertanto, predispone all’ipoglicemia,
anche se il rischio può essere bilanciato dalla resistenza all’insulina.
In condizioni di normonutrizione, i livelli plasmatici dei chetoni
non sono tanto alti da fornire l’energia necessaria al cervello, cosicché
questo, dal punto di vista energetico, dipende completamente dal glucosio. Durante il digiuno, sono necessarie molte ore affinché i livelli
di chetoni circolanti aumentino tanto da fornire una fonte alternativa di energia al cervello. L’insulina sopprime la chetosi inibendo
la scissione dei trigliceridi (riducendo così i livelli circolanti di acidi
grassi liberi) e promuovendo l’utilizzazione dei chetoni nei tessuti periferici, quali il muscolo scheletrico. Così, nelle forme di ipoglicemia
mediate dall’insulina, l’insulina non solo abbassa il livello di glucosio circolante, ma riduce anche la disponibilità di substrati
alternativi per il cervello.
Nella maggior parte dei pazienti diabetici insulino-dipendenti, la
risposta secretoria del glucagone all’abbassamento della glicemia
diviene rapidamente insufficiente, spesso già nei primi anni successivi alla diagnosi.
Nel Diabetes Control Complications Trial (DCCT) l’incidenza dell’ipoglicemia severa è stata approssimativamente tre volte maggiore
nel gruppo sottoposto a terapia intensiva rispetto al gruppo sottoposto
a terapia convenzionale. Infatti, nel gruppo in terapia intensiva vi sono
stati 62 episodi ipoglicemici per 100 anni-paziente in cui si è reso
necessario un trattamento specifico, mentre nel gruppo in terapia convenzionale vi sono stati 19 episodi simili per 100 anni-paziente.
Durante CSII l’incidenza di gravi episodi ipoglicemici varia tra 0,1
e 1,2 per paziente all’anno.
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Perché l’ipoglicemia
L’effetto ipoglicemizzante dell’insulina può essere potenziato dalla simultanea assunzione di etanolo o di numerosi
farmaci: sulfaniluree, biguanidi, beta-bloccanti non selettivi,
inibitori delle monoamino-ossidasi, ACE-inibitori, salicilati e
tetracicline.
Pazienti con insufficienza renale o epatica, che possono interferire con l’eliminazione o il metabolismo (o entrambi) di questi
farmaci, sono ad alto rischio di ipoglicemia.
I pazienti che presentano un’alterata risposta controregolatoria all’ipoglicemia indotta dall’insulina hanno una probabilità di sviluppare una ipoglicemia severa 20-25 volte maggiore di quelli che hanno meccanismi di controregolazione
integri.
Errori di trattamento
Équipe diabetologica
La causa più frequente di modeste crisi ipoglicemiche è rappresentata
dagli errori dell’équipe che tiene in cura il diabetico o del medico
curante. Raramente gli errori sono frutto di scarsa conoscenza, anche
se alcuni errori sono più frequenti:
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correzione eccessiva di un’unica iperglicemia non riconfermata
aumento del dosaggio terapeutico al momento dell’ipoglicemia e
non nella somministrazione terapeutica che precede l’iperglicemia
mancato riconoscimento di un effetto Somogy
prescrizione di diete prive di carboidrati
mancato riconoscimento di insufficienza renale e di permanenza
in circolo di farmaci ipoglicemizzanti
somministrazione di molecole long acting eccessivamente ravvicinate
prescrizione in tarda serata di miscele contenenti alte concentrazioni di insuline pronte
prescrizione che tiene conto solo degli effetti immediati e non di
tutto il metabolismo delle 24 ore
L’elenco non esaustivo delle “distrazioni” dei curanti serve solo a
porre l’accento su alcuni momenti difficili della cura del paziente
diabetico. L’approfondimento di questo aspetto sarà molto più
efficace se somministrato ai discenti attraverso casi clinici reali o
simulati.
Paziente
La causa più frequente di gravi crisi ipoglicemiche è rappresentata dagli errori dei pazienti che praticano l’autogestione
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Ipoglicemia
della malattia o l’autocontrollo continuo delle glicemie capillari.
Le motivazioni più frequenti di errore sono:
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incremento dell’attività fisica senza aumento dell’introito calorico
doppia assunzione involontaria della terapia
assunzione di errata tipologia (pronta/semilenta) insulinica
mancato riconoscimento di un effetto Somogy
eccessiva correzione di iperglicemia
mancata riduzione della terapia dopo vomito o ridotta assunzione
calorica
allontanamento del pasto dalla somministrazione
eccessiva assunzione di terapia per compensare un pasto abbondante
ridotta assunzione calorica per compensare un precedente eccesso
ridotto intervallo tra due somministrazioni terapeutiche
errata valutazione della glicemia capillare per campione insufficiente
o per grave ipotensione arteriosa
Bibliografia
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therapy with nifedipine. Indian J Pediatr 2002;69(3):271-272.
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responses to hypoglycemia, and insulin treatment normalizes HPA but not
epinephrine responses. Diabetes 2002;51(6):1681-1689.
◆
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Prevenzione
dell’ipoglicemia
L’
adozione di appropriate misure preventive possono ridurre al
minimo sia i casi di ipoglicemia grave che quelli lievi, questi
ultimi spesso non adeguatamente considerati sia da diversi
pazienti sia da alcuni medici. Sono, invece, importanti da un punto
di vista clinico, poiché questi episodi sono responsabili di una instabilità cronica del controllo glicemico e della sindrome della hypoglycemia unawareness, che finisce per aumentare il rischio di coma ipoglicemico. Inoltre, la prevenzione degli episodi di ipoglicemia grave
deve essere scrupolosamente perseguita per cercare di ridurre le sequele
e l’elevato tasso di mortalità (tra il 4 e il 10% di tutte le cause di morte
dei pazienti diabetici) dovuto direttamente o indirettamente all’ipoglicemia. In ogni caso è necessario istruire il paziente a riconoscere
i sintomi dell’ipoglicemia.
Pazienti in terapia insulinica
Per prevenire l’ipoglicemia è indispensabile prima di tutto educare il
paziente a riconoscere le condizioni che caratteristicamente aumentano
il rischio di ipoglicemia da insulina e dargli delle semplici ma chiare
nozioni sulla diversa farmacocinetica delle preparazioni insuliniche
che gli vengono somministrate.
Il rischio è tanto più elevato, quanto più aggressivo è il trattamento insulinico allo scopo di ottenere un ottimale controllo glicemico. Lo studio
DCCT ha dimostrato che lo stretto controllo glicemico aumenta di circa
tre volte l’incidenza di ipoglicemia. Quindi, la prima regola per la prevenzione della glicemia consiste nella selezione razionale dei pazienti che
devono essere sottoposti a questo schema terapeutico. Per esempio, nei
pazienti anziani e in quelli con limitate prospettive di vita, la prevenzione
delle complicanze croniche della malattia diabetica passa in secondo
piano. In questi pazienti è meglio accontentarsi di un valore glicemico
giornaliero medio intorno ai 200 mg% (HbA1c tra 8 e 10%) che previene
sia l’ipoglicemia sia i sintomi dell’iperglicemia o la chetosi e l’iperosmolarità. Per quanto riguarda gli obiettivi del controllo glicemico dei
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Ipoglicemia
soggetti giovani, i dati del DCCT e di altri studi prospettici (Oslo e
Stoccolma) suggeriscono che il rischio di insorgenza delle complicanze
croniche può essere significativamente contenuto se l’emoglobina glicata
viene mantenuta a valori inferiori al 7-7,5%. Due recenti studi europei,
pur se condotti su un numero limitato di pazienti, hanno dimostrato che
l’emoglobina glicata può essere mantenuta tra il 6 e il 7% senza aumentare
l’incidenza di ipoglicemia se i pazienti sono istruiti adeguatamente,
motivati e seguiti dal diabetologo. Nella pagina seguente sono riportati
dei suggerimenti pratici che consentono di ridurre drasticamente gli
episodi. A tal fine viene sottolineata l’importanza dell’educazione del
paziente diabetico, ma è anche utile istruire un familiare del paziente sui
segni e sui sintomi dell’ipoglicemia in modo che possa intervenire se la
neuroglicopenia limita la capacità di ragionamento dello stesso paziente.
Viene, inoltre, rimarcata l’importanza del frazionamento della terapia insulinica in modo da ridurre l’uso dell’insulina ad azione intermedia, particolarmente pericolosa per lo sviluppo dell’ipoglicemia perché costringe
CONSIGLI PER LA PREVENZIONE DELL’IPOGLICEMIA
NEI PAZIENTI DIABETICI IN TERAPIA INSULINICA
● Devono essere educati a imparare a riconoscere i sintomi dell’ipoglicemia e a individuare
le cause che possono scatenarle
● Deve essere sempre consigliato l’automonitoraggio glicemico domiciliare quale mezzo
indispensabile per il diabetologo e il paziente per modificare razionalmente la dieta e
la terapia insulinica
● Soprattutto durante i primi periodi della malattia, è essenziale uno stretto
contatto telefonico tra il diabetologo e il paziente; nel corso di questi contatti il diabetologo deve porre particolare cura nel motivare le modifiche della terapia che suggerisce al paziente sulla base dei dati del controllo glicemico
● L’ottimizzazione del controllo glicemico notturno richiede l’esecuzione sporadica di controlli domiciliari notturni della glicemia alle ore 24 e alle ore 3
● Se necessario, può essere utile frazionare la dieta in sei pasti giornalieri inserendo degli
spuntini a metà mattinata, nel pomeriggio e al momento dicoricarsi
● La terapia insulinica ottimale per la prevenzione dell’ipoglicemia e per il mantenimento
di un ottimale controllo glicemico consiste nelle tre somministrazioni giornaliere di
insulina pronta prima dei tre pasti e di una somministrazione serale (al momento di coricarsi) di insulina intermedia
● Il paziente deve essere istruito sulla tecnica di somministrazione e sulla sede più opportuna
per l’iniezione di insulina: nella regione periombelicale perl’insulina pronta, sulla coscia
o sul deltoide per l’insulina ad azione intermedia
● Il paziente deve essere istruito sull’importanza del rispetto dell’intervallo tra l’iniezione dell’insulina e l’inizio del pasto (30 minuti). Questo intervallo non è invece necessario se si inietta
insulina lyspro o aspart. Il paziente deve essere però responsabilizzato a gestire le normali
variabilità delle abitudini che contraddistinguono la vita di tutti i giorni e quindi deve essere
posto in grado di ridurre o aumentare di conseguenza la posologia dell’insulina
● Il paziente deve essere istruito sugli effetti dell’attività muscolare sulla glicemia; se esegue
dell’attività fisica è consigliabile una pratica regolare che comporti un dispendio energetico
piuttosto costante, in quanto ciò consente di individuare più facilmente l’entità della riduzione della posologia insulinica o dell’integrazione al mentare
● È meglio evitare l’uso dei farmaci beta-bloccanti, specie i non selettivi, che espongono il
paziente al rischio di più gravi ipoglicemie e possono mascherare i sintomi dell’ipoglicemia
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Prevenzione dell’ipoglicemia
il paziente a un rigoroso rispetto degli orari del pasto, ha un assorbimento
sottocutaneo scarsamente riproducibile (che varia fino al 50% di giorno
in giorno) e perché, essendo assorbita lentamente, può indurre delle ipoglicemie di più lunga durata. Infine, una particolare attenzione deve essere
posta ai pazienti con la già citata sindrome della hypoglycemia unawareness che può essere trattata con successo mediante un periodo transitorio (1-2 mesi) durante il quale viene aumentata deliberatamente la glicemia media giornaliera intorno ai 180-200 mg% ed evitata rigorosamente l’ipoglicemia. Questo consente di migliorare o di normalizzare le
risposte degli ormoni controregolatori e di riportare nei limiti fisiologici la soglia per la comparsa dei sintomi dell’ipoglicemia.
Una educazione terapeutica basata su rigidi principi di adesione a una
terapia fissa, a rigidi orari di assunzione dei pasti e a tutto quello che
non corrisponde alla normale variabilità delle abitudini che contraddistingue la vita di tutti i giorni né alla responsabilizzazione del
paziente e alla sua autonoma partecipazione alle decisioni terapeutiche, è destinata a fallire, proprio perché impostata su un’idea non realistica delle abitudini di vita dei nostri pazienti, che invece è giusto siano
variabili esattamente come quelle dei non diabetici. Un tale approccio
determina come risultato frustrazione e irritazione.
I pochi pazienti che dovessero aderire a prescrizioni rigide potranno effettivamente prevenire in modo efficace le ipoglicemie, a scapito però di
una qualità della vita inaccettabile per la maggior parte delle persone.
A ben vedere, una strategia basata sulla massima costanza di abitudini
e orari risponde solo a un bisogno di chiarezza e semplicità del personale sanitario. Un approccio più consono ai principi dell’educazione
terapeutica strutturata deve seguire la strategia opposta, quella della
massima variabilità di abitudini che, nonostante le maggiori difficoltà da affrontare, meglio risponde alle esigenze dei pazienti.
Per sviluppare questa strategia, alcuni degli obiettivi potrebbero
essere i seguenti:
1. individuare le ore a rischio di ipoglicemia, in base alla cinetica dell’insulina utilizzata;
2. distinguere il fabbisogno insulinico basale e postprandiale e individuare le rispettive dosi di insulina in grado di soddisfare le due
esigenze in condizioni tipiche (per esempio basale/bolo con dieta
e attività fisica abituali);
3. se si riducono i carboidrati di un pasto, ridurre l’insulina pronta
che lo precede (bolo);
4. se aumenta l’attività fisica:
▼ aumentare i carboidrati prima (e durante) l’attività;
▼ aumentare i carboidrati e/o ridurre l’insulina pronta (bolo)
dopo l’attività;
▼ ridurre l’insulina intermedia serale (basale).
In tutti questi casi, per realizzare questi obiettivi di vita corrente l’au-
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*Imp Ipoglicemia-medico 13-11-2002 12:37 Pagina 32
Ipoglicemia
tomonitoraggio è lo strumento che risponde alle domande specifiche poste dalla terapia, sia durante le giornate abituali, sia in occasione di variazioni dell’alimentazione (salto del pasto, cena più abbondante al ristorante o in pizzeria,…) o dell’attività fisica (piscina due
volte la settimana, vacanza sportiva per un sedentario, vacanza sedentaria per uno sportivo,…).
Pazienti in trattamento
con antidiabetici orali
La prevenzione dell’ipoglicemia è principalmente importante per i
pazienti anziani che assumono le sulfoniluree, dal momento che
hanno spesso una vasculopatia ischemica cerebrale e sono, quindi, particolarmente esposti al rischio di sequele neurologiche irreversibili
dell’ipoglicemia. A questo scopo viene suggerito di:
1. evitare l’uso delle sulfoniluree nei pazienti con chiara riduzione della
funzione renale ed epatica e di preferire nei pazienti in età avanzata
le sulfoniluree a breve durata d’azione o l’acarbose in quanto il
rischio di ipoglicemia prolungata è minore;
2. accontentarsi, in questi pazienti, di un controllo glicemico discreto
(valore di HbA1c tra 8 e 11%) che serva più che altro a prevenire
i sintomi dell’iperglicemia e la sindrome iperosmolare;
3. cercare di convincere i pazienti a seguire il regime dietetico, che il
più delle volte è sufficiente a mantenere la glicemia entro questi limiti;
4. istruire i pazienti sull’importanza di non aumentare senza consiglio
del medico la terapia e di contattarlo nel caso di patologie di tipo
gastroenterico che riducano l’assunzione di alimenti e l’assorbimento
dei farmaci;
5. preferire la terapia insulinica a piccole dosi (poche unità di insulina
pronta prima dei pasti) all’aumento della posologia dell’ipoglicemizzante orale quando il controllo glicemico è scadente.
Apparentemente, l’uso dell’insulina sembra un approccio più indaginoso e non sempre viene accettato dai pazienti; però esso presenta l’indubbio vantaggio di ridurre il rischio di ipoglicemia in soggetti particolarmente vulnerabili.
Gli altri gruppi di farmaci (biguanidi, inibitori dell’α-glicosidasi e tiazolidinedioni) generalmente non determinano crisi ipoglicemiche.
Per concludere, deve essere sottolineato il fatto che l’educazione terapeutica strutturata, anche nel caso della prevenzione delle crisi ipoglicemiche, deve prevedere una ripetizione periodica, perché il paziente diabetico tende a essere meno vigilante nel tempo se non sperimenta
episodi ipoglicemici, perché le abitudini di vita possono modificarsi nel
tempo e perché i sintomi dell’ipoglicemia variano con l’aumentare
della durata della malattia.
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