89° anno LXXXIX N. 3 Marzo 2010 in cruce gloriantes MENSILE DELL’AZIONE CATTOLICA TICINESE Verso la gioia della Pasqua In questo numero: 2 Quando non si educa ma si perverte 3 “Fai diventare l’AC la causa della tua vita” 5 Incontriamo le persone là dove vivono 7 L’editoriale: Un mondo di novità 11 Il digiuno e il valore perduto del sacrificio 13 L’antico e il nuovo 14 Divertentissima tradizione 16 Il teologo risponde dal presidente L’aberrante campagna di Stop AIDS sui mini profilattici Quando non si educa ma si perverte Le campagne di Stop AIDS Svizzera suscitano scalpore e diffusa indignazione, ma l’ultima trovata di questi “esperti” è estremamente grave e va condannata e respinta al mittente: l’imminente distribuzione di «mini profilattici» a 12-14enni, resasi necessaria – sempre secondo loro – a causa dell’importanza di “proteggersi” perché molti ragazzi sarebbero già attivi sessualmente. L’“allarme” è stato dato dalla Commissione federale per l’infanzia e la gioventù (CFIG) che l’anno scorso ha commissionato un sondaggio svolto on-line dall’Università di Basilea, che ha coinvolto 1449 ragazzi e giovani dai 12 ai 20 anni nella Svizzera romanda e tedesca. Per Stop AIDS Svizzera lo studio solleva un’urgenza e occorre quindi distribuire il “mini preservativo” a tutti i ragazzi tra i 12 e i 14 anni. Tuttavia se trasformiamo in numeri le percentuali di questo sondaggio scopriamo che solo nove 12-13enni hanno dichiarato di non essersi “protetti” e sulla base di questi dati irrisori vorrebbero coinvolgere in questa campagna tutti i coetanei svizzeri! Siamo ormai in balia di queste politiche discutibili e fuorvianti, ma dobbiamo evitare il peggio (questi signori “esperti” in sessualità vorrebbero lanciare questa campagna con spot TV e manifesti, oltre che a azioni nelle scuole) perché è intervenuta di recente la CFIG con direttive che dovranno essere poi assunte dalle istituzioni politiche e sociali, volte a promuovere una “vera” educazione sessuale fin 2 Spighe Marzo 2010 dalla scuola dell’infanzia (sic!), con delle attività modulari gestite non dai docenti titolari ma da “esperti di pedagogia sessuale” appositamente formati (da chi? come? con quali contenuti?). Possiamo già intuire quali bei messaggi veicoleranno questi esperti di Stop AIDS. E il ruolo dei genitori? “Fondamentale”, “basilare” – a parole – ma poi si specifica che non potranno influenzare le scelte dello Stato e quindi della scuola, non potranno esonerare i figli da queste “lezioni”, neanche per motivi religiosi o culturali, e dovranno essi stessi “perfezionarsi” con corsi o colloqui mirati. Siamo di fronte a un’impostazione totalmente ideologica, totalitaristica, in quanto non rispettosa di diritti basilari come ad esempio la responsabilità educativa dei genitori – che viene impunemente scavalcata – e la tutela dei minorenni. Siamo d’accordo sulla necessità di svolgere una vera educazione in questo campo – bisogna colmare alcune importanti lacune – ma qui come dimostrano le squallide “campagne” di Stop AIDS si vuole prima imporre già in tenerissima età un modello di sessualità perversa e animalesca che si basa sulla cosiddetta prevenzione e sulla distribuzione a tappeto di preservativi (“fai quello che vuoi ma proteggiti”) a scapito di una sana e completa educazione, capace di integrare anche l’educazione all’affettività e di aiutare gli adolescenti a scoprire con gradualità la propria identità ses- suale maschile e femminile. Invece che proporre modelli perversi l’emergenza sembra essere ben diversa: è la “solita” sfida o emergenza educativa, e con questi signori il tutto si complica, perché con questa ideologia l’educazione passa a senso unico da un palloncino di plastica – adattato a tutte le misure – ma incapace a rispondere alle domande più autentiche e vere. Auspichiamo – sentendo anche gli scritti e i pensieri della gente comune – che le autorità politiche del nostro Cantone sappiano reagire e non accettare simili perversioni nelle nostre scuole. L’Azione Cattolica Ticinese porterà avanti questa battaglia e farà di tutto affinché questo squallore non contamini i nostri bambini e adolescenti. Davide De Lorenzi dalla diocesi Ricordando il Vescovo Eugenio Corecco nel 15° anniversario di morte “Fai diventare l’AC la causa della tua vita” Quindici anni fa, il 1° marzo 1995, ci lasciava il Vescovo Eugenio Corecco. Il tempo che passa a volte diventa uno spazio che allontana fino a trasformare in oblio; ma altre volte è una finestra che si apre su un’altra dimensione e rafforza le tracce, la consistenza, la presenza. Con il Vescovo Eugenio la distanza sembra proprio “lavorare” su un ricordo sempre più vivo e fondato sull’essenziale, capace di gratitudine per averlo conosciuto ma anche disposto ad una matura volontà di comprensio- ne e anche di imitazione. Leggendo l’ultimo numero della rivista dell’Associazione amici di Eugenio Corecco si coglie la ricchezza di un’eredità che possiamo definire profetica, capace di dirci qualcosa di importante ancora oggi. Tra queste pagine troviamo anche il bellissimo intervento di Roberto Stefanini, “Come Eugenio ci ha educato alla fede”, pubblicato anche da Spighe nel mese di marzo del 2009. L’Azione Cattolica “rinata” è tra le ricchezze di questa “eredità”: a partire dal congresso del 1989 Eugenio Corecco aveva dedicato un’attenzione straordinaria nel rilancio di un’associazione su cui in pochi avrebbero scommesso, lui che oltretutto proveniva dall’esperienza di una vita nel movimento di Comunione e Liberazione. Questo è straordinario, perché significa avere un’intuizione di Chiesa davvero grande, dove tutti devono contribuire a edificare il tessuto ecclesiale, nel solco dei documenti conciliari. Molte cose sono state ricordate, molte cose sono state dette, ma forse in pochi hanno sottolineato in questi anni il fatto che il Vescovo Eugenio non solo abbia “rifondato” l’AC, ma che aveva con essa un legame forte e appassionato: basti ricordare che durante l’ultimo anno di vita a Lourdes, come confidato a un amico, aveva chiesto la grazia della guarigione o almeno qualche anno di vita per poter seguire due sue “creature”, l’allora neonata Facoltà di Teologia e l’Azione Cattolica. Si tratta di un segno importante, non solo perché dimostra il suo attaccamento alla nostra associazione, ma anche perché aveva capito che la rinata AC aveva ancora bisogno di crescere e di essere ben indirizzata. Dopo la sua morte, 15 anni fa, posso dire con occhio più da testimone che da distaccato cronista, che il Signore attraverso il sacrificio del Vescovo Eugenio ha donato un’immensità di grazia, chiaramente tangibile se guardiamo alle vocazioni che sono sbocciate, alla famiglia (e quanti figli!) e alla vita consacrata. Offrendo la sua sofferenza nella malattia e Marzo 2010 Spighe 3 la sua stessa vita (“la tua grazia vale più della vita”) ha imitato Cristo che ha dato la vita per i suoi amici, e se ancora oggi l’AC esiste e va avanti è anche frutto di questa grazia. L’altra faccia della medaglia è che questa eredità verso l’AC non è forse stata colta nella sua interezza, per almeno due fattori: il primo è che senza il suo pastore il gregge si è un po’ disperso, per molti motivi; come responsabili diocesani abbiamo cercato di portare avanti questa eredità anche con gli altri vescovi successori, Giuseppe prima e Pier Giacomo dopo, come lo stesso Vescovo Eugenio ci ammonì nel 1994: “Dovete essere attaccati al Vescovo non perché sono io, ma anche a chi verrà dopo di me, è una cosa che va oltre la persona”. Un’altra mancanza sopraggiunta è che in Diocesi – all’infuori della nostra associazione e specialmente tra i sacerdoti – non si è più realmente riflettuto sulla presenza e il ruolo dell’AC, non si è approfondito il carisma che le è proprio, non si è promossa con la stessa forza e la stessa convinzione. Abbiamo dovuto aspettare fino all’ultima lettera pastorale del Vescovo Pier Giacomo, che finalmente ha lanciato un chiaro messaggio che ora dev’essere colto da tutti: “l’AC non è un’aggregazione ecclesiale tra le altre, ma un dono di Dio e una risorsa per l’incremento della comunione ecclesiale”. L’AC Giovani festeggia in questi mesi il 20° di ri-nascita (auguri!): proprio vent’anni fa un primo gruppo di giovani iniziava a trovarsi, a formarsi, per poi partire nell’anno seguente con l’AC Ragazzi. Ora appare di fondamentale importanza rilanciare l’AC nel territorio, nelle parrocchie e nelle zone pastorali, appena create dal Vescovo Pier Giacomo (e già tentate da mons. Corecco). Il lavoro è enorme ma ognuno di noi può dare il proprio contributo, abbiamo fiducia in questo progetto e seguiamo le indicazioni del Vescovo! Quando ero a scuola reclute il Vescovo Eugenio mi scrisse, in risposta a una mia lettera: “fai diventare l’AC la causa della tua vita”. In molti hanno sentito le stesse parole, alcuni sono rimasti fedeli a questa chiamata, altri hanno scelto altre strade, ma alla fine davvero la grazia (di Dio) conta più della stessa vita (nostra). Dodo Invito ai ragazzi in gamba: ci vediamo il 1° Maggio Dopo lo straordinario successo delle ultime edizioni, ritorna la grande festa del Primo Maggio. Quest’anno l’appuntamento è a Giubiasco, al Mercato coperto. La giornata inizia alle 9.30 e si conclude alle 16.00. Alla festa sono invitati tutti i ragazzi e i bambini, con i loro genitori. Ma la manifestazione – con giochi, canti, merenda e un momento di preghiera insieme – è rivolta in modo particolare ai gruppi parrocchiali, alle catechiste e ai catechisti, e ai sacerdoti che si occupano di giovani e ragazzi. Lo slogan che ci unisce quest’anno è “Mani per tutti… tutti per mano”. Venite a scoprirlo! Più mani ci saranno più sarà divertente!!! 4 Spighe Marzo 2010 lettera pastorale Il futuro della parrocchia: quali obiettivi si vogliono raggiungere? Incontriamo le persone là dove vivono Una parrocchia potrebbe funzionare benissimo con le forze che ha. In fondo, basta un parroco che dice Messa e amministra i sacramenti, qualche catechista per i bambini di Prima Comunione e della Cresima, qualche volenterosa donna che tenga pulita e decorosa la chiesa. È il minimo indispensabile. E quasi tutte le parrocchie, grazie a Dio, ce l’ha ancora. Questa visione di parrocchia è quella classica, che “tiene” nonostante le difficoltà e offre quei servizi che permettono ad una persona di considerarsi buona cristiana. C’è però un altro modello di parrocchia che mi piace immaginare. È una parrocchia fatta di credenti, convinti che non basta essere bravi per andare in Paradiso, ma che occorre fare uno sforzo in più affinché tutti quanti ci possano andare. Convinti che quel bene prezioso che possiedono – cioè la fede – non serve a nulla se lo si tiene per sé, ma occorre condividerlo con gli altri. Compresi quelli che pensano di poterne fare a meno. Cristiani convinti che nel paese o nel quartiere in cui abitano ci sono molte persone sole, senza contatti o rapporti sociali, senza significative relazioni ed esperienze interpersonali. Oppure, uomini e donne – spesso giovani “single” – alla ricerca di un senso da dare alla propria vita. Un senso che vada oltre il semplice vivere quotidiano, fatto di lavoro, tempo libero, ozio, divertimento. Tutte persone da incontrare, ma che in parrocchia (cioè nelle strutture della parrocchia…) non verranno mai. Eppure il messaggio del Vangelo è rivolto anche a loro. Anzi, soprattutto a loro. E la parrocchia – avanguardia della Chiesa sul territorio, punto avanzato della comunità cristiana, testa di ponte del Vangelo – deve incontrare innanzitutto loro, non rivolgere principalmente il suo sguardo e la sua struttura organizzativa all’interno dell’ormai sempre più ristretto gruppo di fedeli devoti, come invece oggi fa dedicando ad essi la maggior parte delle sue risorse. La costruzione e il consolidamento della comunità dei fedeli (che spesso è appunto limitata ai “fedeli devoti”) è importante, necessaria. Ma non può diventare esclusiva. Deve, al contrario, essere destinata e finalizzata all’annuncio che è rivolto al di fuori di essa, a tutti coloro che di essa non ne fanno parte. O perché insensibili e allergici a tutto ciò che la tradizione della Chiesa cattolica richiama; o perché non hanno reali occasioni di incontro. Spesso, infatti, quanto la parrocchia organizza non è quello che loro cercano per avvicinarsi ad essa. Queste persone chiedono un incontro concreto, faccia a faccia, con qualcuno che sappia dire loro parole vere sulla propria vita. Parole di conforto, quando è necessario, parole di gioia e di speranza quando sono nella tristezza, parole di senso quando si ritrovano a vivere del nulla. La parrocchia come una famiglia Tutte le persone che abitano in quel territorio che chiamiamo parrocchia fanno parte della stessa famiglia. Il parroco è un buon padre, ma da solo può ben poco. Ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a raggiungere tutti quei componenti della famiglia che in casa non si fanno più vedere. Perché il lavoro li tiene lontani, perché pensano che ormai Marzo 2010 Spighe 5 non ci sia più niente di attraente che li possa avvicinare, perché sono ammalati, perché molto più semplicemente vivono altrove le proprie amicizie, il proprio tempo libero, i propri interessi. Ma quello che conta – per chi è cosciente che si vive in una famiglia – è che tutti i suoi componenti siano felici. Anche coloro che per mille ragioni sono lontani. E i figli che stanno più vicino al padre, devono preoccuparsi anche di quei fratelli e di quelle sorelle che “prendono la casa come un albergo”, usando della parrocchia solo quei servizi che ancora “tengono” (funerale, battesimo, matrimonio, prima comunione e cresima…). Oppure di quegli altri ai quali, della loro famiglia di origine, non importa più niente. E magari si comportano come quel figlio che aveva chiesto la sua parte di eredità, disperdendo e dilapidando il proprio gruzzolo estorto, pensando di trovare così la felicità alla quale si aspira. un serio esame di coscienza sul perché esiste, su chi siano i suoi destinatari, su quali obiettivi si intende raggiungere. La seconda, un’approfondita riflessione su come raggiungere questi scopi. Detto in termini di mercato, serve una sistematica analisi di marketing, con tanto di strategie, obiettivi, destinatari, risorse, target. Naturalmente, ma non c’è neppure bisogno di chiarirlo, sapendo di avere tra le mani un dono che è patrimonio inestimabile. Una perla preziosissima. Un tesoro che, più è suddiviso e condiviso, più è capace - paradossalmente - di rendere felice il maggior numero di persone. Io credo che quando oggi si parla di parrocchia, alla Chiesa siano necessarie un paio di cose. La prima, Luigi Maffezzoli II matrimonio ed i separati Ho letto lo scritto riguardante separati e divorziati su “Spighe” del mese di febbraio e vorrei esprimere un mio pensiero. Premetto che io sono stato assieme alla mia povera moglie scomparsa un anno fa senza mai aver avuto problemi di separazione, questo sicuro non per merito nostro, ma penso per grazia di Dio. Abbiamo iniziato il nostro vivere nella nuova famiglia come alla scuola dei nostri genitori recitando sempre alla sera le preghiere assieme. Così avviata la nostra unione rispettandosi l’un l’altra da sostenerci vicendevolmente quando uno aveva problemi come capita a tutti nella vita. Anche durante la malattia di mia moglie (alzheimer) durata diversi anni ci siamo in certo qual modo capiti da poter convivere assieme fino alla fine e scomparve dopo tre giorni di ricovero in casa per anziani. Per addentrarsi all’attuale situazione del 50% dei matrimoni che finiscono con la separazione, senza togliere niente agli sforzi che si fanno affinché i separati possano risposarsi ancora in Chiesa, ritengo che non è sufficiente farlo come “portafortuna” in quanto penso essere poi il vissuto che deve orientarsi al rispetto reciproco, da infondersi fiducia uno nell’altro da raggiungere un grado d’affetto che possa durare tutta la vita. Molte persone vedove che hanno vissuto diversi decenni in coppia si sentono a parlare del proprio coniuge scomparso con amore come se parlassero della propria madre. Viene proprio da pensare che avevano ragione i nostri avi quando dicevano “chi prega si salva e chi non prega si danna”. Pertanto anche se si arrivasse a potersi sposare in Chiesa più volte (la samaritana che incontrò Gesù al pozzo aveva avuto cinque mariti) l’insoddisfazione e la solitudine sarebbero difficili da eliminare quando dovesse mancare quella Carità cristiana che deve far sentire i coniugi come fratello e sorella veri, in cammino assieme per tutta la durata della vita. Giacomo Gianolli 6 Spighe Marzo 2010 quaresima L’astinenza va vissuta sempre nella condivisione Il digiuno e il valore perduto del sacrificio “Questo è il digiuno che voglio, dice il Signore: sciogliere le catene inique, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo ... dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo...” La mia generazione, cresciuta in un’epoca ancora di cristianità, era educata umanamente e cristianamente a “fare sacrifici”. Si era invitati sovente, soprattutto dalla Chiesa, a privarsi di qualcosa, a sacrificare qualcosa, a “fare fioretti”, come si diceva. Negli anni del dopoguerra, in cui molti vivevano in condizione di fame e miseria, “fare sacrifici” non era per costoro un’opzione, ma semplicemente la condizione toccata loro in sorte. Ma quell’invito ossessionante alla privazione, sovente svuotato di ogni motivazione e slegato dalla possibilità di vederne i frutti, creò di fatto una reazione di rigetto: nessuno volle più sentir parlare di sacrifici, né tanto meno continuare a farli, soprattutto nell’ora del boom economico. La Chiesa in occidente, così precisa nel prescrivere astinenza dalle carni e digiuni – al venerdì, durante la quaresima ma anche alla vigilia delle grandi feste – si adeguò ai nuovi tempi, così che oggi il digiuno è rimasto come precetto per i cattolici solo per l’inizio della quaresima – il Mercoledì delle ceneri – e per la sua fine, il Venerdì santo, giorno della memoria della passione e morte di Gesù Cristo. Sì, la mia generazione è di fatto responsabile della mancata trasmissione alle nuove generazioni del valore del sacrificio. Ora, se non siamo capaci di comunicare la serietà del valore del sacrificio, ci ritroveremo con nuove generazioni incapa- ci di intravedere un orizzonte di bene comune e di speranza, vedremo rarefarsi gli uomini e le donne pronti a dedicare tempo, mezzi, energie, beni per una maggiore umanizzazione, per la crescita di una convivenza pacifica, per l’affermarsi di valori e principi degni dell’uomo. Mancanza grave, in verità, perché il sacrificio è una cosa seria: è il privarsi di un bene, l’astenersi da una possibilità in vista di un bene più grande. Spendere le proprie energie, fino al gesto estremo di sacrificare la vita stessa è possibile e doveroso se con quel sacrificio si ottiene giustizia, pace, libertà. Non dimentichiamo, ad esempio, che se noi oggi godiamo della libertà e della democrazia è grazie a quanti hanno sacrificato la propria vita per conquistarle e difenderle. Così, quando la Chiesa chiede di digiunare il Venerdì santo non lo fa per alimentare una sterile “mortificazione”, ma perché sa che il rapporto che ogni essere umano ha con il cibo è qualcosa di decisivo, sa che l’oralità va disciplinata, che la voracità favorisce l’aggressività e il narcisistico soddisfacimento dei propri istinti. È opera di umanizzazione far sì che l’istinto – che ci accomuna alle bestie – sia trasfigurato in desiderio, in un anelito che tiene conto degli altri ed è consapevole dell’esigenza della condivisione di quanto ci fa vivere, a cominciare dal pane e dal cibo. Occorrerebbe far capire questo significato profondo del digiuno in un’epoca in cui si è perso il senso stesso del mangiare come atto di comunione, di condivisione. Si capirebbe così anche la dimensione sociale del digiuno, rimarcata con forza già dai profeti: “Questo è il digiuno che voglio, dice il Signore: sciogliere le catene inique, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni Marzo 2010 Spighe 11 giogo ... dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo... “ (Isaia 58,6-7). Quando oggi si viene invitati all’astinenza, sarebbe bene viverla anche da tante realtà che ci condizionano e che ci distraggono dal vedere il bisogno dell’altro e dalla solidarietà con chi soffre: perché non pensare a un sano digiuno dal trop- po parlare, dalla dissipazione del non fermarsi mai a pensare, dall’invadenza pervasiva della televisione, magari anche dall’ottundimento del comunicare il nulla con una miriade di messaggini – come suggerito un po’ sbrigativamente da qualche ufficio di pastorale giovanile... Certo, chi fa inviti in questo senso deve anche saper motivare i sacrifici richiesti, deve farne emergere le ricadute positive su chi li vive e sugli altri, altrimenti si ottiene ancora una volta l’effetto contrario: si dissolve il significato autentico del sacrificio banalizzandolo a una pratica estemporanea e curiosa. Non si dimentichi infine che quando la Chiesa chiede il digiuno in determinati giorni, invita i cristiani a viverlo simultaneamente e tutti insieme, invita cioè ad assumere personalmente un sacrificio carico di una oggettività che gli viene da un vissuto comunitario. Se ciascuno assecondasse le proprie bizzarrie e stravaganze nello scegliere il “sacrificio”, sostituendo una prassi condivisa con quanto lui trova più facile o attraente, si ricadrebbe ancora una volta nella logica del “fai da te” che tanto danno sta procurando alla nostra società odierna e ai suoi valori un tempo condivisi. Enzo Bianchi (La Stampa) La meglio Gioventù I giovani hanno avuto da sempre un ruolo fondamentale nella vita dell’Azione Cattolica. Giovani furono i fondatori; giovani furono coloro che diedero vita alle iniziative più importanti; in tempi più recenti, furono i giovani a ridar vita ad un’associazione che molti davano già per scomparsa. Ora l’Azione Cattolica Ticinese ha pubblicato nella collana “I Quaderni dell’Azione Cattolica” un importante contributo offerto dai giovani alla vita dell’associazione. Il Quaderno ripercorre la storia della Gioventù Cattolica Ticinese dalle sue origini, con la nascita della Società dell’Avvenire e dell’Unione della Gioventù Cattolica Ticinese, fino alla sua fondazione avvenuta il 3 ottobre 1909. Si attraversa poi la vicenda di questo ramo giovanile dell’Azione Cattolica Ticinese fino alla sua scomparsa alla fine degli anni Sessanta. In appendice viene pubblicato un interessantissimo documento: l’elenco di tutti i membri dei Comitati centrali della GCT dalla sua fondazione fino all’ultima presidenza guidata da Ettore Cavadini. Il libretto citato, realizzato da Davide De Lorenzi e Luigi Maffezzoli, si intitola Giovani di AC (1909-1968) nel centenario della Gioventù Cattolica Ticinese, Quaderni di Azione Cattolica, ottobre 2009, pag. 42. È in vendita presso il Segretariato dell’Azione Cattolica Ticinese al prezzo simbolico di 2 franchi (più spese postali se richiesta la spedizione). Per quantitativi superiori alle 20 copie la spedizione è gratuita. 12 Spighe Marzo 2010 quaresima Ripartiamo dalla conversione che lo Spirito opera in noi L’antico e il nuovo Ogni volta uguale eppure sempre nuovo il cammino della Quaresima. Identico ha sempre il gesto semplice e austero delle ceneri sul capo per aprire il cammino della conversione: ce la propone l’Unico, che non smette di offrire la sua comunione a tutti e ciascun uomo. Anche la Via Crucis dell’Uomo dei dolori è quella di sempre, per tenere fisso il nostro sguardo su Colui che per amore ha pagato lasciandosi dilaniare, fino al sacrificio della vita intera e alla morte. E così le parole bellissime della Santa Scrittura, riascoltate giorno per giorno nella messa, e le letture forti dalle quali ci lasciamo raggiungere la domenica: Gesù tentato e vittorioso, e poi Gesù trasfigurato, e ancora gli incontri trasformanti del Cristo: Gesù è acqua viva con la Samaritana al pozzo di Sichar; è luce per il cieco guarito nel Tempio di Gerusalemme; è vita e risurrezione per l’amico Lazzaro risuscitato da morte. Acqua, luce e vita è l’Unico per noi. Il Vangelo di sempre è vero oggi, come i segni semplici e forti della Quaresima. Ma come ci trova, quest’anno, questo tempo uguale e sempre nuovo? Respiriamo anche noi un’aria di sfiducia nella novità autentica: le giovani generazioni “sì dice” hanno perduto i valori di riferimento; il contesto sociale e il lavoro è segnato da una crisi di cui non si vede lo sblocco; si registra una corruzione dilagante. Eppure noi vogliamo essere di quelli che credono nella forza dei segni di speranza, piccoli e forti co- me il granello di senapa di cui parlava Gesù: il più piccolo tra tutti i semi, che diventa però la pianta più grande e ristoratrice. Per questo non smettiamo di tenere gli occhi aperti su una realtà che ha molte più sfumature, e colorate, rispetto al grigio costante di cui ci parlano i media. Vogliamo essere di quelli ancora convinti che una foresta che cresce non farà mai rumore come l’albero che cade. Condividiamo con tanti la paura del futuro: è diffusa l’idea che finiremo invasi e soggiogati da persone provenienti da altri paesi, culture e religioni; oppure sommersi dai rifiuti di una società che si autodistrugge o dalle acque degli oceani che sembrano salire inesorabilmente... Eppure noi, incoraggiati anche dagli aironi tornati nelle nostre campagne, continuiamo ostinatamente a credere che il futuro buono e felice è consegnato ai nostri progetti e alle nostre mani. Ed è un futuro possibile. Non siamo neppure immuni dal virus pervasivo della critica che getta fango: gli altri, soprattutto se stanno da una parte politica diversa, sono sempre corrotti e sporchi e prevaricatori. Dalla nostra parte stanno la verità e la giustizia incontaminate. Noi vogliamo essere piuttosto di quelli che trovano libertà e forza nel riconoscere i propri errori, e trovano pace e gioia nell’apprezzare il bene compiuto da altri. In questo contesto “nuovo” sprigiona la propria novità la Quaresima “antica”. Ripartiamo da noi stessi, dalla conversione che lo Spirito di Dio vuole operare in noi, discretamente e con forza lasciamo che il Regno di Dio inizi e ricominci da noi. Non crediamo alla sfiducia, alla paura, al cinismo, ma scommettiamo sulla possibilità che il nostro rinnovamento, anche segnato da fatica e caduta, sarà un contributo decisivo per il rinnovamento della nostra società. È Quaresima: tempo propizio per cogliere che dal giorno del Battesimo fiorisce in noi, come per le gemme che gonfiano i rami, la vita nuova. Giuseppe Pesenti Responsabile: Luigi Maffezzoli Redazione Davide De Lorenzi Chiara Ferriroli Isabel Indino Chantal Montandon Carmen Pronini Redazione-Amministrazione Corso Elvezia 35 6900 Lugano Telefono 091 950 84 64 Fax 091 968 28 32 [email protected] CCP 69-1067-2 Abbonamento annuo fr. 25.– Sostenitori fr. 35.– TBL Tipografia Bassi Locarno Marzo 2010 Spighe 13 famiglie di AC Carnevale alla Montanina di Camperio: immagini di una settimana di festa Divertentissima tradizione Un altro carnevale è passato e, come ogni anno, la Montanina ha aperto le sue porte alle famiglie, in mezzo alle bellissime montagne innevate della Valle di Blenio. Ormai è un’occasione immancabile che ci permette di incontrare tante persone con cui, dopo tanti anni, si sono instaurati buonissimi rapporti, e naturalmente i nuovi arrivati sono sempre ben accetti. Come ogni anno ci siamo divertiti tantissimo, condividendo tante magnifiche esperienze sia nell’accogliente casa, che ormai è diventata anche un po’ nostra, sia sulla neve: 14 Spighe Marzo 2010 anche chi non scia trova il modo di divertirsi perché il clima che si respira nella casa riesce a rendere davvero piacevole la permanenza. Ma dove saremmo andati senza le care signore che ogni anno ci assistono? Non finiremo mai di ringraziare tutto lo “staff ufficiale” della Montanina, che con un’infinita pazienza riesce a rispondere a tutte le nostre esigenze, dal possibile pranzo al sacco alle leccornie preparate per pranzo e per cena… Il programma della “settimana bianca” segue ormai da tempo un percorso abbastanza preciso, che di sicuro, però, non cade mai nella monotonia: come dimenticare la serata del carnevale, in cui bambini e adulti si travestono e si divertono tra balli e sfilate? Come non vedere l’ora di sperare di vincere qualche premio alla tombolata di metà settimana e di partecipare al “giocone” organizzato dai ragazzi? Senza naturalmente tralasciare l’atteso torneo di ping pong, in cui si spera sempre in una svolta del risultato finale, che da sempre vede come vincitori i ragazzi contro i papà, o la seratafilm, amata da bambini e genitori. Insomma, andare alla Montanina è per me, come credo per molti altri, una settimana fantastica di svago e di riposo da vivere con molte altre persone, ma è anche un’occasione per condividere con gli altri la propria fede. Per quanto mi riguarda, è già partito il conto alla rovescia per il prossimo febbraio… arrivederci all’anno prossimo! Chiara Frisoli Marzo 2010 Spighe 15 G.A.B. 6600 LOCARNO 4 Ritorni a Amministrazione «Spighe» Corso Elvezia 35 6900 Lugano il teologo risponde Omelie: meglio essere desiderati che sopportati Caro don Sandro, hanno fatto rumore qualche tempo fa le critiche rivolte dal segretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Mariano Crociata, sulla qualità scadente di tante omelie domenicali. Parlando a un convegno sulla liturgia, ha definito una “poltiglia” insulsa, quasi una “pietanza immangiabile” e comunque “ben poco nutriente” buona parte delle omelie pronunciate ogni domenica dai pulpiti. Le sue critiche sono state rilanciate da “L’Osservatore Romano” e dalla Radio Vaticana. C’è chi ha ripescato una battuta di Joseph Ratzinger quand’era cardinale: “Il miracolo della Chiesa è di sopravvivere ogni domenica a milioni di pessime omelie”. I sacerdoti si rendono conto di questa distanza che esiste tra chi predica e chi ascolta? Come possono migliorare le loro omelie? L’omelia durante l’eucaristia ne è parte integrante. Anche nei giorni feriali il celebrante deve spiegare la Scrittura che proclama, anche se i fedeli sono solo due o tre. La Parola di Dio aiuta l’assemblea a diventare il corpo di Cristo. Noi riceviamo ciò che siamo. L’assemblea feriale aiuta il celebrante a parlare con semplicità della Scrittura che ha proclamato (a volte difficile) e che lui ha prima meditato. Sarebbe certo molto bello se le letture domenicali venissero preparate con un gruppo di volontari. Il parroco ne trarrebbe un enorme vantaggio. Devo ammettere che la riflessione di ogni fedele illumina e arricchisce. Ricordo che come giovane docente avevo invitato gli allievi a preparare un’omelia per i fedeli su di un dogma cristiano. Spesso il tono stentoreo e la complessità della pre16 Spighe Marzo 2010 sentazione mi avevano lasciato allibito. E notavo che anche dopo la correzione i predicatori in erba non cessavano di essere aulici e altisonanti. Un parroco dovrebbe sempre chiedere alla mamma, alla sorella, a un amico, se si è fatto capire. I membri dell’Azione Cattolica dovrebbero essere i primi a comunicare al parroco le loro impressioni, positive e negative. Qualora si celebrasse una Messa per un piccolo gruppo si potrebbe prevedere un’omelia partecipata, alla quale i presenti diano un breve apporto personale. Se vogliamo farci capire dobbiamo pensare che ci rivolgiamo ad alunni delle scuole medie e non a laureati; dobbiamo anche sapere che possiamo ritenere l’attenzione dell’uditorio per poco più di 5 minuti. Se conserviamo uno stile colloquiale è più facile mantenersi in contatto con i fedeli. Si noterà che quando si narra un piccolo esempio, tutti drizzano le orecchie! Non si sarà mai abbastanza semplici. Anni fa avevo auspicato in una conversazione televisiva che i nostri obiettori di coscienza (disposti a servire la comunità senza armi) venissero inviati a compiere opera di civilizzazione nel terzo mondo e non già spediti in prigione. In una famiglia si era capito: si inviino i nostri comunisti in Russia (!) e ne era nata una disputa accesa. Io penso che tutti noi predicatori avvertiamo se siamo seguiti o se si è formato un muro impalpabile ma greve tra noi e i fedeli. Questo muro è un allarme di estrema gravità! Come annunciatori della Parola siamo chiamati a conoscere sempre meglio la Sacra Scrittura e a preparare la predica svolgendo un unico punto, un’unica riflessione, consegnando ad ogni fedele un pensiero chiaro che lo illumini, lo sproni e lo conforti. L’omelia è questo discorso piano e semplice che si fa in famiglia. Il prete (cioè il più anziano per saggezza e bontà) comunica sé stesso e Gesù medesimo in un annuncio che dovrebbe essere atteso dai fedeli, che forse potrebbero anche rimanere un po’ male per la sua brevità. Meglio essere desiderati che sopportati! don Sandro Vitalini