89° anno LXXXIX N. 4 Aprile 2010 in cruce gloriantes MENSILE DELL’AZIONE CATTOLICA TICINESE parrocchia rampa di lancio In questo numero: 2 Creature nuove che sanno sperare 3 La parrocchia: ovile o rampa di lancio? 5 Quando la croce segna il tempo e lo spazio 6 L’editoriale: Gesù incontra un giovane 12 Educare: bisogna metterci il cuore 14 Oltre le porte chiuse 15 E se ognuno fa qualche cosa… 16 Il teologo risponde dal presidente Il tema dell’anno alla luce del tempo pasquale Creature nuove che sanno sperare È tempo di Pasqua – finalmente l’anno liturgico ci proietta in questa festa di luce, centro della Storia e di ogni vicenda umana. Tutto si ricapitola in questo evento che ha sconvolto il corso dei tempi, tutto prende forma e si plasma su un modo nuovo di essere e di vivere: in Cristo diventiamo creature nuove e siamo in Lui partecipi del Regno dei Cieli. La Croce marca in modo indelebile il cammino di ogni uomo – in questo numero presentiamo la magnifica mostra “Mysterium Crucis” allestita a Mendrisio – e spesso sembrano prevalere le fatiche, le ango- sce, le disgrazie, la solitudine, l’abbandono: conosciamo bene i mali del nostro tempo. Ma come quelle croci che troviamo sulle nostre cime sono proiettate verso il cielo e assumono su di sé ogni peso terreno per sollevare il mondo intero, così in Cristo e con la sua Croce noi siamo realmente “uomini nuovi”. Allora siamo chiamati a vivere, ragionare, comportarci come persone rinnovate, spogliate dell’ “uomo vecchio”, guarite da quel vizio capitale che spesso ci annebbia, l’accidia, questa attitudine a trascinarsi senza vigore, rassegnati, indolenti. Soffi lo Spirito Santo per scuoterci, per renderci cristiani autentici e coerenti. Il nostro tema dell’anno riguarda le “Ragioni della speranza che è in noi”: ragioni divine, trascendenti ma anche umane: l’essere stati toccati, raggiunti, visitati, redenti, qui e ora, come siamo. Lasciamoci rinnovare da questa grazia, sapremo così rispondere alle sfide del nostro tempo. Buon Tempo di Pasqua, buon tempo di rinnovamento! Davide De Lorenzi La meglio Gioventù: storia della GCT I giovani hanno avuto da sempre un ruolo fondamentale nella vita dell’Azione Cattolica. Giovani furono i fondatori; giovani furono coloro che diedero vita alle iniziative più importanti; in tempi più recenti, furono i giovani a ridar vita ad un’associazione che molti davano già per scomparsa. Ora l’Azione Cattolica Ticinese ha pubblicato nella collana “I Quaderni dell’Azione Cattolica” un importante contributo offerto dai giovani alla vita dell’associazione. Il Quaderno ripercorre la storia della Gioventù Cattolica Ticinese dalle sue origini, con la nascita della Società dell’Avvenire e dell’Unione della Gioventù Cattolica Ticinese, fino alla sua fondazione avvenuta il 3 ottobre 1909. Si attraversa poi la vicenda di questo ramo giovanile dell’Azione Cattolica Ticinese fino alla sua scomparsa alla fine degli anni Sessanta. In appendice viene pubblicato un interessantissimo documento: l’elenco di tutti i membri dei Comitati centrali della GCT dalla sua fondazione fino all’ultima presidenza guidata da Ettore Cavadini. Il libretto citato, realizzato da Davide De Lorenzi e Luigi Maffezzoli, si intitola Giovani di AC (1909-1968) nel centenario della Gioventù Cattolica Ticinese, Quaderni di Azione Cattolica, ottobre 2009, pag. 42. È in vendita presso il Segretariato dell’Azione Cattolica Ticinese al prezzo simbolico di 2 franchi (più spese postali se richiesta la spedizione). Per quantitativi superiori alle 20 copie la spedizione è gratuita. 2 Spighe Aprile 2010 dalla diocesi Come concretizzare la lettera pastorale del vescovo La parrocchia: ovile o rampa di lancio? “Per paralizzare le forze avversarie, per restaurare ogni cosa in Cristo, è necessario riedificare l’ovile, rendere cioè alle parrocchie la loro forma primitiva, la loro normale organizzazione e richiamare i fedeli alla disciplina parrocchiale. È difficile quindi trovare un problema più importante a trattarsi di quello della vita parrocchiale”. Sono parole di “un Benedetto fa”: quel Benedetto XV, Giacomo Della Casa, che guidò la Chiesa cattolica dal 1914 al 1922. Le ho trovate, citate dal maestro Alberto Bottani, in una raccolta di “lezioni tenute alle Giornate di formazione e propaganda nel 1936” intitolata “Torniamo alla Parrocchia” e curata dal Fascio della Gioventù Cattolica Ticinese. Emblematici i capitoli di quel sussidio ciclostilato: l’altare; le campane; l’adorazione; la sacrestia… Oggi nessuno si sognerebbe di usare questi termini per parlare della vita parrocchiale. Eppure, nella mentalità corrente dei cattolici e forse dei parroci, questa visione di parrocchia, intesa come ovile dove devono essere radunate le pecorelle, rimane ancora molto forte. La parrocchia è racchiusa in quel perimetro intorno alla chiesa, alla casa parrocchiale, all’oratorio (dove c’è). E lo scopo che si prefigge il cattolico fervente è di radunare attorno a questo perimetro il maggior numero di persone alle quali proporre riti e funzioni religiose, catechismo e momenti formativi, occasioni di svago e di incontro per i più piccoli. Lamentandosi, naturalmente, se a Messa viene solo un insignifican- te numero di fedeli; oppure se altri si vedono unicamente ai battesimi, alle prime comunioni, alle cresime, ai matrimoni e ai funerali. Se al catechismo viene preferita la gita domenicale o qualche attività sportiva, o se al film proposto nella sala parrocchiale con un telone e un DVD, si preferisce andare in una moderna multisala in città con proiezioni in 3D. Non è che non ci si sforzi di inventare e organizzare cose sempre nuove. Anzi. Le iniziative sono sempre tante e qualche volta geniali. Ma questo darsi da fare è spesso frustrato proprio dalla scarsa partecipazione. Si invitano relatori di fama per presentare serate bibliche alle quali assistono venti persone. Si promuove qualche concerto in chiesa o qualche mercatino per raccogliere fondi destinati a opere missionarie. Si mette su un coro di giovani voci entusiaste. Ma il risultato, alla fine, rimane spesso deprimente. Allora non resta che prendersela con chi non c’è, con chi è assente, con chi non partecipa mai. E tirare avanti con le iniziative di sempre. parrocchia così intesa non è troppo arroccata attorno alla propria sacrestia, nella vana attesa di qualcuno che venga e partecipi ai suoi appuntamenti? Insomma, è la società scristianizzata che chiude gli occhi davanti alle proposte fatte all’ombra del campanile, o è la comunità parrocchiale ad esserne estranea, troppo occupata a “riedificare l’ovile” e a “richiamare i fedeli alla disciplina parrocchiale”, sempre più lontana dalla vita quotidiana della gente comune? Una galassia da esplorare Se è vera questa seconda ipotesi, allora occorre cambiare completamente il concetto di parrocchia che abbiamo in mente: dall’ovile, dove Ma la “colpa” è davvero di quelli che non vengono mai “in” chiesa? Oppure è di una mentalità che vede una concezione di parrocchia ormai anacronistica – quella dell’ovile, appunto – fuori dal tempo, inconcepibile in una società moderna dove i riti da rispettare sono quelli sportivi e del divertimento notturno, e i luoghi di incontro sono quelli virtuali delle chat e dei blog? La Aprile 2010 Spighe 3 si è messa in salvo l’unica pecorella rimasta, si deve partire alla ricerca delle altre novantanove che si sono perse. Il perimetro sacro intorno alla chiesa non deve più essere la fortezza inespugnabile dove – una volta dentro – ci si salva; ma deve diventare una rampa di lancio alla scoperta di universi sconosciuti, tanto numerosi quante sono le umanità che popolano la parrocchia. Già, perché a questo punto la parrocchia, da recinto chiuso diventa una galassia da esplorare, una fetta di territorio dove si confrontano e si sfiorano mille modi di vivere la propria vita. La parrocchia non è il campanile, ma tutto quello che gli è prossimo. La parrocchia è l’intero popolo che vive sotto la sua giurisdizione. Tutto il popolo: credenti e non credenti, fedeli che partecipano alla Messa e immigrati islamici, cristiani totalmente indifferenti ed ex cristiani ostili alla Chiesa. La comunità dei fedeli è pienamente inserita all’interno di questa realtà confondendosi in essa, condividendo le case, il riposo, le feste, i rapporti di vicinato, i momenti di gioia e di sofferenza, i drammi, la vita familiare. Il termine parrocchia deve ridiventare a pieno titolo sinonimo di popolo di Dio, perché della parrocchia fa parte tutto il popolo che Egli ha scelto. 4 Spighe Aprile 2010 Il nostro impegno nella parrocchia dovrà allora partire proprio da qui. Dalla considerazione che questa suddivisione territoriale è ancora da privilegiare perché è questo il luogo dove le donne e gli uomini vivono la loro quotidianità. Qui – e solo qui – possiamo incontrarli tutti. A patto però che la parrocchia che abbiamo in mente non sia – appunto – una saletta o una chiesa dove stiamo ad aspettare che arrivi qualcuno, ma una casa tra le case. Anzi, l’insieme delle case dove vivono famiglie, anziani che non escono mai dalle proprie quattro mura, giovani “single” (che in italiano significa anche “soli”), mamme separate con i loro figli (anche loro costrette a vivere una solitudine spesso insopportabile), adolescenti che appena si ritrovano in branco si trasformano in bulli, manager che tolta la cravatta tagliano l’erba del giardino, bambini che passano ore davanti a un videogioco. Questa è la parrocchia di oggi. E il nostro impegno è rivolto a questi luoghi, dove dobbiamo andare prendendo il largo, con semplicità, portando la nostra umanità, cioè la testimonianza di Gesù fatto uomo. Uomo come noi e come coloro che incontriamo in queste case. Se lo facessimo – e dobbiamo farlo – ci accorgeremmo di quanto inespresso desiderio c’è di quella Parola che ci è affidata. E di quale sorprendente risposta ci sarebbe da parte di persone che non immagineremmo mai, e mai potremmo incontrare nel nostro ovile trasformato in una fortezza del deserto dei tartari. Maria, incinta, che va Quando a Maria l’angelo portò l’annuncio, lei non si fermò a contemplare gelosamente il dono che le era stato dato, ma si incamminò lungo una strada dura e faticosa, soprattutto per le sue condizioni, con lo scopo di raggiungere sua cugina e porsi al suo servizio. Anche noi non possiamo più, dopo anni di formazione, chiuderci nel nostro nido fatto di illusoria sicurezza, ma dobbiamo “andare”, nelle condizioni in cui ci troviamo (per alcuni davvero difficili), verso gli altri. Incamminarci sulla strada dura e faticosa che ci porta dal nostro vicino, dall’amico che abbiamo conosciuto o mai più rivisto, da chi è solo, da chi ha bisogno di incontrarci. C’è una schiera di persone che aspetta una risposta che il Signore solo attraverso noi può dare. Delle tante famiglie che abbiamo incontrato in questi anni, molte oggi vivono situazioni di difficoltà. Ci sono passate accanto senza che ce ne accorgessimo, oppure quel loro “passaggio” accanto a noi era voluto dal Signore perché fossimo noi - ora che sono in difficoltà - ad occuparci di loro? Niente intorno a noi ci aiuta in questo. La società che viviamo è quella del disimpegno, della mancanza di assunzione di responsabilità, della provvisorietà degli affetti e dei legami. Il nostro compito è quello di aiutarci reciprocamente a scoprire il senso cristiano della nostra esistenza. Questa scoperta però non la possiamo fare attraverso i corsi di formazione, ma nello stare accanto agli altri. Non possiamo limitarci ad “apprendere” qual è il disegno di Dio su di noi: ma accompagnare chi è più fragile (e prima o poi lo siamo tutti) vivendo gli uni accanto agli altri. (2 - continua) Luigi Maffezzoli dalla diocesi Da non mancare: la mostra “Mysterium Crucis” a Mendrisio Quando la croce segna il tempo e lo spazio Fino a metà giugno è possibile visitare presso il Museo d’Arte Mendrisio una grande mostra inaugurata lo scorso 23 marzo che pone al centro dell’attenzione la croce, intesa come uno dei maggiori simboli dell’umanità e della cristianità. Questa mostra è “un gesto di fede e di civiltà; di vera cultura umana e cristiana” scrive in apertura al catalogo il vescovo Pier Giacomo Grampa e giustamente si può consigliare ai nostri lettori di Spighe di recarsi nel Magnifico Borgo in questo tempo di Pasqua per ammirare la splendida esposizione. Documentata molto prima dell’avvento del cristianesimo, la croce nelle diverse culture del mondo esprime la straordinaria polivalenza e la densità simbolica che la contraddistingue. La croce è concepita come un centro che si espande nelle quattro direzioni, ma anche come collegamento che riporta all’unità i punti estremi delle due linee ortogonali. Letta come simbolo cosmico, la croce unisce cielo e terra, congiungendo spazio e tempo e risponde a un bisogno di orientamento dell’uomo. Con l’avvento storico del cristianesimo, la croce assume altri significati. Da simbolo di morte e di condanna diventa il segno di redenzione e di vita, condensando la dimensione cosmica, biblica e soteriologica ed esprimendo, in sintesi, il mistero cristiano. La mostra è curata dall’arciprete di Mendrisio, don Angelo Crivelli, attento ed entusiasta estimatore del patrimonio artistico e degli arredi sacri, che ha già dato prova del suo meticoloso lavoro ne- gli anni passati. Dopo le mostre «Mater Dolorosa» del 1998 e «Manto di Giubilo» del 2000, è ora la volta di «Mysterium Crucis» che conclude un trittico giocato attorno all’iniziale «M», per essere anche un tributo a Mendrisio e alle sue processioni storiche pasquali. L’esposizione documenta, a partire dal IV-V secolo d.C., il simbolo della croce nelle terre ticinesi, attraverso centoventi oggetti provenienti dalle nostre chiese e da vari altri istituti (Zurigo, Milano, Chalon-sur-Saône). Il percorso pone l’accento sull’aspetto cronologico e sullo sviluppo iconografico della croce. Si spazia dai reperti archeologici che testimoniano i primi segni dell’evangelizzazione delle nostre terre in epoca tardo romana e longobarda, alle suggestive croci medievali romaniche con il Cristo trionfante. Si prosegue con le croci gotiche e tardo gotiche, dove comincia ad affacciarsi l’iconografia del Cristo sofferente, e poi quelle rinascimentali e barocche, con un’attenzione particolare ai prodotti dell’emigrazione che hanno lasciato un segno evidente e commovente nella bellezza di molti arredi delle nostre chiese. In seguito si giunge all’etnografia della croce nella vita quotidiana del Ticino rurale: la croce che segna profondamente il tempo naturale e quello rituale, il ciclo della vita e i momenti di passaggio, pericoli, sofferenza e morte, lo spazio abitativo e il territorio. Conclude la mostra una croce contemporanea dell’orafo mendrisiense Willi Inauen. Un ricco catalogo invita all’approfondimento del signifi- cato simbolico della croce e alla “lettura” di tutti i sacri oggetti in esposizione, grazie ai contributi di diversi esperti. Mysterium Crucis, Museo d’arte di Mendrisio - Antiche sante croci del Canton Ticino, dal 27 marzo al 13 giugno 2010. Camorino Cevio Lottigna Aprile 2010 Spighe 5 6 Spighe Aprile 2010 10 Spighe Aprile 2010 Aprile 2010 Spighe 11 dall’associazione Rete docenti e valori per la scuola: serata con mons. Grampa e Perugini Educare: bisogna metterci il cuore I docenti devono rispondere alle sfide di oggi con una riaffermazione della propria autorevole posizione di educatori e di persone che si mettono in gioco educando. La scuola di oggi vive i travagli dell’intera società: a maggior ragione i docenti non possono rinunciare a cogliere l’interezza delle questioni, che vanno oltre la trasmissione didattica di un sapere, ma abbracciano anche la vita concreta e quotidiana degli allievi, spesso confrontati con enormi problemi personali, famigliari o sociali. In apertura della serata, promossa lo scorso 23 marzo a Besso dalla “rete docenti cattolici”, il nostro vescovo Pier Giacomo Grampa ha evidenziato come sia preziosa e importante questa realtà di docenti cattolici che si riuniscono e cercano insieme di rispondere alle esigenze poste dall’educazione oggi: appare quindi fondamentale allargare il coinvolgimento dei docenti cattolici e rendere più visibile quanto vissuto insieme. Il procuratore pubblico Antonio Perugini - invitato a lanciare dei temi di discussione - ha poi evidenziato alcuni tratti delle sfide educative, iniziando dai problemi che coinvolgono le famiglie e la perdita di responsabilità del singolo passando dai genitori fino a tutte le componenti sociali. Il signor Perugini ha quindi illustrato alcuni punti, emersi anche dal lavoro svolto sul tema giovani e violenza. Nella seconda parte della serata i docenti presenti si sono suddivisi per ordine scolastico e durante i la12 Spighe Aprile 2010 vori a gruppo hanno toccato i seguenti punti: • scuole elementari e scuole dell’infanzia: ci sono grandi difficoltà nelle famiglie e di riflesso è sempre più difficile alimentare dei rapporti proficui tra la scuola e i genitori; cresce il numero di bambini problematici e i nuovi docenti non vengono formati adeguatamente per seguire questi casi. Il “valore” sta nel “voler bene” a questi bambini e a questi genitori dimostrando ascolto; tra le proposte quella di diffondere le “scuole per genitori”, con sinergie tra enti locali e parrocchie. • Scuole medie: i problemi della scuola primaria si riportano al settore medio, aggravati senz’altro dal momento difficile dell’adolescenza. I docenti hanno denotato che si assiste a una preoccupante incapacità di progettualità e a un vuoto di contenuti valoriali. Un altro punto dolente è la difficoltà – o la mancanza di desiderio – di molti docenti nell’instaurare una relazione veramente educativa con gli allievi, che porta il docente a volte a non “mettersi in gioco”, a rinunciare a essere una presenza autorevole ma anche aperta alla realtà dei ragazzi. I “valori” allora sono: accoglienza, ascolto, sapersi mettere in gioco, disponibilità, maggior corresponsabilità con gli altri docenti, parlare della realtà, essere autorevoli ma anche aperti alle situazioni in cui gli allievi vivono (es. nuove tecnologie). Secondo noi non basta essere semplici docenti, bisogna essere anche educatori che si aprano insieme ai ragazzi alla realtà che ci circonda. La scuola non può far finta di nulla di fronte a questa crisi, ma anche il mondo politico deve dare una mano, perché i docenti possano avere più tempo e più risorse per dedicarsi ai ragazzi. • Scuole superiori: è importante approfondire il discorso del docente che diventa un interlocutore indispensabile capace di dare valore e dignità a ciò che si fa. Con le nuove tecnologie molti giovani sembrano vivere in un mondo parallelo, disincarnato e vuoto. Occorre ripartire da un patto educativo, solidale, in cui tutti lavorino insieme. Come docenti cattolici è poi fondamentale che sappiamo testimoniare cosa significa credere ed essere Chiesa, perché per molti giovani la Chiesa è un’ agenzia che ti impone delle cose. A conclusione del momento assembleare, il p.p. Perugini ha sintetizzato l’importanza di una presenza di docenti significativi lanciando un forte richiamo: “Pensate ai vostri docenti del passato: quali figure vi sono rimaste impresse? Quali sono state significative e perché? Riflettendo su questo capirete quali sono i veri valori. E poi avete un incredibile va- lore aggiunto: essere cristiani, cioè di Cristo. E essere di Cristo dà un enorme di più”! Il prossimo appuntamento della rete docenti sarà a inizio settembre, mentre è stato aperto il sito www.retedocenti.net che nelle prossime settimane diventerà sempre più operativo. In conclusione: possiamo dire che i veri valori per la nostra scuola sono anche i docenti stessi, docenti che devono essere una presenza autorevole e disposta a giocarsi in un rapporto educativo e non solo didattico di trasmissione di conoscenze. Per realizzare questa sfida occorre rimboccarsi le maniche e costruire insieme ai colleghi, superando quello strano individualismo che si aggira nelle nostre scuole, mentre la realtà impone collaborazione e apertura. Rete docenti cattolici Appuntamenti per le famiglie • 29 maggio 2010 c’è l’incontro continuativo “Famiglia, sorgente di comunione”. Approfittando dell’arrivo della primavera ci sposteremo a Quinto. Seguono le informazioni, ma voi intanto riservatevi la data... pranzo compreso! Responsabile: Luigi Maffezzoli • 5-6 giugno 2010 c’è il week-end dell’amicizia a Camperio. Si tratta di un week-end di svago e vacanza! Noi ci saremo, speriamo ci sarete anche voi. Anche per questo ci serve una preiscrizione. Potete iscrivervi telefonando allo 091 950 84 64 o mandando una mail a: [email protected] Redazione-Amministrazione Corso Elvezia 35 6900 Lugano Telefono 091 950 84 64 Fax 091 968 28 32 [email protected] CCP 69-1067-2 Un caro saluto a tutti e a presto!!! Redazione Davide De Lorenzi Chiara Ferriroli Isabel Indino Chantal Montandon Carmen Pronini Abbonamento annuo fr. 25.– Sostenitori fr. 35.– TBL Tipografia Bassi Locarno Aprile 2010 Spighe 13 riflessioni Il Risorto ci invita a fare la nostra parte Oltre le porte chiuse “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse “pace a voi”! detto questo, mostrò a loro le mani ed il costato. E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. (Giovanni 20,19-21) Attraverso le porte chiuse: ci colpisce sempre questo particolare del Risorto, che raggiunge il gruppo dei discepoli serrati per paura e incredulità nel cenacolo. Offre la pace, sta in mezzo a loro con una presenza luminosa, vuole portarli fuori, dove si respira aria libera e si incontrano tante persone alle quali è possibile annunciare la buona notizia della Vita più forte di ogni morte. In quel gruppo di discepoli, chiusi per paura, vengono raffigurate anche le nostre comunità? Siamo anche noi timorosi di dare buona testimonianza di Gesù a quanti non lo conoscono ancora, oppure a quanti, avendolo conosciuto, non sono forse molto convinti che valga la pena lasciarsi incontrare da Lui? In ogni caso il Risorto ci raggiunge misteriosamente e ci chiede di aprire le porte chiuse dal nostro sentirci a posto, dal ritenerci appagati della nostra vita cristiana, dal pregiudizio che tocchi sempre ad altri essere te- stimoni ed annunciatori del Vangelo. Quello che sta più a cuore di una comunità di cristiani che crede nel Risorto, è proprio di poter annunciare il suo Vangelo. È il bene più prezioso che abbiamo, vorremmo annunciarlo, condividerlo con tutti e con ciascuno. Sappiamo che da parte di molti, giustamente, si chiede alla Chiesa di essere umana, comprensiva, misericordiosa, pronta ad aiutare con le sue risorse spirituali, educative, morali, di strutture. Noi però come cristiani, che siamo Chiesa, dobbiamo assumerci le nostre responsabilità e fare la nostra parte. Giuseppe Pesenti Bellissimo questo numero di Spighe!!! Peccato che non sono abbonato… …voglio però abbonarmi subito e ricevere ogni mese il giornale! Ritagliare o fotocopiare e spedire a: Spighe, corso Elvezia 35, 6900 LUGANO oppure (senza rovinare questo bellissimo numero del giornale…) scrivere una mail a [email protected] L’abbonamento per un anno costa 25 franchi (…così poco?!). Nome e Cognome Indirizzo, CAP e Luogo E-mail Telefono 14 Spighe Aprile 2010 @ riflessioni L’esempio e la testimonianza di padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia E se ognuno fa qualche cosa… “E se ognuno fa qualche cosa…”: questa scritta luccica su alcune piastrelle di ceramica, a fianco della Chiesa di san Gaetano in via Brancaccio a Palermo. Poco sopra il ritratto di un prete, padre Pino Puglisi, ucciso, poco lontano, dalla mafia il 15 settembre 1993. Nominato parroco di questo quartiere popolare della città, in cui nessuno voleva andare, padre Puglisi, accortosi del degrado, cominciò a costruire qualcosa di nuovo. Egli aveva chiaro che non poteva lui, con i suoi volontari, riscrivere la storia dell’intero quartiere, risolvere tutti i problemi, estirpare la malavita…. “Le nostre iniziative devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare il quartiere. Questa è un’illusione che non ci possiamo permettere. È soltanto un segno per offrire altri modelli, soprattutto ai giovani, e cercare di smuovere le acque. Ma non dobbiamo illuderci: da soli non saremo noi a trasformare Brancaccio. Lo facciamo soltanto per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto”. Si deve riflettere su questa frase di don Pino. Si deve intuire la portata, la validità, la concretezza per ogni situazione. Spesso ci ritroviamo di fronte alla difficoltà di educare e far maturare i nostri ragazzi. Però, senza illuderci di poter noi cambiare tutto, siamo chiamati a dare semplicemente segni di novità, di un modo diverso di vivere, di pensare, di credere. E se ognuno fa qualche cosa… sì se ognuno di noi fa qualche cosa di veramente evangelico nella sua vita di tutti i giorni, tra le mura di casa, sul luogo di lavoro, per la strada, per le vie della nostra città… se vinta la timidezza, se vinta la tentazione di lamentarci di un mondo che va a rotoli, ognuno di noi ricominciasse proprio da sé, dalla sua vita quotidiana a spargere segni di una vita diversa, nuova, più umana, di una fede viva… allora sì che potremo fare molto. Se ognuno di noi rompesse la tentazione dell’individualismo o lo scoraggiamento, o il sentirsi inutile e buono a poco e si dedicasse alla comunità non come il salvatore della patria, ma come chi è disponibile a fare semplicemente qualche cosa… allora sì che potremo fare molto. Concludo con queste altre belle parole di don Pino. “Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come Lui, annunciare il Suo Amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo”. Giuseppe Pesenti Aprile 2010 Spighe 15 G.A.B. 6600 LOCARNO 4 Ritorni a Amministrazione «Spighe» Corso Elvezia 35 6900 Lugano il teologo risponde Abusi sessuali frutto di criminosa omertà Caro don Sandro, di fronte alla campagna scatenatasi contro la Chiesa sui casi di abuso sessuale da parte di preti pedofili, la voce di Papa Benedetto si è alzata chiara per condannare quanto accaduto. La lettera ai vescovi irlandesi è il punto più alto. Ora però tocca ai vescovi di ogni diocesi non solo condannare, ma prima di ogni altra cosa dimostrare con umiltà la loro vicinanza alle vittime della violenza. Vittime che vanno cercate, incontrate, ascoltate senza “se” e senza “ma”. Col solo desiderio di portare pace e riconciliazione. Vi racconto un fatto capitato 50 anni fa. Un bambino vedeva una sua vicina di casa con un pancione e chiedeva lumi ai genitori, i quali non gli davano risposta. Finalmente lo stesso bambino, informato dagli amici, portò la grande notizia a tavola: “Le hanno aperto la pancia e hanno trovato dentro un bambino”. I genitori montarono su tutte le furie, gli picchiarono sulla bocca e gli ingiunsero di mai più pronunciare parole così vergognose! Questo basta a indicare l’atmosfera di omertà, di incosciente silenzio, che avvolgeva tutto il problema sessuale. Ci sono spose che hanno vissuto l’incontro matrimoniale come un terribile incubo perché del tutto impreparate. Noi apparteniamo ancora alla generazione dei cavoli e delle cicogne, purtroppo. Gli abusi sessuali che ci sono stati restano dei crimini, ma criminosa era anche l’“educazione” che si riceveva e l’omertà che era la regola assoluta. Preti e religiosi coinvolti in queste turpi avventure sono relativamente poco numerosi per rapporto ad altre categorie (familiari, docenti, allenatori) che pure erano coperte da una 16 Spighe Aprile 2010 corazza di impenetrabile omertà. Il colmo è anche che spesso le violenze sessuali venivano associate a quelle fisiche e si faceva d’ogni erba un fascio. Ma mi rendo conto che persone religiose per la loro specifica missione sono particolarmente oggetto di reazioni negative là dove sono cadute in questi quasi inconcepibili abusi. Bisogna però applicare anche qui la legge dell’amore. Innanzitutto per i colpevoli (si noti però che molte accuse sono campate in aria o frutto di atroci vendette personali). Gli autori vanno capiti, perdonati e aiutati a rinnovarsi. Non vanno trattati come infami, maledetti, scomunicati. Chi li bolla così manca di umanità oltre che di carità. Prima di alzare la pietra della lapidazione, ci si interroghi sulle modalità di “formazione” applicate in ambienti chiusi, accessibili solo a maschi e dove il volto femminile, che poteva apparire in TV, veniva sollecitamente velato, quasi fosse un’apparizione satanica. Degli individui sono stati deformati da un ambiente manicheo, sessuofobo, che condannava anche un abbraccio di pace o una stretta di mano. Prima di bollare a fuoco gli autori di questi misfatti, non dovremmo forse chiederci come mai sono stati provocati? Parliamo ora delle vittime, alle quali è stata inferta una ferita indelebile. Nel mio lungo ministero ho osservato che in genere le vittime, se crescono in un contesto familiare positivo e fondano una buona famiglia, superano signorilmente la ferita. Capita però a volte che loro stessi ripetano su altri le violenze subite. Ritengo indispensabile far circolare molta aria fresca in seminari e noviziati, curando un’apertura al mondo che va conosciuto, apprezzato, confortato. I candidati che hanno la grazia di lavorare per i poveri, per i malati, per i carcerati, o in terra di missione, oppure che assumono per un certo periodo un lavoro in un’officina, in una fabbrica, sono aiutati di più nel rafforzamento delle loro scelte che da lunghi anni di studio passati in un ambiente sterile. È anche auspicabile che chi ha fatto dei voti ma non si sente più di prolungarli, possa rimanere in un contesto di lavoro ecclesiale confacente alla formazione ricevuta, senza sentirsi bollato di apostasia né sentirsi sospinto a vivere una doppia vita pur di assicurarsi il pane quotidiano. La problematica è vasta e i veli da sollevare sono parecchi. Se non lo si vuole fare si rimane in una situazione di grave ipocrisia. don Sandro Vitalini