L’Ombra dell’Orchidea di Rino Di Stefano Romanzo 2 Copyright © 2014 Rino Di Stefano. Tutti i diritti riservati. Questo libro è stato depositato presso la SIAE – Sezione OLAF – Servizio Opere Inedite, in data 7 Marzo 2011 con il n° 2011001076 di repertorio. Date di pubblicazione: Febbraio 2014 (Formato digitale Kindle, ISBN 978-88-909650-0-5) Aprile 2014 (Formato cartaceo, ISBN 978-1-4975-6161-8) Gli articoli e i libri del giornalista Rino Di Stefano sono visionabili nel sito www.rinodistefano.com In copertina: la foto originale dello sfondo è di Edward Burns (http://thegoodsoupguide.co.uk) Design copertina: Daniele Di Stefano Questo libro è un’opera di fantasia. Anche se alcuni posti esistono, personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale. 3 Il destino mescola le carte e noi giochiamo Arthur Schopenhauer 4 CAPITOLO UNO La cartomante La cartomante tirò fuori dall'ampia borsa uno specchietto e, alla luce del fanale, se lo puntò verso il viso ormai sfiorito, per darsi un'ultima ritoccatina prima di iniziare una lunga serata di lavoro. Era una di quelle donne dall'età indefinibile. A occhio, ammesso che in quella penombra si potessero distinguere bene i tratti di una persona, poteva avere tra i sessanta e i settant'anni, e non troppo tempo prima doveva essere stata una bella donna. I capelli, ondulati e un po' troppo corvini per essere naturali, circondavano un viso lungo e regolare con il naso appena pronunciato e la bocca forse un po' rugosa, ma ben disegnata. Gli occhi, che tradivano una vita dalle molteplici esperienze, erano inclinati verso il basso e apparivano di un castano intenso, circondati da un'aureola d'ombretto azzurro lucente, quasi metallico. Quanto vide nello specchietto sembrò comunque soddisfarla e, rabbuffandosi con la mano destra un ricciolo ribelle, ripose l'oggetto nella borsa e tirò fuori le carte. Quella sera via Campo dei Fiori non era ancora affollata. Di solito, ai primi d'agosto, i milanesi rimasti in città riempiono le strade e quell'anno non faceva eccezione. Del resto la crisi economica aveva scoraggiato molte famiglie a intraprendere la tradizionale avventura delle ferie nel paese natio, e comunque nessun milanese d'agosto ha voglia di passare le serate chiuso in casa davanti a un televisore. Molti, forse i più, preferiscono fare un giro sui navigli dove, a parte la guerra con le zanzare, c'è sempre la possibilità di incontrare qualche amico e bersi una birra insieme. Oppure, e non sono pochi, c'è qualcuno che va a farsi una passeggiata a Campo dei Fiori per respirare l'aria della città antica e farsi leggere le carte. Con un gesto istintivo, la cartomante alzò la testa e si guardò in giro, quasi per rassicurarsi di non essere sola sulla strada; anche le altre infatti stavano preparando i banchetti e nessuna di loro sembrava accorgersi di lei. Allora si alzò, dispose i due seggiolini di fronte al tavolino e si riaccomodò, pronta a ricevere gli eventuali clienti. Dall'inizio della strada era la terza e, a suo modo di vedere, la posizione era buona; infatti raramente i nuovi clienti si fermano alla prima della fila. Di solito gli indecisi si guardano un po' intorno e, camminando, si siedono lungo la strada attratti da qualcosa che nemmeno la stessa cartomante saprebbe descrivere. Non c'è dubbio, però, che a vincere è sempre la più rassicurante, sicché finisce che c'è la cartomante dove si deve sempre fare la fila e alcune non battono chiodo. Verso le dieci, mentre cercava di completare l'ennesimo solitario, la cartomante notò con la coda dell'occhio una coppia che si stava avvicinando al suo banchetto. Lui poteva avere trentacinque anni, altezza leggermente superiore alla media, 5 capelli corti biondo scuri e viso regolare; indossava una camicia celeste su un paio di pantaloni color canapa. Lei, capelli castani lunghi e un corpo armonioso, portava una camicetta giallo oro su un paio di jeans scoloriti. Il viso, dall'ovale perfetto, denunciava appena un'ombra di trucco e il labbro inferiore era più accentuato del superiore, rendendo l'insieme ancora più attraente. Era veramente carina e lo teneva a braccetto rafforzando la presa con la mano sinistra, quasi a voler sottolineare che quell'uomo era roba sua. Con i tacchi, era di tre o quattro centimetri più bassa di lui. Sembravano una bella coppia, anche se a parlare era solo lei; lui l'ascoltava ma guardava davanti a sé, quasi distrattamente. Quando arrivarono all'altezza della cartomante, lei sentì i loro discorsi. "Avanti, fatti leggere le carte. Non fare il solito musone...", insisteva la donna. "Tanto lo sai che non ci credo, perdiamo soltanto tempo...", cercava di reagire l'uomo. "Non è vero, quel tuo maledetto razionalismo ti impedisce di vedere certe verità che non conosci. E poi le carte indovinano: con me hanno sempre funzionato". "Sarà, ma per me restano una cazzata...". "Allora, se secondo te è tutta fantasia, che cosa ti costa provare? Tanto pago io...". "Molto gentile da parte tua, ma è comunque una perdita di tempo". "Di tempo ne abbiamo questa sera. Dai, perché non mi accontenti?". La ragazza, pensò la cartomante, sapeva usare le sue armi. E infatti, piegato da quello sguardo implorante, alla fine l'uomo capitolò. "Va bene, sia come vuoi. Dove ci fermiamo?". "Qui, vieni qui". Lo guidò la ragazza. E si ritrovarono seduti di fronte alla cartomante che li squadrò. L'uomo aveva gli occhi molto chiari, di un celeste quasi ceruleo, e i tratti del viso, per quanto leggermente spigolosi, denunciavano un carattere schietto e corretto. Lei, invece, aveva occhi tra il verde e il marrone, che con una punta di civetteria definiva verde bosco. A un estraneo non sfuggiva l'espressione maliziosa dipinta sul viso, così come si vedeva che era ben cosciente di quanto fosse bella e dell'ascendente che aveva su di lui. "Cosa posso fare per voi?", chiese la cartomante guardando prima l'una e poi l'altro. "Il mio fidanzato è in un momento particolare della sua carriera e vorrebbe sapere che cosa gli riserva il futuro", rispose la donna facendo un sorriso complice alla cartomante. 6 "Capisco. Quindi lei si aspetta qualche cambiamento a breve. Non è così?", chiese la cartomante all'uomo. Lui, che sembrava più imbarazzato che divertito, fece cenno di sì con il capo. "In effetti - disse - potrei essere a un punto importante". Ma non aggiunse altro. Del resto che cosa avrebbe mai dovuto spiegare a quella zingara? Doveva dirle che era un avvocato, che lo studio per il quale lavorava da quasi dieci anni stava per aprire un nuovo settore del quale, a quanto si diceva in giro, sarebbe potuto essere proprio lui il responsabile? Che cosa poteva importare di tutto questo a quella donna che si guadagnava da vivere facendo le carte al prossimo? E, soprattutto, che cosa ci faceva lui seduto come un cretino davanti al banchetto di una cartomante? Il primo impulso sarebbe stato quello di alzarsi e andarsene. Ma ormai non poteva e tanto valeva stare al gioco. La cartomante lo guardò dritto negli occhi e non disse niente, anche se lui ebbe l'impressione che avesse capito il suo stato d'animo. Poi prese le carte, le mischiò e delicatamente, una per una, le posò coperte sulla stuoia verde che copriva il tavolino. La prima la collocò alla sua sinistra, la seconda alla destra, la terza in alto e la quarta in basso. L'ultima. La quinta, la pose al centro. Aveva disegnato una croce. Poi, sempre con molta calma, sapientemente cominciò a girarle nello stesso ordine in cui le aveva posate. Apparve una donna con la testa coronata e una spada nella mano destra. "La giustizia...Lei è un uomo di legge, vero? Magistrato o avvocato...". L'uomo cambiò espressione e la guardò con più attenzione, passando in una frazione di secondo dalla noia alla perplessità. "Sì - disse piano - sono un avvocato..." "Lei è un uomo molto equilibrato, ama il discernimento e la logica. La disturba ciò che non rientra nel suo ordine mentale...". E sollevò la seconda carta, quella a destra. "Il diavolo. Appunto. Ho paura che il suo prossimo futuro non sarà come lei se lo aspetta. Non almeno come lei lo ha progettato. Sta per succedere qualcosa di inatteso e di traumatico nella sua vita, un grosso capovolgimento che le farà perdere molte delle sue certezze. Per lei sta per aprirsi una porta sul disordine. Vivrà passioni che non pensava potessero coinvolgerla". E la mano destra girò la terza carta, in alto. "Ma ecco l'Imperatore. Nonostante le difficoltà cui lei andrà incontro, la sua volontà e il suo intelletto riusciranno a portarla fuori dai guai. Il suo cammino sarà rischiarato da una luce superiore. Forse incontrerà qualcuno che le darà una mano a trovare la via giusta. Sì, penso che sia così". 7 E girò la quarta carta, quella in basso. La guardò, poi sollevò lo sguardo e lo fissò per un lungo momento, occhi negli occhi, prima di parlare. "Queste sono le stelle, le vede? Ciò significa che lei è una di quelle rare persone che vengono al mondo con un compito e un destino ben definiti. Lei è un predestinato, caro signore. Per cui tutti i problemi che avrà, tutte le prove che dovrà superare, saranno semplicemente lo scotto che lei dovrà pagare alla sorte per ottenere il risultato finale". Lui la guardò con una punta di ironia. "Quello che mi sta annunciando è affascinante, ma il mio lavoro è fatto di tanta routine, mi creda. E comunque non credo di essere tanto ambizioso da essere disposto a pagare chissà quale prezzo alla fortuna. I miei sono desideri molto più a portata di mano...". "Questo non sarà lei a stabilirlo. Il destino non chiede permesso quando viene a bussare alla nostra porta. E le carte dicono che, nel suo caso, il momento si sta avvicinando". E sollevò l'ultima carta, la quinta, quella nel mezzo della croce. "La ruota della fortuna. Non sarò quindi io a dirle che piega prenderà il suo destino. Tutto sta nelle sue mani, nella sua fede. In ciò che lei sarà capace di fare per dare un nuovo ordine alla sua vita dopo che il vecchio sarà stato distrutto dagli eventi. Le carte le possono soltanto dare un'indicazione. Niente di più. Ha qualche domanda?". L'uomo fece segno di no col capo e si alzò. La donna, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, mise una banconota da dieci euro sul piattino accanto alla cartomante e la salutò ringraziandola. Sul volto dell'uomo c'era ancora l'ironia di prima. "Signore - disse la cartomante rivolgendosi verso di lui - mi scusi se mi permetto, ma lei si ricrederà. Capisco il suo scetticismo, ma molte volte ci sono aspetti dell'esistenza che non si conoscono. Le carte, spesso, aprono una finestra su questa realtà. Ci rifletta sopra...". "Senz'altro", rispose lui ancora meno convinto. E dopo averle augurato una buona serata, mise la sua mano sotto il braccio della compagna e si allontanò con lei nella notte. La cartomante li guardò camminare finché non sparirono alla sua vista. "Vedrai, bello mio, vedrai - sussurrò quasi con un ghigno, parlando a se stessa - Le carte non sbagliano mai...". ———————————————————— 8 L'indomani Giulio Raimondi si svegliò col cuore in gola. Di solito dormiva bene e senza problemi, ma quella notte aveva avuto un incubo che l'aveva svegliato quasi alle quattro del mattino. Nel sogno si vedeva correre disperato nelle buie strade di una città sconosciuta, senza sapere chi lo inseguisse. Correva e basta. Ogni tanto si fermava davanti a un portone, cercava di aprirlo ma quello era inesorabilmente chiuso. Allora batteva i pugni contro lo stipite, urlava affinché qualcuno lo aiutasse, che qualcuno aprisse, ma nessuno rispondeva. Però la presenza, quella misteriosa presenza, si avvicinava sempre di più. E lui riprendeva a correre, sempre più terrorizzato e sempre più impotente contro il pericolo che lo perseguitava. Finché, giunto ormai senza fiato davanti all'ennesimo portone, privo di forze e rassegnato al peggio, una mano misteriosa apriva l'uscio al quale bussava. La porta si apriva lentamente, cigolando, su un androne buio e minaccioso. Lui faceva appello alle sue ultime energie per varcarne la soglia, ma proprio mentre stava entrando, una signora interamente vestita con un lungo abito nero di foggia ottocentesca, con un velo sul viso, si affacciava dall'oscurità. "Te l'avevo detto - gli diceva con voce profonda, quasi spettrale - non puoi sfuggire al tuo destino...". Lui, ormai al culmine del terrore, allora allungava una mano e le strappava bruscamente il velo dal viso. Gli occhi della cartomante lo guardavano fissi e severi, brillando nel buio. L'urlo gli restò in gola. E si tirò su dal letto di scatto, agitato e coperto da un sudore freddo e fastidioso. Non riuscì più a riaddormentarsi. Nella penombra della camera da letto, quando finalmente si calmò, cercò di mettere un po' d'ordine nei suoi pensieri, riflettendo su quello strano incubo. In effetti la cartomante della sera prima lo aveva infastidito. Riprendendo la strada, aveva avuto una piccola discussione con Roberta circa la veridicità di quella strana profezia a Campo dei Fiori e continuava a ripeterle che quei dieci euro sarebbero stati meglio spesi in due grandi e squisiti gelati. Lei, però, non accettava la sua chiusura mentale verso il paranormale. E insisteva col dire che le carte, quando sono fatte dalle mani giuste, possono davvero aprire una finestra sul destino: avrebbe fatto bene a non prendere troppo sottogamba certe cose e tanto meno quella cartomante. Quando l'aveva lasciata sotto casa, in corso Sempione, ognuno era ancora della propria idea. Poi, la notte, aveva avuto quell'incubo. Quando uscì di casa, vestito con un completo di lino color carta zucchero, cravatta Missoni su camicia celeste e mocassini marroni, era pronto ad affrontare gli ultimi tre giorni dell'ultima settimana prima delle ferie estive. Il cielo era di un azzurro intenso e il sole illuminava equamente uomini e cose. Alle nove del mattino via Sarpi era vivace come non mai. Pochi i negozi che avevano già abbassato le serrande per le vacanze. Giulio si fermò davanti a un'edicola per leggere i titoli dei quotidiani esposti, poi proseguì verso il fondo. Raggiunse l'emporio cinese all'angolo e si incamminò verso la fermata del tram per aspettare il 12. Lo studio legale Filangeri & 9 Nansen, uno dei più noti della Lombardia, aveva sede a piazzale Cordusio, a due passi dal duomo. L'avvocato Raimondi era solito scendere all'ultima fermata di via Brera, si fermava al bar dell'angolo a prendere cappuccino e cornetto, con un bicchiere d'acqua finale, e poi si avviava verso l'ufficio zigzagando tra le macchine. Antonella, la segretaria, lo accolse con un rispettoso "Buongiorno". Quella ragazza, pensò Giulio passandole accanto, doveva avere qualche problema. Da che la conosceva, e ormai erano quasi due anni, non l'aveva mai vista sorridere. Nascosta dietro i suoi occhialini rettangolari, i capelli bruni a caschetto e il cipiglio professionale stampato sul viso, sembrava molto più anziana dei suoi 28 anni. Eppure sarebbe stata anche carina se solo fosse sembrata un po' più umana. Aveva anche una bella presenza. Comunque, rifletteva Giulio quella mattina, non erano affari suoi. Contenta lei... "Avvocato Raimondi, c'è l'avvocato Filangeri che vorrebbe vederla". Quando gli rivolse la parola Giulio era ancora immerso sulle sue considerazioni estetiche su Antonella. La guardò quindi un po' svagato e le rispose automaticamente. "Vuole vedermi? Sa per quale ragione?". "No, non me l'ha detto. Mi ha chiesto soltanto di dirle che vorrebbe vederla prima possibile". "Ricevuto, grazie. Quando il capo vuole vedermi con urgenza significa che c'è qualcosa di importante che bolle in pentola. Non le pare?". "Non saprei", rispose lei con la sua solita freddezza. Lui le lanciò un'altra occhiata. "Ragazza mia, sei calda come un ghiacciolo d'inverno", pensò in cuor suo. Ma dalla sua bocca uscì soltanto un malinconico "Già". E si avviò verso la porta di quercia scolpita che faceva accedere ai locali del mega ufficio del più anziano titolare dello studio. Fabrizio Filangeri, 68 anni di ricca borghesia lombarda portati senza acciacchi e senza ostentazioni, era quello che si dice un gentiluomo d'altri tempi. Molto alto, stempiato, fin troppo magro, rigorosamente vestito di grigio con cravatta scura, conosceva da quasi quarant'anni i segreti e i peccati di un cospicuo numero di imprenditori che, grazie al suo aiuto, se l'erano cavata in centinaia di situazioni decisamente difficili. Lo studio era specializzato in diritto internazionale, ma in pratica curava globalmente gli interessi delle aziende che a lui si affidavano. I suoi avvocati erano divisi in squadre specializzate in ogni ramo del diritto e della finanza. Chi ha Filangeri dietro le spalle, si diceva a Milano, sa di essere dentro una botte di ferro. Fabrizio Filangeri era dunque uno di quegli uomini potenti e discreti che non 10 appaiono mai sui giornali, ma che proprio per questo rappresentano al meglio il nerbo della borghesia che conta. Il discreto bussare alla porta lo colse mentre stava sfogliando il Sole 24 Ore, uno dei sei quotidiani che leggeva ogni mattina che Dio manda in terra. "Avanti...", disse senza neppure alzare lo sguardo. "Buongiorno, avvocato. Ho sentito che voleva vedermi", disse Giulio affacciandosi dalla porta. "Buongiorno a lei, Raimondi. Venga, si accomodi. In effetti ho da dirle qualcosa". E con la mano destra gli fece segno di sedersi davanti all'imponente scrivania. Giulio si sedette, accavallò le gambe e restò in attesa. Filangeri avvertì l'imbarazzo. "Mi scusi se la faccio aspettare, ma sto finendo di leggere un articolo sulla borsa che mi interessa parecchio. Un secondo e sono da lei". Passarono circa due minuti, poi Filangeri tirò su la testa, chiuse in quattro il giornale e lo ripose insieme agli altri sulla mazzetta alla sua destra. "Le cose non stanno andando bene. La borsa è troppo ballerina e c'è gente, tra cui il sottoscritto, che ci hanno rimesso dei bei soldi anche puntando su titoli di tutto rispetto. Mah, vedremo come andrà a finire. Comunque non l'ho fatta chiamare per parlarle del mercato azionario. Ho una novità per lei. Si ricorda del commendator Parodi, quell'armatore genovese per il quale lei quattro anni fa ha sbrigato quella pratica d'importazione dall'Argentina?". "Sì, certo. Ho lavorato per quasi sei mesi dietro a quella storia. Quando l'abbiamo presa in mano sembrava un disastro certo, poi le cose si sono messe bene e siamo riusciti a salvaguardare gli interessi della compagnia armatrice. A dire il vero ho avuto anche un po' di fortuna, all'inizio mi sembrava un caso disperato. Ricordo che Parodi mi telefonò personalmente per ringraziarmi...". "Appunto. Come lei ben sa, Parodi è un mio vecchio amico. Non ci lega dunque solo un legame d'affari. Tra l'altro subito dopo la questione argentina lui venne colpito da una terribile disgrazia. Se ne ricorderà certamente: la moglie e la figlia, l'unica figlia, gli morirono in un incidente stradale. E' uno di quei drammi da cui non ci si può riprendere. E infatti Parodi non è più quell'uomo energico e volitivo che io avevo conosciuto. Per quanto potevo, ho cercato di stargli vicino, l'ho invitato anche a passare qualche giorno con la mia famiglia, tanto perché non si sentisse troppo solo. Ma non c'è stato nulla da fare. E' diventato ombroso, sempre più chiuso in se stesso, e non vuole vedere nessuno. Lavora e basta, non so se mi capisce". Giulio fece segno di sì col capo. Anche lui era rimasto colpito dalla disgrazia di Parodi. Si ricordava anche della considerazione che aveva fatto quando aveva 11 saputo dell'incidente, e cioè che tutti i suoi milioni non lo avevano protetto da quel destino infame. E gli fece avere le sue condoglianze. "Non le nascondo dunque la mia sorpresa quando ieri mi ha chiamato chiedendomi un favore che io, come può ben capire, non ho potuto rifiutargli". Giulio non perdeva una parola, ma continuava a non capire. Così come non comprendeva quell'improvvisa pausa nel racconto e l'espressione di Filangeri che lo fissava con insistenza. "E di che cosa si tratta, se posso domandaglielo", gli disse tanto per rispondere allo sguardo. "Si tratta di lei, mio caro Raimondi. Parodi mi ha chiesto di metterla a sua disposizione per risolvere una vicenda che gli sta particolarmente a cuore. Mi ha detto che lei gli aveva fatto un'ottima impressione, che è un giovane molto sveglio e altre cose che non le sto a ripetere per non farle montare la testa. Insomma, vuole che sia proprio lei, e nessun altro, a occuparsi della sua questione. Sono stato abbastanza chiaro?". "Chiarissimo, non ne dubiti. E sono lusingato della fiducia che il commendator Parodi mi accorda. Ma potrei sapere qualcosa di più su questa pratica? Dopotutto sto per andare in ferie e lei sa bene che al mio ritorno ho due o tre cose che assorbiranno tutto il mio tempo. Non capisco quindi che ordine di priorità devo dare al caso del commendator Parodi". "Priorità assoluta, amico mio. E anche per quanto riguarda le sue ferie, mi duole dirle che per il momento le deve accantonare. So che le sto chiedendo un sacrificio, ma la sua presenza è richiesta con urgenza a Genova. Diciamo tra un paio d'ore, minuto più minuto meno. Per quanto riguarda invece i dettagli, glieli dirà direttamente Parodi che la sta già aspettando. Le auguro buon viaggio". E senza più degnarlo di uno sguardo, allungò la mano verso la mazzetta dei giornali e aprì il “Corriere della Sera”. Il colloquio era finito. Raimondi sapeva per esperienza che ogni tentativo di saperne di più sarebbe stato inutile. Per cui si alzò, salutò e si chiuse la porta alle spalle. Passando vicino ad Antonella si fermò. "Ascolti, rimandi tutti gli appuntamenti che ho per oggi. Purtroppo devo andare immediatamente fuori Milano". "Lo so, ho già provveduto. Le auguro buon viaggio". "Questo significa che lei sa già dove sto andando?". "A Genova, dove deve incontrare il commendator Parodi verso mezzogiorno. Mi è stato comunicato e ho quindi provveduto a rinviare i suoi appuntamenti". 12 "Brava. Ma prima, quando le ho chiesto se sapesse che cosa voleva l'avvocato Filangeri, mi ha risposto di no". "Così mi è stato detto di comportarmi". "Lei è unica, lo sa?". La ragazza non rispose e abbassò gli occhi. Lui le passò accanto e si diresse verso l'uscita. Mentre la porta si chiudeva gli giunse un "Arrivederci, avvocato". L'avrebbe strozzata. ———————————————————— L'autostrada Milano-Genova è dritta come un fuso ad eccezione della parte appenninica da Serravalle a Genova, un via vai di tornanti a due sole corsie che hanno fatto conferire a questo vecchio percorso camionale il titolo di autostrada più pericolosa d'Italia. A bordo della sua Saab 9.3 Raimondi rifletteva su quello strano appuntamento. Aveva inserito l'aria condizionata e il parabrezza continuava a essere macchiato dagli insetti che esplodevano contro il vetro. Che cosa poteva volere il vecchio Parodi da lui? Tanto per cominciare, era strano anche il modo in cui aveva richiesto i suoi servigi. Se aveva bisogno di lui, poteva chiamarlo direttamente e spiegargli il perché. E' vero che Parodi e Filangeri sono amici, ma in condizioni normali sarebbe toccato a lui chiedere al suo capo il permesso di andare a Genova per la richiesta di Parodi. Invece era stato proprio l'armatore a chiedere a Filangeri il permesso di poter contare su di lui. Perché? Più ci pensava e meno ci capiva. E mancò poco che strisciasse contro il guard rail in una curva un po' più stretta delle altre. Allora decelerò, mise la quarta e si avviò a velocità più ragionevole verso il capoluogo ligure. Uscito al casello di Genova Ovest, Raimondi proseguì verso la sopraelevata che corre lungo il porto. L'impatto con il mare e con le navi all'ormeggio gli risollevò il morale. Del resto la giornata era molto soleggiata e l'azzurro del cielo si rifletteva sulle calme acque del porto, rendendo l'insieme un quadro da cartolina. Giunto allo svincolo di Piccapietra deviò a destra, passò nel tunnel e si diresse verso il parcheggio adiacente il teatro Carlo Felice. Non poteva dirsi un gran conoscitore di Genova, ma quel percorso ormai lo sapeva a memoria. La città era decisamente più affollata di Milano. Gente in giro se ne vedeva molta e il caldo era soffocante. Non c'era un alito di vento. Giulio si diresse quindi verso via Garibaldi scendendo lentamente verso piazza Fontane Marose, nel cuore della città antica. Il palazzo dove si trovava la sede della compagnia armatrice Parodi era un edificio patrizio del Seicento, con un ampio e austero cortile che dava su quella che 13 una volta era chiamata la Via Aurea, poi ribattezzata in onore dell'Eroe dei due mondi. Al centro c'era una fontana non funzionante, da cui partivano due opposte rampe di scale. Ampi gradini d'ardesia, consumati dal tempo, portavano ai lussuosi e grandi appartamenti dei piani superiori. Tutta la parte destra del palazzo apparteneva alla International Freight Sea Lines, la compagnia armatoriale di Parodi. La direzione era al primo piano e lo occupava interamente. La signorina alla reception si fece dire il suo nome e lo accompagnò in un'ampia sala d'attesa, dove si trovava un enorme tavolo rettangolare di legno massiccio, circondato da poltroncine rivestite di velluto rosso. In fondo, a destra, c'era un'antica libreria dello stesso stile contenente, chiusi a chiave, libri che a prima vista non sembravano avere meno di un secolo. Apparentemente non c'era aria condizionata, ma in qualche modo i locali sembravano avere una certa frescura. L'attesa di Giulio non durò molto. Dopo circa dieci minuti la stessa signorina di prima aprì la porta e gli si rivolse con un sorriso. "Il commendator Parodi l'aspetta: se vuole seguirmi...". Giulio si alzò e le andò dietro. Mentre la seguiva si strinse il nodo della cravatta che prima aveva allentato. Gerolamo Parodi, uno dei più noti armatori italiani e una vera potenza nella sua Genova, era seduto su una poltrona di pelle nera dietro l’ampia scrivania stile fratino dove si notava solo lo stretto essenziale: un paralume d'ottone, una cartella da scrittoio e un'agenda chiusa, col segnalibro rosso penzolante nel vuoto. A occhio egli poteva avere intorno agli 80 anni, era alto e corpulento, con folti capelli bianchi pettinati all'indietro che gli lasciavano la fronte scoperta. Il naso era prominente, il viso spigoloso e massiccio; gli occhi, leggermente incavati, erano tristi e circondati da un'aureola scura. Era interamente vestito di nero e anche la cravatta, a quanto si poteva vedere a causa della scarsa luce, era scura anch'essa. Solo qualche raggio riusciva a filtrare, clandestino, dalle tende chiuse. Giulio si fece avanti e andò verso di lui tendendogli la mano, che egli strinse ancora con energia. "Grazie di essere qui, avvocato. Mi scusi se non le sono venuto incontro, ma i miei problemi di artrite mi impediscono di alzarmi e camminare come una volta. La prego anche di voler scusare questa penombra, ma i miei occhi non resistono più alla luce del sole. Sono solo un povero vecchio, ormai". "Non si preoccupi, ci vedo benissimo", rispose Giulio con cortesia. "Lei si domanderà come mai l'ho fatta chiamare con tanta urgenza. E come mai il mio amico Filangeri l'ha messa a mia disposizione...". "In effetti è così. Anche perché stavo per partire per le ferie. Ma presumo che se lei ha ritenuto di dovermi chiamare con tanta urgenza, ci sia una ragione importante. Sono qui per questo". 14 "La ringrazio della sua disponibilità. Sì, c'è una ragione molto importante. E direi anche molto urgente. Fin troppo. Ho davvero bisogno che lei faccia qualcosa per me, ho bisogno che in questo incarico lei ci metta tutta la sua intelligenza e competenza e che lo porti a termine in tempi, diciamo così, piuttosto brevi. Se la sente?". "Da quando lavoro nello studio Filangeri ho sempre sentito dire che l'impossibile, in senso assoluto, non esiste. C'è una soluzione per tutto. Il più è pensarci e trovarla. Onestamente non so se sono all'altezza di tanta bravura, ma posso provarci...". "E tanto mi basta. L'ho vista lavorare e so di che cosa è capace. L'unico problema è che quanto sto per chiederle non è esattamente un problema legale. Ho paura che per risolvere la questione lei dovrà metterci anche un po' di fantasia. Mi capirà meglio quando le spiegherò di che cosa si tratta". "L'ascolto". "Quanto sto per dirle è ovviamente strettamente riservato e non deve uscire da questa stanza per nessuna ragione. Quando dico riservato intendo dire che neanche il mio caro amico Filangeri deve venirne a conoscenza. Per nessuna ragione. Mi ha capito?". "Perfettamente. Non le nascondo che è un po' insolito che io non possa parlare con il responsabile del mio studio di un caso di cui mi sto occupando; ma se così vuole, così sarà". "Benissimo, sapevo che potevo fidarmi di lei. E adesso mi ascolti con attenzione. Prima di tutto sappia che il mio vero nome non è Gerolamo Parodi. Per dirla tutta, io non so quale sia il mio vero nome. E' una storia antica quella che sto per raccontarle, una storia che inizia più di ottanta anni fa in chissà quale paese della Sicilia. Era il 1922 quando un uomo poco più che trentenne lasciò l'isola con un bambino di circa due anni e raggiunse Genova via mare. Quell'uomo fuggiva, anche se non so da chi e perché. E fuggendo si era portato dietro il figlio. Una volta a Genova quell'uomo si rivolse ad un vecchio amico che lo ospitò e al quale confidò tutto. Dio solo sa che cosa gli disse; l'unica cosa certa è che lo pregò di tenergli il bambino perché lui doveva fuggire, lasciare l'Italia e cercare rifugio in un Paese dove avrebbe potuto rifarsi un'esistenza, cancellando definitivamente la vecchia. E così fece. Da quanto ne so, l'uomo si imbarcò su uno dei vapori che a quel tempo partivano dal porto di Genova per le Americhe e raggiunse gli Stati Uniti. Da New York inviò una cartolina all'amico genovese, dicendo che il viaggio era andato bene e che a quel punto avrebbe iniziato la sua nuova vita. Fu il primo e unico messaggio che l'amico ricevette da lui. Dopodiché l'uomo scomparve per sempre. Comincia a capire?". Giulio fece lentamente di sì col capo. E mentre lo guardava, notò la vecchia cartolina ingiallita che Parodi si rigirava tra le mani, ammirandola di tanto in tanto 15 come se fosse una reliquia. Da quello che poteva vedere, l'illustrazione sembrava raffigurare un monumento, quello di una donna con un braccio alzato: la statua della libertà. "Quel bambino - riprese l'anziano armatore - crebbe in casa degli amici genovesi di quell'uomo. Non avevano figli e, essendo una famiglia abbiente, riuscirono ad adottarlo legalmente, sostenendo che il piccolo era stato abbandonato davanti alla porta della loro casa. Poi la vita prese il suo corso. Il bambino si adattò presto ai suoi nuovi genitori, anche perché lo riempirono davvero d'amore. Della famiglia d'origine, di quel padre che lo aveva strappato alla madre e condotto con sé su una nave per abbandonarlo poi in casa di amici, non gli restò che qualche fuggevole ombra che il tempo ha reso sempre più evanescente. Diventò davvero il figlio di quella famiglia che lo aveva accolto. Frequentò le scuole migliori della città, prese una laurea in Ingegneria navale, si sposò, anche se in tarda età, ereditò una delle più grandi compagnie armatrici italiane e alla fine, quando gli sembrava di avere ormai il mondo in mano, un terribile incidente gli portò via in un colpo solo le due persone che più amava nella vita: sua moglie e sua figlia. Questo accadeva tre anni, quattro mesi e dodici giorni fa...". Parodi abbassò la testa e stette per un lungo attimo in silenzio. Poi la tirò su di scatto, si ricompose sulla sedia e portò entrambe le mani sui braccioli finemente intagliati. Era di nuovo l'armatore. "Quel bambino, come ha capito, ero io. I miei non mi dissero mai che ero stato adottato. Tra l'altro, per uno di quegli strani scherzi del destino che ogni tanto avvengono, io somigliavo davvero al mio padre adottivo e a nessuno sarebbe mai venuto in mente di dire che non ero suo figlio. E quando morì non mi disse assolutamente niente. Poi, anni dopo, sul letto di morte, mia madre mi rivelò infine la verità e mi diede questa cartolina. Erano le sue ultime parole, eppure non mi volle dire il nome di quell'uomo. Disse che lui aveva fatto giurare loro che il bambino non avrebbe mai dovuto sapere che cosa era accaduto. E lei, morendo, mi disse semplicemente che non poteva venir meno alla promessa fatta, ma che doveva dirmi la verità sulle mie origini perché non poteva presentarsi davanti al Signore con quel peso nell'animo. E morì senza aver detto il nome del mio vero padre. Tutto quello che so di lui è dunque in questa cartolina, la cartolina di uno strano emigrante che dice che il viaggio è andato bene, sta per cominciare la sua nuova vita negli Stati Uniti e si firma Nino. Capisce che cosa voglio dire? So soltanto che il mio vero padre si chiamava Nino. Un po' poco, non le pare?". "Già, decisamente un po' poco. Ma mi perdoni, commendatore, io non ho ancora capito che cosa posso fare per lei a questo punto...". 16 "Adesso ci arrivo, non si preoccupi. Il mio problema è il fegato: ogni giorno che passa è sempre più divorato da un famelico cancro. Non è più operabile e, secondo i medici, ne avrò al massimo per tre o quattro mesi. Sei se sono fortunato. Lei conosce benissimo lo stato finanziario della mia società e io adesso mi pongo un grosso interrogativo: a chi dovrei lasciarla? Ho ancora in vita lontani parenti di mia madre che, in caso del mio decesso, si ritroverebbero ad ereditare tutto senza neppure saperlo. Per il resto non ho altri eredi, anche perché mia figlia è morta prima di farmi diventare nonno. Allora, pensandoci e ripensandoci, alla fine sono giunto alla conclusione che l'unica cosa che mi resta da fare è trovare i miei veri parenti. Ritrovare le tracce di mio padre, seguirle e vedere se lui ha lasciato qualcuno nelle cui vene scorre il mio stesso sangue. Lo prenda come l'attacco di romanticismo di un vecchio pazzo, se crede. Ma io voglio così: voglio sapere chi erano mio padre e mia madre, voglio sapere se avevo dei fratelli, che cosa accadde e perché mio padre fuggì portandomi con sé . Era ovvio che la sua fuga sarebbe stata molto più agevole senza un bambino così piccolo da accudire. Eppure lui lo fece: perché?". Giulio, che fino a quel momento non si era perso una parola, sentì un lungo brivido di freddo scorrergli lungo la schiena. "Scusi, commendatore, ma io cosa c'entro in tutto questo? Intendo dire: come può un avvocato aiutarla in questa circostanza?". "E' semplicissimo, caro Raimondi: lei farà quella ricerca per me. Lei, con il suo ingegno, ritroverà senza dubbio i miei parenti e mi restituirà la mia vera identità. Non ne faccio una questione di soldi, anche perché là dove devo andare non mi serviranno: pagherò tutte le spese e lei stesso riceverà un compenso di cui non potrà davvero lamentarsi". "Io la ringrazio, ma mi chiedo che cosa ne dirà l'avvocato Filangeri. Una ricerca di questo genere è pazzesca: tutto quello che abbiamo in mano è una cartolina illustrata di ottant'anni fa, proveniente da New York con la firma di un certo Nino. Trovare un ago in un pagliaio sarebbe più semplice. Non saprei da dove cominciare. Davvero...". "E io, invece, sono sicuro che lei se la caverà benissimo. Lei conosce le lingue, ha pratica di affari internazionali e sa come sbrigarsela anche in ambienti estranei al suo. Lei è l'uomo giusto, mi creda. E comunque io ho fiducia in lei. Piuttosto le devo dire un'altra cosa: ritengo opportuno che lei scambi due chiacchiere con una professoressa della nostra Università, qui a Genova, che da anni si occupa dei problemi relativi all'emigrazione. E' una vera esperta, lo vedrà. Lei potrà darle qualche utile consiglio circa questa cartolina, cioè l'unico indizio fino ad oggi in nostro possesso. La mia segretaria le darà tutte le indicazioni per rintracciarla. 17 Abbiamo già fissato un appuntamento per lei questo stesso pomeriggio. Non mi resta dunque che augurarle buona ricerca e buon viaggio. Si ricordi che non ho molto tempo a disposizione, deve fare in fretta". E si alzò, allungandogli la mano. Era il commiato. Giulio era senza parole. Gli strinse la mano quasi meccanicamente, tornò sui suoi passi e raggiunse la porta. Mentre la apriva si sentì chiamare. "Avvocato, si ricordi: non ho molto tempo...". Giulio fece cenno di sì con il capo, salutò ancora e si chiuse la porta alle spalle. Mentre scendeva gli antichi gradini d'ardesia, si domandava in quale razza di guaio l'avessero cacciato. ———————————————————— Seguendo un'antica quanto rispettata abitudine, Giulio si diresse verso un ristorante dove era sicuro di mangiare secondo le tradizioni gastronomiche del posto. Lo faceva sempre quando si trovava fuori Milano. Non era uno di quei viaggiatori che pretendono di mangiare le stesse cose, a prescindere dal posto in cui si trovano. Amava assaggiare la cucina locale e, possibilmente, accompagnare il cibo con il vino giusto, tanto meglio se della stessa regione. Perciò, senza nemmeno fare tanta strada, andò direttamente verso l'antico ristorante Bedin. Erano circa quattro anni che non ci metteva piede, eppure ebbe la sensazione che tutto fosse rimasto come prima. Salì dunque la scaletta di legno sulla sinistra e, dietro indicazione del cameriere, si sedette a uno dei tavoli accanto al muro. A dire il vero, il locale era mezzo vuoto, avrebbe potuto scegliere più che comodamente dove sedersi. Ma quel tavolo gli sembrava abbastanza riservato per potersi studiare la cartella che gli aveva consegnato la segretaria di Parodi. Ordinò dunque un piatto di trenette col pesto e una bottiglia di Vermentino della Riviera di Ponente, poi aprì la borsa di pelle e tirò fuori il voluminoso plico. Parodi era stato molto scrupoloso: a parte un promemoria dove veniva riassunto il racconto che gli aveva fatto, c'erano due fotocopie molto nitide e ingrandite con il fronte-retro della cartolina di cui gli aveva parlato; l'indirizzo dell'ufficio dell'Autorità Portuale di Genova dove poteva recarsi a consultare gli archivi del movimento navi, con il nome e i numeri di telefono della persona responsabile; la prenotazione di una camera dotata di telefono, stampante e computer con accesso Internet presso lo Starhotel di Brignole, in pieno centro, dove poteva soggiornare per tutto il suo periodo a Genova; una carta di creditobancomat emessa a suo nome e con le relative password, senza limiti di spesa, per quanto gli fosse servito per le sue ricerche; un conto corrente con relativo libretto di assegni, sempre a suo nome, aperto presso la sede locale della Banca Intesa, un telefonino palmare quadri-band con abbonamento fisso, un computer portatile 18 dell'ultima generazione in grado di collegarsi automaticamente a Internet con scheda telefonica interna, una macchina fotografica reflex digitale Nikon di ultima generazione, le istruzioni per redigere un rapporto finale, con relative pezze d'appoggio, sull'esito delle ricerche stesse e una nota completa delle spese sostenute. L'incartamento terminava con l'indirizzo e il numero di telefono della professoressa Annalisa Manieri, la docente della Facoltà di Lettere che avrebbe dovuto aiutarlo nella ricerca. L'appuntamento era per le 15. Due le riflessioni che gli vennero subito in mente. La prima è che quel conto corrente e la carta di credito stavano a significare che il suo coinvolgimento in quelle strane ricerche era stato deciso da almeno un mese e, ovviamente, con il beneplacito di Filangeri. Ciò significa che mentre lui pianificava tranquillamente le ferie, i suoi superiori gli stavano preparando quel bel piattino. Secondo, quanta collaborazione avrebbe potuto fornirgli quella Manieri? Dicono che chi bene inizia è a metà dell'opera, ma se quella professoressa non lo avesse aiutato come si deve, la ricerca si sarebbe insabbiata ancora prima di partire. Comunque non era il caso di farsi del nervoso anzitempo, meglio prima incontrare quella donna e poi trarne le conclusioni. Tra l'altro si domandava come avrebbe presentato la vicenda a Roberta, che ancora non sapeva niente. Avrebbero dovuto incontrarsi quella sera stessa, sempre che non fossero emersi nuovi problemi. E si versò nel bicchiere a calice un po' di quel fresco Vermentino che il cameriere gli aveva appena portato con qualche stuzzichino di focaccia calda. Sapeva che non doveva eccedere con i carboidrati e quindi si controllava, ma quel giorno aveva già avuto troppe sorprese per stare a pignoleggiare anche sul mangiare. Per cui addentò la focaccia senza farsi troppi scrupoli. Mentre ne gustava il sapore, il cameriere gli portò le trenette. Il pesto era come piaceva a lui: tagliuzzato finemente e non passato al frullatore, come nella maggior parte dei ristoranti. Insomma, visto che a Genova per un po' ci doveva lavorare, tanto valeva assaporarne le cose buone. E si portò alla bocca il primo fumante e gustoso rotolo di trenette. Verso sera avrebbe chiamato Filangeri per fargli una prima relazione sull'incontro con Parodi, ma già sapeva che cosa gli avrebbe risposto. Era stato tutto maledettamente organizzato ai suoi danni: l'unica cosa che ormai poteva fare era portare a termine l'incarico nel migliore dei modi. ———————————————————— La sede genovese della Facoltà di Lettere è in via Balbi, un'antica strada patrizia oggi ridotta ad un budello con le facciate dei palazzi corrose dallo smog. Dieci minuti 19 prima delle 15, Giulio Raimondi entrava nella segreteria della Facoltà e chiedeva della professoressa Manieri. "La stavamo aspettando", gli rispose l'impiegata. E annunciò la sua visita. Quindi gli fece strada verso un ufficio in fondo al corridoio. Quando la porta si aprì, la prima cosa che Giulio vide fu un grande planisfero del mondo appeso ad una parete. Sotto era seduta una donna che dimostrava poco più di una quarantina d'anni, con lunghi capelli castani, occhiali ovali cerchiati d'oro e lineamenti regolari, anche se un po' affilati. "Buon giorno avvocato Raimondi, lieta di conoscerla", si presentò. La stretta di mano era forte. Giulio si accomodò nella poltroncina dall'altra parte della scrivania. "Dunque - disse lei con un sorriso - pare che lei debba lavorare a un caso a dir poco complicato...". "Già, e non ho la più pallida idea di dove cominciare. Fino a due ore fa ero un avvocato milanese in trasferta a Genova per quello che sembrava un lavoro di routine, ora invece mi ritrovo immerso fino al collo in una caccia al tesoro dagli esiti quanto mai incerti". "Non sarà facile trovare quello che il commendator Parodi desidera, ma d'altra parte non mi pare che lei abbia scelta". "Quello che mi spaventa, a dire il vero, è che devo muovermi in un ambiente che non mi è affatto famigliare. Intendo dire che sono abituato ad avere a che fare con leggi e scartoffie, non certamente con ricerche di questo tipo. E poi, che cosa abbiamo come punto di partenza? Una cartolina vecchia di ottant'anni firmata da un certo Nino. Io spero che lei sia più ottimista di me". "Metto sempre una certa dose d'ottimismo quando inizio un lavoro nuovo. E direi a maggior ragione in questo caso. In ogni modo, se lei è d'accordo, le propongo di iniziare subito. Anche perché i tempi sono davvero stretti". Giulio annuì con un cenno della testa. Guardandola, cominciava a trovarla interessante. E comunque dava l'impressione di sapere il fatto suo. "La prima cosa da fare è analizzare l'unico indizio in nostro possesso. Già da qualche giorno sto esaminando la cartolina e mi sono portata un po' avanti. Se la guarda bene, vedrà che è stata spedita da New York il 23 dicembre 1922. Se lei considera il periodo che una nave dell'epoca impiegava per la traversata GenovaNew York e la quarantena, chiamiamola così, a cui gli emigranti dovevano sottoporsi a Ellis Island prima di avere libero accesso nel territorio americano, direi che il nostro uomo si è imbarcato nel porto di Genova nei primi giorni di novembre. Questo delimita già la nostra ricerca, in quanto dobbiamo trovare una nave che è 20 partita da qui diciamo entro la prima decade di novembre. Ho fatto anche fare la perizia calligrafica delle poche righe scritte sulla cartolina ed è venuto fuori che il signor Nino, per adesso possiamo chiamarlo solo così, è un uomo di istruzione decisamente superiore, dal carattere piuttosto forte e dall'inclinazione direi artistica, se con questo termine possiamo definire un soggetto con una buona dose di creatività e impulsività". "Lei ha ricavato tutte queste cose da una semplice cartolina?". "E c'è dell'altro, se solo ci pensa. Dal momento che sappiamo che si chiamava Antonio o Antonino, da cui Nino, e che doveva per forza avere una professione borghese, il campo si restringe ancora di più. Una volta che noi abbiamo individuato la nave, dobbiamo cercare la lista d'imbarco o dell'emigrazione dove, a fianco al nome, appare spesso anche il mestiere. Il nostro non poteva farsi passare per un manovale analfabeta e si può giurare che, a prescindere dalla nave, non viaggiasse certo in terza classe. E allora, se abbiamo un po' di fortuna, la nostra ricerca potrebbe restringersi ad un limitato numero di persone che avessero la ventura di avere lo stesso nome di battesimo. Anche sul cognome, comunque, si può lavorare. Un cognome siciliano degli anni Venti difficilmente può confondersi con uno proveniente dalla Toscana, tanto per fare un esempio. Insomma, qualche possibilità l'abbiamo". "Lei mi sta rincuorando, non avevo preso in considerazione tutti questi indizi. E dove ritiene che possiamo trovare la lista delle navi partite da Genova in quel periodo? Ho visto che tra i miei appunti c'è l'indirizzo dell'Autorità Portuale: è a loro che dobbiamo rivolgerci?". "Esatto, proprio agli uffici dell'Autorità Portuale a Palazzo San Giorgio, poco distante da qui. Se lei è d'accordo, potremmo andare già domani mattina". "Capisco la fretta, ma io come faccio? Devo tornare a Milano, sbrigare le mie commissioni. Ho bisogno di almeno un paio di giorni...". "Non vorrei sembrarle scortese, ma a quanto mi è stato detto non credo che lei avrà la possibilità di tornare a Milano prima di qualche tempo. Né io del resto posso dedicarle molto del mio...". "Ha perfettamente ragione, mi scusi. Il fatto è, se le devo dire la verità, che sono proprio furioso per il modo in cui sono stato messo al corrente di questo incarico. Non è così che ci si comporta. D'altra parte, però, mi rendo conto che non è certamente con lei che posso prendermela. Per cui mi dia qualche ora e una notte di sonno per sbollire la rabbia. Domattina sarò qui da lei". "Perfetto, l'aspetto qui alle 10". E gli porse la mano. 21 Mentre si dirigeva di nuovo verso il centro, Giulio si sforzava di contenere il suo malumore urlando, mentalmente, insulti innominabili verso la ditta Filangeri & Nansen. La dedizione al lavoro è una cosa, lo schiavismo è un'altra, continuava a ripetersi. E per quanto lo avessero abituato alle situazioni impreviste, quella gli sembrava davvero troppo. Poi, man mano che saliva verso la zona di Piccapietra, il suo razionalismo ebbe la meglio. "Hai voluto lavorare per un grande studio legale? Adesso non ti lamentare", gli sussurrava una vocina interna. E a ogni passo si rendeva conto che non aveva vie di fuga. Il peggio sarebbe stato spiegare tutto a Roberta. Tra l'altro proprio l'indomani doveva andare a prendere i biglietti aerei per l'Egitto. Niente da fare: addio Piramidi e crociera sul Nilo, almeno per adesso. Quella sera stessa avrebbe telefonato a Roberta, sperando che lei capisse. Certo sarebbe stato duro, visto che non poteva certamente fornire dettagli su quello che stava facendo. "Che Dio me la mandi buona", si scoprì a pensare. E in effetti Roberta non la prese affatto bene. Già pronta a partire, sia per aver ormai preparato i bagagli, sia, soprattutto, per essersi disposta mentalmente alla partenza, non riusciva proprio a capire il perché di quell'improvvisa rinuncia. Il lavoro è lavoro, e questo lo accettava, ma le sembrava francamente incomprensibile che la decisione di posticipare le ferie venisse comunicata, o meglio imposta, con sole 48 ore di anticipo. Per cui quando mise giù il telefono le ci volle un bel po' per digerire la notizia. Tra l'altro Giulio le aveva detto che non sapeva neanche quando avrebbe fatto ritorno, quindi le si prospettava davanti un periodo a dir poco incerto e noioso. Sempre che comunque le fosse possibile posticipare le sue ferie, tanto faticosamente fatte coincidere con quelle di Giulio. E fu con questi pensieri che quella sera andò infine a dormire. ———————————————————— Il Palazzo delle Compere di San Giorgio, che venne costruito tra il 1260 e il 1262 da Guglielmo Boccanegra, Capitano del Popolo, su progetto di frate Oliviero, monaco cistercense dell'abbazia Sant'Andrea di Sestri Ponente, in un primo tempo fu Palacium comunis Januae de Ripa, cioè la sede del Comune, ed è uno dei più classici esempi di architettura medievale della storia di Genova. L'edificio si trova in posizione strategica tra il mare, i portici della Ripa e piazza Banchi, nella zona di Caricamento, e divenne il fulcro dell'attività marittima e commerciale della Repubblica di Genova tra il XV e il XVII secolo. Il prospetto principale del palazzo, rifatto nel 1989, è affrescato con un gigantesco dipinto di San Giorgio, protettore della città, nell'atto di uccidere il drago. Ed è proprio questa facciata che appariva ai 22 naviganti al tempo di Cristoforo Colombo quando entravano nel Porto Antico, attraccando nella vecchia Darsena. Il palazzo, spiegò la professoressa Manieri a Raimondi, è famoso soprattutto perché intorno al 1300 vi venne imprigionato Marco Polo, catturato dai genovesi nella battaglia di Curzola. E fu proprio a Palazzo San Giorgio che il navigatore veneziano dettò al compagno di prigionia Rustichello da Pisa il suo Livre des merveilles du monde, più noto come “Il Milione”. La persona che doveva aiutarli nella loro ricerca era Daniela Fontana, una dirigente dell'Autorità Portuale che da alcuni anni si occupava di rimettere ordine nell'archivio dell'emigrazione. Di statura media, intorno ai cinquant'anni, bionda, con un filo di trucco su un viso sveglio e simpatico, quando li vide andò loro incontro e dimostrò subito un certo entusiasmo per quella insolita ricerca. "Quando sono stata informata della vostra indagine, mi sono chiesta subito in che modo potevo aiutarvi - spiegò facendoli accomodare ad un lungo tavolo nella grande sala delle colonne -. Fino a poco tempo fa, una ricerca di questo tipo sarebbe stata davvero assai difficoltosa. Oggi, invece, disponiamo di mezzi molto più potenti, se così si può dire, grazie alla costituzione del nostro Istituto Mondiale di Studi sull’Emigrazione Italiana. Ritengo dunque che la cosa migliore sia consultare il nostro computer che aggiorniamo in continuazione, a mano a mano che veniamo a conoscenza di nuovi dati. Ma, per fare questo, devo pregarvi di venire con me nella nostra sede al palazzo della Commenda. Da lì potremo fare la ricerca che vi interessa e, con un po' di fortuna, ottenere qualche risultato. Se siete d'accordo, direi di andarci subito in modo da non perdere tempo; una delle nostre macchine ci porterà direttamente sul posto: è a poche centinaia di metri da qui". La Commenda di Prè dal 1180 fu stazione e ospizio per i pellegrini in partenza per la Terrasanta, o in arrivo da essa, ed era stata data in gestione ai cavalieri del Santo Sepolcro, futuri cavalieri di Malta. La facciata della struttura risale al Cinquecento ed è aggiunta al corpo medievale del retro. I piani superiori vennero ristrutturati tra il 1200 e il 1400, mentre il pian terreno è rimasto originale. Ed è qui che alloggiavano e riposavano i pellegrini. Raimondi rimase impressionato appena entrò nello storico palazzo. Guardandosi in giro "respirava" l'aria di quelle antiche mura e per un attimo si fermò cercando di immaginare le ombre dei pellegrini accalcati contro quei muri di mattoni rossi, alla luce delle fiaccole notturne. Poi si riprese e seguì le due donne al piano superiore, lungo la moderna scala che era stata applicata internamente. Li accolse una ragazza bruna che la Fontana presentò come sua collaboratrice. "Marta - disse sorridendo - conosce tutti i nostri segreti". 23 E fu proprio Marta, cercando al computer, che trovò una prima e importante traccia. "Ecco qua, ci siamo - disse trionfante Daniela Fontana indicando lo schermo ai due ospiti - Come potete vedere da questa cartella d'imbarco, l'unica nave di emigranti partita dal porto di Genova ai primi di novembre del 1922, ed esattamente il 4 novembre, è la “Konigin Luise”, un vapore tedesco da 10.566 tonnellate attivo sulla linea Napoli-Genova-New York, in grado di trasportare 225 passeggeri in prima classe, 235 in seconda e 1940 in terza classe, alla velocità di 14,5 nodi. Un vero transatlantico dell'epoca, direi. Purtroppo non c'è l'intera lista dei passeggeri, anche perché una buona parte erano stati imbarcati a Napoli. Forse, con un po' di fortuna, potremmo trovare qualcosa nell'archivio di Ellis Island. Stiamo trattando per avere un una convenzione con loro. Mi sembra però che la persona che stiamo cercando sia stata imbarcata a Genova e doveva chiamarsi Antonio o Antonino. E comunque non era analfabeta, come la maggioranza degli emigranti del tempo. Ebbene quel giorno nel porto di Genova sulla Konigin Luise furono imbarcate 513 persone, delle quali 9 in prima classe, 14 in seconda e 490 in terza. Coloro che si chiamavano Antonio o Antonino, come potete vedere da questa lista separata, erano in tutto 18. Del resto si tratta di un nome molto comune anche adesso. Ebbene, come la nostra Marta ci sta facendo vedere, di tutti questi soltanto uno si è imbarcato in prima classe e nella lista di imbarco risulta con una professione davvero insolita per una nave di emigranti: l'avvocato Antonino Ponteleone. Che ne dite?" La professoressa Manieri e Raimondi sorrisero compiaciuti. "Siete davvero meravigliosi - si lasciò scappare Giulio - Mai più avrei immaginato che si potesse arrivare così in fretta a identificare il nostro uomo...". "Siamo stati soltanto fortunati", rispose la Fontana passandosi una mano tra i capelli per non far vedere il piacere che le procurava quel complimento. "No, siete stati davvero bravi - insistette la Manieri - Certo ora dobbiamo verificare se si tratta della stessa persona. Mi dica, esiste un qualche documento con la firma di coloro che si imbarcavano?" "Direi di sì: se riusciamo a trovare la lista dell'emigrazione, dovrebbero esserci le firme di tutti coloro che si sono imbarcati a Genova. La maggior parte firmavano con una croce, ma diversi altri sapevano leggere e scrivere. In questo caso dovremmo trovare anche la firma di questo avvocato". "Sarebbe davvero ottimo, perché in quel caso potremmo confrontare quella firma con un breve scritto di cui disponiamo. Se collimano, è fatta". 24 "Datemi un attimo di tempo e ve lo saprò dire. Se la lista dell'emigrazione è disponibile, intendo. Adesso sappiamo in quale settore cercare e, di solito, dove si trova un documento si trovano anche gli altri". La Fontana e la ragazza cominciarono a perfezionare la loro ricerca. E per qualche minuto saltarono da una schermata all'altra, inseguendo la traccia di quel nome. "Adesso vediamo - riprese la dottoressa Fontana, girandosi verso Raimondi e la professoressa Manieri -. Dunque, se i miei colleghi che hanno archiviato quei documenti erano tanto ordinati quanto io credo, tutto l'incartamento di quel viaggio dovrebbe essere presente. Ecco, questa è la cartella della Konigin Luise . Vediamo cosa c'è... Ecco qua: è il nostro giorno fortunato". E con delicatezza, quasi avesse tra le mani un prezioso vaso di porcellana, depose sul tavolo il foglio che era appena uscito dalla stampante laser accanto al computer. Lo spazio era diviso in sei settori e in ognuno l'antico scrivano, in bella scrittura, aveva inserito un'informazione sull'emigrante. I nomi erano scritti in corsivo, inclinati da sinistra a destra, e quello dell'avvocato Antonino Ponteleone era il penultimo del primo foglio. La prima a vederlo fu la professoressa Manieri. "Eccolo, è lui", disse. E gli altri guardarono, quasi con un senso di deferenza, la firma svolazzante e aristocratica di quel nobiluomo siciliano che tanto interesse stava suscitando. "Potremmo avere un ingrandimento di questa firma?", chiese la Manieri alla dirigente dell'Autorità Portuale. "Certamente", rispose lei. E sempre con circospezione raccolse il foglio e si diresse verso la fotocopiatrice che si trovava in un angolo della sala. Un attimo dopo la docente aveva tra le mani una copia ingrandita del 180 per cento della firma. Quando la lasciarono, la dottoressa Fontana augurò loro che fosse davvero quello il personaggio cercato. Raimondi le assicurò che glielo avrebbe fatto sapere e ringraziò lei e la ragazza per l'aiuto che gli avevano dato. ———————————————————— "Ascolti, adesso io farò vedere questa firma allo stesso esperto che ha fatto la perizia calligrafica sulla cartolina - disse la Manieri a Raimondi sul taxi che li riportava in centro - . E' una persona amica e non mi farà perdere tempo. Se tutto va come spero, entro domani sapremo se la persona che cerchiamo è davvero questo Ponteleone". 25 "Io non avrei dubbi, ma aspettiamo pure questo parere - rispose Raimondi -. Intanto la ringrazio veramente di tutto. Senza di lei non avrei saputo come fare". "Assolutamente di nulla, avvocato. Dovevo questo favore al commendator Parodi e lo faccio davvero volentieri. Appena so la risposta, la chiamo". Quella sera, quando tornò in albergo dopo avere speso il pomeriggio in giro per shopping in vista dei prossimi viaggi, Giulio si scoprì a fare diverse considerazioni. Prima di tutto cercava disperatamente di mettere un po' di ordine mentale nella sua testa per organizzarsi al meglio. Gli dispiaceva il modo in cui Roberta aveva preso la notizia, ma d'altra parte che cosa poteva farci? Le ferie sono state rinviate? E va bene, non ne poteva fare a meno. Lo avevano messo in una situazione a dir poco difficile? E va bene, ci sta pure quello. Ma adesso doveva darsi da fare perché di tempo non ne aveva poi molto. Parodi glielo aveva ricordato e sapeva quanto avesse ragione. Doveva trovare dei risultati prima che la malattia si portasse via l'amico del suo capo. Senza contare che quella dimostrazione di fiducia nei suoi confronti adesso doveva guadagnarsela. Per cui, al diavolo tutto: "Si torna al lavoro rifletteva - ed è meglio non perdere neanche un solo minuto". Facendo mente locale, prendeva atto che il primo grande passo, e cioè dare un nome al misterioso Nino, era stato fatto. Adesso doveva dare una casa, un luogo di provenienza, all'avvocato Antonino Ponteleone. Naturalmente aspettava che la Manieri gli comunicasse l'esito della perizia calligrafica, ma anche a occhio si vedeva che le due scritture erano identiche. Per cui, in attesa della conferma definitiva, meditava sul da farsi. Sdraiato sul letto dell'albergo a pancia all'aria, ancora vestito e illuminato da una delle due abat-jour laterali, Giulio cercava di porsi le domande giuste per saperne di più sull'avvocato Ponteleone. Tanto per cominciare viaggiava col suo nome. Quindi, presumibilmente, non era inseguito da nessuno. O forse, sempre ammesso che qualcuno si fosse messo sulle sue tracce, voleva far vedere chiaramente che espatriava. Ma perché? Perché lasciava l'Italia in quel modo, abbandonando in patria il suo stesso figlio, ancora bambino? Figlio, tra l'altro, che non avrebbe mai più rivisto... "Di certo, se uno si comporta così, qualcosa deve essere successo", pensava Giulio. Ma che cosa? Com'è che improvvisamente un avvocato trentenne, che a quei tempi era come un'autorità, decide da un giorno all'altro di mollare tutto, lavoro, famiglia e amici, portandosi dietro un figlio piccolo, per poi infine fuggire negli Stati Uniti da solo. No, non poteva essere: le tessere non collimavano. La si poteva mettere come si voleva, ma l'avvocato Ponteleone doveva comunque scappare da qualcuno o da qualcosa. 26