Infortuni su Macchine marcate CE: quale responsabilità per il Datore di Lavoro? Nonostante il lungo elenco di attività e documentazione che in forza dei dettami della Direttiva Macchine il Fabbricante deve mettere in atto per ottemperare agli obblighi di legge, quella della Marcatura CE delle macchine acquistate è una condizione necessaria ma non sufficiente per esimere il Datore di Lavoro dall’obbligo di sincerarsi dell’assenza di vizi, anche se nascosti o non evidenti. Abbiamo già dato spazio (News del 27 febbraio scorso sul sito www.lavoroeambniente.it ) alla Sentenza del 29 gennaio 2013 Cassazione penale, sez. IV, n. 4549 che stabilisce che, nonostante “l'imputato in piena buona fede” avesse “fatto utilizzare ai suoi dipendenti la macchina” su cui avveniva l’infortunio “in quanto provvista della "Dichiarazione CE di conformità", ugualmente “il Datore di Lavoro” era da ritenersi “obbligato ad eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione della macchina” tanto più che, nel caso in esame “la pericolosità del macchinario non derivava da un vizio occulto”. Ma è comprensibile che l’estensione della responsabilità del Datore di Lavoro per infortunio avvenuto su macchina pur marcata CE ma in presenza di evidente vizio non occulto possa essere ricompresa negli obblighi derivanti dal Titolo III del D.Lgs. 81/2008. Maggiore complessità e difficoltà derivano da quanto stabilito dalla recente Sentenza dell’11 marzo 2013, Cassazione penale, sez. IV, n . 11445, che di fatto ascrive al Datore di Lavoro anche l’obbligo di sincerarsi – e tutelare i propri lavoratori – dall’esistenza anche di vizi occulti: “La presenza di un vizio occulto del macchinario non può essere dedotta dal fatto che non si sono verificati prima incidenti analoghi a quello in esame, né poteva valere ad escludere la responsabilità dell’imputato, il fatto che la macchina riportasse il marchio CE e che il costruttore non avesse indicato nel libretto di istruzioni l'esistenza di rischi residui.” La Corte territoriale rilevava infatti che il Datore di Lavoro ha l'obbligo di garantire la salute dei lavoratori verificando che la macchina sia dotata di idonei dispositivi di sicurezza, in rapporto alle modalità del suo concreto utilizzo e quindi in tutti i momenti della sua utilizzazione. Di conseguenza l’imputato avrebbe dovuto e potuto rilevare la non idoneità ai fini prevenzionistici dell'attrezzatura, perché la pericolosità della macchina era evidente essendo la guida ed i vari pezzi in movimento visibilmente sprovvisti di protezioni antinfortunistiche e, in definitiva, non potendosi escludere la responsabilità del Datore di Lavoro anche se il costruttore del macchinario aveva assicurato la idoneità del medesimo, in quanto grava sul Datore di Lavoro l'obbligo di verificare la non pericolosità dei macchinario nella concreta situazione di utilizzo. Ricordiamo, a lato, quanto più volte ribadito in sede di note a Sentenza sui temi della Sicurezza e delle responsabilità in caso di infortunio sul lavoro: a fronte di manchevolezza nel sistema prevenzionale, qualsiasi comportamento negligente del lavoratore non può assumere alcuna valenza esimente per il Datore di Lavoro. Insomma, chi si trova in una situazione illecita non può invocare scusanti e sostenere che l’incidente dipende dal comportamento altrui (Sentenza del 4 maggio 2012, Cassazione Penale, sez. IV - n. 16890). Sul piano giuridico, questo principio è espressione della più generale regola dell’articolo 41 c.p. che detta le norme sul concorso di cause che hanno cagionato l’evento. Il severo monito della Suprema Corte: “il Datore di Lavoro deve porsi in una situazione di cautela che tenga conto delle negligenze e delle prevedibili imprudenze dei suoi dipendenti”. Perciò non basta impartire dei divieti, ma è anche necessario che si adottino misure efficaci e idonee atte ad impedire che dalla violazione di quei divieti possa avvenire l’irreparabile. La giurisprudenza è ormai costante nel ritenere che “il Datore di Lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute” (Sentenza Cassazione Penale, sez. IV– ud 8 novembre 2012, n. 9173). Essendo il lavoratore il principale tutelato dalle norme antinfortunistiche, grava, infatti, in ogni caso sul Datore di Lavoro l’obbligo di predisporre misure preventive anche e soprattutto, finalizzate a contrastare i comportamenti negligenti dei suoi dipendenti. E’ posizione comune dei giudici, infatti, affermare che la colpa del lavoratore, siccome costituita da imprudenza, imperizia, negligenza, è quasi sempre conseguenza delle carenti forme organizzative o di sorveglianza. La violazione dei propri obblighi da parte del lavoratore può essere giudicata al massimo come un “concorso di colpa”, valutabile tutt’al più ai fini civilistici (Sentenza 06 dicembre 2011, Cassazione Penale, sez. IV, , n. 4397, G.G.). I casi di comportamenti inconsulti dei dipendenti sono i più controversi per stabilire se sussiste anche responsabilità dell’Azienda ex D.Lgs. 231/01. Per quanto attiene alla responsabilità dell’Ente derivante dall’infortunio sul lavoro ex D.Lsg. 231/01 il fatto che la responsabilità per il reato sia attribuibile solo al Datore di Lavoro piuttosto che ad un dipendente, è sostanzialmente irrilevante per l’impresa. L’ente infatti risponde per i reati presupposto commessi non solo dai suoi soggetti apicali (Datore di Lavoro, delegato ecc..), ma anche per quelli del suo dipendente. Si potrebbe sostenere che l’ente è responsabile perché l’intervento (spesso di tipo manutentivo) non consentito è stato effettuato “nell’interesse” dell’impresa, per non sospendere l’attività produttiva. Ci si trova, in questi casi, dinnanzi ad una situazione di confine, nella quale l’Impresa rischia l’imputazione per l’illecito amministrativo. Si può ipotizzare, infatti, che l’Azienda abbia sacrificato le esigenze di tutela dell’incolumità dei propri dipendenti esigendo che i dipendenti intervenissero in operazioni non lecite per perseguire un vantaggio aziendale.