STAGIONE 2011/2012
frasi melismatiche. Al tempo stesso però le stesse frasi melismatiche dipingono
la radiosa leggerezza dell’innamorata che, smarrito il principio di realtà, si crede
in compagnia dell’amato: la condensazione di amore e follia nella medesima
“figura” sonora (il vocalizzo) è tanto impressionante nella resa drammatica
quanto pertinente per la capacità di penetrazione psicologica che possiede.
La successiva cabaletta «Spargi di qualche pianto» conduce la dissociazione
all’estremo: il carattere del brano, di per sé brillante, interagendo con il testo
e con la situazione drammatica, per tragica ironia capovolge il proprio senso in
raccapricciante allucinazione.
Assai significativo, rispetto alla chiave di lettura psicologica di Lucia, è che la
rispettiva parte vocale fin dalle prime apparizioni in scena evidenzi a tratti una
certa mobilità, instabilità, esposizione emotiva per l’inclinazione al gorgheggio
che la caratterizza (cosa che, poi, è anche un intelligente modo di “prender
due piccioni con una fava”, giacché consente d’assecondare le pretese della
primadonna). Di grande efficacia è anche il modo in cui Donizetti indaga l’animo
di Lucia nei momenti wagnerianamente definibili di “sonoro silenzio” (quando,
tacendo le voci, è l’orchestra a “parlare”) che vanno via via ponendo le premesse
del suo perdersi nella notte della follia. Ne svelano l’afflizione i soli d’oboe e
clarinetto nel tempo d’attacco «Appressati Lucia» del duetto con Enrico, mentre,
entro il tempo d’attacco del Finale primo, è la sua angoscia a trovar voce nei
suoni strumentali mentre ella si avvicina al metaforico patibolo («Io vado al
sacrifizio») dove l’attende un contratto nuziale che, una volta sottoscritto, ella
lucidamente definirà «La mia condanna».
Cogliendo quale destro offrisse un personaggio di simile spessore, Donizetti
aveva ben compreso quanto a dismisura la musica potesse moltiplicare il già
potentissimo coinvolgimento emotivo posseduto dalla vicenda. Che, nella
“patria delle belle lettere”, un capolavoro di tale forza abbia potuto dare un
contributo decisivo a far piazza pulita di arcaizzanti remore culturali ed aprire
la strada alla diffusione del sentimento romantico, appare come la più logica
delle conseguenze.
6 dicembre 2011 · ore 20.45 CROSSOVER
Igudesman & Joo
A LITTLE NIGHTMARE MUSIC
Aleksey Igudesman violino
Hyung-ki Joo pianoforte
6 dicembre 2011 · dalle ore 9.00 alle ore 12.00
ORADIMUSICA2
dedicata al concerto del 7 dicembre
relatori Maria Luisa Merlo
e Vittorio Gusmaroli
pianoforte Ferdinando Mussutto
ideazione e progettazione di Carlo Delfrati
7 dicembre 2011 · ore 20.45 MUSICA
Ensemble orchestral de Paris
Lawrence Foster direttore
Jean-Yves Thibaudet pianoforte
Fauré “Pelléas et Mélisande” Suite op. 80
Saint-Saëns Concerto n. 2 op. 22
per pianoforte e orchestra
Bizet Sinfonia in do maggiore
14 - 17 dicembre 2011 · ore 20.45 PROSA
sabato 17 dicembre · ore 16.00
HAPPY DAYS
opera originale di Garry Marshall
musica e libretto di Paul Williams
arrangiamenti e supervisione alle musiche
di John McDaniel
regia di Saverio Marconi
produzione: Compagnia della Rancia
18 dicembre 2011 · ore 21.00 TEATRO& I COMICI
Ale & Franz
ARIA PRECARIA
di Alessandro Besentini e Francesco Villa
scritto con Martino Clericetti,
Antonio De Santis, Rocco Tanica,
Fabrizio Testini
regia e scene di Leo Muscato
produzione: Sifulum
spettacolo proposto in collaborazione tra le stagioni
Teatro Nuovo Giovanni da Udine e Teatro Contatto
20 dicembre 2011 · ore 20.45 DANZA
Balletto di San Pietroburgo
LA BELLA ADDORMENTATA
musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
coreografia di Marius Petipa
direttore artistico Yuri Petuhov
31 dicembre 2011 · ore 18.00 MUSICA
OHNE SORGEN: SENZA PENSIERI!
Strauss Festival Orchester Wien
Willy Büchler direttore e violino solista
Cornelia Horak soprano
11 - 14 gennaio 2012 · ore 20.45 PROSA
SIGNORINA GIULIA
di August Strindberg
uno spettacolo di Valter Malosti
con Valeria Solarino, Valter Malosti,
Federica Fracassi
produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino
in collaborazione con Teatro di Dioniso
Testi di Gianni Ruffin
Fondazione
Teatro Nuovo Giovanni da Udine
Via Trento, 4 - 33100 Udine
Tel. 0432248411
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di mezzo, cabaletta - destinato a perdurare ancora assai a lungo quale schemabase dell’opera italiana. L’ubiquo sfruttamento di questa forma consentì agli
ascoltatori del tempo, avvezzi alle strutture rossiniane, di contare su solidi punti
di riferimento entro una partitura che, nella vocalità, sperimentava una scrittura
assai semplificata rispetto al canto di coloratura caratteristico del maestro
pesarese: in pieno accordo con la moderna idea di musica quale solo possibile
mezzo per la manifestazione del profondo, in Lucia di Lammermoor il carattere
semplice ed intensamente espressivo del lirismo ben s’associava alla dimensione
intima di un dramma che pone in primo piano lo sconvolgimento interiore dei
protagonisti, potendo perdipiù connotarsi, a quei tempi, d’un “realismo” ignoto
alla vetusta tradizione belcantista.
Riguardo agli stili ed alle tecniche musicali del passato è bene sottolineare che
Donizetti non era affatto uno sprovveduto come, allora, a volte si sosteneva
(celebre la storpiatura in «Dozinetti» del cognome, coniata da Mercadante al
fine di condensarne la presunta sciatteria): quanto egli sapesse destreggiarsi con
tecniche complesse e stili “nobili” è testimoniato dal magistero contrappuntistico
del celeberrimo Sestetto «Chi mi frena in tal momento» (in termini strettamente
musicali forse il brano più bello dell’opera) e dal fatto che in Lucia di Lammermoor
il belcanto di matrice settecentesca e rossiniana venne non obliato, ma sfruttato
in una nuova prospettiva.
Il riferimento va innanzitutto al Larghetto «Ardon gli incensi», il cui contenuto
d’allucinazione era originariamente accentuato dal ricorso ad uno strumento
dal suono “fantasmatico” quale la glasharmonica, oggigiorno perlopiù sostituita
dal flauto. Qui al canto virtuosistico di coloratura è assegnato un simbolismo
fondamentale: effigiare, come dice il libretto, la «spaventevole demenza» della
protagonista, la disumanizzata follia cui l’insopportabile dolore patito l’ha ridotta:
un dolore tale da produrre nella sua psiche la scissione irricomponibile che la
rende al tempo stesso vittima ed omicida.
Il tema della follia è presente in diverse altre opere di Donizetti; pur senza
voler fare del semplicistico biografismo, ciò colpisce, in un artista che, di lì
a meno di tre lustri, proprio in stato di demenza sarebbe morto. Ma, aldilà
dell’inquietante inclinazione personale, suscita ammirazione la straordinaria
efficacia della drammaturgia musicale: nella sua natura frammista, la scrittura
di «Ardon gli incensi» e quella del precedente recitativo dipingono con rara
densità significante l’interiorità scissa di Lucia, nella cui psiche in preda al delirio
la follia prende alimento proprio dall’insostenibilità dei ricordi felici, ma al tempo
stesso produce un rifiuto della realtà sottoforma di perdita del senso del tempo,
in quanto quegli stessi ricordi sono vissuti come se fossero attuali. La felicità
amorosa del tempo perduto è espressa da melodie “integre”, nette, identificabili
(spicca in particolare il richiamo alla melodia culminante del duetto d’amore
della Parte prima «Verranno a te sull’aure»). Per contro la dissoluzione mentale
è veicolata dal profilo informale dei vocalizzi, dall’“inconcludente” apertura delle
3 dicembre 2011 · ore 20.00
LUCIA DI LAMMERMOOR
LIRICA
Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste
LUCIA DI LAMMERMOOR
Dramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano
dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott
musica di Gaetano Donizetti
Lord Enrico Asthon Giorgio Caoduro
Miss Lucia Silvia Dalla Benetta
Sir Edgardo di Ravenswood Massimiliano Pisapia
Lord Arturo Bucklaw Gianluca Bocchino
Raimondo Bidebent Manrico Signorini
Alisa Annika Kaschenz
Normanno Francesco Piccoli
direttore Julian Kovatchev
regia di Giulio Ciabatti
scene di Pier Paolo Bisleri
costumi di Giuseppe Palella
luci di Nino Napoletano
maestro del coro Paolo Vero
nuovo allestimento della Fondazione Teatro “Giuseppe Verdi” di Trieste
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico
“Giuseppe Verdi” di Trieste
APPUNTAMENTI COLLATERALI
venerdì 2 dicembre 2011 · ore 18.00
Spazio Fantoni del Teatro Nuovo Giovanni da Udine
TUTTI PAZZI PER LUCIA
Enrico Stinchelli, il popolare conduttore della famosissima trasmissione
radiofonica La Barcaccia ci guida in un viaggio belcantistico con rari filmati dedicati
alla Lucia di Lammermoor.
Lucia di Lammermoor non è solo l’opera più amata di un grande
operista; per il significato storico ch’è riuscita ad assumere grazie al suo
amplissimo successo, essa è un simbolo: simbolo che condensa il significato di
un mutamento epocale trascorso dall’arte e dalla cultura italiana.
Com’è stato abbondantemente spiegato, entro il panorama europeo
ottocentesco la letteratura italiana sperimentò una via al romanticismo tutta
propria: trattenuta, timida, “diluita”, tale da costituire un caso a parte rispetto
a tendenze che, altrove, coinvolgevano un ben più profondo processo di
mutamento del gusto. Il romanticismo letterario italiano appare in effetti tanto
poco aperto alle nuove tematiche e sensibilità che andavano affermandosi
in Francia, Germania ed Inghilterra, quanto legato a valori classicisti che
quelle culture reputavano tardi cascami di un retaggio superato, da destinare
alla conservazione bibliografica. Rispetto a tale tendenza “regressiva”, la
produzione librettistica del belpaese fu però in parte eterodossa; centrifuga
(ovvero modernizzatrice) in quanto mossa da finalità specifiche: non condivise
dalla tendenza letteraria dominante e non a caso motivate dalla necessità di
accompagnarsi alla musica, ovvero all’arte che nel resto d’Europa era veicolo
decisivo per l’affermazione della nuova sensibilità, ma alla quale - sulla scia del
razionalismo settecentesco - il mondo letterario italiano continuava perlopiù a
guardare con sospettosa sufficienza.
Attraverso riduzioni librettistiche tratte da autori emblematici delle culture
straniere, il repertorio operistico nostrano andava in effetti favorendo la
penetrazione di temi della letteratura romantica: anche a tacere di titoli concepiti
per la piazza parigina come il precoce Guillaume Tell di Rossini ed il tardo Don
Carlos di Verdi, ricorderemo, fra i più noti, alcuni libretti ispirati da Friedrich
Schiller (Maria Stuarda di Donizetti, Giovanna d’Arco, I masnadieri, Luisa Miller,
La forza del destino di Verdi), Alexandre Dumas (Traviata di Verdi), Victor Hugo
(Lucrezia Borgia di Donizetti, Ernani e Rigoletto di Verdi) e Walter Scott (La
donna del lago di Rossini e, di Donizetti, Elisabetta al castello di Kenilworth e
la nostra Lucia di Lammermoor). Già questa semplice elencazione lascia capire
quanto Gaetano Donizetti fosse coinvolto nel processo d’ampliamento dei
temi (ossia di sprovincializzazione del pubblico peninsulare). Soprattutto preme
evidenziare che, in Italia, nessuna fra le poche opere citate anteriori a Lucia
di Lammermoor aveva ottenuto una risonanza paragonabile. L’enorme favore
arrisole fin dall’esordio (26 settembre 1835, Teatro San Carlo di Napoli), fu
insomma qualcosa di ben più profondo dell’occasionale tripudio di questa o
quella serata; segnalò che, per così dire, di Lucia c’era bisogno: essa rappresentò
lo snodo determinante per la diffusione del nuovo gusto romantico in Italia.
Certo, specie nell’ambito di un genere piuttosto conservatore come quello
operistico, il nuovo non sfonda quasi mai se non si accompagna allo stesso tempo
ad un certo grado d’acquiescenza a radicate abitudini: spesso per gli artefici di
un’opera lirica è stato importante riuscire a contemperare il proprio eventuale
desiderio “sperimentale” con opposte esigenze, volte a mettere a proprio agio il
pubblico, riconoscendogli almeno in parte la rassicurante possibilità di ritrovarsi
in collaudati schemi contenutistici o formali. In questo senso una menzione spetta
a Salvatore Cammarano: librettista di sicuro avvenire ma già allora perfettamente
in grado di destreggiarsi. Rispettoso della tipica consuetudine operistica, egli
retrodatò l’ambientazione scottiana dal tardo Seicento al Cinquecento e
soprattutto ne rese secondarie le localizzazioni spaziali e temporali, lasciandole
a far da semplice fondale della vicenda. Così facendo egli trasformò la tragica
storia narrata da Scott in un dramma incentrato su di una diffusa idea familista
d’italianità (specie all’estero ancor oggi abbastanza condivisa): quella che oppone
due clan irriducibili nel nome di una faziosità ciecamente ostile e preconcetta.
Da un lato ciò richiama alla mente la celebre affermazione di Massimo Mila
secondo cui qualsiasi opera romantica non è altro che un remake di Romeo and
Juliet: tragedia (non a caso ambientata in Italia) che il pessimismo ottocentesco
considerava come una sorta di paradigmatica rappresentazione dell’inagibilità
d’amore nella valle di lacrime (e di lupi) che sarebbe il mondo reale. Significativo
è però anche un termine di paragone più vicino: quello del Pirata di Vincenzo
Bellini, che già nel 1827 aveva scosso un panorama operistico legato a modelli e
tipologie rossiniane. Lucia può definirsi in effetti come una “risposta” a Bellini sul
suo stesso terreno: risposta che ne riproduce relazioni e tipologie, con l’eroe
infelice e “giusto”, Edgardo, opposto ad un crudele e disumano antagonista,
Enrico, in un conflitto che - nell’impotenza d’un tentativo di mediazione
super partes (condotto da Raimondo) - ha per esito il sacrificio d’una vittima
innocente e pura, Lucia.
Quale decisiva centralità assumesse poi la musica ideata da Donizetti per simile
soggetto, diventa chiaro alla notizia che, per il pubblico dell’opera, la trama
di Lucia non era una novità. Dopo Carafa e Mazzucato, Donizetti era il terzo
compositore italiano a cimentarsi con The Bride of Lammermoor di Scott; la
permanenza in repertorio del solo capolavoro donizettiano dimostra che,
per il successo di un’opera lirica, il ruolo decisivo spettava alla musica: cosa
di non difficile comprensione nell’epoca in cui, come spiega Fabrizio Della
Seta, lo spettatore d’opera «tende ad abolire lo schermo [che lo separa dal
palcoscenico]: vuol essere commosso come se fosse il personaggio, vuol
essere amante come Norma e infelice come Edgardo [l’amato-innamorato
di Lucia], così come i lettori di Goethe o di Byron si sentivano tutti un po’
Werther o Manfred».
Aldilà dell’indubbia felicità inventiva - dono tanto facilmente constatabile quanto,
in fondo, insondabile -, il segreto di Donizetti risiede nel fatto che anch’egli
seppe instaurare una feconda dialettica tra il vecchio ed il nuovo: in questo senso
spicca soprattutto l’incontro fra la collaudata forma applicata a Lucia e l’innovativa
sostanza musicale che la “riempie” di concrete idee sonore. La forma è quella del
modello quadripartito rossiniano - articolato in tempo d’attacco, cantabile, tempo
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lucia di lammermoor - Teatro Nuovo Giovanni da Udine