“ Che poi, lapsus o no, si può dire che la musica è cibo, cibo per la mente e per l’anima. A pensarci, nei suoni nasciamo (quelli simili all’acqua nel ventre materno), con le canzoni cresciamo (non di statura, ma nelle stagioni della nostra vita), le note ci nutrono di energie per camminare, saltare, ballare, piangere, ridere, innamorarci. La musica ci fa muovere e commuovere proprio come, prendo a caso, una grattata fine di tartufo su tajarin piemontesi tirati al matterello ”. Tecnologie da vivere Racconto 1 Racconto 2 Immagini S 172 amplificatore e diffusore. Poi, ha puntato sul pezzo alla base della degustazione: l’amplificatore. E da qui è partito il racconto, prendendo a modello un’esemplare prodotto da uno dei marchi più alti che esistano. Per tutto il tempo la mia poltrona assai comoda ha fronteggiato lui, un amplificatore McIntosh. Man mano, s’è proceduto con le spiegazioni tecniche, sfogliando le qualità della sezione pre-amplificatrice e del finale la lenta purezza del suono a tutto volume In collaborazione con 1, dirò di più, non uno qualsiasi ma uno fra i sommi, un McIntosh. Il dubbio è diventato fede, e mi risulta ci sia una fetta di mondo di ascoltatori che, al solo pronunciare lo storico marchio americano (dal 1949, con l’ingegnere elettronico Frank McIntosh), gli sorridono orecchie e cuore. Per cominciare a costruire il kit di ascolto slow, Roberto Agnelli ha pazientemente ripreso l’ABC audio-tecnologico, enumerandone i pezzi indispensabili: lettore, Slow Sound: RACCONTO stereofonico si potesse narrare come un’avvincente storia, o che un amplificatore potesse sembrare magico. O che per assemblare un home theatre Doc si dovesse fare riferimento a una sorta di alchimia, fra conoscenze scientifiche, strumenti tecnologici e soprattutto fra la sensibilità e le emozioni di un’altra macchina straordinaria, il corpo umano. Ma fu così, che quel pomeriggio da Auditorium io ho imparato ad amare un amplificatore, sa di Elena Siracu p e r u na l e tt u ra p i ù . . . l i e v e e c’è un food slow allora può, anzi deve esserci anche uno slow sound, un modo lento di mangiare il suono, che comprende ma devia dal fast di sistemi audio sempre più ridotti e un po’ omogeneizzanti. Da Auditorium (a Brescia), accolti dalle sagge parole del suo direttore Roberto Agnelli, insieme musicofilo e ingegnere dell’ascolto, viene spontaneo teorizzare il movimento e lanciare alle orecchie di tutti, simpatizzando con il fratello eno-gastronomico, il motto: Slow Sound. Battezziamo da qui, sede colta e ROBERTO AGNELLI, AUDITORIUM indiri z z ario p ag . 2 0 2 ELENA SIRACUSA M arco mattia arc h i v io M c I N T O S H , U N D I C i S I R I N G R A Z I A P E R L A G E N T I L E C O N C E S S I O N E tecnologicamente potente, un suono da riprodurre e assaporare con intensità (in ogni minimo ingrediente) dall’inizio alla fine del suo moto vibratorio in tavola, pardòn, nell’aria. Sull’onda dello Slow Sound, e se proprio anche di un certo revival per il vinile e le sue adorabili, sensibili imperfezioni, volevamo proporre a voi (che sicuramente amate la musica), un kit per godervi al meglio, in purezza, quel privilegio straordinario che è l’ascolto. La nostra domanda, portata a Roberto Agnelli, era: «Voglio iniziare a sentire la musica, riprodotta come si deve, slow. Quali diavolerie (sì) tecnologiche devo acquistare? E soprattutto: sono in grado poi di utilizzarle? Non avranno mica tasti misteriosi, funzioni incomprensibili o libretti d’uso formato enciclopedia (che a volte capita sono in tutte le lingue meno che in italiano)?». Certo, il quesito era semplificato ma il concetto è chiaro. Prima di entrare da Auditorium, di accomodarmi nella sua ovattata accogliente sala espositiva, dubitavo che un impianto di potenza, componenti dell’amplificazione. Dal punto di vista tecnologico, McIntosh fa storia e scuola, ha nelle sue pance-modelli tutte le caratteristiche di (attuale) perfezione, trasporta con la maggior purezza possibile il suono dal lettore al diffusore, non imponendo la propria personalità tecnica ma tra- ducendo (proprio come per un’opera letteraria) delicatamente le vibrazioni fino a noi. Si è infilzato il cd capolavoro Amused To Death di Roger Waters e lo si è fatto santificare dal McIntosh, a tutto pieno strabordante volume: bene, le onde del basso e di tutto il resto fuoriuscivano così fedeli da dare la sensazione di ascoltare non fastidio di boato ma respiri, possenti respiri di piacere sonoro. Durante il racconto, ammetto di essermi feticisticamente invaghita del design di questa macchina (che gli americani, si dice, sognano anche di notte), di aver subìto l’ipnosi dei suoi magnifici occhioni blu, di quel cristallo nero sul pannello 173 angolato che all’accensione comincia a far danzare la strumentazione analogica ad ago (Vu-Meters) retroilluminandosi in cobalto. Si dice che i veri cultori, spengano tutt’intorno e lascino nel buio la danza blu del suono. La forma sembra strizzare l’occhio alla vintage-mania, invece è la sua maestosa, imperturbabile, storica sintesi estetico-funzionale di sempre. Come gli oggetti di culto, nati così belli da essere appena toccati dalle rughe del tempo, questo parallelepipedo sonoro non solo è una garanzia di investimento (garantito anche dalla saldezza del marchio che 174 li produce) ma è gusto pieno del possesso di un’opera d’arte. L’aspetto fisico, non solo funzionale, caratterizza ogni modello McIntosh, è l’essenza stessa dei suoi amplificatori. Che a questo punto, non diventeranno mai prodotti, o pezzi di moda, ma solo inimitabilmente figlioli (in crescita) di McIntosh. Ecco. Ora sono a casa, seduta sulla mia poltrona preferita. Non potevo non portarmelo via, così adesso di fronte a me c’è anche lui, il McIntosh. Il signor Agnelli infine mi ha spiegato che bisognerà familiarizzare con il maestoso almeno per quindici giorni, provando man mano a calibrare con manopole e livelli il sapore del suono, secondo le mie papille uditive, e credo proprio che sarà una meravigliosa avventura, altro che libretto di istruzioni. Qui c’è da dar respiro al suono, a uno slow sound, io e il McIntosh siamo già in prima linea con “Summertime” di Fitzgerald & Armstrong. Certo, ora mi mancano gli altri gradini tecnologici, lettore e diffusore, degni di cotanto amplificatore. Prossima puntata, tornerò da Auditorium e ne imparerò funzioni e marchi, pronta a nuove esperienze sonore. Vi aggiorno sul prossimo Le case di Elixìr (in edicola il 10 febbraio 2009). FINE 1a PARTE RACCONTO 2, G 176 a id Marco Matti ICA p e r u na l e tt u ra p i ù . . . T E C N li audiofili, quelli veri, puri e duri sono gente strana; l’unico accostamento possibile che mi viene in mente è con la categoria dei sommelier. Non ci credete? Ecco lo stralcio di un commento di una seduta di ascolto di un vero audiofilo: «…la sua trasparenza è assolutamente sconcertante… la sua tavolozza timbrica, elegantemente tendente al chiaro, è capace di ritrarre con plasticità e insieme con implacabile esattezza… le sfumature vengono riportate con estrema dovizia, ma anche con garbo e naturalezza tali da non apparir mai brutalmente esposte o frammentate…». Un’ottima annata, non c’è che dire! Ma stiamo parlando di amplificatori. In un sistema di riproduzione del suono tutti i componenti dovrebbero avere la stessa qualità: se uno dei componenti è di qualità inferiore agli altri si verifica il fenomeno del collo di bottiglia, con un irrimediabile degrado del risultato finale. Ci sono componenti che dovrebbero essere più simili degli altri - almeno nell’immaginario dell’audiofilo medio - e l’amplificatore, insieme alla sorgente e ai diffusori, è uno di questi. Diverse volte mi è capitato di leggere che amplificatori di pari prezzo suonano tutti allo stesso modo; invece, con buona pace di chi sostiene questa eresia, ogni amplificatore ha un suo suono particolare. A volte le differenze sono piccole altre volte enormi e comunque relative a tutte le caratteristiche sonore dell’apparecchio: dalla timbrica alla dinamica alla velocità alla ricostruzione prospettica, l’amplificatore contribuisce in modo fondamentale al buon suono di un impianto hi-fi anche se, ovviamente, mai potrà migliorare il segnale che arriva dalla sorgente: un suono nato male non può che finire peggio. Non intendo in queste poche righe spiegare cosa è e a cosa serve un amplificatore, non è questa la sede per una trattazione che sarebbe inevitabilmente tecnica e prolissa. Volendo semplificare (e molto), si può dire che l’amplificatore ideale riceve un segnale a basso livello dalla sorgente (giradischi, compact disc, tv, tuner o altro), lo amplifica fino a guadagnare il livello di tensione adeguato e lo trasferisce in uscita in potenza (watt), adattandolo all’impedenza del carico (ohm) presentato dai diffusori, senza aggiungere né togliere nulla al segnale ricevuto. Facile, no? Eppure cento anni di progresso tecnologico - una storia di fughe in avanti, bruschi stop, ritorni a tecnologie ritenute oramai superate - non sono ancora stati sufficienti per ideare e costruire l’amplificatore ideale. Prescindendo da speculazioni sui massimi sistemi, per rimanere sul piano pratico, l’alternativa di un audiofilo oggi è tra amplificazione a stato solido e amplificazione a valvole e, all’interno di questa possibile scelta, c’è l’opzione tra le più diverse circuitazioni; e poi la scelta tra un amplificatore integrato, magari con l’ingresso per il giradischi con equalizzazione RIAA, e un due telai, pre-amplificatore e amplificatore finale separati; e ancora, l’opzione tra mono, biamping e multi-amping… Una delle immagini più suggestive del mondo delle valvole l’ho letta in un articolo di “Sound Practises” che, parlando della valvola 845, invita ad immaginarsela “cooking away in the transmitter room of an all night blues AM station in Chicago back in 1952; or in 1942, or in 1972…”. Il fascino delle valvole è qui, ci si aspetta quasi di vedere la musica acquistare fisicità, corpo, vederla passare nel fascio di elettroni tra anodo e catodo. Poi c’è il suono delle valvole che ognuno dovrebbe ascoltare, inserito nella corretta catena di riproduzione e nel giusto ambiente, la loro incredibile musicalità, la capacità di dipanare i passaggi più intricati restituendo la purezza del suono. Ma quando vogliamo smuovere altoparlanti duri come rocce e restituire tutta la dinamica di un pieno orchestrale o la brutale bellezza di un concerto rock? Un lavoro duro che un grande amplificatore a stato solido può compiere restituendo tutta la forza della musica, realizzando la precisa ricostruzione della scena con l’esatta collocazione dei piani sonori. Vi pare troppo? Ma qui non stiamo parlando di un insieme di valvole o transistor, qui parliamo di Musica e di emozioni. Fine 178 Michele ringrazia Marco, per aver “amplificato” la sua grande passione.