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Diocesi di Caltagirone
Scuola Teologica di Base
“Innocenzo Marcinò”
Vademecum
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Indirizzo
Scuola Teologica di Base “I. Marcinò”
Via Vittorio Emanuele, 71
95041 Caltagirone
Telefono
0933.25954
Fax
0933.25954
Indirizzo e-mail
[email protected]
sito internet
www.itimarcino.it
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Indice
Chiamati a «rendere ragione della speranza»
(1Pt 3,15)
S.E. mons. Calogero Peri ofmcap
pag. 5
«Maestro, dove abiti?»
(Gv 1, 38-39)
pag. 7
Un rinnovato impegno formativo
pag. 13
Statuto
pag. 21
Regolamento docenti
pag. 25
Regolamento alunni
pag. 27
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Chiamati a «rendere
ragione della speranza»
(1Pt 3,15)
In ogni tempo e in ogni luogo, noi discepoli del Signore, viviamo
e testimoniamo la bellezza di un incontro sconvolgente.
A partire da questa esperienza siamo chiamati, a “rendere ragione della speranza che è in noi”.
Rendere ragione della speranza, ci impegna tutti ad argomentare, in maniera convincente e, più ancora costringente, che la
nostra speranza ha un fondamento solido, un contenuto entusiasmante e una finalità luminosa.
Siamo contenti di spiegare a tutti perché Cristo nostra speranza
salva, riscatta la nostra vita e ci fa transitare in mezzo alle
ombre di questo mondo con la fiducia di venirne fuori o comunque di giungere alla salvezza.
Perché la nostra Chiesa locale possa farsi carico di questa esigenza, e possa rispondere alle sfide di questo nostro tempo, ritengo che si debba attrezzare e preparare, per non disattendere
questo appello urgente.
Nella programmazione articolata, di come rendere ragione della
nostra speranza in Cristo, un posto rilevante occupa il Corso
Teologico di Base, dislocato in tre centri della nostra Diocesi.
Con la soppressione dell'Istituto di Teologia “P. Innocenzo Marcino”, è divenuto indispensabile continuare, anche su un altro
piano, il prezioso servizio che ha reso per la formazione teologica
nella nostra Chiesa.
Mi rivolgo a tutti i presbiteri e parroci perché incoraggino con
ogni mezzo, a partecipare al corso di Teologia di Base quanti si
preparano a svolgere un sevizio nella comunità cristiana, specialmente quello della catechesi.
Se non puntiamo sulla formazione dei formatori, elevandone il
livello, non possiamo guardare con fiducia ad un futuro più luminoso per la nostra Chiesa locale. Ci perderemmo in mille proposte di intenti, ma senza fare nulla di efficace per incidere sulle
coscienze e sulla possibilità di curare una fede matura, in
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quanto profondamente vissuta e pure pensata.
Con questo augurio diamo inizio al Corso di Teologia di Base
chiedendo alla Vergine Maria di vegliare e di farci crescere in
sapienza e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini.
+ Calogero Vescovo ofmcap
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«Maestro, dove abiti?»
(Gv 1, 38-39)
L’icona biblica della ricerca di Dio
La ricerca di Dio inquieta da sempre il cuore dell’uomo. Inquietum cor nostrum donec requiescat in te! Ma la ricerca di per sé
non è un valore: può condurre difatti a un vicolo cieco senza
sbocco e disperdersi nei mille rivoli di un errare senza senso o,
all’opposto, produrre gli esiti devastanti del fondamentalismo
religioso.
Il vangelo di Giovanni ci presenta un’icona della ricerca di Dio,
articolata in un trittico: 1. la chiamata dei primi due discepoli
(Gv 1, 35-38);
2. la disputa con i farisei al tempio durante la festa delle capanne (Gv 8, 13-30);
3. l’arresto di Gesù al Getsemani (Gv 18, 3-9).
I tre brani sono legati dalla medesima parola chiave: cercare. Si
tratta di un trittico in cui uno squarcio di luce illumina due zone
d’ombra.
Primo quadro
La ricerca che si apre all’incontro con Dio (Gv 1, 35-38)
Il brano della chiamata dei primi due discepoli ci dà la chiave
per aprire la ricerca alla dimensione dell’incontro col Maestro.
Gesù passa. I due discepoli sono invitati dal Battista a seguirlo.
La mediazione del precursore aiuta i due a cogliere l’attimo del
passaggio senza sprecarlo. Giovanni agisce da autentico educatore: non considera i due un suo possesso geloso, si fa da parte
perché possano seguire la loro strada dietro Gesù. A questo
punto la decisione spetta ai due. Di uno sappiamo il nome: è
Andrea. L’evangelista tace il nome dell’altro. Può essere ognuno
di noi. Sentendosi seguito, Gesù si volta, letteralmente: “si converte” verso i due. È questa la buona notizia: Dio si converte
all’uomo in ricerca e gli apre la via per trovare una verità inau7
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dita e insperata. L’uomo che cerca Dio con cuore sincero scopre
di essere cercato. «Che cercate?» I due rispondono con un’altra
domanda: «Maestro, dove abiti?» (lett.: dove stai?). Sempre in
movimento e nomade, Israele non ha mai sperimentato ciò che
significa “stare”, “rimanere”. Non dispone neppure di una parola
che esprima esattamente questa idea. Bisogna attendere gli
equivalenti greci per avere le nostre immagini familiari di casa,
di stabilità, di permanenza. Destinato dalla sua storia ad una
precarietà senza rimedio, Israele ha scoperto che solo Dio con
la sua presenza permette agli uomini di “rimanere”. I due in
fondo chiedono a Gesù se la loro ricerca è condannata ad un
errare senza fine e senza meta, ad un nomadismo perenne o se
c’è un “luogo”, una terra promessa, dove potersi fermare. «Venite e vedrete». Non dice: “venite a vedere”, vi indico un punto
preciso spaziale dove avrà fine il vostro cammino; e neanche:
“venite e vedete”, come se il cammino sia di per sé già una risposta; ma: «venite e vedrete»: il vedere è futuro rispetto al venire; è una promessa, di cui fidarsi, mettendo a rischio la
propria vita. Per scoprire dove abita la speranza dell’uomo occorre certo “mettersi in cammino”, cioè progettare la vita sul
campo, perché la vita la si impara vivendo, ma bisogna essere
nel contempo capaci di “vedere”, cioè di trapassare con lo
sguardo la superficie fenomenica delle cose. Discepoli contemplativi, semplici come le colombe, con nel cuore un grande
sogno, ma anche astuti come i serpenti, col realismo concreto
di chi è itinerante sulle strade polverose del terzo millennio. «Andarono e videro dove stava e quel giorno stettero presso di lui».
L’evangelista non precisa il luogo. Se «il Figlio dell’uomo non ha
dove reclinare il capo» (Mt 8, 20), chi vuole trovare la Casa dove
sta Dio deve rinunciare ad una casa. È il paradosso evangelico
del perdersi per ritrovarsi. Afferma M. Buber: «C’è qualcosa che
tu non puoi trovare in alcuna parte del mondo, eppure esiste
un luogo in cui la puoi trovare». Il Vangelo di Giovanni indica
questo luogo: «E venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).
Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio nella
nostra casa. Se ci lasciamo trapassare dallo sguardo di Dio, prepariamo a Dio una dimora nel nostro luogo più intimo: in interiore homine habitat veritas. La nostra ricerca non avrà mai
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fine, ma acquisterà un fine: l’ulteriorità di Dio verrà ad abitare
la nostra interiorità. È questa la grande scommessa di Dio con
l’uomo.
Secondo quadro
La ricerca fallimentare fine a se stessa (Gv 8, 13-30)
C’è il rischio tuttavia che la ricerca non approdi ad alcunché.
Perché, nella partnership con Dio, all’uomo spetta mettere in
gioco la propria libertà. La ricerca allora può essere fallimentare.
C’è difatti una ricerca che “giudica secondo la carne” che si
ferma al dato fenomenico e non riesce ad andare “oltre”. In questo secondo quadro del trittico non vi sono mediatori, perché la
ricerca che si chiude nel proprio soggettivismo autistico rifiuta
la mediazione educativa. Si pongono delle domande («Dov’è tuo
padre?», «Tu chi sei?»), ma le si lasciano cadere nel vuoto come
domande insensate quando ci si accorge che la risposta non
può essere data dall’evidenza empirica dei sensi. Ma Gesù è categorico: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro
peccato. Dove io vado, voi non potete venire». Se si vola basso,
prigionieri della dimensione orizzontale-immanente, di un sapere autoreferenziale appiattito sulla propria fragilità come
unico dato sperimentabile, se ci si accontenta dell’autenticità e
veracità rinunziando alla verità, non si incontra l’Io sono di Dio.
Si cerca senza sapere cosa cercare e perché. Senza avere il coraggio di andare oltre il dato sensibile. Si enfatizza la ricerca
come valore a sé stante, senza uscire dal cerchio chiuso della
morte, che impedisce di seguire il maestro. Non si trova Dio perché ci si ostina a volerlo vedere hic et nunc. Agli uomini prigionieri di un presente senza storia è precluso il futuro della
scommessa della fede. La promessa di Dio: «Venite e vedrete»,
non sortisce alcun effetto. Tuttavia l’evangelista annota, a conclusione dell’episodio, che molti credettero in lui. Anche nel buio
del pragmatismo e nichilismo moderno c’è spazio per l’incontro.
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Terzo quadro
La ricerca presuntuosa che sa già le risposte (Gv 18, 3-9)
La paura della propria fragilità umana, la fatica del cammino,
possono indurre a cercare scorciatoie facili per sfuggire all’insicurezza morale e al debolismo del pensiero. La scoperta dell’insostenibile leggerezza dell’essere produce per contrasto la via
dell’ideologizzazione della fede. La domanda «che cercate?» risuona simile nel Getsemani: «chi cercate?». Anche in questo
caso Dio va incontro all’uomo e lo interpella, ma non si produce
l’incontro. Là il precursore ha indicato la via; qui il traditore. La
mediazione di Giuda non è quella dell’educatore che si fa da
parte, ma quella di chi vuole consegnare Dio ai meschini desideri di potenza e grandezza dell’uomo. Nel terzo quadro del trittico l’uomo non fa domande: sa già le risposte, ha le sue certezze
incrollabili. Non domandano a Gesù: «dove abiti?», perché sanno
chi cercare: Gesù il Nazareno. Il Nazareno non può che abitare
a Nazaret. La ricerca è finita in partenza. Non sono venuti a seguire il Maestro, sono venuti a catturarlo. Più che cercatori di
Dio sono i suoi cacciatori. Vogliono prenderlo in trappola e portarlo dove vogliono. Li muove una fede ideologizzata, fanatica e
fondamentalista, che ha già le risposte pronte, che cerca per
prendere ma non si lascia cercare. Non ama la reciprocità dell’amore. Presuntuosa ed arrogante si illude di com-prendere
Dio, fabbricandosene uno minore a misura dell’uomo e del suo
egoismo, un dio che salva sé stesso, il suo gruppo, il suo partito,
la sua razza, etc. Un dio padrino-padrone di una cricca di privilegiati. Non l’Emanuele, il Dio con noi biblico, ma il Gott mit
uns, scritto come una bestemmia sulle fibbie dei cinturoni delle
SS naziste. I talebani di ogni credo sono incapaci di incontrare
Dio, perché pensano di ucciderlo e seppellirlo sotto la loro supponente ideologia. Così facendo, uccidono anche l’uomo. Per
questo la rivelazione del nome di Dio: «Sono io!», li ricaccia indietro. Dio non si lascia assimilare ed addomesticare. E soprattutto respinge con forza ogni tentazione di ridurlo ad un
fantoccio ideologico.
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Dalla ricerca all’incontro: l’ora decima
Sia per i “cercatori secondo la carne” sia per i “cacciatori di Dio”
non scatta l’ora decima (e difatti l’evangelista non l’annota).
L’ora decima nella Bibbia è l’ora della pienezza dei tempi, ora
apocalittica dell’escaton e del compimento, quando il kairòs, il
momento verticale della grazia divina, incrocia il kronos orizzontale umano. Senza l’ora decima, il tempo rimane un demone
insensato che divora sé stesso, un assurdo passare dal non essere più al non essere ancora. Non avviene l’incontro con Gesù
quando non ci si lascia trapassare dal suo sguardo. Ma laddove
si ha l’incontro tra la verticalità e l’orizzontalità, la trascendenza
e l’immanenza, Dio e l’uomo, si apre lo spazio al tempo liberato
dalla morte, alla memoria ed alla speranza, all’esperienza ed al
progetto, al ricordo ed alla promessa. L’Io sono di Dio non respinge l’uomo ma lo fa rinascere e lo solleva dalla sua precarietà, donandogli una vita piena di senso. Cristo è la Via che
abita le nostre vie tortuose e ambigue; la Verità che abita le nostre verità parziali e deboli; la Vita che abita le nostre vite fragili
e mortali. “Dove andiamo? - si chiede il poeta tedesco Novalis.
E risponde: Tutti a casa!”. Tutta la più autentica cultura del Novecento, segnata profondamente dal nichilismo, anela al ritorno
del Padre. Non sa più trovarlo, è vero; ma ha ricominciato a cercarlo. A tentoni, a fatica, ma lo cerca. Perché ha capito che
senza un Padre il cielo è un buco nero che divora i valori e sulla
terra c’è posto solo per gli idoli, si chiamino essi Politica, Stato,
Profitto, Mercato, Progresso, Nazione, Razza. E gli idoli, si sa,
esigono cruenti sacrifici umani. I loro templi si trovano ad Auschwitz, Hiroshima, Sarajevo. Delusi dalle ideologie forti o ingannati dalle mezze verità che ci hanno propinato, siamo orfani
del Padre. Ne sentiamo la mancanza. É tempo per riaprire le
pratiche per l’adozione a figli. Stanchi delle carrube rubate ai
porci, avvertiamo l’urgenza, prima che il nulla ci divori, di rialzarci e riprendere la strada del ritorno a casa, spinti dal bisogno
di ricominciare a cercare Dio e di farci cercare da Lui. Per scoprire, con gioia inaudita, che il Padre sta già scendendo da lassù
per venirci incontro.
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Un rinnovato
impegno formativo
Dall’incontro la speranza
Il desiderio umano di Dio è il desiderio di ritorno del Padre. Non
l’uomo alla ricerca di Dio, ma Dio alla ricerca dell’uomo. La prospettiva si capovolge. L’uomo come desiderio di Dio. Si capovolgono anche le certezze della civiltà moderna. Dio non è morto.
È bensì alla ricerca dell’uomo. Non è morto ad Auschwitz. Lì ha
confermato la sua estraneità all’agire dell’uomo contemporaneo.
Il silenzio di Dio diviene la via della fede.
Nell’atmosfera rarefatta della cultura odierna, è faticoso abitare
il mondo. La leggerezza dell’essere, la debolezza del pensiero
compiono oggi quello che de Lubac chiamò il dramma dell’umanesimo ateo. Un pensiero senza la capacità di leggere nella storia la parabola di Dio.
Come le parabole di Gesù, la storia contiene un senso. Ma questo non è visibile a una prima lettura. Bisogna fermarsi, scavare, passare dal significante al significato, eludere la forza del
factum per intenderne il faciendum ad esso implicito.
Senza fede il mondo e la sua storia rimangono carichi di ambiguità e di incertezza. Nessuna speranza umana può sperarsi.
La fede ci dice, invece, che Dio è Signore della storia. Signore
dell’inizio e della fine. Signore del fine della vita.
La signoria di Dio è la speranza del credente.
«Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della
speranza che è in voi» (1Pt 3,15) scriveva l’apostolo Pietro ad una
comunità cristiana che era minoritaria nell’ambiente in cui viveva - un ambiente che oggi, in molti, non farebbero fatica a definire secolarizzato, ostile - ma che richiedeva, ai cristiani, la
capacità profetica della speranza.
Potremmo anche dire: pronti sempre a dimostrare la signoria di
Dio nella storia. Questa è anche l’attualità della lettera di Pietro.
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Per un pensare cristiano
Una comunità che si sente straniera e pellegrina nel suo tempo
è una comunità che rischia di immaginarsi come separata.
L’identità cristiana non è, però, estraneità dal mondo. È, invece,
capacità di abitarlo in modo differente.
Rendere ragione della speranza, in quest’ottica, è il compito del
cristiano nel proprio tempo.
Rendere ragione, cioè, di una misura più alta ed ampia della ragione, una misura che si apre alla trascendenza.
I laici cristiani, in particolare, vivono la loro scelta vocazionale
nel mondo, indicando, nella compagnia degli uomini, il nesso
escatologico fra il bisogno ed il futuro; il legame autentico fra
l’uomo, la sua storia e Dio; la via profetica del perdono per un
riconoscimento simmetrico fra uomini, pensieri e culture.
Alla domanda che cosa possiamo sperare oggi? All’insistenza di
una società che non sa rinnovare il proprio progetto sociale, il
pensare cristiano indica una rivoluzione sociale ancora possibile, nell’amore e nella giustizia; un progresso civile ed economico ancora praticabile, nella solidarietà e nella libertà; una
pace ancora realizzabile, nella verità e nel perdono.
A tal fine è necessario che il cristiano sappia incontrare il
mondo moderno, ascoltando la sua narrazione ed a sua volta
narrando la sua esperienza di vita.
A questo punto, avverte Benedetto XVI, se
«è necessaria un’autocritica dell’età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della
speranza [...] anche i cristiani, nel contesto delle loro
conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare
nuovamente in che cosa consista veramente la loro
speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e
che cosa invece non possano offrire. Bisogna che
nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche
un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve
sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso
a partire dalle proprie radici» (Spe salvi, 22).
In altro modo, è indispensabile vivere la complessità e le poten14
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zialità della relazione io-tu, della relazione, vale a dire, fra
Chiesa e mondo contemporaneo, attingendo alle risorse che
l’uno offre all’altro. Solo nel momento in cui l’altro diviene per
me una possibilità-di-cambiamento, allora c’è autentico incontro, c’è amicizia, c’è relazione, c’è educazione.
«Educare richiede un impegno nel tempo - affermano i Vescovi italiani negli Orientamenti pastorali
Educare alla vita buona del Vangelo -, che non può
ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari; esige un rapporto personale di fedeltà tra
soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione
educativa, prendono posizione e mettono in gioco la
propria libertà; si verifica solo nelle relazioni personali e trova il suo fine adeguato nella loro maturazione» (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo,
26).
Sono diversi ed articolati i percorsi formativi che si pongono alla
nostra attenzione.
Non più domande di senso, ma domande sul senso e sul significato tracciano la mappa concettuale odierna. Ridare significato
alle relazioni, alla realtà, alle cose, alle parole, per scoprirne il
senso, è l’aspettativa più grande per la società, confusa ed illusa
dalle promesse del tutto e subito.
Le stesse domande sul senso e sul significato, interrogano anche
i cristiani: il significato della fede, della speranza, dell’amore,
della libertà.
«L’opera educativa della Chiesa è strettamente legata al momento e al contesto in cui essa si trova a
vivere, alle dinamiche culturali di cui è parte e che
vuole contribuire a orientare. Il “mondo che cambia”
è ben più di uno scenario in cui la comunità cristiana si muove: con le sue urgenze e le sue opportunità, provoca la fede e la responsabilità dei
credenti.
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È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo,
ci chiede di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo» (CEI, Educare alla vita buona del
Vangelo, 7).
Teologia ed educazione.
Interrogarsi sulla ragione della fede
L’istanza teologica e quella educativa si incontrano proprio
nell’uomo e partendo dall’uomo possono insieme sviluppare un
progetto educativo integrale e capace di elaborazione culturale.
Su tale questione si è soffermato mons. Mariano Crociata, Segretario generale della CEI, sostenendo che
«Lo stretto rapporto che unisce la teologia, intesa come
“interrogativo sulla ragione della fede”, secondo
un’espressione di Benedetto XVI, e la vita della comunità cristiana è istituito dalla natura stessa della fede,
inseparabilmente dono di Dio e risposta dell’uomo, con
la quale questi “si abbandona tutto a Dio liberamente”
(Dei Verbum, 5).
[…]
Una fede pensata non è tuttavia operazione separata
di un individuo isolato, poiché la fede è per definizione
e indissolubilmente personale ed ecclesiale.
[…]
La stessa attività pastorale, disancorata dal fondamento spirituale e teologico che la motiva, la giustifica,
la indirizza, si insterilisce prima ancora di avviarsi.
Contro ogni tentazione di perderne l’evidenza, sotto la
pressione di preoccupazioni più immediate che inducono a ripiegare su visioni e prassi strumentali, il compito di una istituzione teologica è tenere viva la fiamma
di un pensiero fondato e vigoroso» (M. Crociata, Saluto
ai partecipanti, Convegno ISSR, Roma 10 marzo 2010).
Nelle parole del Segretario generale della CEI riecheggiano le
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idee-guida del documento CEI su La formazione teologica nella
chiesa particolare del 1985.
Ribadendo che la
«dimensione teologica […] è connaturata all’essere
stesso del credente, in quanto l’atto di fede comporta sempre un’adesione che coinvolge la razionalità»
i Vescovi evidenziano, in quel documento, l’esigenza, in ogni credente, «di una riflessione sulla Parola accolta».
«Ogni comunità ecclesiale, nel suo dialogo con gli
uomini e nel suo progetto pastorale, non può fare a
meno del riferimento ad un “pensare” cristiano, in
cui i dati della fede costituiscono la sorgente di luce
e di orientamento.
[...]
Ogni chiesa locale deve preoccuparsi della propria
crescita teologica [...].
Questo comporta che si provveda in concreto a
tempi e a spazi dedicati specificamente a tale impegni, così come si fa per la preghiera e la contemplazione» (CEI, La formazione teologica nella chiesa
particolare, 3).
Il compito della Scuola Teologica di Base
L’Istituto “I. Marcinò” si pone a servizio della Chiesa diocesana
per la formazione ministeriale e pastorale dei fedeli, in linea con
quanto disposto in materia di riordino della formazione teologica
e con quanto sollecitato dai Vescovi, in tema di formazione teologica nella Chiesa particolare.
Sussiste, quindi, afferma mons. Crociata,
«una specifica e fattiva responsabilità delle Chiese
particolari circa la promozione e il sostegno degli
Istituti, ma ciò che più risalta è il dono insostituibile
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che le comunità ecclesiali ricevono nella direzione
del “pensare la fede” e del dialogo tra fede e cultura
nel territorio, da cui dipende in larga parte l’evangelizzazione.
[…]
Si tratta del positivo compito - aggiunge - di “mostrare come la libertà del credente può e sa contribuire alla fisionomia culturale del proprio tempo”,
all’elaborazione di un pieno umanesimo offerto a
tutti» (M. Crociata, Saluto ai partecipanti, Convegno
ISSR, Roma 10 marzo 2010).
L’istituzione di una Scuola di formazione teologica di base, nella
Diocesi di Caltagirone, si pone, pertanto, come luogo di speranza per un apostolato laico maturo e responsabile che sappia
animare cristianamente l’ordine temporale (cf. Apostolicam actuositatem, 7)
È questo, in ultimo, il fine al quale mirava il Concilio Vaticano
II nel definire
«desiderabile che molti laici acquistino una conveniente formazione nelle scienze sacre e che non
pochi tra loro si diano di proposito a questi studi e
li approfondiscano con mezzi scientifici adeguati»
(Gaudium et spes, 62).
Tale livello formativo, nel disegno conciliare, diviene un pre-requisito al multiforme apostolato laicale tanto nella Chiesa che
nel mondo (cf. Apostolicam actuositatem, 9), e quindi un agire
nel quale apprendere la speranza.
Mentre la Chiesa italiana si prepara al decennio sull’educazione,
e la Chiesa calatina al secondo centenario dell’istituzione della
Diocesi ed alla celebrazione del III Sinodo diocesano, tutto ciò
assume un risalto ed una valenza del tutto particolari.
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Una nuova offerta formativa per la Diocesi
In questa nuova visione, la Scuola Teologica di Base “I.Marcinò”
si propone d’essere un soggetto di formazione per i formatori,
offrendo una opportunità che, se non pretende di esaurire tutta
la ricchezza della riflessione teologica, risulti comunque organicamente e sufficientemente completa.
Destinatari della proposta sono laici, religiosi e religiose che intendono maturare ed approfondire la propria fede in modo serio
e scientifico; ed in particolare tutti coloro che si preparano ad
assumere ministeri ecclesiali o di servizio alla comunità, specie
nell’ambito della catechesi e della scuola (candidati ai Ministeri
istituiti e al Diaconato permanente; Ministri straordinari dell’Eucarestia; catechisti ed animatori di gruppi per ragazzi, giovani, adulti, famiglie; responsabili di gruppi, associazioni e
movimenti; insegnanti ed educatori; formatori alla Dottrina sociale della Chiesa; membri dei gruppi liturgici).
Piano degli Studi
Il Piano degli Studi, triennale, è pensato per far acquisire ai partecipanti una competenza pastorale teorica ed operativa.
Prevede 300 ore di lezione frontale (100 ore per ciascun anno),
integrate da incontri seminariali.
La ratio degli studi è la seguente:
I anno
1. Introduzione alla Scrittura (9 ore)
2. Introduzione alla Teologia (9 ore)
3. Introduzione alla Liturgia (6 ore)
4. Introduzione alla Morale (6 ore)
5. I Documenti del Concilio Vat. II (9 ore)
6. Teologia Fondamentale (16 ore)
7. Anno liturgico (12 ore)
8. Cristologia (21 ore)
9. Morale Fondamentale (12 ore)
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II anno
1. Sacra Scrittura: Antico Testamento (15 ore)
2. Teologia e Liturgia Sacramentaria (21 ore)
3. Morale matrimoniale (15 ore)
4. Escatologia (9 ore)
5. Antropologia teologica (16 ore)
6. Elementi di Storia della Chiesa (12 ore)
7. Elementi di Diritto canonico (12 ore)
III anno
1. Sacra Scrittura: Sinottici e Atti (18 ore)
2. Sacra Scrittura: Giovanni e Paolo (16 ore)
3. Ecclesiologia (18 ore)
4. Teologia trinitaria (21 ore)
5. Morale speciale: Bioetica (15 ore)
6. Morale e Magistero sociale (12 ore)
Per consolidare la Scuola di formazione teologica nella realtà
diocesana e favorire la massima partecipazione possibile sono
individuate tre sedi decentrate:
• Caltagirone
• Grammichele
• Scordia
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Statuto
Art. 1
Natura e finalità della Scuola Teologica di Base
La Scuola Teologica di Base “Innocenzo Marcinò” è un servizio
pastorale della diocesi di Caltagirone ordinato a promuovere la
conoscenza della dottrina della fede presso i fedeli, religiosi e
laici, e alla migliore formazione degli operatori pastorali secondo
le modalità proprie della scienza teologica, in conformità alle direttive della Conferenza Episcopale Italiana.
A tal fine, la Scuola organizza un corso di Studi teologici e una
serie di attività per la formazione permanente.
La Scuola rilascia ai Corsisti, che hanno concluso positivamente
gli studi, un Attestato di Merito, riconosciuto come unico in
tutta la Diocesi, valido per l’accesso ai percorsi dei Ministeri ecclesiali promossi dagli Uffici della Pastorale Diocesana.
La Scuola ha sede presso l’Istituto di Scienze religiose “I. Marcinò”.
Art. 2
Organi della Scuola
Sono organi della Scuola:
- il Consiglio Direttivo
- il Direttore
- il Segretario
- il Collegio dei Docenti
Art. 3
Il Consiglio Direttivo
La Scuola è retta da un Consiglio Direttivo, composto dai Docenti stabili, che elegge al suo interno il Direttore, nominato “ad
triennium” dal Vescovo, ed un Segretario, anch’esso nominato
“ad triennium” dal Vescovo.
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Art. 4
Il Direttore
Il Direttore ha la diretta responsabilità della Scuola e garantisce
le sue finalità.
Compete al Direttore della Scuola:
a. curare il migliore svolgimento dell’intero servizio;
b. mantenere i rapporti con i singoli Docenti ed in particolare
con i Coordinatori dei Centri
c. coordinare il funzionamento dei singoli Centri;
d. programmare le iniziative concernenti la preparazione didattica e l’aggiornamento dei Docenti;
e. promuovere le iniziative attinenti alla formazione permanente;
f. gestire l’amministrazione ordinaria e straordinaria della
Scuola;
g. curare la costituzione di un adeguato archivio;
h. curare i rapporti con gli Uffici pastorali diocesani.
Art. 5
Il Segretario
Il Segretario è il diretto collaboratore del Direttore e lo coadiuva
negli incarichi che dal medesimo gli vengono affidati.
Il Segretario svolge le seguenti attività:
a. prepara l’organigramma annuale dei vari Centri;
b. vigila sulla preparazione dei calendari locali, predisposti dai
Coordinatori;
c. cura l’iscrizione degli alunni e predispone le liste delle verifiche, dei tesari e le équipe delle commissioni esaminatrici;
d. ha la custodia dei registri dei singoli Centri e le schede degli
iscritti;
e. prepara le convocazioni collegiali dei Docenti e verbalizza le
medesime;
f. provvede a supplire le assenze dei Docenti;
g. tiene aggiornato il loro schedario e li assiste a livello tecnicoamministrativo;
h. coordina a livello tecnico, i Seminari di Studio, gli incontri
formativi e gli eventi della Scuola.
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Art. 6
Collegio dei Docenti
Il Collegio dei Docenti, costituito dai Docenti Stabili e dagli Invitati, è chiamato a coadiuvare il Direttore nel compito di gestione ordinaria e straordinaria della Scuola.
Art. 7
Docenti
La nomina dei Docenti è fatta dal Vescovo su proposta del Consiglio Direttivo della Scuola.
I Docenti sono distinti in Stabili, con nomina a tempo indeterminato, e Invitati, con nomina annuale.
I Docenti si impegnano nell’insegnamento con spirito di collaborazione, coscienti del difficile compito della diffusione delle
scienze teologiche per la promozione della fede e della vita della
Chiesa locale.
Accettando l’incarico si impegnano ad assolverlo con competenza e con fedeltà al Magistero della Chiesa.
La loro prestazione è fondamentalmente gratuita
Art. 8
Centri di insegnamento dislocati
La Scuola prevede la costituzione di Centri di insegnamento dislocati, sulla base delle esigenze, delle risorse e in relazione al
territorio.
Spetta al Consiglio Direttivo l’istituzione e la promozione di tali
Centri, la cui conduzione e amministrazione è gestita dalla
stessa Scuola.
L’insegnamento nei vari Centri è affidato a singole équipe di Docenti, ad essi assegnati dal Direttore, le quali devono tendere a
un insegnamento interdisciplinare e di formazione cristiana, in
attuazione del piano formativo della Scuola.
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Art. 9
Responsabile di Centro
La gestione ordinaria di ogni Centro, la interdisciplinarietà dell’insegnamento e la messa in atto di ogni altra attività didattica
locale sono affidate a un Responsabile coordinatore nominato
dal Direttore. È compito del Responsabile coordinatore provvedere al corretto svolgimento delle lezioni, relazionando al Direttore sull’andamento del Centro stesso, evidenziandone efficienze
e carenze, informando di qualsiasi variazione intervenuta.
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Regolamento docenti
1. La Scuola Teologica di Base si articola in tre anni di Corso lineare, così come indicato alle pagine 19 e 20 del presente vademecum.
2. I Docenti si articolano in Stabili e Invitati in base all’art. 9
dello Statuto.
I Docenti devono essere in possesso di un titolo accademico
(Dottorato, Licenza, Baccellierato, Magistero, Laurea) rilasciato
da una Facoltà Teologica, da Istituto Superiore di Scienze Religiose o da Università Statale.
3. I docenti Invitati possono diventare Stabili dopo almeno un
triennio di insegnamento continuativo nella STB.
4. Il passaggio a docente Stabile viene deciso dal Consiglio Direttivo della Scuola e deve essere ratificato dal Vescovo mediante Nomina.
5. I Docenti Stabili che intendessero recedere dal loro impegno
nella STB, devono far pervenire domanda scritta al Direttore. I
Docenti Stabili possono, in seguito a manifesto e immotivato disimpegno, essere riportati alla condizione di Invitati sentito il
parere del Vescovo.
6. I Docenti, sia Stabili che Invitati, sono tenuti al corretto svolgimento delle lezioni loro affidate in corrispondenza al piano
contenutistico e didattico della Scuola. Sono tenuti al rispetto
del monte ore di lezioni loro assegnato. È fatto divieto di diminuire le ore di lezione a propria discrezione. Nel caso di qualsiasi
problema è necessario avvertire, fatti salvi i casi di emergenza,
il Responsabile coordinatore del Centro.
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7. Il Docente dovrà chiamare, personalmente, l’appello e segnare
sull’apposito Registro le presenze dei singoli allievi. Sarà cura
dello stesso Docente aggiungere in calce all’elenco ricevuto i nominativi di coloro che devono eventualmente recuperare la disciplina annotando che si tratta di recupero.
8. I Docenti non accettino nessuno che non sia iscritto regolarmente nel Centro, eccetto coloro che devono recuperare dopo
averne accertato per iscritto il bisogno: in questo caso, terminata la sua disciplina, il Docente dovrà annotare e firmare l’avvenuto recupero sul libretto personale dell’allievo.
9. La prestazione di ogni singolo Docente, a norma dell’art. 6
dello Statuto è volontaria e gratuita. Viene assicurato un rimborso per le spese effettivamente sostenute.
10. I Docenti sono tenuti alla partecipazione ai momenti collegiali della Scuola. Le eventuali assenze devono essere motivate
e comunicate al Direttore.
11. I Docenti ricevono ufficialmente l’incarico nella celebrazione
eucaristica d’inizio anno accademico, durante la quale rinnovano pubblicamente la loro professione di fede.
12. I Docenti sono tenuti a partecipare attivamente alle Verifiche
effettuate dalla Scuola.
13. I Docenti sono tenuti a osservare il Testo e a non sostituirlo
con dispense personali. Ogni Docente può e deve integrare, compatibilmente con il tempo a disposizione, la disciplina ma senza
sostituire con le proprie dispense quelle fornite dalla Scuola.
14. I Docenti conoscano il Testo perché è il principale punto di
riferimento degli alunni anche per le Verifiche.
15. Le Commissioni per le verifiche saranno composte da due
Docenti di cui uno, possibilmente, Stabile.
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Regolamento alunni
1. La Scuola Teologica di Base si articola in tre anni di Corso lineare, così come indicato alle pagine 19 e 20 del presente vademecum.
2. L’iscrizione alla STB deve essere effettuata presso l’Istituto
“Innocenzo Marcinò”, indicando il Centro dove si intende frequentare. Di norma è richiesto il Diploma di Scuola media superiore. La domanda di iscrizione al Primo Anno deve essere
controfirmata dal Parroco di residenza o dove si svolge la propria
attività pastorale. Ogni altra eventualità verrà sottoposta al Direttore.
3. La tassa di iscrizione, stabilita annualmente dal Consiglio Direttivo della Scuola, non comprende i sussidi didattici dell’anno
di riferimento. Non viene richiesto il pagamento di ulteriore
tassa per coloro che frequentano per il recupero delle discipline,
sia che tale recupero avvenga negli stessi anni di Corso sia che
avvenga dopo avere terminato la frequenza a tutti e tre gli anni.
4. Espletato proficuamente il Triennio, gli iscritti riceveranno
un Attestato di Merito.
5. Gli Alunni sono tenuti a sostenere le verifiche previste dal
piano di studi e precisamente: alla fine di ogni anno: Verifica
scritta sulle singole discipline, la cui valutazione sarà espressa
in trentesimi; al termine del triennio: Verifica Orale su Tesario
proposto, da sostenere davanti ad una commissione di professori
presieduta dal Direttore o da un suo delegato. Concorrono alla
valutazione del triennio la media degli esami annuali per il 70%
e la valutazione dell'esame finale per il 30%.
La formulazione del giudizio finale (in centesimi) sarà espressa
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con le qualifiche di: probatus (da 60 a 65/100), bene probatus (da
66 a 75/100), cum laude probatus (da 76 a 85/100), magna cum
laude probatus (da 86 a 95/100), summa cum laude probatus (da
96 a 100/100).
6. La frequenza alle lezioni è obbligatoria per tutti. Se viene superato il massimo di 1/3 di assenze per ogni singola disciplina,
rimane l’obbligo di recuperare l'intero monte ore delle medesime
discipline; detta frequenza può essere recuperata nello stesso
anno di frequenza presso un altro Centro, oppure in un anno
successivo. Ove la somma delle assenze totali dell’intero anno
superasse il 50% delle ore di lezione totali, non sarà possibile
convalidare l’intero Anno.
7. Tutti gli iscritti sono obbligati alla partecipazione a Seminari
e Incontri promossi e proposti dalla stessa STB.
8. Tutti gli iscritti sono tenuti a regolarizzare la loro iscrizione,
sia con la presentazione della scheda sia con il pagamento della
quota, entro il mese di Ottobre.
9. Ogni Centro si avvale della collaborazione di un Responsabile
coordinatore. Egli è il riferimento immediato della vita ordinaria
del Centro.
10. Le Verifiche annuali vengono stabilite nei mesi di Giugno e
Settembre; straordinariamente viene tenuta una sessione di Verifiche nel mese di Febbraio. Sarà regolarmente data tempestiva
comunicazione dei giorni.
11. Possono accedere alle Verifiche annuali tutti coloro che
hanno terminato regolarmente l’Anno. Coloro che devono, per
le assenze, recuperare una o più discipline potranno accedere
alle Verifiche solo dopo avere recuperato.
12. Tutti gli studenti per sostenere le Verifiche o il Tesario devono essere in possesso di regolare Libretto Personale rilasciato
dalla STB aggiornato, per le presenze, dai Responsabili coordinatori dei Centri.
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13. Gli studenti che avessero sostenuto la Verifica finale per tre
volte non possono più sostenerla e riceveranno d’ufficio un Attestato di Frequenza.
14. Le Verifiche, annuali e finale, devono essere sostenute entro
cinque anni a decorrere dall’ultimo anno di frequenza. Trascorso tale tempo sarà obbligatorio frequentare nuovamente
l’intero Corso triennale.
15. Gli studenti che hanno ricevuto l'Attestato di Merito non
possono iscriversi ai Corsi triennali, ma ai Corsi di Approfondimento.
16. Gli studenti che hanno ricevuto l'Attestato di Frequenza,
anche dopo che siano trascorsi i cinque anni, possono iscriversi
nuovamente ma con l’impegno delle Verifiche per l’Attestato di
Merito.
17. Per iscriversi all’anno successivo non è obbligatorio sostenere la Verifica relativa all’Anno frequentato.
18. La frequenza non continuativa, se interrotta per un numero
di anni pari a tre, avrà come conseguenza la ripresa del Corso
di studi dal Primo anno.
19. Gli studenti hanno facoltà di sostenere le Verifiche, annuali
e finale, in quella formulazione che hanno ricevuto anche se
fosse, nel frattempo, intervenuta variazione. La decadenza dei
formulari di domande avviene con il decadere dei cinque anni
previsti dal presente Regolamento per completare il Corso di
Studi.
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