Periodico degli studenti del Liceo ‘Porporato’ di Pinerolo - Anno XIII, n.4, Maggio 2011
www.liceoporporato.it/studenti/onda/onda_d'urto.htm
ins. resp. Antonio Denanni/Joram Gabbio
Valentina Garetto
Indice:
Gli occhi specchio dell’anima: p.2
La mia esperienza dello scambio: p.2
L’anima del fotografo: p.3
Il nostro sguardo attraverso la
fotografia: p.4
Il mondo in uno sguardo: p 4
Un ultimo e rapido sguardo: p.5
Unosguardo sul mondo p.6-7
Chi era la Gioconda: p.8
Lo sguardo all’arte: p.8
Uno sguardo alla poesia: p.9
5 anni in poche righe: p.10
Expedite, ho vinto io p.10
Ragazze sotto schok: p.11
Primi in Piemonte!: p.12
Supplemento d’anima: p.13
Scambi: p.14-15
Campioni tra noi: p.16
Giornata d’atletica: p.17
Ghiaccio al cloro: p.18
Ipse dixit: p.19
Concorso: p.20
Porporato in 5 foto: p.20
Appello: p.21
Photogallery: p.22
Se a ciascun l’interno affanno / si leggesse in fronte scritto,/ quanti mai, che invidia
fanno, / ci farebbero pietà!
Così scriveva Pietro Metastasio, scrittore di melodramma del XVIII secolo: potessimo leggere nella mente e nel cuore degli altri, scopriremmo mondi che mai avremmo immaginato: così scoveremmo anche in coloro che più invidiamo fatiche e debolezze. Ma uno sguardo
penetrante è anche molto altro: accorgersi di chi ci sta affianco, offrire uno sguardo d’intesa,
di passione, di complicità o di empatia. Abbiamo provato ad avventurarci nel mondo degli
sguardi. Sono speciali gli sguardi dei poeti, quelli degli artisti, quelli dei musicisti. A loro uno
sguardo preferenziale in questo numero. Senza dimenticare lo sguardo della fotografia, sagace e puntuale.
Nel caleidoscopio di sguardi della giornata di atletica ci siamo tutti. E poi gli sguardi sul mondo, che ci aiutano a non affogare nel gorgo del nostro piccolo, ma a guardare all’orizzonte.
Ma lo sguardo più importante è quello sull’anno trascorso, fatto di delusioni e gioie, croci e delizie. Tutto
questo ci aiuta a crescere, e a gettare un fresco sguardo all’estate: possa portare serenità, riposo e freschezza
a tutti gli abitanti del Porporato-mondo.
JG
Gli occhi sono lo specchio dell’anima
Considerando il fatto che questo numero tratta l’argomento “sguardi”, non si poteva non parlare degli occhi: protagonisti dei nostri sguardi. Come molto spesso si dice, gli occhi sono “lo specchio dell’anima”, essi infatti riflettono
il nostro carattere e in base al loro colore si distinguono differenti tipologie di personalità. Innanzitutto le colorazioni più diffuse sono il marrone e il blu, che hanno varie sfumature come grigio, castano, azzurro e verde, e poi ci sono gli occhi verdi e marrone scuro.
Generalmente, i possessori degli occhi blu sono persone con un’ampia profondità interiore (infatti il blu è simbolo
di calma e serenità), che sono spesso ricche di idee e hanno una natura sia passionale che equilibrata.
Gli occhi castani chiari, rispecchiano un carattere estroverso, esuberante pieno di interessi e vivace, mentre quelli
castano scuro indicano un elemento con una volontà ferrea e, inoltre, queste persone, hanno un controllo emotivo e
una sicurezza di gran lunga superiorerispetto agli altri. Gli individui con occhi celesti o verdi rivelano una tendenza al lato sentimentale della vita, ispirano, a chi li ascolta, calore e sincerità. Sono spesso soggetti a cambiamenti di umore e diventano facilmente preda delle emozioni proprie e altrui. Infine, se il vostro interlocutore, ha gli
occhi grigi, fate attenzione: i soggetti con questa caratteristica (non molti per fortuna) hanno una personalità attenta
e indagatrice, ma non solo, poiché sono noti per una durezza d’animo che li porta spesso ad essere freddi con chi
gli sta attorno!
Greta Gontero 4ag
amp Nelle pa
i ser
vizi g 14-15
Il secondo anno di liceo è un anno molto intenso...c'è lo spettacolo, il delf, ma soprattutto lo
sugl
i sca
scambio con una scuola francese, oltre, ovviamente, all'infinità di verifiche e interrogazioni!
mbi
Lo scambio è essenziale per chi vuole imparare una lingua straniera. Parlare il francese in prima persona, con
persone madrelingua, è stato molto utile per il nostro apprendimento del francese.
Vi racconto come l'abbiamo vissuto noi della 2AL... all'inizio non sapevamo nemmeno se si poteva fare, metà della classe
non era d'accordo perché preferiva fare il soggiorno, ma noi che avevamo dato il nostro sì, sapevamo benissimo che non fare
lo scambio sarebbe stata un'opportunità buttata via. Alla fine abbiamo deciso di farlo ed è presto arrivato il momento di
sapere il nome del nostro corrispondente: qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo leggendo che il/la proprio/a
corrispondente aveva più o meno il suo stesso carattere, altri sono rimasti un po' delusi, perché non hanno trovato niente in
comune tra il proprio e il carattere del corrispondente. Poi è arrivato il momento di conoscerli e, dopo un breve imbarazzo
iniziale, ci siamo trovati benissimo insieme. Ognuno di noi aveva il corrispondente a casa sua e così ognuno di loro ha
“assaggiato” un piccolo pezzo della nostra quotidianità. Qua in Italia ci siamo divertiti moltissimo, ma il bello doveva
ancora venire. Il 25 marzo siamo partiti, direzione Nancy. Nel viaggio era molta la paura di andare nella famiglia del nostro
corrispondente, ma quando siamo scesi dal pullman, abbiamo rivisto i nostri amici e l'ansia si è un po' attenuata. Tutti quanti
ci siamo trovati bene nelle famiglie e abbiamo notato molte differenze tra la loro e la nostra vita. Soprattutto la scuola era
molto diversa, con gli orari molto lunghi e il cambio delle aule ogni ora.
Consiglio a tutti questa esperienza, perché è un'emozione che non si scorda facilmente ed aiuta moltissimo per la pronuncia
e l'apprendimento di nuove parole.
Non si sa mai, magari anche io stessa potrò fare di nuovo un'esperienza simile, anzi, lo spero vivamente!
LA MIA ESPERIENZA DELLO SCAMBIO
Giada Aliverti 2 AL
2
L’anima del fotografo
Di Giulio Ameglio
due rughe profonde che riprendono
le linee verticali che tagliano la fronte di questa giovane madre e quelle
che disegnano un arco che
congiunge il naso alla bocca; é come se lo sguardo fosse rivolto all'interno di se stessa, ma senza vedere
nulla se non un vuoto, un profondo
vuoto interiore. Del bambino vediamo solo parzialmente il viso, schiacciato contro il seno della madre: più
che nutrirsi sembra sia soffocato da
questo contatto, e questa
sensazione viene accentuata dalla
mano sinistra del bimbo, che non si
capisce bene se si stia aggrappando o se cerchi al contrario di allontanare la madre. Vestiti, oggetti, sfondo, parlano di una desolazione assoluta.
Lo sguardo della fotografa ha
raccontato una storia. Dorothea
Lange ha costruito questa scena,
scegliendo un angolo di ripresa, un
momento, una relazione. Noi possiamo vedere in questa scena
anche secoli di rappresentazioni
religiose, della Madonna con il
piccolo Gesù; in particolare é
possibile uno straordinario parallelo
con un disegno di Michelangelo, un
disegno appena abbozzato in cui lo
sguardo dolente della giovane Madonna é perduto lontano, come sorpreso e sospeso in una lontananza
temporale, più che spaziale, forse
un presentimento del destino a cui é
condannato il figlio che si sta aggrappando ma che nello stesso
tempo é come schiacciato sul seno
materno. Cosa significa questo?
Che la Lange ha consapevolmente
voluto imitare Michelangelo? No,
niente affatto, ma semplicemente
che lei, in quanto fotografa, ha saputo comporre l'immagine mossa
dalla memoria culturale (la Lange,
Proviamo a esplorare una famosa
come molti grandi fotografi, é stata
fotografia scattata negli anni Trenta
un'attenta appassionata di storia
in U.S.A. da Dorothea Lange, una
dell'arte), dalla volontà di raccontare
fotografa che documentò le conseuna storia, dall'esigenza di docuguenze della grande depressione
mentare un grande evento storico.
che seguí la crisi del '29. Vediamo
In una parola, la Lange ha pensato
una madre con in braccio un bambila fotografia, il suo sguardo ha riunino mentre lo sta allattando. Ma la
to estetica, etica, psicologia.
madre non guarda il suo bambino,
lo sguardo é rivolto verso il basso;
Ma lo sguardo del fotografo presengli occhi sono due fessure incavate,
ta un'altra caratteristica fondamenOggi tutti fotografano: scattare
fotografie é divenuta una
operazione semplicissima che si
compie quasi in automatico; basti
pensare al fatto che le macchine fotografiche più diffuse sono ormai
contenute all'interno dei cellulari,
oggetti che portiamo costantemente
con noi, e quindi scattare una
fotografia é un banale gesto
quotidiano, come telefonare o, meglio ancora, inviare un sms.
Ma questo comporta un rischio:
smarrire lo sguardo del fotografo.
Cosa contiene in sé di particolare
questo sguardo? Henry CartierBresson, uno dei più grandi fotografi
del Novecento, sosteneva che fotografare era mettere sulla stessa
linea l'occhio, la mente, il cuore. Riflettiamo su questi elementi. L'occhio é l'organo della visione, é ciò
che ci permette di comporre una immagine; la mente é il progetto, é ciò
che permette la costruzione di una
immagine rispettando certe regole,
estetiche, comunicative, psicologiche, culturali; il cuore é l'emozione,
ciò che agisce in profondità al nostro interno, che ci muove e commuove. Lo sguardo del fotografo é
dunque questo: visione, pensiero,
emozione.
3
tale. Noi che guardiamo una
fotografia vera (non una istantanea
senza spessore) non vediamo solo
la scena rappresentata nell'immagine (la madre che allatta il figlio, il
soldato ucciso da una pallottola nemica, l'eroe della rivoluzione che
guarda lontano...) ma possiamo
anche intravedere qualcosa
dell'anima del fotografo. É come se
lo sguardo del fotografo non si
limitasse a posarsi sulla realtà, ma
la costruisse con la sua macchina e
quindi, in questa operazione,
rivelasse qualcosa di se stesso. É
uno sguardo che si riflette in se
stesso, che apre uno spiraglio verso
l'interiorità, e quindi chi guarda inizia anche un dialogo con l'anima
del fotografo. Certamente bisogna
saper leggere, bisogna avere l'umiltà e la pazienza (soprattutto la pazienza) di mettersi in ascolto, bisogna accettare di creare il silenzio
dentro di sé per accogliere ed essere in grado di scorgere quei deboli
riflessi che rivelano la voce interiore
del fotografo.
Non é affatto una esperienza facile,
ma puó diventare una esperienza di
arricchimento interiore. E soprattutto puó aiutarci a costruire un nostro
sguardo, più profondo, articolato e
consapevole, sia sul mondo che ci
circonda sia su quello che
custodiamo nella nostra interiorità.
Il nostro sguardo attraverso la fotografia.
Usiamo la fotografia per catturare attimi, persone, gesti. Filtriamo
la realtà attraverso l’obbiettivo, e il bello è che ognuno ha uno
sguardo diverso sul mondo: chi nota il dettaglio, chi la scena nel
suo insieme, chi i colori.
Sicuramente, se avete questa passione o se, anche per caso, avete
mai scattato foto, sarete rimasti insoddisfatti guardando una foto
che non ritraeva fedelmente il paesaggio mozzafiato che avevate
davanti. Come la luna. E’ uno degli esempi che mi vengono in
mente per primi: ho fatto tantissime foto a lune fantastiche che
sono risultate mediocri. Ogni volta che le riguardavo dicevo:
“Ooh, ma per favore! La luna è molto più bella di così!”
Ecco, la fotografia non è una tecnica semplice. Secondo me è
importante capire prima di tutto perché fotografiamo, che cosa
vogliamo cogliere. Ad esempio, ad una festa posso focalizzare la
mia attenzione sui miei amici se voglio ricordi personali, mentre
sull’evento in generale se voglio dare un’idea della serata a chi
non c’era.
In un altro tipo di fotografie poi è importante capire che cosa vogliamo dire. Nella fotografia così come in ogni forma d’arte,
credo che una delle maggiori ambizioni sia quella di riuscire a
trasmettere a chi osserva le stesse emozioni che proviamo noi.
Come possiamo rendere in arte le nostre sensazioni di quel momento? Come lasciar trasparire la nostra visione del mondo?
Da un lato è la tecnica a
venirci in aiuto, dall’altro
anche un patrimonio di
conoscenze comuni come la simbologia. Infatti,
sulla percezione della
realtà, influiscono anche
la nostra cultura e la società in cui viviamo.Noi
occidentali leggiamo le
immagini da sinistra a
destra, esattamente come siamo abituati a leggere i libri. Così una linea che parte
dall’alto a sinistra e arriva in basso a destra è una discesa, mentre
una che parte dall’angolo destro in alto e finisce a quello opposto
è una salita. Non è così per chi è stato abituato a leggere e scrivere
da destra a sinistra.
Ci sono inoltre campi in cui è il nostro inconscio a percepire ciò
che l’immagine, nell’intenzione del creatore, vuole trasmettere.
Pensate alla pubblicità: quante volte la nostra mente viene
ingannata da abili pubblicitari che ci lasciano vedere l’aspetto che
loro desiderano di un certo prodotto? Scommetto che avrete già
notato la ricorrenza di un certo colore -come il rosso- per attirare
l’attenzione, o di abbinamenti che ricordano il prodotto in
questione.
Insomma, ognuno può provare a catturare la propria realtà
attraverso questo strumento che è la fotografia, e a trasmettere un
messaggio a chi lo osserva. Oggi è semplice, grazie a macchine
sempre più professionali e telefoni pronti a documentare quello
che ci sta attorno.
Si dice che siamo nella civiltà dell’immagine e che il futuro del
giornalismo stia proprio qui: nelle nostre tasche, e nella nostra
capacità di connetterci con il resto del mondo in pochi minuti per
trasmettere ciò che vediamo. Ognuno di noi può esprimere la propria opinione, il proprio sguardo sul mondo attraverso le immagini, e sempre di più ci stiamo rendendo conto di questa nostra possibilità.
Elisa Garis
4
IL MONDO IN UNO
SGUARDO
Uno sguardo è un misto di parole, gesti,
emozioni e sensazioni. In uno sguardo è
racchiuso tutto il potere della comunicazione
che gli esseri umani, e non solo, posseggono.
Infatti, anche se non ne siamo coscienti e non
ce ne accorgiamo, noi comunichiamo in ogni
momento della giornata, da quando ci
svegliamo fino a quando andiamo a dormire.
Gli occhi, la bocca, l'espressione del viso sono
tutti elementi che usiamo per comunicare.
Eppure nessuno ci fa caso, tutti sono troppo
occupati a pensare ai dilemmi personali per
accorgersi che le persone intorno a loro hanno
anche i propri problemi, anche se non lo urlano
al mondo. Lo dice proprio Gianluca Grignani,
cantautore milanese, nella sua canzone
“Sguardi”,
terzo singolo
del suo ultimo
album “Natura
U ma n a ” :
<<Ma
agli
sguardi della
gente, ci hai
mai fatto caso
tu?
Proprio
quello che non
dice, che non
dice ma che sente e poi fa finta di niente>>.
Voi ci avete mai fatto caso? Noi esseri umani,
in fondo, siamo una razza unica: proviamo le
stesse emozioni, le stesse paure, ma forse
siamo troppo egocentrici per riuscire ad
ammettere di essere tutti sullo stesso livello.
Tornando a Grignani, nella canzone citata poco
fa ci racconta una piccola
storia degli sguardi: parla di
una madre che non vuole più
vedere per non soffrire, di un
uomo che fatica per riuscire a
mantenere la famiglia e di un
bambino, che non fa ancora
domande e crede che il mondo sia tutto una
favola. Parla di persone qualunque, come se
fossimo noi. Infine, chiude la sua canzone con
la seguente frase: << Siamo come una moneta,
lanciata su questo pianeta >>. Il cantante, in
questa metafora, paragona chiaramente
ciascuna persona ad una moneta, cioè una
piccola creatura rispetto al nostro enorme
pianeta. Quello che vuole fare intendere è che
nessuno di noi può prevedere il proprio futuro,
perché nessuno può sapere con che faccia
atterrerà la moneta.
Giada Aliverti 2AL
Un ultimo e rapido sguardo…
Di Irene Ambricco (IC SU)
Monique scostò le lenzuola dell’ letto, poggiò i piedi sul pavimento gelido, ascoltando i respiri del
fratellino e dei genitori, che dormivano, quieti, nel altra stanza. Nel buio indossò un corto e luccicante tubino nero che accentuava le sue sensuali forme, si truccò, e raccolse i lunghi capelli scuri in una fluente coda
di cavallo e infine indossò le bellissime scarpe scure con il tacco dodici prese di nascosto alla madre.
Poi, scese le scale, rabbrividendo ad ogni scricchiolio, nel terrore di essere scoperta. Miao… Miao… Monique si giro allarmata, verso il suo gatto miagolante, che stava per smascherare la sua fuga e pregandolo di
smettere, usci di casa. Svoltò l’angolo e là trovò un bellissimo ragazzo ad attenderla, non lo conosceva da
molto, tutto era iniziato una festa e tra una cosa e l'altra, senza neppure rendersene conto, si erano messi
insieme. <<Paul, sei bellissimo vestito elegante!>> il ragazzo arrossì, non era abituato ai complimenti della
giovane, infatti raramente concedeva le sue opinioni sul mondo maschile.
<<Andiamo... altrimenti Clio troverà una scusa per non farci entrare!>>. Lei ridacchiò, Clio era l’ex di Paul,
nonché l'organizzatrice della festa a cui si stava imbucando, per non parlare del fatto che da quando Monique e lui si erano fidanzati non le rivolgeva più la parola, nonostante in passato fossero state molto amiche.
La villa era enorme, ma la festa si sarebbe svolta nel suo giardino, siccome l’ultima volta che Clio ne aveva
organizzata una, gli ospiti le avevano distrutto letteralmente la casa e di
conseguenza, i suoi genitori le avevano proibito di farne altre al suo interno,
tuttavia non era un problema, infatti possedevano un vero e proprio parco.
La musica era assordante e tutti gli invitati si erano accalcati attorno al
banchetto del cibo e delle bevande affiancato da un mixer, utilizzato da un
attraente Dj circondato da un gran numero di ragazze.
I due fidanzati si rifugiarono a chiacchierare in un angolo, per evitare la
gente. Lui parlava, ma Monique lo ascoltava appena, annuendo ad ogni sua
imprecazione, con la testa altrove.
Faticava a credere che non ci fosse un secondo fine per l'invito fatto a Paul,
da parte della sua ex a quella festa, dopo due mesi che non gli rivolgeva più la
parola lo aveva invitato, no, qualcosa non quadrava, probabilmente lo
desiderava di nuovo per sé e lei era pronta a impedire che accadesse. Era per
questo che si era autoinvitata e non avrebbe permesso che lui rinunciasse a lei
per una zotica come Clio...
<<Mony, vado a prendermi una birra. Vuoi qualcosa?>> lei si riscosse, sorpresa dal sentirsi chiamata.
<<Prendimi una Cola, ti aspetto qui. Vai pure. Non ti preoccupare.>>. Appena Paul si allontanò, ritorno ai suoi
pensieri, persa nei suoi contorti ragionamenti su come tenersi Paul.
Sentì un movimento provenire da dietro un cespuglio. Guardò in quella direzione, allarmata, ma si trattava
semplicemente di un bellissimo cagnolino bianco <<Mi hai spaventata cuccioletto>> mormoro abbassandosi
per accarezzarlo. Mentre un rumore di passi, si faceva si strada dietro di lei . <<Sei già tornato!? >> dichiarò
sorpresa mentre si voltava.
Non si trattava di Paul, come si aspettava... era un uomo con degli occhi grigi e penetranti che la osserva
con un sorriso agghiacciante.
<< Tu... sei... mia!>> il tono raccapricciante di quelle parole rimbombò nella sua mente come un allarme e
istintivamente… gridò.
L'urlo, il grido, rimase nascosto dal volume altissimo della musica e nessuno, le venne in soccorso. Cercò di
correre, di scappare, ma inciampò, il tacco di quelle splendide scarpe si ruppe, condannandola. Monique si
accasciò. Lui si abbassò e la guardò, in modo diretto, negli occhi. Quello sguardo fu l’ultima cosa che vide.
Quegli occhi l’ultima immagine immagazzinata nella sua memoria. Quel vestito così bello divenne il suo sudario... perché in quel istante, il coltello che l’uomo teneva nascosto dietro la schiena, e che lei aveva notato
solo in quel momento, penetrò a fondo, nella sua tenera e candida carne. Monique rimpianse di essersi così
ostinatamente imbucata alla festa. L'uomo le diede un ultimo e rapido sguardo e si allontanò dandole le
spalle...
...volete scegliere il finale?… scovatelo nelle ultime pagine….
5
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Il grattacielo più
alto…
...e il suo lato più buio
Il Burj Khalifa, grattacielo più alto del mondo, è stato recentemente inaugurato a Dubai e ha attirato nella splendida
città migliaia di visitatori.
Con oltre 100 piani, vanta la moschea e la piscina più alte
del mondo, accompagnate da altri elementi di lusso come
per esempio un enorme e splendido campo da golf.
L’architettura è americana, il design europeo e la
manodopera (schiavizzata) è sud-asiatica: infatti per la sua
costruzione, sono stati impiegati 500mila operai, dei quali
la gran parte è composta da migranti provenienti da India,
Pakistan e Bangladesh; e sono proprio loro i “protagonisti”
del triste episodio che è accaduto. Il fatto risale a un po’ di
tempo fa, il 2010, quando furono contati circa mille operai
indiani morti e oltre sessanta incidenti avvenuti sul posto di
lavoro. Si scoprì inoltre che questi lavoratori erano
mantenuti come degli schiavi in “campi di lavoro” che li
ospitavano (e li ospitano tuttora) e li vedevano faticare
molto duramente per 18 ore al giorno e senza stipendio per mesi, sotto lo sguardo dei ricchi
e potenti sceicchi. Come detto in precedenza, questi uomini sono ancora bloccati nei campi
di lavoro a Dubai, perché quando dovevano migrare verso la città in cerca di lavoro si sono
indebitati con degli strozzini per pagare i biglietti, ma non avendo avuto lo stipendio regolare per mesi e mesi, non potevano saldare il debito. Gli usurai non si sono fatti scrupoli a
minacciare di uccidere membri della famiglia o lo stesso operaio, che, non potendo tornare
in patria e neanche uscire dai campi di lavoro, è rimasto bloccato come un topo a Dubai.
Ma la cosa più impensabile, purtroppo, è che i turisti ignari dell’accaduto, vengono
incantati dalle spiagge bianche, dai grattacieli che fanno a gara per superarsi in altezza, dal
lusso… ma non possono immaginare minimamente le disuguaglianze che sono alla base di
tutto ciò e che tengono letteralmente in piedi questi colossi di vetro e fastosità che spiccano
in una delle città più belle e ricche del mondo.
Greta Gontero 4^A ginnasio
Qu i U
SA
10 MONTHS IN THE U.S.A
La prima cosa che ho pensato quando sono uscita dall’aereoporto e` stata:”Oh
mamma e` tutto enorme!”. Sul serio, all’inizio tutto sembrava gigantesco rispetto
all’Italia: le strade e gli alberi, le nuvole, il cielo, le macchine, i bicchieri...le persone!
Ma ora ci ho fatto l’abitudine, come tante altre cose. So che puo` sembrare strano ma in questa parte del mondo le cose sono moooooolto diverse rispetto all’Italia! “Diverso” non vuol
dire “sbagliato”, al contrario e` una delle cose più interessanti del vivere per cosi tanto tempo
in un paese straniero. All’inizio non sai mai cosa aspettarti, dalla scuola a una cena, dalla
chiesa agli amici…tutto va in un modo diverso rispetto a come l’avresti immaginato, e a come eri abituato. Ma dopo il primo periodo cominci a entrare un po’ nella mentalità del posto,
e ti senti un po’ meno spaesato. Durante questi mesi ho vissuto a Puyallup, una citta` nello
stato di Washington, con una famiglia che mi ha accolto come se mi conoscessero da sempre. I genitori sono molto giovani e hanno due bambini fantastici, uno di tre e uno di quattro
anni.
La scuola e` molto diversa da quella italiana, per molti aspetti piu` divertente. Durante le lezioni si fanno un sacco di lavori di gruppo e i professori spiegano quasi sempre con
Power-Point o lavori interattivi. Il rapporto con gli insegnanti è molto amichevole.
continua nella pag. seguente
6
U no s
ndia
Qui I
Uno sguardo
all’inferno
guard
o su l
mond
o
Mumbai, India.
Entrando in uno dei suoi lussuosi alberghi il nostro sguardo non potrà non
scrutare con ammirazione la ricca, sfarzosa e bellissima città in potenziale
espansione, che non tarderà ad entrare nell’alta società mondiale.
Ma non è solo questa la realtà di Mumbai, basta far scorrere i nostri occhi
verso un'altra finestra e sarà un altro il panorama che vedremo, quella di
Dharavi.
Quest’immensa baraccopoli è l’emblema della povertà: le strade sono sporche, l’aria puzza e
l’igiene è praticamente inesistente; la malaria, la tubercolosi e la diarrea sono malattie comuni quanto la nostra influenza: 3000 sono gli abitanti, i “dannati” di questo inferno che vengono ricoverati
ogni giorno.
“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” è lì che si trova la peggiore baraccopoli del mondo.
Fra i vicoli stretti, fra i liquami di fogna che scorrono, i bambini giocano e non è così facile rendersi
conto del fatto che è proprio in quella realtà che esiste una città industriale molto importante non solo per Mumbai, ma per l’intera India.
Industrie di ceramica,industria immobiliare, di sapone, tutte queste realtà si accalcano sulle baracche
in lamiera e qualche rara casa più lussuosa: un vero puzzle a cui l’occhio fa fatica ad abituarsi.
Grazie alla forza e alla determinazione di più di 700 mila persone che cercano di costruirsi un futuro
migliore, Dharavi ha un PIL da 1 miliardo di dollari,che fa gola alla classe media industriale che non
accenna a lasciare un po’ di posto anche ai negozianti più intraprendenti: i diritti dei lavoratori di
questa fogna a cielo aperto sono alienati e nonostante la volontà di emancipazione, uno stipendio di
100 rupie (circa 4 euro) al giorno, non permette nemmeno di comprare i sogni più modesti.
Questa realtà è difficile da immaginare quanto osservarla, con il senso di impotenza che ci pervade
preferiamo evitare il discorso cambiando canale quando qualche documentario ne riporta le tristi immagini, far finta che questa situazione non sia un nostro problema. NON PARLO, NON SENTO,
NON VEDO.
Elena 4ASoc
Durante la stagione invernale hofatto ginnastica artistica nella squadra della scuola. Anche se all’inizio ero un
po` spaventata perche` c’era allenamento tutti i giorni, sono stata molto contenta di avervi
partecipato. Mi è servito a far nuove conoscenze e a essere coinvolta nelle attivita` della
scuola.Adesso invece sto facendo atletica, giusto per smaltire un po’ del “salutare” cibo
americano! Partecipare alle iniziative della Chiesa Cattolica di Puyallup è stato (tra incontri, volontariato, weekend sulla neve, ecc..) un altro modo per fare molte bellissime
esperienze e incontrare gente di tutti i tipi. Tutte le volte che dico “I’m italian”, la gente
rimane stupita e mi guarda come fossi una specie di super-eroe che vive nel posto migliore
della Terra. Questo loro amore per l’Italia è dimostrato anche dalle infinite insegne con
nomi (solo NOMI, perché il cibo non ha niente a che vedere con quello italiano!) di cibi
italiani. Questo e le tante cose italiane che mi sono mancate, mi hanno aiutato ad
apprezzare tutte le cose belle del mio paese, che prima non consideravo o addirittura
diprezzavo.L’High School, i fast-food, gli sport, i balli, e tutte le cose tipiche americane
sono divertenti e sono molto contenta di avere avuto la possibilita` di viverle. Ma la cosa
di cui sono piu` grata di quest’anno in America e` che il mio modo di vedere le cose e` cambiato, ora sento
che posso giudicare in maniera piu` libera, senza essere troppo condizionata da pregiudizi e stereotipi.
E` stata un’ esperienza fantastica e, nonostante le paure e le fatiche, sono molto contenta di averla iniziata.
Sara Innocenti
7
CHI ERA LA GIOCONDA?
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Parlando di sguardi nell’arte, non si può non pensare alla Gioconda: dipinto di Leonardo da
SGU
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Vinci a partire dal 1503, questo ritratto probabilmente ci mostra donna Lisa moglie del Giocondo ed è
stato oggetto di una lunga serie di viaggi mentali… ehm… interpretazioni critiche, nel corso di tutta la storia.
Il motivo? Nessuno di noi ha un’idea certa di chi rappresenti (e soprattutto
perché).
Infatti, il riferimento a Lisa è semplicemente un’ipotesi derivata da uno
scritto del Vasari: la descrizione corrisponde, se non fosse per il fatto che ci
si riferisce alle sopracciglia della ragazza… che sulla Gioconda non ci sono!
Dunque, le ipotesi a questo punto sono due: o il Vasari ha scritto il commento al quadro prima che Leonardo lo ridipingesse (si pensa che sia stato rifatto circa 4 volte), oppure il ritratto che noi conosciamo come Monna Lisa non
rappresenta realmente Monna Lisa. La prima ipotesi è sostenuta da una
serie di particolari del quadro, come il velo che la donna indossa (Lisa aveva
appena partorito, ed era consuetudine che le neo-mamme portassero un velo del genere), ma se fosse vera non ci si spiegherebbe perché Leonardo non
l’ha consegnata al committente e se la sia portata in Francia. Soprattutto,
non si potrebbe spiegare nemmeno la straordinaria somiglianza tra la parte
superiore del viso della Gioconda (occhi e fronte) con quello dell’autoritratto
di Leonardo, o perché la parte sinistra del volto sia visibilmente più giovane
di quella destra. E’ possibile che questo sia un autoritratto di Leonardo in vesti femminili, magari dipinto per
polemizzare con il rivale Michelangelo (che aveva l’abitudine di dipingere personaggi maschili molto effeminati e
personaggi femminili invece molto mascolini)? In ogni caso, ci deve essere un motivo dietro quello sguardo
“ambiguo”, soprattutto perché Leonardo ci tenne a evidenziarlo mettendo le iniziali del suo nome nella pupilla
sinistra della donna. In perfetto stile da critico d’arte, ci terrei a salutare tutti voi con un capra! Capra! Capra!
CAPRA! CAPRA! CAPRA! CAPRA!
Lorenzo, II A Cl
Gli sguardi:
Intervista alla Prof. sa Derro, insegnante di arte.
Quale importanza ha secondo lei lo sguardo nell’ arte?
Lo sguardo in arte è fondamentale in quanto ha una valenza comunicativa importantissima poiché le opere non
hanno voce, non possono comunicare ed è principalmente attraverso esso che quindi ci parlano. In qualunque opera lo
sguardo assume questa funzione, sia che si tratti di sguardo efficace che arriva all’osservatore e da cui emergono determinati
sentimenti, sia che invece lo sguardo appaia vitreo, imperturbabile o spento.
Secondo la sua personale opinione, quali sono gli sguardi più significativi dell’arte antica e moderna?
Così, di getto, mi vengono in mente due opere in particolare dove, secondo me, lo sguardo è significativo: l’”Annunciazione” di
Leonardo e “La pubertà” di Munch . Nella prima opera emerge una forte comunicazione di sguardi e di gesti; il quadro parla
anche se non ha voce e se i personaggi non sono concreti ai nostri occhi. Se tracciamo un’immaginaria linea, una traiettoria visiva, notiamo che Maria comunica con lo sguardo verso l’angelo, lo scruta con tranquillità e con la consapevolezza di far parte di
un piano più grande; inoltre a livello di gesti è in una posizione di apertura: la mano
sollevata tesa e aperta indica accettazione serena anche a un destino che le è stato imposto.
L’angelo, benché abbia il capo e il corpo chini, la osserva, le comunica cosa accadrà.
La seconda opera può essere definita agghiacciante: essa rappresenta una ragazza, non
ancora adolescente, ma neanche più bambina, privata quindi dell’ingenuità e del candore
infantile; non essendo ancora donna non possiede nemeno la consapevolezza della persona matura. Il soggetto appartiene alla preadolescenza e come tale il suo corpo sta subendo
dei cambiamenti, la ragazza non riesce a controllare questa situazione, anzi è la natura che
prende il sopravvento. Comincia a vergognarsi del suo corpo, si sente a disagio. L’ombra
alla sue spalle indica probabilmente il presagio di un destino doloroso e il letto candido
richiama l’età infantile. Lo sguardo è rivelatore.
Cito per ultimo un autore che concentra molti dei suoi quadri sulla centralità dell’occhio e
sul senso della vista, Van Gogh. Ne “La ronda dei carcerati” l’artista ritrae l’interno di un carcere delimitato da mura di mattoni.
Il pubblico percepisce l’afflizione dei prigionieri, la mancanza di libertà, l’oppressione. Il carcerato in primo piano rivolge
all’osservatore uno sguardo angosciato ed è stato riconosciuto come un autoritratto dello stesso autore, che così vuole denunciare
il suo stato di assoluta reclusione ed abbandono.
Continua nella pag. seguente
8
UN
O
Quando la realtà va oltre uno sguardo
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di
scale.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Eugenio Montale
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L
AP
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Quando si scrive una
SI
A
poesia molte volte la si scrive per se stessi, infatti, all’interno
di essa, in ogni parola, verso, frase si nasconde una parte del autore, le
sensazioni provate in quel momento, i ricordi cha ha riportato alla luce, i pensieri… tutte queste cose sono celate in
espressioni che possono essere capite a
pieno soltanto dal poeta, alcune poesie
sono più semplici da interpretare altre
più difficili. La bellezza di quest’arte sta
proprio in questo… ognuno leggendole vede qualcosa di diverso, qualcosa che
appartiene solamente a lui, non all’autore.
Di conseguenza ogni analisi, ogni commento può essere giusto quanto sbagliato.
In questa bella poesia "Ho sceso, dan-
doti il braccio" di Eugenio Montale,
dedicata alla moglie defunta, ( Drusilla
Tanzi, una scrittrice
italiana del 900) il poeta esprime il senso di vuoto provato dopo la sua morte e rimpiange il tempo passato
insieme, in quanto, anche se hanno vissuto a lungo in
compagnia, questo periodo della sua esistenza gli sembra sia durato troppo poco. E ripensa al viaggio, ovvero alla sua vita, alle trappole, i tranelli e alle ingiurie
di chi non è capace di capire che la realtà va oltre a
quello che si vede. Infine esprime la sua gratitudine
verso "Mosca" ,il nomignolo di Drusilla datole affettuosamente dal marito, che anche se miope o
forse proprio per questo, gli ha insegnato a guardare oltre a quello che si trova sotto i suoi occhi.
Irene Ambricco Icsu.
Quali artisti, quindi, possono definirsi promotori dello sguardo in arte?
Determinare quale artista sia stato il più abile a raffigurare le espressioni dei soggetti è molto complicato in quanto l’iter dello
sguardo in campo artistico ha origini molto antiche. Basti pensare all’ arte greca: un esempio significativo che di primo acchito mi viene in mente è il “Laocoonte”. L’opera apparve un’esagerazione rispetto ai canoni scultorei dell’ epoca: lo sguardo
agitato di questo uomo è però assai comunicativo. Ci trasmette il dolore fisico dell’ essere prigioniero di due mostri marini
ma soprattutto il dolore psicologico e spirituale nel vedere i propri figli morire. In seguito, in epoca medievale lo sguardo diviene meno incisivo, meno distintivo e, soprattutto nei mosaici bizantini, perde la propria espressività. Anche nei secoli a venire è difficile delineare la figura di promotore: come già detto, la raffigurazione dello sguardo è uno degli elementi di maggiore importanza che non può essere scollegata con l’arte figurativa. Perciò, possiamo accennare ad artisti nelle cui opere vi è
un gran gioco di sguardi. Impossibile non citare “La nascita di Venere” di Botticelli. Proprio questo artista infatti incentrerà i
propri dipinti sui risvolti simbolici degli sguardi soprattutto di donne: la Venere in particolare, pur essendo consapevole della
propria bellezza, tradisce nei propri occhi un lieve velo di malinconia, poiché sa che il dono della bellezza ben presto svanirà,
lasciandola a fare i conti con la vecchiaia. Allo stesso modo. Cito ancora Tiziano, nel suo dipinto “la Venere di Urbino”: la
donna raffigurata, al corrente del proprio fascino, si lascia guardare, si lascia ammirare. Eppure non è passiva, ma dal canto
suo ci osserva, ci fissa con sguardo seducente.
Lucrezia e Selene, I A classico
9
5 anni in poche righe
Francesca 5°A/L
Anche per quest'anno siamo arrivati all'ultimo numero
del nostro giornalino. Questo significa che per me sarà
l'ultimo articolo che scriverò perchè la mia avventura al
liceo sta per concludersi. Il tanto temuto esame di maturità metterà la parola FINE a questi cinque anni di vita in
parte vissuti tra le mura del Porporato. Sembra quasi di
non aver vissuto i timori che hanno accompagnato tutti i
primini al suono della prima campanella del liceo: il
nuovo ambiente, i nuovi professori, i nuovi compagni, le
materie fino ad allora sconosciute e, per chi come me utilizza i mezzi per raggiungere la scuola, l'incognita di
sapersela cavare tra orari e fermate, contando solo su sè
stessi. Tutte le piccole ansie, comprese quelle di mamma
e papà, sembrano essere state cancellate da cinque anni
intensi. La mia vita al Porporato è scivolata via tra molto
impegno e molto studio e un buon numero di esperienze
che hanno contribuito a farmi crescere. Il ricordo corre
subito alla mia pria uscita da
primina: una faticosissima arrampicata che aveva come
obiettivo socializzare con i
nuovi compagni. Da lì in poi si
sono susseguiti il soggiorno studio a Chambéry, un fantastico
soggiorno in famiglia a
Cambridge ed infine la tanto
sospirata gita in Germania che,
seppur con un anno di ritardo, è arrivata ad allietare la
mia primavera da maturanda. Si sono poi distribuite durante gli anni tante altre opportunità: la collaborazione
con questo giornalino, che mi ha fatto scoprire un'insospettabile vena giornalistica; la disponibilità ad un'adozione a distanza, alla quale ha partecipato tutta la classe,
rinnovata ogni anno; la preparazione agli esami di certificazione linguistica; la partecipazione alla trasmissione
televisiva “Per un pugno di libri” che, col sostegno del
nostro professore di italiano e la collaborazione degli altri
insegnanti, ha permesso a tutta la classe di lavorare unita.
Meritano sicuramente un cenno nei miei ricordi le ben
cinque giornate di atletica e le ben cinque corse campestri
che, per una non sportiva come me, sono state affrontate
con grande sacrificio, ma sempre con grande tenacia e
impegno. Tappa fondamentale per chi frequenta il corso
linguistico è stato senz'altro lo spettacolo multilingue organizzato in seconda che ha trasformato tutti noi in attori,
registi e costumisti. Certo in questi cinque anni ci sono
stati anche momenti più difficili, quelli che spesso si
presentano quando è necessario mettere d'accordo le esigenze di più persone. È comunque un bilancio positivo
quello che mi si è presentato alla mente durante la
scrittura di questo articolo: esperienze e opportunità che
si sono fuse e dalle quali spero di aver colto il meglio. Il
prossimo settembre un pensiero correrà ai cancelli di questo istituto che si apriranno alle nuove leve, mentre io sarò proiettata verso chissà quale nuova avventura, sicura
che ciò che ho vissuto e imparato in questi cinque anni mi
accompagnerà per sempre.
Expedite, ho vinto io!!
Cinque anni di Porporato visti da una schiappa
Di Lara De Marchi 3B Cl
Quando sono arrivata qui, lo ammetto, mi aspettavo di trovare Gardaland! Colpa sicuramente di mia sorella che, da inguaribile secchiona, mi aveva preannunciato il liceo classico
come il paradiso del divertimento e dei dieci, e da come ne
parlava lei dietro a quei banchi si faceva solo questo.
Io la vedevo che parlava di quanto non ascoltasse mai dudurante le lezioni e mi sventolava sotto il naso il suo libretto,
e quindi, nella mia testolina presuntuosa, mi prefiguravo già
un futuro radioso. “Può fare di tutto”, “ha un buon cervello” erano le frasi con cui mi avevano salutato le medie, e io
già mi aspettavo un liceo stampo scivolo gigante da
acquapark.
Potete immaginare quanto mi sembrò fredda l’acqua della
piscina quando arrivò il mio primo quattro, di greco
ovviamente, e quando quello chiamò a raccolta tutti i suoi
parenti si raggelò del tutto. E furono lì che cominciarono i
dubbi. Quel dieci che mia sorella mi sbandierava
quotidianamente davanti si fece vedere solo a marzo,
se non contiamo quelli nati dalle somme degli altri
voti! Ragazzi, posso garantirvelo, passare da
secchiona a schiappa è veramente brutto. Prima sei
in continua corsa per lo scudetto, poi arranchi senza
fiato in zona salvezza. All’inizio ti disperi, poi te ne
fai una ragione e poi torni a disperarti! Ed è stato
alla seconda disperazione che ho cominciato a metterci la grinta, a consumare le pagine di quei libri
che non mi entravano in testa, a riempire di post-it
tutto ciò che mi si presentasse davanti, a evidenziare ferocemente tutte le regole che la grammatica ha creato, a sognare
di notte le declinazioni, a farmi flebo di caffè, a maledire con
tutto il cuore quei manuali, il Bottin di greco e l’Expedite di
latino. Non ci crederete, ma è stato proprio in quei momenti
che ho cominciato ad amare ciò che stavo facendo, che ho
capito cosa il Porporato veramente fosse.
Qui non avrei mai brillato, qui avrei imparato ad
accendermi, a lottare in ogni momento per quel tanto agognato sei, a respirare l’aria della sfida. Ci ho messo cinque
anni, ho invocato divinità estinte, inventato rituali propiziatori, odiato tutti coloro che mi trovavo davanti, ma
finalmente ora tutto forse ha un senso. Dentro queste mura
ho trovato degli amici, alcuni sono ancora al mio fianco,
altri mi hanno buttato come carta straccia, ho coltivato
sogni, alcuni senza meta altri nel cassetto, ho riso fino alle
lacrime, ho pianto fino allo spasimo, ho conosciuto idee, ho
confrontato opinioni. Ho conosciuto Nietzsche, ho detestato
Hegel, ho guardato il cielo azzurro della Grecia e maledetto
Platone e i suoi costrutti.
Il bagno all’ultimo piano ormai sa tutto il mio programma di
studi, perché gliel’ho ripetuto alla nausea nei cambi d’ora, e
sa che ho urlato dietro a frasi incomprensibili, scagliato in
aria dizionari, lottato ogni anno dietro alla calcolatrice e ai
suoi problemi.
Questo liceo l’ho vissuto tutto. L’ho occupato, l’ho studiato,
ci ho cantato e ballato dentro, ci ho passato tutti i pomeriggi
possibili, persa dietro a passioni senza regole e a versioni
senza senso.
Continua a pag. 21
10
RAGAZZE SOTTO SHOCK!!!!! :) un’esperienza scolastica
AUTOVALUTAZIONE
Dovessimo dare una valutazione
sulle nostre competenze in termini
di partecipazione, consapevolezza
degli impegni, capacità di rapportarsi con gli altri, di organizzazione e
metodo di lavoro e di studio, potremmo dire che partecipiamo con
attenzione e interesse quando
l’argomento ci piace; durante le lezioni ci piacerebbe intervenire, ma
a volte siamo frenate dalla
timidezza. Nelle varie attività, io
Sara mi impegno in maniera costante, lavoro in modo accurato sia a casa sia a scuola; io Veronica a casa
eseguo gli esercizi, ma non sempre
studio.
A volte, ci dimentichiamo di
rispettare le consegne.
Qualche volta io, Veronica, mi
sento richiamare dall’ insegnante
perché parlo o sono distratta; spesso
io, Sara, mi sento richiamare perché
disturbo e non ho un comportamento adeguato.
Con gli altri io Veronica impiego un
po’ di tempo a fare amicizia e mi
trovo bene solo con alcuni compagni; a me, Sara, riesce difficile fare
amicizia e spesso rimango da sola.
Nell’ organizzazione e nel metodo
di studio e di lavoro, io Sara, faccio
fatica a organizzare e portare a termine un’attività da sola: imparo meglio se lavoro sotto la guida dell’
insegnante e riesco a fare meglio un
esercizio se qualcuno mi aiuta; di
fronte ad un errore di solito chiedo
spiegazioni all’insegnante. Io penso
che gli errori possano aiutarmi ad
imparare.
Ho difficoltà a capire spiegazioni e
ad applicare regole e conoscenze.
Capisco meglio una spiegazione se
è accompagnata da immagini e imparo meglio se provo a ripetere con
le mie parole ciò che ho capito; riesco ad esprimermi meglio se conosco i concetti da utilizzare.
Fuori dalla scuola mi è capitato di
usare e mettere in pratica le
conoscenze acquisite in classe: ad
esempio l’educazione alimentare mi
sta aiutando a riflettere e mi sono
convinta a non mangiare fuori
pasto. A scuola ho imparato a
conoscere il valore del denaro e a
riflettere sul senso della vita.
Quando mi interrogano, riesco ad
esprimermi se l’insegnante mi fa
delle domande; così verifico la mia
conoscenza dei contenuti. Il livello
che ho raggiunto nelle mie
conoscenze secondo me è sufficiente: riesco a svolgere i compiti e le
esercitazioni ma con qualche
incertezza e generalmente ottengo
risultati sufficienti nelle verifiche e
nelle interrogazioni.
Io Sara penso che imparare sia
importante. Io posso imparare anche
se il lavoro è difficile; mi piace capire, fare esperimenti; mi piace
esprimere le mie idee parlando; mi
piace leggere storie e da quest’anno
mi sono iscritta al prestito bibliotecario alla civica dei ragazzi di Pinerolo che frequento spesso. Ciò che
amo di più a scuola è il laboratorio
di pensiero, il laboratorio della
GAM di TORINO, il corso di pattinaggio e l’intervallo.
Io, Veronica capisco meglio una
spiegazione se ascolto con
attenzione e metto in pratica ciò che
ho appreso in classe. Riesco ad
esprimermi meglio se conosco i
11
Chiara Marchisio
concetti da utilizzare e imparo meglio se lavoro con un compagno.
Riesco a fare meglio un esercizio se
vedo come si fa e di fronte ad un errore di solito riprovo con più
attenzione.
Quando l’insegnante spiega, capisco
quasi sempre e nelle attività
didattiche ( esercitazioni, interrogazioni, ecc...), riesco a esprimermi se
l’insegnante mi fa delle domande.
Quando svolgo un’esercitazione
( scritta, grafica, orale, ecc... ), applico generalmente le conoscenze e
le regole, ma desidero avere conferma dall’insegnante.
A scuola riesco a collegare le
conoscenze apprese nelle diverse
discipline, ad esempio tra Storia, Economia e Matematica. Quest’anno
ho imparato a compilare assegni, a
capire come nacquero le banche e a
confrontare i panieri dei prodotti di
periodi diversi calcolando
l’aumento dei prezzi.
Verifico la mia conoscenza dei
contenuti quando svolgo i compiti a
casa e considero il livello dei
contenuti appresi solo sufficiente
( riesco a svolgere i compiti e le esercitazioni ma con qualche
incertezza e generalmente ottengo
risultati sufficienti nelle verifiche e
nelle interrogazioni ).
SARA e VERONICA, 3AS
to
t
o
Primi in Piemonte!
i
c
i
i d Da diversi anni ormai la nostra scuola è impegnata nel campo della sensibilizzazione nei
ra confronti del problema mafioso, e quest’anno si è anche avuta la partecipazione al concorso indetto
p
dall’associazione “Giovanni e Francesca Falcone” che riguarda proprio questo tema: abbiamo dunque
Sointervistato
le due classi + 1 (I B cl e III B Ling + Stefano della IV A Spp) che hanno partecipato al progetto.
Chapeau a tutti per l’impegno e i progetti realizzati, e un complimento speciale alla I B Cl, che è risultata
PRIMA IN PIEMONTE (purtroppo la notizia è arrivata dopo la realizzazione dell’intervista) e si è dunque
guadagnata la minicrociera Genova-Palermo!
In che cosa consiste il progetto? I B Cl: Qualche tempo fa è arrivato nelle classi il bando del concorso indetto
dall’associazione “Giovanni e Francesca Falcone”, che intende premiare i progetti degli studenti riguardo il
problema della mafia in Italia. I lavori potevano avere diversi formati: canzoni, video, racconti, fotografie,
poster, ecc., e saranno giudicati da una giuria. Gli autori dei primi classificati
di ogni regione saranno portati il 26 maggio in nave da Genova a Palermo, dove
sarà premiato il lavoro migliore. Raccontateci il vostro lavoro. I B Cl: Noi abbiamo deciso di unire molti formati: abbiamo realizzato un video in cui un gruppo
di noi ballava su una musica (composta sempre da noi) mentre una voce fuori
campo leggeva un testo. Quest’ultimo è molto breve ma incisivo, e ha la
particolarità di essere in antitesi con ciò che viene mostrato: rappresenta il
punto di vista mafioso, proprio mentre le ballerine del video (con maschera
bianca, in quanto abbiamo pensato che la mafia assoggetta tutti senza alcuna
distinzione) sono “manovrate” dai malavitosi (maschera nera) come dei
burattini. Dopo qualche minuto, una ragazza si ribella al suo burattinaio, ma dato che è l’unica a farlo viene
eliminata dai mafiosi. In questa sequenza il video è in banco e nero. In seguito, le ballerine capiscono che solo
insieme possono combattere il sistema: riescono a slegarsi, a scacciare i mafiosi e a colorare la scena. Stefano: Il progetto mi è stato proposto dalla professoressa Tribolo, ed all’inizio l’idea era quella di far cantare un
testo rap da alcuni miei amici. Tuttavia ci sono stati alcuni problemi ed allora il progetto si è trasformato in
un disegno: vicino al testo che ho scritto c’è la rappresentazione di una persona angosciata con a fianco una
“bestia”, che rappresenta la mafia e sta urlando. Sullo sfondo poi si trovano i ritratti di Falcone e Borsellino e
il cartello dell’autostrada Palermo-Capaci, dove è avvenuto l’attentato. III B Ling: Noi abbiamo preso un lenzuolo bianco, che è il simbolo della protesta contro la mafia, e abbiamo posto su di esso due serie di foto, che
rappresentano il percorso della mafia e quello della vita, in parallelo. Il percorso della mafia poi termina con
una frase di Falcone, che recita: “la mafia è un fenomeno umano, e come ogni fenomeno umano è destinato a
finire”. Le foto sono state tutte scattate da noi, e mentre le foto della vita erano a colori, quelle
rappresentative della mafia erano in bianco e nero. Perché avete scelto di raccontare in questo modo il problema mafioso? I B Cl: Abbiamo scelto questa modalità principalmente perché ha dato a tutti la possibilità di
collaborare al progetto: dato che in classe siamo in molti, in questo modo abbiamo potuto dividerci in
ballerini, coreografi, musicisti e scrittori. Stefano: L’idea iniziale era un testo rap perché avrei voluto
avvicinare la realtà giovanile al problema, soprattutto perché saranno i giovani a doverlo affrontare e
combattere in futuro. III B Ling: Un progetto “materiale” e visivo ci sembrava più incisivo. Inoltre, volevamo
realizzare qualcosa che avesse un impatto immediato nei confronti dello spettatore.
Quale pensate che sia la portata di questo problema oggi? I B: Abbiamo fatto molte
discussioni in classe, anche con la professoressa Turri che ci ha presentato il progetto, e
in più alcuni di noi fanno parte del presidio di “Libera” pinerolese. Per quanto possiamo
dire, il problema mafioso si sente oggi come si sente ormai da tanto tempo, ma la sua gravità sta aumentando: bisogna imparare ad accettare che il mafioso non è più il classico
“boss siciliano”, ma lavora anche in aziende importanti in tutta Italia e in tutta Europa.
Per esempio, l’estate scorsa è stata confiscata una cascina a dei camorristi di Volvera, e i
membri di “Libera” a cui è stata consegnata l’hanno trovata completamente distrutta.
Stefano: La mafia è un problema presente in ogni uomo oggi: nel testo, e anche nel disegno, si parla appunto dell’angoscia che si trova in ogni persona e del fatto che il sistema
criminale è radicato all’interno delle coscienze. Purtroppo forse c’è questa idea generale che sia un problema
legato soprattutto all’Italia meridionale, ma non è così: è qualcosa che è in tutta Italia e in Europa. III B
Ling: Pensiamo che il peso della mafia oggi sia molto grande, e che sia presente in qualsiasi tipo di attività:
per questo è uno dei maggiori limiti all’espressione delle nostre idee. Non ci sono confini di nord e sud o di
nazione, ma siamo tutti dentro questo problema. Pensate che si possa risolvere? Se sì, come? I B Cl:
Principalmente crediamo che si possa risolvere attraverso l’aumento della consapevolezza. Troppo spesso
purtroppo il problema mafioso è visto come distante, ma in realtà è presente, come abbiamo detto prima,
anche in realtà molto vicine a noi. Se ognuno ne fosse consapevole e facesse la propria parte, il sistema della
mafia potrebbe essere distrutto. Per esempio, se tutti sapessero che il mercato della droga è completamente
in mano alla criminalità organizzata ci penserebbero una volta in più prima di acquistarne. Non basta però
semplicemente partecipare alle manifestazioni contro la mafia, serve un impegno sociale più attivo.
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SUPPLEMENTO D’ANIMA
Il gruppo di Amnesty International del Porporato
Non è facile immedesimarsi nelle emozioni e nelle sofferenze
quotidiane di chi ogni giorno vede violati i propri diritti. Amnesty International ha chiesto di provare a farlo, per dare voce
a chi non ha più la forza di parlare, attraverso un concorso rivolto ai ragazzi dai 14 ai 19 anni dal titolo "Raccontare i diritti
umani!" Il concorso è scaduto il 30 di aprile, ma le testimonianze della traccia sono fonte di meditazione e di riflessione
anche per chi non vi ha partecipato. Eccole!
"... prova a scrivere un breve racconto, una poesia o una canzone, ispirandoti a una delle seguenti tracce:
1) Sono Maria. Ho quindici anni e vivo in un campo rom alla
periferia di Roma.
2) Mi chiamo Ehsan. Vivo in Iran e sono omosessuale.
3) Mi chiamo Marisela. Ho ventisei anni. Vivo a Ciudad Juarez con mia madre e mia sorella. Sono stata violentata da un
poliziotto che ora è in libertà.
4) Sono Adrian. Ho venticinque anni. Sono rinchiuso nel carcere russo di Ekaterinburg dove ho subito torture da parte dei
poliziotti.
5) Sono Lubna. Ho cinquant’anni. Vivo in Sudan. Ho osato indossare i
pantaloni e ho subito la pena della fustigazione.
6) Mi chiamo Eric. Ho diciassette anni
e vivo a Bujumbura. Sono orfano e
vivo rubando.
7) Sono Adam. Ho quarant’anni. Vivo
in Somalia. Avevo un terreno ma i
signori della guerra me l’hanno confiscato.
8) Mi chiamo Bahiyah. Ho vent’anni. Vengo dalla Nigeria ma
vivo a Torino dove sono costretta a prostituirmi.
9) Sono Bablì. Ho trent’ anni e vengo dal Mali. Ora vivo a
Milano dove spaccio per mantenere la mia famiglia nel mio
paese d’origine.
10) Sono Sefu. Ho dodici anni. Vivo in Congo. Sono un bambino soldato. A nove anni ho ucciso per la prima volta".
Il Gruppo Libera contro le mafie
Due segnalazioni per questa rubrica di Libera
Il 26 aprile, a Torino, si sono svolte le udienze preliminari
del processo Minotauro. Libera Piemonte ha seguito e continua a seguire con grande interesse l’evento e 4 mesi fa ha preso la decisione di costituirsi parte civile nel processo. La presenza di Libera è molto importante, poichè è l’espressione
della società civile che si pone a fianco di tutti coloro che sono stati lesi da attività mafiose. Libera per bocca della sua
coordinatrice regionale, Maria Josè Fava, si unisce all’appello
del commissario antimafia Roberto Tricarico, auspicando che
altri enti si costituiscano parte civile al processo.
Quest’anno al Liceo "G.F Porporato’’ era stato indetto un
concorso in occasione del ventennale della strage di Capaci,
dove poteva essere presentato qualsiasi lavoro di classe. La
classe I-B classico ha partecipato con un progetto molto interessante, che ha visto la partecipazione di tutti i componenti
in ruoli diversi. La classe, con la supervisione delle professoresse Turri e Nevache, non solo ha partecipato al concorso...
ha vinto! Pertanto una delagazione della I-B si recherà a Palermo. (ndr: resoconto nella pag. precedente)
Stefano: Secondo me il modo migliore di risolverlo è attraverso l’informazione. Anche l’educazione gioca un
ruolo importante: la gravità del problema mafioso deve essere insegnata non solo in famiglia, ma anche
all’interno della scuola, perché è una malattia della società e bisogna distruggerla. III B Ling: potrà essere
risolto solo quando le persone vorranno davvero fare qualcosa per risolverlo. Non serve far parte di cortei ed
associazioni e poi una volta finite queste dimenticarsi completamente del problema. Avete giornali/siti
internet che consigliereste per documentarsi sulla criminalità organizzata? C’è stato qualche dato o aneddoto
che vi ha colpito? I B Cl: Come sito internet c’è quello del presidio di Libera Piemonte, per quanto riguarda i
libri ci sono spesso degli incontri alla libreria “Volare” che riguardano questo tema. Un aneddoto che di sicuro colpisce, e che fa capire quanto la criminalità organizzata sia presente anche al nord, è che il primo comune sciolto per mafia si trova in Piemonte, e non è nemmeno molto lontano da Pinerolo. Stefano: Un fatto che
mi ha colpito è stata la confisca della cascina a Volvera: l’anno scorso mi sono iscritto a Libera, e questa
associazione mi ha aperto gli occhi su quanto la criminalità organizzata sia radicata nella nostra zona. Mi
ha poi colpito l’incontro di Libera a Milano in cui hanno letto i nomi di tutte le vittime di questa criminalità:
siamo stati per più di un’ora sotto la pioggia prima che questa lista finisse. III B Ling: In realtà quello che ci
ha colpito di più è stata proprio la frase di Falcone che abbiamo utilizzato all’interno del progetto. Pensiamo
che sia importante la speranza che questo fenomeno finisca, e inoltre che nessuno sia convinto che sia un
problema solo di altre persone. Un’ultima domanda: supponendo che un mafioso legga queste righe, che cosa
vorreste dirgli? I B Cl: I mafiosi hanno la consapevolezza che quello che fanno è sbagliato, ma per la loro
convenienza preferiscono comunque continuare a farlo. Non crediamo che sia giusto uccidere qualcuno che
non sia d’accordo con te, e nemmeno che sia giusto subordinare il benessere (non solo la vita) delle altre persone alla propria convenienza. Stefano: Secondo me hai perso, perché ti sei fatto divorare da questa bestia
che hai dentro. Anche se ti senti un uomo di successo sei un fallito, e provo pena per te. Sembra quasi che il
tuo interesse principale sia far del male alle altre persone, come se la bestia si cibasse dei sogni degli altri.
In poche parole, mi fai schifo. III B Ling: Dovrebbe capire che ciò che fa danneggia tutti, e che alla fine non
porta dei vantaggi nemmeno a lui: questo sistema non fa altro che portare sofferenza.
Lorenzo e Stefano, II A Cl
13
Dedichiamo queste pagine ai soggiorni-studio, fiore all’occhiello del linguistico
Quelle chance cet échange !
È domenica mattina del 25 marzo, finiamo i preparativi, e siamo pronti alla partenza prevista per le 14 del
pomeriggio stesso... L' adrenalina scorre nel corpo, le emozioni e i timori anche, ma noi ...siamo felici,
euforici. Il nostro primo scambio insieme, la 2 D linguistico, 22 ragazzi, 22 amici.
Eccoci, tutti nel contro viale della stazione, siamo pronti a partire ! Abbiamo delle valigie grandi, enormi,
e noi, tra un abbraccio ai genitori e una foto ricordo della partenza iniziamo a salire su quel piccolo pullman.
Dopo 4 ore di viaggio, il tanto aspettato arrivo al liceo francese. Le “nostre” famiglie erano lì ad
attenderci, e come pacchetti ci hanno prelevati. Abbiamo passato una settimana fantastica, immersi nella
lingua e nella cultura francese. Abbiamo visitato musei, frequentato le lezioni con gli studenti francesi e
abbiamo oltretutto avuto modo di imparare meglio la lingua.
È stata un' esperienza fantastica, sia a livello istruttivo, sia per le uscite e le attività divertenti che abbiamo
fatto. Ci siamo trovati tutti molto bene nelle famiglie, tant'è vero che il sabato mattina, il 31 marzo alle
ore 9, quando dovevamo partire e dire ai nostri corrispondenti e alle “nostre” famiglie Arrivederci o magari Addio è stato molto difficile. Abbiamo vissuto con loro una sola settimana, ma è bastata a far nascere
forti legami di amicizia. Piangevamo quasi tutti, sapevamo che
un' esperienza così fantastica sarebbe stato difficile riviverla.
Erica Jazbec 2DL
Il mio soggiorno in Svizzera
Sion –Savièse
28/01/2012
05/04/2012
Mi ricordo ancora il primo lunedì mattina al “Lycée Collège De La Planta”…avevo
un appuntamento con il preside, il vice preside e con Mme. Maschietto, la
professoressa che si occupa di tutti gli scambi. Ho avuto immediatamente una
buona impressione, un po’ come fossi a casa. Alle 8.20 è il momento di entrare
nella mia nuova classe e seguire la prima lezione; penso che sia in quel momento che il mio soggiorno è davvero iniziato. Ho avuto la
grande fortuna di essere accolta subito e da tutti come un’amica e non come una straniera, ho cominciato a parlare con l’uno e con
l’altro e dopo una settimana ero già amica con tutti, sentivo di cominciare a far un po’ parte della 2C.
Certo, non era tutto così semplice! Le prime settimane sono state abbastanza difficili: dovevo integrarmi nella mia famiglia, nella
mia classe, presentarmi ai professori, cercare di capire il più possibile, fare i compiti e le verifiche …tutto allo stesso tempo !
Senza contare che c’erano delle lezioni che capivo (per esempio storia, francese e inglese) e di cui avevo già trattato gli argomenti
nel mio liceo, ma c’erano anche le lezioni che non capivo bene, a causa del modo di parlare del professore (matematica),
dell’argomento troppo difficile (tedesco) o semplicemente perché non amo molto la materia (geografia)
Ciò che è stato anche molto interessante al di fuori delle lezioni è l’organizzazione del liceo, che per alcune cose è completamente
diversa dalla nostra: mentre il “liceo Porporato” è solo un liceo, una scuola, il “lycée La Planta” può essere per gli alunni un po’ come una seconda casa….dalle sette del mattino, fino alle diciannove la sera si può restare nel liceo, in biblioteca per esempio o ai
numerosi tavoli della hall, per fare i compiti o leggere un libro. Il liceo è inoltre fornito di una mensa, molti laboratori di chimica,
biologia, informatica ecc…e (cosa che da noi è completamente diversa) delle “salles d’examen” , ovvero, le “classi di verifica” .
Noi siamo abituati a fare le nostre verifiche in classe, da loro è il professore che deve scegliere un’aula, tra le due disponibili, per la
sua classe.
Concludendo, questa esperienza scolastica mi ha aiutata a capire che la scuola non è dappertutto la stessa e che possono esistere
modi diversi di organizzare le cose, senza essere l’uno più giusto dell’altro, e perché no, mi ha aiutata anche ad apprezzare di più
certe che cose che credevo scontate e a trovare delle idee per migliorarne delle altre.
Ilaria Tuninetti 3 BL
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È noto che il miglior modo per apprendere una lingua sia quella di vivere, anche se per un breve periodo di tempo, in un Paese in
cui la si possa parlare. Se a questo aggiungessimo la presenza di persone della nostra stessa età, quest’esperienza diventerebbe
decisamente unica.
Ed è proprio quello che è successo a noi nel mese di marzo, grazie all’opportunità che la scuola offre ogni anno ad alcune classi
del Linguistico. La nostra classe, infatti, ha avuto la possibilità di prendere parte ad uno scambio con alcuni studenti del Liceo
“Edouard Herriot” di Voiron, una città non molto lontana da Grenoble nella regione Rodano-Alpi.
Il primo impatto con i corrispondenti non è stato positivo per tutti. Prima di scendere dal pullman, alcuni di noi avevano paura di
dover trascorrere una settimana con gente sconosciuta, non sapendo soprattutto il modo in cui comportarsi con la famiglia
ospitante. Ma questa situazione è potuta migliorare facilmente, cominciando a far conoscenza e stringendo amicizia. Non si può
nascondere il fatto che, il giorno dopo il nostro arrivo in cui ci ritrovammo davanti al liceo per iniziare le lezioni, non fossimo
felici di rivedere i nostri compagni di classe. Infatti dimostrammo così tanta gioia da attirare l’attenzione degli altri studenti francesi che, da quel giorno, ci chiamarono semplicemente “les italiens”.
Gli studenti della classe 2El
IL MIO SOGGIORNO IN SVIZZERA
Durante il soggiorno di media durata in Svizzera
ho avuto l’opportunità di entrare a contatto con
una società completamente nuova ed interessante. Ho vissuto per dieci settimane in una famiglia che abitava a Savièse, un piccolo villaggio
di 6000 abitanti, nel cantone Vallese della Svizzera francese. Io, come stipulato in precedenza
dagli accordi tra il professor Guillot e la professoressa Maschietto della Svizzera, avevo già
ospitato nei mesi di ottobre, novembre e metà
dicembre, la mia corrispondente, Maelle.
Fortunatamente i suoi famigliari erano già abituati ad avere
corrispondenti e ragazzi alla pari in casa e perciò non ho
riscontrato alcun problema di tipo relazionale. Con questa
famiglia sono riuscita ad applicare molto bene la lingua
francese perché, essendo già abituati a situazioni del genere,
sapevano come prendermi, e, avendo comunque una buona
base di francese, sono riuscita a farmi capire già dall’inizio.
Per quanto riguarda la mia vita a Savièse, ho avuto
l’occasione di conoscere gran parte delle persone del paese
grazie a delle serate che la madre della mia corrispondente
organizzava per integrare gli immigrati.
Questi appuntamenti erano molto interessanti perché erano
organizzate dalla chiesa ed illustravano inizialmente le vite
dei personaggi che presentavano e poi veniva allestito un
banchetto con le pietanze tipiche dei paesi illustrati. Inoltre
ho avuto l’opportunità di assistere alle numerose feste di
carnevale organizzate nei vari paesi. Esse erano composte
da balli, sfilate, banchetti e molta euforia. Il carnevale da
loro inizia il giovedì e si conclude solamente il martedì seguente con la festa più colorata e particolare a Miège. Sfortunatamente, data la mia partenza, non ho potuto festeggiare
Pasqua insieme a loro ma sono riuscita comunque ad imparare moltissime cose a proposito delle loro tradizioni e
festività religiose.
In effetti sono soliti festeggiare nel mese di giugno/luglio la
Fête-Dieu, una festività conosciuta da tutto il mondo, ma
che in Svizzera è conosciuta come quella di Savièse.
Ho avuto modo di studiare questa tradizione e ciò che mi ha
colpita di più è la presenza di molto spirito di iniziativa e
molta voglia di partecipazione da parte dei giovani.
Per di più, grazie alla bellezza e alla disponibilità di innumerevoli piste sciistiche, ho anche imparato a sciare in sole
tre lezioni.
Per quanto riguarda i cambiamenti tra Italia e Svizzera, ho
notato che i pregiudizi che noi abbiamo verso gli svizzeri in
15
realtà
hanno
basi
fondate. I
pullman
sono
sempre e
perfettamente in orario, sempre puliti e ben organizzati; la
mentalità delle persone è molto rigida, dedita al lavoro e si
tramanda che in ogni svizzero in realtà vi sia un poliziotto.
Inoltre è molto evidente che si riponga molta più responsabilità nei bambini forse anche per il fatto che non sono
frequenti furti, sequestri o problemi di questo genere.
Oltre a questo le persone sono molto ecologiste; per esempio molti uomini d’affari, maestre e molti bambini girano
per la città con il monopattino per non inquinare troppo
l’ambiente e per destreggiarsi più facilmente nel traffico.
Infine, per quanto riguarda il sistema scolastico, non ci sono
enormi differenze dal nostro; le classi non usano fare come
nelle scuole americane, dove gli studenti cambiano aula e i
professori rimangono stabili, ma fanno esattamente come in
Italia; le differenze fondamentali sono nella durata delle ore,
45 minuti ciascuna, nella ripartizione delle ore durante la
giornata e nei metodi di valutazione.
In effetti gli studenti vanno a scuola quasi tutti i giorni fino
alle 4 e mezza, ma comunque hanno pause molto lunghe
nell’arco di tutta la giornata. Per quanto riguarda le valutazioni vengono valuti su una scala dal 2 al 6 a differenza
dell’Italia.
In conclusione posso affermare che questo soggiorno di
media durata mi ha aiutato molto nell’ applicazione della
lingua francese,ma mi ha anche dato la possibilità di relazionarmi con persone di culture differenti e soprattutto con
abitudini diverse dalla mia, ma tutte positive.
Giulia Paschetta 4CL
Per motivi di tempi di stampa non è stato possibile dar
conto del soggiorno della II B L, a Tarare (Lione). Il
soggiorno s’è concluso il 12/5
Artisti e campioni tra noi
Tre secondi e... Goal!
Eccoci il nostro consueto appuntamento con gli sportivi del Porporato! Abbiamo intervistato Martina Barral,
pallamanista della 4B pedagogico.
Come/quando hai iniziato a giocare a pallamano?
Ho iniziato a giocare a pallamano in prima media, quando la scuola media che frequentavo (la”Brignone”) aveva una squadra
per le gare sportive con le altre scuole della zona. A livello agonistico, visto le poche squadre nella zona, ho dovuto aspettare la
terza media quando insieme ad altre ragazze appassionate di pallamano ci siamo unite e abbiamo fatto una squadra.
Secondo te come mai è uno sport poco conosciuto e praticato in Italia?
Gli unici sport che si possono definire seguiti e conosciuti in Italia sono il calcio per i maschi e la pallavolo per le femmine, già
molto meno il basket e solo negli ultimi anni il rugby. Gli altri in parte non sono neanche considerati se non in eventi come le
Olimpiadi o i mondiali. Tutto ciò che viene trasmesso in televisione è strettamente legato agli sport detti prima, solamente
pochi canali e non i principali trasmettono partite di pallamano come di altri tantissimi sport, e tutto ciò è molto penalizzante.
Non molti come detto sono a conoscenza di questo sport; e allora puoi spiegarci come si gioca a pallamano? Quali sono
le regole fondamentali?
Innanzitutto questo sport mette a confronto due squadre di sette giocatori (sei giocatori più il portiere). Il campo è costituito
dalle due aree dei rispettivi portieri; la linea dei nove metri da dove vengono battuti i falli e la linea di centro campo. La partita
è suddivisa in due tempi di trenta minuti ciascuno e lo scopo del gioco è segnare più punti possibili.
Le regole più importanti sono: il pallone non può essere tenuto per più di tre secondi in mano, non si possono fare più di tre
passi consecutivi senza passarlo ad un altro giocatore o farlo rimbalzare e non si può smettere di palleggiare e ricominciare
senza averla passata. Nessun giocatore può entrare nell'area del portiere e nei falli più gravi vengono concessi i rigori che si
battono dai sette metri.
È impegnativo conciliare allenamenti con gli impegni scolastici? Quanto ti alleni alla settimana?
Conciliare impegni sportivi con impegni scolastici non è mai stato molto impegnativo, so gestirmi molto bene. Credo che
dopo anni che giochi trovare il giusto orario sia per una cosa che per l'altra venga automatico. Quest'anno mi alleno due volte
(martedì e venerdì) a settimana per due ore.
Sabrina Circosta, 4B Pedagogico
E siamo a cavallo!
Un altro sport poco noto è l’equitazione. Spazio a Marta Grondana, l’amazzone della 1°A
classico.
Allora Marta, come ti sei avvicinata all’equitazione?
Ho iniziato questo sport a 7 anni, grazie ai miei genitori che, data la mia passione per i
cavalli, avevano deciso di regalarmi alcune lezioni di prova. Non immaginavo che non
avrei più smesso!
Dopo tutti questi anni di allenamento, hai già gareggiato a livelli agonistici? E se si, in che tipo di competizioni?
Certo che si, sono quattro anni ormai che partecipo a gare di salto ostacoli. Con la mia cavalla siamo riuscite a gareggiare
nella categoria B110, cioè gare in cui l’altezza massima degli ostacoli è un metro e dieci.
Prima invece facevo gare con i pony, con cui sono riuscita a vincere i campionati regionali.
In tutto questo tempo immagino tu abbia costruito un rapporto particolare con la tua cavalla, non è così?
A dir la verità gareggio con questa cavalla solamente da un anno ma devo ammettere che nonostante ciò, in questo anno, abbiamo creato una buona intesa fra noi. Prima, infatti, montavo un pony che avevo in affidamento ma che ho dovuto lasciare
per passare a cavalli più grandi.
Com’è stato per te questo passaggio?
È stato ottimo! Diciamo che pony e cavalli sono completamente diversi, sia come gestione che come movimenti. Mi
aspettavo un passaggio molto più difficile, ma sono sicura di poter dire che apprezzo molto di più montare la mia cavalla che
un pony!
Permettimi un’ultima domanda, quali sono per te i pro ed i contro di questo sport? E soprattutto lo consiglieresti ad
altri?
Vi sono tanti pro quanti contro. Sicuramente uno dei pro è la sensazione di libertà che si prova quando si è sul cavallo. Un
altro magnifico elemento è il rapporto che si instaura fra il cavallo ed il cavaliere che li porta ad intendersi anche solo
attraverso minimi gesti.
Andare a cavallo, a mio parere, insegna anche ad essere responsabili, dato che un cavallo necessita di molte cure ed
attenzioni.
I contro penso siano più che altro fisici. Anche se può non sembrare così, andare a cavallo può essere veramente pericoloso
( io per esempio mi sono rovinata il ginocchio). Inoltre esistono anche dei contro sul piano affettivo, quando per esempio
bisogna lasciare un cavallo con cui si era raggiunta una certa affinità.
Sicuramente io consiglio questo sport a tutti quelli che hanno voglia di impegnarsi in qualcosa che sarà davvero importante
nella loro crescita.
Grazie mille del tempo che ci hai dedicato e buona fortuna per tutte le tue gare future!
16
Giornata di atletica
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In generale nella giornata tra le tante specialità e tanti partecipanti è stata notata un po’ da tutti Salvai Cecilia che nella
staffetta di classe ha eseguito uno scatto velocissimo. Infatti ha permesso alla squadra che gareggiava con lei di passare
dall’ultimo al primo posto, erano tutti stupiti.
Che dire? I dati
parlano da soli, sono stati sicuramente bravissimi, e forse il Sole
ha dato una mano per il conseguimento di questi bellissimi
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Stano Serena e Messina Sandra
17
Ghiaccio al sapore di cloro
Secondo fischio. Salgo sul blocco e
osservo colei che mi ha fatto compagnia
per molte ore in tutti questi anni e che ora
si è trasformata nella mia peggior rivale.
L'idea che tra pochi istanti saremo
solamente io e lei, l'acqua, mi provoca un
brivido lungo tutta la schiena che
distoglie per un secondo la concentrazione sul mio obiettivo primario: qualificarmi per le finali che si svolgeranno nel
pomeriggio. Al via scatto automaticamente in avanti e poco dopo mi ritrovo in
acqua. Da quel momento tutte le mie preoccupazioni si sono dissolte e l'unico mio
pensiero è di dare il massimo per raggiungere l'obiettivo per cui ho speso ore e
ore di allenamento. Sento braccia e
gambe doloranti, il fiato divenire man
mano più affannoso e l'arrivo mi sembra
sempre più lontano. Quando la mia mano
tocca il muretto del traguardo, sono esausta, guardo immediatamente l'ordine d'arrivo sul tabellone e realizzo affranta che
non ho concretizzato la meta cui mi sono
prefissata.
Punteggio:50.20. L'atleta prima di me
ha appena terminato la sua
esibizione e ora è arrivato il mio momento. Ripasso velocemente tutti i
dettagli della coreografia e mi
concentro sull'obiettivo su cui lavoro
da diversi mesi. Lo speaker annuncia
il mio nome, entro in pista e dopo
qualche istante sento le prime note
della musica che mi accompagnerà
per tutta l'esibizione. La tensione
all'inizio è molto alta, ma dopo il
primo salto eseguito alla perfezione,
riesco a controllarla meglio. Rivolgo
lo sguardo verso il mio allenatore
che, grazie alla sua solita
compostezza, riesce a trasmettermi
un senso di sicurezza. Eseguo altri
passi, salti e trottole previsti nella
coreografia con molta precisione,
concentrandomi sui diversi elementi
che devo svolgere. Con la coda
dell'occhio vedo sulle tribune tutte le
persone a me più care che sono qui
apposta per me perché sanno che
tengo molto a questa gara.
Quell'attimo di distrazione causa un
errore nel momento più importante
dell'esibizione, provocando in me un
senso di smarrimento. Invece che
provare a rimediare nei passi
successivi, continuo a pensare a quel
singolo sbaglio, determinando così
negativamente l'esito della gara. Finita la coreografia aspetto il punteggio
da parte della giuria, sapendo però
che non sarà all'altezza delle mie
aspettative. Il risultato è, come previsto, disastroso e tutte le mie speran-
ze sono vanificate.
Esco sfinita e amareggiata dalla vasca e
vado dalla mia allenatrice per sentire il
suo giudizio e capire dove avevo
sbagliato. Quella delusa non sono
solamente io, anche lei aveva delle aspettative molto alte nei miei confronti: riesco a capirlo dalle sue parole. Mi corregge qualche errore tecnico e poi cerca di
incitarmi a non mollare, nonostante la
gara andata male.
Mi dirigo verso il mio allenatore
insoddisfatta per il risultato ottenuto e
allo stesso tempo impaurita dalla sua
prevedibile reazione. Mi domanda cosa mi passa per la testa dopo tutto
l'impegno impiegato e i sacrifici fatti.
Non so davvero cosa rispondere, so
solamente che mai avrei immaginato
di provare una delusione così grande.
La mia allenatrice è sicuramente una figura di riferimento ed ogni suo consiglio
o parere è molto prezioso, infatti cerco
sempre di concretizzarlo. Capita però che
lo sconforto per una competizione andata
male sia talmente grande da mettere in
dubbio le ragioni che mi spingono a
sacrifici quotidiani, anche relativamente
agli impegni scolastici. Incastrare sport a
livello agonistico e scuola non è infatti
semplice e richiede davvero molti
sacrifici. Per questo, talvolta, mi soffermo a pensare alle motivazioni che mi
portano ad affrontare tutti questi sforzi
ogni giorno, soprattutto paragonando il
mio “stile di vita” a quello della maggior
parte dei ragazzi della mia età.
Dopo aver ascoltato le urla e le critiche del mio allenatore, il mio
sconforto e la mia delusione sono
aumentati. A cosa è servito tutto ciò?
Ore e ore passate sul ghiaccio, tante
rinunce e sacrifici fatti per quest’unica
gara per poi vanificare tutto a causa
di una distrazione. Sarebbe molto più
semplice se non dovessi affrontare
tutti i giorni questo grande impegno,
potrei dedicare più tempo al
divertimento e agli amici.
“Non ho alcuna intenzione di mollare, di
buttare via tutto il lavoro fatto, di
arrendermi nonostante le tante delusioni
ricevute e soprattutto di abbandonare una
passione che coltivo ormai da molto
tempo. Devo lottare con le unghie e con i
denti per raggiungere il mio obiettivo.”
Sento il fischio del giudice e salgo sul
blocco di partenza, la tensione è tanta, ma
la determinazione nell’ottenere
finalmente un risultato soddisfacente prevale su ogni altro timore. Guardo davanti
a me e vedo il luccichio provocato dal
riflesso del sole sull’acqua che assomiglia
quasi ai movimenti di una danza. La
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riconosco, ora so di essere finalmente a
casa e non la vedo più come una rivale,
ma bensì come un’alleata. Fischio di partenza, ora comincia la sfida, ma non con
le mie rivali, con me stessa, devo riuscire
a dimostrare quanto realmente valgo.
Nuoto pensando solamente alla rabbia
provocata da quella gara andata male
riuscendo a mettere la fatica in secondo
piano. L’arrivo è li, a quindici metri da
me, sono esausta, ho braccia e gambe
infuocate per lo sforzo, ma non mollo,
questa volta no. Giunta al traguardo osservo immediatamente il risultato della
gara sui tabelloni: ce l’avevo fatta, avevo
vinto. Ma non perché ero arrivata prima,
nemmeno seconda ne tanto meno terza,
avevo vinto la sfida con me stessa, avevo
superato timori e difficoltà e migliorato il
mio personale. Ero soddisfatta di me stessa pur non avendo una medaglia al collo.
Il mio allenatore mi ha sgridato molto,
ma non mi devo tirare indietro. Devo
concretizzare i suoi consigli e
dimostrare a tutti, ma in primo luogo a
me stessa, di cosa sono capace.
Entro in pista , questa volta il ghiaccio
sotto di me non mi spaventa, anzi mi
rassicura, quasi fosse una madre,
un’amica o una sorella cui so di poter
far affidamento. Lo speaker annuncia
l’inizio della mia esibizione. Trottole,
salti, passi tutto va come deve andare, invece di concentrarmi
unicamente sul risultato finale, penso
prima di tutto a divertirmi
trasmettendo la mia passione per
questo sport ai giudici che mi
osservano attentamente. Finisco la
gara soddisfatta, perché finalmente
ero riuscita a vedere il pattinaggio
non più come un dovere ma come
una passione.
Quando gli impegni scolastici
richiederanno più tempo, dovremo
abbandonare le nostre passioni, ma
ciò non significa che tutte le ore
spese ad allenarci siano state inutili.
Lo sport infatti, ci ha insegnato a
perseguire un obiettivo e a non
arrenderci fin quando non l’abbiamo
raggiunto, nonostante gli ostacoli che
si possono incontrare. Ci ha
insegnato a combattere piccole
battaglie quotidiane, non solo contro
le nostre avversarie ma anche contro
noi stesse. Ci ha insegnato a rialzarci
dopo una sconfitta e a ricominciare a
lottare. Ma soprattutto ci ha insegnato
a mettere sempre il cuore in ciò che
facciamo, credendoci fino infondo.
Beatrice Martin e Alice Rossanese
IPSE DIXIT
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Ragazzi ma scusate,io abito in palestra tutti i giorni. (Martinale)
Allora le prime due colonne sì facoltamente la terza. (Usseglio)
Fra tutti quelli che risponderanno entro cinque minuti sarà sorteggiata una lavatrice usata.(Baraldi)
Bravi ragazzi vi siete fatti gabbare da Gabbio.(Gabbio)
A quanto pare io e Albarello siamo come Stursky e Hutch oppure Stanlio e Onlio,
dipende dai punti di vista. (Borghese)
Stiamo parlando di turchi ottomani che non sono una specialità di scimmie con otto
braccia.(Baraldi)
Quel giallino color cacca di piccione malato è la nuova conquista di Cesare.
(Gabbio)
Qui invece ci sono i centauri che non sono metà uomo e metà motocicletta.(Baraldi)
….E vengono morsi dalle arpie che non sono le vostre amiche antipatiche.(Baraldi)
Se i voti sono abbassati vediamo di salirli.(Maressa)
Dubito quando gli stupidi fanno cose intelligenti…ti destabilizza la cosa. E’ un po’
come vedere il tuo gatto che si mette a cucinare. (Borghese)
Io non sono multitasking,io sono onetasking,riesco a tirare fuori una cosa alla volta dalle tasche. (Catasso)
A mio figlio di sette anni gli abbiamo…veramente sa che glie l’ha portato Babbo Natale,comunque ha ricevuto l’I-PED.
(Catasso)
Il linguaggio che utilizza in questo…ok c’è qualcuno che mi sta ascoltando? No,così per sapere.(Picotto)
Va bene passila ad Angela. (Priolo)
E poi subentra la vecchiezza. (Picotto)
Sarti leggi la seconda senza parlare. (Maressa)
A lei non cambia niente perché Ulisse non è ancora tornato,sto coppolone.(Gabbio)
Bongioanni (quasi al termine della lezione): "Ragazzi ma la smettete di fare lo zaino?? Dovete per caso guidare il pullman?!
Priolo:" Come diresti un euro in inglese?"
Alunno. " Prof, ma è una domanda tranello, vero? Perchè in Inghilterra
non esiste l'euro.."
Un odore di disinfettante la circondava e le lenzuola rigide toccavano la sua pelle, infastidendola, ma era un bene,
significava che lei, Monique, era viva, significava che l’uomo cattivo non l’aveva uccisa.
<<Si sveglierà? È in coma ormai da tre giorni…>> sentì la voce di Paul chiedere a qualcuno nella stanza.
No, non voleva fare preoccupare il fidanzato e suoi genitori, non desiderava che il fratellino si dimenticasse di avere
avuto una sorella viva e non un essere più simile a un vegetale che a un essere umano. No! Doveva svegliarsi!
Apri gli occhi e il buio l’avvolse, sbatte le palpebre ma lo scenario non cambiò.
<<Clio, va a chiamare i suoi genitori, la mia ragazza si è svegliata.>> Paul si rivolse a lei <<Finalmente, eravamo tutti
preoccupati. Come va amore?>> Monique non rispose.
Se il suo fidanzato e Clio erano lì significava che era giorno, perché non vedeva nulla? Perché solo il buio? Era salva, ma
qualcosa non andava. Poi la realtà le cadde addosso, pesante come un macigno. Era diventata ceca.
•
Qual odore nauseante, tipico degli ospedali, lo infastidivano e odiava aver dovuto aspettare per ore che fosse iniziato
l’orario per le visite, ma infondo, non le importava.
Voleva solo accertarsi che Monique, la sua ragazza, stesse davvero bene, dopotutto era viva per miracolo.
La ragazza apri gli occhi e vide un soffitto bianco e finalmente entrambi trassero un sospiro di sollievo, per fortuna era
viva e stava bene.
•
Un dolce profumo, si percepiva nell’piccolo locale in cui si trovava, sulla sua lingua, un sapore aspro simile a quello della
caramella al limone che aveva mangiato la sera precedente, prima di andare a dormire.
Monique urlò, e fradicia, si alzo a sedere. No! Non era morta. Era ancora viva e vegeta.
Infondo aveva ragione sua madre. Era meglio che la smettesse di guardare film Horror prima di andare a dormire.
•
La pioggia cadeva fitta e la bara in mogano scese a fondo nella fossa. Le lacrime velavano i visi delle sue amiche e delle
sue ex compagne di classe. La madre nascosta in un angolo, in preda ai singhiozzi, stringeva a se suo figlio.
<<Mamma, quando torna a casa mia sorella?>> chiese innocente e curioso il bambino, generando, così, un'altra pioggia di
lacrime, sulle guance della donna.
<<Non torna …>> mormorò Paul.<<Non torna…Monique, è andata in paradiso.>>
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Ban
Concorso Cortometraggi
Il Liceo Porporato ha 150 anni, ma non li dimostra
In occasione delle celebrazioni per il 150° dalla sua fondazione, il Liceo Porporato bandisce un Concorso per Cortometraggi dal
titolo “Il Liceo Porporato ha 150 anni ma non li dimostra”:
1. Il concorso è aperto gli allievi iscritti al Liceo Porporato nell’anno scolastico 2011-2012 che vi parteciperanno in gruppi di
tre studenti. Ogni gruppo ha la facoltà di presentare un’unica opera filmata.
2. Il tema a cui attenersi è : “Il Liceo Porporato, una finestra aperta sul mondo”.
3. Le opere dovranno essere conformi ai seguenti parametri:
a. Cortometraggio di fiction compreso tra 8 e 10’
b. Lingua prevalente: italiano, ma possono essere inseriti anche testimonianze o documenti in lingua straniera
4. Saranno ammessi al concorso solo film completi della “Scheda di presentazione” allegata al presente bando, che dovrà
pervenire alla Presidenza del Liceo Porporato entro il 31/05/2012 nella quale dovranno essere indicati chiaramente nome e cognome degli autori, classe e Indirizzo frequentati, dati anagrafici, residenza, reperibilità.
5. Le opere dovranno essere presentate su supporto digitale dvd o cd in formato video. I materiali dovranno essere consegnati
entro il 30/09/2012, in involucri non deformabili, alla Presidenza del Liceo Porporato, via Brignone, 2, Pinerolo. Sul supporto
dovranno essere indicati chiaramente titolo dell’opera e nomi degli autori. Le spese di realizzazione dei materiali saranno a carico dei partecipanti.
6. Il Comitato organizzatore declina ogni responsabilità per eventuali danni alle opere durante la proiezione.
7. I materiali non saranno restituiti ed entreranno nel patrimonio della Mediateca del Liceo Porporato che li terrà a disposizione
di chi ne abbia interesse.
8. La giuria effettuerà la preselezione delle opere per verificarne preventivamente e a suo insindacabile giudizio la rispondenza
al tema e la realizzazione tecnica.
9. Le opere preselezionate saranno proiettate durante le celebrazioni per il 150° del Liceo Porporato che si terranno a Pinerolo
dal 10 novembre 2012. Una giuria di esperti, i cui nominativi saranno resi noti in seguito, selezionerà tre cortometraggi che saranno premiati durante la cerimonia di chiusura.
10. La partecipazione al concorso è gratuita.
11. Gli autori sono responsabili dei contenuti delle opere inviate e della diffusione – per mezzo di esse – di musica non
originale protetta da diritti d’autore e di musica e/o immagini originali.
I partecipanti al concorso autorizzano l’Ente organizzatore (Comitato Porporato 150), ai sensi della legge 675/1996, al trattamento dei dati personali e ad utilizzare il loro nominativo e relativo indirizzo per gli usi connessi alla manifestazione. Il titolare
dei dati personali inviati sarà l’Ente promotore.
La partecipazione al concorso implica l’accettazione integrale del presente bando. (le schede di presentazione sono reperibili
online all’indirizzo: http://nuke.liceoporporato.it/Portals/0/Aprile 2012/allegati_concorso_150anni.doc)
Concorso fotografico
“Porporato in gita in 5 foto”
È stato indetto il concorso fotografico “Porporato in gita in 5 foto” aperto a tutti gli studenti
dell’Istituto. In palio per i vincitori ci saranno buoni per l’acquisto di libri e stampa in grande formato delle proprie fotografie.
Per partecipare occorre inviare 5 foto, poste in sequenza per
raccontare “… una storia significativa della gita” all’indirizzo mail
[email protected] entro il 22 maggio 2012.
Il nome del file di ogni foto dovrà essere un codice identificativo composto dalle prime 3 lettere del cognome, le prime 3 lettere del nome ed il numero progressivo
come nell’esempio : (Foto di ROSSI MARIO) = ROSMAR1, ROSMAR2, ecc.
Per ulteriori informazioni rivolgersi ai proff. Ameglio e Boasso.
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llo
Appe
Strappa una pagina della tua agenda
e donala all’Associazione Ali d’Argento
(www.alidargento.org/)
L’Associazione Ali d’Argento è formata da genitori del Pinerolese che
hanno perso i figli in un incidente stradale.
Questa Associazione ha deciso di donare alla città di Pinerolo un
monumento sull’incidentalità stradale e la vita.
Parte di quest’opera verrà realizzata riportando in modo amplificato la
pagina di uno scritto giovanile, che può essere un post-it, un semplice
foglio, un ritaglio, un pezzo di carta qualsiasi… che contenga un
qualunque pensiero, quello che si vuole o piace (non inerente al tema)
Questo foglio deve appartenere alla propria quotidianità e dovrà rimanere anonimo.
Lo scultore ha fatto appello al nostro Liceo per una collaborazione di noi
studenti alla realizzazione dell’opera.
Chi vuole collaborare e donare una pagina del proprio diario o qualsiasi
altro scritto, anonimo, può depositarlo nella scatola azzurra che si trova
in Centro Stampa (1 piano) della sede del Liceo.
Grazie per la collaborazione!
*
Il progetto è realizzato con il patrocinio del Comune di Pinerolo
Lo ammetto, sono passati tanti anni, tante verifiche e tante pagine, ma il perfetto (di greco) non l’ho ancora imparato.
Eppure, tra tutti i ragazzi da dieci che conosco, dubito che ci sia qualcuno che ha capito il greco come l’ho capito io, che
ha amato il latino quanto l’ho amato io. In cambio conosco criceti che capiscono la matematica meglio di me! Tutte le ore
passate sui libri, tutti i post-it, tutte le versioni sbagliate mi hanno insegnato cose che chi non ha mai rischiato non capirà
mai.
Poiché non mi entravano, ho studiato quelle lingue fino a quando si è capovolto il tutto: non ero più io a studiare loro, ma
loro a parlare a me. E quando questo è cominciato, mi si è aperto un mondo. Quei libri che avevano attentato alla mia sopportazione mi hanno rivelato delle bellezze che nessun altro può capire. Mi hanno insegnato il significato di un amico, e
senza Cicerone non avrei mai scoperto che tesori mi circondano, mi hanno mostrato la natura, la gioia, che non si B
può
ancado
pire la bellezza della luna senza aver parlato con i versi di Leopardi, che non si riescono a concepire l’odio, la passione, se
non si respirano le parole di Euripide, che non si ama il mondo se non si vive negli scritti di chi lo ha già capito.
Questo mi ha insegnato il Porporato, e gliene sarò in eterno grata. Mi ha insegnato a lottare, e a capire in fondo qual è il
traguardo: non era quel dieci (che comunque non fa schifo), era l’universo che si celava in quelle lettere!
Mi ha insegnato che, in fondo, il mondo è una versione: incomprensibile e destinata alla tragedia, ma aperta a infiniti significati diversi, in cui puoi perderti seguendo l’alito delle parole, in cui il risultato può essere visto solo alla fine, e di sicuro non da noi.
Il mondo è incomprensibile, è ostico, è solo eccezioni e niente regole, ma non è un ostacolo insormontabile. Come una versione, può essere affrontato se si possiedono le armi giuste.
Il foglio protocollo ora è la strada, la penna le mie azioni, il vocabolario tutti i miei sogni, che mi spiegano come sopravvivere, ma la cosa più importante è la grammatica, che non mi è mai entrata in testa, e di cui ora capisco il senso. La
grammatica tutta è la mia vita, le mie esperienze, le mie regole, le mie paure, le mie incertezze, tutti i caffè nelle mie vene,
tutte le mie lacrime, tutte le penne consumate, tutti i fogli accartocciati, tutte le giornate di sole passate sopra i libri, tutti i
miei amici, tutti gli sguardi disgustati di chi non si fida di me, tutti i sorrisi di mia madre, tutti gli scappellotti della Turri,
tutti gli incoraggiamenti della Ferrero, tutti gli urli della Nevache,tutti i consigli della Giacone, tutte le esperienze della
Long, e gli aneddoti di Fumero, gli amorevoli occhioni della Derro, la fiducia della Losano, le istruttive occhiatacce della
Toscano, tutti i miei compagni che mi odiano e quelli a cui alla fine mancherò, le mie amiche, che saranno sempre nel mio
cuore, i dieci di mia sorella, questi muri gialli, quelli azzurri della succursale, questi cinque anni che il Porporato mi ha
regalato.
Alla fine ho capito tutto questo, e lo devo solo al Porpi! Ho passato cinque anni e, se Atena me la manda buona, tra tre mesi sarò fuori di qui, e, detto tra noi, le coniugazioni dei verbi ancora non me le ricordo; Expedite, ho vinto io!
Lara 4/5Bginn, 1/2/3B classico
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4-maggio-2012 - Liceo Porporato