Master universitario di II Livello
“Teorie e Metodi nell’Investigazione Criminale”
Direttore del Master:
Chiar.ma Prof.ssa Gemma Marotta
TESTIMONI DI GIUSTIZIA: UNA VITA A METÀ
A cura di Flavia Fiumara
Anno Accademico 2009-2010
Master universitario di II Livello
“Teorie e Metodi nell’Investigazione Criminale”
TESTIMONI DI GIUSTIZIA: UNA VITA A METÀ
Relatore:
Avv.ssa Vincenza Rando
Masterizzanda
Dott.ssa Flavia Fiumara
Anno Accademico 2009-2010
RITA ATRIA
È normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata,
dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un
ostacolo che impedisce di andare avanti.
PAOLO BORSELLINO
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INDICE
PREFAZIONE ...................................................................................................... 4 CAPITOLO 1 NASCITA DELLA LEGGE SUI TESTIMONI DI
GIUSTIZIA......................................................................................................... 6
1.1 Analisi della legge n°45 del 13 febbraio 2001............................................ 6 1.2 Le misure ed il programma speciale di protezione ................................... 11 CAPITOLO 2 VITA DA TESTIMONI ............................................................ 15 2.1 La vita del testimone ................................................................................. 15 2.2 La storia di Rita Atria: tra coraggio e disperazione .................................. 18 2.3 Intervista a Piera Aiello: una testimone in trincea .................................... 19 2.4 Intervista al Dott. Vincenzo Conticello: un imprenditore coraggioso ...... 23 2.5 Intervista ad un testimone di giustizia: una vita segreta da vivere............ 26 CAPITOLO 3 L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA ED IL TESTIMONE DI
GIUSTIZIA: “IL PRIMO CONTATTO” ..................................................... 30 3.1 Intervista al Procuratore di Caltagirone, Dott. Francesco Paolo Giordano30 3.2 Intervista al Vice Questore e Capo della Squadra Mobile di Caltanissetta,
Dott. Giovanni Giudice ............................................................................. 33 CAPITOLO 4 PROPOSTE PARLAMENTARI SULLE NECESSARIE
MODIFICHE ALLA LEGGE N°45 DEL 13 FEBBRAIO 2001.................. 36 4.1 Relazione finale sui testimoni di giustizia approvata dalla
Commissione Parlamentare nella seduta del 19 febbraio 2008
(stralcio) ................................................................................................... 36 Riferimenti bibliografici ..................................................................................... 51 Ringraziamenti .................................................................................................... 52 3
PREFAZIONE
Circa un anno fa cominciai a scrivere la mia tesi di laurea sui collaboratori
di giustizia, pensando di aver colmato la mia sete di conoscenza sul mondo
mafioso; ma oggi devo smentire le mie convinzioni.
Infatti, quando nei mesi scorsi sono arrivata presso l’Associazione Libera,
per frequentare il mio tirocinio presso il loro ufficio legale, ero convinta che le
mie conoscenze ed il mio bagaglio culturale-mafioso mi sarebbero state
sufficienti.
Dopo alcuni giorni ho “visto” un volto della mafia a me sconosciuto: il
mondo dei testimoni di giustizia.
Leggendo le loro storie e le loro disavventure, si faceva sempre più forte
nella mia mente una domanda: “perché una persona diventa testimone di
giustizia? quali sono le motivazioni?”.
Quando mi ero occupata dei collaboratori di giustizia, mi ero resa conto che
dietro la loro decisione di collaborare con lo Stato ci fosse un interesse legato ad
uno sconto di pena ed alla sicurezza di sapere i propri cari al sicuro nel
programma di protezione; ma invece, per quanto riguarda i testimoni di giustizia,
mi mancava o meglio non riuscivo a comprendere il “perché” di questa decisione,
una decisione che radicalmente cambia tutta un’esistenza. Più il tempo passava
più non riuscivo a comprendere questo triste fenomeno. Poi la svolta.
Alla fine del mese di ottobre del 2009, si è svolto a Roma un convegno su
“Stati Generali dell’Antimafia”, organizzato da Libera, incentrato su tutte le
problematiche delle organizzazioni criminali, al quale hanno preso parte un folto
numero di partecipanti nonché personalità del mondo istituzionale, tra cui anche
dei testimoni di giustizia.
Ovviamente per motivi legati al mio tirocinio ho partecipato al gruppo di
lavoro sui testimoni di giustizia e così ascoltando le loro testimonianze, le loro
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sofferenze, le loro frustrazioni, ma soprattutto vedendo nei loro occhi la
determinazione e la fame di giustizia, ho capito il perché della loro scelta: avere
coraggio. Coraggio di testimoniare ed assicurare alla giustizia i killer che hanno
ucciso un magistrato come Rosario Livatino, oppure opporsi al pagamento del
pizzo come ha fatto l’imprenditore Vincenzo Conticello, mandando in galera i
suoi estorsori, o chi come Rita Atria, la picciridda (la ragazzina), insieme con la
cognata Piera Aiello, ha reso dichiarazioni al giudice Paolo Borsellino,
raccontando quello di cui era a conoscenza e consentendo l’arresto di decine di
mafiosi nella zona di Partanna in Sicilia occidentale.
Questi uomini e queste donne hanno fatto una scelta di non ritorno, una
scelta che non coinvolge solo la loro vita ma anche quella del proprio nucleo
familiare. Spesso inconsapevoli delle “onerose conseguenze” alle quali sarebbero
andati incontro.
Come si può accettare di vivere lontano dai proprio affetti, abbandonare
casa, lavoro, vita sociale, senza poter dire a nessuno dove si va e quando si torna?
Vivere con la paura di essere trovati o riconosciuti e dovere scappare
nuovamente?
Le motivazioni sono le più varie: chi cerca giustizia per aver perso la propria
impresa, chi invece, essendo stato testimone oculare magari di un omicidio
eccellente, sento il bisogno, come cittadino, di assicurare gli assassini alla
giustizia o chi invece vuole dare un segno di cambiamento alla società.
Ma sicuramente ciò che rimarrà stampato per sempre nella mia memoria è
stata la testimonianza di una piccola donna, avanti con gli anni, che dopo
quattordici anni ha ritrovato il corpo del figlio. Le sue parole, che ho ascoltato
durante il convegno, erano cariche di dolore ma nella stesso tempo piene di gioia.
Infatti dall’indagini in corso è emerso che il proprio figlio venne ucciso perché
voleva denunciare dei mafiosi. Se non fosse stato eliminato, oggi questo ragazzo
sarebbe vivo e, verosimilmente, avremmo un testimone di giustizia in più.
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CAPITOLO 1
NASCITA DELLA LEGGE SUI TESTIMONI DI GIUSTIZIA
1.1 Analisi della legge n°45 del 13 febbraio 2001 La legge 13 febbraio 2001, n°45 ha introdotto nel nostro ordinamento
specifiche norme a favore dei testimoni di giustizia. Le nuove disposizioniinserite nell’impianto normativo originario del decreto legge 15 gennaio 1991,
n°8, convertito con modificazioni nella legge 15 marzo 1991, n°82- hanno
delineato la figura del testimone di giustizia, prevedendo specifiche misure di
tutela e di assistenza (art 12 che ha inserito nel previgente testo normativo gli artt.
16-bis e 16- ter).
La legge n°82 del 1991, però, non conteneva nessuna distinzione tra il
collaboratore di giustizia proveniente da organizzazioni criminali ed il testimone.
Di conseguenza quest’ultimo veniva sottoposto alle stesse misure di assistenza e
tutela previste per il collaboratore, proveniente dal mondo criminale; ciò ha posto
questioni assai delicate e complesse che più volte sono state sollevate nelle sedi
istituzionali.
Il legislatore del 2001 ha dunque voluto operare una netta distinzione tra
collaboratore e testimone sia sul piano concettuale che sul piano della gestione,
nonché con la previsione di un regime giuridico diverso per le due categorie. La
nuova legge di riforma ha, pertanto, inteso valorizzare il valore della “denuncia”
ed il contributo dato alla giustizia da tali soggetti: i testimoni di giustizia, cioè
coloro che senza aver fatto parte di organizzazioni criminali hanno sentito il
dovere di testimoniare per “senso civico”o “sensibilità istituzionale” esponendo se
stessi e le loro famiglie a possibili rappresaglie o vendette.
Secondo l’art. 16-bis, introdotto dalla legge n° 45 del 2001, i testimoni di
giustizia sono coloro che riguardo al fatto-reato, sul quale rendono dichiarazioni,
assumono esclusivamente il ruolo di persona offesa o di persona informata sui
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fatti o di testimone; nei loro confronti non deve essere stata disposta una misura di
prevenzione, né deve essere in corso un procedimento di applicazione della stessa.
Le dichiarazioni rese da tali soggetti devono avere carattere di “attendibilità”.
La “gravità” delle denunce rese dal testimone all’autorità giudiziaria può
determinare uno stato di grave pericolo per l’incolumità del testimone e dei suoi
familiari, tanto da richiedere l’adozione di speciali misure di protezione ed il
trasferimento in una località protetta. Tali misure possono estendersi alle persone
che coabitano o convivono, esposti a grave pericolo “a causa delle relazioni
trattenute” con il testimone.
Molteplici sono i soggetti che intervengono nel “procedimento della
protezione”. Agli organi giudiziari spettano poteri propositivi in tema di
attivazione e revoca della protezione, mentre agli organi amministrativi
appartengono funzioni decisionali ed attuative riguardanti l’ammissione, la
concreta realizzazione, la cessazione delle misure di tutela ed assistenza.
Il decreto legge n° 8 del 1991 ha istituito i due organi principali che
intervengono nel procedimento della protezione: la Commissione centrale ed il
Servizio centrale di protezione.
ƒ La Commissione centrale per la definizione ed l’applicazione delle speciali
“misure di protezione” è istituita con decreto del Ministro dell’interno, di concerto
con il Ministro della giustizia, sentiti i Ministri interessati; è composta da un
Sottosegretario di Stato per l’interno che la presiede, da due magistrati, cinque
ufficiali e/o funzionari scelti tra coloro che hanno specifiche esperienze nel settore
e che sono in possesso di cognizioni aggiornate sulla criminalità organizzata.
La Commissione centrale è l’organo politico-amministrativo cui spetta
decidere in merito all’ammissione dei testimoni di giustizia alle speciali misure di
protezione e stabilire i contenuti e la durata delle stesse.
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ƒ Il Servizio centrale di protezione, istituito nell’ambito del Dipartimento di
sicurezza pubblica, è una struttura interforze composta da personale della Polizia
di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza.
Il Servizio centrale di protezione è l’organismo esecutivo, operativo e
consultivo della Commissione centrale. Ha lo scopo di garantire la sicurezza del
soggetto tutelato, attraverso la creazione di una condizione di “mimetizzazione”
nella località protetta in cui il testimone vive.
È l’organo preposto a dare attuazione allo speciale programma di protezione
e provvede alla tutela, all’assistenza ed a tutte le esigenze di vita delle persone
sottoposte a protezione.
Il Servizio centrale di protezione, in base alla legge n° 45 del 2001, ha al suo
interno due Divisioni differenti, dotate di personale e mezzi autonomi, con
competenze l’una sui collaboratori l’altra sui testimoni.
La legge individua la principale garanzia di sicurezza del testimone nella
condizione di maggior “anonimato” possibile. La “mimetizzazione” anagrafica
avviene tramite il rilascio di documenti di identità con nominativi falsi. Tale
strumento viene utilizzato in via temporanea ed al fine esclusivo di garantire la
riservatezza e quindi la sicurezza; certo escludendo la possibilità di compiere atti
che coinvolgano altri soggetti pubblici o privati.
La validità di tali documenti “di copertura” è legata alla durata del
programma di protezione, per cui, al termine di questo, gli stessi vengono ritirati.
La documentazione di copertura può comprendere anche il libretto di lavoro, il
libretto sanitario, il codice fiscale ed altri documenti che vengono dati al
testimone ed ai suoi familiari.
Il decreto legislativo 29 marzo 1993, n°119, ha introdotto un’altra misura
anagrafica finalizzata a garantire la sicurezza dei soggetti protetti: il cambio di
generalità, con la creazione di una nuova posizione anagrafica nei registri di stato
civile.
Quando la sicurezza del soggetto è esposta ad alto rischio, tale strumento
costituisce il mezzo più efficace, sia per nascondere definitivamente l’identità
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della persona che per il suo reinserimento sociale e lavorativo. Il beneficio del
cambio di generalità è stato previsto dal legislatore solo in casi eccezionali,
quando ogni altra misura risulti inadeguata. Il cambio di generalità richiede
l’attivazione di un complesso e lungo iter procedurale che si conclude con un
decreto del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro della giustizia. Il
numero di coloro che hanno ottenuto il cambio di generalità è molto ridotto. Va
detto, tuttavia, che l’impossibilità di fruire di tale beneficio riduce le opportunità
di reinserimento lavorativo. La documentazione di copertura non consente, ad
esempio, di intraprendere un’attività commerciale.
L’art. 16- ter 1, introdotto dalla legge n° 45 del 2001 riguarda, tra l’altro, il
contenuto delle misure speciali di protezione. È previsto che il regime di
protezione per i testimoni di giustizia debba protrarsi fino alla effettiva cessazione
del pericolo, quale che sia lo stato ed il grado del procedimento penale nel quale
essi sono chiamati a deporre.
Le misure assistenziali, lettere b),c),d),e),e f) dell’art. 16- ter citato, adottate
a favore del testimone, sono volte a garantire il mantenimento di un tenore di vita
personale e familiare non inferiore a quello precedente alla loro scelta
collaborativa. In pratica, lo Stato si impegna a risarcire il danno che il soggetto è
costretto a sopportare in conseguenza della sua disponibilità a denunciare i fatti di
cui è a conoscenza ed a rendere testimonianza nei processi.
1
Art. 16-ter. - (Contenuto delle speciali misure di protezione) - 1. I testimoni di giustizia cui è
applicato lo speciale programma di protezione hanno diritto: a) a misure di protezione fino alla
effettiva cessazione del pericolo per sé e per i familiari; b) a misure di assistenza, anche oltre la
cessazione della protezione, volte a garantire un tenore di vita personale e familiare non inferiore a
quello esistente prima dell'avvio del programma, fino a quando non riacquistano la possibilità di
godere di un reddito proprio; c) alla capitalizzazione del costo dell'assistenza, in alternativa alla
stessa; d) se dipendenti pubblici, al mantenimento del posto di lavoro, in aspettativa retribuita,
presso l'amministrazione dello Stato al cui ruolo appartengono, in attesa della definitiva
sistemazione anche presso altra amministrazione dello Stato; e) alla corresponsione di una somma
a titolo di mancato guadagno, concordata con la commissione, derivante dalla cessazione
dell'attività lavorativa propria e dei familiari nella località di provenienza, sempre che non abbiano
ricevuto un risarcimento al medesimo titolo, ai sensi della legge 23 febbraio 1999, n. 44; f) a mutui
agevolati volti al completo reinserimento proprio e dei familiari nella vita economica e sociale.
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Al testimone di giustizia vengono corrisposti un assegno mensile di
mantenimento, il pagamento del canone di locazione ed altre misure di assistenza
economica.
Il testimone di giustizia ha diritto alla “capitalizzazione” del costo
dell’assistenza; alla corresponsione di una somma a titolo di “mancato guadagno”
(concordata con la Commissione centrale) derivante dalla cessione dell’attività
lavorative nella località di provenienza; a mutui agevolati volti al reinserimento
economico-sociale proprio e dei familiari.
Inoltre, come previsto al comma 3 dell’articolo in esame, se nei confronti
del testimone è stato disposto per ragioni di sicurezza un trasferimento in una
località diversa da quella di origine dove deve “rifarsi una vita”, lo Stato è tenuto
ad acquisire, a prezzo di mercato, i beni immobili di proprietà del testimone,
ubicati nella sua località di origine, e a corrispondergli l’equivalente in denaro.
La piena attuazione della disciplina introdotta dalla legge n° 45 del 2001 ha
richiesto una rilevante legislazione secondaria. Sono stati emanati nel corso degli
anni diversi decreti attuativi che sono intervenuti su particolari aspetti relativi alla
tutela, all’assistenza nonché al reinserimento sociale dei testimoni di giustizia.
Circa la tutela legale dei testimoni, l’articolo 8, comma 10, del Regolamento
sulle speciali misure di protezione (D.m. n° 161 del 2004) prevede che al
testimone sia assicurata l’assistenza legale in tutti i procedimenti per la tutela di
posizioni soggettive lese a motivo della collaborazione resa.
L’articolo 12 del D.m. 13 maggio 2005, n° 138, prevede particolari
interventi contingenti, anche di carattere economico, per favorire il reinserimento
sociale ed un supporto tecnico e di consulenza ai testimoni.
In relazione alla capitalizzazione delle misure di assistenza economica
interviene l’articolo 10, comma 15 del D.m. n° 161 del 2004. La suddetta
capitalizzazione, che comporta l’interruzione delle misure di assistenza economica
già assicurate mensilmente, avviene mediante la corresponsione di una somma di
denaro pari all’importo dell’assegno di mantenimento in presenza di un “concreto
e documentato” progetto di reinserimento socio-lavorativo e può essere riferita ad
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un periodo di dieci anni. Alla capitalizzazione si aggiunge un importo forfettario
di 10.000 euro, rivalutabile secondo gli indici ISTAT, quale contributo per
sistemazione alloggiativa.
1.2 Le misure ed il programma speciale di protezione Le speciali misure ed il programma di protezione sono disposti dalla
Commissione centrale a favore del testimone. Esse possono essere estese anche a
coloro che “convivono stabilmente” con il testimone e, solo quando si è in
presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultano esposti a pericolo
attuale, grave e concreto a causa delle relazioni con i predetti soggetti.
Le speciali misure di protezione sono adottate quando risultano inadeguate
le misure ordinarie disposte (anche su segnalazioni dell’Autorità giudiziaria) dalle
Autorità di pubblica sicurezza. Le speciali misure di protezione sono adottate
dalla Commissione centrale e determinate, o meglio predisposte ed attivate, dal
Prefetto del luogo in cui risiede il testimone.
Queste consistono:
ƒ
misure di vigilanza e tutela da eseguire a cura degli organi di polizia
territorialmente competenti;
ƒ
accorgimenti tecnici di sicurezza (può pensarsi a strumenti di
videosorveglianza e di teleallarme);
ƒ
misure necessarie per i trasferimenti in comuni diversi da quelli di
residenza;
ƒ
interventi contingenti finalizzati al reinserimento sociale.
Le misure vanno prevalentemente adottate nel luogo di origine del testimone
o tramite trasferimento a breve distanza e senza utilizzare mezzi di copertura
dell’identità; spetta, però, alla Commissione centrale decidere quale degli
strumenti sopracitati debba essere disposto nello specifico caso.
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Vi sono casi in cui neanche le speciali misure di protezione risultano essere
adeguate alla gravità in cui versa il testimone di giustizia; in questo caso la
Commissione centrale delibera uno “speciale programma di protezione” che può
prevedere misure aggiuntive rispetto a quelle già sopra indicate:
ƒ
trasferimento delle persone in luoghi protetti;
ƒ
speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al
servizio informatico;
ƒ
cambiamento delle generalità;
ƒ
altre misure straordinarie ritenute necessarie;
ƒ
misure di assistenza personale ed economica, quali sistemazioni in alloggi,
spese per esigenze sanitarie (spesso non è possibile avvalersi delle
strutture pubbliche per oggettive questioni di segretezza), spese per
l’assistenza legale, spese per il mantenimento.
a) L’assegno di mantenimento e cambio delle generalità
L’importo dell’assegno di mantenimento è quantificato in base a specifici
criteri e può essere aggiornato. Può essere poi aumentato, quando ricorrono
particolari circostanze e dopo avere acquisito i pareri di chi ha formulato la
proposta (procuratore nazionale antimafia o procuratore generale).
Il cambiamento delle generalità è una misura cui si perviene solo in casi
eccezionali; l’attuazione di questo procedimento è indicata nel d.lgs. 29/03/1993,
n°119 ed è attuata secondo criteri di assoluta segretezza dal Servizio centrale di
protezione.
La domanda di cambio di generalità è presentata congiuntamente al Ministro
dell’interno e a quello della giustizia. È istruita dalla Commissione centrale
prevista dall’art.10 D.L.8/1991, cui spetta accertare la gravità delle condizioni di
pericolo in cui versa il soggetto protetto e la indispensabilità della misura
richiesta.
Al cambiamento delle generalità provvedono, di concerto, i Ministri
dell’interno e della giustizia; il decreto contiene il nuovo nome, cognome, luogo e
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data di nascita oltre che la indicazione di tutte le situazioni (sanitarie e fiscali)
riguardanti diritti ed obblighi del soggetto protetto, con la regolamentazione della
disciplina specifica.
Una volta mutata l’identità, il soggetto acquisisce una nuova posizione
anche nei registri dello stato civile. A tale riguardo, il Servizio centrale di
protezione può adottare diverse soluzioni “operative”: può ottenere che nei registri
sia iscritto l’atto di nascita formato con riferimento alle nuove generalità di
copertura; oppure può chiedere agli uffici dello stato civile atti o certificati da
riempire con le nuove generalità, lasciando però che nei registri il testimone di
giustizia o il soggetto protetto continui ad essere iscritto con la sua originaria
identità.
Il decreto di cambiamento delle generalità può essere revocato se il soggetto
non rispetta gli impegni previsti dall’art.12 D.L.8/1991e, in particolare, quelli
relativi all’osservanza delle norme di sicurezza, al divieto di contatti con persone
dedite al crimine e all’adempimento delle obbligazioni contratte.
b) Reinserimento dei soggetti protetti
La legge 13/02/2001, n° 45 ha previsto espressamente che per i testimoni di
giustizia le misure di assistenza abbiano un contenuto più ampio; infatti le misure
devono garantire che il soggetto protetto possa continuare a godere, fino a quando
non lo può fare autonomamente, di un tenore di vita personale e familiare non
inferiore a quello precedente alla collaborazione.
Per questo motivo il testimone ha diritto:
ƒ
alla corresponsione di una somma “per il mancato guadagno” quando ha
dovuto cessare l’attività lavorativa propria e dei familiari per trasferirsi in
una località protetta;
ƒ
all’acquisizione da parte dello Stato dei beni immobili di cui è proprietario
quando, a causa della testimonianza, ha dovuto definitivamente trasferirsi
in altra località;
13
ƒ
alla corresponsione, in una sola volta, dell’assegno di mantenimento e
delle spese di affitto dell’alloggio calcolati con riferimento a tutto il
presumibile periodo di applicazione del programma di protezione (la
cosiddetta capitalizzazione del costo dell’assistenza economica);
ƒ
a mutui agevolati per il completo reinserimento proprio e dei familiari
nella vita economica e sociale.
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CAPITOLO 2
VITA DA TESTIMONI
Il contenuto di questo capitolo si riferisce alle interviste concesse da alcuni
testimoni di giustizia; un testimone di giustizia che per motivi di sicurezza
chiameremo “Matteo” (Roma 24 ottobre 2009), il Dott. Vincenzo Conticello,
imprenditore e proprietario della “Antica Focacceria San Francesco”, (Palermo
09 novembre 2009) e da Piera Aiello (28 novembre 2009)
2.1 La vita del testimone Il testimone di giustizia è una persona che ad un certo momento della sua
vita si trova coinvolto, suo malgrado, ad essere “protagonista inconsapevole” di
una storia che non gli appartiene, ma che diviene la sua nuova storia di vita.
I testimoni di giustizia sono normali cittadini, uomini e donne, del tutto
estranei alle organizzazioni criminali (diversamente, come già detto, dai
collaboratori di giustizia che provengono ed appartengono a questo tipo di
organizzazioni), che, denunciando e fornendo informazioni su persone, fatti,
omicidi o qualsiasi altro evento riconducibile al mondo della criminalità
organizzata, si espongono al rischio di diventare oggetto di vendette. Per questa
loro scelta, segno di un elevato senso civico e morale, sono costretti ad entrare in
un programma di protezione ed a un radicale mutamento e stravolgimento della
propria vita e della vita dei propri nuclei familiari.
Ecco che in pochi giorni si è obbligati a lasciare la propria casa, il proprio
lavoro, amici, conoscenti, la propria città, le abitudini di una vita normale ed
immergersi nell’anonimato attraverso il cambio di generalità ed il trasferimento
in località protette. In questa nuova dimensione il testimone e la sua famiglia si
trovano a vivere ed affrontare molte difficoltà; ma sicuramente ciò che incide
maggiormente è il cambiamento d’identità.
Questo cambiamento comporta disagi continui e crisi personali che
investono non solo il testimone ma soprattutto gli appartenenti più indifesi del
nucleo familiare: i minori. Infatti maggiori sono le difficoltà subite dai minori
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che di colpo sono costretti a dover cambiare il proprio nome e cognome senza
capire il perché; essi sono i più fragili in quanto portatori di esperienze
traumatiche da cui non è possibile nell’immediatezza valutarne la portata.
Frequenti sono i disturbi di apprendimento, di linguaggio e di adattamento,
spesso connessi, per ragioni di sicurezza, al cambiamento di città, dove
dovranno cambiare di nuovo nome, scuola, amici.
L’inserimento scolastico del minore protetto presenta una serie di
problematiche legate ovviamente alle regole di protezione. Sono emersi disagi
connessi all’utilizzazione della nuova identità da parte dei bambini più piccoli,
che dimostrano insofferenza o incertezza quando vengono chiamati con il nome
di copertura, arrivando a rifiutare di frequentare la scuola. Di conseguenza sono
le stesse famiglie che provvedono a tale compito. Non sempre è facile affrontare
questo aspetto con il minore; spesso quest’ultimo rifiuta o non riesce ad
accettare la nuova identità, e dal punto di vista della sicurezza dell’intero nucleo
familiare può rappresentare un pericolo.
La nuova vita, all’inizio segregata, poi costretta a svolgersi tra mille
precauzioni e compromessi, viene assunta dai più piccoli come un segno della
loro diversità rispetto agli altri ragazzi.
La necessità di socializzare in condizioni di insicurezza fa sì che il minore
abbia bisogno di particolari cure per minimizzare i rischi derivanti da eventuali
errori commessi.
Oltre ai minori, ci sono anche altre figure che subiscono il trauma
dell’allontanamento e dell’isolamento: le mogli o le compagne. Anche loro,
accettando la scelta del proprio uomo ed entrando nel programma di protezione,
entrano in mondo fatto solo di rinunce e di “mimetizzazione”, dove non è
possibile riprendere a lavorare, fare nuove amicizie, inserirsi in una normale vita
sociale; si vive sempre con il timore di essere scoperti o riconosciuti e quindi
costretti a dover cambiare località e generalità.
Certo, come si è detto prima, lo Stato assicura una serie di misure di
protezione non solo “fisiche” ma anche economiche come la capitalizzazione, il
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mantenimento del posto di lavoro per i dipendenti pubblici, mutui agevolati,
acquisto dei loro beni immobili per facilitare la disponibilità di liquidi,
corresponsione di una somma di denaro a titolo di mancato guadagno oltre che la
totale protezione fino (ed in alcuni casi anche dopo) all’effettiva cessazione di
pericolo per il testimone e la propria famiglia.
Ma purtroppo la realtà dei fatti è ben diversa; infatti moltissimi testimoni di
giustizia ricorrono sempre più frequentemente all’ausilio di un loro avvocato per
vedere tutelati quelli che sono dei loro veri e propri diritti, ma che invece
sembrano apparire come delle “concessioni che lo Stato elargisce”. La
condizione di testimone di giustizia delineata dalla legge 45 del 2001 presenta
due paradossi incredibili.
Il primo, il più grave, riguarda il possibile cambio di generalità e di città:
questi cittadini esemplari, che si mettono al servizio dello Stato, cioè del bene
comune, sono costretti a cambiare vita ed identità per salvaguardare la propria
incolumità, mentre le organizzazioni criminali continuano a prosperare nelle loro
zone.
Il secondo attiene alla perdita dei diritti, come quello fondamentale dal o al
lavoro. Difatti durante i primi anni del programma di protezione, ma spesso
anche oltre, al testimone non è permesso di portare avanti la propria attività
lavorativa imprenditoriale, il che ne rende difficile, a volte impossibile, la ripresa
all’uscita dal programma di protezione.
I problemi maggiori, infatti, si incontrano nel momento in cui il
programma di protezione termina; quando cioè si torna alla vita “normale”
poiché la rete di sostegno per sé e per la propria famiglia viene meno
immediatamente: il diritto a riavere lo stesso tenore di vita di un tempo viene
disatteso.
È chiaro che la condizione del testimone di giustizia è estremamente
complessa e delicata; ma è necessario evidenziarne le criticità ed avviarne una
scrupolosa ed attenta riflessione al fine di garantire il loro effettivo, concreto e
17
dignitoso reinserimento sociale, economico che dia loro speranza, fiducia, forza
per ricostruire le radici di una nuova e serena vita.
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2.2 La storia di Rita Atria: tra coraggio e disperazione La vicenda di Rita Atria è una delle pagine più dolorose che riguardano la
storia dei testimoni di giustizia. Rita nasce in un piccolo paese della Sicilia,
Partanna nella zona del Belice, nel 1974; la sua è una famiglia mafiosa, come
tante in quella zona. Quando ha undici anni perde il padre, don Vito Atria, e gli
“affari” della famiglia passano nelle mani di suo fratello Nicola; per Rita il fratello
diventa un punto di riferimento, un’ancora di salvezza.
Crescendo ne diventa la confidente, raccogliendo le confessioni delle
dinamiche mafiose di Partanna.
Nella vita di Rita entra Piera Aiello, la sua futura cognata che giocherà un
ruolo molto importante per le sue future scelte. Nel giugno del 1991 Nicola viene
ucciso e dopo qualche tempo la moglie Piera decide di presentarsi
spontaneamente al procuratore di Marsala, Paolo Borsellino.
Ella fa importanti rivelazioni e spinge la cognata Rita a fare altrettanto.
Infatti, nel novembre dello stesso anno, la diciassettenne Rita, la picciridda,
come verrà poi chiamata affettuosamente dal giudice Borsellino, comincia la sua
collaborazione. Ne nasce un rapporto che va al di là degli aspetti strettamente
formali, Rita sente che quell’uomo è un uomo speciale, una figura forte, lo sente
come quel padre che avrebbe voluto avere.
Rita però non può rimanere in Sicilia; le sue rivelazioni e quelle della
cognata hanno portato diversi mafiosi in carcere e così è costretta a trasferirsi a
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Roma, dove vive una vita blindata, sotto falso nome, lontana dalla madre che non
ha accettato la sua scelta, trovando invece nel giudice Borsellino il suo unico
conforto, che la proteggerà e la sosterrà in questa sua nuova dimensione. I mesi
passano e Rita frequenta la scuola tentando di condurre un’esistenza normale. Ma
poi arriva quel tragico 19 luglio del ’92 dove il giudice Paolo Borsellino insieme
alla sua scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cusina, Claudio
Traina ed Emanuela Loi, perdono la vita nella oramai nota strage di Via
D’Amelio. Il dolore per la perdita del giudice-padre getta Rita nella disperazione
più totale che la porterà a suicidarsi gettandosi dal balcone della sua abitazione, il
26 luglio 1992, una settimana dopo la strage.
Ma a Rita Atria non viene risparmiato nulla dopo la morte; infatti la madre
Giovanna non partecipò al funerale ed attese la ricorrenza dei morti per
distruggere la tomba della figlia a martellate per poi far traslare, dopo qualche
giorno, la bara in un luogo lontano dalla cappella di famiglia.
La storia ma soprattutto la memoria di Rita Atria però continuano a vivere
grazie all’impegno della cognata Piera Aiello, anch’essa testimone di giustizia, e
di Nadia Furnari, presidentessa dell’Associazione “Rita Atria”.
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2.3 Intervista a Piera Aiello: una testimone in trincea Oggi per lo Stato Italiano “Piera Aiello” non esiste più, perché questa donna
ha usufruito del cambio di generalità; ma è solo una questione burocratica, perché
in realtà ella vive, anzi meglio cerca sopravvivere al suo fantasma, portando
avanti una battaglia per sé e per tutti i testimoni di giustizia, per non sentirsi come
“Agrumi spremuti e poi buttati via”.
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Di seguito l’intervista che gentilmente ha concesso il 28 novembre 2009.
D: Quando e come è iniziata la sua storia di testimone di giustizia?
R: Più che iniziare una storia, è meglio dire che è iniziato un percorso, fatto di
solitudine e sofferenza.
Dico questo perché quando si parla di testimoni spesso si dimentica che dietro a
delle storie ci sono persone che hanno rinunciato agli affetti, alla libertà e a tutto
il proprio modo di vivere: si viene sradicati dalla propria terra, andando verso
l’incognito per tutta la vita, se questa si può chiamare tale.
Comunque tutto inizia nel 1991 quando uccidono mio marito; riconosco chi lo ha
ucciso, e non dimentichiamo che avevo vissuto dieci anni di mafia, anche se da
“telespettatrice”. Da lì, grazie ad un mio amico maresciallo, arrivai a conoscere
Paolo Borsellino, il quale ascoltando la mia storia, ha ritenuto che, se fossi
rimasta, avrei corso il rischio o di essere uccisa o forzata per l’ennesima volta a
sposare un mafioso.
Andai via dalla Sicilia pensando di tornarci quando avessi finito di testimoniare;
ma così non è stato: ero diventata una testimone e non me ne ero accorta.
D: Quanto ha influito nella sua vita l’incontro con Rita Atria?
R: Più che un incontro ti faccio sapere che Rita Atria era mia cognata.
Poi nel tempo eravamo amiche, più del rapporto di parentela; diciamo inoltre che
il nostro è stato un cammino comune fatto di affetto e purtroppo di sofferenza,
perché vivevamo in un ambiente mafioso.
D: Cosa vuol dire “vivere la condizione di testimone di giustizia”?
R: La condizione di testimone di giustizia è vivere nell’ombra, vivere una
condizione di non vita, andare avanti giorno per giorno senza poter pensare ad
un vero futuro, tipo il mio caso, che dopo 18 anni pensavo di essermi ricostruita
una nuova vita, ma grazie a due uomini dello Stato viene disvelata la mia nuova
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generalità ed il posto dove risiedo, quindi 18 anni di tentativi per avere una
parvenza di normalità buttati al vento, non hai certezze, solo un grande punto
interrogativo.
D: Sino ad oggi lei era considerata per lo Stato Italiano una testimone di giustizia,
ma si apprende in questi giorni che lei non lo è più.
Cosa è cambiato?
R: Lo scopro anche io come tutti gli italiani; sono fuori dal programma di
protezione ma non sono stata informata sulle condizioni di “cessato pericolo” per
me e per i miei familiari.
Sarei ovviamente felice di sapere che la vita che abbiamo fatto in questi lunghi 18
anni, finalmente finisce per un ritorno alla vita normale.
Ma quello che è successo è un’altra cosa; sto parlando di una decisione che
nessuno mi ha ad oggi comunicato, ma che ha cambiato la mia vita nuovamente.
Se c’è stato un giudice che 18 anni fa ha scritto una relazione con la quale mi ha
inserita nel programma di protezione, oggi ce ne sarà un altro che ne avrà scritta
un’altra, motivando la mia condizione di “cessato pericolo”: ecco vorrei che me
la facessero conoscere e leggere.
D: Oggi lei vive una nuova vita avendo cambiato le generalità, ma quanto c’è di
Piera Aiello nella sua nuova identità? Alcuni testimoni dicono di vivere una vita
sdoppiata, è così anche per lei?
R: Si, vivo una nuova vita, ma le mie generalità sono compromesse, quindi vivo
una vita che è ripiombata nella paura, ma non per me, per la mia nuova famiglia,
non posso pensare che loro potrebbero pagare una scelta che io ho fatto.
Si effettivamente si vive una vita sdoppiata; purtroppo, quando siamo nelle
località protette si devono usare degli accorgimenti, tipo evitare di fare amicizie,
perché non solo cambi nome, ma ti inventi una storia nuova e parlando potresti
svelare più del dovuto.
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Inizialmente quando mi spostavano spesso di casa, viaggiando e cambiandomi le
generalità prima di quelle definitive, facevo veramente fatica e ricordare chi ero
veramente, posso dire veramente di cuore che c’è da perdere il senno! Se non sei
caratterialmente forte non ne esci totalmente incolume!
L’unica certezza che ho avuto e che ho ancora adesso è che sono e resterò Piera
Aiello, anche se oggi mi chiamo diversamente.
D: Come è oggi la sua vita?
Se potesse tornare indietro farebbe la stessa scelta di vita?
R: La mia vita oggi è più incerta che 18 anni fa, dopo il disvelamento sono venute
a cadere quelle che mi sembravano delle certezze e oggi più che mai mi viene
spontanea la domanda se tutto ciò abbia un senso; penso di avere paura della
mafia, cerco protezione nello Stato, ma uomini di Stato che pretendono di
gestirci, ma in realtà ci trattano come delle pratiche da archiviare quando
abbiamo finito di testimoniare, se ne fregano.
Quello di cui noi abbiamo bisogno è un briciolo di umanità, quella che in 18 anni
non ho trovato nelle istituzioni, ma grazie a Dio ho trovato nell’Associazione
antimafia Rita Atria e a quei splendidi ragazzi delle scuole dove andiamo
unitamente all’associazione a parlare di legalità.
Se tornassi indietro farei sicuramente la stessa scelta rimanendo sul territorio,
facendomi proteggere in loco e con la consapevolezza che le istituzioni non ci
sono, anche se basterebbe applicare le leggi che ci sono per renderci la vita
migliore.
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2.4 Intervista al Dott. Vincenzo Conticello: un imprenditore coraggioso Vincenzo Conticello è un imprenditore palermitano, proprietario insieme
alla sua famiglia della più antica e rinomata focacceria che c’è a Palermo “Antica
Focacceria San Francesco”, ed oggi conosciuto come quell’uomo che ha avuto il
coraggio, nel novembre del 2007, durante il processo che lo riguardava, di
riconoscere pubblicamente e far condannare i suoi estorsori. Egli infatti circa un
anno e mezzo prima aveva denunciato alcuni noti personaggi della malavita
locale, che si erano presentati nella sua focacceria per chiedergli il pizzo.
Ovviamente questa sua decisione ha avuto delle notevoli ripercussioni nella sua
vita, poiché oggi egli vive sotto scorta, con la paura che prima o poi la mafia lo
colpirà.
Di seguito l’intervista che gentilmente ha concesso a Palermo il 09
novembre 2009.
D: Come si decide di diventare un testimone?
R: In realtà non si decide di diventare testimone di giustizia, ma ci si diventa, ed
io sono diventato un testimone il giorno in cui, nell’aula del tribunale, ho
riconosciuto in faccia le persone che circa un anno prima si erano presentate al
mio locale per chiedermi il pizzo e come ogni bravo cittadino ho fatto il mio
dovere e li ho denunciati appena sono usciti dal mio locale. Da quel momento
sono partite delle indagini che hanno portato al loro arresto ed alla celebrazione
di un processo che li ha visti condannare. Da quel giorno la mia vita è cambiata
radicalmente, poiché non sapevo nulla del mondo dei testimoni, né della legge
che li tutela; certo non immaginavo cosa mi aspettasse, cosa volesse dire vivere
una vita blindata, una vita sottoscorta 24 ore su 24, aldilà di ogni tipo di
immaginazione.
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D: Cosa è accaduto dentro di lei dopo questa sua scelta?
R: Sono stato assalito da pensieri e preoccupazioni, insomma dalla paura e
dall’incertezza del domani, ma anche ripeto dal dover accettare un radicale
cambiamento di vita, per una persona come me che aveva sempre vissuto
un’esistenza molto libera, molto movimentata. Oggi direi che la mia vita è
limitata all’85%, quindi moltissimo e forse l’unico momento in cui mi sento “un
po’ normale” è quando sono a casa, ma anche se lì ci sono telecamere, porte
blindate, carabinieri intorno alla casa, e poi la cosa che mi dà maggiormente
fastidio è il rumore della sirena in macchina, un suono costante che mi procura
un fastidio incredibile.
In tutto questo non bisogna dimenticare che io sono un uomo pubblico, essendo
un imprenditore conosciuto; ho una serie di relazioni sociali che logicamente
hanno subito una serie di allontanamenti, non da ultimo sono stato anche lasciato
dalla mia compagna. Oggi fortunatamente ho una nuova compagna che condivide
con me questa vita fatta di tante rinunce, sicuramente un grande atto d’amore.
D: Come sono i suoi rapporti con lo Stato che la tutela?
R: Quello che posso dire che ciò che ho riscontrato in questi anni è la lentezza
della “macchina-stato” dove risposte che dovrebbe essere date in tempi molto
rapidi vengono invece date dopo molto tempo; inoltre manca quell’attenzione
all’informare il soggetto sull’esistenza di una legge ad hoc, nel mio caso specifico
soltanto nel 2007 ho fatto domanda per accedere ai vari benefici previsti dalle
legge 45, subendo ovviamente una serie di mancati guadagni per la mia attività.
D: Di cosa ha paura lei oggi?
R: Oggi la mafia si è fatta più raffinata, si è fatta più di classe e sa come deve
colpire, magari nel mio caso non utilizza il tritolo per farmi saltare in aria, ma
grazie a qualche fornitore compiacente mi vende una partita di merce avariata,
creandomi un danno non indifferente. Oppure direttori di banche poche
trasparenti che mi hanno avvicinato proponendomi fidi illimitati e prestiti
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estremamente vantaggiosi che, per chi come me è un imprenditore navigato, mi
hanno subito fatto pensare a qualcosa di poco pulito; ma devo anche dire che ci
sono stati fornitori che dopo le mie denuncie si sono tirati indietro ma
fortunatamente ce ne sono stati di nuovi che si sono proposti.
D: Ha avuto problemi finanziari dopo la sua scelta?
R: Purtroppo si, molte banche siciliane mi hanno chiuso le porte, mentre le
banche del nord, senza nessun tipo di raccomandazioni, ma solo con le mie
credenziali ed i miei fatturati nei tempi canonici, mi hanno fatto avere ciò di cui
avevo bisogno. Qui in Sicilia, purtroppo, ciò che è un diritto te lo fanno passare
sempre come un favore e devi pure ringraziare.
D: Lei ha fatto delle richieste “particolari di tutela” alla Commissione Centrale,
vista la sua attività?
R: Si, più di avere telecamere o un rafforzamento della scorta, ciò che temo di più
è una “ritorsione alimentare”, mi spiego meglio: ho chiesto la presenza dei NAS
nelle mie cucine poiché temo sempre di più l’infiltrazione di cibi avariati o di
materie prime scadute che possano ovviamente crearmi problemi anche di salute
pubblica.
Inoltre visto che spesso mi trovo ad avere rapporti di affari con persone che non
conosco, ho chiesto espressamente alla Commissione di fare una verifica sulle
persone con le quali vengo a contatto. Infatti è accaduto che per circa 6 mesi ho
intrattenuto rapporti con un soggetto che poi si è scoperto non essere
“attendibile”, ma che intendeva avvicinarmi per altri motivi.
D: Oggi lei è un simbolo, l’uomo che ha detto no al pizzo, dopo questa sua scelta
è stato avvicinato dalle forze politiche per eventuali candidature?
R: Si in tre occasioni, per le elezioni Nazionali e Regionali del 2008 e per le
Europee di quest’anno (2009), da tutti gli schieramenti, offrendomi un sicuro
incarico di prestigio post-elezione, ma io preferisco essere “attento” alla politica
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più che farla; inoltre le persone che oggi fanno politica sono molto lontane dalla
mia maniera di pensare, ciò voleva dire scendere a compromessi, ma non sono
sceso a compromesso con la mafia perché dovrei farlo con la politica?
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2.5 Intervista ad un testimone di giustizia: una vita segreta da vivere La storia di questo uomo, che per motivi di sicurezza non può rivelare la
propria identità e che quindi chiameremo “Matteo”, è un crescendo di emozioni e
di colpi di scena, ma anche di disperazione e di speranza, di delusioni ma anche e
soprattutto di rinascita.
Di seguito l’intervista che gentilmente ha concesso il 24 ottobre 2009.
D: Come inizia la sua storia?
R: La mia storia inizia quando decido con la mia attuale compagnia di lasciare il
paese del meridione dove vivevo e di andare al nord dove avviare una nuova
attività. Purtroppo a causa di un ritardo nei lavori di costruzione del locale, per
evitare che un mio assegno andasse in protesto, mi rivolgo ad alcune persone che
conoscevo (appartenenti ad un clan potentissimo del mio paese) per avere un
prestito e fare fronte alle necessità del momento. Mi danno i soldi ed io mi
impegno a restituirglieli nei tempi previsti. Dopo qualche tempo queste persone si
presentano al mio locale per riavere indietro la somma pattuita, ma purtroppo la
loro richiesta è ben diversa, loro vogliono il mio locale. A questo punto ne parlo
con la mia compagna, la quale in maniera molto decisa mi spinge a denunciare e
26
quindi denuncio l’accaduto. In accordo con i carabinieri, conttato queste persone
dicendogli che le voglio incontrare al locale, ovviamente avviene l’incontro dove
oltre a noi ci sono i carabinieri che, registrano le minacce che mi vengono rivolte.
Da lì parte l’indagine che porta all’arresto di queste persone. Purtroppo però i
giornali riportano questa storia ed il mio locale comincia a perdere clientela fino
a quando sono costretto a chiudere ed a cessare l’attività.
Decidiamo comunque di non abbatterci e ricominciare da capo, così la mia
compagna trova un lavoro ed io ne inizio uno nuovo in un panificio di notte ed un
altro presso una sala Bingo, in questa maniera piano piano abbiamo fatto fronte
a tutti i debiti che avevamo contratto per il locale.
Dopo qualche tempo di questa vita quasi normale vengono informato da una
persona molto attendibile di un clan criminale che tra qualche settimana è stata
decisa la mia morte, poiché stava per iniziare il processo nel quale io dovevo
testimoniare. A questo punto racconto tutto alla mia compagnia con la quale
decidiamo di contattare un amico carabiniere che mi esorta ad andare in
Prefettura, dove trovo una persona disponibile che mi dice che conosce la mia
storia, che dopo qualche giorno vengo contattato e mi viene detto che mi era stato
accordato il programma di protezione, di cui né io né la mia compagnia
sapevamo nulla. Dopodiché ci viene detto che dobbiamo recarci in una località
protetta e lasciare la casa ed i nostri rispettivi lavori, poiché il programma di
protezione ci avrebbe fornito tutto ciò di cui avevamo bisogno. Veniamo trasferiti
in una località di mare dove per circa cinquanta giorni nessuno ci fa sapere
nulla, anche se noi chiamavamo per avere informazioni sulla nostra nuova
condizione. Dopo qualche giorno vengo chiamato da un maresciallo dei
carabinieri del Comando stazione locale, il quale mi consegna un documento che
mi comunica che, essendo io un soggetto pericoloso, non posso usufruire del
programma di protezione. Questa notizia mi getta nella disperazione più assoluta
e non nascondo che in quegli attimi ho anche pensato di farla finita, mi sentivo
solo ed abbandonato sia dalla Stato sia dalla mafia, ero solo contro tutti e non
sapevo cosa fare e farla finita la vedevo come la soluzione a tutti i miei problemi.
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Mentre ragionavo mi chiama la mia compagna dicendomi di tornare da lei perché
dovevamo contattare una persona; torno da lei ed insieme chiamiamo
l’associazione Libera che mi mette in contatto con il loro legale, l’avvocatessa
Vincenza Rando, la quale subito capisce la mia situazione, mi tranquillizza, mi dà
una serie di indicazioni, promettendomi che ci saremmo visti dopo poche ore.
L’incontro con l’avvocatessa è qualcosa che non dimenticherò mai, perché è stato
la prima persona che dopo tanto tempo mi ha preso per mano e tranquillizzato,
dandomi coraggio e facendomi capire che non era finita, ma che anzi era l’inizio
di una nuova sfida. Dal quel momento, grazie all’aiuto da parte dell’Associazione
Libera, la mia vita riparte; dopo qualche tempo ci trovano un alloggio, nasce il
mio primo figlio ed io riesco a trovare lavoro. Purtroppo però dopo un anno
vengo nuovamente avvicinato da alcuni persone sospette e così sono costretto a
dover rimettermi in fuga.
Cambio quindi località, ma anche qui dopo poco vengo nuovamente riconosciuto
da altre persone che iniziano a seguirmi costantemente, così decido di recarmi
dai carabinieri e denunciare il fatto. Dopo qualche giorno l’avvocatessa Rando
mi telefona e mi comunica che finalmente la mia domanda era stata accettata e
che potevo entrare nel programma di protezione.
D: Quali sono stati i problemi maggiori che ha dovuto affrontare?
R: Sicuramente grossi problemi psicologici: la paura e la disperazione, ti gettano
in uno stato di depressione incredibile. Purtroppo la mia compagnia ha avuto un
aborto spontaneo, una ferita che ancora oggi si porta dentro; a tutto questo
bisogna aggiungere che noi non potevamo parlare con nessun amico o parente,
esistevamo solo noi due che a seconda delle necessità eravamo fratello, sorella,
madre, padre, amico o amica, ci siamo insomma aiutati psicologicamente a
vicenda e questo ha rafforzato ancora di più il nostro legame.
Anch’io però ho avuti seri problemi di salute, poiché quando le persone che avevo
denunciato sono state condannate a pene molto pesanti, alla notizia della loro
condanna il mio corpo non ha retto ed ho avuto un ictus e sono stato ricoverato e
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per uno come me che ha sempre lavorato 15/20 ore al giorno trovarsi
immobilizzato in un letto di ospedale, è qualcosa che non puoi certo dimenticare.
D: Quale è stato, se c’è stato, un momento bello in tutta questa sua storia?
R: Si fortunatamente ci sono stati dei momenti belli, due in particolare; il primo,
il battesimo recente dei miei due bambini che sono stati battezzati da Don Luigi
Ciotti e da tutta la grande famiglia di Libera, che non ci hanno fatto sentire soli
mai e l’altro, le vacanze estive di quest’anno dopo 6 anni di buio. Finalmente
dopo tanto tempo ho rifatto delle fotografie, perché avevo voglia di imprimere le
facce della mai famiglia dove c’erano sorrisi e risate, dove c’era finalmente
qualcosa di bello da raffigurare.
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CAPITOLO 3
L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA ED IL TESTIMONE DI
GIUSTIZIA: “IL PRIMO CONTATTO”
Il contenuto di questo capitolo si riferisce alle interviste concesse dal Procuratore
di Caltagirone Dott. Francesco Paolo Giordano (Caltagirone 10 novembre
2009), dal Vice Questore Aggiunto e Capo delle Squadra Mobile di Caltanissetta
Dott. Giovanni Giudice (Catania 11 novembre 2009).
3.1 Intervista al Procuratore di Caltagirone, Dott. Francesco Paolo Giordano D: Quali sono state le sue esperienze con il mondo dei testimoni di giustizia?
R: Ho avuto vari contatti con questo mondo quando ero Procuratore aggiunto a
Caltanissetta e quando per quattro anni sono stato presso la Direzione Nazionale
Antimafia; ho inoltre seguito l’iter dell’ultima Commissione parlamentare
riguardante i testimoni di giustizia, ed oggi come Procuratore qui a Caltagirone.
Il fatto che mi colpì da subito, sul quale ho anche scritto un articolo nel 2001, è
l’obbligo che la Commissione Centrale chiede al testimone di redigere il verbale
illustrativo dei contenuti della collaborazione, un documento nel quale il
testimone, appunto, racconta i fatti di cui è stato testimone. Secondo il mio
parere, questo verbale è ciò che più offende l’integrità del soggetto, poiché,
diversamente dal collaboratore di giustizia, al quale per ovvi motivi viene chiesto
di stilare questo documento, il testimone spontaneamente decide di collaborare.
Può apparire inverosimile che lo Stato gli imponga questo passaggio
obbligatorio, quasi che non creda alle parole del testimone ma abbia bisogno di
qualcosa di scritto, di qualcosa che “certifichi” la bontà della sua testimonianza.
Alla luce di ciò è molto difficile creare incentivazione nella società, portare
avanti un discorso di promozione dell’utilizzo dei testimoni di giustizia.
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È sempre più rischioso, poiché per molto tempo si è fatta molta confusione tra le
figure dei testimoni di giustizia e tra i collaboratori di giustizia, due mondi
completamenti diversi.
Ciò però che ho potuto constatare nella mia diretta esperienza è che spesso poi
queste persone, anche dopo molto tempo, non ritornano nei loro luoghi d’origine,
poiché oramai intorno al loro si è fatto il deserto, nessuno più li avvicina e questa
è la morte civile per una persona.
D: Quindi, secondo lei, difficilmente un testimone di giustizia rimane nella sua
terra?
R: Spesso vi sono elementi di pericolo ed è la stessa Commissione Centrale a
disporre l’allontanamento dalla zona, ma ci sono anche motivazioni di carattere
culturale, soprattutto quando ci si trova nel sud del nostro paese.
D: In merito alla possibilità che viene data al testimone di cambiare le proprie
generalità, qual è il suo parere?
R: Tecnicamente si può dire che questo problema è più un problema “praticoamministrativo” che legislativo, che riguarda una serie di settori della Pubblica
Amministrazione; ma in questa maniera il testimone viene “visto” come una
pratica da espletare, mentre nella concretezza della realtà la situazione è molto
più complessa e travagliata. Innanzitutto, quasi tutti i testimoni hanno all’inizio
della loro nuova vita il cambio della generalità per un discorso di misure di
sicurezza; poi successivamente, là dove persiste un “pericolo continuo” per il
soggetto, la Commissione provvede al definitivo cambio d’identità. Questo però
comporta che il soggetto non perda assolutamente tutti i dati della sua identità
precedente (titoli di studio, contratti stipulati- come il matrimonio-paternità,
pagamento degli oneri fiscali, ecc.), che purtroppo invece, a causa di eccessiva
burocratizzazione del nostro sistema, spesso sono oggetto di pesanti problemi per
il testimone. Ecco perché io sostengo la necessità la nascita di una figura ad hoc:
un tertium, che faccia da “filo di sutura” tra il testimone e la Commissione, tra il
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testimone e la Pubblica Amministrazione, tra il testimone e la società; una figura,
quindi, che aiuti e nello stesso tempo snellisca la vita del soggetto. In tutto questo
non bisogna dimenticare che anche la famiglia del testimone è soggetta al cambio
di identità. Ecco che quindi, sempre secondo il mio parere, urge ancora di più
questa figura terza, una sorta di “tutor” si occupi di tutte queste questioni.
Ribadisco che questi sono tutti aspetti di natura amministrativa e non legislativa:
dietro un nome ed un cognome nuovo c’è un uomo, una donna, un minore con
tutta una loro storia e con tutte le loro problematicità.
D: Un suo giudizio sui NOP2
R: Nella ratio della legge 45 è prevista, soprattutto nella composizione della
Commissione centrale, una presenza distinta di figure specifiche; purtroppo,
però, per quello che riguarda i soggetti che poi materialmente vengono utilizzati
come personale di scorta, in alcuni casi manca una preparazione specifica;
sicuramente corsi ad hoc aiuterebbero a formare figure professionali capaci e
preparate a saper gestire il testimone e la sua famiglia, come accade negli Stati
Uniti con la creazione dei Marshall.
D: Non crede però, che accanto a queste figure professionali, dovrebbe nascere
anche un nucleo specializzato di psicologi, che facciano setting a questi soggetti?
R: Certamente, creare un gruppo di servizi sociali all’interno del NOP sarebbe
sicuramente di grosso aiuto; psicologi, psichiatri specializzati a trattare soggetti
che subiscono determinati traumi, quali l’abbandono della propria realtà, come
l’essere catapultati in pochi giorni in altre città con altri nomi, senza poter
parlare con nessuno e con la paura di essere ritrovati.
Tutto questo provoca sicuramente uno stress psicologico per nulla trascurabile.
2
NOP: I Nuclei Operativi di Protezione sono coloro che vengono utilizzati come scorte per i
testimoni.
32
D: Un suo giudizio sulla norma che prevede l’acquisto dei beni immobili del
testimone da parte dello Stato.
R: In linea di principio questa norma è una disposizione giusta, perché è a favore
del soggetto offeso; in quanto il soggetto è costretto a trasferirsi in un’altra
località, lo Stato, attraverso l’acquisto dei suoi beni, gli corrisponde una
determinata somma tale da permettergli l’acquisto di un nuovo bene, diciamo che
ha un valore risarcitorio. Purtroppo però devo dire che al momento questa norma
non l’ho mai vista applicata.
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3.2 Intervista al Vice Questore e Capo della Squadra Mobile di Caltanissetta, Dott. Giovanni Giudice D: Quali sono le fasi iniziali che riguardano il rapporto tra le Forze dell’ordine ed
il testimone?
R: Si potrebbe dire che vi è una primissima fase, una fase iniziale, di analisi circa
la bontà delle affermazioni del futuro testimone; inoltre vorrei sottolineare
l’estrema importanza del primo incontro, che deve avvenire in luoghi
“neutri”lontano da occhi troppo curiosi; spesso ci si trova in realtà molto piccole
dove tutti si conoscono e dove tutti conoscono tutti. La segretezza di questa fase è
estremamente
importante
perché
anche
un
piccolissimo
errore
può
compromettere irrimediabilmente tutto.
Un altro aspetto, che riguarda questa fase, è come “istruire” il soggetto nei
confronti della famiglia, del proprio giro di conoscenti, amici, collaboratori: cioè
come si deve comportare e cosa dire e non dire.
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In questa maniera si gettano le basi per un rapporto di fiducia e di correttezza tra
il futuro testimone e l’operatore delle Forze dell’ordine; anche perché in questo
momento il soggetto non si trova ancora sotto protezione e quindi siamo noi che
ci occupiamo anche di proteggerlo sempre con il massimo dell’attenzione e della
riservatezza, fare cioè una discreta vigilanza. Un altro elemento di estrema
importanza è quello che si chiama il “contatto”. Deve essere sempre lo stesso
operatore a contattare, anche solo telefonicamente, il futuro testimone; come lo
stesso, a sua volta, deve contattare solo l’operatore. In questa maniera viene a
crearsi un rapporto molto stretto tra i due. Personalmente mi è accaduto una
situazione del genere, cioè ho dato il mio numero di cellulare ad un uomo, il
quale ovviamente ha interpretato questo mio gesto come un segno di presenza
dello Stato nei suoi confronti. Non bisogna dimenticare che questi sono momenti
di grande confusione, di paura, di travaglio interiore per un soggetto che vuole
collaborare: sapere che in qualsiasi momento può trovare conforto, si uso questa
parola conforto, in un’altra persona che forse non vede come rappresentante
dello Stato ma solo un altro essere umano come lui con il quale confidarsi.
Nascono dei “rapporti psicologici di fiducia”.
D: Come giudica l’obbligo da parte della Commissione Centrale nei confronti del
testimone di redigere il verbale illustrativo di collaborazione?
R: Personalmente non sono contrario. Penso che sia utile per il testimone, perché
scrivere una deposizione completa può aiutarlo ulteriormente a ricordare nomi,
luoghi, fatti, frasi, parole, insomma tutto quello che riguarda la sua
testimonianza; quindi non demonizzerei questo aspetto. Inoltre, diversamente dai
collaboratori che hanno un limite di tempo per rilasciare le proprie dichiarazioni,
il testimone non ha un limite temporale, e quindi ritengo essere ancora più
necessario l’utilizzo del verbale, lo definirei il “documento principe” del
testimone, che se è fatto con coscienza esprime anche che tipo di persona è il
testimone.
34
D: Come giudica la legge sui testimoni di giustizia?
R: Un aspetto da cui partire è sicuramente snellire determinate procedure,
soprattutto quelle di natura amministrativa:
a) consentire ai testimoni di poter avere copia dei propri atti;
b) agevolare la vita e le esigenze del testimone e della sua famiglia;
c) migliorare il sistema centrale di protezione sotto l’aspetto dell’attenzione
delle richieste poste dai testimoni.
D: Quali sono, secondo lei, le motivazioni che portano un soggetto a lasciare la
propria città ed un altro invece a restare?
R: Bisogna fare subito una premessa temporale; circa dieci anni fa
l’imprenditore che diventava testimone di giustizia chiudeva tutto e si trasferiva
con la famiglia al nord e non tornava più nella sua città. Oggi le cose sono
cambiate, perché c’è una maggiore coscienza civile; inoltre anche la nascita di
molte associazioni antiracket, di movimenti antimafia, hanno portato una nuova
considerazione della realtà locale. Spesso sono gli stessi imprenditori/testimoni
che non vogliono andare via perché sono diventati un simbolo di lotta al pizzo, al
malaffare; inoltre spesso è lo stesso imprenditore che, facendo la scelta di
collaborare, taglia i legami con la mafia e sa di lasciare ai propri figli e/o eredi
un’attività libera dalle “pressioni” dell’associazioni criminali.
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CAPITOLO 4
PROPOSTE PARLAMENTARI SULLE NECESSARIE
MODIFICHE ALLA LEGGE N°45 DEL 13 FEBBRAIO 2001
4.1 Relazione finale sui testimoni di giustizia approvata dalla Commissione Parlamentare nella seduta del 19 febbraio 2008 (stralcio) Il quadro emerso dall’attività di inchiesta svolta dal I Comitato attesta la
necessità di rapidi interventi: sul piano della normativa vigente può procedersi a
singole e specifiche modifiche, ovvero può puntarsi ad una più complessiva e
radicale riforma del sistema di protezione.
L’individuazione dei nuovi strumenti e la modifica di quelli esistenti devono
informarsi ad un indefettibile criterio generale: la commisurazione, sul piano
amministrativo, della protezione e dell’assistenza al rischio e ai bisogni del TdG e
non anche al grado e alla durata del giudizio nel quale si è collocata la
testimonianza.
In tal senso sono necessarie norme e regole che colleghino la natura, la
tipologia e l’entità delle misure di assistenza alla specifica condizione del TdG, al
quale andrà assicurata, insieme con la sicurezza, la prosecuzione del tenore di vita
di cui egli e i suoi familiari godevano prima dell’ammissione alla speciale
protezione.
La Commissione ritiene che i nuovi strumenti e le nuove regole possano
funzionare al meglio solo se li si pone su di un piano dove possa essere raggiunto
il fondamentale obiettivo, nell’attuale momento storico, di incentivare le
testimonianze, in particolare delle persone offese dal reato, di norma operatori
economici vittime del racket dell’estorsione o di attività usurarie.
Ciò non può avvenire se chi ha rinunciato alla propria vita per lo Stato, viene
dallo stesso Stato poi privato della dignità, del nome, della terra di nascita e
36
abbandonato al proprio destino (se non alla mercé dei mafiosi che vorrebbero
indurlo, quantomeno, a ritrattare).
Lo spaccato emerso evidenzia come i testimoni di giustizia siano i primi a
sperimentare sulla loro pelle quelle gravi cadute di efficienza del sistema, dovute
spesso a inettitudine, trascuratezza e irresponsabilità.
L’inefficienza non riguarda casi isolati ma, sistematicamente, anche se con
forme e modalità che variano da caso a caso, tutto il comparto. Pertanto, per far si
che lo Stato recuperi il terreno perso nei confronti di chi ha mostrato di possedere
uno spirito civico esemplare, occorrono un intervento normativo ed un approccio
alla materia innovativi ed urgenti secondo le seguenti proposte, tra le quali
occorre distinguere quelle che possono essere assunte a legislazione invariata e
quelle che, invece, richiedono appropriati interventi normativi.
1) Garantire ai testimoni (attraverso adeguate misure di assistenza)
l’effettivo mantenimento del pregresso tenore di vita goduto dai medesimi e
dai loro familiari. A tal fine, è necessario definire compiutamente il concetto
espresso dalla locuzione “tenore di vita”, in quanto esso rappresenta il punto di
riferimento per la determinazione delle misure assistenziali da erogare (e, quindi,
anche della capitalizzazione). L’espressione “tenore di vita” deve essere intesa
nella sua più ampia accezione, riferita non solo al risparmio del reddito ma anche
alla parte di esso investita o spesa in beni e servizi utilizzati: deve rappresentare la
situazione economica complessiva del soggetto. Va da sé che lo stesso tenore di
vita che il testimone godeva nel luogo di origine deve essere garantito anche nella
località dove viene trasferito per ragioni di sicurezza.
Occorre individuare i parametri idonei a certificare con compiutezza il
tenore di vita: disponibilità di beni mobili registrati (imbarcazioni da diporto,
autoveicoli), residenze secondarie, collaboratori familiari, attività extrascolastiche
dei figli, frequenza di alberghi e ristoranti, viaggi all’estero.
Certamente le valutazioni non potranno non tener conto, in qualche misura,
delle dichiarazioni dei redditi precedentemente rese dal testimone.
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2) Fornire al testimone di giustizia un quadro informativo ampio e
dettagliato circa i diritti e i doveri connessi con l’assunzione dello status di
testimone di giustizia.
È necessario individuare strumenti per fornire al testimone di giustizia,
prima dell’acquisizione dello status, una compiuta informazione in ordine a tutte
le previsioni di legge che l’assunzione di tale ruolo comporta, sia sotto il profilo
dei diritti che sotto il profilo dei doveri. Deve essere reso conscio delle difficoltà
della vita mimetizzata e ricevere una corretta rappresentazione dei presidi che lo
Stato offre.
3) Prevedere l’istituzione di un’equipe di professionisti e tecnici, ovvero
di un’equipe multidisciplinare, in grado di valutare le peculiari situazioni dei
testimoni e fornire soluzioni (di natura psicologica, sanitaria, patrimoniale,
aziendale, lavorativa, contributiva, ecc). L’intervento di tale equipe deve essere
previsto fin dalla primissime fasi di ammissione al programma di protezione, allo
scopo di individuare, insieme con il testimone, gli interventi più opportuni ed
urgenti da adottare (a partire dal trasferimento nella località protetta) e al fine di
predisporre linee di intervento mirate e rispettose dei parametri normativi e
costruire il programma in maniera coerente alla storia di vita del testimone di
giustizia e dei suoi familiari.
4) Assicurare il reinserimento lavorativo. Occorre prevedere interventi
normativi atti a garantire l’assunzione, a tempo indeterminato, del testimone di
giustizia nei ruoli della Pubblica Amministrazione (come previsto per le vittime
della criminalità organizzata e del terrorismo), tenuto conto delle competenze e
dei titoli posseduti dal testimone (qualora ne fosse privo, dovrà partecipare ad
appositi corsi di formazione), sulla scorta di positive esperienze già realizzate, ad
esempio, dalla regione Sicilia con l’emanazione della L.R. 13 settembre 1999, n.
20. Tuttavia, l’inserimento nella Pubblica Amministrazione non può essere
ritenuto lo sbocco occupazionale necessitato: il testimone di giustizia che, per
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precedente esperienza o per comprovata vocazione, intenda svolgere attività
autonoma, imprenditoriale o professionale, deve essere posto nelle condizioni di
realizzare, non diversamente dagli altri cittadini, il proprio percorso lavorativo.
5) Prevedere, in favore dei testimoni di giustizia che intendono
proseguire o avviare attività imprenditoriali, benefici fiscali per un congruo
ma limitato periodo temporale, riducendo le aliquote sugli utili delle aziende i
cui titolari, ammessi al programma di protezione in qualità di testimoni di
giustizia, hanno denunciato richieste estorsive (in materia di Imposta comunale
sugli immobili, tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, tassa di
occupazione del suolo pubblico, contribuiti previdenziali). Il beneficio, da
introdurre con appositi interventi normativi, viene disposto dalla Commissione
centrale per la definizione ed applicazione dello speciale programma di
protezione.
6) Prevedere meccanismi agevolatori delle imprese individuali di cui sia
titolare il testimone di giustizia, ai fini della stipula di convenzioni, anche in
deroga alla disciplina in materia di contratti della Pubblica Amministrazione, con
enti pubblici, compresi quelli economici e le società di capitali a partecipazione
pubblica. Tanto in analogia a quanto ora è praticato per le cooperative sociali, alle
quali viene applicato il dispositivo previsto all’art. 5 legge 8 novembre 1991, n.
381. Occorrerà, naturalmente, costruire la previsione in maniera da assicurare
all’impresa del TdG un vantaggio competitivo che non trasmodi in un indebito
privilegio, ponendo, ad esempio,dei limiti quantitativi in un determinato lasso
temporale.
7) Prevedere la possibilità di acquisizione al patrimonio dello Stato dei
beni immobili di proprietà del testimone o dei familiari, ubicati nella località
di origine con modalità speciali e, comunque, non attraverso l’ordinaria
procedura gestita dall’Agenzia del demanio.
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La Commissione centrale deve quindi avere parte attiva nel processo di
acquisizione del patrimonio e nella stima dello stesso. I beni immobili posseduti
dal testimone nella località di origine devono essere acquisiti al patrimonio dello
Stato entro 6 mesi dall’ammissione alla speciale protezione ed entro tale termine
deve essere versato al testimone di giustizia l’equivalente in denaro. Va da sé che
la vendita dell’immobile nel luogo di origine deve rispondere a criteri di mercato,
ma la Commissione deve prevedere, se necessario, interventi economici
integrativi, tali da permettere al testimone l’acquisto nella località protetta di
immobile di livello analogo a quello posseduto.
8) Dare soluzione alle problematiche legate alla mimetizzazione
anagrafica.
Quando è assolutamente necessario assicurare che il testimone (che abbia
acquisito particolare notorietà ed esposizione mediatica o pubblica) non sia
identificato con le sue originarie generalità, occorre procedere al rilascio di
documenti di copertura.
È necessario che il rilascio sia immediato (entro le 48 ore) e concerna i
documenti omologhi rispetto a quelli già posseduti prima dell’ammissione alle
misure di protezione: essi recheranno l’indicazione di un nome e cognome fittizio
(eventualmente concordato con l’interessato) compatibile con la provenienza
territoriale del TdG.
Il tempestivo rilascio dei predetti documenti riguarderà, contestualmente,
tutti i soggetti del nucleo familiare del TdG interessati dalle misure di protezione.
Tali documenti avranno una validità provvisoria (un periodo non superiore a
tre/sei mesi), dovendo assicurare una “copertura” meramente temporanea fino alle
determinazioni definitive.
Una volta deliberato il cambio di generalità definitivo, sarà cura del
Comitato provvedere alla “sistemazione burocratica”, con la sovrapposizione della
nuova identità a quella preesistente presso l'ufficiale dello stato civile del luogo
della nascita, nonché presso tutti gli uffici pubblici. Saranno adottati,
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nell’esecuzione di tali adempimenti, gli accorgimenti più idonei a prevenire il
disvelamento del collegamento esistente tra l’identità originaria e la nuova identità
(passaggi multipli e a catena).
La rilevante complessità dell’istituto del cambio di generalità richiede,
peraltro, l’approntamento di nuove indicazioni normative (attraverso un
approfondito confronto tra i Ministeri competenti), al fine di superare le attuali
anomalie e trasformarlo in uno strumento al quale poter ricorrere, quando occorre,
senza difficoltà.
9) Adeguare le misure di protezione, prevedendo un aumento di mezzi e
uomini a ciò predisposti, sia nella località di origine che nella località protetta
con l’obiettivo di assicurare l’incolumità fisica del testimone e dei suoi
familiari. Nelle località protette non devono essere utilizzati per le sistemazioni
abitative dei testimoni, immobili precedentemente (e notoriamente) impiegati per i
collaboratori di giustizia, in quanto ciò farebbe venir meno quella condizione di
sicurezza e mimetizzazione sul territorio. I testimoni in località di origine devono
avere una tutela continua. Se vi è un problema di sicurezza è evidente che al
testimone deve essere garantita tutela e protezione in tutti i suoi spostamenti
soprattutto quando necessari per esigenze lavorative. La tutela, infine, va
assicurata al testimone e ai suoi familiari. Il testimone non può permanere in
località di origine se, prima, non siano stati vagliati i presupposti (situazione
locale e risorse disponibili), attraverso uno specifico e preventivo parere del
Prefetto competente territorialmente, che dia conto sia delle ostilità dell’ambiente
al momento in cui la misura deve esservi calata, sia del numero e della qualità
delle persone che vengono a trovarsi in pericolo, sia dell’attività svolta dal TdG
e/o dai suoi familiari, allo scopo di ponderare ogni pericolo di frizioni ambientali,
idonee a pregiudicare un dispositivo di sicurezza oggettivamente relativo.
10) Garantire una tempestiva e completa regolarizzazione delle
posizioni previdenziali del testimone di giustizia e dei loro familiari.
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Va garantita un’effettiva continuità della posizione previdenziale con
riferimento a quei testimoni (e relativi familiari) che, con la sottoposizione a
programma di protezione, sono stati costretti ad interrompere l’attività lavorativa
nella località di origine.
Ma va anche prevista la possibilità, per i testimoni (e familiari) che non
svolgevano attività lavorativa prima della sottoposizione al programma, di
accedere ad un trattamento integrativo (attraverso polizze previdenziali e/o
assicurative).
11) Ampliare il ricorso all’utilizzo della videoconferenza.
È necessario un sistema di cautele che preservi i testimoni da ogni azione
intimidatrice o violenta da parte degli autori dei reati e che comprenda
l’obbligatorietà, salvo eccezioni, dell’escussione dei testimoni attraverso l’utilizzo
della videoconferenza. Tale strumento è utile all’effettiva tutela dell’integrità
fisica e psicologica del testimone, e risulta idoneo, tra l’altro, alla realizzazione di
risparmi per lo Stato in ordine alle spese di trasferimento dei testimoni.
12) Orientare l’impiego della “capitalizzazione” ad un concreto
progetto lavorativo.
Occorre contrastare un modus operandi basato sulla convinzione che
l’elargizione delle somme di denaro -talvolta rilevanti- possa risolvere qualsiasi
tipo di problema dei testimoni, assumendo una sorta di significato liquidatorio
rispetto ad ogni obbligo dello Stato. Occorre tornare allo spirito della legge: le
capitalizzazioni vanno date al testimone solo in presenza di un concreto progetto
lavorativo. A tal fine, devono essere condotte accurate analisi e svolti approfonditi
studi di fattibilità dei progetti. Deve prevedersi che la sottoscrizione dell’accordo
di capitalizzazione avvenga in presenza e con l’assistenza di un legale
(nell’auspicata riforma del sistema: il tutor e il Comitato di garanzia). Dal
momento che la “capitalizzazione” prelude alla fuoriuscita dal sistema di
protezione è opportuno offrire al testimone adeguate informazioni in relazione a
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tutte le conseguenze che tale accettazione comporta (come, ad esempio, il fatto
che successivamente a tale atto non sarà possibile chiedere ulteriori compensi
economici alla Commissione centrale).
Occorre, altresì, prevedere sistemi di affiancamento e supporto per l’avvio
delle attività imprenditoriali poste in essere dai testimoni di giustizia avviate
attraverso il finanziamento della “capitalizzazione”.
13) Prevedere meccanismi per una più compiuta valutazione del
mancato guadagno, riconoscendo ai TdG titolari di attività imprenditoriali forme
efficaci di risarcimento compensativo dei minori introiti derivanti dall’assunzione
dello status di persona sottoposta a programma di protezione. Tali procedure
assicureranno, altresì, che la corresponsione delle somme abbia carattere
definitivo e omnicomprensivo, dovendosi prevenire defatiganti e poco etiche
richieste risarcitorie “a catena” da parte dello stesso testimone.
14 )Rendere obbligatoria, mediante una norma di legge, l’acquisizione
del parere della Direzione nazionale antimafia in tutti i casi di richiesta di
adozione del piano provvisorio di protezione, così da fornire alla Commissione
una più completa conoscenza circa la figura della persona proposta, l’apporto
testimoniale che è in grado di rendere e il suo contesto ambientale e processuale.
15) Articolare la speciale protezione dando centralità all’assistenza
psicologica
L’assistenza psico-sociale deve diventare parte integrante del programma di
protezione sin dalle prime fasi e non può essere affidata ad interventi successivi
(addirittura “su richiesta”) di carattere straordinario, come avviene attualmente.
Non può essere demandata all’esterno (a strutture locali del servizio sanitario
nazionale), in quanto la gran parte dei disagi trova origine nella speciale
condizione di protezione ed anche per ragioni di sicurezza non sarebbe opportuno.
Gli psicologi inseriti nelle strutture di protezione conoscono le problematiche di
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vita del sistema e possono arrivare a prevenirli e a risolverli con interventi rivolti
anche verso l’apparato amministrativo interno. Occorre, quindi, incrementare la
presenza di professionisti dell’area medico-psicologica, prevedendo la loro
distribuzione a livello delle strutture territoriali. Queste strutture devono agire in
raccordo continuo con la sede centrale dove ci si potrà avvalere del contributo di
altri professionisti (neurologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, ecc.).
Il nuovo modello di protezione
La Commissione parlamentare antimafia ritiene opportuno progettare un
modello nuovo del sistema di protezione per mettere in atto un cambiamento
radicale nella gestione dei testimoni.
Occorre un mutamento di mentalità e metodo, una diversa filosofia
nell’approccio alla figura del testimone che va visto non come un “peso” ma come
una “risorsa”.
Bisogna, poi, passare da una gestione “a sportello” ad una gestione
relazionale. Particolare attenzione va, quindi, riservata alla selezione e alla
formazione del personale preposto alla speciale protezione.
Il nuovo modello di protezione deve partire dall’esame della motivazione
che sta all’origine della scelta del testimone di giustizia: tale scelta deve essere
libera, pienamente deliberata e responsabile.
Il Servizio centrale di protezione deve effettuare una valutazione attenta e
accurata dei fattori di questa scelta testimoniale: l’esame della personalità di tali
soggetti, delle loro caratteristiche e attitudini e, più in generale, di quanto
concerne la loro sfera psicologica, utile ad accertare le capacità di adattamento e
di condivisione di un sistema di vita nuovo, all’interno del quale saranno collocati.
44
a) Ridefinire la figura del testimone di giustizia
È necessario prevedere una riconfigurazione del ruolo del testimone di
giustizia, anche attraverso più netti connotati differenziali rispetto al collaboratore
di giustizia.
È dunque indispensabile - al fine di evitare che le misure di tutela e
assistenza possano essere, in qualche modo, usufruite da soggetti che hanno tratto
direttamente o indirettamente vantaggi economici di natura criminale - irrobustire
i parametri normativi che fissano i criteri per l’accesso allo status di testimone di
giustizia.
Occorre pervenire alla formalizzazione dei criteri per distinguere testimone
di giustizia e collaboratore di giustizia. In tal senso, potrebbe prevedersi che per
accedere allo status di testimone di giustizia, il soggetto non si sia reso
responsabile di reati indicativi di particolare pericolosità sociale e che non
possano essergli addebitati comportamenti significativi di appartenenza e /o
contiguità con organizzazioni criminali.
Occorre, inoltre, porre particolare attenzione nell’individuazione dei più
efficaci strumenti per prevenire l’ipotesi che taluni soggetti possano far ricorso in
modo strumentale all’acquisizione dello status di testimone (anziché quello di
collaboratore di giustizia) proprio in ragione dei vantaggi economici e di
assistenza che ne possono derivare. L’attenzione da parte degli organi competenti
(sia chi propone, sia chi decide l’adozione delle speciali misure di protezione)
deve essere massima.
b) Rendere flessibili le misure di assistenza e protezione
Occorre calibrare le misure di assistenza e di protezione in relazione alle
caratteristiche specifiche di ciascun testimone di giustizia, tenendo conto che
questi proviene da realtà e situazioni diversificate, nonché da contesti ambientali
differenziati. Le esigenze dei singoli sono, inoltre, di diversa intensità, e quindi
incompatibili con l’adozione di protocolli standardizzati. Pur senza pervenire ad
una “personalizzazione” del trattamento, si intende sostenere l’esigenza di
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realizzare una “individualizzazione” del trattamento. È opportuno quindi che
l’ambito normativo-regolamentare sia caratterizzato da una elasticità in grado di
consentire la corretta gestione di ogni singolo caso, pur nell’ambito di previsioni
generali uguali per tutti.
c) Istituire il Comitato di garanzia per l’espletamento del programma di
protezione dei testimoni di giustizia
La necessità di offrire una maggiorata tutela a “soggetti deboli” come i
testimoni di giustizia sembra imporre l’opportunità di istituire un organo che sia in
grado di monitorare la corretta esecuzione delle misure assistenziali e di tutela
deliberate dalla Commissione centrale e demandate, per l’esecuzione, al Servizio
centrale di protezione.
Il Comitato di Garanzia, formato da professionisti di elevata competenza e
autorevolezza, esterni alla Commissione centrale e al Servizio centrale di
protezione, offre al testimone di giustizia supporto e tutela lungo tutto il suo
percorso e interviene nei casi in cui si verifichino particolari disfunzioni e
inadempienze
Tale Comitato di garanzia dovrebbe, quindi, annoverare soggetti di alto
profilo professionale e morale, espressione delle competenze necessarie alla
realizzazione dei fini sopra richiamati: psicologo, avvocato, sociologo, figure
appartenenti agli apparati istituzionali più elevati (prefetto, magistrato o ufficiale
delle forze dell’ordine), criminologo e assistente sociale.
In una visione di sinergie istituzionali, il nuovo assetto organizzativo
dovrebbe prevedere l’obbligo, per il Servizio centrale di protezione (al quale la
norma demanda il compito di attuare le misure di protezione e di assistenza), di
riferire al Comitato di garanzia almeno ogni sei mesi sullo stato di adattamento e
di progresso che il testimone di giustizia ha raggiunto.
Il Comitato di garanzia, a sua volta, può fornire al Servizio centrale (ed
eventualmente alla Commissione centrale) indicazioni e pareri motivati circa
eventuali problematiche insorte nell’applicazione del programma di protezione,
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nonché suggerire interventi concreti a tutela dei diritti e delle legittime aspettative
del testimone di giustizia.
Nel caso di cessazione delle misure di protezione, il Comitato di garanzia
continuerà a prestare il proprio supporto fino a quando il TdG non abbia raggiunto
gli equilibri necessari al reinserimento nella dimensione ordinaria.
d) Istituire la figura del tutor del testimone
Diventa necessario sostituire la figura attuale del referente (normalmente un
appartenente alle forze di polizia), rivelatasi insufficiente e non adeguata a
soddisfare le esigenze del testimone. Si avverte la necessità di un punto di
riferimento costante e continuo, che assista e accompagni il testimone, sin
dall’ingresso nel programma di protezione, che sappia agire con professionalità,
efficienza e dedizione, abile nel farsi carico delle esigenze del testimone, anche di
quelle più complesse: un tutor, ossia una persona che si ponga come interlocutore
-per conto del TdG- degli organi amministrativi e, più in generale, della Pubblica
Amministrazione. Dotato di poteri adeguati allo scopo, normativamente definiti,
affianca il testimone nella risoluzione di tutte le problematiche che sorgono dal
momento della collocazione sul territorio.
Il ruolo di tutor può essere ricoperto da persona che abbia svolto funzioni in
ambito legale o nella dirigenza dello Stato, preferibilmente con compiti nel
comparto della sicurezza, e caratterizzato da un elevato ed autorevole profilo
professionale. Il tutor deve saper convogliare le legittime pretese e le fondate
aspettative del testimone verso le rinnovate potenzialità dei nuclei territoriali e del
Comitato di garanzia. Al contempo, tuttavia, deve essere dotato di poteri di
impulso, nei confronti delle citate strutture e di ogni altro organismo deputato a
fornire un contributo (sotto il profilo assistenziale o della sicurezza) al testimone.
e) Un corpo specializzato di operatori della protezione: i nuovi NOP
La specializzazione del personale dello Stato adibito a compiti di tutela e
assistenza del TdG deve divenire un postulato irrinunciabile, quale che sia il
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percorso che si intende seguire (potenziamento e riqualificazione delle strutture
attuali, ovvero creazione ex novo di un organismo con competenze ampliate e
ridefinite).
La Commissione antimafia intende affermare, alla luce dell’inchiesta svolta,
la notevole importanza che rivestono gli aspetti relativi a: provenienza, selezione,
formazione e inquadramento del personale adibito all’assistenza ed alla tutela dei
testimoni di giustizia.
È necessario costituire un corpo di professionisti non solo della tutela, ma
anche dell’assistenza socio-psicologica, perché tale è, nella realtà, il compito che
essi si ritrovano a svolgere.
Di conseguenza, occorre ampliare il bacino di selezione, attingendo ai ruoli
dell’intera Pubblica Amministrazione (con riferimento alle professionalità
specificamente richieste dalla funzione) e operando accurati processi di
valutazione dei curricula e valorizzando le competenze acquisite e gli aspetti
motivazionali.
La somministrazione frammentata e saltuaria di nozioni deve essere
sostituita da un programma di formazione permanente: una apposita “scuola”,
nella quale confluiscano le più valide esperienze già maturate, che assicuri un
sistema di addestramento professionale su basi di elevata scientificità, e si articoli
attraverso appositi corsi della durata di almeno sei mesi (basati sull’insegnamento
della psicologia -in primis- e di altre materie e tecniche specifiche), anche con il
ricorso a titolari di cattedra accademica.
Solo dopo il superamento di tale corso e l’effettuazione di un congruo
tirocinio pratico si potrà avere un operatore qualificato del Servizio centrale
Protezione, in grado di interpretare pienamente la filosofia del nuovo sistema
integrato di tutela e assistenza.
Occorre adottare rigorosi sistemi di verifica periodica della professionalità e
dell’attività svolta dagli operatori, al fine di garantire costantemente un elevato
standard di efficienza.
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f) Le nuove strutture territoriali
Appare indispensabile l’adeguamento dell’impianto strutturale esistente,
integrando -in particolare- il personale dei nuovi NOP, che opera a livello
territoriale, con soggetti qualificati e in grado di sviluppare e seguire i progetti di
assistenza socio-psicologica in favore del TdG e dei suoi familiari (professionisti
in campo legale e nel settore economico-finanziario, psicologi di comprovata
esperienza ed esperti dell’assistenza socio-sanitaria, anche con riferimento alle
specifiche problematiche dell’infanzia, ecc.).
In tal modo, l’equipe multidisciplinare di esperti inserita nella sede centrale
troverebbe la sua corrispondenza funzionale nelle omologhe strutture operative
dislocate sul territorio.
Non avrebbe, infatti, senso istituire una forte struttura centrale di sostegno e
lasciare nella confusione dei ruoli e delle funzioni i Nuclei distribuiti sul territorio
che hanno autentici compiti operativi.
g) Verso una struttura unica
Conclusivamente, si ritiene opportuno affermare la necessità di superare
l’attuale suddivisione dei compiti di assistenza e tutela, da un lato, e sicurezza,
dall’altro, affidati ad organi diversi, per addivenire alla creazione di un organismo
unico che, attraverso unitarietà strutturale e specializzazione, assicuri efficacia a
tutto il comparto di protezione, sollevando le forze di polizia territoriali dai
compiti di scorta e tutela attualmente a loro affidati dal Servizio centrale.
Non v’è dubbio che tale artificioso riparto di competenze, nella parte in cui
assegna agli organi territoriali le funzioni di sicurezza, rappresenta una rinuncia
alla specificità e all’efficacia delle misure tutorie in favore del testimone.
La Commissione esprime, sul punto, l’auspicio che si avvii una riflessione
complessiva volta a delineare un sistema di protezione che, accanto alle
innovazioni sopra menzionate con riguardo ai profili di piena garanzia del rispetto
dei diritti del cittadino testimone di giustizia, preveda l’attribuzione – sul modello
dell’United States Marshals Service – anche dei compiti di vigilanza e sicurezza.
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Si intende far riferimento ad una filosofia nuova che, evitando confusioni e
sovrapposizioni di ruoli, dia vita ad un sistema integrato tra aspetti di sicurezza e
di assistenza del TdG.
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Riferimenti bibliografici
CASARRUBEA G., Gabbie strette. L’educazione in terre di mafia: identità
nascoste e progettualità del cambiamento, Sellerio, Palermo.
D’AMBROSIO L. (2002), Testimoni e collaboratori di giustizia, Cedam, Padova.
FUMO M. (2001), Delazione collaborativa, “pentimento” e trattamento
sanzionatorio. La nuova normativa sui collaboratori e sui testimoni di giustizia:
esegesi, spunti critici, riflessioni, Edizioni giuridiche Simone, Napoli.
Atti del convegno dell’Associazione Libera- Contromafie – Roma 23/24/25
ottobre 2009
Atti del gruppo di lavoro sui testimoni di giustizia- Contromafie- Roma 24 ottobre
2009
Interviste
Intervista a “Matteo”, testimone di giustizia, Roma 24 ottobre 2009
Intervista al Dott. Vincenzo Conticello, testimone di giustizia, Palermo 09
novembre 2009
Intervista al Procuratore Dott. Francesco Paolo Giordano, Procuratore di
Caltagirone, Caltagirone 10 novembre 2009
Intervista al Dott. Giovanni Giudice, Capo della Squadra Mobile di Caltanissetta,
Catania 11 novembre 2009
Intervista a Piera Aiello, testimone di giustizia, 28 novembre 2009
Materiali filmati
“Testimone a rischio” di Pasquale Pozzessere, 1997
“Il Testimone” di Michele Soavi, fiction di Mediaset, 2007
“La siciliana ribelle” di Marco Amenta, febbraio 2009
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Ringraziamenti
Si ringrazia:
Libera - Associazioni nomi e numeri contro le mafie, per avere concesso il
tirocinio presso il loro ufficio legale con l’Avv.ssa Vincenza Rando; per il
materiale fornito dalla Dott.ssa Teresa Fulco e dalla Dott.ssa Simona Ottaviani.
Un particolare ringraziamento alla Dott.ssa Giovanna Montanari per il materiale
fornito.
Associazione “Rita Atria”, nella persona della sua Presidente Nadia Furnari
Il testimone di giustizia “Matteo”
Il testimone di giustizia Dott. Vincenzo Conticello
La testimone di giustizia Piera Aiello
Per le interviste concesse
Il Procuratore Dott. Francesco Paolo Giordano
Il Dott. Giovanni Giudice
Per le interviste concesse e il materiale fornito
Chiara Fiumara e Cristina Bartoli per le consulenze tecniche.
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Teorie e Metodi nell`Investigazione Criminale