2 Enzo Sopegno PIOVONO PIGNE Postfazione dell‟autore 3 4 Magnìn Testimone è anziano, molto anziano. Ha un volto increspato da profonde rughe. La barba, bianca, folta e striata di giallo. Macchiata dal fumo dei sigari. Gli occhi, liquidi e chiari, mi guardano, come sempre, con curiosità. Con amicizia. Sono tornato. Nella mia diletta borgata. E‟ cambiata profondamente. Tutte le case, sparse lungo l‟unica via centrale, sono state rimaneggiate, ristrutturate, abbellite e ingentilite. Tutte, tranne la sua. E‟ piccola, minuscola, quasi impaurita dalle baldanzose presenze che la attorniano. L‟intonaco è sbucciato, scolorito; le imposte, scrostate, disperdono invisibili scaglie di vernice nell‟aria. Da qualche istante ho oltrepassato la stretta porta d‟ingresso, sono stato riconosciuto e, con un impercettibile cenno, invitato a sedere su una sedia cigolante, l‟unica presente oltre a quella su cui è accomodato lui, immobile. Lo osservo. Indossa l‟immancabile cappello di paglia. Non lo toglie mai. 5 Sorride. Ricambio, e mi guardo attorno. Cerco di abituarmi alla poca luce, l‟ambiente è fresco, riposante. Scorgo i soliti arredi, il divanetto di finta pelle, la vecchia credenza, l‟antico frigorifero che brontola. L‟orologio a pendolo, la maestosa stufa a legna che si gode il meritato riposo dopo la faticosa attività invernale. Senza parlare, Testimone si alza, si avvicina all‟imponente lavello di ceramica bianca e prende un bicchiere pulito, per me. Il vecchio, anche se ormai curvo, è ancora agile; dai suoi arti secchi si sprigiona un‟inaspettata vitalità. I movimenti sono rapidi, precisi. Mi porge il bicchiere, che in realtà è un enorme boccale dalla capacità smisurata. Si siede, afferra con vigore il collo del bottiglione di vino, eterna e immancabile presenza sul suo tavolo, e versa, fino all‟orlo. Solleva la sua scodella, reggendola solennemente con le due mani, come fosse un calice, e tracanna una robusta sorsata. Lo imito. Il rito è compiuto. Testimone solleva il mento, e m‟invita a parlare. Ha intuito che gli voglio domandare qualcosa. Ed è vero. Sa che gli posso chiedere qualsiasi cosa. Lui ricorda tutto. “Parlami di Magnìn” dico. Mi squadra, accenna un sorriso. Sembra divertito. “Quale? Il padre o il figlio?” “Hai ragione,” rispondo, “il figlio, parlami del figlio.” “Sì, del padre c‟è poco da dire. Una brava persona, che ha sempre tribolato. La famiglia era molto numerosa. Tanti, troppi figli. E non c‟era da mangiare per tutti lassù, sulla montagna. Allora sono scesi. Sono venuti qua, in cerca di maggior fortuna. Lui ha continuato con il suo lavoro. La moglie è riuscita ad aprire un piccolo negozio, nella borgata, un commestibile. Misera cosa, ma allora non c‟erano i 6 supermercati, e chi aveva bisogno di pasta, di olio, di burro o di qualche acciuga sotto sale andava dalla Giovanna. Mi ricordo che aveva un piccolo libretto con la copertina nera. Nessuno pagava con i soldi. Lei segnava tutto e, una volta al mese, si regolavano i conti. I bambini che andavano a comprare i biscotti o le caramelle …” “Il figlio,” lo interrompo, “perché si chiamava così? Era sporco?” Penso al significato, in dialetto, di quel suo soprannome. Testimone ride, sussulta e ride ancora. E poi beve. “Ma no! Ma quale sporco! Lo stranome l‟aveva ereditato dal padre. Il vecchio sì che era sporco! Per il suo lavoro. Sai, faceva lo stagnino.” “Lo stagnino?” “Sì, ma al giorno d‟oggi non lo fa più nessuno. Gli stagnini giravano per le campagne a rattoppare pentole e paioli di rame. Bisognava essere abili; lo stagno doveva essere tirato a caldo sulla superficie della pentola, in modo uniforme, senza fare grumi. Un lavoro da veri artigiani!” “E ci si sporcava?” “Altroché! Hai presente quegli enormi paioli di rame? Erano tutti neri, a forza di stare sul fuoco, e appena li toccavi ti magninavi tutto.” “E‟ vero che Magnìn andava a caccia di vipere?” domando. “Certo! Ma questo quando era ancora bambino, su in montagna. I suoi fratelli non avevano il coraggio di farlo, ma lui sì. Partiva da solo, con il suo bastone biforcuto, e andava a scovare quelle bestiacce nelle pietraie. Le catturava, le metteva in un sacco e poi le vendeva al farmacista del paese, che le utilizzava per 7 estrarre il veleno e fare il siero. E così si faceva qualche soldo. E aiutava i suoi. Era dura la vita in montagna. Non c‟era nulla. Solo disagi e miseria. Pensa che una volta la povera Giovanna si è dovuta fare più di un‟ora di cammino, con il bambino più piccolo sulle spalle, per portarlo dal dottore. E altrettanto al ritorno. In mezzo a due alte muraglie di neve. Allora nevicava tanto …” “E poi? Che cosa ha fatto Magnìn quando è venuto qua, in pianura?” “Ormai era già un giovanotto. Ha fatto il soldato, e dopo ha cominciato a lavorare. Era bravo. Poteva fare qualsiasi lavoro. Allora, chi aveva voglia di fare trovava subito, mica come adesso. I padroni capivano immediatamente chi era abile e chi no, e lo prendevano senza pensarci su due volte. E lui si dava da fare, faceva la giornata doppia, e guadagnava bene. Però, appena aveva accumulato un po‟ di soldi, si licenziava.” “Smetteva di lavorare?” “Sì, diceva che in quel momento non ne aveva più bisogno. I soldi li aveva, e allora iniziava a mangiarseli.” “Come?” “Osterie, amici, e poi si comprava una macchina.” “Una macchina?” “Ne ha comprate tante. Ma non duravano. Finita la macchina, tornava a lavorare. Se aveva l‟automobile non aveva il lavoro, e viceversa.” “Mi ricordo che una volta aveva una Prinz…” “La Prinz! Che brutta macchina! Lui aveva quella piccola, la seicento, verde bottiglia. La scannava la poveretta. Ed è con quella che andò in salumeria.” “Come in salumeria?” Pioveva, in modo incessante, da alcuni giorni. La primavera non ne voleva proprio sapere di arrivare. 8 La strada, lunga e diritta, scorreva rapida davanti agli occhi di Magnìn, nascosti da un paio di enormi occhiali scuri. La visibilità era minima. Accelerò e la piccola auto, con un gemito, prese più velocità. “Le tiri il collo, così!” disse Romualdo, stringendo con forza la maniglia della portiera. “Se schiaccio ancora un po‟, prendiamo il volo!” rispose divertito Magnìn. Era quasi mezzogiorno e i due, dopo aver fatto il solito giro delle osterie dei dintorni, stavano rientrando giù in paese. Completamente brilli. Come sempre. “Magnìn, ricordami che devo comprare del prosciutto. Se torno a casa senza, e pure lordo, mia moglie mi riempie di botte.” “E tu, grande e grosso, hai paura di una donna?” “Eh! Non la conosci quella. Quando scopre che esagero con il vino, diventa una furia. Non la tiene più nessuno! E urla. E grida. E poi mi alza le mani. Santo Dio! Tu hai fatto bene a non sposarti.” Magnìn sogghignò, compiaciuto. Serrò le mani sul volante, e schiacciò il pedale dell‟acceleratore fino in fondo. Il motore, alle sue spalle, sibilava. I tozzi tergicristalli faticavano a mantenere il parabrezza sgombro dall‟acqua, che precipitava ora con ancora maggiore intensità. I due amici giunsero in prossimità delle prime case del paese. Il distributore di benzina, la ferramenta, il consorzio agricolo. Poi, ormai vicinissima, ecco la salumeria. “Magnìn, il prosciutto!” urlò Romualdo. “Cristo!” disse l‟altro. Frenò all‟improvviso. La Prinz cominciò a pattinare, in pratica staccata da terra. Un violento colpo di sterzo, e la macchina entrò in salumeria. Sfondando la vetrina. Con gran fragore 9 di vetri infranti. Un‟esplosione. All‟interno del negozio, per buona sorte, in quel momento non c‟erano clienti. L‟auto si era fermata a muso a muso contro l‟enorme bancone di marmo bianco. Bianco, come l‟atterrito volto di Angelo, il salumiere, rimasto bloccato con il coltello a mezz‟aria. Ovunque, sparsi nell‟ampio locale, salami, coppe, lingue, sanguinacci, salsicce. E soprattutto vetri. Magnìn, a fatica, riuscì ad aprire la portiera. Era illeso. Scese. Si lisciò la giacca e si rivolse al negoziante, che era ancora immobile e muto. “Angelo, tutto a posto! Sono assicurato, pago tutto.” Poi saltò sul cofano anteriore della macchina, passò dall‟altra parte e cercò di liberare il povero Romualdo, che si lamentava. Aveva una profonda ferita sulla fronte, che grondava sangue, e si massaggiava il polso destro. “Romualdo, già che ci siamo, ricordati di prendere il prosciutto, altrimenti dopo a casa te le buschi.” “E poi?” domando, “è tornato subito a lavorare?” “Per forza! Doveva pagare tutti quei danni. Vendere la macchina non bastò.” “Ma non era assicurato?” “Lasciamo perdere. Ascolta, hai fame?” chiede Testimone. “Mah … veramente …” “Vieni.” Ci alziamo. Lo seguo. Dalla cucina passiamo in un angusto disimpegno. Sulla sinistra, una tenda. Lui la scosta. Scendiamo pochi gradini e ci troviamo in una piccola cantina. Il pavimento è nudo, in terra battuta. Ai lati, vecchi scaffali ripiegati sotto il peso di una 10 moltitudine di bottiglie di vino impolverate. Il soffitto è obliquo, e comprendo così che ci troviamo nel sottoscala. Appesi, alcuni grossi salami. Testimone ne afferra uno, lo tasta, lo annusa e poi lo stacca. Ritorniamo in cucina. Dalla credenza estrae un‟enorme forma di pane, avvolta in una pezza di canapa. Poi si fruga in tasca, e tira fuori un coltello a serramanico. Lo fa scattare e inizia ad affettare prima il pane e poi il salame. Testimone si muove con gesti rapidi e precisi. E‟ ancora agile, vivace. Mi offre il cibo, dopo avere riempito di nuovo i bicchieri. Per un po‟, mangiamo in silenzio. “Ma non lavorò per molto tempo,” dice improvvisamente il vecchio, “perché ebbe un incidente.” “Un altro?” faccio, sorpreso. “Sì, ma diverso.” Quel giorno, di piena estate, faceva un caldo terribile. I giocatori, per trovare sollievo e sfuggire almeno in parte a quella morsa torrida, si erano spostati fuori dall‟osteria, e stavano seduti attorno al lungo tavolo di pietra, posto all‟ombra del maestoso platano che lo sovrastava. “Ferruccio, sbrigati a portare da bere!” gridò il corpulento Bucìn “vuoi farci morire di sete?” “Arrivo, arrivo, un po‟ di pazienza, diamine!” rispose l‟oste. E le bevande arrivarono. Vino. In bottiglie da un litro. Una a testa, tanto per cominciare. “Gelu! Forza, vieni a giocare che ce ne manca uno!” Bucìn era incontenibile. Il buon‟uomo cui si era rivolto, un tipo con la pelle cotta dal sole, alto, secco ma con braccia muscolose e 11