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Enzo Sopegno
PIOVONO PIGNE
Postfazione dell‟autore
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Magnìn
Testimone è anziano, molto anziano. Ha un volto
increspato da profonde rughe. La barba, bianca, folta e
striata di giallo. Macchiata dal fumo dei sigari. Gli
occhi, liquidi e chiari, mi guardano, come sempre, con
curiosità. Con amicizia. Sono tornato. Nella mia diletta
borgata. E‟ cambiata profondamente. Tutte le case,
sparse lungo l‟unica via centrale, sono state
rimaneggiate, ristrutturate, abbellite e ingentilite.
Tutte, tranne la sua. E‟ piccola, minuscola, quasi
impaurita dalle baldanzose presenze che la attorniano.
L‟intonaco è sbucciato, scolorito; le imposte, scrostate,
disperdono invisibili scaglie di vernice nell‟aria. Da
qualche istante ho oltrepassato la stretta porta
d‟ingresso, sono stato riconosciuto e, con un
impercettibile cenno, invitato a sedere su una sedia
cigolante, l‟unica presente oltre a quella su cui è
accomodato lui, immobile. Lo osservo. Indossa
l‟immancabile cappello di paglia. Non lo toglie mai.
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Sorride. Ricambio, e mi guardo attorno. Cerco di
abituarmi alla poca luce, l‟ambiente è fresco, riposante.
Scorgo i soliti arredi, il divanetto di finta pelle, la
vecchia credenza, l‟antico frigorifero che brontola.
L‟orologio a pendolo, la maestosa stufa a legna che si
gode il meritato riposo dopo la faticosa attività
invernale. Senza parlare, Testimone si alza, si avvicina
all‟imponente lavello di ceramica bianca e prende un
bicchiere pulito, per me. Il vecchio, anche se ormai
curvo, è ancora agile; dai suoi arti secchi si sprigiona
un‟inaspettata vitalità. I movimenti sono rapidi, precisi.
Mi porge il bicchiere, che in realtà è un enorme boccale
dalla capacità smisurata. Si siede, afferra con vigore il
collo del bottiglione di vino, eterna e immancabile
presenza sul suo tavolo, e versa, fino all‟orlo. Solleva la
sua scodella, reggendola solennemente con le due
mani, come fosse un calice, e tracanna una robusta
sorsata. Lo imito. Il rito è compiuto. Testimone solleva
il mento, e m‟invita a parlare. Ha intuito che gli voglio
domandare qualcosa. Ed è vero. Sa che gli posso
chiedere qualsiasi cosa. Lui ricorda tutto.
“Parlami di Magnìn” dico.
Mi squadra, accenna un sorriso. Sembra divertito.
“Quale? Il padre o il figlio?”
“Hai ragione,” rispondo, “il figlio, parlami del
figlio.”
“Sì, del padre c‟è poco da dire. Una brava persona,
che ha sempre tribolato. La famiglia era molto
numerosa. Tanti, troppi figli. E non c‟era da mangiare
per tutti lassù, sulla montagna. Allora sono scesi. Sono
venuti qua, in cerca di maggior fortuna. Lui ha
continuato con il suo lavoro. La moglie è riuscita ad
aprire un piccolo negozio, nella borgata, un
commestibile. Misera cosa, ma allora non c‟erano i
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supermercati, e chi aveva bisogno di pasta, di olio, di
burro o di qualche acciuga sotto sale andava dalla
Giovanna. Mi ricordo che aveva un piccolo libretto con
la copertina nera. Nessuno pagava con i soldi. Lei
segnava tutto e, una volta al mese, si regolavano i conti.
I bambini che andavano a comprare i biscotti o le
caramelle …”
“Il figlio,” lo interrompo, “perché si chiamava così?
Era sporco?”
Penso al significato, in dialetto, di quel suo
soprannome. Testimone ride, sussulta e ride ancora. E
poi beve.
“Ma no! Ma quale sporco! Lo stranome l‟aveva
ereditato dal padre. Il vecchio sì che era sporco! Per il
suo lavoro. Sai, faceva lo stagnino.”
“Lo stagnino?”
“Sì, ma al giorno d‟oggi non lo fa più nessuno. Gli
stagnini giravano per le campagne a rattoppare pentole
e paioli di rame. Bisognava essere abili; lo stagno
doveva essere tirato a caldo sulla superficie della
pentola, in modo uniforme, senza fare grumi. Un lavoro
da veri artigiani!”
“E ci si sporcava?”
“Altroché! Hai presente quegli enormi paioli di
rame? Erano tutti neri, a forza di stare sul fuoco, e
appena li toccavi ti magninavi tutto.”
“E‟ vero che Magnìn andava a caccia di vipere?”
domando.
“Certo! Ma questo quando era ancora bambino, su
in montagna. I suoi fratelli non avevano il coraggio di
farlo, ma lui sì. Partiva da solo, con il suo bastone
biforcuto, e andava a scovare quelle bestiacce nelle
pietraie. Le catturava, le metteva in un sacco e poi le
vendeva al farmacista del paese, che le utilizzava per
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estrarre il veleno e fare il siero. E così si faceva qualche
soldo. E aiutava i suoi. Era dura la vita in montagna.
Non c‟era nulla. Solo disagi e miseria. Pensa che una
volta la povera Giovanna si è dovuta fare più di un‟ora
di cammino, con il bambino più piccolo sulle spalle, per
portarlo dal dottore. E altrettanto al ritorno. In mezzo a
due alte muraglie di neve. Allora nevicava tanto …”
“E poi? Che cosa ha fatto Magnìn quando è venuto
qua, in pianura?”
“Ormai era già un giovanotto. Ha fatto il soldato, e
dopo ha cominciato a lavorare. Era bravo. Poteva fare
qualsiasi lavoro. Allora, chi aveva voglia di fare trovava
subito, mica come adesso. I padroni capivano
immediatamente chi era abile e chi no, e lo prendevano
senza pensarci su due volte. E lui si dava da fare, faceva
la giornata doppia, e guadagnava bene. Però, appena
aveva accumulato un po‟ di soldi, si licenziava.”
“Smetteva di lavorare?”
“Sì, diceva che in quel momento non ne aveva più
bisogno. I soldi li aveva, e allora iniziava a mangiarseli.”
“Come?”
“Osterie, amici, e poi si comprava una macchina.”
“Una macchina?”
“Ne ha comprate tante. Ma non duravano. Finita la
macchina, tornava a lavorare. Se aveva l‟automobile
non aveva il lavoro, e viceversa.”
“Mi ricordo che una volta aveva una Prinz…”
“La Prinz! Che brutta macchina! Lui aveva quella
piccola, la seicento, verde bottiglia. La scannava la
poveretta. Ed è con quella che andò in salumeria.”
“Come in salumeria?”
Pioveva, in modo incessante, da alcuni giorni. La
primavera non ne voleva proprio sapere di arrivare.
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La strada, lunga e diritta, scorreva rapida davanti
agli occhi di Magnìn, nascosti da un paio di enormi
occhiali scuri. La visibilità era minima. Accelerò e la
piccola auto, con un gemito, prese più velocità.
“Le tiri il collo, così!” disse Romualdo, stringendo
con forza la maniglia della portiera.
“Se schiaccio ancora un po‟, prendiamo il volo!”
rispose divertito Magnìn.
Era quasi mezzogiorno e i due, dopo aver fatto il
solito giro delle osterie dei dintorni, stavano
rientrando giù in paese. Completamente brilli. Come
sempre.
“Magnìn, ricordami che devo comprare del
prosciutto. Se torno a casa senza, e pure lordo, mia
moglie mi riempie di botte.”
“E tu, grande e grosso, hai paura di una donna?”
“Eh! Non la conosci quella. Quando scopre che
esagero con il vino, diventa una furia. Non la tiene più
nessuno! E urla. E grida. E poi mi alza le mani. Santo
Dio! Tu hai fatto bene a non sposarti.”
Magnìn sogghignò, compiaciuto. Serrò le mani sul
volante, e schiacciò il pedale dell‟acceleratore fino in
fondo. Il motore, alle sue spalle, sibilava. I tozzi
tergicristalli faticavano a mantenere il parabrezza
sgombro dall‟acqua, che precipitava ora con ancora
maggiore intensità. I due amici giunsero in prossimità
delle prime case del paese. Il distributore di benzina, la
ferramenta, il consorzio agricolo. Poi, ormai
vicinissima, ecco la salumeria.
“Magnìn, il prosciutto!” urlò Romualdo.
“Cristo!” disse l‟altro. Frenò all‟improvviso. La
Prinz cominciò a pattinare, in pratica staccata da
terra. Un violento colpo di sterzo, e la macchina entrò
in salumeria. Sfondando la vetrina. Con gran fragore
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di vetri infranti. Un‟esplosione. All‟interno del negozio,
per buona sorte, in quel momento non c‟erano clienti.
L‟auto si era fermata a muso a muso contro l‟enorme
bancone di marmo bianco. Bianco, come l‟atterrito
volto di Angelo, il salumiere, rimasto bloccato con il
coltello a mezz‟aria. Ovunque, sparsi nell‟ampio locale,
salami, coppe, lingue, sanguinacci, salsicce. E
soprattutto vetri.
Magnìn, a fatica, riuscì ad aprire la portiera. Era
illeso. Scese. Si lisciò la giacca e si rivolse al
negoziante, che era ancora immobile e muto.
“Angelo, tutto a posto! Sono assicurato, pago
tutto.”
Poi saltò sul cofano anteriore della macchina,
passò dall‟altra parte e cercò di liberare il povero
Romualdo, che si lamentava. Aveva una profonda
ferita sulla fronte, che grondava sangue, e si
massaggiava il polso destro.
“Romualdo, già che ci siamo, ricordati di prendere
il prosciutto, altrimenti dopo a casa te le buschi.”
“E poi?” domando, “è tornato subito a lavorare?”
“Per forza! Doveva pagare tutti quei danni. Vendere
la macchina non bastò.”
“Ma non era assicurato?”
“Lasciamo perdere. Ascolta, hai fame?” chiede
Testimone.
“Mah … veramente …”
“Vieni.”
Ci alziamo. Lo seguo. Dalla cucina passiamo in un
angusto disimpegno. Sulla sinistra, una tenda. Lui la
scosta. Scendiamo pochi gradini e ci troviamo in una
piccola cantina. Il pavimento è nudo, in terra battuta.
Ai lati, vecchi scaffali ripiegati sotto il peso di una
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moltitudine di bottiglie di vino impolverate. Il soffitto è
obliquo, e comprendo così che ci troviamo nel
sottoscala. Appesi, alcuni grossi salami. Testimone ne
afferra uno, lo tasta, lo annusa e poi lo stacca.
Ritorniamo in cucina. Dalla credenza estrae un‟enorme
forma di pane, avvolta in una pezza di canapa. Poi si
fruga in tasca, e tira fuori un coltello a serramanico. Lo
fa scattare e inizia ad affettare prima il pane e poi il
salame. Testimone si muove con gesti rapidi e precisi.
E‟ ancora agile, vivace. Mi offre il cibo, dopo avere
riempito di nuovo i bicchieri. Per un po‟, mangiamo in
silenzio.
“Ma non lavorò per molto tempo,” dice
improvvisamente il vecchio, “perché ebbe un
incidente.”
“Un altro?” faccio, sorpreso.
“Sì, ma diverso.”
Quel giorno, di piena estate, faceva un caldo
terribile. I giocatori, per trovare sollievo e sfuggire
almeno in parte a quella morsa torrida, si erano
spostati fuori dall‟osteria, e stavano seduti attorno al
lungo tavolo di pietra, posto all‟ombra del maestoso
platano che lo sovrastava.
“Ferruccio, sbrigati a portare da bere!” gridò il
corpulento Bucìn “vuoi farci morire di sete?”
“Arrivo, arrivo, un po‟ di pazienza, diamine!”
rispose l‟oste.
E le bevande arrivarono. Vino. In bottiglie da un
litro. Una a testa, tanto per cominciare.
“Gelu! Forza, vieni a giocare che ce ne manca uno!”
Bucìn era incontenibile.
Il buon‟uomo cui si era rivolto, un tipo con la pelle
cotta dal sole, alto, secco ma con braccia muscolose e
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