Lis Venturis di Alice tal Paîś des Maravèįs di Lewis Carroll Traduzjóŋ par furlàŋ di Sèrğhjo Gigànt A dučh i frutj myartj tal taramòt dal Friûl dal ‘76, lasú cumó tal Cîl des Maravèįs. INDICE Introduzione Principali regole di lettura e pronuncia Bibliografia Čhjapitul I – Déntri la tane dal Cuníŋ Čhjapitul II – Il śvyač di làgrimis Čhjapitul III – Une còrse eletorǎl e une luŋğhje cònte Čhjapitul IV – Il Cuníŋ àl mande un pičul cònt/Vjelmíŋ Čhjapitul V – Consèį di une Ruje Čhjapitul VI – Purcít e pèvar Čhjapitul VII – Une mate mirinde cul tè Čhjapitul VIII – Il čhjamp di croquet de Reine Čhjapitul IX – La stòrje de Fènte Copase di Mǎr Čhjapitul X – La Cyadriğle des Aragòstis Čhjapitul XI – Cuį ajal robǎd i crostulíŋs? Čhjapitul XII – La depośizjóŋ di Alice INTRODUZIONE Questa traduzione in ladino friulano di “Alice’s Adventures in Wondeland” di Lewis Carroll non è una traduzione interpretativa del testo inglese in versione friulana, ma una traduzione lessicale dall’inglese al friulano. Il friulano usato è il friulano di koiné, parlato oggigiorno nella zona del Friuli centrale e ritenuto lingua illustre per tutte le altre varianti locali. Tuttavia, per mantenersi fedeli al testo di Carroll, si è preferito usare un linguaggio di koiné e uno stile narrativo equivalente a quello inglese. La ragione di ciò risiede nella scelta di aver voluto conservare il carattere inglese di tutto il racconto e delle sue ambientazioni, siano esse culturali, geografiche o storiche. Le espressioni linguistiche inglesi sono state quindi semplicemente tradotte in lingua friulana trasferendone l’esatto significato e solo ove ritenuto più appropriato, per una traduzione più efficace, friulanizzate con espressioni idiomatiche tipiche del colorito e genuino linguaggio popolare. Sono state inoltre aggiunte nel testo delle brevi note per spiegare i doppi sensi, i paradossi e i giochi di parole inglesi, nonché le storpiature e le parodie letterarie dell’autore. In quanto poi alla grammatica e al lessico della koiné friulana, si è fatto riferimento alle opere linguistiche sul friulano del professor Giorgio Faggin e dello scrittore e friulanista Gianni Nazzi. Si sappia però che questa koiné friulana non sempre coincide con quella ufficiale stabilita dai più importanti enti linguistici regionali del Friuli – Venezia Giulia, recentemente inquadrata nel ‘Grant Dizionari Bilengâl Talian-Furlan’. Le differenze si inaspriscono poi nelle grafie usate: quella di Faggin-Nazzi è etimologica e innovativa, mentre quella ufficiale, detta normalizzata, è tradizionale e fonetica. A questo riguardo, pur avendo attinto dai lavori del Faggin e del Nazzi, per la traduzione del testo di Carroll non si è utilizzata esattamente la stessa grafia. Infatti, dopo aver condotto precedentemente uno studio di paragone tra le grafie dei principali dialetti e lingue italiane settentrionali situate a nord della linea La Spezia-Rimini – linea che separa i dialetti in questione da quelli toscani e centro-meridionali – la grafia friulana di Faggin-Nazzi è stata adattata e implementata a tutti questi linguaggi. La grafia risultante da questa operazione è stata una grafia fonetica unitaria alla quale si è dato il nome di grafia ‘alpadínica’, dal neologismo e sostantivo ‘Alpadíno’ ottenuto per fusione di tre vocaboli geografici che descrivono tutta l’Italia del Nord: Alpi, Padania e Appennino. Tuttavia per la scrittura in friulano si è provveduto a mantenere certe soluzioni etimologiche della grafia di Faggin-Nazzi, ottenendo così un’ortografia mista fonetico-etimologica che è stata estesa in seguito anche alle altre varietà ladine oggi esistenti: ladino dolomitico e romancio engadinese. Questa grafia ha assunto il nome di Grafia Ladina Unitaria (G.L.U.). La nuova grafia alpadinica e la sua versione in ortografia ladina unitaria posseggono sì una maggior precisione fonetica ma presentano anche una maggiore difficoltà di lettura a causa del fatto che divergono dalla grafia italiana su vari aspetti. Si è ritenuto quindi necessario premettere al testo un breve quadro esplicativo sulle regole di lettura e pronuncia. Maggiori informazioni riguardanti la grafia alpadinica e le sue possibili applicazioni le potete trovare nel documento ‘Grafia alpadinica’, scaricabile liberamente dal sito www.alpadin.altervista.org all’omonima pagina. Buon viaggio nel Paese delle Meraviglie di Alice Liddell (che potete vedere qui sotto in una fotografia d’epoca o ‘dagherrotipo’ scattata dallo stesso Carroll), e raccontato con le parole della lingua friulana di koiné, una varietà di ladino, così come dimostrato dal fondatore della dialettologia italiana: il glottologo goriziano prof. Graziadio Isaia Ascoli. 9 maggio 2014, Sergio Gigante PRINCIPALI REGOLE DI LETTURA E PRONUNCIA Lettere Č/č: in unione alle vocali ‘a’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘c’ dolce, o palatale, dell’italiano ‘ciabatta’, ‘cioccolato’, ‘ciurma’; davanti ad ‘h’ rappresenta un suono caratteristico del friulano sebbene si approssimi al ‘ch’ dell’italiano ‘chiave’, ‘chioma’, ‘chiuso’. Lettere Ğ/ğ: in unione alle vocali ‘a’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘g’ dolce, o palatale, dell’italiano ‘giallo’, ‘giorno’, ‘giudice’; in fine di parola si legge come ‘č’; davanti ad ‘h’ rappresenta un suono caratteristico del friulano sebbene si approssimi al ‘gh’ dell’italiano ‘ghiaia’, ‘ghiotto’; davanti a ‘n’ si pronuncia come in italiano nelle parole ‘lavagna’, ‘bagnino’, ‘ragno’, ‘gnu’; davanti a ‘l’ si pronuncia come in italiano nelle parole ‘bottiglia’, ‘glielo’, ‘gli’, ‘bagliore’, ‘gnu’. Lettere Š/š: in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘sc’ o ‘sci’ dell’italiano ‘sciame’, ‘scena’, ‘scienza’, ‘sciopero’, ‘sciupare’. Lettere Ś/ś: in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘s’ dolce o sonora dell’italiano ‘casa’, ‘Cesena’, ‘casino’, ‘muso’, ‘chiusura’; davanti alle consonanti ‘b’, ‘d’, ‘g’, ‘v’, ‘m’, ‘n’ si pronunciano come la ‘s’ dell’italiano ‘sbaglio’, ‘sdegno’, ‘sgarbo’, ‘sviluppo’, ‘smentire’, ‘snello’; in fine di parola si legge come ‘s’; ‘ś’ si può trovare anche dopo consonante ‘l’, ‘n’ o ‘r’. Lettere S/s: in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘s’ aspra o sorda dell’italiano ‘sabato’, ‘sereno’, ‘silenzio’, ‘sole’, ‘subito’; in unione alle consonanti ‘p’, ‘t’, ‘c’, ‘f’ si pronunciano come la ‘s’ dell’italiano ‘sparo’, ‘stinco’, ‘scala’, ‘scervellarsi’, ‘sfollare’. Lettere Ź/ź: in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘z’ dolce o sonora dell’italiano ‘zafferano’, ‘zero’, ‘zigomo’, ‘zotico’, ‘zurlo’; ‘ź’ si può trovare anche dopo consonante ‘l’, ‘n’ o ‘r’. Lettera ŋ: davanti a ‘c’, ‘g’, ‘m’, ‘n’ e ‘s’ si pronuncia come la ‘n’ dell’italiano ‘anca’ e ‘fungo’; si può trovare anche in fine di parola ma mai in principio. Lettere b/d/g/v: in fine di parola si leggono rispettivamente ‘p’, ‘t’, ‘c’ dura o velare dell’italiano ‘cane’ o ‘china’, e ‘f’. Lettere unite, o digrammi, tj/čj/ğj/dj: si trovano solo in fine di parola e sono da leggersi come ‘z’ sorda o aspra dell’italiano ‘zoccolo’. Lettere unite, o digramma, Cy/cy: l’ortografia alpadinica sostituisce ai digrammi ‘qu’ o ‘cu’ delle altre grafie friulane, il digramma ‘cy’ che davanti a vocale ‘a’, ‘e’, ‘i’ e ‘o’ si legge come nell’italiano le parole ‘quadro’, ‘quello’, ‘qui’, ‘quota’; Le lettere Q/q vengono usate dalla grafia alpadinica per una funzione fonetica specifica che però il friulano non presenta; pertanto sono usate solo in parole di origine straniera come ‘croquet’ e nel nome friulano della città di Aquileia (Aquilèe) per ragioni d’importanza storica. Lettere Y/y: non è usata dal friulano ufficiale; nella grafia alpadinica esprime la ‘u’ semiconsonantica che si pronuncia come la ‘u’ lunga dell’italiano ‘quadro’, ‘guerra’, ‘suite’, ‘uovo’; trascrive quindi tutti i dittonghi friulani della u. Lettere J/j: è usata anche dal friulano ufficiale ma in maniera molto limitata; nella grafia alpadinica esprime la ‘i’ semiconsonantica che si pronuncia come la ‘i’ lunga dell’italiano ‘miao’, ‘pieno’, ‘violenza’, ‘iugoslavo’; trascrive quindi tutti i dittonghi friulani della i. Lettere A/a, E/e, I/i, O/o, U/u con sovrapposto un accento circonflesso: le vocali con sovrapposto l’accento circonflesso chiuso ‘^’ detto ‘cappello’ (ê, ô, î, û) sono sempre toniche, chiuse (come nell’italiano ‘é’, ‘ó’, ‘í’, ‘ú’), ma lunghe, cioè pronunciate con una maggiore lunghezza di suono; le vocali con sovrapposto l’accento circonflesso aperto ‘v’ detto ‘corona’ (ǎ, ě, ǒ) sono sempre toniche, aperte (come nell’italiano ‘à’, ‘è’, ‘ò’), ma lunghe, cioè pronunciate con una maggiore lunghezza di suono. Lettere ą/ę/į/ǫ/ų: non sono usate dalle altre grafie friulane; nella grafia alpadinica esprimono le cosiddette semivocali, cioè le corrispondenti vocali italiane ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’, ‘u’, brevemente pronunciate in chiusura degli iati, come nell’italiano ‘mia’, ‘bue’, ‘mai’, ‘Iseo’, ‘Mauro’. Nell’ortografia della GLU solo le vocali toniche sono accentate con accento grave, acuto o circonflesso, mentre le vocali atone non vengono accentate. In particolare la vocale tonica deve sempre essere accentata se: è lunga aperta o chiusa (manğhjǎ, podê, fjěr, finî, vôś, atǒr, cûr); è una ‘e’ (vyère, gléśje, rèvid), o una ‘o’ (ròse, vólte, còmud) in qualsiasi parola si trovi sia essa tronca, piana, sdrucciola o bisdrucciola, uscente in vocale o consonante; la parola è bisdrucciola o sdrucciola uscente in vocale (sàbide) o in consonante (scyíndinus); la parola è tronca uscente in vocale (finî), in consonante (čhjavàl) o in semivocale (batibúį); Se la parola non possiede accento grafico significa che è piana sia che esca in vocale (mari), o in consonante (tivid). Vi sono poi alcune regole di pronuncia che riguardano gli imperativi e i gerundi dei verbi che per la loro complessità si rimanda al testo ‘Grammatica friulana’ del prof. Faggin. Allo stesso testo si rimanda per altre regole specifiche di accentazione riguardanti i monosillabi e le varie parti del discorso. L’ortografia GLU del friulano non prevede consonanti doppie perché la lingua friulana di koiné non le possiede. Per tutte le altre lettere valgono le stesse regole ortografiche e fonetiche dell’italiano. BIBLIOGRAFIA I Grandi Dizionari Garzanti Hazon – Nuova edizione 2010 inglese-italiano italiano-inglese – Garzanti linguistica, 2009. Giorgio Faggin – Vocabolario della lingua friulana – Del Bianco Editore, Udine, 1985. Giorgio Faggin – Grammatica friulana – Ribis Editore, Campoformido (Udine), 1997. Gianni Nazzi – Vocabolario italiano-friulano friulano-italiano – Clape Culturâl Acuilee, Litografia Designgraf, Udine, 2003. VII – Une mate mirinde cul tè Čhjapitul VII UNE MATE MIRINDE CUL TÈ À jère une taųle parečhjade sòt di un arbul denànt de čhjaśe, e il Jèųr Marčulíŋ e il Čhjapelǎr à jèriŋ daûr a bèvi un tè: un Glîr àl jère sentǎd jènfri di lôr, indurmidîd fîs, e i altris dóį lú dopraviŋ tan’che un cušíŋ par pojǎnt i comedóŋs e fevelǎ diśóre al sò čhjǎv. «Unevóre discòmud pal Glîr», à pensà Alice; «paraltri, stand c’àl è indurmidîd, ó supòŋ no į faśi nuje». «Pròpit cusí», à diśé Alice. «Alòre à dovarès dî chèl c’à intínd dî», àl lè indenànt il Jèųr Marčulíŋ. «Cumó lú dîś», à replicà in premure Alice; «Almaŋcul… almaŋcul ó intínd chèl c’ó dîś… c’à jè chêistèse čhjóse, savêśo?». «No jè chêistèse čhjóse naŋčhje un fregheníŋ!» àl diśé il Čhjapelǎr. «Alòre tant fǎś dî che “Ó vjôd chèl c’ó maŋğhi” à sèį chêistèse čhjóse di “Ó maŋğhi chèl c’ó vjôd”!» La taųle à jère grande ma i tré à jèriŋ dučh iŋgrumǎdj insjèmit intun cantóŋ: «No’l è pyèst! No’l è pyèst!» à berlariŋ cyan’c’à vjodériŋ rivǎ Alice. «Andè cusí tant di pyèst!» à diśé Alice diśdeğnade, e si sentà suntune grande poltròne dačhjǎv de taųle. «E tant fǎś dî», àl ğontà il Jèųr Marčulíŋ, «che “Mi plǎś chèl c’ó čhjól” à sèį chêistèse čhjóse di “Ó čhjól chèl che mi plǎś”!» «Che si čhjóli alc di viŋ», àl diśé il Jèųr Marčulíŋ cuntun tòŋ c’àl tiğnive su. «À jè chêistèse čhjóse par jê», àl diśé il Čhjapelǎr, e chí la conversazjóŋ à colà e la comitive à restà sentade a cidíŋ par un minûd, mintri che Alice à tornà a pensǎ a dut chèl c’à rivave a ricyardǎsi in propòśit di corvàtj e di scritòris, che no’l jère cetànt. Alice à čhjalà dulintǒr de taųle ma su chê no jère nuj’altri che tè. «No vjôd viŋ», à motivà Alice. «No’ndè», àl diśé il Jèųr Marčulíŋ. «Alòre no’l jère unevóre civîl, tal só jési, di proferîlu», à diśé Alice inrabjade. «No’l jère unevóre civîl, tal sò jési, sentǎsi cènce jési invidade», àl diśé il Jèųr Marčulíŋ. «E tant fǎś dî», àl ğontà il Glîr, c’àl parève fevelǎ tal siųm, «che “Ó respiri cyan’c’ó dyǎr” à sèį chêistèse čhjóse di “Ó dyǎr cyan’c’ó respiri”!» Il Čhjapelǎr àl fò il priŋ a ròmpi il cidinǒr. «Ai tròps sino vyê?» àl diśé, voltandsi vjèrs Alice: àl vève ğhjavǎd fûr ‘l orlòį de sachète e àl jère daûr a čhjalǎlu cun ànsime, sčhjasandlu oğuŋcyànd, e pyartandsal al’oréle. Alice į pensà su cyalchi pôc e pò dòpo à diśé: «Al cyatri». «No savèvi c’à fós la vyéstre taųle», à diśé Alice; «à jè parečhjade par putròpis pluį persònis di tré». «Dóį dîs indaûr!» àl sustà il Čhjapelǎr. «T’àl vèvi dit che la spòŋğhje no sarès lade béŋ!» àl ğontà, čhjalànd inrabjǎd il Jèųr Marčulíŋ. «I sjèį čhjavêį é àŋ di biśuğne di jési tajǎdj», àl diśé il Čhjapelǎr. Il Čhjapelǎr àl čhjalave Alice di un pôc di timp cun grande curjośetǎt e chèst àl fò il sò priŋ spròc. «À jère la miôr spòŋğhje», àl replicà muğnéstri il Jèųr Marčulíŋ. «Àl dovarès imparǎ a no fǎ oservazjóŋs personǎls», à diśé Alice cun severetǎt; «àl è unevóre malegracjôś». Il Čhjapelǎr àl discocolà i vôį sintínd chèst; ma dut chèl c’àl diśé àl fò: «Cé disferènce éśe fra un corvàt e un scritòri?» «Béŋ, cumó si divertíŋ!» à pensà Alice. «Ó sóį contènte c’ó viŋ comenčǎd a fǎ indiviníŋs. …Ó crôd di podêlu indivinǎ chèst», à diśé Alice a fyart. «À intínd dî c’à crôd di podê čhjatǎ la rispyéste?» àl diśé il Jèųr Marčulíŋ. «Sí, ma dai fručóŋs į sóŋ pûr lǎdj déntri», àl bruntulà il Čhjapelǎr: «No tu varèsis dovûd dǎle su cul curtíš dal paŋ». Il Jèųr Marčulíŋ àl čhjolé ‘l orlòį e lú čhjalà maliŋcònic: alòre lú točhjà te sô scudjèle dal tè e lú čhjalà aŋčhjemó: ma no’l rivà a čhjatǎ fûr nuj’altri di miôr di dî che la sô prime oservazjóŋ: «À jère la miôr spòŋğhje, sǎstu?» Alice lú čhjalave di parśóre la sò spale cun curjośetǎt. «Cé buf orlòį!» à motivà. «Àl dîś il dí dal mêś e no’l dîś cé òre c’à jè!» «Parcé dovarèsjal?» àl murmujà il Čhjapelǎr. «Il sò orlòį dîśjal cé aŋ c’àl è?» VII – Une mate mirinde cul tè VII – Une mate mirinde cul tè «Naturalmèntri nò», à replicà Alice unevóre distrade: «ma chèst parvíę c’àl rèste chèlistès aŋ par cusí tant timp daųrmàŋ». «Àl sarès mağnific, di sigûr», à diśé Alice pinsiròśe: «ma s’àl fós cusí… no podarès vê ğa fam, sajal?». «E àl è pròpit il cǎś dal ğnó», àl diśé il Čhjapelǎr. «No sul impríŋ, fórsit», àl diśé il Čhjapelǎr: «ma à podarès tiğnîlu fěr sul’une e mjège fintremàį che į plaśi». Alice si sintí teribilmèntri confuśjonade. L’oservazjóŋ dal Čhjapelǎr à parève no vê nisúŋ gènar di siğnificance e purpûr à jère dal cjèrt aŋglêś. «No lú capíš pròpit», à diśé, tant pluį in dólč c’à podé. «Il Glîr si è indurmidîd aŋčhjemó», àl diśé il Čhjapelǎr, e į stručhjà alc di tè śbrovènt sul nǎś. Il Glîr àl sčhjasà il čhjǎv inritǎd, e àl diśé, cènce vjèrgi i vôį: «Naturalmèntri, naturalmèntri, pròpit chèl c’ó vèvi intenzjóŋ di motivǎ jò». «Aę ğa risòlt l’indiviníŋ?» àl diśé il Čhjapelǎr, voltandsi di ğnûv vjèrs Alice. «Nò, mi rind», à replicà Alice: «Cyale éśe la soluzjóŋ?» «No’n saį un drét», àl diśé il Čhjapelǎr. «Naŋčhje jò», àl diśé il Jèųr Marčulíŋ. «Éśal faśínd cusí che į rièš?» À domandà Alice. Il Čhjapelǎr àl sčhjasà il čhjǎv cun laŋcûr. «No jò!» àl replicà. «Ó litigariŋ il Marč pasǎd… pròpit priŋ che luį àl deventà mat, saę?…» (pontànd il Jèųr Marčulíŋ cula sedonute dal tè,) «… àl fò al grand concjèrt dǎd fûr de Reine di Cûrs dulà c’ó scuğníį di čhjantǎ ”Śluśiğne, śluśiğne, ğnotulút! Còme mi domandi a cé che stǎstu par fǎ!” Saę la čhjančóŋ, fórsit?» «Ó àį sintûd alc compàğn», à diśé Alice. «À va indenànt cusí, saę?», àl segyità il Čhjapelǎr, «in chèst mûd… Alice à sustà scunide. «Ó pènsi c’ó dovarèsis fǎ alc di miôr cul vyéstri timp», à diśé, «che strasǎlu faśínd indiviníŋs che no àŋ soluzjóŋs». “culasú diśóre il mònd tu śvòlis, Tan’che une gyantjère di tè tal cîl. Śluśiğne, śluśiğne…”» «S’à coğnošés il Timp tant còme lú coğnòš jò», àl diśé il Čhjapelǎr, «jê no fevelerès in rivyàrd a strasǎlu. Luį àl è luį». [Si trate de parodíę d’une iŋnomenade poęśíę aŋglèśe dal Votcènt.] «No saį cé c’àl intínd dî», à diśé Alice. «Naturalmèntri jê nò!» àl diśé il Čhjapelǎr, sčhjasànd diśdeğnośemèntri il čhjǎv. «Ó olsarès dî che no véį insíŋ maį fevelǎd al Timp!» «Fórsit nò», à replicà cun dute prudènce Alice: «ma ó saį c’ó dévi bati il timp cyan’c’ó studi múśiche». «Jéé’! Chèst àl spjèghe dut», àl diśé il Čhjapelǎr. «Luį no’l starà a fǎsi bati. Mò, se dòme jê à fós in bòğn rapyàrtj cun luį, luį àl faśarès scyaśit cyalsisèį čhjóse che jê à vyèli cul orlòį. Par eśèmpli, c’à supòni di jési al pònt des nûv di matine, pròpit il momènt di comenčǎ lis lezjóŋs: à varés dòme di sunsurǎ un’avertènce al Timp e dal lamp al tòŋ lis òris à śvòliŋ! L’une e mjège, òre di fǎ di gustà!» («Ó volarès dòme c’àl fós cusí», si diśé il Jèųr Marčulíŋ intun sunsûr.) Achí il Glîr si sčhjasà e àl comenčà a čhjantǎ tal siųm «Śluśiğne, śluśiğne, śluśiğne, śluśiğne…» e àl lè indenànt cusí a dilúŋg c’à dovériŋ pičǎlu par fǎlu diśmèti. «Béŋ, ó vèvi apène finîd il priŋ vjèrs», àl diśé il Čhjapelǎr, «cyan’che la Reine à śbalčà e à urlà, “Àl è daûr a mačǎ il timp! Tajàįtį il čhjǎv!”» «Cé teribil salvadje!» à dé su Alice. «E insíŋ di culí indenànt», àl lè indenànt il Čhjapelǎr cun tòŋ avilîd, «lui no’l vûl pluį fǎ nisune čhjóse che į domandi! Cusí cumó àl è simpri al pònt des sîs». Alice à vè une sflandoròśe idèę. «Éśe chèste la reśóŋ parvíę che cusí taŋčh servizis di tè à sóŋ metûdj cà di fûr?» VII – Une mate mirinde cul tè VII – Une mate mirinde cul tè «Sí, just», àl diśé il Čhjapelǎr cuntun suspîr: «Àl è simpri timp di mirinde e no viŋ timp di lavǎ lis čhjósis fra un tè e ‘l altri». «Che si čhjóli aŋčhjemó alc di tè», àl diśé unevóre serjośemèntri il Jèųr Marčulíŋ a Alice. «E alòre ó continyàįś a móvisi atǒr, ó supòŋ» à diśé Alice. «No’ndàį aŋčhjemó vûd», à replicà Alice in tòŋ diśdeğnǎd, «partànt no‘n pyès čhjòli aŋčhjemó alc». «Pròpit cusí», àl diśé il Čhjapelǎr: «di maŋ in maŋ che lis čhjósis si prepariŋ». «Ma cé sucèdjal cyan’c’ó tornàįś di ğnûv al principi?» si venturà di domandǎ Alice. «Jê à intínd dî di no rivǎ a čhjòlint di maŋcul», àl diśé il Čhjapelǎr: «àl è cetànt pluį facil čhjòlint di pluį che no čhjòlint». [Malintindûd: par aŋglêś lis peraųlis ‘aŋčhjemó alc’ e ‘di pluį’ si scriviŋ e si lèįŋ in mûd avyǎl.] «Suponíŋ che si mudi argumènt», àl interompé sošedànd il Jèųr Marčulíŋ. «Ó sóį daûr a stracǎmi di chèst. Ó propòŋ che la damiśèle nus cònti une stòrje». «Nisúŋ àl à domandǎd la sô opinjóŋ», à diśé Alice. «Ó tém di no savênt une», à diśé Alice pluįtòst alarmade de propyéste. «Cuį éśal daûr a fǎ oservazjóŋs personǎls cumó?» àl domandà in mûd trjomfànt il Čhjapelǎr. «Alòre àl tòčhje al Glîr!» à berlariŋ dučhidóį. «Śvèę, Glîr!» E subít lú pičariŋ di dutis dôs lis bandis. Il Glîr lentmèntri àl vjergé i vôį. «No jèri indurmidîd», àl diśé cun vôś śgraśajòśe e dèbile: «ó àį sintûd òğni peraųle che voaltris confradis ó jèriś daûr a dî». «Còntinus une stòrje!» àl diśé il Jèųr Marčulíŋ. «Sí, par plaśê!» à suplicà Alice. «E diśbràtiti», àl ğontà il Čhjapelǎr, «o ti indurmidirǎs aŋčhjemó priŋ c’à sèį finide». «À jèriŋ une vólte tré surutis», àl comenčà il Glîr in dute prèse; «e i lôr nòŋs à jèriŋ Bète, Luzje e Metilde; e à vivèviŋ dafónz di un pòč…» «Di cé vivèvino?» à diśé Alice, c’à vève simpri un grand interès par cyistjóŋs di cé maŋğhjǎ e di cé bèvi. «À vivèviŋ di milàč», àl diśé il Glîr, daspò vê pensǎd un pǎr di minûdj. «No varésiŋ podûd fǎlu, sajal?», à motivà gentilmèntri Alice; «si sarèsiŋ maladis». Alice no savève pròpit cé dî sunchèst cònt: cusí si serví di besòle alc di tè e di paŋ dǎd su cula spòŋğhje; e pò si voltà vjèrs il Glîr e à ripeté la domande. «Parcé vivèvino dafónz di un pòč?» Il Glîr si čhjolé di ğnûv un pǎr di minûdj par pensǎį, e pò àl diśé: «Àl jère un pòč di milàč». «No jè une ròbe compağne!» Alice à jère daûr a deventǎ unevóre inrabjade ma il Čhjapelǎr e il Jèųr Marčulíŋ si metériŋ a fǎ «Sss! Sss!» e il Glîr àl motivà iŋmuśonǎd, «Se jê no rive a jési civîl, àl sarès miôr c’à finiši par sé la stòrje». «Nò, lú prèį c’àl vadi indenànt!» à diśé Alice unevóre umilmèntri; «No lú interomparàį pluį. Ó olsarès dî c’àl pò jési un». «Un, par dabòŋ!» àl diśé il Glîr diśdeğnǎd. [In Aŋglje à exíst veremèntri une riśultive termǎl intun lûg clamǎd ‘Pòčj di milàč’.] Paraltri àl consintí a lǎ indenànt. «E cusí chèstis tré surutis… à jèriŋ daûr a imparǎ a diseğnǎ, savêśo?…» «Cé ğhjavaviŋ fûr?» à diśé Alice diśmenteandsi pròpit de sô promèse. [Malintindûd: par aŋglêś lis peraųlis ‘diseğnǎ’ e ‘ğhjavǎ fûr’ si scriviŋ e si lèįŋ in mûd avyǎl.] «Milàč», àl diśé il Glîr, cènce fǎ riflès su dal dut, chèste vólte. «Cundifàt lú jèriŋ», àl diśé il Glîr; «unevóre maladis». «Ó vyèį une scudjèle nète», àl interompé il Čhjapelǎr: «sčhjalíŋ dučh indenànt d’un pyèst». Alice à cirí di iŋmaginǎ di besòle cé straśordenari mûd di vivi c’àl fós, ma dut chèl lé faśé deventǎ mase perplèse, e cusí à lè indenànt: «Ma parcé vivèvino dafónz di un pòč?» Cyan’c’àl fevelà si discovà e il Glîr į lè daûr: il Jèųr Marčulíŋ si mové tal pyèst dal Glîr e Alice pluįtòst malvulintîr à čhjapà il pyèst dal Jèųr Marčulíŋ. Il Čhjapelǎr àl fò ‘l unic c’àl vè cyalchi vantàğ tal śgambi; e Alice si čhjatà VII – Une mate mirinde cul tè VII – Une mate mirinde cul tè cetànt pjêś di priŋ parvíę che il Jèųr Marčulíŋ àl vève apène stručhjǎd la cógume dal lat tal sò plat. o dôs vóltis scyaśit sperànd che lé riclamasiŋ indaûr; l’últime vólte che jú vjodé à jèriŋ daûr a cirî di mèti il Glîr te tejère. Alice no volé ofindi di ğnûv il Glîr, cusí à comenčà cun dute prudènce: «Ma no capíš. Di ‘ndulà vèvino ğhjavǎd fûr la milàč?» «A òğni mûd no į laràį là maį pluį!» à diśé Alice cyan’c’à čhjapà la strade a travjèrs dal bòsc. «À jè la pluį stupide mirinde cul tè dulà c’ó sèį maį stade in dute la mê vite!» «Si pò ğhjavǎ fûr aghe d’un pòč», àl diśé il Čhjapelǎr; «cusí ó pènsi che si pyèdi ğhjavǎ fûr milàč d’un pòč… jéé’, stupide!» «Ma lôr à jèriŋ déntri dal pòč», à diśé Alice al Glîr, šjelgínd di no dǎ abade a chèst’últime oservazjóŋ. «Cjèrt che į staviŋ», àl diśé il Glîr «…déntri béŋ ». [Malintindûd: par aŋglêś lis peraųlis ‘dal pòč’ e ‘béŋ’ si scriviŋ e si lèįŋ in mûd avyǎl.] Chèste rispyéste à confuśjonà cusí la puąre Alice c’à lasà che il Glîr àl lè indenànt cyalchi pôc cènce interòmpilu. «À jèriŋ daûr a imparǎ a diseğnǎ», àl segyità il Glîr, sošedànd e sfreǫlandsi i vôį, parvíę c’àl jère daûr a deventǎ unevóre insunǎd; «e à diseğnaviŋ òğni gènar di čhjósis… dutis lis čhjósis c’à comènciŋ cuntune M…» «Parcé cuntune M?» à diśé Alice. «Parcé nò?» àl diśé il Jèųr Marčulíŋ. Alice à taśé. Achí rèt il Glîr àl vève sjerǎd i vôį e àl jère daûr a impiśulîsi; ma tal jési pičǎd dal Jèųr si diśveà di ğnûv cuntun pičul scriųl, e àl lè indenànt: «… c’àl comènce cuntune M, tan’che: tràpulis par surîś, lune, memòrje, la stèse ròbe … [par aŋglêś dutis chèstis peraųlis a comènciŋ cul pònt ‘M’] à sa che si dîś des ròbis “pluį o maŋcul la stèse ròbe”… aę maį vjodûd une čhjóse compağne tan’che diseğnǎ la stèse ròbe?» «Veremèntri, cumó che m’àl domandi», à diśé Alice, tant ma tant confuśjonade, «No mi pǎr…» «Alòre no dovarès fevelǎ», àl diśé il Čhjapelǎr. Chèst tòc di malegracje àl fò pluį di cetànt Alice à podés sapyartǎ: si jevà cun grand diśgúst e si invià vię; il Glîr si indurmidí imbòte e i altris no dériŋ naŋčhje un pòčhje d’impyartance ala sô partènce, sibéŋ che Alice si voltà une Apène à vè dit chèst, à olmà che un dai arbuį àl vève une pyarte c’à conduśève al sò intèrni. «Unevóre curjôś!» à pensà. «Ma vyê dut àl è curjôś. Ó pènsi c’ó pyèdi aŋčhje jentrǎį subite». E į jentrà. Aŋčhjemó une vólte si čhjatà te luŋğhje antičhjàmare e dòŋğhje la taųlute di véri. «Béŋ, ó riešaràį a fǎ di miôr chèste vólte», si diśé, e à comenčà a čhjòli la clavute indorade e à vjergé la pyarte c’à conduśève tal źardíŋ. Pò si meté al lavôr rośeànd il fòŋg (an vève tiğnûd un tòc te sô sachète) fintremàį c’à fò alte cirčhje un pîd [pôc di pluį di trènte centímetris]; pò dòpo si invià dilúŋg vię il coridorút; e pò… si čhjatà in fiŋ tal bjèl źardíŋ, fra floridis jèchis e frèsčhiįs fontanis.