Lis Venturis di
Alice tal Paîś des Maravèįs
di
Lewis Carroll
Traduzjóŋ par furlàŋ
di
Sèrğhjo Gigànt
A dučh i frutj myartj tal taramòt dal Friûl dal ‘76,
lasú cumó tal Cîl des Maravèįs.
INDICE
Introduzione
Principali regole di lettura e pronuncia
Bibliografia
Čhjapitul I – Déntri la tane dal Cuníŋ
Čhjapitul II – Il śvyač di làgrimis
Čhjapitul III – Une còrse eletorǎl e une luŋğhje cònte
Čhjapitul IV – Il Cuníŋ àl mande un pičul cònt/Vjelmíŋ
Čhjapitul V – Consèį di une Ruje
Čhjapitul VI – Purcít e pèvar
Čhjapitul VII – Une mate mirinde cul tè
Čhjapitul VIII – Il čhjamp di croquet de Reine
Čhjapitul IX – La stòrje de Fènte Copase di Mǎr
Čhjapitul X – La Cyadriğle des Aragòstis
Čhjapitul XI – Cuį ajal robǎd i crostulíŋs?
Čhjapitul XII – La depośizjóŋ di Alice
INTRODUZIONE
Questa traduzione in ladino friulano di “Alice’s Adventures in Wondeland”
di Lewis Carroll non è una traduzione interpretativa del testo inglese in
versione friulana, ma una traduzione lessicale dall’inglese al friulano. Il
friulano usato è il friulano di koiné, parlato oggigiorno nella zona del Friuli
centrale e ritenuto lingua illustre per tutte le altre varianti locali. Tuttavia, per
mantenersi fedeli al testo di Carroll, si è preferito usare un linguaggio di koiné
e uno stile narrativo equivalente a quello inglese. La ragione di ciò risiede
nella scelta di aver voluto conservare il carattere inglese di tutto il racconto e
delle sue ambientazioni, siano esse culturali, geografiche o storiche. Le
espressioni linguistiche inglesi sono state quindi semplicemente tradotte in
lingua friulana trasferendone l’esatto significato e solo ove ritenuto più
appropriato, per una traduzione più efficace, friulanizzate con espressioni
idiomatiche tipiche del colorito e genuino linguaggio popolare. Sono state
inoltre aggiunte nel testo delle brevi note per spiegare i doppi sensi, i
paradossi e i giochi di parole inglesi, nonché le storpiature e le parodie
letterarie dell’autore.
In quanto poi alla grammatica e al lessico della koiné friulana, si è fatto
riferimento alle opere linguistiche sul friulano del professor Giorgio Faggin e
dello scrittore e friulanista Gianni Nazzi. Si sappia però che questa koiné
friulana non sempre coincide con quella ufficiale stabilita dai più importanti
enti linguistici regionali del Friuli – Venezia Giulia, recentemente inquadrata
nel ‘Grant Dizionari Bilengâl Talian-Furlan’. Le differenze si inaspriscono poi
nelle grafie usate: quella di Faggin-Nazzi è etimologica e innovativa, mentre
quella ufficiale, detta normalizzata, è tradizionale e fonetica.
A questo riguardo, pur avendo attinto dai lavori del Faggin e del Nazzi, per
la traduzione del testo di Carroll non si è utilizzata esattamente la stessa grafia.
Infatti, dopo aver condotto precedentemente uno studio di paragone tra le
grafie dei principali dialetti e lingue italiane settentrionali situate a nord della
linea La Spezia-Rimini – linea che separa i dialetti in questione da quelli
toscani e centro-meridionali – la grafia friulana di Faggin-Nazzi è stata
adattata e implementata a tutti questi linguaggi. La grafia risultante da questa
operazione è stata una grafia fonetica unitaria alla quale si è dato il nome di
grafia ‘alpadínica’, dal neologismo e sostantivo ‘Alpadíno’ ottenuto per
fusione di tre vocaboli geografici che descrivono tutta l’Italia del Nord: Alpi,
Padania e Appennino. Tuttavia per la scrittura in friulano si è provveduto a
mantenere certe soluzioni etimologiche della grafia di Faggin-Nazzi,
ottenendo così un’ortografia mista fonetico-etimologica che è stata estesa in
seguito anche alle altre varietà ladine oggi esistenti: ladino dolomitico e
romancio engadinese. Questa grafia ha assunto il nome di Grafia Ladina
Unitaria (G.L.U.).
La nuova grafia alpadinica e la sua versione in ortografia ladina unitaria
posseggono sì una maggior precisione fonetica ma presentano anche una
maggiore difficoltà di lettura a causa del fatto che divergono dalla grafia
italiana su vari aspetti. Si è ritenuto quindi necessario premettere al testo un
breve quadro esplicativo sulle regole di lettura e pronuncia.
Maggiori informazioni riguardanti la grafia alpadinica e le sue possibili
applicazioni le potete trovare nel documento ‘Grafia alpadinica’, scaricabile
liberamente dal sito www.alpadin.altervista.org all’omonima pagina.
Buon viaggio nel Paese delle Meraviglie di Alice Liddell (che potete
vedere qui sotto in una fotografia d’epoca o ‘dagherrotipo’ scattata dallo
stesso Carroll), e raccontato con le parole della lingua friulana di koiné, una
varietà di ladino, così come dimostrato dal fondatore della dialettologia
italiana: il glottologo goriziano prof. Graziadio Isaia Ascoli.
9 maggio 2014,
Sergio Gigante
PRINCIPALI REGOLE
DI LETTURA E PRONUNCIA
Lettere Č/č:
 in unione alle vocali ‘a’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘c’ dolce, o
palatale, dell’italiano ‘ciabatta’, ‘cioccolato’, ‘ciurma’;
 davanti ad ‘h’ rappresenta un suono caratteristico del friulano sebbene
si approssimi al ‘ch’ dell’italiano ‘chiave’, ‘chioma’, ‘chiuso’.
Lettere Ğ/ğ:
 in unione alle vocali ‘a’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘g’ dolce, o
palatale, dell’italiano ‘giallo’, ‘giorno’, ‘giudice’;
 in fine di parola si legge come ‘č’;
 davanti ad ‘h’ rappresenta un suono caratteristico del friulano sebbene
si approssimi al ‘gh’ dell’italiano ‘ghiaia’, ‘ghiotto’;
 davanti a ‘n’ si pronuncia come in italiano nelle parole ‘lavagna’,
‘bagnino’, ‘ragno’, ‘gnu’;
 davanti a ‘l’ si pronuncia come in italiano nelle parole ‘bottiglia’,
‘glielo’, ‘gli’, ‘bagliore’, ‘gnu’.
Lettere Š/š:
 in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘sc’ o
‘sci’ dell’italiano ‘sciame’, ‘scena’, ‘scienza’, ‘sciopero’, ‘sciupare’.
Lettere Ś/ś:
 in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘s’
dolce o sonora dell’italiano ‘casa’, ‘Cesena’, ‘casino’, ‘muso’,
‘chiusura’;
 davanti alle consonanti ‘b’, ‘d’, ‘g’, ‘v’, ‘m’, ‘n’ si pronunciano come la
‘s’ dell’italiano ‘sbaglio’, ‘sdegno’, ‘sgarbo’, ‘sviluppo’, ‘smentire’,
‘snello’;
 in fine di parola si legge come ‘s’;
 ‘ś’ si può trovare anche dopo consonante ‘l’, ‘n’ o ‘r’.
Lettere S/s:
 in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘s’
aspra o sorda dell’italiano ‘sabato’, ‘sereno’, ‘silenzio’, ‘sole’, ‘subito’;
 in unione alle consonanti ‘p’, ‘t’, ‘c’, ‘f’ si pronunciano come la ‘s’
dell’italiano ‘sparo’, ‘stinco’, ‘scala’, ‘scervellarsi’, ‘sfollare’.
Lettere Ź/ź:
 in unione alle vocali ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’ e ‘u’ si pronunciano come la ‘z’
dolce o sonora dell’italiano ‘zafferano’, ‘zero’, ‘zigomo’, ‘zotico’,
‘zurlo’;
 ‘ź’ si può trovare anche dopo consonante ‘l’, ‘n’ o ‘r’.
Lettera ŋ:
 davanti a ‘c’, ‘g’, ‘m’, ‘n’ e ‘s’ si pronuncia come la ‘n’ dell’italiano
‘anca’ e ‘fungo’;
 si può trovare anche in fine di parola ma mai in principio.
Lettere b/d/g/v:
 in fine di parola si leggono rispettivamente ‘p’, ‘t’, ‘c’ dura o velare
dell’italiano ‘cane’ o ‘china’, e ‘f’.
Lettere unite, o digrammi, tj/čj/ğj/dj:
 si trovano solo in fine di parola e sono da leggersi come ‘z’ sorda o
aspra dell’italiano ‘zoccolo’.
Lettere unite, o digramma, Cy/cy:
 l’ortografia alpadinica sostituisce ai digrammi ‘qu’ o ‘cu’ delle altre
grafie friulane, il digramma ‘cy’ che davanti a vocale ‘a’, ‘e’, ‘i’ e ‘o’ si
legge come nell’italiano le parole ‘quadro’, ‘quello’, ‘qui’, ‘quota’; Le
lettere Q/q vengono usate dalla grafia alpadinica per una funzione
fonetica specifica che però il friulano non presenta; pertanto sono usate
solo in parole di origine straniera come ‘croquet’ e nel nome friulano
della città di Aquileia (Aquilèe) per ragioni d’importanza storica.
Lettere Y/y:
 non è usata dal friulano ufficiale; nella grafia alpadinica esprime la ‘u’
semiconsonantica che si pronuncia come la ‘u’ lunga dell’italiano
‘quadro’, ‘guerra’, ‘suite’, ‘uovo’; trascrive quindi tutti i dittonghi
friulani della u.
Lettere J/j:
 è usata anche dal friulano ufficiale ma in maniera molto limitata; nella
grafia alpadinica esprime la ‘i’ semiconsonantica che si pronuncia come
la ‘i’ lunga dell’italiano ‘miao’, ‘pieno’, ‘violenza’, ‘iugoslavo’;
trascrive quindi tutti i dittonghi friulani della i.
Lettere A/a, E/e, I/i, O/o, U/u con sovrapposto un accento circonflesso:
 le vocali con sovrapposto l’accento circonflesso chiuso ‘^’ detto
‘cappello’ (ê, ô, î, û) sono sempre toniche, chiuse (come nell’italiano
‘é’, ‘ó’, ‘í’, ‘ú’), ma lunghe, cioè pronunciate con una maggiore
lunghezza di suono;
 le vocali con sovrapposto l’accento circonflesso aperto ‘v’ detto
‘corona’ (ǎ, ě, ǒ) sono sempre toniche, aperte (come nell’italiano ‘à’,
‘è’, ‘ò’), ma lunghe, cioè pronunciate con una maggiore lunghezza di
suono.
Lettere ą/ę/į/ǫ/ų:
 non sono usate dalle altre grafie friulane; nella grafia alpadinica
esprimono le cosiddette semivocali, cioè le corrispondenti vocali
italiane ‘a’, ‘e’, ‘i’, ‘o’, ‘u’, brevemente pronunciate in chiusura degli
iati, come nell’italiano ‘mia’, ‘bue’, ‘mai’, ‘Iseo’, ‘Mauro’.
Nell’ortografia della GLU solo le vocali toniche sono accentate con
accento grave, acuto o circonflesso, mentre le vocali atone non vengono
accentate. In particolare la vocale tonica deve sempre essere accentata se:
 è lunga aperta o chiusa (manğhjǎ, podê, fjěr, finî, vôś, atǒr, cûr);
 è una ‘e’ (vyère, gléśje, rèvid), o una ‘o’ (ròse, vólte, còmud) in
qualsiasi parola si trovi sia essa tronca, piana, sdrucciola o bisdrucciola,
uscente in vocale o consonante;
 la parola è bisdrucciola o sdrucciola uscente in vocale (sàbide) o in
consonante (scyíndinus);
 la parola è tronca uscente in vocale (finî), in consonante (čhjavàl) o in
semivocale (batibúį);
Se la parola non possiede accento grafico significa che è piana sia che esca in
vocale (mari), o in consonante (tivid).
Vi sono poi alcune regole di pronuncia che riguardano gli imperativi e i
gerundi dei verbi che per la loro complessità si rimanda al testo ‘Grammatica
friulana’ del prof. Faggin.
Allo stesso testo si rimanda per altre regole specifiche di accentazione
riguardanti i monosillabi e le varie parti del discorso.
L’ortografia GLU del friulano non prevede consonanti doppie perché la
lingua friulana di koiné non le possiede.
Per tutte le altre lettere valgono le stesse regole ortografiche e fonetiche
dell’italiano.
BIBLIOGRAFIA
I Grandi Dizionari Garzanti Hazon – Nuova edizione 2010 inglese-italiano
italiano-inglese – Garzanti linguistica, 2009.
Giorgio Faggin – Vocabolario della lingua friulana – Del Bianco Editore,
Udine, 1985.
Giorgio Faggin – Grammatica friulana – Ribis Editore, Campoformido
(Udine), 1997.
Gianni Nazzi – Vocabolario italiano-friulano friulano-italiano – Clape
Culturâl Acuilee, Litografia Designgraf, Udine, 2003.
VII – Une mate mirinde cul tè
Čhjapitul VII
UNE MATE MIRINDE CUL TÈ
À jère une taųle parečhjade sòt di un arbul denànt de čhjaśe, e il Jèųr Marčulíŋ
e il Čhjapelǎr à jèriŋ daûr a bèvi un tè: un Glîr àl jère sentǎd jènfri di lôr,
indurmidîd fîs, e i altris dóį lú dopraviŋ tan’che un cušíŋ par pojǎnt i
comedóŋs e fevelǎ diśóre al sò čhjǎv. «Unevóre discòmud pal Glîr», à pensà
Alice; «paraltri, stand c’àl è indurmidîd, ó supòŋ no į faśi nuje».
«Pròpit cusí», à diśé Alice.
«Alòre à dovarès dî chèl c’à intínd dî», àl lè indenànt il Jèųr Marčulíŋ.
«Cumó lú dîś», à replicà in premure Alice; «Almaŋcul… almaŋcul ó intínd
chèl c’ó dîś… c’à jè chêistèse čhjóse, savêśo?».
«No jè chêistèse čhjóse naŋčhje un fregheníŋ!» àl diśé il Čhjapelǎr. «Alòre
tant fǎś dî che “Ó vjôd chèl c’ó maŋğhi” à sèį chêistèse čhjóse di “Ó maŋğhi
chèl c’ó vjôd”!»
La taųle à jère grande ma i tré à jèriŋ dučh iŋgrumǎdj insjèmit intun cantóŋ:
«No’l è pyèst! No’l è pyèst!» à berlariŋ cyan’c’à vjodériŋ rivǎ Alice. «Andè
cusí tant di pyèst!» à diśé Alice diśdeğnade, e si sentà suntune grande poltròne
dačhjǎv de taųle.
«E tant fǎś dî», àl ğontà il Jèųr Marčulíŋ, «che “Mi plǎś chèl c’ó čhjól” à sèį
chêistèse čhjóse di “Ó čhjól chèl che mi plǎś”!»
«Che si čhjóli alc di viŋ», àl diśé il Jèųr Marčulíŋ cuntun tòŋ c’àl tiğnive su.
«À jè chêistèse čhjóse par jê», àl diśé il Čhjapelǎr, e chí la conversazjóŋ à colà
e la comitive à restà sentade a cidíŋ par un minûd, mintri che Alice à tornà a
pensǎ a dut chèl c’à rivave a ricyardǎsi in propòśit di corvàtj e di scritòris, che
no’l jère cetànt.
Alice à čhjalà dulintǒr de taųle ma su chê no jère nuj’altri che tè. «No vjôd
viŋ», à motivà Alice.
«No’ndè», àl diśé il Jèųr Marčulíŋ.
«Alòre no’l jère unevóre civîl, tal só jési, di proferîlu», à diśé Alice inrabjade.
«No’l jère unevóre civîl, tal sò jési, sentǎsi cènce jési invidade», àl diśé il Jèųr
Marčulíŋ.
«E tant fǎś dî», àl ğontà il Glîr, c’àl parève fevelǎ tal siųm, «che “Ó respiri
cyan’c’ó dyǎr” à sèį chêistèse čhjóse di “Ó dyǎr cyan’c’ó respiri”!»
Il Čhjapelǎr àl fò il priŋ a ròmpi il cidinǒr. «Ai tròps sino vyê?» àl diśé,
voltandsi vjèrs Alice: àl vève ğhjavǎd fûr ‘l orlòį de sachète e àl jère daûr a
čhjalǎlu cun ànsime, sčhjasandlu oğuŋcyànd, e pyartandsal al’oréle.
Alice į pensà su cyalchi pôc e pò dòpo à diśé: «Al cyatri».
«No savèvi c’à fós la vyéstre taųle», à diśé Alice; «à jè parečhjade par
putròpis pluį persònis di tré».
«Dóį dîs indaûr!» àl sustà il Čhjapelǎr. «T’àl vèvi dit che la spòŋğhje no sarès
lade béŋ!» àl ğontà, čhjalànd inrabjǎd il Jèųr Marčulíŋ.
«I sjèį čhjavêį é àŋ di biśuğne di jési tajǎdj», àl diśé il Čhjapelǎr. Il Čhjapelǎr
àl čhjalave Alice di un pôc di timp cun grande curjośetǎt e chèst àl fò il sò priŋ
spròc.
«À jère la miôr spòŋğhje», àl replicà muğnéstri il Jèųr Marčulíŋ.
«Àl dovarès imparǎ a no fǎ oservazjóŋs personǎls», à diśé Alice cun severetǎt;
«àl è unevóre malegracjôś».
Il Čhjapelǎr àl discocolà i vôį sintínd chèst; ma dut chèl c’àl diśé àl fò: «Cé
disferènce éśe fra un corvàt e un scritòri?»
«Béŋ, cumó si divertíŋ!» à pensà Alice. «Ó sóį contènte c’ó viŋ comenčǎd a fǎ
indiviníŋs. …Ó crôd di podêlu indivinǎ chèst», à diśé Alice a fyart.
«À intínd dî c’à crôd di podê čhjatǎ la rispyéste?» àl diśé il Jèųr Marčulíŋ.
«Sí, ma dai fručóŋs į sóŋ pûr lǎdj déntri», àl bruntulà il Čhjapelǎr: «No tu
varèsis dovûd dǎle su cul curtíš dal paŋ».
Il Jèųr Marčulíŋ àl čhjolé ‘l orlòį e lú čhjalà maliŋcònic: alòre lú točhjà te sô
scudjèle dal tè e lú čhjalà aŋčhjemó: ma no’l rivà a čhjatǎ fûr nuj’altri di miôr
di dî che la sô prime oservazjóŋ: «À jère la miôr spòŋğhje, sǎstu?»
Alice lú čhjalave di parśóre la sò spale cun curjośetǎt. «Cé buf orlòį!» à
motivà. «Àl dîś il dí dal mêś e no’l dîś cé òre c’à jè!»
«Parcé dovarèsjal?» àl murmujà il Čhjapelǎr. «Il sò orlòį dîśjal cé aŋ c’àl è?»
VII – Une mate mirinde cul tè
VII – Une mate mirinde cul tè
«Naturalmèntri nò», à replicà Alice unevóre distrade: «ma chèst parvíę c’àl
rèste chèlistès aŋ par cusí tant timp daųrmàŋ».
«Àl sarès mağnific, di sigûr», à diśé Alice pinsiròśe: «ma s’àl fós cusí… no
podarès vê ğa fam, sajal?».
«E àl è pròpit il cǎś dal ğnó», àl diśé il Čhjapelǎr.
«No sul impríŋ, fórsit», àl diśé il Čhjapelǎr: «ma à podarès tiğnîlu fěr sul’une
e mjège fintremàį che į plaśi».
Alice si sintí teribilmèntri confuśjonade. L’oservazjóŋ dal Čhjapelǎr à parève
no vê nisúŋ gènar di siğnificance e purpûr à jère dal cjèrt aŋglêś. «No lú capíš
pròpit», à diśé, tant pluį in dólč c’à podé.
«Il Glîr si è indurmidîd aŋčhjemó», àl diśé il Čhjapelǎr, e į stručhjà alc di tè
śbrovènt sul nǎś.
Il Glîr àl sčhjasà il čhjǎv inritǎd, e àl diśé, cènce vjèrgi i vôį: «Naturalmèntri,
naturalmèntri, pròpit chèl c’ó vèvi intenzjóŋ di motivǎ jò».
«Aę ğa risòlt l’indiviníŋ?» àl diśé il Čhjapelǎr, voltandsi di ğnûv vjèrs Alice.
«Nò, mi rind», à replicà Alice: «Cyale éśe la soluzjóŋ?»
«No’n saį un drét», àl diśé il Čhjapelǎr.
«Naŋčhje jò», àl diśé il Jèųr Marčulíŋ.
«Éśal faśínd cusí che į rièš?» À domandà Alice.
Il Čhjapelǎr àl sčhjasà il čhjǎv cun laŋcûr. «No jò!» àl replicà. «Ó litigariŋ il
Marč pasǎd… pròpit priŋ che luį àl deventà mat, saę?…» (pontànd il Jèųr
Marčulíŋ cula sedonute dal tè,) «… àl fò al grand concjèrt dǎd fûr de Reine di
Cûrs dulà c’ó scuğníį di čhjantǎ
”Śluśiğne, śluśiğne, ğnotulút!
Còme mi domandi a cé che stǎstu par fǎ!”
Saę la čhjančóŋ, fórsit?»
«Ó àį sintûd alc compàğn», à diśé Alice.
«À va indenànt cusí, saę?», àl segyità il Čhjapelǎr, «in chèst mûd…
Alice à sustà scunide. «Ó pènsi c’ó dovarèsis fǎ alc di miôr cul vyéstri timp»,
à diśé, «che strasǎlu faśínd indiviníŋs che no àŋ soluzjóŋs».
“culasú diśóre il mònd tu śvòlis,
Tan’che une gyantjère di tè tal cîl.
Śluśiğne, śluśiğne…”»
«S’à coğnošés il Timp tant còme lú coğnòš jò», àl diśé il Čhjapelǎr, «jê no
fevelerès in rivyàrd a strasǎlu. Luį àl è luį».
[Si trate de parodíę d’une iŋnomenade poęśíę aŋglèśe dal Votcènt.]
«No saį cé c’àl intínd dî», à diśé Alice.
«Naturalmèntri jê nò!» àl diśé il Čhjapelǎr, sčhjasànd diśdeğnośemèntri il
čhjǎv. «Ó olsarès dî che no véį insíŋ maį fevelǎd al Timp!»
«Fórsit nò», à replicà cun dute prudènce Alice: «ma ó saį c’ó dévi bati il timp
cyan’c’ó studi múśiche».
«Jéé’! Chèst àl spjèghe dut», àl diśé il Čhjapelǎr. «Luį no’l starà a fǎsi bati.
Mò, se dòme jê à fós in bòğn rapyàrtj cun luį, luį àl faśarès scyaśit cyalsisèį
čhjóse che jê à vyèli cul orlòį. Par eśèmpli, c’à supòni di jési al pònt des nûv
di matine, pròpit il momènt di comenčǎ lis lezjóŋs: à varés dòme di sunsurǎ
un’avertènce al Timp e dal lamp al tòŋ lis òris à śvòliŋ! L’une e mjège, òre di
fǎ di gustà!»
(«Ó volarès dòme c’àl fós cusí», si diśé il Jèųr Marčulíŋ intun sunsûr.)
Achí il Glîr si sčhjasà e àl comenčà a čhjantǎ tal siųm «Śluśiğne, śluśiğne,
śluśiğne, śluśiğne…» e àl lè indenànt cusí a dilúŋg c’à dovériŋ pičǎlu par fǎlu
diśmèti.
«Béŋ, ó vèvi apène finîd il priŋ vjèrs», àl diśé il Čhjapelǎr, «cyan’che la Reine
à śbalčà e à urlà, “Àl è daûr a mačǎ il timp! Tajàįtį il čhjǎv!”»
«Cé teribil salvadje!» à dé su Alice.
«E insíŋ di culí indenànt», àl lè indenànt il Čhjapelǎr cun tòŋ avilîd, «lui no’l
vûl pluį fǎ nisune čhjóse che į domandi! Cusí cumó àl è simpri al pònt des
sîs».
Alice à vè une sflandoròśe idèę. «Éśe chèste la reśóŋ parvíę che cusí taŋčh
servizis di tè à sóŋ metûdj cà di fûr?»
VII – Une mate mirinde cul tè
VII – Une mate mirinde cul tè
«Sí, just», àl diśé il Čhjapelǎr cuntun suspîr: «Àl è simpri timp di mirinde e no
viŋ timp di lavǎ lis čhjósis fra un tè e ‘l altri».
«Che si čhjóli aŋčhjemó alc di tè», àl diśé unevóre serjośemèntri il Jèųr
Marčulíŋ a Alice.
«E alòre ó continyàįś a móvisi atǒr, ó supòŋ» à diśé Alice.
«No’ndàį aŋčhjemó vûd», à replicà Alice in tòŋ diśdeğnǎd, «partànt no‘n pyès
čhjòli aŋčhjemó alc».
«Pròpit cusí», àl diśé il Čhjapelǎr: «di maŋ in maŋ che lis čhjósis si prepariŋ».
«Ma cé sucèdjal cyan’c’ó tornàįś di ğnûv al principi?» si venturà di domandǎ
Alice.
«Jê à intínd dî di no rivǎ a čhjòlint di maŋcul», àl diśé il Čhjapelǎr: «àl è cetànt
pluį facil čhjòlint di pluį che no čhjòlint». [Malintindûd: par aŋglêś lis peraųlis
‘aŋčhjemó alc’ e ‘di pluį’ si scriviŋ e si lèįŋ in mûd avyǎl.]
«Suponíŋ che si mudi argumènt», àl interompé sošedànd il Jèųr Marčulíŋ. «Ó
sóį daûr a stracǎmi di chèst. Ó propòŋ che la damiśèle nus cònti une stòrje».
«Nisúŋ àl à domandǎd la sô opinjóŋ», à diśé Alice.
«Ó tém di no savênt une», à diśé Alice pluįtòst alarmade de propyéste.
«Cuį éśal daûr a fǎ oservazjóŋs personǎls cumó?» àl domandà in mûd
trjomfànt il Čhjapelǎr.
«Alòre àl tòčhje al Glîr!» à berlariŋ dučhidóį. «Śvèę, Glîr!» E subít lú pičariŋ
di dutis dôs lis bandis.
Il Glîr lentmèntri àl vjergé i vôį. «No jèri indurmidîd», àl diśé cun vôś
śgraśajòśe e dèbile: «ó àį sintûd òğni peraųle che voaltris confradis ó jèriś daûr
a dî».
«Còntinus une stòrje!» àl diśé il Jèųr Marčulíŋ.
«Sí, par plaśê!» à suplicà Alice.
«E diśbràtiti», àl ğontà il Čhjapelǎr, «o ti indurmidirǎs aŋčhjemó priŋ c’à sèį
finide».
«À jèriŋ une vólte tré surutis», àl comenčà il Glîr in dute prèse; «e i lôr nòŋs à
jèriŋ Bète, Luzje e Metilde; e à vivèviŋ dafónz di un pòč…»
«Di cé vivèvino?» à diśé Alice, c’à vève simpri un grand interès par cyistjóŋs
di cé maŋğhjǎ e di cé bèvi.
«À vivèviŋ di milàč», àl diśé il Glîr, daspò vê pensǎd un pǎr di minûdj.
«No varésiŋ podûd fǎlu, sajal?», à motivà gentilmèntri Alice; «si sarèsiŋ
maladis».
Alice no savève pròpit cé dî sunchèst cònt: cusí si serví di besòle alc di tè e di
paŋ dǎd su cula spòŋğhje; e pò si voltà vjèrs il Glîr e à ripeté la domande.
«Parcé vivèvino dafónz di un pòč?»
Il Glîr si čhjolé di ğnûv un pǎr di minûdj par pensǎį, e pò àl diśé: «Àl jère un
pòč di milàč».
«No jè une ròbe compağne!» Alice à jère daûr a deventǎ unevóre inrabjade ma
il Čhjapelǎr e il Jèųr Marčulíŋ si metériŋ a fǎ «Sss! Sss!» e il Glîr àl motivà
iŋmuśonǎd, «Se jê no rive a jési civîl, àl sarès miôr c’à finiši par sé la stòrje».
«Nò, lú prèį c’àl vadi indenànt!» à diśé Alice unevóre umilmèntri; «No lú
interomparàį pluį. Ó olsarès dî c’àl pò jési un».
«Un, par dabòŋ!» àl diśé il Glîr diśdeğnǎd. [In Aŋglje à exíst veremèntri une riśultive
termǎl intun lûg clamǎd ‘Pòčj di milàč’.] Paraltri àl consintí a lǎ indenànt. «E cusí
chèstis tré surutis… à jèriŋ daûr a imparǎ a diseğnǎ, savêśo?…»
«Cé ğhjavaviŋ fûr?» à diśé Alice diśmenteandsi pròpit de sô promèse.
[Malintindûd: par aŋglêś lis peraųlis ‘diseğnǎ’ e ‘ğhjavǎ fûr’ si scriviŋ e si lèįŋ in mûd avyǎl.]
«Milàč», àl diśé il Glîr, cènce fǎ riflès su dal dut, chèste vólte.
«Cundifàt lú jèriŋ», àl diśé il Glîr; «unevóre maladis».
«Ó vyèį une scudjèle nète», àl interompé il Čhjapelǎr: «sčhjalíŋ dučh indenànt
d’un pyèst».
Alice à cirí di iŋmaginǎ di besòle cé straśordenari mûd di vivi c’àl fós, ma dut
chèl lé faśé deventǎ mase perplèse, e cusí à lè indenànt: «Ma parcé vivèvino
dafónz di un pòč?»
Cyan’c’àl fevelà si discovà e il Glîr į lè daûr: il Jèųr Marčulíŋ si mové tal
pyèst dal Glîr e Alice pluįtòst malvulintîr à čhjapà il pyèst dal Jèųr Marčulíŋ.
Il Čhjapelǎr àl fò ‘l unic c’àl vè cyalchi vantàğ tal śgambi; e Alice si čhjatà
VII – Une mate mirinde cul tè
VII – Une mate mirinde cul tè
cetànt pjêś di priŋ parvíę che il Jèųr Marčulíŋ àl vève apène stručhjǎd la
cógume dal lat tal sò plat.
o dôs vóltis scyaśit sperànd che lé riclamasiŋ indaûr; l’últime vólte che jú
vjodé à jèriŋ daûr a cirî di mèti il Glîr te tejère.
Alice no volé ofindi di ğnûv il Glîr, cusí à comenčà cun dute prudènce: «Ma
no capíš. Di ‘ndulà vèvino ğhjavǎd fûr la milàč?»
«A òğni mûd no į laràį là maį pluį!» à diśé Alice cyan’c’à čhjapà la strade a
travjèrs dal bòsc. «À jè la pluį stupide mirinde cul tè dulà c’ó sèį maį stade in
dute la mê vite!»
«Si pò ğhjavǎ fûr aghe d’un pòč», àl diśé il Čhjapelǎr; «cusí ó pènsi che si
pyèdi ğhjavǎ fûr milàč d’un pòč… jéé’, stupide!»
«Ma lôr à jèriŋ déntri dal pòč», à diśé Alice al Glîr, šjelgínd di no dǎ abade a
chèst’últime oservazjóŋ.
«Cjèrt che į staviŋ», àl diśé il Glîr «…déntri béŋ ». [Malintindûd: par aŋglêś lis
peraųlis ‘dal pòč’ e ‘béŋ’ si scriviŋ e si lèįŋ in mûd avyǎl.]
Chèste rispyéste à confuśjonà cusí la puąre Alice c’à lasà che il Glîr àl lè
indenànt cyalchi pôc cènce interòmpilu.
«À jèriŋ daûr a imparǎ a diseğnǎ», àl segyità il Glîr, sošedànd e sfreǫlandsi i
vôį, parvíę c’àl jère daûr a deventǎ unevóre insunǎd; «e à diseğnaviŋ òğni
gènar di čhjósis… dutis lis čhjósis c’à comènciŋ cuntune M…»
«Parcé cuntune M?» à diśé Alice.
«Parcé nò?» àl diśé il Jèųr Marčulíŋ.
Alice à taśé.
Achí rèt il Glîr àl vève sjerǎd i vôį e àl jère daûr a impiśulîsi; ma tal jési pičǎd
dal Jèųr si diśveà di ğnûv cuntun pičul scriųl, e àl lè indenànt: «… c’àl
comènce cuntune M, tan’che: tràpulis par surîś, lune, memòrje, la stèse ròbe
… [par aŋglêś dutis chèstis peraųlis a comènciŋ cul pònt ‘M’] à sa che si dîś des ròbis
“pluį o maŋcul la stèse ròbe”… aę maį vjodûd une čhjóse compağne tan’che
diseğnǎ la stèse ròbe?»
«Veremèntri, cumó che m’àl domandi», à diśé Alice, tant ma tant
confuśjonade, «No mi pǎr…»
«Alòre no dovarès fevelǎ», àl diśé il Čhjapelǎr.
Chèst tòc di malegracje àl fò pluį di cetànt Alice à podés sapyartǎ: si jevà cun
grand diśgúst e si invià vię; il Glîr si indurmidí imbòte e i altris no dériŋ
naŋčhje un pòčhje d’impyartance ala sô partènce, sibéŋ che Alice si voltà une
Apène à vè dit chèst, à olmà che un dai arbuį àl vève une pyarte c’à conduśève
al sò intèrni. «Unevóre curjôś!» à pensà. «Ma vyê dut àl è curjôś. Ó pènsi c’ó
pyèdi aŋčhje jentrǎį subite». E į jentrà.
Aŋčhjemó une vólte si čhjatà te luŋğhje antičhjàmare e dòŋğhje la taųlute di
véri. «Béŋ, ó riešaràį a fǎ di miôr chèste vólte», si diśé, e à comenčà a čhjòli la
clavute indorade e à vjergé la pyarte c’à conduśève tal źardíŋ. Pò si meté al
lavôr rośeànd il fòŋg (an vève tiğnûd un tòc te sô sachète) fintremàį c’à fò alte
cirčhje un pîd [pôc di pluį di trènte centímetris]; pò dòpo si invià dilúŋg vię il
coridorút; e pò… si čhjatà in fiŋ tal bjèl źardíŋ, fra floridis jèchis e frèsčhiįs
fontanis.
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Lis Venturis di Alice tal Paîś des Maravèįs - Alpadín