Enrico Chiavacci
LA DISTRIBUZIONE UNIVERSALE
DEI BENI
Prefazione
Tante cose ci passano sopra la testa, ci condizionano la vita: persone, forze, istituzioni, strutture che
decidono per noi senza che noi né lo sappiamo né ce ne accorgiamo.
Mentre lottiamo in prima persona per un mondo migliore, direttamente o indirettamente, coscienti o
no, per le cose che facciamo o non facciamo, contribuiamo a renderlo più ingiusto.
Siamo tante volte nella duplice veste del buon samaritano che soccorre il viandante e dei briganti
che lo percuotono e lo derubano.
Viviamo in una realtà talmente complessa che è difficile comprenderla; ma non impossibile. Mons.
Chiavacci ci da una mano per capire quali sono i meccanismi che generano l’ingiustizia.
“…. non si può vivere sciaguratamente dicendo: ‘O poverini!, facciamo l’elemosina al poverello’.
No, i problemi sono di altra natura.”
E questi problemi si trovano soprattutto nelle strutture che generano l’ingiustizia: la struttura
economica, la struttura militare e quella della comunicazione.
Nella sua relazione Mons. Chiavacci si è limitato alla struttura economica; per gli altri aspetti
rimandiamo al testo citato in nota1.
Questo quaderno si compone di tre parti.
- La prima riporta la relazione di Mons. Chiavacci sul tema “La distribuzione universale dei
beni”.
- La seconda è una sintesi (ci scusiamo con i lettori per i limiti che una sintesi può avere) di
alcuni argomenti inerenti la morale della vita economica contenuti negli scritti di Chiavacci e
che in questa relazione l’autore non ha potuto approfondire. Abbiamo così creduto di fare un
servizio a coloro che desiderano approfondire queste tematiche.
- La terza parte, proprio per concretizzare le sollecitazioni di Chiavacci, riporta la proposta della
Banca Etica che, come tante altre proposte interessanti ma ancora poco conosciute (commercio
equo e solidale, bilanci di giustizia…), ci offre la possibilità di operare coerentemente con i
principi di solidarietà e di giustizia. Principi che sono le fondamenta per il raggiungimento del
bene comune e quindi della pace.
La relazione di Enrico Chiavacci, tenuta presso il Centro Pastorale Diocesano il 22 aprile 1999, era
parte di un piccolo percorso intitolato “Ripensare il Giubileo”, iniziativa promossa da Acli, Pax
Christi, Caritas, Ufficio di pastorale sociale e del lavoro. Per la realizzazione del quaderno si
ringrazia in particolare il Coordinamento Banca Etica della Provincia di Cremona.
Per approfondire questi temi vedi il testo: Enrico Chiavacci, Teologia Morale. Morale della vita
economica, politica, di comunicazione, Assisi, Cittadella Editrice 1994.
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2
LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI
di Mons. Enrico Chiavacci
professore emerito dello Studio Teologico Fiorentino
Introduzione
Io mi scuso di dover fare una lezione lunga ma i problemi sono estremamente complessi2.
Io rifiuto l’idea di questi dibattiti in cui si parla dieci minuti e non si capisce niente di quella che
è la realtà. Quindi ci vorrà pazienza. Anzi vi devo dire che la mia lezione sarà divisa in due parti.
Nella prima parte della relazione di questa sera intendo esporre quale è il sistema economico
globale in tutte le sue complessità e le conseguenze che questo sistema ha sulla gente.
La seconda parte riguarderà una riflessione etica: che cosa il cristiano trova nella parola di Dio
per poter reagire a questa situazione.
Quindi esposizione di una situazione e riflessione e valutazione su quello che si deve fare, su
quello che deve essere il nostro impegno.
Io e l’altro
Quando si parla di problemi, di problemi di questa specie ma anche di impegni qualunque,
principalmente di problemi morali, nell’economia ma anche in altri campi (ecologia, diritti), si tratta
sempre di un rapporto di me con l’altro.
Qualunque presa di posizione voglia io assumere in questi tre campi, deriva sempre e
inevitabilmente da come io vedo l’altro nei miei progetti di vita, perché io l’altro lo posso vedere in
due modi opposti e non c’è un terzo modo.
- O come qualcuno che non entra direttamente nel mio progetto di vita, ma che può essere
strumento, oppure anche ostacolo, al mio progetto di vita: questa è una visione totalmente
individualistica nella quale mi preoccupo di me. L’altro se c’entra qualcosa è solo perché mi
interessa in quanto può favorirmi o ostacolarmi nella realizzazione che io prospetto di me
stesso.
- Oppure posso vedere l’altro come parte del mio progetto di vita. Posso considerare che il
mio rapporto con l’altro è essenziale per il mio essere me stesso, per il mio realizzarmi. Questa
è una visione completamente opposta alla precedente. Allora l’attenzione all’altro diventa
inevitabilmente parte del mio progetto.
Questa distinzione va tenuta presente, perché ci sarà utile poi in seguito.
Ed è certo che questa distinzione è fondamentale in economia.
Scelte morali nel campo economico
Quando si parla di economia si parla di due problemi morali diversi.
Il primo potrebbe essere un problema morale individuale o privato: cosa compro, cosa vendo,
cosa fabbrico (anche se fatto da Agnelli è sempre un fatto privato), dove metto i miei soldi,
come li spendo (che può andare dal comprare i calzini, se li compro di lana o di cotone, fino ad
arrivare a vendere l’intera Chrysler per decine di centinaia di miliardi di dollari), ma sono
sempre fatti privati, o una scelta di singole persone che decidono come usare il proprio denaro;
- Ma ci sono anche scelte di un altro tipo, sempre riguardanti la materia economica, quindi scelte
morali, di morale economica, che sono scelte strutturali.
-
2
Nota: si è cercato di riportare il più fedelmente possibile le parole di Mons. Chiavacci anche se in alcuni passaggi si è
dovuto adattare il parlare toscano alla chiarezza espositiva del testo.
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Qui bisogna stare bene attenti, perché tutta la vita economica, senza eccezione, a qualunque
livello, anche se andiamo a comperare un chilo di spaghetti, è sempre un fatto che avviene
all’interno di una struttura.
Questo bisogna tenerlo sempre presente; non è capito da tanta gente.
Io posso avere il problema morale di incidere sulle strutture esistenti.
Sono due compiti diversi:
- uno di testimonianza di vita, di fedeltà a un certo tipo di assunzione morale nei
confronti del prossimo;
- l’altro riguarda le mie scelte in ordine al mantenimento o alla modificazione di
strutture che io mi trovo davanti già funzionanti. E’ questo l’impegno della
modificazione delle strutture esistenti.
Le strutture economiche
Tutta la vita economica, in tutti i suoi aspetti, avviene sempre entro un quadro di strutture.
Questo bisogna avere sempre presente. Ma cosa vuol dire “struttura”?
La parola la si usa sempre, ma non ci si rende conto del suo significato. Capita spesso oggi che si
adoperino parole senza sapere che cosa c’è dietro.
I “diritti dell’uomo”, per esempio. E’ un’espressione che non vuole dire niente, perché ci sono
due o tre diverse concezioni di “diritti dell’uomo”. Occorre vedere che cosa vuol dire.
Quando parlo di “strutture” si deve parlare di qualcosa di puramente logico, astratto. Una
struttura può essere il linguaggio che uso. Un’altra struttura può essere un’operazione matematica.
Un’altra ancora può essere questo microfono. Il mio organismo è una struttura.
La struttura è l’insieme di elementi, non importa di che tipo, che possono essere cifre, simboli,
suoni, pezzi di plastica, di sabbia, che, se presi in un certo ordine, messi insieme in un certo ordine,
ciascuno acquista un suo preciso significato e ruolo.
Se prendo una penna biro, la pallina che c’è in cima è di metallo, può servire a fare un
cuscinetto. Il gancio può servire ad agganciare qualunque cosa.
Però se metto insieme tutte queste parti, viene fuori una penna biro.
Sto parlando, produco suoni, ogni suono a sé stante può avere qualunque senso, o nessuno; messi
insieme in un certo ordine e in un certo modo da Enrico Chiavacci, secondo una certa legge,
diventano parola, diventano idea, diventano pensiero.
Tutta la vita economica avviene sempre entro strutture. Anche quando vi erano i primi
produttori, c’era già struttura. Quando due si dovevano scambiare le merci, uno la lana e l’altro in
cambio il grano o il riso (baratto primordiale), si doveva dire: “in che posto ci troviamo e a che ora
ci troviamo, quanta roba si porta, e poi si determinerà una ragione di scambio, ecc.”.
Queste sono strutture.
Non esiste attività economica senza una struttura.
Se andiamo in un supermarket, l’edificio è già una struttura. Tutto il sistema delle commesse, dei
sovrintendenti, dei distributori, è una struttura.
Tutto il sistema di rifornimento, attraverso TIR, treni, containers è una struttura. E ciascuno di
questi elementi è a sua volta una struttura.
Non illudiamoci, noi ci muoviamo e compiamo le nostre scelte economiche, sempre entro
strutture già date.
Struttura produttiva e distributiva
Le strutture di base tradizionali erano fondamentalmente due in tutta la dottrina economica:
- la struttura produttiva
- la struttura distributiva (il mercato che più o meno è quasi lo stesso).
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La struttura produttiva certamente è quella fondamentale, perché se non produco beni, non esiste
vita economica.
Ugualmente importante è la struttura distributiva, perché se io produco cose qui e ne hanno
bisogno in Alaska, bisogna trovare il modo di farle pervenire in Alaska.
Se produco oggi e mangio tra tre mesi, il pane che avete mangiato oggi non è colto oggi sulla
spiga e poi macinato, è colto al luglio scorso. Quindi ci vogliono strutture per conservarlo, per
distribuirlo.
Pensare l’economia come fatto libero e privato è stupido, perché di fatto avviene sempre dentro
un quadro.
Le strutture basi sono queste: produzione e distribuzione.
Ma oggi le cose sono un po’ cambiate e bisogna parlare di una globalizzazione delle strutture,
quindi di tutta la vita economica sul pianeta terra.
Leviamoci di testa che esista un’economia italiana indipendente, che abbia una sua relativa
autonomia, che abbia poi dei contatti, dei rapporti con altre economie: no, l’economia italiana, come
quella tedesca, come quella americana, in realtà non esiste, sono solo modi di applicazione di
un’economia che invece si muove a livello planetario.
Le strutture vere che governano la vita economica non sono mai all’interno dei confini di uno
stato, ma sono sempre al di sopra degli stati, delle teste degli stati ed ora ve lo spiego.
Queste non sono teologie ovviamente, ma se dobbiamo portare un giudizio morale su qualcosa
che non so cos’è (come succede spesso ai preti), che giudizio porto? Per portare un giudizio morale
bisogna sapere di che si tratta, di che sto parlando.
La produzione
Pensate alla produzione
Oggi si produce per componenti, qualunque cosa, anche piccola. Difficilissimo che avvenga il
contrario: bisogna produrre ad esempio un pollo se no si produce per componenti. Se comprate una
video cassetta della Sony spesso c’è scritto: cassetta fabbricata in Tailandia, nastro fabbricato in
Giappone, commercializzata per l’Europa dalla Sony europea che è francese, e poi c’è la Sony
italiana che dipende dalla Sony francese, che acquista il prodotto dalla Sony internazionale. Il
prodotto è fatto perciò in parte dal Giappone, in parte dalla Tailandia e in parte probabilmente da
Taiwan per alcune apparecchiature elettroniche di base.
Io compro una cassetta che è fatta in Italia, in Francia, in Giappone, in Tailandia o in Taiwan . Il
marchio può essere italiano, ma la produzione avviene per componenti.
Ciò vuol dire che io compro le singole parti, o faccio produrre le singole parti, dove mi conviene
farle produrre, nel mondo intero.
Bisogna rendersi conto di questo.
Per esempio: io ho un’automobile, un’Alfa 145. L’Alfa Romeo è italiana, ma tutto il sistema di
iniezione è Bosch, che è tedesco; ma tutta la parte elettronica, i microprocessori che governano tutto
il sistema dell’alimentazione e anche in parte il sistema di frenatura, è comprata in Cina, in
Giappone, non importa dove.
Quindi la produzione non è più un fatto interno a uno Stato, si produce dove conviene produrre.
Pensate ad un aeroplano. Molti di voi fanno gite all’estero su qualche aereo un po’ grosso, tipo
gli M80, tipo 747, i Jumbo, gli Airbus. Questi possono essere fatti, per esempio l’Airbus 720, di
172.000 parti, ciascuna di queste parti può essere prodotta in un posto diverso.
Se voi vedeste gli spaccati notereste ad esempio che tutta la fusoliera, dove ci sono i posti a
sedere, può essere fatta addirittura in dieci parti. L’Elenia può fare la parte centrale, il Giappone può
fare la parte di prua, un’altra fa il centro, un’altra i piani di coda, un’altra ancora fa un’altra cosa, e
così via; poi si mettono insieme tutte le parti e viene fuori l’aeroplano.
Come si fa a dire che quello è un aeroplano francese o americano? E’ impossibile, perché è fatto
di tanti pezzi.
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Loro diranno: perché parla di queste cose?
Parlo di queste cose perché solo così si capisce la realtà in cui siamo.
L’ultimo aereo nato, il Boeing 777, è il primo aereo costruito interamente a computer.
Hanno fatto dei disegni, messi su dischetti sui quali non c’è solo la forma del pezzo che va
prodotto, ma ci sono anche gli spessori, la differenza di resistenza del materiale in diversi punti. Nel
dischetto c’è già tutto, poi si manda il dischetto dovunque, nel mondo.
Chi ha la macchina che legge il dischetto, mette il dischetto dentro e gli fa il pezzo tale e quale
come è scritto sul dischetto.
Hanno assemblato questo aeroplano in questo modo, col CAD (computer assisted design) .
Dopo aver messo insieme questo Boeing c’era solo un pezzettino della semi-ala, forse 2 cm, da
correggere e basta.
Oggi si produce dove conviene, cioè dove la mano d’opera costa meno o dove la mano d’opera è
qualificata per certi tipi di lavorazione.
I nostri buoni industriali si lamentano di tutto, però fanno produrre fuori, in Romania, in
Kazakistan, perché? E’ chiaro da questa tabella che vi mostro.
L’ingiustizia della paga oraria
Ci sono i costi di un’ora di lavoro di un operaio qualificato, non solo i costi salariali, anche gli
altri costi (assicurativi, sociali, ecc.). La situazione è del ’94, ma non è cambiata gran che.
In Germania il costo globale di un’ora di lavoro è intorno ai 30 dollari.
Tutti i paesi industrializzati possono andare da 12, 13, 20, 25 dollari/h. Noi siamo nel mezzo
insieme con gli altri: Stati Uniti, Francia, ecc.
Poi c’è un salto terribile, c’è uno scalino che denota la spartizione dell’umanità in due aree:
l’area ricca e l’area povera.
IN V A S IO N
O F
T H E
J O B
S N A T C H E R S
L a b o u r c o s ts * in th e m a n u fa c tu r in g
s e c to r
$ p e r h o u r, 1 9 9 3
0
5
1 0
1 5
2 0
G E R M A N Y
H O L L A N D
J A P A N
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S T A T E S
F R A N C E
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S o u r c e : M o r g a n S ta n le y
* in c lu d in g n o n -w a g e c o s ts
T H E E C O N O M IS T O C T O B E R
6
1 S T 1 9 9 4
2 5
Dopo la Spagna viene Taiwan, ma Taiwan è meno della metà della Spagna. La Spagna ha 12, 13
circa (ora è un po’ cresciuta), Taiwan è sui 5 dollari/h.
Qui c’è la spaccatura, che si vedrà meglio poi in seguito, fra due umanità, quella dove un buon
salario è 5$/h e quella dove 5$/h non servono a niente, non si campa.
Però qui ci sono quattro paesi: Taiwan, Singapore, Sud Corea e Hong Kong, che sembra stiano
abbastanza bene con 4-5$/h, però messi insieme fanno 70 milioni di persone. Una quantità
trascurabile.
Tutto il resto dell’umanità va da 2 a 3 $/h fino a 1/2, 1/4 $/h.
Nello scorso anno sono stato in tante parti e ho visto questa tragedia, ho fatto lezioni
all’università cambogiana di Pnompenh. Il direttore dell’Istituto di filosofia prende 20 $ al mese,
cifra paragonabile a quella che può prendere un operaio qualificato in Bangladesh.
In Brasile, un paese più ricco, nelle città, dove i prezzi sono paragonabili ai nostri, un maestro e
un professore di scuola media prendono 200 $ al mese. Dieci volte quello della Cambogia, ma un
decimo di quello che prendiamo noi.
Ci sono però cose che si producono solo in qualche posto. Per esempio i grossi motori per grossi
aeroplani: sono solo tre le ditte al mondo che sono capaci di produrli. Chiunque vuol fare un
aeroplano grosso, può essere la Cina, la Russia, l'
America, la Francia, chi vuole, i motori li compra
lì e sono la Pratt&Whitney, la General Electric americane, e la Rols Royce inglese. La
Pratt&Wihitney ha una filiale francese.
Pensate alle medicine: quelle rare possono essere trovate, scoperte, lavorate solo in 5 o 6
laboratori al mondo, e tutte le grandi case farmaceutiche vanno lì perché solo lì si sanno fare certe
operazioni delicate di ricerca
Come vedete il mondo è tutt’uno, si produce dove conviene produrre, sia per parti sia interi
pezzi.
Lo stesso avviene a livello di mercato.
Il mercato è mondiale. Oggi su Internet io posso veder quali sono i listini dei prezzi per
rivendere, commerciare e vado a cercare dove mi conviene e quindi compro e vendo dove so di
massimizzare il profitto.
Questo oggi si fa continuamente, addirittura non si produce più con lo stoccaggio dei beni
prodotti, ma si produce On line, cioè si produce il bene su domanda.
La mia automobile due anni fa è nata così. E’ nata quando io ho fatto l’ordine, in quel momento
è cominciata la produzione della mia macchina. Non c’è lo stoccaggio di molte macchine e poi si
aspetta che qualcuno le comperi ma si produce via via, perché oggi il mercato permette questo.
Io vado dal concessionario, lui digita qualcosa sul computer, il dato viene trasferito ai vari
produttori e la macchina viene assemblata sulle specifiche precise che io volevo: colore, motore,
gomme, ecc.
Il silicio e i containers
Tutto questo oggi è possibile perché ci sono due novità tecnologiche, che hanno rivoluzionato e
sempre più rivoluzioneranno tutto il mondo dell’economia.
Questo è un punto su cui non molti hanno riflettuto, ma bisogna capirlo.
Mi scusino se non parlo subito del Vangelo, ma se non si capisce questo cosa ne facciamo del
Vangelo? Dire: date un po’ di soldi ai poveri ci vuol poco. Occorre vedere ciò che succede.
Quindi la prima novità tecnologica è stata la rivoluzione del silicio, che ha permesso
comunicazioni in tempo reale, di dati e anche di disegni, in tutte le parti del mondo, subito.
Io posso sapere in questo momento preciso chi mi offre grano, a che prezzo me lo offre, quale
quantità, quali navi sono disponibili per noleggiare, per portare il grano dall’Argentina in Turchia, o
dove mi conviene venderlo, poi, magari a metà del viaggio trovo un altro compratore che mi paga
un punto di più, dirotto la nave e quella va dove io ho visto che mi rende di più.
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Questo è normale, ma è possibile solo perché c’è la tecnologia del silicio, cioè sabbia, che non è
altro che quella dei computer che usate.
Questa è una novità. Fino alla fine degli anni ‘70 e primissimi anni ‘80, non era affidabile questa
tecnologia. Nel mondo finanziario, per esempio, viene introdotta dopo gli anni ‘80, e con difficoltà.
I nostri treni più moderni hanno richiesto 13 anni per svilupparli, ma sono tutti totalmente basati
sulla tecnologia del silicio, sull’elettronica e informatica.
Questo rivoluziona tutto, perché è chiaro che per me è tanto presente l’operatore, il produttore o
il venditore che c’è a Hong Kong, quanto è presente quello che è a Cremona.
Non c’è nessuna differenza: sono lì, io ordino questo, ordino quell’altro, confronto i prezzi e
invece di andare alla Standa per vedere cosa costano i pomodori freschi, lo vedo su Internet e
compero e vendo a seconda dei casi.
L’altra novità tecnologica è nel campo dei trasporti. E’ successo che questa disponibilità in
ogni angolo del mondo, di merci, o di parti, o di componenti, di beni da produrre, ha imposto, per la
loro movimentazione, la disponibilità dei mezzi di trasporto, economici, sicuri, veloci.
Sono nate tante tecnologie. Qui entra in scena il discorso ferroviario e il problema non riguarda
tanto i viaggiatori. Il problema europeo, mondiale (penso all’Australia, al Sud Africa che stanno
facendo innovazioni formidabili) è il trasporto merci.
Soprattutto la novità è data dalle navi porta containers, la tecnologia dei containers. Perché io
posso avere oggi navi che portano 7000 containers grossi. Se compero roba in Cina, faccio venire la
nave dalla Cina fino a Rotterdam. Questa costa, ma se io divido il costo fra tutte le camicette che
possono portare 7000 containers, il costo aggiuntivo unitario per camicetta è quasi nullo,
trascurabile.
Non è che costa di più comperare là, il costo è lo stesso, costa meno perché là la roba costa
meno.
Due sistemi, due novità tecnologiche: la novità tecnologica del trasporto e la novità tecnologica
del silicio.
Portare 7000 containers ci vuole una nave da 250 mila tonnellate, tipo petroliere. In Europa ci sono
solo due porti che le possono ricevere: Rotterdam e Le Havre. Gioia Tauro e Livorno sono
attrezzate per navi fino a 3000, 3500 containers. E quando arrivano a Rotterdam li mettono su navi
più piccole, fanno il giro della costa francese e spagnola per distribuire il prodotto, o per ferrovia.
A Rotterdam in 48 ore scaricano 7000 containers, li mettono su un treno o su TIR. E poi ci
meravigliamo dell’ingorgo delle strade: è naturale che ci sia.
Questo però fa capire come il sistema economico sia unico.
Queste grandi ditte di produzione, di trasporto, di intermediazione, di commercio, lavorano
sempre a livello planetario.
Ricerca e sviluppo
Le cose oggi sono molto più complicate di quello che i manuali di economia avevano previsto,
perché sono entrati in scena due fattori nuovi, oltre la produzione e la distribuzione (il mercato)
oggi bisogna tener conto di altri due elementi della produzione che sono fondamentali: si tratta di
ricerca e sviluppo, abbreviati nei giornali e riviste in R&D (Research and Development). Oggi non
è che si produce perché la concorrenza si basa sulla migliore qualità a buon prezzo o a parità di
qualità su un buon prezzo; oggi la concorrenza è basata soprattutto sulla novità.
Io devo metterci qualcosa di nuovo. Allora c’è tutto il momento della ricerca e dello sviluppo.
Se da un’idea originaria voglio produrre qualcosa, devo sviluppare questa idea, saggiarla
scientificamente, poi cercare di vedere come produrre questo bene, provarlo, sperimentarlo, fare un
prototipo, andare avanti.
Oggi, per gettare una luce sul quello che succede nel campo delle guerre, sono già ordinati circa
3000 aerei da guerra, dagli Stati Uniti, al Pentagono, che saranno pronti, per la produzione in serie,
verso il 2013.
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Da noi si parla di pace, ma intanto si stanno fabbricando le armi che avremo disponibili nel 2013.
E gli USA sperano di venderne 3000 al Pentagono, c’è già il contratto, e altre 3000 fuori dal
Pentagono. Per un totale, un budget globale, di 700 miliardi di dollari circa.
I treni di cui ci lamentiamo o ci serviamo con soddisfazione, i nuovi treni, sia i pendolini sia i
500, sono treni che hanno richiesto 10-12 anni di elaborazione a italiani e francesi. Né gli italiani né
i francesi sono del tutto soddisfatti, ci vorrà ancora tempo per metterli a punto.
Oggi il momento della ricerca e dello sviluppo è diventato fondamentale. Ci vogliono capitali
enormi, non tanto per produrre materialmente un bene, ma per elaborarlo. Quindi c’è un nuovo
bisogno di capitali enormi, e questi capitali vengono dappertutto, non solo capitali italiani, sono
capitali che possono muoversi. Io posso in tempo reale, mediante computer, spostare 100 miliardi di
dollari da Hong Kong a Francoforte. Nessuno Stato può controllare, nessuno può farci niente, i
capitali girano.
Finanza
Ecco allora il quarto elemento della catena: dopo produzione, distribuzione, ricerca e sviluppo, la
finanza.
Oggi il movimento dei capitali non ha niente a che vedere con la produzione. E’ un fenomeno a
sé stante. I vostri soldi in banca, sui libretti di risparmio, sui fondi comuni di investimenti, non so
dove mettete i vostri soldi ma sotto il mattone no di certo, da qualche parte li metterete, dipendono
da altre grandi società finanziarie che controllano la banca di cui voi vi servite (questo servirà poi
per capire il significato della Banca Etica).
Queste società che controllano le banche commerciali comuni, sono società finanziarie pure,
vivono solo muovendo capitali, quindi il profitto del capitale non viene dalla vendita del prodotto,
ma viene da quello che mi aspetto spostando il capitale da un posto all’altro. Il profitto di queste
finanziarie pure viene dalla differenza che può avere di qui a qualche periodo, un mese, 15 giorni, il
valore di un’azione, di un titolo, in un posto piuttosto che in un altro.
Se io ho un titolo che qui mi rende il 3,4% e vedo che dalla parte opposta della terra, a Seul, a
Hong Kong, può rendermi il 3,7%, io prendo 10 miliardi di dollari, un miliardo, quello che volete,
ed in un minuto li trasferisco là. Vendo qua e compro là.
Queste grandi finanziarie traggono profitto esclusivamente dal movimento del capitale.
Fino a poco tempo fa il profitto veniva dalla produzione: io produco bene, vendo cose buone
e traggo profitto. Questo avviene a livello di industrie che producono, ma non a livello di capitali.
Le industrie che producono dipendono totalmente da chi manovra il capitale, perché senza capitali
non produco niente.
Quindi il mondo della finanza oggi è totalmente distaccato, non ha niente a che vedere con la
logica della produzione.
Il mondo della finanza gira cercando la massimizzazione del valore di un’azione, o
dell’investimento di qualche cosa. Che poi si produca o non si produca, questo non ha alcun
interesse.
E’ bene averle ben presenti queste cose.
Questo è il quadro: la vera logica di fondo, da cui tutto dipende, è la massimizzazione del
profitto del capitale finanziario. Non c’è altro.
Voi credete di essere liberi nel fare i piccoli esercenti, nell’avere una banca, un’industria, ma
siete liberi fino ad un certo punto, perché se decidono che non hanno più interessi finanziari a
sostenervi, anche se producete bene e vendete bene vi mollano.
Quante ditte di grande valore, con portafogli d’ordini ricchi, con alti profitti alla vendita del
prodotto, sono state fatte fallire perché conveniva a chi controllava i capitali. Si guarda alle azioni e
non a cosa si produce o come si produce.
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Questa è la parola d’ordine oggi delle grandi finanziarie (non delle piccole): quello che interessa
è esclusivamente il valore finanziario delle imprese a cui noi diamo i soldi, cioè il valore delle
azioni sul mercato, che non ha niente a che vedere con la bontà del prodotto.
Purtroppo bisogna riconoscere che anche ditte che producevano cose buonissime, eccellenti, oggi
producono le stesse cose e le fanno male, perché non hanno più interesse a fare le cose bene. Hanno
solo interesse per la quotazione di borsa di questo o di quel titolo.
La distribuzione della ricchezza nel mondo
Qual è il risultato?
Ci fermiamo su una tabella: cercherò di leggerla nel modo migliore possibile.
Questa tabella costruita da me l’anno scorso (è del 1998) è aggiornata ai dati disponibili del ’98.
Nella prima colonna si vedono alcuni paesi rappresentativi di aree diverse del mondo. Un primo
gruppo sono paesi altamente industrializzati: Italia, paesi dell’Unione Europea, Giappone, Usa. Poi
ci sono due esempi in Europa orientale, ma non ci interessano. Poi vi sono quattro paesi: Messico,
Brasile, Perù, Cuba rappresentativi dell’America Latina. Segue un gruppo di paesi, scelti a caso
perché tutti non è possibile, rappresentativi dell’Africa. Infine c’è il gruppo dei paesi asiatici.
Sono aree diverse del mondo, ognuna ha le sue caratteristiche, le sue tragedie, le sue difficoltà.
GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA 1998
RICCHEZZA, POVERTA’ SVILUPPO
PAESE
PIL(1)
27.000
38.400
21.400
19.300
Vita Media
(2)
W76/ B-71 (5)
79
76
76
Mortalità
infantile(3)
8
4
5.6
6
Alfabetizz.
Primaria(4)
85
100
98
97
USA
Giappone
Unione Europea
Italia
Russia
Rep. Ceca
2.200
3.800
65
72
18
6
---100
Messico
Brasile
Perù
Cuba
3.300
3.600
2.300
1.600
69
61
66
75
18
55
50
7.3
87-16
83-30
87-?
95-100
Sud Africa
Egitto
Etiopia
Nigeria
Niger
Uganda
3.150
790
100
260
220
240
57
67
49
54
40
45
52
71
107
84
118
122
82-24
51-3
35-42
57-8
13-39
61-45
Cina
India
Cambogia
Vietnam
Indonesia
Tailandia
Sud Corea
Bangladesh
620
340
270
240
980
2.700
9.700
240
71
59
53
67
64
69
72
58
38
71
106
37
51
32
10
79
80-12
52-38
65-50
93-?
69-8
93-12
96
35
Fonte: Britannica World Data 1998 ( Encyclopaedia Brit. Yearbook 1998)
1.
Prodotto interno Lordo annuo pro-capite espresso in USD
10
2.
3.
4.
5.
Attesa media di vita (media fra maschi e femmine)
Mortalità infantile nel primo anno di vita su 1.000 nati vivi
Percentuale popolazione alfabetizzata (anche minima) e percentuale bambini che non finiscono la scuola primaria
(Fonte UNDP 1997)
In USA viene data indicazione separata fra bianchi (W) e popolazione di colore (B)
La prima colonna numerica accanto a ciascuno di questi paesi, rappresenta il P.I.L. (Prodotto
Interno Lordo), o P.N.L. (Prodotto Nazionale Lordo) che non è la stessa cosa, ma ai nostri fini non
c’è differenza sostanziale.
Questo indicatore è fondamentale, perché non ha niente a che vedere col reddito delle famiglie,
ma, stiano bene attenti, ha a che vedere con la ricchezza prodotta in un paese in un anno: quanta
ricchezza si produce in un paese in un anno divisa per il numero degli abitanti.
Questo non ti dice quanto guadagnano, ti dice quanta ricchezza è mediamente disponibile per
abitante in un certo paese.
Poi potrà essere distribuita in maniera più o meno giusta (questo è un altro discorso), potranno
oscillare prezzi, ecc., ma il punto importante è vedere quanta ricchezza si rende disponibile in un
anno, in un paese, espressa in dollari, divisa per il numero degli abitanti.
Il prodotto vuol dire tutto. La lezione mia di stasera è già un prodotto perché dovete comprarlo,
dovete pagare il biglietto del viaggio, io devo campare, non è che vivo d’aria. Le lezioni a scuola
sono un prodotto. Prodotto vuol dire tante cose: è tutto quello che comunque viene prodotto.
Per esempio, si somma il prodotto di un’azienda che inquina, più il prodotto dell’azienda che va
a disinquinare ciò che è inquinato. C’entra la giustizia, c’entra la scuola, c’entra tutto.
Comunque e qualunque bene si produca in un paese in un anno, espresso in dollari, diviso per il
numero degli abitanti: questo è l’indicatore globale della ricchezza disponibile.
Come viene usata poi è un altro discorso.
Noi vediamo che il gruppo dei paesi altamente industrializzati, può oscillare fra 19 e 38 mila
dollari anno a testa.
Noi siamo, coi dati disponibili nel ’98, che poi riguardano il ’97, a 19.300, saremo un po’ sopra
oggi. Mediamente l’Unione Europea è attorno ai 22.000 dollari anno (fra 20 e 30 mila) a testa
disponibili.
Se vado nell’America Latina io vedo un’oscillazione fra 1600 e 3600; c’è anche di peggio, non
c’è di meglio.
Come vedono è un decimo esatto di quello che abbiamo noi come ricchezza disponibile.
L’America Latina globalmente vive con un decimo della ricchezza prodotta nei paesi altamente
industrializzati. Un decimo è tanto, è una grande differenza!
Se voi guadagnate due milioni, là sono 200 mila lire. Questo è anche il rapporto normale del
professore di scuola media. Il dato risponde abbastanza bene.
Quindi qui c’è già a un salto. Quel salto che avevamo visto prima nel costo dell’ora di lavoro, lo
ritroviamo qui: qui c’è il salto fra due umanità:
- paesi altamente sviluppati
- paesi in via di sviluppo (è un modo di dire, perché spesso sono in via di arretramento).
Se andiamo in Africa, se si toglie il Sud Africa che è a livelli di America Latina perché ha tutte le
strutture europee, gli altri paesi africani, specialmente quelli sub-sahariani, sono mediamente tutti
sotto 1000, ma i sub-sahariani sono tutti fra 100 e 300 dollari/anno. Non si arriva mediamente nei
paesi sub-sahariani ad una ricchezza disponibile di un dollaro al giorno.
Dobbiamo pensare alla tragedia di quest’area del mondo in cui la ricchezza è questa e non c’è
altro.
Facciamo una zumata su questi paesi africani, perché si fa presto a dire che c’è la fame nel
mondo, ma occorre capire cosa ci sta dietro. Bisogna ragionarci un po’ sopra.
11
Questi paesi dell’Africa sub-sahariana sono tutti fra 100, 110, 150, 220 dollari/anno di ricchezza
disponibile pro capite, che non è quello che hanno disponibile come reddito familiare, perché lì
sono comprese tutte le spese globali: spese militari, mangiamenti politici, ecc.
La gente deve vivere mediamente con un terzo di dollaro al giorno, un quarto di dollaro al giorno
per tutti i bisogni possibili e immaginabili.
Poi vi meravigliate se vedete gli eritrei, i nigeriani a lavare vetri ai semafori delle città, ma per
loro è già una ricchezza enorme.
Il mio lavavetri favorito a un semaforo a Firenze se piglia solo dieci persone che gli danno 1000
lire, diecimila lire al giorno per loro sono cifre indicibili, sono ricchezza.
Se andate in Asia la storia è più complicata, perché l’Asia non è un continente, è solo nella
nostra mentalità europea che diciamo Asia, in realtà è fatta da tante realtà diverse. Però si vede che,
salvo la Tailandia, Sud Corea, Singapore, Hong Kong, il resto è sotto i 1000 dollari. Ma se
guardano l’India e la Cina messe insieme, sommate, siamo più di 2 miliardi di persone, più di un
terzo dell’umanità intera, mediamente devono vivere con 400-450 dollari all’anno. In Cambogia
sono 270 dollari all’anno.
La seconda colonna numerica dà l’attesa media di vita, che da noi si attesta sopra i 76 anni
(quando uno nasce mediamente vivrà 76 anni, fatta la media tra uomini e donne, perché le donne
vivono di più). Saranno anche il sesso debole ma dappertutto durano di più. Quindi maschietti
mettetevi il cuore in pace, tanto morirete prima voi.
Se andiamo in America Latina l’età media di vita è paragonabile a quella europea solo a Cuba, il
resto è sempre sotto i 70 anni di parecchio.
In Brasile, paese ricchissimo, 61; in Messico 69, in Perù 66.
Se andiamo in Africa, arrivare a 50 anni è già un miracolo.
La stessa media di vita nell’Africa sub-sahariana può andare da 49 a 45. In Sud Africa 57. Il
resto è quasi tutto sotto 50. Per loro arrivare a 50 anni, è andata bene, meglio che a me che sono a
73 anni o quasi.
Se andiamo in Asia le cose non cambiano molto, la stessa media di vita oscilla fra 71, 59, 53, 69.
58 in Bangladesh, Cambogia 53. Pensino a queste realtà.
Prendiamo la mortalità infantile, terza colonna numerica: per definizione indica quanti bambini
su 1000 nati vivi, muoiono nel primo anno di vita (ne muoiono anche subito dopo l’anno, ma è per
avere un dato uguale per tutti) non importa per quale ragione.
Nei paesi ricchi siamo tutti fra i 6-7, con un vergognoso 8 per gli Stati Uniti (c’è una ragione e la
vedremo). La media europea è 5,6. L’Italia ha 6,5.
Se andiamo in America Latina, solo Cuba è a livello europeo: 7,3, gli altri hanno 50-55. Il
Brasile, paese ricco, il più ricco dei paesi dell’America Latina come prodotto interno lordo, ha 55
bambini che muoiono nel primo anno di vita su 1000 che nascono.
Nell’Africa sub-sahariana si supera quasi dappertutto i cento, cioè il 10% dei bambini che
nascono, muoiono nel primo anno di vita.
Non in tutti, ma in molti paesi asiatici è lo stesso.
La tragedia della famiglia umana
Qui siamo di fronte a una tragedia. Vediamo in questi giorni i profughi nei Balcani, fanno
commozione, fanno tenerezza, fanno rabbia, ecc., ma voi dovete capire che la maggior parte
della famiglia umana vive in quel modo, non perché c’è una guerra in quel momento, ma
come condizione normale di vita.
A San Paolo del Brasile ci sono almeno 2 o 3 milioni di persone (ho parlato con il Governatore
dello Stato di S. Paolo nel novembre scorso) che vivono senza neanche una baracca, nella tenda,
vivono sotto i ponti delle autostrade.
In Bangladesh la gente vive in baracche senza luce elettrica, non si sta in piedi.
12
Quello che io vedo in queste scene drammatiche di questi giorni (i profughi del Kosovo), lo
confronto immediatamente con quello che è la normalità dei bambini, dei poveri, della grande
maggioranza della famiglia umana.
Così vanno guardate le cose. Questa è la prospettiva. Solo chi ha vissuto, chi c’è stato in questi
paesi, lo sa che cosa vuol dire essere poveri.
I missionari riferiscono ciò che succede; questi dati sono più freddi, meno emozionanti, ma sono
ben più indicativi della singola immagine del povero bambino della periferia di Nairobi.
Questa è la realtà: l’umanità vive in questo modo.
Il modo come vivono gli sfollati, i rifugiati, gli scacciati, i perseguitati in questo momento,
in Serbia o lì vicino, è il modo come vive la maggior parte della famiglia umana. E nessuno fa
guerre, o si scandalizza, stanno tutti tranquilli.
Questo è il punto importante da capire: siamo ad un punto in cui non si vede niente che
tenda a migliorare la situazione. Non c’è nessun segno, nessuna operazione, nessuna agenzia
internazionale, nessuna autorità che tenda a modificare questa struttura globale economica
del pianeta terra. E noi viviamo su questa struttura, quella che produce questi risultati. Anzi:
tutto fa vedere che le cose vanno a peggiorare.
Due flash appena: il primo è la produzione di cibo (dato dall’Economist del 1996) per abitante
nelle varie aree del mondo. E’ vero che in pochissimi paesi emergenti dell’Asia a partire dal 1960,
che è l’origine di riferimento, la variazione della produzione di cibo pro capite è positiva. La media
mondiale, è la seconda linea partendo dall’alto, è salita abbastanza. Ma la produzione di cibo delle
parti più povere, cioè dell’America Latina, è salita un poco, ma meno della media mondiale. La
forbice si è aperta.
Se vado nella parte poverissima del mondo, l’Africa sub-sahariana, questa è scesa in assoluto,
costantemente in valore assoluto: si produce meno cibo pro-capite (dipende dalla crescita della
popolazione, per altre ragioni anche, ma questa è la realtà). Vuol dire che non c’è da mangiare. Per
comperare il cibo all’estero ci vogliono dollari, per comprare dollari bisogna vendere cose che non
hanno e quindi si mangia meno e si muore di più.
La prospettiva non è allegra, è che non c’è niente all’opera che tende a modificare questa
situazione planetaria. Tutte le strutture economiche, finanziarie esistenti, tendono a mantenerla e
non hanno nessun interesse a modificarla, ovviamente. Chi avrebbe interesse a modificarla non ha
nessun strumento per farlo.
13
A questo si aggiunge un altro elemento.
Mi rincresce rattristarvi ma bisogna che vi rattristi, perché non si può vivere sciaguratamente
dicendo: “ O poverini!, facciamo l’elemosina al poverello”. No, i problemi sono di altra natura.
La tabella seguente è stata preparata da me e dal demografo di Firenze Livio Bacci quando ci fu
la conferenza del Cairo sulla demografia. Basta che guardino i dati delle ultime due righe: paesi
sviluppati e paesi cosiddetti in via di sviluppo.
Nel 1990, penultima colonna, i paesi sviluppati rappresentavano il 22,9% della popolazione
terrestre, i paesi non sviluppati il 77,1%. La proiezione di qui al 2025, a 30 anni da quando abbiamo
fatto il lavoro per il Cairo, tenendo conto che la parte povera si sviluppa più velocemente della parte
ricca è questa: nel 2025 la proiezione, calcolata basandoci su una riduzione della crescita
demografica dei paesi poveri ed una stabilità dei paesi ricchi, una proiezione cauta (può darsi che
vada peggio), è questa: 16,6 % della popolazione mondiale apparterrà ai paesi sviluppati, l’83,45 ai
paesi non sviluppati. Cioè 15% ricchi, 85% poveri.
Oggi sappiamo che noi apparteniamo al 20% della popolazione mondiale che sfrutta l’80% della
ricchezza disponibile. Questo è un dato conosciuto da tutti.
La prospettiva per il futuro è terribile.
Questa è una sfida alla coscienza umana e cristiana. Perché qui si ha una violazione
globale, profonda di tutto quello che è la dignità della persona umana, della stessa idea di
diritti dell’uomo che non ha più nessun significato ormai.
In queste condizioni che volete dire!
Ecco questa sfida morale, come si presenta e come può essere raccolta dal cristiano.
Popolazione negli anni 1950 e 1990 e previsione per il 2025
Popolazione
in milioni
Variazione
Distribuzione
annua
%
%
1950 1990 1950 1990 2025
1990 2025
ANNI
1950
1990
2025
Africa
222
643
1.582 2,7
2,6
8,8
Asia
1.377 3.118 4.900 2,0
1,3
54,7 58,9 57,8
Europa
398
509
542
0,6
0,2
15,8 9,6
6,4
America
165
Latina
Nord America 166
441
702
2,5
1,3
6,6
8,3
8,3
277
361
1,3
0,8
6.6
5,2
4,3
Oceania
13
27
41
1,8
1,2
0,5
0,5
0,5
Ex URSS
174
281
344
1,2
0,6
6,9
5,3
4,1
Cina
555
1.153 1.540 1,8
0,8
22.1 21.8 18,2
India
358
846
1.394 2,1
1,4
14,2 16,0 16,5
Paesi
sviluppati
Paesi in via
di sviluppo
Mondo
832
1.211 1.403 0,9
0,4
33,1 22,9 16,6
1.684 4.084 7.069 2,2
1,6
66,9 77,1 83,4
2.516 5.295 8.472 1,9
1,3
100
14
12,1 18,7
100
100
Fonte: Nazioni Unite, World Population Prospects, New York, 1993.
Nota: Per le previsioni al 2025 = variante media.
Una situazione strutturale di peccato
Ora dobbiamo capire che la situazione che prima vi ho illustrato è stabile, cioè strutturale.
Se ci riferiamo ai profughi della guerra, vediamo una miseria congiunturale, legata cioè ad un
preciso avvenimento, la guerra, che crea del disagio per alcuni anni, in un arco di tempo limitato.
La situazione di cui vi ho parlato prima, invece, ha carattere strutturale, cioè non cambia. Ora si
dice che questa situazione è inevitabile, che tutto è regolato dalle sacre leggi dell’economia, o che è
benefica perché le leggi del mercato sono come una mano invisibile che pian piano distribuisce a
tutti qualcosa, per cui fa star meglio tutti.
Non è vero né l’una né l’altra cosa.
Non sono sacre le leggi dell’economia perché sono leggi basate sul principio che l’uomo cerca
sempre di massimizzare il proprio vantaggio economico. E questo chi l’ha detto che è sacro?
L’abbiamo inventata noi questa idea dell’homo oeconomicus.
L’altra idea della mano invisibile del mercato non si vede un gran che, perché i dati dal 1980 a
oggi non sono cambiati se non in peggio.
Nel 1980 con il rapporto Brandt, il rapporto dell’ONU del 1980 in cui nacque l’espressione nordsud, siamo a 19 anni fa, dava più o meno gli stessi dati che si hanno al giorno d’oggi. C’era una
possibile uscita dalla situazione, ma nessuno l’ha mai provata.
La situazione è ferma sotto questa mano invisibile del libero mercato. Che se le cose vanno male
o perché il mercato non è libero abbastanza, o perché i governanti sono cattivi, o perché la gente è
cattiva e non ne ha voglia di lavorare. Sentiamo tutti i giorni: “Fannulloni, noi si lavora e loro
stanno senza far niente”.
Queste sono sciocchezze, non c’è niente di vero in tutto questo.
Il mercato come fu pensato poteva anche avere una sua logica, ma fu pensato per un solo paese
l’Inghilterra, alla fine del 1700, quando c’era meno di 20 milioni di persone, il principio di cercare
di arricchire ciascun per sé, perché tutti staranno meglio, principio oggi dominante nel mondo
finanziario, è un principio che fa ridere perché se mettiamo a confronto sullo stesso mercato il
Ghana e gli Stati Uniti è evidente che chi è sempre sconfitto è il più debole.
Il mercato nella visione dell’economia classica di Adam Smith e di David Ricardo che non erano
sciocchi come sono invece i cronisti attuali, il mercato per loro era un mercato ipotizzato quasi
perfetto. Cioè un mercato in cui si fissa autonomamente un prezzo che risponde ai bisogni di chi
vende e di chi compra per cui viene spontaneo questo equilibrio tra queste due esigenze e si fissa un
prezzo di mercato.
Nessuno da solo deve essere tanto forte da poter da solo modificare il prezzo che trova sul
mercato.
Questo era il principio classico.
Siccome oggi ci troviamo nelle condizione in cui ogni paese del mondo è nello stesso mercato
sullo stesso piano, sia con debolezze spaventose che con ricchezze spaventose, tutto il discorso del
mercato libero crolla, non vale più, assolutamente nulla.
Col libero mercato in vent’anni non abbiamo cambiato assolutamente niente, anzi le condizioni
dei paesi dell’Africa, ad esempio per la produzione di cibo, sono peggiorate.
Questa è una violenza indicibile, perché porta con sé una serie di conseguenze. Lo accennerò
appena.
La massimizzzione del profitto
15
Se si investe il capitale esclusivamente per massimizzarne il profitto, il profitto sul mercato dei
capitali, non interessa che cosa si produce (chi investe non sa né vuol sapere a cosa servirà il suo
capitale) perché interessa solo che si massimizzi il profitto. E questi investimenti sono, purtroppo,
tante volte a breve termine, tre, sei mesi massimo, perché chi investe, ad esempio nei fondi comuni,
vuol vedere subito gli interessi altrimenti molla l’operazione.
Nell’area finanziaria devono giocare sulla massimizzazione del profitto nell’intermediazione tra
capitali, questo è il punto che va capito.
Questi capitali girano al di sopra delle teste della gente in quantità spaventosa.
L’ultimo dato che ho visto sull’Economist, liberista e quindi non sospetto, dice che ogni giorno si
muovono sulla faccia della terra qualcosa come migliaia di miliardi di dollari, ogni giorno per 24
ore al giorno.
Per cui si fanno i turni anche di notte per seguire le borse.
Tutti ormai sono presi da questa frenesia.
Fate quasi tenerezza. Vien da ridere perché i soldi ve li levano o ve li danno se fa comodo a loro,
non a voi.
Questo porta ad un enorme concentrazione del capitale, lo vediamo tutti i giorni. Succede anche
in Italia: si fondono Breda Ansaldo, due ditte che ormai formano un solo gruppo, la Boeing ha
comperato la McDonnel Douglas, e così via.
Potrei farvi infiniti esempi di queste concentrazioni in tutti i settori, in tutti i paesi. Anche nella
comunicazione di massa c’è una corsa che procede sempre più velocemente.
Sono tutti capitali mescolati insieme, sono centrali di capitale spaventose che producono solo per
un dividendo e un utile.
Che cosa producono? Danno capitali a chi produce quello che conviene produrre, che può essere:
armi, droga. Per loro questo non vuol dire niente. Che cosa credete che le armi che ci sono in
Kosovo, in Serbia, in Albania, in Croazia, le fabbrichino loro? O tutte quelle che hanno in Africa,
tutti hanno in mano un mitra in Africa, le costruiscano loro? Non hanno le strutture per costruire
nemmeno una pallottola. E’ tutta roba nostra.
Noi del mondo ricco vendiamo armi e addirittura l’86 % dell’esportazione di armi dei grandi
paesi produttori come Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Inghilterra, va ai paesi poveri del
mondo (secondo le ultime stime pubblicate sul “Settimanale del clero” del 26 febbraio). Vendiamo
loro armi perché ci conviene.
E ci mettiamo capi, generali, dittatori perché facciano i nostri interessi. Lo stesso Pinochet fu
messo su dagli americani. Così la guerra in Africa fra Hutu e Tutzi, è stata per interessi economici
tra gruppi francofoni e gruppi angloamericani.
Si può produrre qualunque cosa, medicine per esempio ma solo quando conviene produrle. Se i
ricercatori di una grande ditta farmaceutica scoprono un farmaco migliore di un altro che già c’è sul
mercato, loro li fermano, la ricerca si blocca. Prima c’è da vendere quello che c’è già sul mercato.
La salute della gente è l’ultimo pensiero che hanno.
C’è una logica perversa: si produce ciò che conviene produrre dal punto di vista del profitto e del
capitale che si muove, e basta.
Per chi si produce?
Per chi ha quattrini; per chi non ha quattrini non si produce.
Produzioni di beni a basso costo, anche se urgenti, non si producono perché non danno profitto.
Forse la Cina, perché ha un miliardo e duecentomilioni di persone. E’ talmente vasto il mercato
che se anche produco a basso costo, conviene.
Alcuni anni fa a Washington, in una conferenza sulla bioetica nelle varie aree culturali, si
discuteva sul problema della fecondazione in vitro. Il direttore di un ospedale della Nigeria disse:
“Voi mi fate ridere, perché discutete di queste cose, sì importanti, ma io non ho i soldi per
acquistare gli antibiotici per il mio ospedale. Non per le farmacie, perché non esistono, ma neanche
per l’Ospedale centrale”. Mancano anche i soldi per comperare gli antibiotici!
16
E un tentativo di fecondazione in vitro, in America costa dai 55 ai 60 mila dollari, cifra da
annegare di antibiotici l’Africa. Però si fanno queste belle cose perché queste danno profitto, le altre
no.
Il problema del lavoro
Pensate al lavoro: voi vi lamentate della disoccupazione, ma c’è perché si vuole che ci sia,
perché se tentiamo di ridurre il numero di chi lavora, aumenta il profitto, rimangono più soldi per
altre cose, cioè per il profitto.
Quindi si investe, questo ancora gli analisti non l’hanno capito bene, per creare disoccupazione e
non per creare occupazione.
Gli investimenti creano occupazione solo in qualche caso, perché altrimenti si investe per poter
lavorare con delle macchine che potrebbero eliminare gran parte della forza lavoro.
Grandi concentrazioni di capitali sono mirate a grandi economie di scala per cui si può benissimo
tagliare la forza lavoro del 20, 30, 40% ottenendo gli stessi risultati.
Quindi oggi gran parte degli investimenti sono mirati a poter comprare macchine per poter creare
disoccupazione, il che è sempre conveniente, perché creare disoccupazione vuol dire poter ridurre i
salari. Quando uno è morto di fame lavora anche per quattro soldi.
La grande bandiera americana è questa: “noi creiamo posti di lavoro”! E’ vero che creano
occupazione, ma sono posti in cui prendono 5 dollari all’ora ad andar bene, senza assicurazioni,
senza nessuna garanzia sindacale, con la possibilità di essere licenziati sul momento senza nessuna
difficoltà. Vengono assunti a tempo senza nessun sistema di sicurezza, nessun sistema sanitario. Se
uno non ha i soldi non si cura.
L’unico paese al mondo in cui faccio un’assicurazione sulla salute prima di andarci sono gli Stati
Uniti.
Per chi si produce? Per chi ha i quattrini.
Perché si produce? Per creare occupazione? Neanche per sogno: per creare disoccupazione; e per
massimizzare il profitto bisogna per forza sfruttare il lavoratore al massimo possibile.
Per cui i lavoratori anche qui in Italia vanno a lavorare con la febbre, per non perdere il posto di
lavoro fanno qualunque cosa, fanno straordinari.
Il lavoratore che rifiuta di fare lo straordinario, anche quando ha ragione di farlo, per esempio il
pilota o il macchinista, che non vuole guidare troppo stanco, alla prima occasione lo buttano fuori.
Questa è prassi normale. Così le donne non devono rimanere incinte.
Quindi anche chi lavora lo fa in queste condizioni, perché lo scopo è sempre e solo quello di
massimizzare il profitto del capitale investito, non c’è altro.
La violazione sistematica dei diritti umani
Quindi c’è la violazione di tutti i possibili diritti dell’uomo, siamo di fronte a una tragedia molto
superiore a quella che possiamo percepire giorno per giorno, dobbiamo renderci conto di questo.
Questa violenza sull’occupato, violenza sul disoccupato, violenza sui poveri, perché non si
produce per loro.
Nell’Africa sub-sahariana la persona non esiste, dal punto di vista del sistema economico
planetario. L’Africa sub-sahariana non esiste, perché siccome non ha infrastrutture, strade, ferrovie
per portare il prodotto delle miniere sulla costa, non ha una scuola per avere mano d’opera
qualificata, non conviene investire. L’Africa vive solo di soccorsi ed elemosine. Ogni settimana ci
sono prospetti, indicatori economici dei paesi poveri del mondo dove si vede che l’Africa subsahariana non esiste.
Sui dati fondamentali dei principali paesi del mondo qualche volta appare il Kenia, perché fa
parte del mondo anglosassone.
17
L’unico luogo dove si trovano tutti i dati è l’Enciclopedia universale britannica che ogni hanno
viene aggiornata e da cui ho tratto le tabelle che vi ho fatto vedere prima.
Siamo in una condizione di disumanizzazione totale che sembra irreversibile e sembra che oggi
sia pacificamente accettata, come la migliore possibile situazione per noi e per il mondo intero.
Oppure, accettata con rassegnazione.
Un teologo americano, M. Novak,, sostiene che in questo mondo, il capitalismo liberista è il vero
modo di attuare il Vangelo, perché si dà la libertà a tutti.
Ma uno che non ha da mangiare, l’unica cosa che lo preoccupa è cosa mangia domani, non
doman l’altro, ma domani, che libertà ha?
Ditemelo voi!
Il Concilio Vaticano II insegna che un minimo di dominio sui beni terreni è come un
prolungamento del diritto di libertà (GS 71), perché la persona umana non può essere persona,
vivere e scegliere qualcosa, se non ha la possibilità di scelta.
Quando andate a fare il turismo nei paesi poveri non fermatevi all’Agenzia, ai pullman
dell’agenzia, andate a vedere sul serio, in qualche casa di missionari, la realtà vera, i mercati dove
vanno i poveri a comperare le cose.
E sono sempre quelli, perché i poveri non possono fare spesa per tre o quattro o cinque giorni,
prima perché non hanno soldi, e poi perché non hanno il frigorifero. Noi si dice: bene si fa la spesa
per una settimana. Ma in un paese caldo devo comperare le cose tutti i giorni.
Ho visto una donna nel mercato popolarissimo che comperava 25 grammi di carne, 25 grammi di
carne!
Di fronte a questo siamo davanti ad una situazione disastrosa e occorre ritornare al Vangelo.
Il messaggio evangelico
Se torno al nucleo del Vangelo, trovo cose completamente diverse.
Non bisogna dire che erano altri tempi, oggi sono tempi diversi, tutto va bene, col sistema del
libero mercato. Un momento. Ricordate quando Gesù è invitato a cena dal Fariseo, e questi si
accorge che i suoi discepoli non fanno le abluzioni, e gli viene chiesto come mai i suoi discepoli
non fanno questi gesti di purificazione. Gesù risponde: “Ipocriti, voi farisei lavate l’esterno del
piatto, date quello che c’è nel piatto ai poveri e tutto sarà puro per voi”.
Cosa vuol dire questa espressione del Signore, cosa vuol dire avere purezza davanti a Dio? Non
è la purezza rituale: “Date quello che avete”, “quod super est”, il latino traduce bene. Chi sa il latino
può capire bene il trucco a cui abbiamo assistito. Il greco dice: le cose che sono nel piatto, oppure
quello che possedete. Il latino giustamente dice ‘super est’, quello che c’è sopra date ai poveri. Poi
abbiamo cucito insieme in “quello che avanza datelo”. Ma questo non è esatto.
Il Vangelo non dice di dare quello che ci avanza, ma dice: quello che abbiamo.
La vedova al tempio dà gli spiccioli, ma il Signore dice che dà più di tutti, perché loro hanno
dato del loro superfluo, e questa ha dato tutto quello che ha.
Così la parabola dell’amministratore infedele (Lc 16): una tragedia per i parroci che devono
commentare questa parola del Vangelo dove il Signore loda l’amministratore infedele. Il Signore
commenta la parabola, lodando l’amministratore infedele: “Se non siete fedeli nella ricchezza
ingiusta, chi vi darà quella vera? E se non siete fedeli nella ricchezza non vostra, chi vi darà quella
vostra?”.
Il Signore introduce due idee: ricchezza vera e ricchezza vostra.
Le ricchezze del mondo non sono ricchezza vera, non sono vostre, la vostra ricchezza è il
Signore, la ricchezza del Regno. Questa è la vera ricchezza per voi.
Un cristiano non può desiderare di più perché di più, sarebbe idolatria. La nostra ricchezza è
sempre e solo il Signore e il suo Regno.
Il Regno di Dio è regno di pace, di giustizia, di amore, di condivisione. Ecco il senso del
Giubileo.
18
Quindi si deve annunciare il Regno. Non posso annunciare il Regno accettando la situazione che
vi ho descritto.
Paolo, con il suo catalogo dei vizi per cui non si entra nel Regno dei cieli, pone sempre una
parola che in greco vuol dire avidità ed avarizia, cioè sta per: voglio avere di più e non dare
generosamente. Questi sono due peccati per cui non si entra nel regno dei cieli. Dico: stiamo attenti
a queste cose che non sono di poco conto.
Nella prima lettera di Giovanni al cap. 2 si dice: “E’ esclusa dall’amore del Padre la
concupiscenza degli occhi, la concupiscenza della carne, la superbia della vita”.
La traduzione “vita” qui è sbagliata, perché bios non vuol dire vita ma “ricchezze”. La
traduzione corretta sarebbe “l’arroganza della ricchezza”. Quando uno è ricco dice: ecco io ho già
tutto.
La ricchezza esclude dal Regno e la superbia della ricchezza vuol dire avere di più e star bene
perché è di più, come nostro scopo e così abbiamo conseguito la nostra sicurezza di vita.
Noi cattolici, anche i protestanti e ancora peggio forse, abbiamo centrato il problema della
morale economica sul non rubare, ma nel Vangelo, si parla anche di non rubare; ma, soprattutto, si
parla del mio rapporto con i beni terreni.
A che mi servono i beni terreni? Mi servono solo per camminare verso il Regno.
Mi servono per far del bene, per aiutare l’umanità ad andare avanti.
Questo è l’unico significato che possono avere per me i beni terreni: strumenti per vivere, per
avere la capacità di lavorare e per essere a servizio della venuta del Regno.
Che diciamo a fare con il Padre nostro “venga il tuo Regno” quando non ci pensiamo neanche da
lontano al suo servizio. Venga il tuo Regno e intanto vengano gli interessi delle azioni che ho
comprato.
Il problema morale vero per il cristiano non è non rubare, che è un problema secondario, è chiaro
che non si deve rubare, ma è il senso dei beni: con quale scopo io posso desiderare i beni terreni.
Che significato hanno i beni terreni nella mia esistenza di cristiano? Questo è il punto
moralmente rilevante.
I padri della Chiesa commentavano così la malizia del furto: la riducevano alla malizia del non
dare quando abbiamo di che dare. Il primo peccato è non dare, poi è ovvio che è peccato anche
rubare.
Se non è lecito non dare, non è lecito neanche rubare. Ma l’argomento è al rovescio. Non si parte
dal furto, si parte dal non dare.
Quindi il dovere di dare, di saper mettere a disposizione lavoro, forze, capacità, competenze per
il bene degli altri. Questo anche investendo, anche facendo i grandi finanzieri. Ma investendo in
cose utili per tutti e non dove c’è il massimo interesse e gli interessi non devono servire a me ma a
tutti
Capite che cosa c’è in gioco nell’annuncio della Chiesa!
Non è che si veda molto per la verità neanche nei documenti pontifici. Sono trattati in modo
abbastanza superficiale. Si, dobbiamo essere buoni, fare del bene, dare e poi ci si ferma li..
Accanto alla testimonianza personale, della nostra vita che deve essere sobria, seria, e noi siamo
spinti purtroppo a rovescio (e qui entra in gioco la forza della comunicazione di massa), occorre il
nostro impegno per modificare la situazione strutturale planetaria.
Non è che vi possa dire stasera da che parte incominciare, ma dobbiamo ritenere questa
situazione strutturale planetaria inaccettabile.
La globalizzazione non è un male, anzi è un bene, ma dobbiamo andare verso una logica di
struttura del sistema economico dei diritti umani.
Purtroppo la nostra morale cattolica ci ha solo insegnato a non rubare: se non rubi, rispetti le
leggi, non fai usura allora non fai nessun peccato.
Io posso muovere cento miliardi di dollari da un lato della terra all’altro, mettere alla fame più
nera dieci milioni di persone e non aver fatto nessun peccato. Questo perché ho cercato
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legittimamente di massimizzare il mio interesse. Se poi muoiono per fame delle persone questo è
cosa che non dà noia.
Non sono cose strane, è la grande tragedia che stiamo vivendo.
Per esempio in Brasile, le favelas, le migliaia di nordestini che emigrano nelle grandi città
nascono dall’invasione del grande capitale del nord.
Quanti catechisti, quanti preti sono stati ammazzati perché sostenevano i diritti dell’uomo, i
diritti della terra. Un mio allievo, comboniano, è stato ucciso perché difendeva i contadini espulsi
dalle loro terre da una grande finanziaria.
Poi ci lamentiamo se nel Kosovo ammazzano un prete, qui, in America Latina, ne ammazzano a
centinaia di preti, di vescovi e nessuno dice nulla.
E qui termino. La situazione va presa sul serio. E abbiamo strumenti per far fronte a questa
tragedia.
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Mons. Chiavacci non ha potuto, per mancanza di tempo, approfondire il tema del rapporto tra il
cristiano e la vita economica.
Alleghiamo pertanto alcune spunti di riflessione tratti dal suo libro: Teologia morale della vita
economica, politica, di comunicazione.
Ci scusiamo ancora con il lettore per i limiti che un lavoro di questo tipo può avere, ma crediamo
sia comunque utile per chi vuole in seguito approfondire questi temi3.
Morale della vita economica
Qui ci limitiamo a riprendere alcune suggestioni.
Il problema morale di tipo nuovo, che è cresciuto sotto gli occhi dei moralisti senza che essi se ne accorgessero, è il seguente: ogni
scelta economica di qualsiasi tipo, piccola o grande, può ripercuotersi su tutta la famiglia umana.
Viviamo in un unico sistema a raggio planetario e sia la politica economica di uno stato sia la modesta scelta economica di un privato
cittadino è condizionata e condiziona a sua volta la situazione economica del pianeta. L’idea di una libertà, o non sindacabilità
morale, delle scelte del privato in ordine all’uso delle sue ricchezze, poteva essere accettabile in economie-mondo a raggio limitato.
Oggi non è più vero.
Libertà di disporre delle proprie ricchezze e sussistenza della famiglia umana sono incompatibili e tutto lascia pensare che sempre
più lo siano in futuro.
Ogni scelta economica, dunque, avviene all’interno di un unico sistema, in cui convivono ricchi e poveri, potenti e vulnerabili e in
cui non vi è autorità politica in grado di assicurare la sussistenza - e forse la sopravvivenza stessa - dei singoli membri e gruppi
facenti parte del sistema.
La responsabilità morale delle singole scelte economiche del privato nei confronti della famiglia umana si presenta dunque come
ineludibile in una situazione di fatto nuova.
Sussiste la responsabilità morale del singolo, non solo dei politici, di operare perché le strutture, al cui interno avvengono le scelte dei
singoli, siano tali da promuovere la sussistenza della famiglia umana e dei suoi membri.
Il problema morale delle scelte del singolo si pone oggi così: con una certa scelta io massimizzo la mia convenienza economica ma
posso recare danno a molti. Nella logica di un sistema economico regolato dal mercato, io mantengo il mio diritto a massimizzare la
mia convenienza: ciò è parte essenziale delle regole del mercato.
Nella logica della sussistenza della famiglia umana, l’impatto su altri gruppi di una mia scelta è elemento essenziale e primario del
giudizio morale: questa è la via dell’operatore di pace; questa è la solidarietà.
Uomo e richezza nella Scrittura
La teologia morale dei manuali ha posto ben poche domande alla Scrittura sul tema del comportamento dell’uomo di fronte ai beni
terreni. Essa si è limitata a due temi: il furto e l’usura.
Noi riteniamo che il tema biblico principale sia il rapporto tra uomo e beni terreni e più in generale quale significato debba avere per
la vita dell’uomo l’acquisto ed il possesso dei beni terreni.
I problemi sono due:
il modo in cui l’uomo debba valutare il suo rapportarsi alle ricchezze: averne o non averne, cercarle o rifiutarle, etc;
le ricchezze intese come strumento di relazione fra l’uomo e l’altro uomo, la giusta distribuzione, la giustizia in genere.
L’unico vero dominus della terra e di quanto essa contiene è Dio: il dono della terra è libera e gratuita scelta di Dio, a cui deve
corrispondere un uso coerente con il piano divino sulla creazione intera.
Emergono ora due preoccupazioni.
La prima: il possesso dei beni è frutto della benevolenza divina ed è buona cosa: ma il possesso di troppi beni è pericoloso perché
può distogliere da Dio e trasformare la ricchezza in idolo.
La seconda: il possesso di beni è sempre condizionato dal dovere di amore del prossimo e anche dello straniero. E’ il tema della
giustizia distributiva (che riguarda il dovere dell’autorità di distribuire equamente beni e servizi vari ai cittadini), il tema della
giustizia di Dio che è sempre giustizia resa al povero e che deve divenire la giustizia dell’intero popolo.
L’alternativa di fondo non è fra ricchezza e povertà ma fra ricchezza e Signore.
Per il credente l’unica ricchezza è Dio. Ogni altra cosa desiderabile da possedere o da conservare, non è ricchezza per il cristiano. Il
cristiano non desidera né avere di più né tenersi quello che si trova ad avere, perché i beni terreni non sono ricchezza per il cristiano
(Lc 16).
Per lui l’unica ricchezza è il Signore, l’unica gioia appartenere al Regno e compiere la giustizia del Regno. La giustizia del Regno ci
è nota: è la giustizia di Dio che è carità, dono di sé, vivere per gli altri.
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Chiavacci, basandosi sulla Scrittura e sulla Gaudium et spes fa della pace la categoria centrale per
ripensare tutta la teologia morale sociale, politica ed economica. Qui segnaliamo solo come la
prospettiva del bene comune dell’intero genere umano, la ricerca di una pace che superi tutte le
forme di dominio e sfruttamento, l’impegno per na corresponsabilità e solidarietà con l’intera
famiglia umana inquadrano la morale economica in prospettive decisamente nuove rispetto alle
strettoie della manualistica, che la riconduceva al settimo comandamento.
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E perciò il rapporto dell’uomo con i beni terreni è un rapporto di pura strumentalità in vista di un fine preciso: la convivenza nella
pace con la logica e con i principi che già ben conosciamo.
In questo quadro di senso supremo dell’umana esistenza, i beni terreni hanno valore solo se e in quanto sono strumenti al servizio ai
fratelli.
Se li ho, li ho per usarli come strumento di carità e di servizio a Dio ed al prossimo: anche se ne ho possesso legittimo non li ho per
me, non li ho per tenerli, non li ho per moltiplicarli a mio vantaggio, perché non li considero qualcosa in sé desiderabili.
L’etica del mio rapporto coi beni terreni è dunque fondata nel N.T., in un’adesione di fede al regno di Dio ed alla sua giustizia. Tale
giustizia deve inserirsi nel più ampio contesto del progetto di Dio creatore: si apre il problema del rapporto tra l’uomo ed il creato,
cioè l’aspetto teologico del problema ecologico.
Volendo cercare un principio normativo generalissimo per tutta l’etica teologica in materia economica, riteniamo che essa possa
esprimersi con le parole stesse del Signore: non cercare tesori per sé, ma “arricchire davanti a Dio” (Lc12,21).
Questo principio generale può scindersi in due precetti che sono derivati direttamente dalla lettura del Vangelo.
1- Non cercare di arricchirti, di avere di più perché è di più;
2- Se hai, hai per dare, o in generale per poter meglio servire
Questi due precetti sono in aspro contrasto con quella che abbiamo chiamato la realtà economica attuale.
La proprietà
Per il cristiano non esiste vero ‘dominium’ dell’uomo sui beni terreni.
Il Chiavacci ripercorre le diverse accezioni di “proprietà” come le ritroviamo nella Scrittura, nella tradizione della Chiesa e
nell’epoca moderna e contemporanea.
La prima organica sistemazione teologica della morale economica, organizzata nel quadro della virtù della giustizia, si trova in S.
Tommaso. L’uomo non è vero dominus ma Dio stesso ha affidato all’uomo il creato perché lo usi. Qui si tratta esclusivamente del
potere di usare la natura.
E’ cosa buona e ragionevole che l’uomo possa considerare taluni beni come propri per tre motivi: perché in tal modo l’uomo si
prende maggior cura dei beni affidati; perché altrimenti vi sarebbe confusione (tutti potrebbero vantare il dominio su tutto); perché si
mantiene la pace sociale.
Si notano due cose importanti:
- il possedere cose come proprie è motivato da argomenti esclusivamente pratici e il fine non è mai il bene del singolo ma della
comunità;
- il possedere cose come proprie non nasce dalla volontà divina o da un diritto naturale.
La proprietà è sempre considerata uno strumento per raggiungere fini sociali.
Per Locke, invece, la proprietà è uno dei tre diritti naturali (vita, libertà, proprietà) che ogni uomo ha anteriormente al suo ingresso in
società.
Così la proprietà, da strumento in vista del bene comune (S. Tommaso) diventa fine valido in sé di cui la vita associata e il potere
politico è strumento e garanzia.
Qui noi crediamo è da cercarsi la svolta concettuale che ha dominato la cultura occidentale.
A questa svolta è legata sicuramente la concezione stessa dell’attività economica: questa era sempre stata concepita come funzione
al bene comune, ora invece è vista come campo di libertà del singolo nella ricerca del proprio vantaggio.
La scienza economica si va strutturando quindi intorno a due assunti:
1. Nelle scelte economiche l’uomo agisce in genere nel senso di massimizzare il proprio vantaggio. Nasce così l’idea dell’Homo
oeconomicus: è un’idea che non è certo nel Vangelo e che è del tutto estranea a gran parte delle culture non occidentali.
2. Quando in un gruppo ciascuno cerca di massimizzare il proprio vantaggio economico, si massimizza automaticamente il
vantaggio economico del gruppo. Cioè: massimizzare il profitto proprio vuol dire massimizzare il benessere di tutti. Questa è la
matrice dell'
etica del profitto, che ancor oggi, anzi, soprattutto oggi, è usata contro ogni argomentazione solidaristica.
Occorre notare come alla base di questi due postulati vi sia il concetto moderno di proprietà; il ‘dominus’ vero ed unico sui beni
è il singolo privato.
Occorre notare inoltre che questi due postulati, nati con il moderno concetto di proprietà, non sono mai stati dimostrati….
La variazione profonda della concezione della proprietà, intervenuta nella morale cristiana e nella cultura europea intorno al
XVII secolo, ha dunque portato frutti assai tristi per i poveri della terra e ha indotto una visone globale dell’economia che in questi
ultimi decenni ha mostrato la sua radicale antievangelicità. Ma il magistero sociale della Chiesa ha visto l’insostenibilità evangelica
di questa dottrina e l’ha apertamente denunciata, proponendo una concezione della proprietà e del più generale rapporto uomo- beni
terreni, molto più vicina alla grande tradizione della Scrittura, dei Padri, di S. Tommaso.
La Gaudium et Spes dedica all’idea di proprietà tre paragrafi (69-71) che sono estremamanete interessanti.
“Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all’uso di tutti gli uomini e popoli e pertanto i beni creati debbono,
secondo un equo criterio essere partecipati a tutti, essendo guida la giustizia e assecondando la carità” (69)
Due punti sono importanti: il primo è la menzione dei popoli accanto a quella tradizionale dei singoli.
Il secondo è che il progetto divino, il diritto naturale primario, impone un cammino di giustizia distributiva a dimensione planetaria.
E questo compito è un dovere di giustizia: la carità dovrà accompagnare e stimolare la giustizia, ma la giustizia distributiva è vera
giustizia, a cui quella commutativa (lo stretto diritto di proprietà privata) dovrà subordinarsi.
Si ha quindi un totale ribaltamento del rapporto tra bene comune e proprietà privata: nella tradizione dei manuali la proprietà privata
è un assoluto che prevale sulle esigenze del bene comune. Qui al contrario il primato spetta al bene comune della famiglia umana e
la proprietà privata, in qualunque forma concepita, deve subordinarsi ad esso.
Qui si ha un dovere di giustizia verso il povero: “a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé ed alla
propria famiglia” e perciò “gli uomini hanno l’obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo”.
Siamo qui alla radice dell’idea di solidarietà universale che verrà sviluppata con energia da Paolo VI nella Populorum Progressio e
da Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis e nella Centesimus annus.
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GS 71 introduce un elemento di riflessione del tutto nuovo. Infatti si opera una nuova giustificazione della proprietà privata sui bene
terreni, che deve considerarsi come un spazio necessario per un’autonomia personale o familiare e deve considerarsi come un
prolungamento della libertà umana.
Questo è dunque un vero diritto naturale, diverso da quello di proprietà conosciuto dai manuali, perché è un diritto alla proprietà,
diritto inerente ogni essere umano in quanto libero. Il diritto tradizionale di proprietà deve essere così strumento per garantire ad ogni
essere umano questo diritto e comunque deve essere limitato opportunamente perché tutti possano godere del diritto ad una pur
modesta proprietà4.
Primo precetto generale nella vita economica: non cercare di arricchirti
Dobbiamo ora aiutare il cristiano nelle sue scelte in materia economica.
E’ necessario lasciarci alle spalle la riduzione della morale economica al tradizionale “non rubare” e in specie al “non rubare”
connesso con la moderna concezione occidentale della proprietà.
Per il cristiano l’avere di più in sé, il di più perché è di più, è una scelta che non può collocarsi in alcun modo in un orizzonte di fede.
Il termine ricchezza ed arricchirsi non è riferito a grandi ricchezze ma semplicemente al possesso di beni e all’attività per accrescere i
beni posseduti: e si ricordi che i beni possono essere cose ma oggi in generale indicano il denaro o il suo equivalente (titoli, azioni,
ecc.).
Occorre ricordare due obiezioni oggi ricorrenti.
L’obiezione teologica: Dio ci ha comandato di lavorare duramente e di far fruttificare la terra. Oggi chi riesce ad avere di più o
comunque si sforza a questo scopo, risponde alla chiamata divina.
La risposta a questa obiezione è: il ‘comando’ si inserisce nel progetto globale di Dio per il creato e quindi va letto a partire dalla
logica e dalla giustizia del Regno: i frutti della terra non sono un bene in sé; sono invece uno strumento per perseguire il regno di Dio
e la sua giustizia.
L’obiezione economica: la ricerca del vantaggio economico da parte del singolo agente è la base del progresso economico, è la molla
che spinge all’impegno. Dal lato dell’investitore: interessi e dividendi stimolano ad investire e quindi ad aumentare produzione,
produttività, occupazione e beni. Dal lato dell’imprenditore: la ricerca del massimo profitto stimola alla diminuzione dei costi, al
progresso tecnologico, alla miglior competizione, a tutto vantaggio della comunità degli acquirenti.
La risposta è assai complessa, e mira sostanzialmente a mostrare i limiti di un’economia unicamente incentrata a massimizzare il
profitto. Illuminanti pagine sono contenute anche nella Centesimus annus (per esempio i paragrafi 34-43).
La speculazione
Definiamo scelte esclusivamente speculative ogni scelta di un singolo agente in cui il denaro sia usato esclusivamente per avere altro
denaro. Scelte di questo tipo sono da ritenersi incompatibili con il Vangelo.
Pensiamo anzitutto all’investire o giocare in borsa: ci si può andare per investire risparmi e difendersi dall’inflazione. Ma se si
acquista un titolo che si prevede salirà di valore in poco tempo, al solo e preciso scopo di rivenderlo appena il prezzo sia salito è
chiaro che questa operazione non ha niente a che vedere con la produzione e con il benessere di una comunità, ma consiste
unicamente nel procurarsi denaro a spese di altri.
Risparmiare è onesto e talora doveroso. Il denaro risparmiato deve essere messo al sicuro dall’inflazione, deve essere impiegato in
modo da servire alla comunità e se possibile deve dare un modesto interesse.
Per ottenere questa finalità occorre investire il denaro.
Ma come vengono investiti i nostri risparmi? E’ questa una domanda che ogni risparmiatore dovrebbe porsi.
Nasce da qui un doppio dovere morale. Prima di tutto occorre cercare di sapere che fine facciano i nostri investimenti: e quando vi sia
un ragionevole sospetto che siano usati a fini dannosi per la comunità, essi debbono essere prontamente trasferiti altrove.
Ci consta che le chiese cristiane in Olanda hanno ritirato di comune accordo i loro depositi da banche che si venne a sapere
finanziavano il governo sudafricano ai tempi dell’apartheid.
Il secondo dovere morale consiste nel cercare non l’investimento che massimizzi il rendimento, ma l’investimento che meglio serva
ai bisogni della comunità.
Una volta assicurata la sicurezza del risparmio e una sua ragionevole rivalutazione, il cristiano non dovrebbe interessarsi che
dell’utilità sociale dell’investimento.
Il gioco d’azzardo
Lotterie, scommesse, attività dei casinò sono comportamenti difficilmente compatibili con il Vangelo.
Chi agisce non cerca altro che avere di più, rischiando sì qualcosa di proprio, ma non facendo nulla o producendo qualcosa che abbia
neppure l’ombra di onesto lavoro o di utilità sociale.
Basti pensare alle decine di miliardi che ogni domenica vengono giocati al totocalcio. Ciò indica solamente che la forza del
messaggio evangelico si è del tutto perduta.
Diverso è il caso di molti poveri che ricorrono a tali comportamenti per cercare di risolvere con un colpo di fortuna le loro difficili
situazioni.
Riteniamo che il cristiano debba rifiutarsi di aderire a tale tipo di scelte economiche grandi o piccole che siano le somme in gioco:
anche quando l’azzardo per qualunque ragione non si presenti come peccato, sussiste sempre il dovere morale di profezia, di
annuncio di un Vangelo da cui è esclusa ogni ricerca di ricchezza come valore in sé.
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Nella visione cristiana la chiave dell’economia e della proprietà è il lavoro. Qui, per la vastità della tematica, non ci è
possibile soffermarci adeguatamente.
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Il furto
Il furto è definibile come l’impossessarsi di cose altrui contro la volontà del padrone.
Nel furto l’intenzione dominate è quella di arricchirsi a danno del prossimo.
Nel furto si sommano i due volti perversi della ricchezza: l’animo che vede nei beni terreni beni in sé desiderabili e l’animo che vede
il prossimo come oggetto da usare a fini propri. Si può dire che nel furto si manifesta il doppio egoismo: egoismo di fronte a Dio,
egoismo di fronte al prossimo.
Inoltre con il furto si viola la garanzia che la società riconosce al singolo in riferimento al suo diritto di proprietà per cui il furto mina
l’affidabilità della vita sociale e la possibilità stessa della coesistenza pacifica.
Basta pensare come la diffusione del furto abbia portato ad una convivenza fatta di antifurto.
Se la valutazione morale negativa del furto è il cercare di arricchirsi a spese altrui, allora molte attività economiche sono
sostanzialmente furto.
Molte delle tecniche moderne di arricchimento di uso corrente e socialmente approvate sono proprio tecniche di arricchirsi per il solo
scopo di avere di più e di farlo a spese di altri.
Si può obiettare che nel furto si ha un arricchimento ingiusto mentre le varie attività finanziarie - su piccola o su grande scala - sono
giuste; ma in questa obiezione ingiusto indica il moralmente ingiusto, mentre il giusto indica il giuridicamente ammesso.
E’ un principio tradizionale che in materia economica devo osservare la legislazione civile. Ma non è affatto vero che quando abbia
osservato tale legislazione ho adempiuto a tutti gli obblighi morali. Se la legge consente modi di spogliare gli altri per arricchire noi e
non li considera furto, questo non vuol dire che moralmente non siano furto.
Un sistema economico che trovi le sue radici strutturali e culturali nell’individualismo e nella ricerca di ricchezza nella conflittualità
tra i molti che la ricercano, tende inevitabilmente a trasferire ricchezza da chi ha di meno a chi ha di più, dal più debole al più forte.
Se in molti paesi alcune forme clamorose di arricchimento tramite spogliamento del più debole non trovano sanzione giuridica, ciò è
dovuto al semplice fatto che le leggi sono prodotte dal legislatore, ma riflettono gli interessi di chi ha abbastanza potere da controllare
il legislatore.
E dunque il fatto che taluni comportamenti siano considerati ammissibili dalla legislazione civile non trasforma il non-furto ciò che
nella sua essenza etica è furto.
Il furto verso i paesi del sud
Occorre inoltre considerare che tutto il pianeta è un unico sistema economico: e anche quei comportamenti - di privati o di governi che mirano ad arricchire un paese o una multinazionale impoverendo un Paese economicamente più debole sono da mettersi nella
categoria etica di furto.
Non si tratta di discorsi genericamente ‘umanistici’ e fuori dalla realtà: quando sul mercato internazionale vi è chi è tanto potente da
imporre a Paesi economicamente deboli sia il prezzo delle materie che essi hanno bisogno di acquistare sia il prezzo delle merci che
essi sono in grado di vendere, si ha una situazione tipica di furto, anche se gli operatori economici non sempre se ne rendono conto e
modificare la struttura economica appare difficile.
Ecco una grave ragione in più, per il cristiano, di comportarsi con estremo rigore in questo campo: qui vale il dovere di testimoniare
con la propria vita la propria fede.
Solo così si può sperare di indurre un cambiamento di modelli, di mentalità, di modo di concepire la convivenza, e conseguentemente
attraverso gli strumenti che la democrazia offre, cercare un consenso sociale per i necessari cambiamenti strutturali e legislativi.
Secondo precetto generale della vita economica: “se hai, hai per dare”
Noi sappiamo che per il cristiano l’unico bene desiderabile in sé è il Signore ed il suo regno.
Ogni bene terreno, e ogni bene che oggi viene considerato “bene economico” deve essere considerato dal cristiano non-ricchezza.
Il suo possesso acquista un senso solo se è strumento di carità, di attuazione della giustizia del Regno.
In questo secondo precetto dobbiamo valutare le finalità a cui indirizziamo la ricchezza di cui legittimamente siamo già entrati in
possesso. Mentre nel primo precetto abbiamo studiato la valutazione morale della ricerca di vantaggi economici.
Il necessario
Innanzitutto vi è una proprietà ed una disponibilità di beni che chiunque è tenuto moralmente a mantenere o a cercare: si tratta di quel
minimo di beni che consentono di condurre una vita umana.
Non ci si deve ridurre alla sola sopravvivenza, ma si tratta di procurarsi quei beni che consentono una ragionevole esplicazione della
propria personalità e libertà. Questo minimo di proprietà deve essere veramente un minimo, che potrà variare al variare delle
condizioni medie di vita della comunità e dell’intera famiglia umana.
Il conveniente
Vi è poi un’area di proprietà che è impossibile determinare in linea generale.
Non si tratta più del minimo necessario per la convivenza umana. Si tratta invece di una proprietà che assicuri un benessere medio,
proporzionato a quello comune della maggioranza dei membri della società civile in cui si vive e anche, in qualche misura, dello stato
sociale o professionale a cui si appartiene all’interno della società civile stessa. E’ ciò che si chiama ‘l’utile’ o ‘il conveniente.
Mentre per il necessario esiste il dovere morale di cercare il possesso dei beni, in questa area del conveniente tale dovere non
sussiste. Riteniamo però che entro certi limiti sussista il diritto di mantenere o cercare il possesso dei beni che assicurino il
conveniente.
Il termine ‘conveniente’ non indica uno spazio di liceità arbitraria. Indica invece la valutazione di ciò che è utile per quella
condizione di vita nella società, che io ho scelto o accettato come la mia risposta alla chiamata di Dio e il modo migliore per me per
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servire i fratelli. Si tratta di un dovere che ciascuno deve determinare in base alla sua lettura dell’unica irrepetibile vocazione di Dio
per lui.
La discussione sul conveniente non è semplice ma è assolutamente necessaria per stabilire dove cominci il dovere di dare, di non
considerare in nessun caso come proprie le ricchezze possedute. Noi intendiamo cercare un limite superiore per questa area del
conveniente, limite oltre il quale sussiste il dovere morale di dare sempre e tutto.
Il dovere generico di dare ai poveri attraverso l’elemosina, come dovere di carità e non di stretta giustizia, non ci sembra sufficiente:
non risponde al Vangelo.
Si tratta dunque di stabilire criteri in base ai quali, al di là del limite del conveniente, sussista sempre e per tutti il dovere di giustizia
di dare.
Il non-più-nostro
Questa è la ragione per cui vogliamo introdurre la netta distinzione fra l’area del necessario, l’area del conveniente, l’area del nonpiù-nostro.
Noi riteniamo che vi sia un’area del non-più-nostro, in termini di stretta giustizia, che incombe sempre su chiunque porti il nome di
cristiano, o comunque si ispiri al messaggio evangelico: almeno finché sulla terra esista chi manca del minimo necessario per
un’esistenza umana. E oggi la grande maggioranza dell’umanità è in queste condizioni.
La determinazione del confine tra l’area del conveniente e del non-più-nostro è affidata al discernimento del singolo.
I criteri di determinazione ci sembrano due: le necessità presenti e le necessità ragionevolmente prevedibili per il futuro. Ciò che è
moralmente legittimo tenere (cioè non dare) è quanto è necessario per mantenere un livello di vita globale modesto, ma di una
modestia commisurata al normale livello di vita di chi, nella società in cui si vive, gode di un reddito medio. Non rientra in questi
limiti un livello di vita alto, anche se il reddito lo consentirebbe. Rientra invece in questi limiti tutto quanto è necessario per svolgere
bene il proprio lavoro, anche se ha un costo alto.
Nasce inoltre l’opportunità di qualche forma di risparmio per il futuro.
Occorre però lasciare anche spazio alla Provvidenza, perché non è possibile prevedere tutto.
Riteniamo doveroso per ogni singolo o gruppo familiare stabilire, per esempio, quanta ricchezza sia giusto mantenere per venire
incontro alle necessità presenti e future.
Una volta stabilito il giusto da mantenere, il resto non deve più essere considerato mio, ma ricchezza per i poveri della terra e i
bisogni della società.
Se il Signore mi ha dato la possibilità di avere più beni di quanti mi occorrono per il necessario e per il conveniente, questo è
avvenuto perché io potessi essere strumento della Sua provvidenza, per il mio prossimo. Questa è la giustizia del Regno e nel
Vangelo non se ne vede altra.
Nasce però un problema: nelle strutture economiche odierne il risparmio è sempre investimento e investimento vuol dire sia
occupazione sia produzione di beni. La ricchezza investita è già in qualche modo resa disponibile per i bisogni della società, dei
disoccupati, dei poveri.
Questo è vero ma a patto che io sappia dove investo (il che al giorno d’oggi è difficile) e che i profitti dell’investimento non siano da
me considerati ‘miei’, disponibili cioè per me. Essi devono essere disponibili solo per i bisogni dei poveri.
E un altro problema incombe su tutti quelli che vivono, anche modestamente nei paesi altamente industrializzati. Se tutti gli abitanti
della terra vivessero con lo stesso tenore di vita di chi vive modestamente nei paesi ricchi, sarebbe la fine per tutti: la fine per
esaurimento delle risorse non rinnovabili e la fine per catastrofe ecologica da inquinamento.
Naturalmente non sarà il tenore di vita modesto di una singola famiglia a migliorare la situazione ma se tutti i credenti in Cristo
vivessero coerenti con il Vangelo, si sarebbe certo una trasformazione epocale delle strutture economiche.
Il comportamento del singolo o della singola famiglia può essere dunque importante: non direttamente capace di modificare assetti
economici; ma direttamente capace di porre gesti profetici che inducano modelli di vita tali da modificare le strutture. Esiste oggi un
dovere morale di profezia: il rigore dell’impostazione della vita economica di una famiglia è così anche un dovere di profezia, di
annuncio di un regno che deve essere in continuo farsi proprio attraverso questo segni profetici.
Il dover di pagare le tasse
A qualcuno può sembrare strano, ma ai nostri giorni pagare le tasse è il primo e il più importante modo di dare a chi ha bisogno. E’
un dovere morale gravissimo
Studiando i diritti dell’uomo vi sono i diritti di solidarietà (o diritti economico-sociali) riconosciuti dalle costituzioni moderne e in
specie dalla nostra. Essa “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” ed è compito
della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Tali diritti sono diritti di ogni singolo nei confronti della comunità e si tramutano perciò in inderogabili doveri di solidarietà per ogni
singolo membro della comunità..
Pagare le tasse non è dunque più, come invece era nel passato, pagare solamente per servizi ricevuti, ma mettere del proprio a
disposizione della comunità.
In questa realtà sociale pagare le tasse è il primo e moralmente obbligatorio passo per contribuire al bene comune e cioè ai bisogni
globali della società civile e in specie a quelli più deboli dei suoi membri.
Il cristiano, convinto che nella logica del regno, ha per dare, trova qui il primo e più efficace modo di contribuire al bene della società
a cui appartiene.
Il cristiano sa che quando lavora, lavora anche per chi non ha lavoro o non è in grado di lavorare, o percepisce un reddito che non è
solo suo ma è già in qualche misura di quelli che sono più svantaggiati di lui e, perciò, dovrebbe essere lieto di pagare le tasse.
Che la distribuzione degli oneri fiscali sia più o meno giusta, che il governo spenda male o sprechi o rubi i proventi delle tasse,
questo accade ovunque: ma in qualunque regime di democrazia rappresentativa il cittadino accetta la regola della maggioranza e ha
facoltà di operare attivamente per cambiare un governo che usi male il denaro pubblico.
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I poveri: nostri creditori
Una volta pagate onestamente le tasse dovute, può restare, e in genere resta, una quantità di ricchezza giuridicamente ‘mia’, ma che
eccede il limite del necessario e del conveniente.
Possono inoltre presentarsi situazioni di miseria tali che debbano indurre ad abbassare il tetto del conveniente.
Tale tetto o limite superiore, lo ricordiamo, non può essere stabilito che dal discernimento e dalla sensibilità morale del singolo o
della famiglia: ma una volta stabilito, il più va dato.
Il pagamento delle tasse costituisce ciò che si dà di buon animo per i bisogni della società: ma esistono infiniti bisogni, piccoli o
grandi, di singoli o di gruppi, che la pubblica autorità non è in grado di individuare o soddisfare, ed è questo lo spazio del nostro dare.
Nessuno da solo può risolvere tute le miserie del mondo: ciascuno però deve adoperarsi per toglierne anche una piccola parte.
Un costante flusso di ricchezza che partisse da tutti i cristiani dei Paesi industrializzati e fosse indirizzato ai Paesi del sud del mondo
non risolverebbe in radice il rapporto Nord-Sud, dato che le sue cause sono strutturali; ma certo potrebbe risolvere molte miserie.
E’ anche opportuno e anzi doveroso per ciascun abitante dei Paesi del Nord avere un’informazione seria sulle condizioni e sui
problemi dei vari Paesi del Sud. Tale dovere di informazione segue necessariamente dal dovere di dare. ‘Dare’ non è solo, e neppure
principalmente, il passaggio materiale di denaro; è invece dare se stessi agli altri, nello sforzo di comprenderne le miserie e i bisogni.
Dare deve essere espressione della logica del Regno che deve governare tutta la nostra esistenza: il vivere con gli altri, il mettersi in
grado di co-patire, condividere le ansie e le speranze. La liberalità in ogni sua forma deve nascere dall’interno, dalla capacità di
soffrire con chi soffre e dalla coscienza della nostra parte di responsabilità per tale sofferenza.
La liberalità di cui parliamo è un debito: un debito incombente su tutti coloro che hanno più del necessario e - entro certi limiti - del
conveniente; un debito che va pagato prontamente, perché il nostro creditore sta morendo.
a cura del Coordinamento Locale della Banca Etica della Provincia di Cremona
Chiavacci ci interpella direttamente come cittadini sulle nostre responsabilità nel sostenere più o
meno consapevolmente le strutture economiche di peccato.
Uno degli aspetti fondamentali di questa economia di peccato è la finanza che rappresenta la linfa e
la mano invisibile di questo sistema economico.
Come risparmiatori (privati o associazioni) siamo coinvolti in prima persona, in quanto siamo noi
che offriamo alla finanza mondiale la materia prima (i nostri risparmi) con cui operare.
Ecco allora la proposta di una Banca Etica che metta al primo posto il bene comune.
Progetto
Banca Etica
L’idea
Una banca intesa come punto di incontro tra risparmiatori, che condividono l’esigenza di una più
consapevole e responsabile gestione del proprio denaro, e le iniziative socio - economiche che si
ispirano ai principi di un modello di sviluppo umano e sociale sostenibile, ove la produzione della
ricchezza e la sua distribuzione siano fondati sui valori della solidarietà, della responsabilità civile e
della realizzazione del bene comune.
Principi
I principi fondamentali su cui si basa il progetto Banca Etica sono gli stessi che hanno ispirato il
movimento delle Mag, e sono:
• la partecipazione dei soci,
• la possibilità di orientare il proprio risparmio verso progetti con finalità sociali,
• il sostegno di iniziative socio - economiche senza scopo di lucro,
26
•
l’uso di garanzie non basate esclusivamente sul patrimonio ma sulla fiducia nelle persone e nei
progetti.
La società si propone di gestire le risorse finanziarie di famiglie, donne, uomini, organizzazioni,
società di ogni tipo ed enti, orientando i loro risparmi verso le iniziative socio economiche che
perseguono finalità sociali e che operano nel pieno rispetto della dignità umana e della natura.
Banca Etica si propone di svolgere inoltre una funzione educativa nei confronti del risparmiatore e
del beneficiario del credito, responsabilizzando il primo a conoscere la destinazione e le modalità di
impiego del suo denaro e stimolando il secondo a sviluppare con responsabilità progettuale la sua
autonomia e capacità imprenditoriale.
La storia del progetto
1978-86 Nascono in Italia le MAG (Mutua Auto-Gestione) delle cooperative finanziare che
orientano la propria attività a soggetti e progetti che abbiano una forte caratterizzazione di
attenzione al sociale, dall’ambiente al biologico, dal lavoro alla cultura, alla cooperazione con i
paesi in via di sviluppo. La prima nasce a Verona, la seconda è la MAG2 di Milano, seguono
Autogest a Udine, Mag 3 a Padova (che si trasformerà più tardi in consorzio CTM-MAG
caratterizzato dallo specifico obiettivo di sostenere lo sviluppo dei commercio equo e solidale con il
Sud del mondo) e di Mag 4 a Torino, di Mag 6 a Reggio Emilia, di Mag 7 a Genova e
successivamente di Mag – Venezia.
1991-93 Il settore finanziario in Italia è interessato da profonde trasformazioni legislative: la legge
197/91 contro il riciclaggio di denaro sporco e il Testo Unico in materia bancaria e creditizia del
1993. Il Testo Unico limita la raccolta dei risparmi da persone fisiche alle aziende bancarie e la
vieta, invece, alle cooperative esercenti attività finanziarie. Per le Mag è giunto quindi il momento
di riflettere sulla necessità di avviare, a livello nazionale, un progetto comune di finanza etica, in
grado di fornire una maggiore visibilità alle esperienze dei ‘risparmio alternativo’. Vengono
coinvolte in questo progetto alcune delle realtà più significative nel mondo dell'
associazionismo e
della cooperazione sociale.
1994 Viene costituita il 24 dicembre l'
Associazione “Verso la Banca Etica” con l'
obiettivo di
definire le tappe costitutive della Banca Etica.
1995 Viene costituita il 10 giugno la Cooperativa “Verso la Banca Etica”. Parte la raccolta del
capitale sociale necessario per la costituzione della Banca Etica. Alla sua fondazione partecipano 21
organizzazioni provenienti dall’associazionismo, dal mondo della cooperazione e da esperienze di
finanza alternativa. Il primo obiettivo è quello di costituire una banca di credito cooperativo.
1996 Il C.d.A. viste le notevoli limitazioni operative previste per la banca di credito cooperativo,
decide di puntare alla costituzione di una Banca Popolare e quindi di spostare l’obiettivo di raccolta
da 2 Miliardi a 12,5 miliardi. La formula banca popolare, pur garantendo la struttura cooperativa,
permette una operatività ampia, estesa al territorio nazionale. Viene elaborata ed avviata una nuova
strategia promozionale con lo scopo di raggiungere il capitale sociale necessario il prima possibile.
1997 – Giugno - raggiunti 6 miliardi di capitale sociale, l’iniziativa comincia ad avere peso e
visibilità a livello nazionale, in particolare si affacciano gli Enti Pubblici ed inizia un proficuo
dialogo con essi. Già dalla fine del 96 è stata avviata la strutturazione della rete territoriale
attraverso gruppi di volontari, azione che continua durante tutto il 97 e parte del 98. I gruppi sono
circa 70.
1998 - 30 maggio - dopo aver raggiunto il capitale sociale minimo richiesto per poter dar vita a una
banca popolare (12,5 miliardi), i soci si sono riuniti in assemblea per decretare la nascita della loro
banca. Il 20 novembre arriva l’autorizzazione ad operare dalla Banca d'
Italia.
L’8 marzo 1999 apre il primo sportello bancario della Banca Etica a Padova.
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Forma giuridica
La Banca Etica é una banca popolare. Questa è la forma giuridica che permette di operare a livello
nazionale, tenendo fede ai principi fondanti della cooperazione e della solidarietà. La banca
popolare infatti ha caratteristiche che favoriscono l’azionariato diffuso e l’esistenza di processi
democratici di decisione e di partecipazione. Con il principio "una testa, un voto" viene sancita la
supremazia del socio, in quanto persona, sul capitale finanziario. Solo i soci potranno possedere,
vendere, acquistare azioni della banca.
LA BANCA DALLE PARETI DI VETRO
CONTROLLO, PARTECIPAZIONE E TRASPARENZA
Per rendere efficace ed effettiva la possibilità di controllo da parte dei soci e dei clienti, Banca
Etica ha istituito una serie di strumenti che permettono di seguire il percorso del denaro, dal
momento della raccolta del risparmio fino al momento dell’impiego.
I conti correnti e gli strumenti di risparmio sono solo nominativi e non anonimi, inoltre il
risparmiatore può indicare in quale settore desidera che siano utilizzati, sotto forma di credito, i
propri risparmi.
Un’ampia rete organizzativa è presente capillarmente nel territorio, promuovendo l’iniziativa di
Banca Etica, la partecipazione ed il dibattito sui principi della finanza etica e sulle azioni che
Banca Etica realizza.
Banca Etica garantisce a soci e clienti un’informazione chiara e completa sui progetti finanziati (a
chi viene prestato denaro) e sui criteri di valutazione ed accettazione delle richieste di
finanziamento (perché viene prestato il denaro). Alla base di ciò, il principio della responsabilità e
della cittadinanza attiva. Banca Etica vuole che risparmiatori e soci assumano la responsabilità
delle scelte.
A questo scopo i soci di Banca Etica hanno nominato un Comitato Etico, composto da persone
che si distinguono per il loro impegno sociale e civile ed ha il compito di verificare la coerenza
della banca con i criteri di eticità sanciti dallo statuto.
Infine, essendo una banca popolare, Banca Etica ha una struttura di carattere cooperativo. Ogni
socio, indipendentemente dal capitale versato, ha diritto, ad un solo voto. Questo consente sia
un’ampia partecipazione, sia una rappresentatività composita che può armonizzare diversità attorno
a valori e progetti comuni, nel rispetto delle singolo identità.
BANCA ETICA A CREMONA
Nel maggio del 1996 sulla spinta delle riflessioni che padre Alex Zanotelli aveva presentato in
occasione di un incontro pubblico nella nostra città è partita l’idea della Banca Etica. Dalle sue
parole abbiamo tratto la forza per affrontare la sfida di far nascere anche nella nostra realtà un
progetto di finanza etica.
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Le riflessioni di Padre Zanotelli scaturivano dalla sua esperienza tra i baraccati di Korococho alla
periferia di Nairobi dove viveva sulla sua pelle tutti i giorni le ingiustizie perpetrate da questo
sistema economico mondiale.
In provincia di Cremona già 360 sono i soci della Banca. Tra questi circa 20 comuni, 6 parrocchie e
30 associazioni del mondo laico e cattolico.
Il capitale sociale sottoscritto ammonta a Lit.360 milioni.
Il 25 maggio 1999 si è tenuta l’assemblea dei soci della provincia di Cremona che ha eletto il nuovo
Coordinamento.
Il primo compito del coordinamento sarà di coinvolgere ed organizzare la base sociale e poi
garantire l’informazione e la promozione della Banca Etica attraverso la riflessione sulle cause
strutturali dell’ingiustizia planetaria come presentate da Chiavacci.
La redazione di questo libretto va proprio in questa direzione.
Infine verrà monitorato il territorio cremonese per individuare nuovi bisogni ai quali Banca Etica
può offrire una risposta.
Per informazioni rivolgersi a :
Coordinamento Locale Banca Etica,
c/o ACLI Cremona, via S. Antonio del Fuoco, 9/a, 26100 Cremona.
T/fax 0372-26663
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