CULTURANDO Tu, a mia insaputa discendevi discreto Quest’edizione della nostra rubrica “Culturando” è riservata alla pubbicazione (alquanto nobilitante) della lettera che Arrigo Bugiani, l’ideatore ed editore della preziosa, inconsueta e longeva collana “I libretti di Mal’Aria” scrisse in occasione della morte del nostro grande letterato Osvaldo Ramous. Precedentemente - nel 1976 e nel 1981 (ma poi, una terza volta, postuma, nel 1985), Bugiani aveva dedicato due numeri dei “Libretti” a Ramous, presentandovi varie poesie tra le quali “Non è più il vento” e “Dove siete” che riproponiamo a fine lettera. Caro, carissimo mio compagno di giochi, la Storia la quale di suo carattere è alquanto mutevole ci ha divisi nel caso del vivere; ma la Poesia che attimo per attimo si mantiene sempre fedele, non ha allentato mai il suo abbraccio. Fino dal primo istante del nostro incontro ci siamo intesi alla perfezione, non già cittadini di uno stesso paese bensì partecipi del mondo contento pacato pien di lumi e festoni e corone, mezzo terra e mezzo paradiso, condotto avanti e regolato puntualmente dall’amore umano: che è sostegno unico, appunto, della DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww Ennesima prova di valore del poeta fiumano Anche Osvaldo Ramous nei «Libretti di Mal’Aria» di Francesco Cenetiempo «C ari amici di Arrigo Bugiani, contento come una pasqua, Arrigo Bugiani è andato a farsi benedire dal suo Signore Gesù Cristo. Così si è conclusa la curiosa avventura dei Libretti di Mal’Aria. Ha lasciato detto di mandarvi un saluto”. Con queste parole l’editore e scrittore Arrigo Bugiani, nato a Grosseto nel 1897, si congedò dal mondo dei vivi nell’agosto del 1994. È l’inciso dell’ultimo numero de I libretti di Mal’Aria, quello del 15 agosto 1994. Presero congedo (Con lui son‘ iti via) dalla vita anche Basco Lazzaretti, Fiore Mascheroni e Severino Nuvoli, suoi pseudonimi nei Libretti. Stampati su carta comune a Pisa e sempre con la medesima tiratura di cinquecento copie dichiarate, ricavati da un unico foglio formato A4 che piegato si presentava con 8 facciate, I libretti di Mal’Aria sono stati una curiosa operazione editoriale iniziata nel 1960 e dai più definita “ la più esile ma sostanziosa biblioteca del mondo”. Un’operazione alla quale avevano aderito tanti, scrittori, poeti, filosofi, artisti, molti dei quali notissimi. E tra questi c’é anche il fiumano Osvaldo Ramous. Precedentemente (1951 – 1954), “Mal’Aria” era stata una rivista di letteratura militante, fondata da Bugiani a Follonica nel 1951. Recava come sottotitolo “Rivista maremmana” e aveva adottato il detto maremmano “Dio ci manda male che ben ci metta”. Uscirono soltanto nove numeri, contraddistinti da grande raffinatezza editoriale e tipografica. Sei anni più tardi nascevano i libretti La dipartita di Bugiani da questo mondo, con il saluto di prima trasmesso ai figli Maria Teresa e Orso Bugiani, avvenne silenziosamente e con semplicità, così come semplice egli era stato in vita, all’insegna di un cristianesimo integro e povero. Perchè Bugiani era nato da povera gente, prematuramente orfano si guadagnò il pane prima come tornitore, poi come impiegato alle acciaierie Ilva. L’impossibilità ad accedere ad una cultura scolastica (non superò la sesta elementare) non gli impedì fin dalla giovinezza di coltivare una vena lirica che gli valse la collaborazione all’unica rivista cattolica di valore degli anni Trenta in Italia, Il Frontespizio: una rivista mensile di ispirazione cattolica fondata a Firenze nel 1929 da Enrico Lucarelli e conclusasi nel dicembre del 1940. Nel giugno 1930 la rivista passava all’editore Vallecchi e si affermava come luogo autorevole dove riporre quelle esperienze poetiche e critiche raccolte intorno all’idea di una letteratura come ricerca interiore. Alla fine degli anni Trenta, porterà un gruppo di collaboratori, guidati da Carlo Bo, a lasciare la rivista in polemica con la direzione e al suo allinearsi alla cultura fascista. Tra i suoi collaboratori vi furono A. Soffici, N. Lisi, C. Betocchi, G. De Luca, C. Bo, M. Luzi, G. La Pira, R. Weiss, e, appunto Arrigo Bugiani.I suoi scritti vennero, in seguito, raccolti dall’amico Roberto Weiss e inseriti nel volume Festa dell’omo inutile, illustrato dalle silografie di Natale Lecci, per le Edizioni del Frontespizio di Firenze. Fu a Genova, dove era divenuto amico di poeti e pittori liguri come Camillo Sbarbaro, Giorgio Caproni, Angelo Barile, Adriano Grande e di molti altri che a Bugiani nacque l’idea o meglio la sua straordinaria invenzione editoriale. Nel 1976, con il numero 185 e con il titolo Non è più il vento, il nuovo libretto di Mal’Aria viene inviato ai cultori che sono ormai diverse centinaia e risiedono in ogni parte d’Italia e che da alcuni anni seguono questa bizzarra forma di editoria di qualità. L’autore è Osvaldo Ramous (Fiume 1905 - ivi 1981) scrittore, drammaturgo e poeta di Fiume, già noto al pubblico italiano per alcuni testi poetici pubblicati dall’editore padovano Rebellato (Pianto vegetale, 1967, Realtà dell’assurdo, 1973 e Pietà delle cose, 1977) e ovviamente la prima edizione in lingua italiana di Poesia jugoslava contemporanea sempre per i tipi dello stesso editore. Segue a pagina 6 cultura An no IV • n. 1 8 200 • Sabato, 19 gennaio Poesia. Dal nostro accordo quasi musicale (era di certo un accordo segnavia scoccato dalle corde degli animi ai primi passi di creature concepite volenterose) è venuta fuori la preziosissima amicizia: amicizia di quella specie che saggezza reclama e proclama immortale. Per il giocoso moto e per il via di essa (talmente si rivelano, e quanto inconsuete esplodono le stranezze dell’esistenza!) per vera gioia e fortuna, causa di essa sono stati due foglietti di Mal’Aria, quello segnato col numero 185 e titolo lusinghiero «non è più il vento», e questo 338 combinato tra il dicembre 1980 e il 22 gennaio 1981. Libretto 338 di lunga incubazione: e intanto, a mia insaputa, tu, addì due marzo dell’anno scorso, discendevi discreto, educato e tacito, dalla scala di questo mondo per salirne altra “luminosa e alta” e a “centro di gloria”. Così io mi son trovato ad essere in stato di soggezione, di debito, di accidia seppure non malevola, e non mi resta altro da fare che ben poco: liberare ora questo tuo ultimo accordo per mandarlo in giro ricordativo mentre si svolge la nostra provvisoria separazione. Addio Osvaldo Ramous. Non è più il vento Non è più il vento che soffia, / è la voce dei tuoi segreti./ Anche i volti già chiusi nella terra / tornano vivi al sole. / Se improvviso si apre / il nodo aspro dei sensi / e la foglia sciolta dal ramo /si fa aia per avvolgerti col suo volo, / da leggere campane di petali / escono fiati di nascituri / e balconi allegri si schiudono / sopra il mare del sonno. Dove siete Dove siete quelle che nel mio orto / facce umane adoravo / come fossero volti di sopravvissuti, / fiori gonfi di sangue / multicolore? / Tutte nella memoria, qui, e mai vive, / ma pur sempre presenti. / Dove siete, facce umane / nate dalle cortecce / d’albero del mio orto? Osvaldo Ramous 2 cultura Sabato, 19 gennaio 2008 UN LIBRO/ NELIDA MILANI, Crinale estremo Il brillante e denso racconto di un malumore persistente N ati a partire dai primi anni Ottanta, i racconti della raccolta “Crinale estremo” di Nelida Milani coprono via via un arco di quasi un trentennio e vanno ad arricchire le raccolte precedenti (una delle quali pubblicata pure in edizione bilingue), prendendo l’avvio da avvenimenti ed episodi che coinvolgono la stessa autrice che a sua volta si fa portavoce e testimone di un io collettivo che si scioglie nel vissuto di un rione (quello delle Baracche), di una città (Pola), di una terra (l’Istria), di una gente - divenuta, per una somma di accadimenti determinati dalla Storia e, in parte, per una storia lunga di stoltezza umana, sotto il cielo di sempre - minoranza. Storie di sradicati e sradicamenti, di radicamenti altri, situazioni emblematiche dello spaesamento di fronte alla nuova realtà che lascia i polesani rimasti “in una nuvola di malumore persistente [come se] custodissero cose morte o morenti, sale e cenere, che il loro destino fosse un destino di sentinelle di tombe e macerie, se non addirittura di nessuno e niente” costantemente “prigonieri di loro stessi, dei loro comportamenti, della loro natura [...]”. come scrive l’autrice nel racconto “Impercettibili passaggi”. Narrati in prima e/o in terza persona, i tredici racconti qui riuniti affrontano temi ricorrenti nell’universo compiuto della penisoletta istriana con una scrittura magnetica, densa, sensibile e confidenziale. I personaggi che danno vita alla narrazione appartengono a un’umanità semplice che si dibatte e annaspa nella lotta prometeica con e per l’esistenza e, attraverso la dolorosa esperienza della sofferenza, vive sulla propria pelle il (dis)valore della vita. Così, ad esempio, la protagonista di “Una valigia di cartone” (già nell’edizione bluette della prestigiosa Sellerio), uscita e non solo metaforicamente da un ambiente familiare di miseria estrema e di sottocultura appartenente a un microcosmo rurale che parla “misto, un poco in slavo bastardo e un poco in italiano bastardo” per approdare in città, narra il suo penosissimo arrancare attraverso la vita e il concatenarsi degli eventi storici determinanti per il paese che, tuttavia, per una sorta di (com)partecipazione umana, ci appaiono quasi marginali rispetto all’entità della sofferenza individuale. Quando alla fine la donna riuscirà a riscattare la propria esitenza avendo pagato pesantemente un prezzo durato un’infanzia, una giovinezza e una maturità, rimarrà comunque coartata nel malessere della propria “indifendibile” ignoranza che la esclude alla comprensione della cultura - non però della saggezza sopraggiunta all’esperienza, che le fa dire “Ma forse, proprio soffrire è la grande arte di vivere”. Anche la maestra di “Impercettibili passaggi” esperisce il dolore ulcerante di una pena d’amore attraverso la quale filtra, peraltro con estrema lucidità, la molteplice proiezione degli accadimenti del minuto quotidiano e del passato, vedi l’”impreparazione” e l’estraneità della gente a una realtà in cui non riesce a riconoscersi per cui subentra la “desertificazione” della vita che va capita come “tutta una costellazione di malintesi, equivoci, cose senza importanza, ombre del dubbio più implacabili di un killer, impercettibili passaggi che cambiano un’esistenza” - insomma, un avanti e indietro travagliato e nella propria cruda verità, angosciante. Una narrazione e una lettura in verticale, altresì in voce della “polposità” della scrittura alta, ricca di subordinate che ne costituiscono il nerbo, amante della preziosità del dire e della parola maculata a tratti da sferzante ironia e autoironia (“bisogna assumere il colore delle circostanze, la cattedra di trasformismo è nata in Istria, Vergerio altro che Fregoli, col parlare a rate l’italiano, teniamo la lingua a mezzo servizio”, eccetera eccetera). Nei racconti della Milani i personaggi femminili prevalgono su quelli maschili in ragione di una comprensione di donna, di una sorellanza per complicità di natura che le permette di addentrarsi nei recessi vulnerabili dell’animo femminile svelandone l’intimità del battito. Nella commistione tra invenzione e autentica realtà, dallo sguardo acuto dell’autrice prende così vita tutto un esercito di donne che affrontano dure battaglie quotidiane e perduranti nel tempo, donne in balìa dell’onda che le ha ferite e tradite, donne in cui fondono e si confondono vizi e virtù, capacità estrema di amore, sacrificio e coraggio, voglia e impazienza di realizzare “le cose” subito, nel presente indicativo, perché non hanno mai il tempo di dilazionare i compiti che la vita affida loro. Anche, eccome no, donne tenerelle, quelle delle mimose e delle violette, magari un po’ predisposte ad essere ingannate, che inseguono un sogno semplice semplice: come la ragioniera belloccia che va per consulto d’amore dalla chiromante, come Jelena, “poetessa a tempo perso”, come la timida operaia della Tekop, tutte e tre innamorate, ignare e illuse dallo stesso uomo che a ciascuna si presenta in modo diverso, un Giano trifronte nostrano il cui “tempo della sua vita terrena s’incenerì di colpo” per lo scoppio d’una bombola a gas (Uno e trino). La voce narrante dei due racconti più toccanti della raccolta, “Crinale estremo” e “Madre”, è ancora femminile: due storie espresse nell’intensità di un moto rotatorio che tende ad avvicinare le singole parti della narrazione al centro, al cuore della questione, all’autobiografia. La prima attraverso un dialogo che, coll’avanzare della malattia incurabile del fratello e della sopravvenuta impossibilità di comunicare, si trasformerà per la sorella in monologo mentale che rifà a ritroso la vita della famiglia: uno smontare e rimontare i pezzi che hanno delineato e costituito la sofferenza esasperata dell’infanzia comune, il distacco, le esperienze separate e diverse e, allo stesso tempo, la rievocazione e il pedinamento dei ricordi che hanno interessato la città ed i suoi abitanti. Nell’attesa paventata e sommessamente invocata della fine che farà cessare il martirio, alla sorella non rimane che costeggiare d’amore estremo e disperato la vita che va spegnendosi. Per una casualità, l’ora suprema, tuttavia, non la troverà presente: quando poco dopo rivede l’amato fratello, lui è ormai “fermo come un gabbiano senza vento”, finalmente “rilassato, [...] con le sue fattezze giovanili” e a lei non resta che “baciarlo dappertutto con una tenerezza che [sapeva] dove fosse diretta: nell’eterno.” Linguaggio umanissimo, vibrante di emozioni, parole struggenti che varcano la soglia dell’interiorità più profonda esprimendo a pieno il senso della vita e della morte. E la forza potente dell’amore. L’onda emozionale s’intensifica nella lettura di “Madre”, bulimia perpetuata del dolore per un’assenza contro natura, quella, appunto, della madre che abbandona i propri figli. Contrapposta alla figura della grande assente, perdutamente amata e odiata nell’estenuante tirocinio della sofferenza che delegittimerà l’infanzia dei ragazzi, si erge la figura della nonna, dal sorriso che esprime una lunga saggezza, indimenticabile nella connotazione lirico-oggettiva che ne fa l’autrice. E ancora, la vita compresa tra due punti: l’Assenza del grembo che accoglie e, venendo a mancare, sottrae, diventa invalidante, e la Sostanza, di vita e di amore, che donandosi e donando, salva, ristabilendo l’equilibrio. Due racconti splendidi, che, oltre ad interagire intimamente con il lettore, sembrano essere pratica cristiana al dono di sé. Se non fosse per il timore che possa venir interpretato nell’accezione caricatu- rale che pure giustamente spetta al termine, non esiterei a definire un po’ barocco lo stile immediatamente riconoscibile e fortemente personale di Nelida Milani Kruljac. Ma non è questo che intendo, mi riferisco invece alla ricchezza ornamentale e artigianale che “carica” la frase di esistenza e consistenza, di una piena fioritura che percorre tutte le strade della molteplice proiezione della realtà e azzarda disinvoltamente il pastiche, che innesta la lingua di natura, il dialetto polesano, alla lingua di cultura, l’italiano letterario. Simili a macchie sonore di uno spartito musicale, oltre a vivacizzare la narrazione, i “polesanismi” riflettono un modo di essere, anzi, sono la metafora stessa di un modo di essere, ma anche di un micromondo spezzato dall’orrore della Storia. Guardare alla vita frullando malinconica ironia, humor e umana comprensione (“Morto che parla”, “Vinicio”, “Tubista”) è conquista di cui è l’età a farsi garante; parafrasare difetti e stupidità umana (“Desinenze”), far scorrere il dito su ferite mai completamente cicatrizzate di una realtà attraversata (“Tu sì, tu no”), riflettere e far riflettere su manifestazioni del carattere, su comportamenti e frustrazioni celate e palesi (“L’incontro”, “Cugine”), caricare le pagine di verve allegorica intridendole argutamente di satira sottile - è talento inventivo e creativo che approda talvolta a piccoli gioielli, uno dei quali è il racconto “Etimologia”. Queste pagine sono frammenti di memoria e riflessioni. Come il sogno, anche la memoria cerca di attribuire agli eventi un qualche significato. Tutto ciò si fa narrazione, si fa empatia tra vita e scrittura, tutto ciò trasmette e fa provare sensazioni ed emozioni che arricchiscono l’anima e fanno di Nelida Milani una delle espressioni più alte della letteratura italiana dell’Istroquarnerino. (dall’introduzione di Gianna Dallemulle Ausenak) NOVITÀ IN LIBRERIA Allegria con Mike, bosniaca genialità con Karahasan ‘New entry’ nelle librerie italiane con Mike Bongiorno che si presenta come autore di La versione di Mike (Mondadori), straordinario racconto, paradigma di reale vita vissuta. La determinazione, la vitalità, il rischio di un uomo che ha dato tanto alla vita e ha ricevuto forse di più. L’eleganza con la quale Mike tralascia tutte le difficoltà di un ambiente pionieristico, ma comunque molto difficile da vivere come quello della radio e della prima TV in Italia fanno di lui, un ‘icona vivente’. Mentre la sua età biologica rimane incredibilmente indietro rispetto a quella anagrafica, al fianco di Fiorello recupera una seconda giovinezza e diventa idolo di un pubblico molto più postmoderno di quello a cui era abituato. “La versione di Mike” è la sua prima, vera, autobiografia. La riflessione di fondo che riempie ogni riga delle meravigliose pagine dell’ultimo romanzo di Isabel Allende, riguarda la vita da scrittrice, la vita di una donna costretta a lunghi periodi di solitaria riflessione nell’intento di svuotare su un foglio bianco il poz- zo della sua anima. La Allende ne La somma dei giorni (Feltrinelli) si osserva e si descrive, restituendoci l’immagine vivida e vitale di una madre attenta e accentratrice nei confronti della sua famiglia allargata, di una donna che lotta con passione contro il macigno che si porta nel cuore e che le impedisce di abbassare la guardia nei giorni rumorosi della sua vita. In queste pagine ascoltiamo la voce di una madre che teme di lasciarsi sfuggire ancora una volta le persone che ama, avvertiamo la paura di perdere quel nucleo centrale di vitalità che sono i figli, i nipotini, i vari nonni e prozii. Dalle librerie croate segnaliamo titoli di attualità di autori regionali che hanno riscosso notevole successo nell’ultimo periodo. Le opere di Dževad Karahasan hanno riscosso numerose edizioni internazionali portando allo scrittore bosniaco numerosi premi. L’ultima sua opera, la raccolta di novelle Izvještaji iz tamnog vilajeta (Profil international), delinea un intreccio ciclico con numerose metafore che si sus- seguono, partendo dalla corte ottomana del XIX secolo per fermarsi ad una Sarajevo alle prese con una guerra fratricida. Una ricerca continua delle proprie radici all’interno di un cataclisma annunciato al quale il Karahasan si avvicina come un eccellente intellettuale europeo, conoscitore della filosofia e teologia tradizionali. David Grossman nel suo Lavlji med (Vuković & Runjić) reinterpreta la storia biblica di Sansone, dalla nascita (quando l’angelo del Signore annuncia il suo destino di campione d’Israele a patto che non tocchi vino né si tagli i capelli) fino alla lotta a mani nude con il leone, dalle battaglie contro i filistei al tradimento di Dalila, dall’accecamento alla morte sotto le rovine del palazzo a cui è stato incatenato. Nel racconto di Grossman, la vita di Sansone si intreccia con le vicende moderne della Palestina a testimoniare l’eterno valore del mito. Un romanzo scritto da una donna per tutte le donne, quello di Rujana Jeger (figlia di Slavenka Drakulić) intitolato Opsjednuta (Profil International). Una storia al femminile dove un gruppo di signore emancipate (e non) dialogano sul sesso, sull’amore, sulla loro vita professionale e famigliare, sui segreti più intimi, sullo scopo delle loro vite, spesso in guerra con il proprio corpo e con la propria coscienza. Scritto con uno stile frizzante, moderno, a volte crudo, il libro vuole essere un ‘inno alle femminilità’ che non si abbassa a compromessi. Viviana Car cultura 3 Sabato, 19 gennaio 2008 GENTE NOSTRA, GENTE DI CULTURA / DARIA VLAHOV HORVAT Un designer che dipinge un pittore che fa grafica di Ilaria Rocchi Rukavina C resciuta sulle orme di Romolo Venucci e di Erna Toncinich, fin dall’inizio verrà definita dai critici un esempio delle tendenze più avanguardistiche e sperimentali dell’arte fiumana. Daria Vlahov Horvat, capelli castani, con qualche riflesso dorato, che le scendono fluenti lungo il viso, una frangia un po’ lunga usata con ingegnosità tutta femminile quando cerca di nascondere lo sguardo, i suoi espressivi occhi marroni. Circondata dagli schermi (sì, al plurale) del computer, strumento fondamentale di lavoro, dà l’impressione di una persona discreta, riservata, ma non schiva: quando ha da dire la sua lo fa senza mezzi termini, mantenendosi però sempre educata, corretta con chi le sta intorno. Intervistarla, dopo averla vissuta (e lo si fa tuttora e anche in futuro si spera) da collega e da ex compagna di avventura ai tempi del Liceo (tra noi c’è una sola classe scolastica di differenza), non è certo facile. Da dove iniziare? Forse proprio da lì, da quella prima esperienza quasi condivisa sui banchi di scuola, all’indirizzo giornalistico del CILI, al giornalino scolastico, all’immancabile “pratica” all’EDIT. Pensando alla tua formazione, ti sei avvicinata prima al giornalismo, alla grafica, quindi all’arte. In effetti, ho iniziato nel campo della grafica nel periodo del Liceo, con Lorenzo Vidotto. Fai conto che i progettini per il Menabò sono stati il primo incontro con la grafica, al quale hanno fatto seguito i periodi di pratica professionale svolti all’EDIT con Gianfranco Miksa. Poi ho continuato gli studi a Fiume, alla Facoltà di Pedagogia, con Butković e tutta la storia dell’arte. Ma è stato a Venezia che ho veramente acquisito la “specializzazione” nella grafica editoriale. Cos’è che ti ha spinto verso questo campo? Diciamo che l’arte di oggi ha una sua funzionalità elitistica, nel senso che non ha una necessità di comunicare ulteriormente con chi la guarda, mentre la grafica, il design sì, hanno il bisogno di comunicare. Potremmo quasi dire che il design è diventato oggi ciò che era un po’ l’arte medievale, rinascimentale. Penso alle commissioni d’arte. Dall’’800 e dal ’900 in poi l’arte si è staccata dalla società, ovvero è diventata uno specchio della sua anima, che non ha più bisogno di dare ulteriori spiegazioni. Un artista non deve necessariamente far capire il suo messaggio, chi guarda si identifica con quello che vuole vedere, prende ciò che vuole, c’è assoluta libertà nell’arte. Nella grafica invece siamo molto più mirati, come messaggio visivo. Si fanno studi su un’infinità di aspetti, anche dal punto di vista pratico e, fattore non indifferente, si hanno presenti i costi, poiché chi commissiona un progetto sa di avere un tot che può spendere. Dunque, molte cose nella grafica si differenziano rispetto all’arte, e forse questo aspetto, chiamiamolo un attimino più ‘terreno’, è un qualcosa che mi stimola, nel mio creare. Diciamo che mi trovo benissimo a fare l’editoria, un campo che ho sempre amato e voluto. Il libro come oggetto, la tridimensionalità, la sua funzione, la sua parte intellettuale, la memoria che custodisce, l’anima che porta l’autore e il tutto sulla carta… ecco, questa è quella parte della grafica che veramente mi piace tantissimo perché è comunicazione. Sei un po’ la mamma, se così si può dire, del rilancio “visivo” di tutte le testate dell’EDIT, dal quotidiano a “Panorama”, per non parlare delle varie collane editoriali. Quanto ti appaga questo lavoro? Forse non proprio la mamma, diciamo che ne sono un po’ il portavoce. L’inizio è stato difficile, anche pesante, perché nonostante fossi all’EDIT da tanti anni, nel 2003 siamo partiti non dico da zero ma quasi, perché tecnologicamente eravamo rimasti parecchio indietro. Ricominciare a studiarsi tutte le pubblicazioni, ricreare le collane è sta- to un periodo molto laborioso. Oggi mi accorgo che forse certe cose le avrei potute fare diversamente, ma è un po’ un ragionare a posteriori. Non sarà tutto oro, ma sono contenta di ciò che abbiamo fatto. Se mi sento appagata? Guarda, proprio con la mano sul cuore, direi di sì. che riempie d’orgoglio ogni redattore che lo fa e in cui riconosco un notevole stimolo anche dal punto di vista giornalistico. Gli “InPiù” hanno una potenzialità anche grafica: infatti i miei colleghi giovani sperimentano tutte le possibilità. Ho voluto lasciare loro mano libera affinché potessero lavorare con tutto il necessario slancio creativo, venendo incontro al contempo anche a quello che è un lavoro redazionale non indifferente. E vedo che all’interno di questi supplementi scrivono non solo giornalisti dell’EDIT, ma si sono inseriti in questo anello tantissime personalità e intellettuali della CNI e non solo. Mi fa piacere vedere in moto una grande fucina di opere… le collane di libri, le opere commissionate dalle Comunità degli Italiani, dall’Unione Italiana, “I percorsi didattici”, i lavori della Pietas Iulia e realizzati con la Milani e con Elis Deghenghi Olujić.. se ci penso, è un’infinità di lavoro svolto e mi dispiacerebbe identificarmi solo con un unico progetto, anche perché, diciamolo, che dal 2003, quando siamo passati al nuovo sistema, cambiando anche tutta la gestione… ne abbiamo fatte veramente di cotte e di crude. Come sei riuscita, anzi come riesci a far coniugare bene il tuo impegno lavorativo quotidiano e la tua arte personale, la Daria art director e la Daria artista? La Daria artista, purtroppo, non per sua volontà ma ovviamente per tutti questi impegni lavorativi, si è messa un po’ da parte. Avevo detto momentaneamente, non pensando che questo ‘momentaneamente’ sarebbe stato un momento così lungo. Il che ovviamente mi dispiace, perché ne sento la mancanza e mi piacerebbe fare una personale. Ho svolto un bel lavoro con “Interars”, questo workshop che abbiamo fatto con la Kons di Trieste e l’Unione Italiana. È stata una bella esperienza. Ho trovato, involontariamente, un nuovo stimolo quando, duran- Gli esordi della sua attività nel campo dell’arte sono legati alla Comunità degli Italiani di Fiume, alla Sezione Arti Figurative “Romolo Venucci”. E l’attività di Daria Vlahov Horvat, fiumana classe 1966, è indissolubilmente legata alle istituzioni della Comunità Nazionale Italiana. Terminata la scuola media superiore italiana, dopo aver frequentato (dal 1988 al 1990) la Scuola internazionale di Grafica di Venezia, nel 1994 consegue la laurea in Arti figurative alla Facoltà di Pedagogia dell’Università di Fiume (con i proff. Antun Depope e Ksenija Mogin). Comincia a lavorare all’EDIT, diventando art director e ridisegnando la grafica delle sue pubblicazioni dopo l’introduzione della nuova tecnologia. Ha seguito due stage professionali in Italia, a Milano, al quotidiano “Corriere della Sera” (1993) e alla Casa editrice “Franco Maria Ricci” (1999). Parallelamente con il design, Daria Vlahov Horvat continua a sviluppare il suo interesse per la pittura e l’arte in generale (dal 1998 è membro dell’HDLU, l’Associazione degli Artisti Visivi della Croazia), fatto che la porterà a partecipare a diverse mostre collettive, allestendo finora anche cinque personali, di cui si ricorderanno, tra le altre, le mostre allestite a Grisignana, Albona, Nuova Gorizia, Lubiana e Capodistria. Insieme con altri autori, ha esposto le sue opere in diverse occasioni a Fiume, Pisino, Venezia, Trieste, Pirano e, grazie ai laboratori artistici multidisciplinari del progetto “Interars”, a Gorizia e Capodistria (2007). Premiata più volte per le opere di pittura e di grafica al Concorso d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima” (1984, 1987, 1994, 1995, 1996, 2003), ha ottenuto inoltre il primo premio all’Ex Tempore di Dignano del 1986, il Diploma alla “Grisia” di Rovigno nel 1988, il premio acquisto all’Ex Tempore “Mandracchio 1989” di Volosca, il primo premio all’Ex Tempore di Grisignana nel 1994, il primo premio all’Ex Tempore “Mandracchio 1997” di Volosca, il premio per acquerello all’Ex Tempore di Pirano nel 1997 e il premio acquisto alla medesima manifestazione nel 1999, nonché il premio acquisto all’Ex Tempore di Grisignana nel 2000. Qual è il progetto editoriale curato per l’EDIT che ti è più caro, nel quale ti sei potuta esprimere al meglio? Sono molto orgogliosa degli inserti “InPiù” perché li trovo veramente bellissimi non solo sotto l’aspetto grafico, ma anche giornalistico e redazionale. È una cosa che completa benissimo “La Voce”, te un servizio della giornalista di Radio Capodistria, mi sono vista chiedere cortesemente, perché con il mio lavoro – una foratura della carta che avevo già in mente prima, pensando ai ritmi, alla trasparenza fisica di quel precedente discorso delle iute fatto per la mostra della “Festa Europea 2001” – ma che con tutti gli impegni quotidiani non ero riuscita mai a svolgere – producevo “suono”. “Per cortesia, non si arrabbi, potrebbe interrompere perché sento il suono della carta?”. Non me lo avesse mai detto, ti rendi conto? Produrre un’arte come il suono mentre stai dipingendo, ossia creando un’opera di arte visiva?! Il tutto trovandoti alla Comunità degli Italiani “Giuseppe Tartini”, mentre la collega Alenka Sottler di Lubiana sta facendo tutta una cosa su Tartini, io cominciavo a produrre suono, il mio professore di grafica a Venezia Franco Vecchiet sta strappando… Insomma, ci siamo trovati come un’orchestra in un laboratorio artistico e ci siamo messi tutti a ridere perché abbiamo commentato “ma Tartini dov’è?”. Una cosa bellissima. C’è una particolare corrente artistica che ti è più vicina di altre? Oggi si fa un gran parlare di installazioni, di video arte, di comunicazione multimediale ed interattiva, di tecnologia… Oggi, forse anche giustamente, perché viviamo nell’era tecnologica, è ovvio che la tendenza dominante sia quella dell’arte tridimensionale, video, rispetto a quella che è l’arte classica. Per il momento non mi sono cimentata in un discorso multimediale, ma questo non vuol dire che col suono non riesca anch’io a prendere lo slancio verso questa strada. Comunque, non è facile fare arte multimediale. Interpretarla è anche difficile. Sia come art director, sia come artista hai conosciuto e continui a conoscere e a seguire la produzione artistica della Comunità Nazionale Italiana. Questo è un impegno che mi sono presa: mantenere viva e visibile l’arte di quelli che sono gli artisti della CNI. È una produzione che merita, secondo te, di essere valorizzata di più, e come si potrebbe riuscire a dare maggiore visibilità a queste opere? Ogni artista in effetti trasmette la propria opera tramite le mostre, questo è il modo più immediato, la forma più giusta. Attraverso le testate dell’EDIT, cerco di inserire l’opera di un nostro autore ogni qualvolta posso farlo, con la “Battana”, le collane, le varie pubblicazioni. Si cerca insomma di dare visibilità anche perché l’arte visiva non trova facile impiego nella quotidianità, non è facile promuoverla. Andar per mostre è un’abitudine che purtroppo si è persa, una volta era ben più diffusa. Ma sai tra il computer, tra la televisione, le multisale, è inevitabile. Dunque l’arte come tale va in effetti protetta e va spinta. Una domanda immancabile per concludere: quali i progetti in cantiere, sia per conto dell’EDIT sia in generale? In generale, vorrei proseguire il discorso di prima sulla lavorazione della carta. Vedi allora, che torni sempre alla carta, al giornalismo? Molte volte quando faccio grafica e progetti di grafica mi dico: “Ma non stai facendo grafica, dipingi” e quando invece faccio il pittore ammetto: “Ma non stai facendo pittura, stai facendo grafica”! C’è questo sdoppiamento, è una cosa che semplicemente si sovrappone ed è così. Anche il percorso che ho fatto prima, penso a quello sui grafismi, è qualcosa che probabilmente mi porto dentro, è un mio modo di essere, di vedere. Per quanto riguarda l’EDIT, penso che il progetto che ha la precedenza sugli altri è “Panorama”. Dopo ce ne sono un’infinità di altri, per conto dell’Editoriale. E le cose da svolgere sono davvero tantissime. 4 cultura Sabato, 19 gennaio 2008 Sabato, 19 gennaio 2008 MOSTRE / Il maestro espressionista per la prima volta in Croazia con una grande mostra ai Klovićevi dvori di Zagabria Chagall, l’unicità di un’arte fuori dagli schemi di Helena Labus “Q “La fidanzata col pizzo” (1968) uando Marc Chagall dipinge, non siamo mai sicuri se sia addormentato o sveglio. Da qualche parte nella sua testa ci deve essere un angelo”. Queste parole di Pablo Picasso descrivono molto bene l’espressione artistica e umana del pittore russo-francese che ha incantato il mondo con i suoi dipinti sognanti, profondamente emotivi e intimi. La sua opera artistica ha sempre evaso ogni classificazione, rimanendo fuori dalle principali correnti dell’arte del XX secolo, pur facendo occasionalmente uso, in modo prettamente personale, delle nuove forme espressive dell’arte a lui contemporanea. Un’occasione unica di vivere l’incanto del suo immaginario e la profonda umanità della sua arte è la mostra intitolata “La storia delle storie”, allestita in questo periodo presso la galleria Klovićevi dvori a Zagabria. Si tratta di una vasta selezione di opere di Chagall (oltre 250, tra le quali 34 oli su tela) che giungono dal Centro Pompidou di Parigi, dal Museo Chagall di Nizza e dalla Fondazione Maeght, con le quali l’artista francese di origine bielorussa viene presentato per la prima volta in Croazia. Si tratta di lavori che spaziano lungo tutto l’arco della sua lunga vita e che ci permettono di venire a contatto con i ricordi e i sentimenti più intimi dell’artista. Dipinti, grafiche, collage, sculture, un filmato, i corridoi tappezzati di fotografie... ci fanno partecipi del suo mondo interiore. Un mondo, questo, fatto di libertà, poesia, emozioni e fantasia, un mondo fatto di colori e di simboli mediante i quali comunica e presenta sé stesso. Organizzata in modo cronologico, la mostra si snoda in una serie di cicli realizzati in diverse tecniche artistiche. I primi dipinti e disegni narrano della vita rurale, di Vitebsk, la sua città natale, della vita di contadini e di scene quasi “private” legate alla sua vita familiare, tutto motivi che caratterizzeranno le sue opere future. Trattandosi di scene intime e autobiografiche, vi troviamo spesso la figura dello stesso artista, a volte nella sua forma umana, altre volte nelle sembianze di un cavallo rosso, di un angelo, oppure di un mazzo di fiori. Presentandosi nella sua forma umana, Chagall si ritrae spesso da pittore, con in mano pennello e tavolozza, dimostran- do in tal modo quanto ritenesse importante la sua vocazione di artista. Nelle sue rappresentazioni, siano queste dipinti, disegni oppure grafiche, Chagall dispone liberamente, in modo simbolico, gli elementi della composizione. Un mondo capovolto e dai colori brillanti Molto spesso, nelle sue opere le figure umane avranno la testa rovesciata o staccata dal collo, staranno sedute sul tetto, oppure distese in strada, voleranno sopra i tetti della città o sopra i ponti di Parigi e Nizza sproporzionatamente grandi, unite in un abbraccio e illuminate dalla luna, immerse in colori brillanti, intensi, in meravigliose combinazioni di azzurro viola e rosso, accenti di verde e giallo, e ci parleranno dell’anima dell’artista. “Dio, la prospettiva, il colore, la Bibbia, le forme e le linee, le usanze e tutto ciò che chiamiamo vita umana – l’amore, la sicurezza, la famiglia, la scuola, l’istruzione, le parole dei profeti e la vita in Cristo – tutto era stravolto. Forse anch’io ero a volte colmo di sospetti. In momenti del genere dipingevo il mondo rovesciato, mozzavo le teste alle mie figure, le facevo a pezzi e le lasciavo galleggiare nei miei dipinti”, diceva Chagall del legame tra il suo stato d’animo e i suoi dipinti. Ma i momenti di sospetto e ansia erano spesso legati a sentimenti di amore e di dolcezza che trapelano da numerosi quadri raffiguranti coppie di amanti, che siano questi in cielo o in terra. Tra i dipinti più emozionanti e delicati nei quali troviamo gli amanti sono “La fidanzata con il viso azzurro” (1932-60), una scena notturna nella quale Chagall sembra parlarci di nozze segrete e mistiche, un’altra scena notturna “La coppia in un panorama azzurro” (1969-71), “Gli amanti nel grigio” (191617), un dipinto molto curato nei dettagli che raffigura il pittore e la sua amata moglie Bella (che sarà il tema di numerosi suoi dipinti), e un delizioso e raffinato collage di piccole dimensioni intitolato “La sposa col pizzo” (1968). Stupendo in termini di composizione, colorito, atmosfera ed emotività è pure il dipinto “Le quai de Bercy” (1953), un’altra scena not- turna, sognante, creata con un sapiente uso di ricche tonalità di blu e viola, verde e nero, con spruzzi di giallo e uno smagliante uccello rosso al lato destro del dipinto. Le grafiche di una vita Una parte importante della mostra è dedicata alle grafiche di Chagall, che spaziano dal ciclo “La mia vita” del 1922 alle illustrazioni per le favole di La Fontaine e illustrazioni di scene bibliche, fino al ciclo di litografie realizzate a Nizza e sulla Costa azzurra. Particolarmente affascinante e prezioso risulta il ciclo “La mia vita”, che l’artista compose all’età di poco più di trent’anni. Nel susseguirsi di stampe realizzate nella tecnica della puntasecca, l’artista ci fa conoscere i membri della sua famiglia, scene come il parto, l’incendio nel villaggio, certe località e case di particolare importanza per l’autore, le persone che hanno segnato la sua vita a Vitebsk, gli amanti e le nozze, ma ci descrive pure il suo dolore durante la visita alle tombe di sua madre e suo padre. Riesce a farci ridere, invece, descrivendo con spirito suo nonno scansafatiche. Ciascuna delle delicatissime stampe è un gioiello nel quale Chagall riesce a rendere l’emozione che lo lega a una determinata scena, a sua volta presentata con una miriade di dettagli disegnati con mano sicura e al contempo leggerissima. La ricchezza di dettagli – cavalli, galli, violinisti, arlecchini, mucche, orologi, case, torri, gatti... – è caratteristica per tutte le sue opere, che hanno quindi bisogno di essere osservate con cura e attenzione. Tutti questi piccoli mondi che accompagnano il motivo principale possono essere visti come dei quadri a sé e possiedono un particolare fascino. Osservando le opere di Chagall, così libere dai canoni classici della pittura come lo sono la prospettiva, le proporzioni, l’imitazione del mondo reale, eppure sempre legate all’espressione figurativa, siamo certi di trovarci a cospetto dell’anima e del cuore dell’artista che riesce a parlare al nostro stesso cuore. “Ma forse la mia arte è l’arte di un pazzo, pensavo, solo una luccicante, viva, triste anima che si spezza nei miei dipinti”. Stampa tratta dal ciclo “La mia vita”: La casa del nonno a Vitebsk (1922) Litografia “La sirena col pino” (1967) “Amanti nel grigio” (1916-17) “La fidanzata con il viso azzurro” (1932-60) “La fidanzata con il doppio viso” (1927) “Bella con il garofano” (1925) 5 GALLERIA KORTIL A FIUME Capricci architettonici di Mauro Stipanov Il pittore connazionale Mauro Stipanov torna a presentarsi al pubblico fiumano alla Galleria Kortil con la mostra “Capriccio architettonico”, una serie di dipinti di grande formato nei quali l’autore esplora – e questa sembra essere una costante nella sua opera artistica – l’uso del colore quale mezzo di costruzione di “strutture”. Strutture che, seppur astratte, delineano un determinato spazio all’interno del dipinto. Stipanov aveva iniziato a dipingere il ciclo “Capriccio architettonico” nella metà degli Anni ’90 del secolo scorso, facendo riferimento al vedutismo veneziano del XVIII secolo. L’idea ripresa da una vecchia tradizione pittorica viene tradotta in sequenze di colori che assomigliano a degli elementi ornamentali del Settecento. Una decina di anni più tardi, Stipanov riprende a dipingere il ciclo in una chiave diversa, concentrando il suo interesse sulla creazione di composizioni che associano a uno spazio architettonico. Il ciclo di dipinti a olio presentato alla Galleria Kortil, creato per la maggior parte l’anno scorso, è ancora un’occasione per ammirare la versatilità e l’immaginazione coloristica di Stipanov. I dipinti esposti, tra cui è da rilevare l’interessantissimo fregio composto da decine di quadri di piccolo formato, denotano la capacità dell’autore di creare delle combinazioni coloristiche sempre nuove e fresche, di ottenere degli “spazi architettonici” astratti di grande impatto, ovvero di costruire con il colore. Ed è proprio questa sua capacità di costruire con il colore quello che caratterizza l’opera pittorica di Stipanov, “l’ultimo vero pittore fiumano”, come viene definito dallo storico e critico d’arte Boris Toman, facendo riferimento alla costante ricerca di Stipanov all’interno del dipinto, nell’ambito del quale l’autore fa uso esclusivamente di metodologie e tecnologie pittoriche, senza avvalersi di mezzi di supporto quali il collage, l’assemblage, o altre “trovate” multimediali. Per Stipanov, il dipinto è un fatto pittorico autonomo, una superficie caratterizzata da un proprio contenuto artistico, da un determinato senso e dalle proprie leggi - dice dell’autore lo storico e critico d’arte Berislav Valušek, il quale rileva ancora che nella pittura di Stipanov si è davanti ad “uno spazio dipinto che si ispira alle esperienze del cubismo analitico e sintetico, al costruttivismo e, in un suo segmento, all’orfismo”. La base della costruzione di ogni suo dipinto è innanzitutto la composizione, la quale può, però, essere pure frutto dell’intuizione. Nei “capricci architettonici” esposti, l’elemento che unifica le sue composizioni e funge da “collante” del ciclo, è il colore nero sul quale vengono in seguito dipinte - sorprendenti per la varietà delle combinazioni – superfici colorate che creano una specie di “rete” fatta di segmenti verticali e orizzontali. Il susseguirsi delle superfici quasi rettangolari, ora gialle, ora celesti, blu, verdi o rosse, rese con pennellate ampie e visibili, è a volte intercalato da linee rette di colore bianco che creano degli accenti di luce e donano solidità alla composizione. L’accostamento dei colori e la loro combinazione contribuiscono a ravvivare la piuttosto severa disposizione delle superfici colorate in ciascuno dei quadri. Le superfici, a loro volta, sono tutt’altro che uniformi. Molto spesso, i rettangoli di colore si compenetrano, rendendole vibranti e vive. L’autore è particolarmente dinamico e fantasioso, sia nella forma, sia nell’uso del colore, nel succitato fregio, nel quale troviamo composizioni caratterizzate da una libertà del disegno pittorico e degli elementi pittorici usati. Vi appaiono infatti forme rotondeggianti, circonferenze, linee curve, cerchi, macchie di colore che lo rendono particolarmente affascinante e vivo. Ciascun segmento (dipinto) che compone il fregio conserva inoltre la sua qualità, anche se estrapolato dalla composizione, e potrebbe quindi funzionare come un quadro autonomo. “La decomposizione del mondo concreto e la sua ricomposizione in un mondo pittorico autonomo è la costante preoccupazione dell’artista”, dice ancora Valušek, ricordando inoltre che ciò che rende unica l’opera di Stipanov sono il ritmo delle sue linee e dei suoi tratti, delle superfici, e il colore. “La composizione di questi elementi porta sempre alla musica, a una sonorizzazione del dipinto che è il profondo e permanente senso di questa pittura”, conclude il critico. Disciplina e coerenza, unite all’immaginazione e a un bagaglio di cultura che gli permette di attingere ai motivi del passato presi come spunti per un’ulteriore ricerca sulla superficie della tela, sono le qualità che collocano Stipanov tra i massimi pittori operanti all’interno della scena artistica non solo minoritaria o regionale, bensì nazionale. Helena Labus Un particolare del fregio esposto in mostra 6 cultura Sabato, 19 gennaio 2008 RICORRENZE «TONDE» I personaggi del mondo culturale nati o morti in gennaio Méliès, Byron, la Moreau... NATI Bartolomé Esteban Pérez Murillo (Siviglia, 1 gennaio 1618 – Cadice, 3 aprile 1682) è stato una delle figure più importanti della pittura barocca spagnola. Murillo è conosciuto per i suoi dipinti riguardanti fanciulle, giovani ragazzi, bambini della strada, zingarelli o mendicanti, che costituiscono un interessante studio della vita popolare. “Io amo sedurre: visto che non lo faccio nella vita privata, mi piace farlo in scena”. Questa è la frase più famosa di Monica Guerritore (Roma, 5 gennaio 1958), attrice cinematografica, televisiva e teatrale. Dopo avere esordito a soli sedici anni sotto la regia di Giorgio Strehler ne “Il giardino dei ciliegi” (ma ebbe la sua prima piccola parte ancora tredicenne nel film di De Sica “Una breve vacanza” nel 1981 si lega sentimentalmente e artisticamente a Gabriele Lavia, iniziando a recitare ne “I Masnadieri” di Schiller, che la dirige soprattutto in ruoli femminili molto forti come “Giocasta”, “Lady Macbeth”, “Ofelia”. La coppia si separa nel 2001. Accanto alla carriera teatrale porta avanti anche quella televisiva e cinematografica. Pietro Metastasio pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (Roma, 13 gennaio 1698 – Vienna, 12 aprile 1782) è stato un poeta, librettista e drammaturgo, figura di spicco del melodramma italiano. Si dice che Pietro, ancora bambino, attirasse a sé la folla recitando versi improvvisati su tema dato. Nel 1709 in un’occasione simile si fermarono ad ascoltarlo due signori distinti: Giovanni Vincenzo Gravina, noto letterato e giurista, nonché fondatore dell’ Accademia dell’Arcadia, e Lorenzini, un critico di una certa fama. Scrisse in rapida successione “Didone abbandonata”, “Catone in Utica”, “Ezio”, “Alessandro nell’Indie”, “Semiramide riconosciuta”, “Siroe” ed “Artaserse”. Questi drammi furono musicati dai principali compositori dell’epoca. Giovanni Segantini (Arco, 15 gennaio 1858) fu il maggior pittore divisionista italiano. Allievo all’Accademia di Brera di Milano, fu influenzato dall’ultimo roman- ticismo lombardo di T. Cremona. Adottò in pieno la tecnica divisionista, senza però rinunciare alla plasticità e alla rappresentazione. le sue opere più famose sono “Ragazza che fa la calza” (1888, Zurigo, Kunsthaus), “Le due madri” e “L’angelo della vita” (1889). John Howard Carpenter (16 gennaio 1948) è un regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e attore nonché compositore di colonne sonore statunitense. Tra i suoi lavori più famosi si annoverano spesso “Distretto 13: le brigate della morte” (1976), “Halloween, la notte delle streghe” (1978), “1997: fuga da New York” (1981) e “La cosa” (1982). Influenzato da Howard Hawks e Alfred Hitchcock è uno dei masssimi esponenti dell’horror Vittorio Benussi (Trieste, 17 gennaio 1878) assieme a Alexius Meinong fu l’insegnante di Ramiro Bujas che fu uno tra i primi a importare la psicoanalisi in Croazia. Benussi ottiene la cattedra di Psicologia a Padova nel 1919 per meriti straordinari, dove divenne professore ordinario nel 1922 e direttore dell’Istituto di Psicologia Sperimentale fondato da Roberto Ardigò. Isidore Marie Auguste François Xavier Comte (Montpellier, 19 gennaio 1798) è stato un filosofo e sociologo francese, considerato il padre del Positivismo. Discepolo di Henri de SaintSimon, coniò il termine “fisica sociale” per indicare un nuovo campo di studi. Questa definizione era però utilizzata anche da alcuni altri intellettuali suoi rivali e così, per differenziare la propria disciplina, inventò la parola sociologia. Comte considerava questo campo disciplinare come un possibile terreno di produzione di conoscenza sociale basata su prove scientifiche. Volendo sbarazzarsi della metafisica, esalta quasi religiosamente la conoscenza scientifica. Si richiama comunque a Kant e Leibniz affermando che nell’uomo esistono disposizioni mentali spontanee. Il libro che secondo la maggior parte degli storici segna l’inizio del periodo positivista è il Corso di Filosofia Positiva. George Gordon Byron, poeta romantico, nato a Londra il 22 gennaio 1788 cominciò a scrivere versi dodicenne. Nel 1806 pub- Dalla prima pagina Anche Osvaldo Ramous nei «Libretti di Mal’Aria» Non sappiamo come e quando sia avvenuto l’incontro tra Ramous e Bugiani, sappiamo invece con certezza che nell’ottobre 1976 nella stamperia di Colombo Cursi e Figlio in Pisa furono impresse cinquecento copie del libretto sopra menzionato, su carta vergata camoscio per duplicatori. La copertina riportava un disegno del pittore naif Ivan Lackovic e al suo interno la poesia che dava il titolo al libretto. La parte sinistra del libretto riportava la traduzione in lingua croata (To vise nije vjetar) di Karmen Milačić. Passano alcuni anni e nel 1982 l’interesse di Bugiani ritorna nuovamente alla poetica di Ramous con un ennesimo li- bretto (il numero 338) intitolato 2 poesie e il ritratto di Osvaldo Ramous. Anche per questo libretto furono tirate cinquecento copie ad opera però della stamperia artigiana Igraf in Pisa. All’interno il ritratto di Ramous realizzato dal pittore ritrattista Pietro Annigoni e due poesie: Dove siete? e.. La nostra monodia Quando nascosta nel petto / la chitarra / che accompagna sommessa / il canto della vita / avrà spezzato le corde, / dove mai volerà / la nostra monodìa / liberata / dai vincoli di quel ritmo? Ma non finisce qui. Tre anni dopo, nella primavera del 1985, blicò in forma anonima Fugitive Pieces, ben presto ripudiati e riscritti nel 1807 col titolo di Poems on various occasions, sempre anonimamente. Nella terza ristampa, col titolo di Hours of Idleness (Ore d’Ozio), apparve il suo nome, e la bocciatura dell’opera da parte di Edinbourgh Reviews gli ispirò “English Bards and Scotch Reviewers”, in cui attaccò senza pietà tutti gli autori del suo tempo, tranne Alexander Pope e la sua scuola. In quest’opera si delineano le sue qualità di scrittore: la satira feroce e la misantropia. Nel 1823 Byron parte per la Grecia con l’intenzione di servire la causa della libertà di quel paese, ma muore consumato da violenti attacchi di febbre a Missolungi. Anche per questa ragione rimarrà una delle figure più significative del romanticismo. Bruno Zevi basce a Roma il 22 gennaio 1918. Nel 1938, a seguito delle leggi razziali, lascia l’Italia per Londra e poi per gli Stati Uniti. Si laurea in architettura ad Harvard con Walter Gropius e studia l’opera di Frank Lloyd Wright, che contribuirà a divulgare in Italia con numerosi saggi e articoli lungo tutto il corso della sua vita. “Saper vedere l’architettura”, “Leggere, scrivere, parlare architettura” e “Controstoria e storia dell’architettura” sono solo alcune delle sue opere. Jeanne Moreau Nata a Parigi il 23 gennaio 1928 Jeanne Moreau già a vent’anni era una delle più famose attrici francesi. Grazie soBugiani da alle stampe ancora un libretto dedicato a Ramous, il 420, presso la stamperia artigiana Igraf di Pisa nei soliti cinquecento esemplari. Anticipando il giorno dell’Avvento il suo titolo è Natale emblematica poesia di Osvaldo Ramous con l’epigrafe “Natale. Dorme ancora l’eco di Osvaldo. A ridestarla un puro palpito basta” e con un incisione lignea tedesca del 15° secolo di ispirazione religiosa. Il testo all’interno è il seguente: Per un giorno che sfiora le mie ciglia, / un bagliore negli anni. Il mio ricordo / è tutto in questa festa. Ieri, allora, / e il Natale che attende alla finestra / il mio sguardo di bimbo, e trascorrenti / sere tra il lume tiepido che infiora / capelli inanellati e bianche chiome / ora disperse al vento alto del cielo. // M’avvicino al tepore; a quel tepore / che si rinnova solo dentro il guscio / dei pensieri raccolti. Ho bra- prattutto al riconoscimento del suo talento da parte di Louis Malle, con cui gira “Ascensore per il patibolo” (1957) e “Les amants” (1958), è diventata una tra attrici di punta negli anni cinquanta. Nel 1960 vince il premio come miglior attrice al Festival di Cannes per “Moderato cantabile” di Peter Brook, mentre l’anno successivo raccoglie consensi in tutto il mondo per la sua interpretazione in “Jules e Jim” di Franäois Truffaut. Oltre a quelli già citati, nel corso della sua carriera ha lavorato con i più importanti registi del panorama europeo e statunitense tra cui Michelangelo Antonioni, Luis Bunuel, Orson Welles, Luc Besson e Wim Wenders. Alessandro Baricco (Torino, 25 gennaio 1958), scrittore e regista italiano, oggi viene annoverato tra i migliori esponenti dell’attuale narrativa in Italia. Dopo la laurea in filosofia con Gianni Vattimo e il diploma in pianoforte al Conservatorio, negli anni novanta si afferma pubblicando i romanzi: “Castelli di rabbia” (1991), “Oceano mare” (1993), “Seta” (1996), “City” (1999), “Senza sangue” (2002). Nel 1994 esce “Novecento. Un monologo”, da cui è stato tratto un lavoro teatrale e un film, “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore. Nel 2002 pubblica “Next” (Feltrinelli), breve saggio sulla globalizzazione. Roger Vadim nome d’arte di Roger Vladimir Plemmianikov (Parigi, 26 gennaio 1928) è stato un attore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese. Nel suo primo film da regista, “E Dio creò la donna”, ha lanciato Brigitte Bardot. Interpretando Blake Carrington nella serie “Dynasty” e “Charlie’s Angels” John Forsythe (29 gennaio 1918) divenne conosciuto in tutto il mondo. Nel 1957 incomincerà quella che sarà una delle carriere televisive più folgoranti e durature. La serie “Dynasty” ottiene un successo clamoroso e duraturo, essendo stata trasmessa dal 1981 al 1989, per un totale di 9 stagioni e più di 200 episodi. Gli altri componenti di spicco del cast erano Joan Collins, che era compagna di studi di Forsythe all’Actor’s e Linda Evans. mosia / di scintille impalpabili e di fuochi / roteanti e pupille che s’accendono / alla gioia presente, e d’un aroma / che mi seguì, sperduto nella calca delle strade, e rifà me bimbo, allora / proteso alla ricerca d’un estate / che non venne. // Natale. Dorme ancora / l’eco dei morti. A ridestarla un puro / palpito basta; basta una parola / non detta ancora. La dirà per noi / l’angelo dei mosaici, quando squilli / l’annunzio e pace sia nelle contrade? // In questa festa / d’infanzia si rinnova in me l’attesa di un più vasto convegno. Oggi, a distanza di molti anni, questi libretti sono davvero “la più esile biblioteca del mondo”, come scrisse lo scrittore e bibliofilo Marino Parenti. Una piccola biblioteca di stati d’animo fatta di tessiture umane e poi letterarie, un “antologia della cartaccia” come ebbe a scrivere Bugiani in Scoprire le MORTI Georges Méliès (21 gennaio 1938) è universalmente riconosciuto come il “padre” degli effetti speciali nel cinema. Scoprì accidentalmente il trucco della sostituzione nel 1896, e fu uno dei primi registi a usare l’esposizione multipla, la dissolvenza e il colore (dipinto a mano direttamente sulla pellicola). Il suo film più noto è “Viaggio nella Luna” (Le Voyage dans la Lune), considerato il primo film di fantascienza. Georges Méliès Lia Zoppelli (2 gennaio 1988), attrice, dopo aver lavorato con Luchino Visconti fonda una sua compagnia con Ernesto Calindri, Franco Volpi e Valeria Valeri. Nel 1951 è diretta da Mario Ferrero per la prima italiana di “The Cocktail Party” di T.S. Eliot. Viene poi scelta da Garinei e Giovannini per la commedia musicale “Giove in doppio petto”, in cui recita con Carlo Dapporto. Al cinema interpreta soprattutto ruoli leggeri e brillanti in commedie all’italiana, molte delle quali hanno come protagonista Totò, e in alcune pellicole di genere mitologico o musicale. Francesco Francia, nato Raibolini ma detto il Francia (5 gennaio 1518) è stato un pittore e orefice italiano, attivo a Bologna. Dai Bentivoglio fu incaricato della realizzazione dei conii delle monete per la zecca cittadina, e tale carica gli fu riconfermata da Papa Giulio II. Arnold Hauser (28 gennaio 1978) è stato il critico e storico dell’arte che ha delineato una teoria dell’arte in cui i fenomeni artistici sono analizzati in stretta relazione con il loro contesto storico e sociale. A cura di Sabrina Ružić Ramous ritratto da Annigoni carte (Novara 1994) la cui risonanza poetica ed estetica resta, in ogni caso, un fenomeno interessante nello scomposto panorama della letteratura del secondo Novecento italiano. Francesco Cenetiempo cultura 7 Sabato, 19 gennaio 2008 CINEMA Ricordando l’autore de “La corazzata Potemkin” Ejzenstein, o del montaggio C on i suoi film, rivoluzionari per l’uso innovativo del montaggio e la composizione formale dell’immagine, Sergej Michajlovič Ejzenstejn, di cui questi giorni ricorrono i 110 anni dalla nascita e 60 dalla morte, ha avuto un’influenza determinante sull’arte cinematografica, sul suo “linguaggio” e sulla sua “grammatica”. Ejzenstejn nacque a Riga (capitale dell’attuale Lettonia) il 23 gennaio del 1898 e si spense a Mosca l’11 febbraio del 1948. È stato un pioniere del montaggio cinematografico inteso quale elemento fondamentale delle storie raccontate per immagini: infatti, fu il primo a ritenere che il montaggio fosse ben più che una tecnica per assemblare le scene di un film. Secondo il regista, come spiega nei suoi influenti libri “La forma del film” e “Il senso del film”, un montaggio accurato poteva essere utilizzato efficacemente per manipolare le emozioni degli spettatori. Compì lunghe ricerche in questo campo e sviluppò appunto quello che egli stesso chiamò montaggio. Nei suoi primi film, Ejzenstejn non usò attori professionisti. Il suo priata origine di classe sociale. È il caso di “Sciopero” del 1925, la pellicola d’esordio. Anche se fu leale con gli ideali del comunismo, Ejzenštejn entrò in conflitto con numerosi gerarchi del regime sovietico. Stalin era ben consapevole del potere del cinema come mezzo di propaganda e considerava Ejzenstejn una figura controversa. E la popolarità e l’influenza di Ejzenštejn crescevano con il successo dei suoi film. “La corazzata Potemkin” (Bronenosec Potemkine) fu un successo mondiale. Il film è ambientato nel giugno del 1905, i protagonisti della pellicola sono i membri dell’equipaggio della corazzata russa che dà titolo all’opera, ed è strutturato in 5 atti. I fatti narrati nel film sono in parte veri e in parte fittizi, in sostanza si può parlare di una rielaborazione a fini narrativi dei fatti storici realmente accaduti e che portarono all’inizio della Rivoluzione russa del 1905. Ad esempio, il massacro di Odessa non avvenne sulla celebre scalinata bensì in vie e stradine secondarie, e non avvenne di giorno ma di notte Proprio questo successo fece sì che Ejzenstejn venisse Sergej Michajlovič Ejzenštejn stile narrativo non si concentrava scelto per dirigere “Ottobre” (Oksui personaggi individuali, ma si tiabr), che doveva essere parte di rivolgeva alle grandi questioni so- una grande celebrazione del deciciali, soprattutto ai conflitti di clas- mo anniversario della Rivoluzione se. Usò quindi delle comparse e i d’ottobre del 1917. Il film però non ruoli principali venivano affidati a ripeté il successo della Potemkin. persone senza esperienza profes- Nel 1930 la Paramount Pictures sionale ma che avevano l’appro- invitò Ejzenstejn a Hollywood of- La corazzata Potëmkin (1925) frendogli un contratto di centomila dollari. La casa di produzione californiana voleva affidargli la versione cinematografica di “Una tragedia americana” di Theodore Dreiser, ma le divergenze sul cast causarono la rottura del contratto nell’ottobre di quell’anno. Fu Josef von Sternberg a finire il film. Ejzenštejn viaggiò allora in Messico, dove cercò di produrre un documentario in parte recitato dal titolo Que Viva Mexico! Prima che riuscisse a finirlo, Stalin gli ordinò di tornare in Unione Sovietica. Ejzenstejn affidò il materiale filmato non ancora montato al romanziere Upton Sinclair che era anche il maggior finanziatore del film, con l’accordo che il materiale sarebbe stato inviato in Unione Sovietica dopo la partenza di Ejzenstejn alla prima opportunità possibile. La sua intenzione era di effettuare il montaggio a Mosca. Ma il materiale non giunse mai. Il film montato venne alla fine proiettato a New York nel 1933, nella forma decisa dal produttore Sol Lesser senza il consenso di Ejzenstejn, con il titolo “Lampi sul Messico”. Da allora numerosi film sono stati realizzati con il materiale filmato da Ejzenstejn in Messico, con vari gradi di fedeltà alle sue intenzioni. L’incursione di Ejzenstejn in “Occidente” fece sì che Stalin guardasse al regista con occhi ancor più sospettosi, e questi sospetti non svanirono mai dalla mente del gruppo dirigente stalinista. Motivi politici furono alla base della cancellazione dei due successivi progetti cinematografici di Ejzenstejn. Venne anche nominato un funzionario supervisore incaricato di seguire Ejzenštejn durante la realizzazione di “Alexander Nevskij”. Il suo film, “Ivan il Terribile, Parte I” – con musiche di Prokofjev, che presentava Ivan IV di Russia come un eroe nazionale, ottenne l’approvazione di Stalin (e anche un Premio Stalin). Ma il seguito del film “Ivan il Terribile, Parte II” incontrò l’opposizione del governo. Tutto il materiale girato dell’ancora incompleto “Ivan il Terribile, Parte III” venne sequestrato e in gran parte distrutto, anche se rimangono ancora numerose scene filmate). Sua Maestà Ejzenstejn” come lo chiamava il critico letterario Sklovskij, resta legato a una stagione “rivoluzionaria” della storia del cinema, sia per le tematiche affrontate, sia per le tecniche usate. La sua validità è anche quella di essere riuscito a andare oltre la semplificazione del cinema-propaganda. Le possibilità espressive ed intellettuali rivelate da Sciopero, La corazzata Potemkin e Ottobre, unite a una vasta cultura all’intelligenza registica, all’insegnamento cinematografico, così come lo studio di problemi di teoria estetica nel cinema, fanno sì che egli ne venga considerato uno dei più grandi ed incontestati maestri. A cura di Sabrina Ružić FILM / «Mio fratello è figlio unico» di Luchetti Non siamo di certo come eravamo Se negli anni '70, in Italia, il cinema parlava del proprio tempo e se gli anni '80 e '90 sono stati gli anni della rimozione terrorizzata, con il nuovo secolo il cinema ufficiale italiano cerca di riprendere in mano i fili di un discorso complesso: la storia dei movimenti sociali durante la "prima repubblica". Da questo punto di vista, Mio fratelllo è figlio unico, di Daniele Luchetti, è stato il film del 2007 che ha certamente animato il maggior numero di dibattiti. Con la sua dialettica ondivaga tra “destra” e “sinistra”, ambientato nel Lazio degli anni '60 e '70, il film si aggiunge a una serie di opere cinematografiche degli ultimi anni che intendono rivisitare le vicende più dure e controverse della storia italiana dopo il fascismo: le contrapposizioni sociali durante l'industrializzazione, la contestazione studentesca, il protagonismo operaio, lo squadrismo neofascista, l'organizzazione di forme di attacco anticapitalista. Nel film di Daniele Luchetti, tratto dal romanzo Fasciocomunista di Antonio Pennacchi, non più la grande città (Torino, Roma) è lo scenario prescelto, ma la provincia. Il giovanissimo Accio (interpretato con una buona prova da Elio Germano), tormentato da una foto piccante a lui donata dal fratello maggiore Manrico (Riccardo Scamarcio), decide di abbandonare il seminario e rifiutare un futuro da prete. Mentre la madre casalinga disperata e il padre operaio non lo degnano di grande attenzione, un conoscente del paese lo inizia alle idee fasciste per formarlo politicamente. Il protagonista arriverà così a scontrarsi più volte con la famiglia e in particolare con il fratello Il carattere essenziale del film è nel suo primo piano narrativo: la famiglia. I legami fondamentali, come si deduce già dal titolo, sono da cercarsi nella più arcaica delle istituzioni sociali, mentre la città, la capitale, la fabbrica, la scuola, l'università e il mondo intero non fanno che da sfondo a questo scenario fatto di mamme, papà, fratelli e sorelle. Il romanzo cinematografico è per questa via romanzo psicologico, racconto di un'anima e delle sue sofferenze. Se l'ambiente della destra è caricaturizzato e in ultima analisi falsificato almeno quanto quello della sinistra extraparlamentare, il film pone comunque in essere un gioco di specchi semplicistico ma funzionale, il cui risultato gioca maliziosamente con un'ambiguità pesante. La sinistra edonista e volgare, che viene additata come immorale nel film, non somiglia a quel complesso enorme, sfaccettato e intricato che furono i movimenti della contestazione o della protesta di fabbrica nel '60-'70, ma semmai alla sinistra di palazzo odierna con il suo governo. Il fatto che molti degli intellettuali/ artisti che oggi governano la cultura italiana fossero allora tra i contestatori non fa che aumentare proprio quel loro carattere opportunista e superficiale che nel film viene addossato ai "rivoluzionari". Più che un "così eravamo" sembra essere un "così io ero, e così adesso siamo". (da “cinema italiano”) VIDEO E DVD I titoli più gettonati 1. Simpson - il film Regia di David Silverman. Homer, dopo avere acquistato un maialino come animale domestico, si ritrova con un silos di spazzatura in giardino, che Marge gli impone di portare subito in discarica. Sulla strada verso la discarica, però, decide di scaricare i rifiuti nel vicino lago, inquinandolo irrimediabilmente. Nel frattempo, il dipartimento per la protezione ambientale degli Stati Uniti ... 2. Wind chill ghiaccio rosso sangue Regia di Gregory Jacobs. Con Emily Blunt, Ashton Holmes. Due studentesse devono tornare a casa per le vacanze e decidono di farsi compagnia per il viaggio in macchina così da dividersi anche le spese. Purtroppo la macchina si guasta nel bel mezzo del deserto e le due ragazze cominciano ad essere perseguitate dagli spettri di persone morte in quel luogo arido. 3. Una impresa da Dio Regia di Tom Shadyac. Con Johnny Morgan Freeman, Steve Carell. Evan Baxter, raffinato ed elegantissimo annunciatore di una stazione televisiva di Buffalo, è stato da poco eletto al Congresso degli Stati Uniti. Decide così di trasferirsi con la famiglia in Virginia, per dare una svolta decisiva alla sua vita. E la svolta arriva inaspettatamente quando Dio scende sulla Terra e misteriosamente ordina 4. Vacancy Regia di Nimród Antal. Con Kate Beckinsale, Luke Wilson, Dopo aver lasciato la strada principale, l’automobile dei coniugi Fox rompe il motore, fortunatamente proprio di fronte a un motel. Prendono una stanza per attendono l’alba per chiamare i soccorsi. Ma nei sudici alloggi dell’albergo sembra nascondersi un segreto, mal celato, dai cattivi di turno. 5. 10 items or less Regia di Brad Silberling. Con Morgan Freeman, Paz Vega. Scarlet lavora in un supermercato di Los Angeles. Un attore che non accetta un ingaggio da quattro anni scambia quattro chiacchiera con lei e ne rimane intrigato. Decide di aspettare che lei finisca il turno per farsi dare un passaggio, e finisce per ... sorpresa. Per gentile concessione della videoteca “Video Darko” di Fiume 8 cultura Sabato, 19 gennaio 2008 CARNET CULTURA rubriche a cura di Viviana Car, Lara Drčič, Helena Labus John Corsellis in Markus Ferrar Slovenija 1945 MK Založba A A V I T A R R A V I T A R V I T A R R R A A A N C C N I A T I N S T A Hans Kung Katolička crkva – kratka povijest Alfa I S Serdar Ozkan Izgubljena vrtnica MK Založba C I Sanja Rozman Peklenska gugalnica MK Založba I C Julie Garwood Skrivnost MK Založba L I J. K. Rowling Harry Potter 6 – Polkrvni princ Epta *** Svetovna zgodovina v preglednicah Cankarjeva založba B Jože Pučnik Izabrano delo MK Založba B Erica James Ljubezen in predanost MK Založba U Tess Gerritsen Grešnik MK Založba Francis Wheen Kako so prodajalci megle zavladali svetu MK Založba P L C Gianni Barbacetto e altri Mani sporche Chiarelettere B I Milana Vlaović Blato VBZ B Ann Brashares Sestre po trapericiama Algoritam Zdravko Tomac Tuđmanizam i Mesićizam Nominativ U T Ian McEwan Chesil Beach Einaudi S Gianrico Carofiglio L’arte del dubbio Sellerio Editore I Banana Yoshimoto Il coperchio del mare Feltrinelli J. K. Rowling Harry Potter i darovi smrti Algoritam IN SLOVENIA P C Bruno Vespa L’amore e il potere. Mondadori A. Litvinenko J. Felštinski Sakačenje Rusije Znanje Marina Lewycka Kratka povijest traktora na ukrajinskom Profil international Slaven Letica Let iznad kukavičjeg gnijezda Jesenski i Turk I Patrick McGrath Trauma Bompiani Rujana Jeger Opsjednuta Profil International Peter Burger Teorija avangarde Antibarbarus L Robert I. Sutton Il metodo antistronzi. Elliot B Ken Follett Mondo senza fine Mondadori B Bernardo Caprotti Falce e carrello. Marsilio U J. K. Rowling Harry Potter e i doni della morte Salani IN CROAZIA P A I LIBRI PIÙ VENDUTI IN ITALIA CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI CULTURALI CULTURA ITALIANA LA CNI Umago, CI “Fulvio Tomizza”, sarà in visione fino al 19 gennaio 2008 la mostra fotografica dell’artista italiano MASSIMO TELLOLI. Isola, Palazzo Manzioli, fino al I febbraio rimane in visione il ciclo di fotografie di Franco Franceschi intitolato LE STAGIONI DEL CHIANTI. GLI ALTRI Zagabria, Istituto Italiano di Cultura, il 24 gennaio cerimonia d’inaugurazione della sezione dedicata all’italianista Pavao Tekavčić presso l’ICI. Zagabria, Istituto Italiano di Cultura, nell’ambito del Cinforum didattico “Il cinema italiano e il neorealismo” il 31 gennaio verrà proiettata la pellicola BELLISSIMA di Luchino Visconti. Zagabria, Museo di Architettura, in collaborazione con l’IIC di Zagabria viene presentata l’esposizione I DISEGNI DI CARLO SCARPA PER LA BIENNALE DI VENEZIA – ARCHITETTURE E PROGETTI (1948 – 1968) aperta fino al 3 febbraio 2008. Lubiana, Cankarjev dom, organizzata dal IIC, l’esposizione ANDREA PALLADIO: COMMENTI SU GIULIO CESARE rimane aperta fino al 9 febbraio. Lubiana, Istituto Italiano di Cultura, si intitola OBBIETTIVO DAVID, la mostra che vede esposte le fotografie di Aurelio Amendola, Maria Brunori e Luciana Majoni in visione fino al 15 febbraio. Venezia, Galleria A + A, l’artista slovena Tanja Špenko si presenta con la sua personale DIPINTI fino al 22 febbraio. GRANDI AVVENIMENTI Roma, alla GALLERIA EMMEOTTO è allestita fino al 31 gennaio la mostra di MARIO CEROLI, “l’autentico costruttore povero” (Germano Celant). Un artista lontano da condizionanti etichette che si può considerare un precursore dell’Arte povera. Settantaquattro lavori in totale fra sculture, superfici di materie molto diverse, cartoni e disegni progettuali realizzati tra il ‘69 e il 2006. Benevento, alla ARCOS è aperta fino al 31 gennaio 2008 la mostra “Les fleurs du mal”, alla quale si vuole dare una risposta alla domanda “Cos’è la bellezza?”. Un florilegio di nomi noti, come YASUMASA MORIMURA, MARC QUINN, GILBERT & GEORGE…, dà corpo a un percorso affascinante per varietà e validità di lavori. Boston, al MUSEUM OF FINE ARTS si inaugura il 30 gennaio 2008 la mostra “I ritmi della vita moderna: stampe britanniche 1914-1939”, che comprende circa 100 litografie, acquetinte, xilografie e linografie a colori realizzate da 14 artisti, nella quale viene esaminato l’impatto del Futurismo e Cubismo sulla stampa modernista britannica dall’inizio della I guerra mondiale fino all’inizio della II guerra mondiale. La mostra è aperta fino all’1 giugno 2008. Genova, presso la VILLA CROCE è in visione fino al 10 febbraio la mostra “Art as Life”, completa retrospettiva sull’opera di ALLAN KAPROW (Atlantic City, 1927 - Encinitas, 2006) che non si limita a riproporre, con documentazione video e fotografica, la produzione più celebre dell’artista statunitense. L’esposizione comprende tele, collage e assemblage, nonché foto, appunti, istruzioni, schizzi. Anno IV / n. 1 19 gennaio 2008 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURA Redattore esecutivo: Silvio Forza Impaginazione: Annamaria Picco / Collaboratori: Francesco Cenetiempo, Ilaria Rocchi Rukavina, Gianna Dallemulle Ausenak, Helena Labus, Sabrina Ružić, Viviana Car Fotografie: Goran Žiković Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n. 1868 del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana. ISTRIA E QUARNERO Fiume, Galleria OK, Vedran Burul presenta l’ultimo ciclo di fotografie ANNOTAZIONI E SITUAZIONI L’esposizione si può visitare ancora per quale giorno, ovvero fino al 24 gennaio. Cittanova, Museo Lapidarium, si intitola COSTUMOGRAFIA l’esposizione di Alan Hranitelk in visione fino al 30 gennaio. Fiume, Museo civico, la retrospettiva dell’opus architettonico di ZDRAVKO BREGOVAC è visitabile fino al 31 gennaio. Fiume, Galleria Kortil, l’artista connazionale Mauro Stipanov, già vincitore di molte edizioni del Premio Istria Nobilissima, si presenta al pubblico con CAPRICCIO ARCHITTETONICO. La mostra rimarrà aperta fino al 30 gennaio. Grisignana, Galleria Fonticus, fino al 30 gennaio si può visitare la collettiva del locale CIRCOLO ARTISTICO. Capodistria, Sede della banca Koper, Mira Ličen Krpotič espone fino al I febbraio il proprio ciclo di opere intitolato LIRICA SOLARE. Fiume, Museo di arte moderna e contemporanea uno dei precursori dell’arte digitale croata, Darko Fritz espone la sua mostra multimediale ARCHIVI IN EVOLUZIONE (PROGETTI 1987 – 2007). Mostra aperta fino al 3 febbraio. Pirano, Galleria civica, Andraž Šalamun si presenta fino al 3 febbraio con la sua personale BITTICO 2006 E TRITTICO 2007. Fiume, Riva il fotografo Šime Strikoman il 3 febbraio immortalerà con una FOTO DEL MILLENNIO la Sfilata del Carnevale fiumano. Un evento del quale si può essere protagonisti. Pirano, Galleria Herman Petrič, la connazionale Fulvia Zudič, pluripremiata e considerata uno dei nostri artisti migliori, fino al 5 febbraio espone la sua personale intitolata I CAMPI SALIFERI. Pinguente, Museo civico, la personale di quadri dell’artista DAMIR BABIĆ si può visitare fino al 29 febbraio. Pisino, Museo Etnografico l’esposizione sulla cultura e l’arte indonesiana LA TERRA DEL SOLE E DEGLI UCCELLI rimane in visione fino al 29 febbraio.