N. 8 – 29 settembre 2011
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Rubrica Cinematografica
A cura di Marco Cannizzaro
4. ed ultima parte. Continuiamo con la segnalazione di alcuni film da poter visionare sul tema della
riconciliazione. Non sarà una lista esaustiva, alcuni non saranno neanche recentissimi, alcuni hanno
uno stile “duro”, ma sono tutti belli da vedere. E perchè non visionarli insieme? Buona visione!
Il concerto
Un film di Radu Mihaileanu. Con Aleksei Guskov, Dmitri Nazarov, Mélanie Laurent, François Berléand,
Miou-Miou. Valeri Barinov, Anna Kamenkova Pavlova, Lionel Abelanski, Alexander Komissarov, Ramzy
Bedia, Ovidiu Cuncea, Maria Dinulescu, Roger Dumas, Guillaume Gallienne, Aleksandr Komissarov, Ion
Sapdaru, Valentin Teodosiu, Jacqueline Bisset, Laurent Bateau, Valeriy Barinov, Vasile Albinet
Titolo originale Le concert. Commedia, durata 120 min. - Francia, Italia, Romania, Belgio 2009.
Andreï Filipov è un direttore d'orchestra deposto dalla politica di Brežnev e derubato della musica e
della bacchetta. Rifiutatosi di licenziare la sua orchestra, composta principalmente da musicisti ebrei, è
costretto da trent'anni a spolverare e a lucidare la scrivania del nuovo e ottuso direttore del Bolshoi.
Un fax indirizzato alla direzione del teatro è destinato a cambiare il corso della sua esistenza. Il
Théâtre du Châtelet ha invitato l'orchestra del Bolshoi a suonare a Parigi. Impossessatosi illecitamente
dell'invito concepisce il suo riscatto di artista, riunendo i componenti della sua vecchia orchestra e
conducendoli sul palcoscenico francese sotto mentite spoglie. Scordati e ammaccati dal tempo e dalla
rinuncia coatta alla musica, i musicisti accoglieranno la chiamata agli strumenti, stringendosi intorno al
loro direttore e al primo violino. La loro vita e il loro concerto riprenderà da dove il regime li aveva
interrotti, accordando finalmente presente e passato.
Con Train de vie Radu Mihaileanu "addolcì" la Shoa, circondandola di un'aura pienamente fantastica e
organizzando una finta "autodeportazione" per evitare quella reale dei nazisti. Il suo treno carico di
ebrei fintamente deportati ed ebrei fintamente nazisti riusciva a varcare come in una favola il confine
con la Russia. Ed è esattamente nella terra che prometteva uguaglianza, salvezza e integrazione, che
"ritroviamo" gli ebrei di Mihaileanu, musicisti usurpati del palcoscenico e della musica a causa della loro
ebraicità.
È un film importante Il concerto perché racconta una storia ancora oggi sconosciuta, la condizione
esistenziale degli ebrei che vissero per quarant'anni nel totalitarismo. Andreï Filipov e i suoi orchestrali
sono idealmente prossimi agli artisti che durante il regime di Brežnev si macchiarono dell'onta
infamante del dissenso e furono cacciati dal paese o dai luoghi dove esercitavano la loro arte con
l'accusa di aver commesso atti antisovietici. Costretti a vivere (e a morire) nei campi di lavoro della
dittatura brezneviana o additati di fronte al mondo e al loro Paese come parassiti sociali, i protagonisti
del film riposero gli strumenti per trent'anni e ripiegarono su esistenze dimesse e mestieri svariati:
facchini, commessi, uomini delle pulizie, conducenti di autoambulanza, doppiatori di hard movie. Il
regista rumeno li sorprende in quella vita (ri)arrangiata e offre loro l'occasione del riscatto artistico e
della reintegrazione nel loro ruolo.
Come Gorbaciov, Mihaileanu restituisce alla Russia un patrimonio umano e intellettuale, concretato nel
Concerto per Violino e Orchestra di Tchaikovsky, diretto da Filipov nell'epilogo e metafora evidente
della relazione tra il singolo e la collettività. Positivo del negativo Wilhelm Furtwängler, celebre direttore
della Filarmonica di Berlino convocato di fronte al Comitato Americano per la Denazificazione, l'Andreï
Filipov di Alexeï Guskov è un fool, un'anima gentile dotata come lo Shlomo di Train de vie di un talento
per l'arte della narrazione e della finzione, che conferma la predilezione del regista per l'impostura a fin
di bene e contro la grandezza del Male.
Ancora una volta è la musica ad accordare gli uomini. In un'amichevole gara musicale tra due etnie
perseguitate (ebrei e gitani) o nella forma del Concerto per Violino e Orchestra, due sezioni che
formano un'irrinunciabile unità emozionale.
Simon Konianski
Un film di Micha Wald. Con Jonathan Zaccaï, Popeck, Abraham Leber, Irène Herz, Nassim Ben
Abdeloumen, Marta Domingo, Ivan Fox, David Bass, Nassim Ben Abdelmoumen, Lise De Henau, Jean
Lescot, Stefan Liberski, Gustavo Miranda, Elodie Moreau, Mohamed Ouachen, Lise Roy, Denyse
Schwab. Commedia, durata 100 min. - Belgio, Francia, Canada 2009.
Simon Konianski ha trentacinque anni, un bambino e poca voglia di impegnarsi nella vita. Ipocondriaco
e separato dalla moglie, una danzatrice goy, Simon è costretto a ripiegare sulla casa del padre con cui
vive un rapporto conflittuale. Ernest, ex deportato, abita nella provincia belga e in un passato doloroso
che espone come una favola al nipotino. Alla morte del padre, Simon scoprirà che l'uomo nascondeva
un segreto, una prima moglie morta giovane, accanto alla quale desidera essere seppellito. Escluso il
dispendioso viaggio in aereo, Simon partirà alla volta di Lublino a bordo del suo fuoristrada e in
compagnia del figlio e di una coppia di zii. La visita al campo di concentramento di Majdanek e
l'incontro con la comunità ebraica locale, muoveranno Simon alla commozione e alla maturità.
Simon Konianski è un ebreo che non vuole avere niente a che fare con gli ebrei, che aspira alla
"normalità" e per questo sente il bisogno di "rinnegare" il padre, o almeno di disubbidirgli. Spettinato e
incerottato, Simon preferisce indossare una felpa filo-araba con la scritta "Baghdad" nel tentativo di
fugare ogni possibile fraintendimento circa le sue origini e le sue posizioni. Il sipario si alza allora su un
doloroso (e necessario) strappo di natura generazionale. La morte annunciata del genitore lascia
tuttavia Simon con la responsabilità di doversi riappropriare di un'identità perduta. Micha Wald, regista
belga al suo secondo lungometraggio, getta le premesse per un'esilarante commedia familiare, che
attraverso il filtro cattivante dell'ironia, esplora temi e nodi fondamentali della cultura ebraica. Il
racconto si svolge on the road, dividendo senza possibilità di riconciliazione due generazioni: quella del
"giovane" Konianski, ebreo secolarizzato che rifugge la tradizione ebraica e l'ebraismo e quella degli
anziani, religiosi ferventi attraversati dal fantasma della Shoah. I vecchi traumi della deportazione
nazista e degli arresti della Stasi emergono dalla convivenza forzata in auto tra zii e nipote.
Gli ambienti in cui si muove il protagonista, la camera "in subaffitto" e l'automobile in panne, ne
accentuano il senso di precarietà, facendone un eroe perdente e infantile, respinto dalla moglie e
compatito dai parenti. Simon Konianski svolge con grazia e leggerezza argomenti lontani da ogni
leggerezza. Il magnifico protagonista di Jonathan Zaccaï è posseduto da un dybbuk, lo spirito di un
morto che chiede di non essere dimenticato. Quell'anima è Ernest, che dopo la dipartita riappare
fantasmatizzato al figliolo prodigo, "perseguitandolo" con i suoi consigli e riconducendolo verso
un'identità negata. Il risultato che conseguirà il viaggio non sarà il recupero dei valori religiosi o la
riconquista di una dignità sociale, Simon è e resterà disoccupato, ma l'unità della famiglia Konianski,
vero premio dell'eredità paterna. Davanti alla dimora estrema del padre, Simon scoprirà la sua vera
identità, che adesso vibra di un dolore antico che ha già imparato a tramandare.
Legami di famiglia
Un film di Pietro Sagliocco. Con Claudio Bigagli, Massimo Ranieri, Giovanna Carcasci Drammatico,
durata 95 min. - Italia 2002. Una famiglia napoletana retta in modo patriarcale dal padre Vincenzo,
costruttore edile, e divisa dalla separazione dei genitori e dalle incomprensioni tra questi e i figli, si
riunisce per la malattia della madre, Lucia. I tre figli reagiscono alla situazione drammatica in maniera
diversa: Paola si rifugia in una sorta di follia attutita, Luca acuisce lo scontro con il padre, e Marco
rivede i traumi della propria infanzia. La morte di Lucia risolve la situazione, ma nel frattempo i tre figli
hanno scoperto un'identità più profonda e intima. Dopo un paio d'anni di limbo, arriva nelle sale il film
di Sagliocco, prodotto con il contributo del Ministero. Difficile mantenersi neutri dinanzi ad una materia
tanto turgida, e riuscire a ricavarne del buon cinema, ma quantomeno il tentativo di scavare
nell'interiorità di personaggi lacerati dai drammi familiari ha il pregio di una toccante sincerità, dato il
carattere autobiografico della vicenda.
L'amico ritrovato
Un film di Jerry Schatzberg. Con Françoise Fabian, Jason Robards, Sam West, Barbara Jefford, Struan
Rodger. Christian Anholt, Maureen Kewin, Bert Parnaby, Jacques Brunet, Tim Barker, Shebah Ronay,
Roland Schaefer, Frederick Warder, Steven Poynter, Alan Bowyer, Gideon Boulting, Rupert Degas,
James Ind, Lee Lyford, Nicholas Pandolfi, Dorothea Alexander, Gerhard Fries, Peter Esciff, Alexandre
Trauner
Titolo
originale
Reunion.
Drammatico,
durata
110
min.
USA,
Germania
1989.
Hans Schwarz ha 16 anni ed è figlio di un medico ebreo. Abita a Stoccarda e frequenta il Karl Alexander
Gymnasium, ma non ha dei veri amici per i quali dare tutto se stesso. Tutto, però, cambia quando
entra a far parte della sua classe e della sua vita il figlio di una ricca famiglia di aristocratici tedeschi:
Konradin, conte di Hohenfels, titolo glorioso ereditato da generazioni e generazioni. Tra loro nasce
un’amicizia eccezionale e indelebile. I due iniziano a frequentarsi e a invitarsi l’uno a casa dell’altro.
Niente sembra poter rovinare il loro rapporto fino alla sera in cui al teatro cittadino il giovane ebreo
incontra l’amico al seguito della famiglia, ma questi, se pur riconoscendolo, non lo saluta e fa finta di
non vederlo. Hans rimane sorpreso e deluso da questo comportamento: teme che Konradin si vergogni
di lui. Così il giorno dopo gli chiede spiegazioni. Dopo qualche esitazione, il conte è costretto a
confidargli che la sera prima aveva dovuto agire in quel modo perché i suoi genitori, sua madre in
particolare, sono antisemiti, fedeli seguaci di Hitler. Infatti proprio in quel periodo il dittatore nazista
stava acquistando sempre più consensi rendendo con le sue idee e i suoi principi la vita difficile agli
ebrei. Purtroppo è questa la situazione che si respira nell’aria e i genitori di Hans decidono di mandare
il figlio a New York, da alcuni parenti, , fino a quando non si fossero calmate le acque, mentre loro
sarebbero rimasti in Germania, loro terra e patria. Passano gli anni e, in seguito al suicidio dei suoi
genitori, Hans rimane in America, diventa avvocato e sposa una ragazza di Boston, da cui ha un figlio.
Trenta anni dopo, quando ormai aveva cercato di dimenticare il passato e di costruirsi una nuova vita,
gli arriva per posta una richiesta di fondi da parte del Karl Alexander Gymansium di Stoccarda,
accompagnata da un libretto con tutti i nomi degli allievi morti durante la guerra. Scorrendo la lista,
riconosce tanti suoi ex compagni e quando, dopo qualche momento di esitazione, si decide a cercare il
nome del suo amico Konradin, legge con stupore: “Von Hohenfels, Konradin, implicato nel complotto
per uccidere Hitler. Giustiziato.”
Ipotesi di reato
Un film di Roger Michell. Con Ben Affleck, Samuel L. Jackson, Toni Collette, Sydney Pollack, William
Hurt. Dylan Baker, Richard Jenkins. Titolo originale Changing Lanes. Drammatico, durata 99 min. - USA
2002.
Le strade dell'avvocato Banek e del signor Gypson s'incrociano (loro malgrado) nel traffico di una
burrascosa giornata a New York. Sono entrambi diretti in tribunale e per entrambi incombe una
giornata cruciale: l'avvocato deve presenziare ad una causa che lo consacrerebbe, Gypson ha
un'importante incontro con la moglie per la custodia dei figli. Nel raggiungere il tribunale si scontano
con le loro auto e Gypson ha la peggio. Banek affronta il misfatto con leggerezza e non sa che sta
inguaiando il povero malcapitato. Da lì in poi sarà vendetta. 'Combatteranno' con colpi bassi che
potrebbero mandare sul lastrico entrambi. Viene fuori la sufficienza con la quale i potenti in
doppiopetto trattano quelli che considerano inferiori a loro. Sì ok, il finale è un po' sdolcinato, ma non
sempre bisogna fare il coup de thèatre. Sono scelte che spettano al regista e che possono piacere o
meno al pubblico. Tutto sommato, pur non avendo una supertrama è un film che fa riflettere.
Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno
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