Fare i conti con noi:
EMA, Eupati e HTA
Il ruolo delle Associazioni
di pazienti nelle Istituzioni
europee e in Italia
Diabete Italia ringrazia Janssen-Cilag per aver permesso,
con il suo contributo non condizionante, la realizzazione di questo libretto.
Diabete Italia ringrazia per il loro contributo le persone intervistate:
Dr. Walter Atzori, Senior Programme Officer, European Patient Forum
Dr.ssa Simona Bellagambi, membro dell’European Board di Eurordis
Dr. Filippo Buccella, coordinatore italiano Eupati, presidente di Parent Project
Avv. Marco Greco, presidente della European Federation of Crohn’s and
ulcerative colitis associations, membro di EMA
Prof. Paolo Mariani, docente di Metodi Quantitativi e Strategie di Impresa
dell’Università degli Studi di Milano Bicocca
Dr. Stefano Mazzariol, (partecipante al 1° corso Eupati), consigliere Parent Project
Prof. Francesco Saverio Mennini, docente di Economia sanitaria all’Università
di Roma Tor Vergata, presidente Ispor Italian Chapter Rome
Dr.ssa Paola Mosconi, responsabile del Laboratorio per il coinvolgimento dei
cittadini in sanità dell’Irccs Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri
Dr.ssa Catherine Perehudoff, responsabile Area Salute Beuc - European
Consumer Association
Prof.ssa Elisa Pintus, docente di Economia delle Aziende e delle Istituzioni
pubbliche all’Università della Valle d’Aosta
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Indice
Prefazione
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Un ruolo chiave in Europa per le Associazioni dei pazienti
4
Le Associazioni di pazienti protagoniste nella European
Medicines Agency
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L’impegno della Commissione Europea
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Eupati: una ‘Accademia’ europea per i rappresentanti dei pazienti 33
L’attività delle organizzazioni dei pazienti in Europa e in Italia
39
Il ruolo delle organizzazioni dei pazienti nel decision making in Italia: la grande opportunità dell’HTA
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Avvocati di se stessi: patient engagement senza Associazioni
60
Conclusioni
62
Glossario
63
fare i conti
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Prefazione
Concludo in queste settimane un’esperienza davvero particolare per un
medico: presiedere una realtà come Diabete Italia espressa pariteticamente da rappresentanti delle Società scientifiche e delle Associazioni di pazienti. E mi fa piacere concluderla firmando questa prefazione.
Ora spiego perché: in questo biennio, Diabete Italia si è impegnata in un
momento difficile. L’assistenza alla persona con diabete viene ridotta proprio mentre la domanda di salute cresce: sia per il numero di pazienti sia
per la quantità e la qualità delle opzioni terapeutiche che si aprono. Diminuisce l’accesso ai farmaci e ai presidi; la pressione sui prezzi riduce la
possibilità di scelta del medico e del paziente e quindi l’appropriatezza; si
rarefanno e si smantellano i Team diabetologici, non si assumono specialisti nuovi e partono con lentezza progetti di gestione integrata.
Occorre prendere decisioni migliori. E chi può farlo? La voce delle Società
scientifiche è sempre meno ascoltata negli ambiti regionali e nazionali, soprattutto per quel che riguarda accesso e pricing. Le Associazioni invece,
quale che sia la loro reale rappresentatività, sono ascoltate, o perlomeno
prese in considerazione nelle sedi politiche. Un ascolto parziale, strumentale, limitato? Certo, ma il coinvolgimento delle organizzazioni dei pazienti
nel decision making strategico è, non vi è dubbio, il futuro.
Questo libretto illustra dettagliatamente quel che sta avvenendo in Europa. Le Istituzioni comunitarie hanno fermamente promosso la partecipazione dei pazienti alla presa di decisione su tutto l’arco del processo che
dalla ricerca arriva fino alla commercializzazione di un farmaco e oltre. E
allo stesso tempo hanno promosso iniziative di formazione che permettono alle Associazioni di comprendere il processo e di esprimersi in modo
rilevante. Non è populismo: la Commissione Europea e le sue Agenzie
non cercano voti o elogi sulla stampa. Semplicemente ritengono che la
partecipazione di rappresentanti informati dei pazienti porti a prendere
decisioni migliori.
fare i conti
3
Ci sono dei limiti in questo processo: la partecipazione potrebbe essere
solo simbolica, esiste il rischio di una strumentalizzazione delle Associazioni. Non abbiamo paura di parlarne.
Non si cita in questo libretto né Diabete Italia né il diabete: quanto si scrive
vale infatti per tutte le patologie. Ma mi fa piacere notare che il modello di
Diabete Italia, unire a livello nazionale tutte le realtà che hanno davvero
a cuore l’assistenza al paziente, risulta coerente con quanto si fa a livello
europeo. E questo in Italia non è davvero frequente.
Salvatore Caputo
Presidente Diabete Italia
fare i conti
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Un ruolo chiave in Europa
per le Associazioni dei pazienti
Il Gabibbo davanti al Palazzo della Giunta regionale della Liguria, centinaia di persone con diabete di fronte al portone della Regione Piemonte.
E migliaia di comunicati stampa, richieste di incontro all’Assessore, interrogazioni parlamentari…
Con poche eccezioni per le Associazioni fra persone con diabete e genitori di minori con diabete, la rappresentanza politica dei propri diritti
(così possiamo tradurre il termine patient advocacy) coincide con la protesta contro decisioni già prese a livello di Asl, Assessorato regionale o
AIFA.
Protestare dopo o decidere prima?
È così da tempo; da sempre, si può dire. Eppure il vento sta cambiando:
«Si sta aprendo ora a livello europeo, così come a livello nazionale e regionale, una opportunità storica per le organizzazioni dei pazienti, la più
importante da molti anni: in sintesi la possibilità di partecipare fin dall’inizio al processo decisionale e non limitarsi a intervenire dopo», afferma
Paolo Mariani, docente presso il Dipartimento di Economia dell’Università
di Milano-Bicocca.
«A livello europeo si nota da tempo la volontà di coinvolgere sempre
di più nei processi decisionali tutti gli stakeholder (le figure coinvolte,
ndr). La Commissione Europea e il Parlamento Europeo ormai pretendono, da parte delle Istituzioni comunitarie che si occupano di salute, il
coinvolgimento attivo delle organizzazioni che rappresentano i pazienti»,
afferma Catherine Perehudoff, responsabile dell’area salute del Beuc,
l’Associazione europea dei consumatori, «e questo ruolo è destinato a
divenire sempre più incisivo sia a livello di Unione Europea sia a livello
nazionale».
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Dai trial alla sorveglianza un intervento a 360 gradi
«Anche nell’ambito dell’economia pubblica», spiega Elisa Pintus, docente
di Economia delle Aziende e delle Istituzioni pubbliche presso l’Università
della Valle d’Aosta, «esiste l’evidenza scientifica che, valorizzando il ruolo
degli stakeholder, si prendono decisioni migliori, che portano a migliori risultati economici». Si fanno insomma scelte più appropriate e più efficaci
in materia di salute. «Noi possiamo fornire un punto di vista che finora è
stato preso poco in considerazione: quello del paziente», spiega Stefano
Mazzariol, consigliere dell’Associazione Italiana Parent Project che segue
i pazienti con distrofia di Duchenne.
Questo punto di vista è utile in tutto l’iter che porta dalla ricerca e sviluppo (R&D) del farmaco o del dispositivo, al processo che ne autorizza la
commercializzazione e ne definisce la prescrivibilità, fino alla definizione
del prezzo e delle condizioni di accesso e anche oltre, passando per l’informazione ai pazienti e ai medici.
La crescita del ruolo potenziale dei pazienti coincide con un probabile
ridimensionamento del ruolo dei professionisti della salute, per esempio
delle Società scientifiche. Secondo Marco Greco, presidente della European Federation of Crohn’s and ulcerative colitis associations, «si vede chiaramente che nelle istituzioni che si occupano di salute a livello europeo, le
Società scientifiche e, in genere, le rappresentanze dei medici, non sono
più l’unico punto di riferimento.
«Oggi ci sono anche le Associazioni di pazienti. La mia sensazione è che
alcune Società scientifiche nazionali ed europee abbiano faticato ad
adattarsi in tempi rapidi alla necessità di una certa trasparenza. Mentre
con altre la collaborazione instaurata sta portando a risultati importantissimi per i pazienti».
«Molti anni fa», continua Marco Greco, «c’erano resistenze da parte dei
medici ad accettare la presenza dei rappresentanti dei pazienti in queste
sedi. Oggi assistiamo a un impegno preciso da parte delle Istituzioni europee, la Commissione, le sue articolazioni e il Parlamento, per superare
queste resistenze».
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Associazioni proattive e responsabili
«Nelle Istituzioni europee i pazienti hanno un ruolo specifico che è stato disegnato non come meramente rappresentativo ma come proattivo.
Siamo portatori di un interesse e il nostro obiettivo è aiutare tutti gli altri:
case farmaceutiche, professionisti della cura, Agenzie nazionali e payors
a creare un sistema più efficiente», spiega Greco, che fa parte di diverse
Commissioni presso la European Medicines Agency. «Le Associazioni non
chiedono più ‘tutto per tutti’. Devono rappresentare tutte le istanze, ma
sanno bene cosa è necessario e cosa no, e a chi. Per esempio l’Associazione Amici, che rappresenta i pazienti con morbo di Crohn, da anni lavora
con il Ministero della Salute affinché le esenzioni dal ticket siano molto
più mirate. Chiede la copertura di esami diagnostici che permetterebbero
di risparmiare altre procedure molto più costose. Prendiamo la questione
importante dei biosimilari (le versioni generiche di farmaci biotecnologici).
Ci sono tensioni molto forti tra i vari stakeholder e grande interesse da parte di chi paga le cure. Qui il coinvolgimento dei pazienti è fondamentale».
Paola Mosconi, responsabile del Laboratorio di ricerca per il coinvolgimento dei cittadini in sanità dell’Irccs, Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri, concorda sulla crescente responsabilità delle Associazioni.
«Tuttavia in generale la voce dei pazienti si fa sentire per sollecitare l’esecuzione di un comportamento o di un atto di cura. Quasi sempre invita a
moltiplicare test, cure, accessi a specialisti anche quando non è provato
che quello screening, quella terapia, quella visita potrebbe portare un effettivo beneficio».
Il rischio di una partecipazione simbolica
«Esiste il rischio – e questo è un problema – che il coinvolgimento del rappresentante dei pazienti sia formale, simbolico (token)», nota Catherine
Perehudoff che dalla sede Beuc di Bruxelles segue le attività di Commissione e Parlamento Europeo e delle varie Agenzie comunitarie, insieme
all’italiana Ilaria Passarani. «Noi di Beuc abbiamo introdotto il concetto
di meaningful confrontation, confronto significativo. Questo si materiafare i conti
7
lizza quando il parere di consumatori o pazienti è sollecitato su questioni rilevanti ed è concretamente utilizzato nel processo decisionale. Non
succede sempre: dipende dal tema, dalla sensibilità delle istituzioni dove
avviene il confronto e dalla capacità di chi rappresenta il consumatore».
Insomma, come l’esperienza anche italiana di alcune Associazioni e Coordinamenti regionali di Associazioni conferma, una cosa è far parte di un
processo decisionale un’altra, ben diversa, è ‘contare’.
Lo stesso Marco Greco, che pure ogni mese si reca a Londra alla sede della European Medicines Agency, l’Istituzione comunitaria con più potere in
materia di salute, ammette di non essere parte dei processi che portano
alle decisioni chiave. «Nella ‘stanza dei bottoni’ i pazienti non ci sono, ma
almeno la possiamo vedere, ne capiamo meccanismi e funzionamento. Ci
siamo quasi, diciamo». Catherine Perehudoff continua: «A livello europeo,
per quanto sempre più trasparente, il processo decisionale non è chiaro.
A volte è difficile capire se le indicazioni che abbiamo dato in una fase del
processo siano effettivamente tenute in considerazione nelle fasi seguenti». E secondo Paola Mosconi «le Associazioni, anche a livello europeo,
ancora non arrivano là dove si prendono davvero le decisioni».
Quanto all’Italia, Filippo Buccella, coordinatore italiano di Eupati, ha ammesso: «Malgrado ci sia molto interesse per l’empowerment e la partecipazione dei pazienti, nella nostra esperienza, soprattutto in Italia, il paziente non è ancora ‘utilizzato’ come una risorsa e la sua partecipazione
ai processi decisionali è ancora una chimera».
Una maggiore cooperazione fra Associazioni
impegnate in diverse patologie
In Europa, quasi tutte le best practice in materia di rappresentanza dei
diritti dei pazienti vedono protagoniste le Associazioni dedicate alle malattie rare. Una malattia è rara quando ha una prevalenza inferiore a 5
casi su 10 mila. «Ma spesso le malattie rare coinvolgono una manciata di
casi su ogni milione di residenti», spiega Simona Bellagambi, membro del
board di Eurordis, organizzazione europea che rappresenta i pazienti con
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malattie rare. «Questo ha dato subito all’associazionismo dei pazienti una
portata nazionale. Non ha senso dividersi. In secondo luogo ci ha portato
a cercare una dimensione internazionale e quindi un rapporto forte con le
Associazioni di altri Paesi e anche alla creazione di Federazioni europee
delle singole malattie».
A questa crescita ‘verticale’ si è aggiunta un’estensione ‘orizzontale’. «Con
più difficoltà, bisogna ammettere, abbiamo capito l’importanza di superare l’ambito della singola patologia e affrontare problemi comuni», continua
Simona Bellagambi che ha fatto parte del direttivo di Uniamo, una ‘alleanza’, cioè una organizzazione che raccoglie diverse Associazioni dedicate
alle malattie rare. «Se parliamo di una legislazione per le malattie rare,
se parliamo di favorire la ricerca o di velocizzare e facilitare l’accesso alla
cura, ai farmaci e alle terapie innovative in ogni Paese, le esigenze della
‘mia’ patologia non sono differenti da quella di un’altra patologia, magari
diversa, ma che pone le stesse problematiche». Il ‘cerchio’, o meglio il rombo, come si vede nella figura nella pagina accanto, si è chiuso creando organizzazioni-ombrello delle malattie rare europee come appunto Eurordis.
«Le Associazioni dedicate alle malattie rare hanno capito che era necessario superare le specificità legate alla singola patologia», conferma Filippo Buccella, presidente di Parent Project, Associazione dedicata ai malati
di Distrofia muscolare Duchenne, «non solo, banalmente, per fare ‘massa
critica’ (complessivamente una persona su 20 in Europa soffre di una malattia rara, ndr), ma perché quando si parla di advocacy le somiglianze fra
le esigenze di gruppi diversi di pazienti sono molto più rilevanti delle differenze. Questo forse non è stato compreso ancora fino in fondo dalle Associazioni che seguono patologie croniche ad ampia diffusione», continua
Buccella, «come quelle metaboliche e cardiovascolari. È vero che molte di
queste rappresentano milioni di persone con esigenze molto diverse, ma
il problema dell’accesso, per esempio, è trasversale. Quando parliamo di
livelli essenziali di assistenza, di modifica del Titolo V della Costituzione, di
mancanza di equità fra l’assistenza sanitaria in Regioni diverse, parliamo
di temi che riguardano chiunque».
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Schema dei collegamenti nel settore delle Associazioni
dedicate alle malattie rare
Organizzazione-ombrello
europea delle Alleanze
Alleanza
nazionale fra
Associazioni
Associazione
europea
di patologia
Associazione
nazionale
di patologia
Il ruolo delle aziende
«All’azienda conviene coinvolgere il più possibile i portatori di interesse
perché questo riduce l’attrito potenziale con chi paga le cure» (il payor,
ndr), afferma Elisa Pintus autrice del libro Stakeholder engagement e politiche del farmaco (Il Mulino, 2015). «Le aziende farmaceutiche sono di
gran lunga più attrezzate delle organizzazioni dei pazienti nel fare pressione sui decisori: ma su chi e con chi? Recentemente le aziende hanno
capito che l’ordinatore della spesa non è più il medico. Il medico opinion
leader mantiene un potere decisionale ma questo sfugge agli altri professionisti della cura». La spesa sanitaria è decisa sempre di più da Agenzie
e Istituzioni nel triplo livello europeo, nazionale e regionale, le quali sono
sempre meno sensibili all’autorità scientifica del clinico e sempre più attente – o sempre meno disattente – alla voce del paziente. «È probabile
però che questa comprensione non si sia ancora tradotta in una coerente allocazione di risorse. Nelle aziende», continua Elisa Pintus che ha
seguito e diretto diverse analisi con i Centri di ricerca sia dell’Università
Bocconi di Milano sia con la Luiss di Roma, «la comprensione dell’imporfare i conti
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tanza strategica dei pazienti è recente. A livello organizzativo si è vista la
creazione di risorse appositamente dedicate al dialogo con le Associazioni, strutturate all’interno di Dipartimenti chiave. Non c’è ancora, però, la
capacità di intercettare la voce del paziente: si è capito che hanno una
rilevanza, ma siamo all’inizio di un percorso. Va anche detto che poche
organizzazioni offrono la professionalità che le aziende riscontrano nel
dialogo per esempio con le Società scientifiche o con i loro tradizionali
fornitori». Visto che le aziende rappresentano, soprattutto nel campo delle
malattie croniche a larga diffusione, il principale apportatore di fondi, lo
sviluppo di questa sensibilità non è un fattore secondario.
Paolo Mariani, Fondatore del Centro B-ASC (Bicocca Applied Statistic Center, Business Intelligence & Data Mining) dell’Università di Milano-Bicocca, è ancora più deciso. «Una volta la filiera delle decisioni, in termini di
accesso e pricing, passava fondamentalmente attraverso payor e Società
scientifiche o clinici. Adesso la presenza delle organizzazioni dei pazienti
appare imprescindibile. Il paziente si muove autonomamente nella sua
ricerca di interlocutori e nelle scelte sulla salute, il medico non rappresenta più la sola ‘porta di ingresso’ alla diagnosi, alla terapia e in alcuni
casi alla prescrizione. Quello che era un sistema rigido è diventato un
sistema ‘gassoso’ nel quale possono realizzarsi diverse configurazioni. E
questa – nella fase attuale – per le aziende è più una opportunità che un
problema».
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Dove possono intervenire le Associazioni
Le Associazioni possono esercitare un ruolo importante facendo sentire la
voce di chi concretamente vive la malattia in tutte le fasi del processo: dalla ricerca di una potenziale cura, fino alla sua commercializzazione e oltre.
Ricerca di base. Le Associazioni possono raccogliere finanziamenti in proprio o spingere affinché vengano finanziate (dagli Stati, dall’Unione Europea, dalle Società scientifiche o dall’Accademia) quelle ricerche ‘di base’
che le case farmaceutiche hanno meno interesse a promuovere. Le organizzazioni dei pazienti con malattie rare hanno una forte volontà di collaborare con i ricercatori. La Eurordis’ Survey on patient organisations and research (http://bit.ly/1Qn13m7), in un’inchiesta svolta su 309 Associazioni
nazionali di pazienti, ha riscontrato grande interesse e centinaia di casi di
coinvolgimento attivo nel promuovere, finanziare e collaborare alla ricerca.
Registri di patologia. Per passare ai trial veri e propri e per orientare l’assistenza sono importanti i Registri di patologia, nella redazione dei quali le
Associazioni possono svolgere un ruolo importante. «Si tratti di trial o di Registri, il paziente deve essere co-produttore di dati, sia a livello individuale
sia a livello di organizzazione. I Registri sono il cardine per tutte le attività di
programmazione sociosanitaria, per le sperimentazioni e molto altro. Il paziente però deve essere formato per capire bene il suo ruolo e i suoi diritti e
questo è un processo molto lungo», ricorda Simona Bellagambi.
Definizione dei trial. Perché un principio attivo sia autorizzato, il gruppo di
ricercatori o l’azienda farmaceutica che lo sviluppa deve presentare degli
studi clinici effettuati su un ampio numero di pazienti, i cosiddetti ‘trial
clinici’ (per sapere di più su questo tema http://bit.ly/1Y3akW4). L’Unione
Europea è convinta che i rappresentanti dei pazienti possano partecipare
a diversi livelli in questa fase cruciale perché qui si genera buona parte
dei costi del farmaco e dei tempi per la sua messa a disposizione. Occorre
fare in modo che lo sviluppo clinico sia ‘rilevante per il paziente’; questo
significa definire degli end-point (le variabili che si misurano per definire
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il successo del trial) legati alla sua esperienza nel mondo reale, e aiutare
nella selezione dei Centri.
Comitati etici. La partecipazione a uno studio clinico deve essere valutata da parte di un apposito comitato etico che prevede la presenza di un
rappresentante dei pazienti. È opportuno che le Associazioni dei pazienti
contattino questi rappresentanti dando loro le informazioni affinché la partecipazione allo studio sia vagliata velocemente e con esito positivo.
Consenso informato. L’Associazione dovrebbe collaborare nel definire le
informazioni da dare al paziente per ottenere il suo consenso alla partecipazione nel trial.
Reclutamento. «Coinvolgere le Associazioni nel processo di partecipazione
dei pazienti a uno studio clinico ha sicuramente benefici e rischi», nota
Paola Mosconi. «Tra i rischi, per esempio, c’è che questa opportunità sia
aperta solo alle persone coinvolte dalla Associazione. O che si creino attese o sentimenti di discriminazione in chi non è stato avvertito o coinvolto.
Dall’altra parte un serio problema della ricerca medica è la lentezza. Ogni
studio clinico ‘perde’ molti mesi per la semplice fase di avvio e partecipazione e in certi casi le Associazioni potrebbero contribuire a velocizzare
il processo per esempio promuovendo lo studio, facendo da testimone e
collaborando a fornire corrette informazioni sugli scopi e lo svolgimento».
Processo di autorizzazione. Le Associazioni possono partecipare al processo di valutazione degli studi clinici presentati e di autorizzazione alla commercializzazione in Unione Europea (vedi al riguardo i prossimi capitoli).
Pubblicazione dei risultati. È importante che tutti i risultati degli studi clinici siano resi noti ai pazienti. Occorre creare un canale credibile e costante
di informazioni rilevanti. Un campo poco noto ai pazienti è la pubblicazione
dei risultati di tutti gli studi clinici. «In attesa di una auspicabile legislazione
europea in materia», sottolinea Paola Mosconi che nell’Irccs, Istituto Mario Negri, dirige il Laboratorio di ricerca per il coinvolgimento dei cittadini
in sanità. «È importante che vengano pubblicati i risultati di tutti gli studi
clinici, compresi quelli che le aziende finanziatrici non hanno interesse a
rendere noti o quelli che hanno avuto risultati negativi».
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Informazione al paziente. Nel campo dell’informazione al paziente, le Associazioni sono già coinvolte a livello EMA, nella redazione dei materiali
che accompagnano i farmaci. «Controlliamo che le informazioni rese siano
comprensibili e che non manchino quelle rilevanti. Direi che i nostri consigli sono presi sul serio», afferma Catherine Perehudoff.
Pricing e accesso. L’EMA si limita ad autorizzare il farmaco alla commercializzazione. Ma spetta alle Autorità nazionali contrattare il prezzo e decidere le condizioni di rimborsabilità e di accesso. Già in qualche misura
stanno fornendo il loro contributo nelle decisioni prese a livello nazionale
e regionale. «Il paziente è un alleato del decisore, perché è in grado di
descrivere il percorso nella sua complessità. In particolare, è in grado di
fornire le informazioni necessarie oltre che sui costi diretti sanitari anche
e soprattutto sui costi diretti non sanitari e i costi indiretti (perdita di produttività e prestazioni previdenziali). La differenza fra un farmaco e l’altro,
infatti, può tradursi in giorni di assenza dal lavoro in meno, in una riduzione forte di prestazioni previdenziali quali pensioni/assegni di inabilità o di
invalidità. Stiamo parlando sempre di risorse pubbliche anche se ricadono
in un’ altra contabilità e il paziente è l’unico in grado di tenere traccia di
queste spese», afferma Francesco Saverio Mennini, professore di Economia Sanitaria all’Università di Roma Tor Vergata.
Promozione di comportamenti appropriati. «È comprensibile che un’Associazione desideri ridurre il numero di persone che contraggono la patologia di cui si interessa!», dice Paola Mosconi. «Spesso però una prevenzione
specifica o una diagnosi precoce non è possibile o non è efficace. L’Associazione – che non a caso è affiancata o ispirata dalle aziende – rischia,
senza volerlo, di promuovere pratiche non efficaci o non appropriate: screening indiscriminati, terapie farmacologiche ‘preventive’ a vita. Ben poche
tra le campagne di informazione promosse dalle Associazioni esplicitano
le basi scientifiche della loro proposta. E spesso queste basi sono poco
solide. Sono rari i casi in cui un’Associazione spinge a ‘non fare’ o a ‘non
esagerare’ in una logica di responsabilità sociale o semplicemente di appropriatezza prescrittiva».
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Le Associazioni di pazienti protagoniste
nella European Medicines Agency
La European Medicines Agency (EMA), istituita dalla Commissione Europea è il perno della rete di 27 Authority nazionali dedicate a garantire la
sicurezza dei farmaci commercializzati nell’Unione Europea. Nel management board di EMA ci sono due rappresentanti dei pazienti, Nikos Dedes
della European AIDS Treatment Group (EATG) e Wim Wientjens della International Diabetes Federation European Region, e un solo rappresentante
dei medici. L’agenzia, una branca della Commissione Europea a tutti gli
effetti, «si occupa della valutazione scientifica delle domande per l’autorizzazione alla commercializzazione dei prodotti farmaceutici nel mercato
europeo attraverso una procedura centralizzata. Una volta che il prodotto
è stato approvato, l’autorizzazione per la commercializzazione risulta valida in tutti i Paesi dell’Unione Europea», spiega Elisa Pintus, «nonché in
Svizzera, Norvegia e Islanda».
Dieci anni di crescente presenza dei pazienti
Annualmente la EMA riporta in un documento l’Annual report on EMA’s
interaction with patients, consumers, healthcare professionals and their
organisations, le sue interazioni con le Associazioni di pazienti/consumatori e con quelle dei professionisti della salute. L’edizione 2014 è disponibile a questo link: http://bit.ly/1RDZbGF.
Dal punto di vista quantitativo, la partecipazione dei pazienti è in continua
crescita. Considerando tutte le attività che prevedono il coinvolgimento di
organizzazioni che danno input su specifiche delibere relative al rischiobeneficio di medicine, nel 2014 sono stati ascoltati 55 componenti ‘fissi’
dei comitati, 242 rappresentanti di organizzazioni e 336 pazienti esperti
a titolo individuale per un totale di 633 contro i 551 del 2013 (un aumento del 20%) o i 307 del 2010 (un raddoppio).
A titolo di comparazione, le interazioni con i medici e professionisti della
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15
cura sono state 296 nel 2014 contro 291 nel 2013 (+2%). Quindi i pazienti in EMA sono ascoltati 2 volte più spesso dei medici e l’attenzione
nei loro confronti cresce 10 volte più velocemente.
«A livello quantitativo si vede un’evoluzione importante», conferma Walter
Atzori, Senior Programme Officer presso lo European Patients’ Forum di
Bruxelles, «nelle Istituzioni europee si nota un interesse sempre maggiore
a coinvolgere le organizzazioni dei pazienti. A livello qualitativo invece il
discorso è leggermente diverso: l’aumento dei contatti e delle partecipazioni non si traduce necessariamente in una proporzionale evoluzione
nell’impatto delle organizzazioni sul processo decisionale. Ciononostante
è necessario far notare che negli ultimi anni le organizzazioni di pazienti
hanno giocato un ruolo importante all’interno di alcuni dossier di rilevanza Europea, quali per esempio la nuova legislazione sui Clinical Trials,
Cross-Border Healthcare, e Farmacovigilanza».
Anche dal punto di vista qualitativo il ruolo dei pazienti è in crescita. Il
regolamento 726 del 2004 del Parlamento Europeo, in particolare l’articolo 78/1 del Titolo IV, dà mandato alla European Medicines Agency
(EMA), al suo consiglio di amministrazione e ai suoi comitati di sviluppare i contatti con i consumatori e i pazienti. Per rispondere a questa
norma il 15 dicembre 2005 il management board di EMA ha approvato
il documento Framework of interaction between the EMEA and Patients’
and Consumers’ Organisations, che istituisce il Working Party with Patients’ and Consumers’ Organisations (PCWP) con il mandato di fornire
raccomandazioni all’EMA e ai suoi comitati su tutte le questioni relative
a medicinali che, direttamente o indirettamente, interessano i pazienti. I
pazienti sono coinvolti nelle procedure di Protocol Assistance per i farmaci orfani dal 2005 e in quelle di Scientific Advice dal 2013.
EMA edita una newsletter mensile in inglese, Human medicines highlights
dedicata alle Associazioni dei pazienti, che tiene traccia di tutto quello
che è stato fatto e si sta facendo in EMA. Si raggiunge la pagina attraverso
questo link: http://bit.ly/1Khzl5j.
Le Linee guida delle modalità di partecipazione delle organizzazioni dei
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pazienti alle attività di EMA sono delineate in questo documento redatto
nel 2014: Incorporating patients’ views during evaluation of benefit-risk
by the EMA Scientific Committees (http://bit.ly/1KNfKAx) e nel Revised
framework for interaction between the EMA and patients and consumers
and their organisations (http://bit.ly/1jud5iW).
CHMP. Per ottenere un’autorizzazione alla vendita (licenza) valida in tutti
gli Stati dell’Unione Europea, l’azienda che ha sviluppato un farmaco può
utilizzare un processo chiamato ‘procedura centralizzata’ sottoponendo una richiesta alla European Medicines Agency. All’interno di EMA il
Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) effettua una
valutazione scientifica delle informazioni contenute nella domanda e prepara una opinione (scientific recommendation) positiva o negativa che è
trasmessa alla Commissione Europea la quale, a sua volta, emette una
decisione, consentendo o rifiutando l’autorizzazione. La decisione è presa
dal CHMP, che può essere considerato il comitato chiave di EMA, ma quasi sempre il CHMP consulta altri comitati per avere il loro parere su temi
specifici. Quando emette un’opinione positiva, l’Agenzia pubblica sul suo
sito (www.ema.europa.eu) un ‘sommario dell’opinione’. Quando la licenza
viene concessa emette un’informazione più dettagliata in un documento
chiamato European public assessment report (EPAR).
PCWP. Dal 2015 un rappresentante dei pazienti è stato accolto come
‘osservatore’ nel CHMP che è il comitato-chiave di EMA. Il CHMP però consulta un gruppo ad hoc chiamato Patients’ and Consumers’ Organisations
Working Party (PCWP), composto da rappresentanti delle organizzazioni
dei pazienti e dei consumatori.
Spesso ai working party sono assegnati compiti legati alla valutazione
di domande di licenza e alla redazione o revisione di Linee guida. A fine
2015 ne facevano parte ben tre italiani: Marco Greco per lo European
Patients’ Forum, Ilaria Passarani per conto del BEUC e Paola Baiardi della
Fondazione Salvatore Maugeri.
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Il PCWP si riunisce da 3 a 5 volte l’anno e ha 2 presidenti: uno eletto da
EMA e l’altro dai componenti del gruppo stesso. Fino al 2016 i presidenti
sono Isabelle Moulon (EMA) e David Haerry (EATG). Il PCWP può creare dei
sottogruppi per la redazione di documenti, composti da componenti del
working party integrati da altri, se del caso. Esiste anche un working party
‘dei Medici’ chiamato Healthcare professionals working party. Questo documento riporta l’action plan del PCWP per il 2015 (http://bit.ly/1K9JEvp).
Chi fa parte del PCWP. Secondo lo Statuto di EMA possono far parte del
PCWP al massimo 20 Associazioni di pazienti. Attualmente sono 19: soprattutto federazioni europee di Associazioni nazionali di pazienti o di ‘coalizioni’ che comprendono Associazioni di pazienti e di medici, come è il
caso della International Diabetes Federation.
Dove possibile, scrive l’EMA nelle norme che regolano il funzionamento del
PCWP, sarebbe preferibile che le organizzazioni nominassero un paziente o
un caregiver (per esempio il genitore di un paziente di minore età). I membri
saranno nominati per un periodo di tre anni rinnovabile e potranno indicare
un vice nel caso eccezionale in cui non potessero partecipare all’incontro.
Se una organizzazione non si presenta per tre volte consecutive alle riunioni del PCWP la sua partecipazione viene revocata.
Organizzazioni ‘di riserva’
Quando necessario, il working party può avvalersi dei servizi di esperti o
rappresentanti dei pazienti con esperienza su temi specifici. Rappresentanti di altre organizzazioni di pazienti e di consumatori possono chiedere
di partecipare come osservatori in specifiche riunioni. In linea di principio
deve trattarsi di ‘organizzazioni eleggibili’, vale a dire di organizzazioni che
rispondono ai criteri fissati dalla EMA. La rete delle organizzazioni consultabili è arrivata, nel 2014, a un totale di 62 (9 in più rispetto al 2013).
Criteri di eleggibilità
I criteri per essere definiti un’organizzazione eleggibile sono stati stesi nel
2014 nel documento Criteria to be fulfilled by patients’ and consumers’
fare i conti
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organisations involved in European Medicines Agency (EMA) activities
(http://bit.ly/1UOMTkb). I criteri principali sono i seguenti.
• Essere rappresentativa dei pazienti/consumatori in tutta l’Unione Europea. Si considerano adeguatamente rappresentative le organizzazioni registrate nell’EU Health Forum, o presso il Consiglio d’Europa. Si può coinvolgere un’Associazione nazionale soltanto se ne manca una europea.
• Gli organi di governo dell’organizzazione devono essere elettri dai
membri: pazienti, caregiver o loro rappresentanti eletti.
• Le dichiarazioni e le opinioni dell’organizzazione devono riflettere le
visioni e le opinioni dei suoi membri. L’organizzazione deve disporre di
adeguate procedure di consultazione, e prevedere un flusso di informazioni in ambedue i sensi: dai rappresentati ai membri, e viceversa.
• L’organizzazione deve dichiarare a EMA i finanziamenti che riceve,
elencando i nomi dei finanziatori e l’entità dei loro contributi. Ogni attività effettuata con la sponsorizzazione o la collaborazione delle aziende deve essere chiara e trasparente.
• L’organizzazione deve aver pubblicato sul sito i suoi Statuti, informazioni sulle fonti di finanziamento e le sue attività.
COMP. Per l’azienda o il gruppo di ricercatori che stanno svolgendo una
ricerca su un possibile farmaco è importantissimo ricevere la designazione di ‘farmaco orfano’, che consente un alleggerimento significativo dei
requisiti necessari per ottenere l’autorizzazione e una forte velocizzazione del processo. L’idea è che un farmaco o un dispositivo o una procedura potenzialmente in grado di diagnosticare, prevenire o curare una
patologia che non ha opzioni terapeutiche valide, soprattutto se destinato
a un esiguo numero di pazienti, abbia diritto a una ‘corsia preferenziale’. Altrimenti i costi della ricerca risulterebbero sproporzionati al valore
di mercato del farmaco prodotto. All’interno della European Medicines
Agency è il Committee for Orphan Medicinal Products (COMP) a decidere
se la ricerca merita la designazione di farmaco orfano. In questo comitato tre rappresentanti di organizzazioni dei pazienti votano insieme a un
fare i conti
19
rappresentante per ogni Stato membro e tre persone designate dalla EMA
stessa. I rappresentanti sono Mario Ricciardi, specialista del Policlinico
di Verona in rappresentanza della Cystic Fibrosis Europe, Lesley Green di
Eurordis e Marie Pauline J. Evers per EGAN.
PDCO. Molti farmaci non hanno una indicazione per l’utilizzo in età pediatrica. A volte questo avviene per reali ragioni di sicurezza, a volte semplicemente perché ottenere questa indicazione è molto costoso e complesso e
l’azienda sponsor del principio attivo preferisce non chiederla. All’interno
di EMA, il Paediatric Committee (PDCO) valuta i risultati delle ricerche effettuate (dall’azienda sponsor o da terzi) sulla popolazione pediatrica ed
esprime delle opinioni in materia. In questo comitato, su 12 componenti,
ben 3 rappresentano organizzazioni dei pazienti (attualmente Eurordis,
European Haemophilia Consortium ed European AIDS Treatment Group).
Altrettanti rappresentano Società scientifiche. È interessante notare che
tra questi 6 componenti e i 6 alternates (vice-componenti) 4 sono italiani.
Scientific advice/protocol assistance. Il processo di autorizzazione può prevedere l’intervento di EMA fin dalla fase del disegno dei trial di
fase III, vale a dire gli studi che sanciscono definitivamente efficacia e sicurezza del farmaco. In pratica, la casa farmaceutica discute con EMA quali prove potranno portarla a concedere l’autorizzazione. Può trattarsi del
numero di persone da studiare, della composizione di questo campione,
della durata dell’intervento e del periodo di controllo, dei valori che si vogliono misurare. I pazienti sono sempre più coinvolti in queste discussioni
che si definiscono di protocol assistance per i farmaci che curano malattie
rare e di scientific advice per gli altri. I pazienti possono essere invitati a
intervenire negli scientific advisory group e nei gruppi di esperti ad hoc
chiamati a dare il loro parere sulla concessione della licenza a un farmaco.
Nel 2013, 28 pazienti sono stati coinvolti sia per iscritto sia in incontri e
33 pazienti hanno partecipato a oltre l’80% degli incontri dello ccientific
advisory group e ai gruppi di esperti ad hoc. C’è stata una coerente parfare i conti
20
tecipazione nella valutazione del rischio/beneficio di medicine sia negli
scientific advisory group, sia nelle consultazioni in seno al CHMP sia nelle
procedure scientific advice/protocol assistance; in queste ultime i pazienti possono portare valore grazie alle loro esperienze di vita relative alla
malattia e al trattamento.
CAT. È l’acronimo di Committee for Advanced Therapies. Sotto il nome di
terapie avanzate, l’EMA fa ricadere i farmaci basati sulla terapia genica
con cellule staminali o manipolate (per esempio con una modifica del
DNA). Si tratta di un segmento molto ‘caldo’ della ricerca.
Trattandosi di approcci del tutto innovativi, i problemi di sicurezza posti
sono forti, così come il possibile costo delle terapie. All’interno di EMA il
(CAT) è responsabile per valutare la qualità, la sicurezza e l’efficacia di
questi medicinali e per seguire lo sviluppo scientifico nel settore.
Ne fanno parte cinque membri del CHMP, un rappresentante di ciascun
Paese dell’Unione Europea, due rappresentanti delle professioni mediche
e due delle Associazioni dei pazienti: Michelino Lipucci di Paola di Eurordis
e l’inglese Kieran Breen della European Parkinson’s Disease Association.
PRAC. Su impulso delle Authority nazionali, l’EMA interviene anche dopo
la commercializzazione del farmaco. Può infatti sospendere l’autorizzazione alla vendita o limitarla qualora giunga la segnalazione di eventi avversi.
Le decisioni in materia sono prese da un comitato, il PRAC (Pharmacovigliance Risk Assessment Committee), nel quale sono presenti un rappresentante delle Associazioni dei pazienti e uno delle Società scientifiche.
«Il PRAC deve decidere se il rischio è accettabile rispetto ai benefici. In
questo l’opinione dei pazienti è importante. Sono loro a correre il rischio e
sono loro ad avvertire gli effetti positivi del farmaco», spiega Marco Greco
che è appunto questo rappresentante. Ovviamente, quando si deve dare
un parere sul rapporto benefici/rischi al fine di dare al CHMP un importante strumento per decidere se togliere dal mercato un farmaco, occorre
capire quali sono le opzioni terapeutiche alternative. Può accadere che il
fare i conti
21
farmaco A per il quale sono stati segnalati degli eventi avversi seri (quelli
che comunemente si chiamano effetti collaterali) sia una delle opzioni
esistenti per la gran parte dei pazienti ma sia anche l’unica opzione valida per un gruppo specifico di pazienti. «In questi casi il mio compito è di
portare la voce – dopo averne discusso con i relativi rappresentanti – e il
punto di vista di questa minoranza», afferma Greco.
Marco Greco come rappresentante dei pazienti interviene anche nella comunicazione delle decisioni prese in materia di sicurezza su farmaci già
in commercio. «In questo EMA ha fatto passi da gigante: ora, quando si
interviene per restringere l’area di utilizzo di un farmaco, si lavora anche
per evitare che il provvedimento sia chiaro e comprensibile, e non crei indebita e ingiustificata ansia da parte di chi lo utilizza», afferma. A proposito
di sorveglianza post marketing, nel 2013, l’EMA ha ricevuto 13 richieste
da parte di individui o organizzazioni relative a specifici temi di sicurezza.
EPAR. EMA definisce anche i ‘pacchetti informativi’ che devono accompagnare ogni farmaco sia nell’orientare le Authority nazionali e i medici
prescrittori sia nell’informare i pazienti. I rappresentanti dei pazienti sono
molto coinvolti nella revisione delle informazioni date agli utilizzatori del
farmaco. Nel solo 2013 hanno rivisto 110 leaflet (bugiardini), 48 EPAR (i
sommari della procedura di autorizzazione che orientano la prescrizione
del farmaco in tutta Europa) e 39 comunicazioni relative alla sicurezza del
farmaco. Le valutazioni espresse dai pazienti sono prese in grande considerazione: quasi il 50% dei loro commenti ha portato a modifiche del testo.
I pazienti esperti
L’EMA può decidere di consultare ad hoc, per determinate patologie o
situazioni, dei ‘pazienti esperti’. Esistono delle liste di disponibilità alle
quali ci si può iscrivere inviando un curriculum personale e informazioni
sull’organizzazione alla quale si appartiene. Il curriculum è reso pubblico
e deve essere aggiornato ogni anno. La lista è a disposizione non solo di
EMA ma anche di aziende, fondazioni, Società scientifiche o governi.
fare i conti
22
Informazioni al pubblico
European Medicines Agency:
dove sono coinvolti i rappresentanti dei pazienti
✱ pazienti
coinvolti
Public Summaries
of Opinion (PSO)
pazienti
coinvolti
Comitati e Working Party
Procedure regolatorie
FASE DI TRIAL
Designazione
di ‘farmaco
orfano’
Definizione
dei protocolli
dei trial
COMP
CHMPSAWP
✱
pazienti
coinvolti
✱
pazienti
coinvolti
pazienti
coinvolti
✱
Ricerche
sull’utilizzo
pediatrico
✱
pazienti
coinvolti
CAT
COMP: Committee for Orphan Medicinal Products
PDCO: Paediatric Committee
fare i Pharmacovigilance
conti
PRAC:
Risk Assessment Committee
PDCO
23
Documentazione
sul farmaco (EPAR)
e ‘bugiardini’
✱
Risk Management
Plan summaries
(tentative)
VALUTAZIONE
✱ pazienti
coinvolti
pazienti
coinvolti
✱
pazienti
coinvolti
Modifiche
ai bugiardini
Comunicazioni
sulla sicurezza
post MARKETING
Valutazione
della documentazione
e autorizazione
alla vendita
Autorizzazioni
e limitazioni
CHMP
cat
prac
CHMP
prac
SAG
✱
✱
pazienti
coinvolti
✱
pazienti
coinvolti
CHMP: C
ommittee for Medicinal Products for
Human Use
SAWP: Scientific Advice Working Party
SAG
✱ pazienti
coinvolti
✱ pazienti
coinvolti
CAT: Committee for Advanced Therapies
SAG: Scientific Advisory Group
fare iReport
conti
EPAR: European Public Assessment
24
La formazione dei rappresentanti dei pazienti. L’EMA continua ad assicurarsi che pazienti, consumatori e caregiver invitati a partecipare alle
sue attività ricevano una formazione su misura e appropriata affinché sia­
no pienamente preparati a partecipare. Esiste una specifica strategia di
formazione che ha una sessione di training generale iniziale e incorpora
diversi metodi e materiali. Il tutto è accessibile a partire da questa pagina
web: http://bit.ly/1UOPhaB.
Un ruolo crescente nella strategia 2020. La direzione di EMA e la Commissione Europea intendono incrementare la partecipazione dei pazienti.
EMA, insieme alle agenzie nazionali, ha elaborato nel 2015 il documento
EU Medicines Agencies Network Strategy to 2020.
Come si legge nella bozza, la rete costituita dai responsabili delle Agenzie nazionali e dall’EMA “assicura che le persone e gli animali in Europa
abbiano accesso a medicine sicure, efficaci e di buona qualità e che i
pazienti, i professionisti della salute e i cittadini ricevano una adeguata informazione sulle medicine”. Fino a oggi le riunioni sono avvenute al
chiuso ma da gennaio le udienze di valutazione saranno pubbliche, trasmesse via web-tv e sarà possibile dall’esterno porre domande e ottenere
risposte.
Al Convegno AIFA Farmaci. Diritto di parola, nel 2013, Guido Rasi, Direttore esecutivo dell’EMA, ha posto il problema di coinvolgere i pazienti “anche attraverso il superamento dell’ingessatura dei comitati”, e ha previsto nel futuro di EMA “più trasparenza sulle motivazioni che stanno alla
base delle scelte regolatorie e un ruolo attivo nelle decisioni”. «Bisogna
anche decidere il timing, cioè il momento in cui il paziente viene chiamato
in causa: se all’inizio, nel corso o nella fase finale del processo», ha detto
Rasi, «dobbiamo decidere insieme come perfezionare la rappresentatività
dei pazienti e quali soggetti e valori devono avere una rappresentanza.
Per esempio, ritengo che la voce di chi è coinvolto nei trial clinici sia tuttora sottoutilizzata. Il contributo del cittadino dovrà sfociare nella rappresentanza nell’organo decisionale, il CHMP, da cui finora è stato escluso».
fare i conti
25
Una procedura a 3 livelli
EMA. Per ottenere un’autorizzazione alla vendita (licenza) valida in tutti gli
Stati dell’Unione Europea, l’azienda che ha sviluppato un farmaco può utilizzare un processo chiamato ‘procedura centralizzata’, sottoponendo una
richiesta alla European Medicines Agency (EMA) che ha sede a Londra.
AIFA. L’EMA non si occupa di pricing e di accesso. Cioè non definisce un
prezzo per il farmaco né decide se questo deve essere pagato dal Servizio
sanitario o dal paziente, se sarà distribuito in farmacia o solo in ospedale,
se sarà prescritto solo dallo specialista o anche al medico di medicina generale e così via. Queste decisioni vengono prese dalle Autorità nazionali.
In Italia è la Commissione tecnico scientifica di AIFA a emettere un parere vincolante sul ruolo di ogni medicinale nel contesto terapeutico e sulla
sua innovatività scientifica e terapeutica. Sempre AIFA, inoltre, produce le
raccomandazioni rivolte alle Regioni sulle modalità di fornitura e dispensazione. Il comitato prezzi e rimborsi di AIFA decide, sulla base di una istruttoria che comprende valutazioni HTA, indicazioni della Commissione tecnico
scientifica, documentazione giunta da EMA e l’esame dei suoi database, il
prezzo e le modalità di rimborso all’azienda.
Regioni. Quali effettivi enti pagatori, le Regioni, attraverso le Commissioni
regionali del farmaco, valutano le decisioni AIFA e inseriscono il farmaco
nel Prontuario terapeutico regionale. A livello di ASL o azienda ospedaliera,
le Commissioni terapeutiche locali determinano le modalità di uso del farmaco. In alcuni casi la procedura è inversa: le richieste di inserimento sono
prima valutate dalle aziende sanitarie e poi dall’Autorità regionale.
fare i conti
26
L’impegno della Commissione Europea
«Premesso che la sanità non è fra le materie soggette a competenza
esclusiva europea, varie organizzazioni dei pazienti sono riuscite a imporsi, acquisendo visibilità a Bruxelles e sviluppando delle competenze specifiche; possiamo parlare di ‘professionalizzazione’ delle organizzazioni
dei pazienti», esordisce Walter Atzori dello European Patients’ Forum, una
organizzazione che fra i suoi obiettivi ha il cosiddetto lobbyng etico (advocacy), cioè la rappresentanza presso le Istituzioni comunitarie degli interessi dei pazienti. «Delle tre Istituzioni», prosegue Atzori, «Commissione
Europea e Parlamento Europeo sono più accessibili, mentre il Consiglio
Europeo, composto dai ministri dei 28 governi, continua a essere un’istituzione meno accessibile non solo per le organizzazioni dei pazienti, ma
più in generale per i rappresentanti degli interessi della società civile a
prescindere dal settore».
Il Parlamento Europeo è da sempre molto sensibile al tema dei diritti del
consumatore, del paziente e del cittadino, temi sui quali il Parlamento
Europeo ha legiferato ampliamente. «I parlamentari europei sono forse meno vincolati da una ‘disciplina di partito’; rispetto ai parlamentari
nazionali, sono sicuramente più autonomi», spiega Atzori, «soprattutto
hanno bisogno di informazioni e di collegamenti con gli stakeholder e i
loro rappresentanti. Questo li rende molto approcciabili», continua Atzori:
«Noi cerchiamo di monitorare periodicamente l’effetto del nostro lavoro
di advocacy sulla legislazione e i risultati sembrano buoni. Quanto alla
Commissione, sia nel lancio delle iniziative sia nel monitorare la loro implementazione, è molto attenta: ha bisogno di evidenze e accoglie con
interesse, anche se in modo guardingo le informazioni che possiamo portare. Premesso che a ogni cambio di vertice occorre ricreare certi legami
e che periodicamente le competenze delle Direzioni Generali (i ‘Ministeri’
in cui è diviso il ‘governo’ europeo, ndr) possono cambiare, direi che con
alcune Direzioni lavoriamo molto bene».
fare i conti
27
«Il vero motore del coinvolgimento dei pazienti è la Commissione Europea,
in particolare la Direzione Generale che segue la salute», conferma Marco
Greco; «mi è parso di capire che l’attuale commissario, il lituano Vytenis
Ariukaitis, medico ospedaliero, stia dando impulso a questo processo»,
continua Greco.
Di patient empowerment si è iniziato a parlare nel 2006 nelle Conclusioni del Consiglio sui valori e principi comuni dei Sistemi sanitari dell’Unione Europea (da questo link si accede al testo in italiano: http://bit.
ly/1KhE3A7) stilate nel Consiglio Europeo sotto la presidenza di turno
dell’Austria e particolarmente dedicato al coinvolgimento dei pazienti, soprattutto nell’assistenza alle patologie croniche.
Nel 2012 la UE ha commissionato un Eurobarometer Qualitative Study
dedicato al coinvolgimento del paziente nelle scelte in materia di salute.
Lo studio (ecco il rapporto finale in inglese: http://bit.ly/1UQyKO7) affronta il tema soprattutto a livello di dialogo fra singolo paziente e medico,
ma tratta anche delle organizzazioni dei pazienti concludendo: “Davvero
pochi professionisti della salute o pazienti hanno detto di avere contatti
con organizzazioni dei pazienti, tra quei pochi vi sono soprattutto persone con patologie croniche. Alcuni pazienti hanno detto che potrebbero
essere interessati a un contatto qualora avessero patologie croniche o
problemi di natura legale”.
La Commissione Europea pare interessata a riorientare il processo di
coinvolgimento dei pazienti, che attualmente è forte soprattutto nelle malattie rare, verso quelle croniche. Nello EU Health Forum, tenuto a Gastein
ai primi di ottobre 2015, una sessione è stata dedicata al Patient empowerment in chronic disease: essential for securing health in Europe.
Procedure di consultazione
Uno strumento importante utilizzato dalla Commissione Europea per valutare i suoi atti sono le Consultazioni. Un documento posto in consultazione viene pubblicato sul sito della Commissione.
Chiunque in un arco di tempo definito, in genere due o tre mesi, può insefare i conti
28
rire dei commenti sia in generale sia su punti specifici. «Le Consultazioni
non sono un atto formale: ricevono centinaia di risposte che sono prese
in attenta considerazione. Noi cerchiamo di partecipare a tutte quelle che
riguardano temi suscettibili di avere un impatto sui diritti e sulle opportunità delle persone affette da patologie croniche», afferma Walter Atzori di
European Patients’ Forum.
EU Health Forum. Lo EU Health Forum è stato creato dalla Direzione
Generale per la sanità e sicurezza alimentare della Commissione Europea per garantire che la strategia europea per la salute sia aperta e trasparente e risponda alle aspettative dei cittadini. Il Forum ha due componenti: lo EU Health Policy e l’Open Forum.
Il Policy Forum raccoglie 52 organizzazioni che rappresentano tutte le
parti in causa in materia di salute. Sono quindi presenti: organizzazioni
non governative operanti in campo sanitario e organizzazioni di pazienti,
organizzazioni che rappresentano i professionisti del settore e i sindacati, organizzazioni di operatori sanitari e organismi assicurativi e aziende.
Fanno parte del Forum associazioni ‘orizzontali’ di pazienti come CittadinanzAttiva o ‘verticali’ come IDF. Il Forum si riunisce due volte l’anno in
sessioni di un giorno e può formare gruppi di lavoro su temi specifici da
affrontare fra una riunione e l’altra.
Il Forum serve ad assicurare alla Commissione che la strategia sanitaria comunitaria sia aperta, trasparente e risponda alle preoccupazioni
del pubblico. A questo scopo prende in esame l’attività dell’UE in diversi settori della salute pubblica e adotta raccomandazioni; partecipa alle
consultazioni della Commissione e la assiste nella loro organizzazione;
permette lo scambio di opinioni ed esperienze su un’ampia gamma di
argomenti; fornisce assistenza per l’attuazione e il seguito da dare a iniziative specifiche.
L’Open forum è un evento annuale che assicura il networking soprattutto
per i gruppi e le organizzazioni che non fanno parte del ‘giro’ di Bruxelles.
Negli ultimi anni lo Health Forum è stato poco utilizzato. Si è riunito di
fare i conti
29
rado, sì e no una volta l’anno, e ha partecipato assai poco al dibattito. Nel
marzo 2015, sotto il nuovo commissario Vytenis Andriukaitis, la Commissione ha annunciato un rilancio del Forum che avrà una sua piattaforma
internet, un calendario di incontri regolari un summit annuale e perfino un
premio annuale per il miglior progetto portato avanti da una organizzazione non governativa. Al momento non è previsto un aumento nel numero di
organizzazioni componenti del Forum, limitato per statuto a 50.
European Patients’ Forum (EPF). Alla ricerca di un interlocutore rappresentativo di tutti i pazienti europei, un po’ in analogia con l’esperienza
fatta con i consumatori, la Commissione Europea ha agevolato la creazione di una struttura autonoma e indipendente più appropriata rispetto alle
federazioni europee ‘verticali’ di patologia e a quelle nazionali ‘orizzontali’
(come CittadinanzAttiva).
Lo European Patients’ Forum raccoglie al momento 48 Associazioni europee relative a una patologia e 16 Associazioni nazionali ma che rappresentino almeno dieci malattie, per un totale di 64 organizzazioni. Nessuna Associazione ‘orizzontale’ italiana è rappresentata – anche se nel dicembre 2014 un dirigente di EPF, Camille Bullot, si è incontrato con alcuni
rappresentanti di associazioni italiane per porre le basi di una coalizione
italiana di rappresentanti dei pazienti.
I criteri di eleggibilità sono 5. Legitimacy: statuti registrati in un paese UE.
Representation: se è una organizzazione di patologia deve avere membri
in metà dei paesi UE, mentre se è una coalizione nazionale deve rappresentare almeno 10 gruppi di malattie. Democracy: il governo di queste
realtà deve essere eletto da pazienti o caregiver o da loro rappresentanti
eletti. Accountability and Consultation: ci devono essere procedure per
garantire che i rappresentanti condividano le loro idee con i membri.
Transparency: devono divulgare le loro fonti di finanziamento e rendere
consultabili dei bilanci rivisti da professionisti. EPF ha un’assemblea generale alla quale ogni organizzazione manda un delegato. L’assemblea
elegge un board di 9 membri.
fare i conti
30
Esiste anche un EPF Youth Group al quale le organizzazioni possono partecipare con un delegato di età compresa fra 15 e 25 anni.
Tra gli obiettivi dell’EPF troviamo quello di promuovere un meaningful patient involvement, un coinvolgimento significativo dei pazienti nello sviluppo e nella messa in atto di politiche sanitarie, di programmi e di progetti
nell’Unione Europea, nonché lo sviluppo e la crescita di organizzazioni dei
pazienti rappresentative, efficaci, sostenibili e inclusive e della cooperazione fra di esse. L’action plan dello European Patients’ Forum per il 2015
è molto preciso nel disegnare le sue priorità: “Continuare ad assicurare
che la forte prospettiva dei pazienti sia integrata in tutte le scelte politiche
comunitarie che hanno impatto sulla salute e a supportare l’implementazione delle leggi comunitarie che impattano sui pazienti”.
Secondo EPF, l’empowerment del paziente sia a livello individuale che
collettivo – e quindi politico – è “un pre-requisito per realizzare l’equità
delle cure e per avanzare il concetto che il paziente ‘co-produce salute’”.
Value Plus. Definito anche Value+, è un progetto condotto dallo European Patients’ Forum nel 2008-2010 per promuovere il coinvolgimento
dei pazienti nei progetti supportati dalla Commissione Europea. Come
descritto nel volantino di presentazione (http://bit.ly/1iIOfLY), Value Plus
si è concentrata sul concetto di meaningful patient involvement, significativo coinvolgimento del paziente. Il progetto ha realizzato un tool-kit, un
libretto ricco di consigli (in inglese) per chi intende rappresentare le esigenze e i diritti dei pazienti. Lo si può scaricare in versione pdf da questo
link: http://bit.ly/1LthF7R.
«In un certo senso l’azione nostra e di chi voleva creare consapevolezza
sul ruolo che le organizzazioni dei pazienti avrebbero potuto svolgere hanno avuto per così dire ‘troppo successo’. In alcune sedi le attese si sono
rivelate troppo alte rispetto alle effettive capacità di realizzazione.
Abbiamo capito che era necessario sviluppare competenze specifiche»,
commenta Walter Atzori, «in questo senso possiamo dire che Value+ è
stato uno dei motori del progetto Eupati».
fare i conti
31
Nei suoi materiali, ValuePlus sottolinea il rischio del tokenism che potremmo tradurre con ‘coinvolgimento simbolico’. Il tokenism si manifesta
quando il coinvolgimento del paziente non ha alcuna influenza reale sul
processo decisionale, ma è sollecitato tanto per dire che lo si è fatto. «Un
esempio di coinvolgimento ‘simbolico’ lo abbiamo vissuto quando la Commissione Europea, nell’assegnare i finanziamenti alla ricerca nel quadro
del Settimo programma quadro, ha inserito la partecipazione al progetto
dei pazienti fra i requisiti preferenziali», racconta Atzori; «noi e altre organizzazioni siamo stati sommersi di richieste di partecipazione ma nel 90%
dei casi lo spazio riservato ai pazienti era uno ‘strapuntino’: veniva chiesto un aiuto semplicemente nella dissemination, vale a dire nel divulgare
i risultati del progetto».
Si parla invece di ‘coinvolgimento del paziente’ (patient involvement)
quando il paziente, grazie alla sua esperienza e alle sue conoscenze specifiche, gioca un ruolo attivo nelle decisioni che avranno un impatto sulla
vita dei pazienti. Il progetto ha definito il concetto nel Value+ Model of Meaningful Patient Involvement, ha prodotto un manuale, un set di strumenti
e una serie di raccomandazioni.
Empathie. Sigla di Empowering Patients in the Management of Chronic
Diseases è uno studio finanziato dalla Commissione Europea terminato
nel 2014 per raggiungere una definizione condivisa del concetto di patient empowerment e identificare buone pratiche, fattori di successo e
ostacoli. Lo studio ha preso in esame delle buone pratiche di educazione del paziente e ha rilevato quattro tipi di strategie promettenti: quelle
ormai tradizionali (supporto all’autogestione, educazione del paziente),
quelle innovative (come il telecontrollo e le piattaforme virtuali interattive) pratiche di decision making condivise e cambiamenti nel modello
di cura (chronic care model). Il progetto ha poi analizzato gli ostacoli e
gli aspetti che facilitano l’educazione del paziente definendo un’agenda
di azioni e ha proposto un metodo per valutare le pratiche e trasferire
quelle di successo. Ecco il report del progetto: http://bit.ly/1wknMKr. Un
fare i conti
32
documento elenca le migliori pratiche per l’empowerment del paziente
riscontrate in Europa con una sezione dedicata al diabete (http://bit.
ly/1LthSb6).
PatientPartner. Il progetto PatientPartner (http://patientpartner-europe.eu), finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del Settimo
Programma Quadro, intendeva promuovere il ruolo delle organizzazioni
dei pazienti nell’ambito dei trial clinici.
Il progetto, sviluppato dal 2006 al 2011, ha confermato che i pazienti
sono sempre più interessati a prendere parte attiva ai processi che riguardano lo sviluppo di nuovi trattamenti – dal partecipare agli studi clinici,
a fornire consigli su protocollo, consenso informato e revisione etica –,
al processo complessivo di sviluppo dei farmaci, all’autorizzazione all’immissione in commercio e alla definizione delle strategie in tema di cura
della salute. L’idea è che coinvolgere le organizzazioni dei pazienti come
‘partner alla pari’ a tutti i livelli dei trial clinici contribuisca a una ricerca
più vicina ai reali bisogni dei pazienti.
Il progetto PatientPartner ha prodotto una serie di guide per le organizzazioni di pazienti e per le organizzazioni che finanziano la ricerca. Fra
queste Patient Involvement in Clinical Research. A guide for Patient Organisations and Patient Representatives (http://bit.ly/1M6dHVm).
Nelle sue raccomandazioni finali il progetto suggeriva all’Unione Europea
di promuovere attività di formazione sulla ricerca clinica per rappresentanti dei pazienti, raccomandazioni raccolte e messe in pratica nel progetto Eupati.
fare i conti
33
Eupati: una ‘Accademia’ europea
per i rappresentanti dei pazienti
Eupati, sigla di European Patient Academy on Therapeutic Innovation (Accademia Europea dei Pazienti sull’Innovazione Terapeutica), è un progetto quinquennale teso a fornire ai pazienti informazioni esaurienti, obiettive e scientificamente affidabili in materia di Ricerca e Sviluppo (R&D).
«Eupati non è solo un progetto che ha come obiettivo la formazione di
pazienti e rappresentanti delle organizzazioni dei pazienti nel settore
dell’innovazione terapeutica», tiene a sottolineare Walter Atzori che per
conto dello European Patients’ Forum segue l’organizzazione del progetto. «Eupati è una filosofia, è un motore del cambiamento che intende portare dalla partecipazione simbolica dei pazienti all’interno dei processi di
ricerca e sviluppo di nuovi farmaci alla loro presenza efficace».
L’idea è che solo pazienti ben informati possono essere interlocutori e
consiglieri delle autorità regolatorie, per esempio per gli studi clinici, e
preparati rappresentanti dei pazienti nei comitati etici. «Il rappresentante
dei pazienti, quando partecipa al dialogo con gli amministratori del Servizio sanitario, rischia di essere ignorato, di non essere rilevante e di essere manipolato. Ci si può difendere da questi tre rischi soprattutto con
la formazione», afferma Filippo Buccella; «per dare un contributo rilevante
devi capire nei dettagli il processo nel quale sei inserito o chiedi di essere
inserito, devi comprenderne le procedure e il gergo, devi capire cosa sei
in grado di fare e come farlo nel modo più efficace».
È importante dominare la complessità insita nelle questioni che vengono trattate, nota ancora Buccella: «Nelle scelte in materia sanitaria quali
che siano – definizione di un trial, valutazione dei risultati, pricing, accesso, sorveglianza, post marketing… – c’è sempre una complessità. Se il
rappresentante dei pazienti non è abbastanza informato, viene portato a
credere che da questa complessità discenda una sola soluzione corretta
che, guarda caso, è quella sostenuta dalla ‘controparte’. Invece non è
fare i conti
34
così, la complessità esiste, ma da essa discendono diverse soluzioni possibili. Si tratta quindi di trovare una mediazione per scegliere quella più
appropriata», continua Buccella.
Eupati è il più importante fra i molti progetti avviati a livello nazionale
e internazionale per trasferire queste informazioni ai rappresentanti dei
pazienti in modo da rendere credibile, efficace e non manipolabile il loro
operato. Lanciato nel febbraio 2012, è gestito da un consorzio di 29 organizzazioni/Associazioni di pazienti, mondo accademico e organizzazioni no profit che operano per coinvolgere attivamente pazienti e membri
dell’Efpia (European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations).
Il consorzio è guidato dallo European Patients’ Forum. Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea nel quadro della Innovation in Medicine
Initiative. È l’unico dei tanti progetti IMI guidato dai rappresentanti dei
pazienti, anche se nel suo board sono presenti rappresentanti dell’Università e delle aziende.
Eupati fa parte degli sforzi di ricerca della Commissione Europea, la quale
ritiene che le organizzazioni dei pazienti, avendo una prospettiva unica
sulla vita reale e sulle reali esigenze dei pazienti, possano aiutare a definire le priorità di ricerca e il disegno dei trial, soprattutto quelli non finanziati dalle case farmaceutiche.
Il suo scopo è sviluppare e far circolare una conoscenza obiettiva, credibile, corretta e aggiornata sulla R&D farmaceutica e costruire competenze
ed expertise tra i pazienti e nel pubblico per facilitare il loro coinvolgimento nella R&D a livello di ricerca accademica, ricerca aziendale, comitati
etici e Autorità.
Concretamente Eupati opera a tre livelli:
• Creare una ‘biblioteca pubblica’ informatica su aspetti specifici del
processo di sviluppo di farmaci per pazienti (e consumatori) con una
preparazione elementare in materia. I documenti saranno disponibili nelle 6 principali lingue comunitarie (inglese, francese, tedesco,
fare i conti
35
spagnolo, polacco e italiano) che sono parlate in 12 Paesi e in russo (lingua compresa almeno dalla popolazione adulta in buona parte
dell’Europa orientale). I materiali saranno liberamente utilizzabili, si
stima, da 100 mila cittadini europei. «Questo terzo strato è principalmente destinato all’uomo della strada che, in quanto paziente, caregiver o persona informata, non ha un background scientifico ma desidera capire di più su un tema chiave nella vita sociale ed economica di
un Paese. In questo ambito in Italia c’è già una certa informazione ma
manca una vera e propria divulgazione che sia formalmente corretta
dal punto di vista scientifico ed etico», nota Buccella.
• Formare circa 12.000 ‘patient advocates’ mettendo a disposizione
materiale didattico in diversi formati e tradotto nelle principali lingue
europee: documenti cartacei, kit di slides per presentazioni frontali,
corsi di e-learning disponibili su internet, webinar e video, eventi frontali, etc. «Questa parte del programma vede il coinvolgimento forte
delle ‘Platform’ nazionali. Si tratta, infatti, di collaborare alla creazione
e alla traduzione, anche in Italiano, di un ampio numero di materiali: testi, video, infografiche, file audio destinati alla ‘classe dirigente’
delle Associazioni», spiega Filippo Buccella coordinatore della Italian
National Platform di Eupati. Questa seconda modalità formativa non
è così approfondita come quella destinata agli expert patients ma è
sicuramente in grado di creare una competenza diffusa su tutte le fasi
dello sviluppo di un farmaco. Proporremo questi testi anche ai giornalisti che si occupano di salute sulla carta stampata, sul Web e sui Social
media, molti dei quali hanno bisogno di integrare la loro buona volontà
con una base di conoscenze per non incorrere in spiacevoli errori».
• Formare circa 100 ‘expert patients’ Il livello più alto del progetto
prevede di formare 100 rappresentanti delle Associazioni dei pazienti provenienti da tutta Europa mediante due corsi intensivi solo
in lingua inglese con giornate di lezioni frontali e di formazione a
distanza, con webinars, seminari e valutazioni periodiche rigorose. La prima edizione dell’Eupati Expert Patients Training Course è
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iniziata il 6 ottobre 2014 ed è terminata a fine 2015, coinvolgendo
53 tra pazienti, familiari, volontari e rappresentanti dei pazienti. La
seconda edizione, iniziata nell’ottobre 2015, ha coinvolto altri 50
partecipanti e finirà a novembre 2016. Il corso prevede 250 ore di
apprendimento on line e due sessioni frontali di 4 giorni ognuna.
Un panel indipendente ha selezionato i partecipanti tenendo in considerazione la necessaria conoscenza dell’inglese, le precedenti esperienze nelle organizzazioni di pazienti, le loro motivazioni, e valutando
anche una serie di fattori legati alla rappresentatività nazionale e di
patologia. Alla fine del corso i partecipanti avranno le conoscenze necessarie per dare il loro contributo significativo loro attività di advocacy e sapranno contribuire al processo di coinvolgimento del paziente
nel percorso di ricerca e sviluppo dei farmaci innovativi in Europa.
Diventare ‘expert patients’
«Il corso», spiega Stefano Mazzariol, iscritto alla prima edizione, «è
suddiviso in 6 moduli: on line si trovano, in inglese, testi, video, audio,
ciascuno accompagnato da un breve test per verificarne la comprensione. Ogni modulo si conclude con un altro test abbastanza impegnativo, di 80-90 domande. Se non si risponde correttamente almeno al 75% delle domande non si può passare al modulo seguente».
Mazzariol che ha un figlio con la distrofia di Duchenne, è laureato in Chimica ma ha sempre avuto molto interesse per il mondo della ricerca in
Medicina. Grazie alla sua formazione e al lavoro (è responsabile acquisti
in una media azienda metalmeccanica), non ha troppi problemi con l’inglese, unica lingua del corso. «Me la cavo bene a leggere i testi, ma devo
ammettere che, non essendo comunque madrelingua, la comprensione
dei video e degli audio richiede un tempo maggiore del previsto. A volte
devo riascoltare delle frasi. Credo che ci impiegherò 300 ore in totale».
Mazzariol ha già partecipato al primo dei due incontri di 4 giorni a Barcellona in cui si procede alla verifica pratica dei concetti appresi. «Ci sono
alcune lezioni frontali sui regolamenti europei e molti lavori di gruppo e
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simulazioni. Per esempio abbiamo simulato alcune fasi del processo decisionale. Nel sito è compreso un forum riservato, al quale possono accedere gli studenti e i docenti. Inoltre ci sono dei tutor – persone che lavorano
nel mondo della ricerca – ai quali puoi accedere anche telefonicamente».
Un impegno significativo quello affrontato da Mazzariol (che riceve un rimborso per i viaggi, ma nessun compenso per il tempo impiegato). «Come
utilizzerò queste conoscenze una volta finito il corso? Ovviamente sono a
disposizione per trasferirle a tutti i pazienti e ad altre Associazioni. Mi piacerebbe essere un buon riferimento per media e giornalisti nei temi legati
allo sviluppo delle nuove terapie. Ma vorrei utilizzarle anche per rappresentare i pazienti in ambito europeo: nell’EMA si apriranno ciclicamente
posizioni nei vari comitati decisionali, e soprattutto in quello per le terapie
innovative, le Advanced Therapies, che è un settore molto importante per
noi che ci occupiamo delle malattie rare», racconta.
Esperti sì, ma rappresentativi
Walter Atzori sottolinea un aspetto importante. «Soprattutto nell’ambito
dei corsi noi condividiamo conoscenze non superficiali sulla ricerca farmaceutica o sui processi regolamentatori. Tuttavia Eupati non vuole creare ‘piccoli ricercatori’ e tantomeno ‘funzionari di complemento’. I rappresentanti dei pazienti devono conoscere i meccanismi per intervenire in
modo efficace. Ma essersi impadroniti di una complessità non deve far
smarrire la loro ragione di essere, cioè la rappresentanza dei pazienti. Le
competenze devono essere tradotte nel punto di vista del paziente, e per
questo è importante che il rappresentante rimanga credibile presso la
sua stessa organizzazione e la comunità di pazienti. Se perde il contatto
con tale comunità diventa una parte del sistema come altre», ammonisce
saggiamente il dirigente dello European Patients’ Forum.
Eupati in Italia
Il primo incontro di Eupati si è tenuto a Roma il 14 ottobre 2012, l’Italia
ha avuto due partecipanti selezionati per la prima edizione del Corso, ed
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ha tre rappresentanti nel secondo. Del prossimo Corso farà parte Stefano Nervo, in rappresentanza di Diabete Forum. L’Eupati Italian National
Liason Team, creato nel 2012, ha gettato le basi per la creazione, nel
2015, di una Eupati Italian Platform. La presiede Filippo Buccella, sostenuto da un mentor nominato dal board di Eupati, Silvano Berioli, membro
di EGGCP (European Forum of Good Clinical Practices), da un ex dirigente
industriale, Moreno Busolin e da Dominique Van Doorne in rappresentanza del mondo accademico.
«Il nostro obiettivo è creare dei collegamenti con tutte le Associazioni dei
pazienti, con tutte le Società scientifiche e con le aziende. Direi che abbiamo superato le diffidenze iniziali dell’’accademia’ e delle aziende. Per
quanto riguarda le Associazioni stiamo facendo più fatica, ma i risultati ci
sono. A inizio 2015 avevamo coinvolto 300 Associazioni e per il workshop
di gennaio 2016 vogliamo arrivare a 600 Associazioni rappresentate nella Platform», racconta Buccella.
Appoggiano il lavoro della Italian Platform di Eupati e fanno parte del Board italiano diverse istituzioni: AIFA, Ministero della Salute, Istituto Superiore di sanità, Farmindustria, Clinica Trial Center dell’Università Cattolica
di Roma, Irccs Mario Negri, FOFI, Federanziani e Apmar. È stata inoltre
avviata una collaborazione con Ispor Italy Chapter Rome per rilevare, valutare e quantificare l’eventuale impatto del progetto in termini di consapevolezza dei pazienti e quindi anche di aderenza alle terapie.
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L’attività delle organizzazioni dei pazienti
in Europa e in Italia
Eurordis. L’Organizzazione Europea per le Malattie Rare (Eurordis) è la
voce di 30 milioni di persone affette da malattie rare in Europa. Fondata
nel 1997, Eurordis comprende 423 organizzazioni in 43 Paesi, di cui 34
europei, e copre 1500 malattie rare. Ha uno staff di 30 persone a tempo
pieno nella sede di Parigi e negli uffici di Bruxelles e Barcellona e si appoggia sul lavoro di 200 volontari.
Eurordis ha seguito lo sviluppo della Direttiva europea sui farmaci orfani
(EC 141/ 2000), quella 1901/2006 sui farmaci per uso pediatrico e quella 1394/2007 sui farmaci innovativi (Advanced Therapy Medicinal Products). «Attualmente è fortemente coinvolta nella creazione delle ERNs
Reti Europee di Riferimento, così come previsto dalla Direttiva europea
sul Diritto dei Malati alle Cure Transfrontaliere. Queste Reti saranno sviluppate per gruppi di malattie rare, essendo impossibile avere una rete
per ognuna delle oltre 6000 malattie rare a oggi identificate, e permetteranno anche ai professionisti sanitari di accedere alla expertise che magari non è presente nel proprio Paese», spiega Simona Bellagambi che fa
parte dal 2012 del board dell’organizzazione. Eurordis è presente in EMA
nel COMP, comitato dei Prodotti Medicinali Orfani, nel PDCO, comitato
Pediatrico e nel CAT, comitato Terapie Avanzate.
Eurordis interviene efficacemente nei lavori della Commissione e perfino
del Consiglio Europeo dei Ministri della Salute. «Uno dei nostri successi
è stata la Raccomandazione del Consiglio Europeo affinché ogni Paese
membro preparasse e implementasse per il 2013 un Piano nazionale delle malattie rare», commenta Simona Bellagambi che, zia di una ragazza
con sclerosi tuberosa, ha contribuito a fondare l’Associazione specifica
della malattia ed è entrata nel Direttivo di Uniamo, l’Associazione italiana delle malattie rare che rappresenta proprio nel Consiglio direttivo di
Eurordis.
fare i conti
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Eurordis ha accettato la sfida dei social media e ha creato RareConnect,
una piattaforma sicura e facile da usare dove i pazienti affetti da malattie
rare, le famiglie e le Associazioni di pazienti possono sviluppare comunità
online e conversazioni tra vari continenti e lingue. RareConnect è diviso in
comunità online specifiche per malattie e gruppi di discussione riguardo
a temi di interesse che possono riguardare una determinata malattia o
questioni che toccano molte malattie.
«Eurordis ha promosso la Giornata Mondiale delle malattie rare», ricorda
Simona Bellagambi che con Uniamo - FIMR promuove e coordina i vari
eventi dell’edizione italiana di questo grande appuntamento, «che ci offre
ogni anno una incredibile visibilità sempre crescente».
Eurordis organizza dal 2008 la Barcelona Summer School, un corso che
prevede una formazione on line e un corso della durata di 5 giorni dedicato alla formazione dei rappresentanti dei pazienti; in esso si trattano,
sia con lezioni frontali sia con simulazioni, temi che vanno dalla promozione della ricerca all’intervento nei trial, alla collaborazione nelle sedi di
autorizzazione, di pricing e di accesso. «In effetti è molto simile ai corsi
di Eupati, di cui Eurordis è partner», ammette Simona Bellagambi; «su
questo tema, come spesso accade anche nei progetti europei, non manca qualche sovrapposizione». Dal 2015 però una differenza c’è: l’evento
è chiamato Expert Patient and Researcher Eurordis Summer School, ed
è aperto ai ricercatori, «che intervengono non solo dal podio: insegnano
e ascoltano: perché ciascuna delle due componenti ha qualcosa da dire
all’altra», ricorda Simona Bellagambi. Eurordis è impegnata in una continua attività di ascolto delle Associazioni e di controllo dei messaggi. È
importantissimo che si parli con una voce unica, senza sbavature: il messaggio che arriva al governo o all’opinione pubblica in Lituania deve essere lo stesso che arriva in Italia o a Malta», conclude Simona Bellagambi.
The European Consumer Organisation (BEUC). BEUC riunisce alcune organizzazioni che in diverse nazioni europee difendono i diritti dei
consumatori. Ha sede a Bruxelles e un organico di 30 persone. È una
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delle organizzazioni di lobbying etico europeo più antiche e di maggior
successo, avendo contribuito non poco a una legislazione comunitaria
assai favorevole al consumatore.
In particolare il ruolo del BEUC è importante per le aree non coperte da
associazioni dei pazienti. «È vero che ‘consumatore’ e ‘paziente’ sono
due concetti diversi», ricorda Katherina Perehudoff, responsabile dell’area Salute del BEUC, «ma è vero che vi sono molti ‘farmaci senza pazienti’. Pensiamo agli anticoncezionali, per esempio, o alle terapie per
la prevenzione di fattori di rischio cardiovascolare. In questi campi, che
pure rappresentano una fetta importante della spesa sanitaria, le associazioni dei pazienti non sono presenti. Inoltre, come associazione dei
consumatori, noi stiamo attenti a evitare un eccesso nella prescrizione
di terapie». Negli scorsi anni BEUC, a fianco di Associazioni di pazienti e
Società scientifiche, ha spinto per migliorare la legislazione in materia di
presidi e strumenti medicali utilizzati da pazienti. «Abbiamo chiesto criteri
più stringenti per la registrazione, tesi a verificare la sicurezza intrinseca
dello strumento in condizioni di utilizzo reali e non la semplice conformità
formale dello strumento», ricorda Catherine Perehudoff.
EGAN. In Italia e in tutta Europa esistono numerose Associazioni nazionali e internazionali di persone colpite da una specifica malattia di origine
genetica o che hanno una prospettiva di cura nella ricerca genetica, genomica o biotecnologica.
In alcuni Paesi, queste Associazioni hanno compreso la necessità di intervenire in maniera comune sia nel dibattito a favore della ricerca in campo
genetico, genomico e biotech sia nella diffusione dei risultati e nell’accesso dei pazienti a queste cure. Sono nate così la VSOP olandese, la Genetic
Alliance inglese e la Swedish Genetic Alliance. A loro volta queste ‘Alleanze’ hanno creato EGAN insieme a delle Federazioni europee di Associazioni legate a una patologia (European Dystonia Federation, European
Alliance of Neuromuscular Disorder Associations, European Cancer Patient Coalition, European Dyslexia Association ed European Epidermolysis
fare i conti
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Bulosa), The Patients Network for Medical Research and Health. EGAN
si impegna per portare la prospettiva del paziente su un ampio spettro
di temi: la ricerca (e gli ostacoli o gli incentivi economici e legali a essa
legati), le questioni etiche, legali, psicologiche e sociali.
ISPOR. Sigla di International Society For Pharmacoeconomics and Outcomes Research è una Associazione internazionale di esperti nel settore della farmacoeconomia e dell’outcomes research che ha creato un
ISPOR Patient Centered Special Interest Group e un Patient Engagement
in Research Working Group presieduto da un dirigente di Eurordis che
intendono determinare il modo migliore per inserire i pazienti e i loro rappresentanti in tutte le fasi del processo di ricerca e decisionali. A questo
scopo analizza le attese e gli ostacoli a un maggiore coinvolgimento dei
pazienti.
«ISPOR cerca di coinvolgere le organizzazioni dei pazienti e aderisce al progetto Eupati a livello europeo e italiano per far conoscere ai rappresentanti
dei pazienti le metodologie che si utilizzano nei percorsi di valutazione
economica dei farmaci e per formarli a leggere correttamente e criticamente i risultati che emergono da questi studi», spiega Francesco Saverio
Mennini, presidente del Rome Italian Chapter di ISPOR, «in modo da distinguere quelli realizzati con metodologie validate e serie da quelli mal eseguiti o compiuti in modo strumentale per appoggiare una specifica tesi».
Orientarsi in salute. Il progetto PartecipaSalute (www.partecipasalute.it) ha organizzato dal 2006 il percorso di formazione Orientarsi in
salute e sanità per fare scelte consapevoli, rivolto a rappresentanti di
Associazioni di cittadini e pazienti. Si articola in più moduli, secondo un
metodo che parte da esempi concreti per arrivare a una formalizzazione
teorica generale. I moduli iniziano con gruppi di lavoro paralleli che trattano esempi diversi dello stesso argomento, discussi successivamente
in plenaria. L’argomento in questione viene poi formalizzato attraverso
lezioni frontali collettive tenute da docenti. I docenti e i tutor dei gruppi di
fare i conti
43
lavoro sono ricercatori, medici, giornalisti, comunicatori, rappresentanti di
Associazioni di cittadini e pazienti, componenti di comitati etici.
Patient Advocacy Network. È un progetto ideato da Astra Zeneca e
dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems)
dell’Università Cattolica e sviluppato in collaborazione con Fand (Associazione Italiana Diabetici) e Diabete Forum. Il primo passo è stato un work­
shop, tenutosi a Roma il 5 e 6 giugno 2015, al quale sono intervenuti i
presidenti di Diabete Italia, di Fand e di Diabete Forum. La prima edizione
del Patient Advocacy Network si è centrata sul diabete ma, in futuro, potrà
essere estesa ad altre aree terapeutiche.
Il ruolo di Diabete Italia
Diabete Italia si è fatta parte attiva nella formazione della classe dirigente
dell’associazionismo fra persone con diabete, dando vita a diverse iniziative, molte delle quali centrate sulla capacity building, cioè sulla creazione di competenze utili nel dialogo con l’amministrazione nazionale e
regionale in materia di accesso a farmaci e presidi. L’iniziativa più rilevante per numero di partecipanti è la Conferenza Nazionale delle Associazioni, giunta nel 2015 alla sua quinta edizione e organizzata da Diabete
Italia. Della durata di 2 giorni, la Conferenza è seguita da 100-150 dirigenti di Associazioni di persone con diabete o di genitori, che assistono
a conferenze e lezioni su temi rilevanti per migliorare la loro capacità di
intervento. Nel 2015 Diabete Italia, con il contributo di Abbott e Lilly, ha
organizzato il corso residenziale Dirigere le organizzazioni di Diabete Italia
oggi: disponibilità e competenza in azione. Nel 2013 era stato realizzato,
insieme alla Fondazione Charta e con un contributo di Medtronic Foundation, il PAGs, Capacity building Project, un Master in relazioni istituzionali
e comunicazione, svolto nell’arco di tre incontri residenziali. Altre iniziative sono allo studio.
fare i conti
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Il ruolo delle organizzazioni dei pazienti
nel decision making in Italia:
la grande opportunità dell’HTA
Semplificando molto, l’iter che porta all’effettiva disponibilità di un farmaco si svolge a tre livelli: a livello europeo in sede EMA viene concessa
una autorizzazione e una o più indicazioni. Queste però devono essere
recepite a livello nazionale da una Authority governativa (nel caso italiano l’Agenzia italiana del farmaco - AIFA).
In Italia esiste però un terzo livello: quello regionale. L’AIFA concede (se e
quando lo ritiene) l’autorizzazione alla vendita e le indicazioni e definisce
con le Aziende le condizioni di prezzo. A pagare però sono le Regioni e
sono queste, quindi, a decidere se inserire il farmaco (o il presidio o la
procedura) nel loro Prontuario, e a definire le modalità di rimborso e di
accesso. Per esempio la Regione può decidere se inserire il farmaco in
fascia A (completamente rimborsato, disponibile in farmacia), in fascia
H (erogato solo dagli Ospedali o dalle Farmacie di Ospedali e Asl) o in
fascia C (libero acquisto in farmacia senza rimborso) o forme di distribuzione miste (in farmacia per conto di Asl, a domicilio, etc.).
La Regione può definire dei tetti al numero di terapie rimborsate ogni
anno o concordare un prezzo migliore, o limitare le indicazioni (ma non
allargarle rispetto a quelle definite in sede europea e AIFA).
Questi processi venivano condotti con procedure spesso interne, dai funzionari dell’Assessorato alla Salute regionale assistiti dalle Agenzie sanitarie regionali. Le Associazioni dei pazienti, soprattutto nel campo delle
patologie croniche più diffuse dove le poste in gioco sono economicamente rilevanti, intervenivano per lo più ex post sulle decisioni prese. Ben
di rado (con la lodevole eccezione dell’Emilia Romagna e, in parte, della
Toscana) esisteva un coinvolgimento strutturale dell’Associazione nel processo di decision making.
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45
La grande sfida dell’HTA
Il Patto per la Salute 2014-2015, renderà necessaria – anche se i tempi
e le metodologie sono ancora da valutare, l’utilizzo dell’approccio HTA
per valutare i farmaci, i presidi e strumenti e i modelli organizzativi in
sanità. «AIFA utilizza ormai da anni l’HTA come standard nella valutazione dei farmaci. Nelle Regioni al momento la situazione è differente. In
alcune regioni è lo standard da prendere quale riferimento, insieme alle
analisi di Budget impact, al fine di definire i corretti percorsi diagnostico
terapeutici. In altre ancora non si è compreso il reale vantaggio che un
simile strumento può portare ai fini del raggiungimento di una efficienza
gestionale delle risorse», afferma Francesco Saverio Mennini, docente di
Economia sanitaria all’Università di Roma Tor Vergata. Comunque le procedure di HTA, attualmente limitate a certe regioni e a certe tematiche
particolarmente complesse, diverranno presto la modalità attraverso la
quale verranno decise contemporaneamente l’inserimento nel Prontuario
Regionale, le indicazioni, il prezzo e le condizioni di accesso al farmaco (e
non solo ad esso) attraverso un processo strutturato e trasparente (anche
se non necessariamente pubblico).
Si può discutere sull’assurdità di effettuare ventun verifiche parallele da
parte di altrettanti Comitati sullo stesso farmaco e sull’esito che potrebbe
portare la stessa opportunità terapeutica ad essere concessa in una Regione, non prevista in una seconda, limitata nella terza (e infatti diverse
Regioni stanno accordandosi per unificare le loro procedure creando ‘HTA
macro-regionali’).
«In effetti una analisi HTA è molto complessa: richiede risorse per essere realizzata e un elevato livello di specializzazione per essere utilizzata. Il livello centrale, così come accade nei principali Paesi industrializzati, sembra
essere la sede più adatta per effettuare le valutazioni complete. La sede
regionale è essenziale al fine di fornire al centro le informazioni necessarie
per una corretta implementazione di studi completi di HTA», nota Mennini
Research Director del CEIS Economic Evaluation and HTA, «si tratta comunque di un passo avanti anche perché, in questo ambito, si inizia a delineare
fare i conti
46
in maniera istituzionale il coinvolgimento dei pazienti e dei cittadini nelle
fasi di valutazione e decisione in merito alle tecnologie sanitarie».
Cosa è una Technology?
Prima di tutto è importante capire quale potrebbe essere l’ambito di applicazione dell’HTA. ‘Technology’, tradotto in italiano come Tecnologia sanitaria, è un termine utilizzato per includere ogni aspetto dell’assistenza sanitaria: Programmi di prevenzione (per esempio programmi di vaccinazione per
l’infanzia); Test diagnostici (per esempio la diagnosi precoce dello Streptococco di gruppo B durante il travaglio); un dispositivo medico o un tipo di
materiale (per esempio l’impianto di titanio nella ricostruzione facciale); un
farmaco (per esempio l’uso degli analoghi dell’insulina a rapida azione nei
pazienti con diabete mellito di tipo 1) o una procedura (per esempio la laparoscopia). Citiamo qui e in altre parti di questo capitolo da Comprendere
l’Health Technology Assessment, un interessantissimo manuale disponibile anche in italiano (www.ijph.it/pdf/comprendere_hta.pdf).
Cosa è l’HTA?
Health Technology Assessment (HTA) è un processo che valuta un farmaco, un presidio o una procedura sanitaria sulla base dei costi e dell’impatto sociale ed etico. Il processo serve a valutare insieme il pricing e
l’accesso alla soluzione. In pratica se la soluzione deve essere adottata,
come utilizzarla al meglio, su quali pazienti e a quale costo acquistarla.
L’HTA si occupa di valutare gli aspetti medici, economici, organizzativi,
sociali ed etici dell’introduzione o dell’implementazione di tecnologie o
interventi sanitari, prendendo in considerazione tutti gli aspetti che possono essere influenzati dalla tecnologia in studio, ma anche tutti quelli
che possono influenzarne l’impiego e i relativi risultati.
Il focus dell’HTA si concentra sugli effetti clinici, sulla sicurezza, sulle performance tecniche e di efficacia, sui costi e sul rapporto costo-efficacia,
sulle ripercussioni organizzative, etiche, sociali e culturali delle diverse
tecnologie destinate alla salute.
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47
L’HTA porta a prendere decisioni su temi chiave quali:
• la rimborsabilità di un determinato trattamento da parte del sistema
sanitario
• le indicazioni per la sua erogazione e la sua durata
L’HTA valuta le evidenze da una serie di fonti: Revisioni Sistematiche di
studi clinici sperimentali (clinical trials); Valutazioni economiche; Valutazioni delle implicazioni per i servizi sanitari ed Evidenze da parte degli
utenti della tecnologia.
Come avviene concretamente l’HTA
L’azienda che sottopone ad AIFA un farmaco autorizzato dall’EMA costruisce un dossier che comprende una valutazione HTA. «Questa valutazione
viene svolta da un Centro di ricerca o da un Istituto specializzato. AIFA in
sede di Commissione tecnico scientifica e Commissione prezzi e rimborsi,
analizza il dossier ed effettua una ‘controvalutazione’ e invita l’Azienda e
i suoi consulenti a un dialogo», spiega Francesco Saverio Mennini, «per
quanto attiene i dispositivi medici, che non vedono coinvolta l’AIFA, questa procedura non è ancora lo standard ma con la prevista apertura della
‘cabina di regia’ lo diventerà molto presto». Secondo Mennini «È importante che il rappresentante dei pazienti faccia parte di tutto il processo: sia
nella elaborazione dello studio, sia nella fase di valutazione. All’interno
del nostro centro di ricerca, per esempio, quando realizziamo analisi HTA
coinvolgiamo quasi sempre rappresentanti dei pazienti così da sentire il
loro punto vista. Il loro input si è sempre rilevato importantissimo».
La prospettiva di un HTA ‘partecipato’
L’HTA è un processo basato sull’evidenza (in inglese evidence-based) che
cerca di esaminare le conseguenze dell’utilizzo di una tecnologia sanitaria considerando le argomentazioni mediche, sociali, economiche e le
questioni etiche. Quindi, che evidenza possono fornire i pazienti?
Visto l’ampio ruolo degli studi scientifici è possibile che il processo HTA
trascuri le evidenze sull’effettivo impatto della tecnologia sulla vita di tutti
fare i conti
48
Un esempio di HTA
Nel 2007 il NICE inglese ha commissionato una HTA sullo screening di
massa per diabete e IGT. Da questo documento estraiamo i criteri utilizzati
per la valutazione di tale procedura. I criteri adottati per valutare un farmaco o un presidio sono ovviamente diversi. Per la cronaca lo screening ha
incontrato solo 12 dei 22 criteri.
1. L a condizione dovrebbe essere un importante problema di salute
pubblica.
2. L’epidemiologia e la storia naturale della malattia, compreso lo sviluppo
da malattia latente adichiarata, deve essere adeguatamente compreso
e ci dovrebbero essere un fattore di rischio rilevabile, o un indicatore di
malattia, e un periodo di latenza o una fase sintomatica iniziale.
3. Tutti gli interventi di prevenzione primaria costo-efficaci sono stati attuati
per quanto possibile.
4. Se lo screening identifica i portatori di una mutazione genetica, la storia
naturale delle persone con questo stato deve essere nota, comprese le
implicazioni psicologiche.
5. Ci dovrebbe essere un test di screening semplice, sicuro, preciso e
validato.
6. La distribuzione dei valori testati nella popolazione dovrebbe essere nota
e dovrebbe essere concordato un livello soglia definito.
7. Il test deve essere accettabile per la popolazione.
8. Ci dovrebbe essere un consenso su quali ulteriori ricerche diagnostiche
o scelte terapeutiche effettuare sugli individui con un risultato positivo
al test.
9. Se il test identifica alcune fra le possibili mutazioni devono essere
chiaramente indicati i criteri utilizzati per selezionare il sottoinsieme di
mutazioni oggetto dello screening.
10. Deve esistere un trattamento o un intervento efficace per i pazienti
identificati attraverso la diagnosi precoce, e deve esserci prova che
effettuare precocemente questo trattamento porta a risultati migliori..
11. Devono esserci strategie concordate e basate sull’evidenza riguardo alle
persone che dovrebbero essere trattate e ai trattamenti da proporre.
12. Prima di partecipare a un programma di screening ogni provider di
assistenza deve aver ottimizzato la gestione clinica delle condizioni del
paziente e i relativi risultati.
fare i conti
49
13. Prove di alta qualità, studi provenienti da trial randomizzati controllati
devono affermare che il programma di screening è efficace nel ridurre
mortalità e morbilità.
14. Ci dovrebbe essere la prova che il programma di screening completo
(test, procedure diagnostiche, trattamento/intervento) è clinicamente,
socialmente ed eticamente accettabile agli operatori sanitari e al
pubblico.
15. Il beneficio del programma di screening dovrebbe essere maggiore rispetto
al danno fisico e psicologico causato dalle procedure diagnostiche e di
trattamento.
16. Il costo opportunità del programma di screening (compresi il test, la
diagnosi e il trattamento, l’amministrazione, la formazione e la garanzia
di qualità) deve essere economicamente equilibrato in relazione alle
spese per l’assistenza medica nel suo complesso.
17. Ci dovrebbero essere un piano per la gestione e il monitoraggio del
programma di screening e una serie di norme di garanzia della sua
qualità.
18. Prima dell’inizio del programma di screening dovrebbero essere
disponibili il personale e le strutture per i test, la diagnosi, il trattamento
e la gestione dei programmi.
19. Tutte le altre opzioni per la gestione della condizione avrebbero dovuto
essere considerate per garantire che nessun intervento più conveniente
potrebbe essere introdotto nell’ambito delle risorse disponibili.
20. Dovrebbero essere rese disponibili ai potenziali partecipanti informazioni
basate sull’evidenza, sulle conseguenze della procedura, per aiutarli a
fare una scelta informata.
21. Va tenuta in considerazione la possibile pressione dell’opinione pubblica
per ampliare i criteri di ammissibilità, per ridurre l’intervallo di screening,
e per aumentare la sensibilità del processo di test. Le decisioni su questi
parametri devono essere scientificamente giustificabile al pubblico.
22. Se lo screening rileva una mutazione, il programma dovrebbe essere
accettabile ai soggetti identificati come portatori e ad altri membri della
famiglia.
Fonte: N. Waugh et al Screening for type 2 diabetes: literature review and economic
modelling. Health Technology Assessment 2007; Vol. 11: No. 17 (http://bit.
ly/1Gg1zSV).
fare i conti
50
i giorni dei pazienti, dei caregiver e dei cittadini. Il modo migliore per garantire che venga compreso l’impatto reale per i pazienti stessi (e per i
loro caregiver) è fornire elementi di prova.
I pazienti hanno qualcosa da dire su tutti gli aspetti di un HTA, ma la cosa
più importante a cui possono contribuire è la descrizione dei benefici o degli effetti indesiderati di una tecnologia sanitaria. Nessuno meglio di un paziente può spiegare l’impatto di una malattia o di una tecnologia sanitaria.
«Attenzione però: l’HTA non riguarda solo i farmaci. La sfida è anche e
sempre più quella della assistenza specializzata che è pesantissima e
ricade o tutta sulle famiglie o tutta sull’ospedale: due alternative costosissime e insoddisfacenti. È paradossale che spesso non si consideri quanto
il paziente voglia essere autonomo, ambisca a badare a se stesso il più
possibile e quindi quanto sia essenziale l’integrazione tra gli aspetti sanitari e quelli sociali», ricorda Simona Bellagambi di Eurordis. «I processi di
HTA si riferiscono spesso ai soli costi diretti sanitari», riassume Paolo Mariani, che dirige il Corso in Market Access in Life Science dell’Università di
Milano – Bicocca: «Quanto costa al servizio sanitario nazionale l’acquisto
di quel farmaco o di quel presidio? Ma il calcolo potrebbe essere parziale,
perché non considera se l’acquisto aumenta o diminuisce i costi totali a
carico dello Stato, magari in una diversa sua articolazione».
Si pensi per fare un esempio ai presidi per l’automonitoraggio, le ‘strisce’
la cui limitazione comporta un risparmio, ma aumenta i ricorsi al pronto
soccorso. Oppure alle gare che, richiedendo la sostituzione di tutti i presidi in mano agli utenti, costringe i Team a investire tempo nella formazione
all’uso del nuovo strumento. «Ci sono poi i costi diretti non sanitari, come
l’impegno maggiore o minore di tempo richiesto al paziente o ai suoi caregiver, la necessità di essere accompagnati; e quelli indiretti: le giornate di
malattia, i disagi di vario genere che non ricadono sui bilanci del SSN ma
che qualcuno deve pur sostenere», continua Mariani. «Chi conosce questi
costi? Solo il paziente! Chi è in grado di quantificarli al meglio? Solo la sua
organizzazione. Ricordiamoci che l’HTA valuta più dimensioni: l’efficacia,
la sicurezza, i costi, l’impatto sociale e organizzativo».
fare i conti
51
Il box alle pagine 58-59 elenca alcune delle tematiche sulle quali, secondo
l’opinione della gran parte degli esperti, i rappresentanti dei pazienti possono dare un contributo. «I rappresentanti dei pazienti non possono mancare nelle sedi in cui si discute del prezzo di rimborso di una tecnologia»,
interviene Filippo Buccella.
«In effetti», concorda Elisa Pintus, «il paziente è due volte stakeholder:
come utilizzatore finale della soluzione che si sta valutando e come rappresentante dei contribuenti, quelli che alla fine finanzieranno la spesa». Il 30
settembre 2015 si è tenuto a Roma il Corso di alta formazione Patient centricity, engagement & support. Il ruolo delle Associazioni di pazienti come
soggetti chiave nelle politiche sanitarie e la costruzione di relazioni di valore con l’industria healthcare, «ed è emerso come sia sempre più evidente
un nuovo ruolo del paziente nei sistemi sanitari e l’importanza delle Associazioni come soggetti chiave nella definizione delle politiche sulla salute»,
sottolinea Paolo Mariani.
Dai prezzi ai costi, una HTA migliore
Il valore aggiunto del paziente risiede anche nella sua visione, che è per
forza di cose di lungo termine; una dimensione chiave che però non è
tenuta abbastanza presente nella fase di programmazione e decisionale.
«In un tavolo di HTA il paziente è l’unico ad avere, per forza di cose, una
visione di lungo termine. L’Assessore scadrà fra tre anni, il Presidente della
Società scientifica fra due, il Direttore generale fra un anno sarà da un’altra
parte. Il paziente non porta solo la testimonianza del suo vissuto, ma anche
la sua capacità e necessità di guardare oltre il breve termine del budget»,
tiene a sottolineare Simona Bellagambi di Eurordis. «Il valore aggiunto del
paziente, quindi, risiede anche nella sua visione completa, che però non è
tenuta abbastanza presente nella fase di programmazione e decisionale».
Concorda Francesco Saverio Mennini del CEIS il Centro studi in economia
sanitaria dell’Università di Roma Tor Vergata: «In Italia ci si confronta sui
prezzi, ma non si ragiona sui costi. Il farmaco o il presidio o l’atto di cura
hanno un prezzo, ma il costo lo si rileva sull’arco di tutto il percorso diafare i conti
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gnostico terapeutico. Un farmaco per esempio potrebbe avere un prezzo
più alto ma rendere inutili degli esami diagnostici, o ridurre le ospedalizzazioni o avere meno effetti collaterali. E quindi potrebbe generare riduzioni importanti di costo se non, addirittura, dei risparmi».
Per contratto o per ‘grazia ricevuta’?
Non è ancora chiaro se la partecipazione delle organizzazioni dei pazienti
ai processi di HTA avverrà in maniera uniforme o sarà ‘elargita’ dalle Amministrazioni più illuminate. «Mi pare che siano in fase iniziale, o in progetto, degli ‘esperimenti’ di ingaggio del paziente nei processi di HTA a livello
regionale. Io credo che sia fondamentale definire, invece, una normativa,
un accordo preliminare insomma», interviene Filippo Buccella, «non tanto
e non solo per rendere obbligatoria la presenza del paziente nelle attività
di HTA in tutte le Regioni, ma anche per esplicitare chiaramente cosa il
rappresentante dei pazienti è chiamato a fare, in quali fasi, come viene
scelto e da chi. Altrimenti il rischio è che la presenza del ‘paziente’ sia
nominale e subalterna come già avviene nei comitati etici».
«È possibile che i comitati chiamati a fare HTA prevedano in futuro, per
scelta o per un’eventuale norma, dei rappresentati dei pazienti», concorda Paola Mosconi, «ma fare HTA non è semplice. Deve essere ben chiaro
su quali basi si decide e cosa si decide».
Diventare protagonisti indispensabili dei processi di HTA
C’è una opportunità ancora maggiore: «Invece di attendere la telefonata
del funzionario regionale che sta valutando una HTA o della società che
lo sta elaborando, telefonata che potrebbe arrivare o non arrivare», suggerisce Paolo Mariani, «invece di sperare in una norma che renda formalmente obbligatorio il coinvolgimento dell’organizzazione dei pazienti, l’Associazione potrebbe farsi parte attiva e preparare dei dossier e renderli
pubblici magari on line». Questi dossier potrebbero contenere una parte
generale con una quantificazione dei costi sociali della patologia valida
per tutti i casi e una parte specifica sull’effetto che un dato farmaco o
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presidio o procedura potrebbe avere su questi costi. «Una organizzazione
dei pazienti potrebbe preparare questi dossier ogni volta che appare un
farmaco o presidio innovativo e metterli on line. Una volta resi pubblici
sarebbe ‘politicamente’ ben difficile per un comitato tecnico scientifico e
per un comitato prezzi e rimborsi regionale o di Asl non tenere conto di
questi dossier», tiene a sottolineare il docente milanese; «si tratta infatti
di informazioni che normalmente non fanno parte delle valutazioni di HTA.
A quel punto le Associazioni sarebbero invitate nelle sedi che contano a
portare la loro voce, magari declinandola a livello locale».
Il coinvolgimento dei pazienti nell’HTA: l’esperienza estera
Nel 2013 EPF ha organizzato una ricerca sull’effettivo coinvolgimento
delle Associazioni dei pazienti nei processi di HTA svolti nei Paesi UE:
EU Patient Involvement in Health Technology Assessment (http://bit.
ly/1MocPJo). La ricerca ha dato risultati deludenti. In pochi Paesi i pazienti prendono parte ai processi, e dove lo fanno spesso sono chiamati
all’ultimo momento per fornire opinioni ma non nella sede in cui viene
presa la decisione. A volte viene loro richiesto di diffondere i risultati della decisione. Soprattutto le Associazioni sono deluse dalla mancanza di
trasparenza del processo. Al contrario le Autorità che hanno organizzato i
processi di HTA affermano che le opinioni espresse dai pazienti hanno un
impatto alto o moderato.
La formazione: una corsa contro il tempo
In questi anni il sistema sanitario dovrà affrontare una crescente domanda di salute con una non proporzionale crescita dei budget. È assolutamente necessario che le Associazioni dei pazienti si presentino all’appuntamento con le carte in regola per essere rappresentanti credibili dei
cittadini. «C’è un problema serio di formazione. L’inglese NICE per esempio prevede la partecipazione dei pazienti ai processi ma anche una formazione importante di questi rappresentanti», sottolinea Paola Mosconi
dell’Irccs Mario Negri. Fra le altre cose l’ente inglese per l’HTA ha realizfare i conti
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zato la guida Contributing to a Technology Appraisal: A Guide for Patient/
Carer Groups disponibile sul sito web (http://bit.ly/1N9ZGqc).
Karen Facey, che presiede lo Health Technology Assessment International
Interest Group on Patient/Citizen Involvement, ha scritto nel 2008 l’utile
manuale per i rappresentanti di organizzazioni dei pazienti coinvolti nei processi di HTA Comprendere l’Health Technology Assessment prima citato.
Il futuro dell’HTA: i percorsi adattativi
La tradizionale distinzione fra processo di autorizzazione e valutazione
HTA si sta indebolendo. Con il ritorno di Guido Rasi alla direzione dell’EMA
dovrebbe farsi strada un approccio alternativo alla tradizionale procedura
di autorizzazione. Attenzione perché qui le cose si fanno difficili. Al momento, l’autorizzazione alla commercializzazione viene concessa o negata ma più spesso viene rimandata in attesa di altri studi. Questo avviene
perché l’autorizzazione riguarda indicazioni (cioè possibilità di utilizzo)
relativamente ampie.
Spesso l’EMA si trova a dover valutare richieste di autorizzazione per farmaci che potrebbero risultare assolutamente necessari per una tipologia
di pazienti molto specifica, mentre per un’altra tipologia il farmaco potrebbe aggiungersi a terapie già esistenti. Può succedere che i dati presentati
non siano completi (potrebbe essere necessario un follow-up di altri due
anni per essere sicuri che le terapie rimangano efficaci o non abbiano
effetti collaterali, o trial su popolazioni più ampie e rappresentative). Al
momento l’EMA non ha altra scelta che rimandare la decisione, ma così
svantaggia la popolazione di pazienti che avrebbe assolutamente bisogno
di quel farmaco. Anche se lo approva, la sottopopolazione che aveva bisogno di quel farmaco deve attendere che si concluda il lungo processo di
autorizzazione (EMA, AIFA, Prontuario regionale, Linee guida).
Il concetto di ‘percorso adattativo’ (adaptive pathway) prevede la possibilità di modificare nel tempo le indicazioni per un farmaco. Davanti a
studi clinici di breve durata o svolti su popolazioni non abbastanza ampie,
l’EMA potrebbe concedere una prima approvazione ristretta a una deterfare i conti
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Raccomandazioni alle organizzazioni dei pazienti
che desiderano essere coinvolte nei processi di HTA
• Educare i rappresentanti in modo che abbiano una comprensione generale della Evidence based medicine e dell’HTA. Questo significa acquisire una conoscenza estesa della natura dei processi di HTA e del
loro ruolo nell’allocazione delle risorse e nel decision making. Dovranno essere acquisiti alcuni temi scientifici e conoscenze sui rapporti
costo/efficacia.
• Essere proattivi nell’approcciare le autorità che fanno HTA, chiedere
di essere coinvolti e rispondere ai loro inviti. Questo significa seguire
il flusso di informazioni sulle novità nelle tecnologie e sul lavoro delle
Authority di HTA.
• Essere presenti nei forum di incontro fra le aziende per spiegare come
i pazienti potrebbero essere coinvolti negli HTA facendo proposte chiare e commentando le attuali procedure.
• Incontrare lo staff dell’Agenzia per capire di più su questi processi e su
come partecipare (chi invitare agli incontri, come riempire formulari,
che tipo di evidenze portare).
• Capire il modo di lavorare della Agenzia che fa HTA. Ci sono spesso
metodi e processi non definiti che devono essere seguiti e scadenze
precise entro le quali muoversi.
• Se l’Agenzia possiede un glossario, chiedetelo e usatelo per capire
meglio il linguaggio, il gergo e gli acronimi usati.
• Contattare altre organizzazioni che hanno maggiore esperienza nel
dialogo con l’Agenzia e imparare dalla loro esperienza.
• Dimostrare indipendenza diversificando le fonti di supporto finanziario
della vostra organizzazione, e mostrando trasparenza sia nei bilanci
sia nel definire le modalità di rapporto con le aziende.
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minata sottopopolazione e poi estenderla se e quando i dati provenienti
da ulteriori studi lo consentono. Il report Adaptive Pathways to Patients:
Report on the Initial Experience of the Pilot Project rende noti alcuni esperimenti di autorizzazione ‘a rate’ (http://bit.ly/1ztWZvy).
Questo approccio, adatto in modo particolare per farmaci innovativi che rispondono a bisogni clinici non soddisfatti (unmet medical needs) ha una
sua intrinseca validità e sarà probabilmente preferito per principi attivi innovativi. Ne discendono però due evoluzioni: da una parte, un ruolo ancora più
critico per i rappresentanti dei pazienti che dovranno contribuire a decidere per quali sottopopolazioni concedere l’autorizzazione. Dall’altra, questo
approccio di fatto avoca all’EMA alcune competenze che attualmente sono
riservate ai processi di HTA svolti a livello nazionale o (in Italia) regionale.
Anche Eurordis si è occupata del tema proponendo un ‘pricing flessibile’.
“Visto che la generazione di evidenze intorno a una molecola è un continuum, non ha senso definire il prezzo una volta per tutte”, scrive Eurordis
nella sua presentazione Patients Perspective on Involvement in Regulatory Decision Making and Drug Development (http://bit.ly/1jutx2u). Nel
maggio 2015 Eurordis ha lanciato un progetto per stabilire una piattaforma sulla negoziazione del prezzo. L’idea è di unire le discussioni sul
prezzo alla generazione di evidenze, richiedere trasparenza sui costi reali
di realizzazione del farmaco e, su questa base, lavorare su schemi di pricing flessibili e innovativi come managed entry agreements, o pagamenti
legati alla effettiva efficacia registrata dal farmaco nel mondo reale.
AIFA ci crede, ma…
«La Commissione Europea ha spinto più di tutti affinché la partecipazione
dei pazienti realizzata in EMA venisse estesa anche alle Agenzie nazionali», commenta Marco Greco; «al momento non si può dire che tutte le
Authority nazionali del farmaco abbiano raccolto questo invito: la realtà
è a macchie di leopardo; di certo in molti Paesi, come la Francia, la partecipazione dei pazienti è molto superiore a quella che vediamo in AIFA».
Già nel febbraio 2013 al Convegno Farmaci: diritto di parola, organizzato
fare i conti
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dall’AIFA, il presidente Luca Pani aveva annunciato la nascita, all’interno
dell’Agenzia Italiana del Farmaco, di “nuove modalità di interazione e di
coinvolgimento dei cittadini nel processo regolatorio. Per la prima volta
nella storia dell’Agenzia, i cittadini avranno un ruolo nel percorso d’accesso al farmaco”. “L’attività delle Agenzie regolatorie”, aveva aggiunto
Pani, “non può prescindere dalla conoscenza approfondita e dalla comprensione effettiva delle problematiche, delle esigenze e delle proposte
di cui sono portatori i malati e le loro famiglie, in particolare rispetto alle
possibilità di cura e all’accesso ai farmaci”. Di fatto però i 6 nuovi comitati
consultivi e 4 segretariati di supporto ricostituiti nel 2015 non prevedono
al loro interno alcun coinvolgimento e partecipazione di rappresentanti
delle Associazioni di cittadini e di pazienti.
“AIFA sembra orientata più a dare trasparenza alle procedure e pubblicità
alle sue decisioni che a coinvolgere davvero il paziente”, si era lamentata
CittadinanzAttiva. Concorda Filippo Buccella, che pure nota con piacere
l’impegno di AIFA in Eupati: «In AIFA c’è molto interesse e, per ora almeno a parole, molta apertura. Nella pratica però non è stato fatto nulla»,
riassume. AIFA insieme al Ministro della Salute prevede di includere una
rappresentanza di pazienti nelle Commissioni di prossima nomina, inerenti principalmente l’adozione delle innovazioni nella rimborsabilità per
il sistema sanitario. Per ora non ci sono state decisioni in merito.
«Non è esatto dire che AIFA si limita a parlare del coinvolgimento dei pazienti. La sua intenzione è reale», interviene Francesco Saverio Mennini;
«negli ultimi anni, in diversi casi, rappresentanti dei pazienti sono stati
invitati a intervenire nei loro processi di valutazione. Comunque io sono
convinto che un rappresentante dell’Associazione dei malati interessati
dalla procedura debba partecipare ai percorsi di valutazione».
«Sono ottimista», commenta Buccella, «stiamo compiendo i primi passi
di un percorso molto lungo. Pensiamo all’empowerment del paziente nel
dialogo terapeutico. Vent’anni fa sembrava un’eresia, oggi, in molti contesti di cura, è una ovvietà. Sta iniziando ora in Italia un processo che darà
i primi risultati concreti fra 5 anni e nel giro di 10 anni… sarà la prassi».
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Cosa può dire il paziente
È importante che il rappresentante dei pazienti comunichi quello che
nella vita reale è l’effetto della malattia e della terapia. Ecco un utile
schema tratto dal manuale Comprendere l’Health Technology Assessment.
L’esperienza del paziente può includere
Il carico della malattia
• La natura della malattia
- a breve o lungo termine
- alcuni sintomi limitati o molti
- sintomi che rendono difficoltosa la vita
- fatale o no
• Le limitazioni che la malattia comporta nella vita quotidiana
- capacità di lavorare
- vita sociale
- vita relazionale in famiglia e con gli amici
• L’impatto sul benessere mentale di una persona
• Le attività difficoltose per una persona malata
• Se la malattia impedisce alle persone di adempiere alle loro attività
• Se la malattia e/o trattamento provoca dolore
- come il dolore interferisce nelle attività quotidiane
- se i farmaci per il dolore devono essere assunti regolarmente
• Gli aspetti della malattia che i pazienti trovano più complicati
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Come deve essere valutata una tecnologia
• Quello che pazienti e caregiver si aspettano da una nuova tecnologia
• Quali vantaggi apporta la tecnologia
- come confrontare i benefici con quelli degli attuali trattamenti
• Se aiuta le persone malate ad assolvere i loro compiti nella vita
• Quanto sono importanti i benefici per il paziente
• Il risultato di un trattamento che viene maggiormente valorizzato
• Quali sono gli effetti benefici nella vita quotidiana dei pazienti
• Quali effetti indesiderati causa la tecnologia
- come confrontare gli effetti indesiderati con quelli di altri trattamenti
- come bilanciare gli effetti indesiderati con i potenziali vantaggi
• Che cosa accadrebbe se l’accesso alla tecnologia fosse limitato
• Come pazienti e caregiver valutano la tecnologia
• Quanto facilmente la tecnologia si inserisce nella vita quotidiana
• Qual è l’impatto sul benessere mentale di una persona
• L’impatto finanziario della tecnologia
- costo del viaggio
- perdita di guadagno
- costo di un caregiver
Fonte: Comprendere l’Health Technology Assessment, (www.ijph.it/pdf/
comprendere_hta.pdf).
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Avvocati di se stessi:
patient engagement senza associazioni
Quando nel dibattito internazionale su questi temi si parla di patient engagement cioè di coinvolgimento del paziente nei processi decisionali,
non è sempre ovvio che il paziente parli attraverso i rappresentanti della
sua Associazione.
Esiste un filone di esperimenti, nel quale l’Italia è attiva, che prevedono
il coinvolgimento diretto delle persone malate o addirittura dei cittadini
non direttamente interessati alla malattia. «Numerose esperienze testimoniano che un percorso condiviso – dalla messa a punto di materiale
informativo per i singoli o la collettività, al coinvolgimento multidisciplinare nella prioritizzazione di scelte sanitarie o linee di ricerca, agli esperimenti di decisioni condivise tra professionisti sanitari, decisori e consumatori – permette di ottenere risultati di maggior incisività, nonché più
largamente accettati dalla collettività», afferma Paola Mosconi, direttore
del Laboratorio per il coinvolgimento del cittadino nelle scelte sanitarie
dell’Irccs Mario Negri.
Conferenza di consenso
Il modello delle conferenze di consenso è stato sviluppato negli USA da
parte del National Institute of Health (NIH) negli anni Settanta come metodo per risolvere controversie sull’uso di interventi sanitari e per orientare la ricerca necessaria.
Lo strumento è stato sperimentato dal Laboratorio per il coinvolgimento
del cittadino nelle scelte sanitarie dell’Irccs Mario Negri come possibile
supporto alle decisioni. Per esempio ne è stato organizzato uno sul controverso tema della informazione da fornire sulla terapia ormonale sostitutiva nelle donne in menopausa. La conferenza si è articolata in tre
gruppi con rappresentanti dei medici specialisti coinvolti, dei pazienti e
dei giornalisti.
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Giurie dei cittadini
Democrazia deliberativa e giurie dei cittadini è un progetto che l’Irccs Mario Negri ha realizzato in questi anni. La prima esperienza è stata fatta
con il finanziamento di Agenas, negli anni 2012-2013 per promuovere
strumenti e metodi di empowerment di comunità nei sistemi regionali sanitari. L’idea di base del progetto è di condividere con i cittadini messi nella condizione di poter decidere grazie a informazioni trasparenti e complete le decisioni sugli interventi medici che hanno ricadute sulla comunità.
“Si tratta di costruire un percorso attraverso il quale i cittadini danno il
loro contributo intorno a temi di salute rilevanti per la collettività”, spiega
Paola Mosconi responsabile del Laboratorio. Due esperimenti sono stati
fatti relativi allo screening del tumore alla prostata attraverso il test del
Psa e sullo screening del portatore sano della fibrosi cistica in collaborazione con la Fondazione ricerca fibrosi cistica.
Le giurie non sono formate da pazienti o parenti ma da cittadini. Essere
coinvolti direttamente nella patologia in esame (come pazienti) o indirettamente (in quanto parenti stretti di malati) è anzi un motivo di esclusione. In queste esperienze i 15-20 ‘giurati’ sono contattati tramite Associazioni del volontariato non sanitario: se accettano vengono informati e
formati nel corso di una giornata e mezza di lezioni da parte di un gruppo
di esperti. Terminata questa fase, i cittadini hanno avuto 3 ore di tempo
per formulare la loro decisione, senza la presenza di esperti, durante una
riunione a porte chiuse.
Per esempio dovendo decidere l’uso del test Psa per lo screening individuale per il tumore della prostata nella fascia di età fra i 55 e i 69 anni,
tema controverso nell’ambito del dibattito scientifico, i 15 componenti
della giuria sono stati messi in grado di comprendere le informazioni loro
inviate, hanno interrogato e ascoltato gli esperti e i testimoni che sono
stati invitati ad un dibattito che ha messo in evidenza, in modo chiaro le
posizioni a favore e a sfavore. Per la cronaca, la giuria ”ha deliberato di
sconsigliare l’uso del Psa come test di screening individuale”. Una sintesi
del progetto e dei suoi risultati si trova al link http://bit.ly/1jyu6Z9.
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Conclusioni
Le conclusioni possono essere tirate a due livelli. Parlando delle organizzazioni dei pazienti sicuramente ci troviamo all’inizio di una nuova fase: non
più Gabibbi e proteste di piazza ex post e sempre più possibilità di rappresentare le esigenze dei pazienti nelle sedi decisionali.
Un salto di qualità che implica anche un miglioramento nella qualità delle
Associazioni stesse che dovranno adeguarsi a più alti standard di trasparenza, di diversificazione dei finanziamenti e di democrazia interna oltre a
dover identificare al loro interno le persone, magari più giovani, che sono
in grado di affrontare le complesse sfide, anche intellettuali, richieste dalla
rappresentanza a livello europeo o nelle valutazioni HTA.
Il secondo livello è quello che ci coinvolge come cittadini. L’inclusione delle organizzazioni dei pazienti nelle scelte in materia sanitaria rappresenta
una rivoluzione rispetto al vecchio atteggiamento, formalmente di chiusura
assoluta. Questa rivoluzione potrebbe essere reale o fittizia. Scrive Elisa
Pintus nel suo Stakeholder engagement e politiche del farmaco: “Non può
esserci cambiamento, nella pubblica amministrazione e nell’impresa senza
un reale coinvolgimento della società in tutte le sue articolazioni e forme”.
Stiamo uscendo dall’assistenzialismo, dall’era dei diritti senza doveri del
‘tutto a tutti’. Ma in che direzione andiamo? In questo momento andiamo verso un assistenzialismo senza soldi che lima e riduce piano piano la
qualità e la quantità dell’assistenza erogata. L’alternativa all’orizzonte è il
liberismo del ‘ciascuno per sè’, del medico amico, della badante pagata in
nero, dell’atto di cura pagato di tasca propria in contanti. «C’è un’altra alternativa», fa notare Elisa Pintus: “la promozione da parte degli stakeholder
di spazi di attività autonomi ma organizzati e messi in rete. Far diventare
protagonisti i pazienti, e non solo loro, per disegnare una terza via fra un
assistenzialismo senza fondi e un liberismo che non fa parte delle nostre
tradizioni”.
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Glossario
Accesso. Sono le condizioni che regolano l’accesso dei pazienti a un farmaco, a un test diagnostico o a una procedura. Per esempio, nel campo delle
strisce reattive: le categorie di pazienti a cui possono essere prescritte e
rimborsate, il numero di strisce rimborsabili, il tipo di strumento che può
essere utilizzato, le tipologie di medici che possono prescriverlo. Le decisioni in materia di accesso sono prese in Italia soprattutto a livello regionale.
AIFA. Autorità italiana del farmaco. È l’agenzia italiana che rilascia le autorizzazioni alla immissione sul mercato dei farmaci e presiede alla segnalazione di eventi avversi. Fa parte della rete di agenzie regolatorie che
ha al suo centro la European Medicines Agency.
Authority. È un’organizzazione pubblica alla quale un governo nazionale
o l’Unione Europea delega compiti normativi, decisionali e di ispezione
specifici.
Capacity. È la capacità di una persona o di un’Associazione di incidere in
un processo. Dipende dalla rappresentatività dell’organizzazione, ma soprattutto dalle conoscenze e dalle abilità dei suoi rappresentanti.
Caregiver. Indica le persone che, in modo non professionale, assistono i
pazienti. Per esempio i genitori di bambini o i figli di anziani con diabete.
Empowerment. Il termine è usato in due significati diversi. A livello individuale è il processo che consente al paziente di farsi carico della terapia e
più in generale della cura. A livello di organizzazioni dei pazienti è la possibilità di difendere i diritti delle persone rappresentate e di incidere in un
processo decisionale. In questo secondo senso si usa più comunemente
il termine ‘engagement’.
Engagement. Letteralmente ‘ingaggio’, è il processo che porta al coinvolgimento di qualcuno. Per esempio delle organizzazioni dei pazienti nei
processi decisionali in sanità.
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Patient Advocacy. Difesa dei diritti del paziente nelle sedi politiche, amministrative, giudiziarie e presso l’opinione pubblica.
Patient advocate. Rappresentante di un’organizzazione dei pazienti o persona che difende i diritti del paziente.
Organizzazione dei pazienti. Può trattarsi di un’organizzazione composta
solamente da pazienti o da loro parenti (per esempio i genitori di minori)
così come di un’organizzazione come Diabete Italia che riunisce pazienti
e medici/infermieri, purché la partecipazione dei pazienti sia perlomeno
paritetica. È quasi sinonimo di Associazione.
Payers (o payors). Le organizzazioni che pagano i costi dei medicinali e
della salute. Può trattarsi di enti pubblici (in Italia le Regioni), privati o
semi-privati (compagnie di assicurazione, mutue).
Pricing. Definizione del prezzo di un farmaco o di un dispositivo medico. Al
momento è responsabilità delle Autorità nazionali.
Professionisti della cura. Termine utilizzato per definire medici, infermieri
e altri curanti.
Stakeholder. Portatore di interessi. Si definiscono stakeholder tutte le parti in causa in una decisione. Per esempio nel campo della salute stakeholder sono i pazienti, i medici e gli altri professionisti della cura, le amministrazioni sanitarie, le aziende.
Token. In inglese significa gettone, simbolo. Tokenism è il neologismo
adottato per indicare la tendenza a coinvolgere in maniera non significativa qualcuno in un processo decisionale, solo per dire che è stato coinvolto.
fare i conti
UTI è una collana di Diabete Italia.
Le Associazioni e le Società scientifiche che desiderano ricevere altre copie di
questo libretto possono richiederle a Diabete Italia attraverso l’indirizzo e-mail:
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Redazione, progetto grafico e impaginazione: In Pagina Sas – Milano
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