Corriere della Sera Venerdì 11 Ottobre 2013
Cultura 45
italia: 51545152505358
IL GENERE «KRIMI» ALLA BUCHMESSE
L’Italia ora importa
delitti brandeburghesi
e detective turchi
FRANCOFORTE — Dopo la febbre scandinava, è arrivato il momento
del «Krimi», il poliziesco made in Germany. Finora si importavano
telefilm, dal vecchio Derrick al movimentato «Squadra speciale
Cobra 11» senza scordare il cane Rex, austriaco anzi viennese, ma
pur sempre di lingua tedesca. Ora tocca ai libri. Che, quanto a
intrecci e suspense non hanno niente da invidiare a più rinomati
colleghi europei e americani. In compenso però, almeno per ora,
costano molto meno. Il primo a crederci è stato un giovane editore
tiva breve. E la seconda quando ha divorziato a quarant’anni e ha potuto dedicarsi veramente alla scrittura col
sostegno del secondo marito, il geografo Gerald Fremlin,
che le è rimasto accanto fino a quando è morto, pochi
mesi fa.
«Cerchi di capirmi, mio marito e io abbiamo una regola: non permettere che la nostra vita e la nostra casa siano
invase di qualcosa che sia il risultato del mio lavoro», ci
aveva detto Alice Munro all’epoca della nostra intervista,
per giustificare il fatto che, anche se aveva accettato di
parlarci di sé e del libro di quel momento, In fuga, preferiva farlo al telefono. E quando le avevamo chiesto se vivere ai margini di un paese di tremila anime vicino al lago
Huron non la faceva sentire isolata, aveva risposto: «Se vivessi in un posto più grande dove ci sono anche altri scrittori, non credo che li frequenterei. Ho una personalità
piuttosto impressionabile, nel senso che mi faccio influenzare facilmente da persone con un carattere più forte. In più non sono particolarmente istruita, e il mio attaccamento alla scrittura è un po’ fragile. Se qualcuno dovesse dirmi che sono sulla strada sbagliata e me lo argomentasse in modo convincente, sentirei di dovere fare un
passo indietro. Non di cambiare idea, ma di fare un passo
indietro, in modo da ritrovare la mia sicurezza di scrittore». Ecco la forza di Alice Munro: quel non cambiare idea,
ma puntare tutto sulla propria unicità fondata sull’isolamento. E cosa è scaturito da questa andare sommessamente contro le regole? Uno stile «che deve essere come
acqua trasparente, e sincero, anche se uno scrittore non
sarà mai sincero fino in fondo». E un’indagine emotiva
«che mostri quanto complicate sono le cose, e sorprendenti, perché è così che io trovo la vita», dice Alice Munro.
«Voglio emozionare le persone con delle sorprese, ma
non dei trucchi. Voglio che i lettori pensino: sì, la vita è
così. Perché è la reazione che ho io davanti alla scrittura
che amo di più. Una sensazione di meraviglioso sbalordimento. Non il sentimento di felicità che ti dà un libro
scritto per suscitare felicità, ma una sensazione di gratitudine per avere visto la vita in modo così intenso, attraverso la scrittura».
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Ranieri Polese
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Dopoguerra Riproposto un discorso tenuto dal giurista il 4 marzo 1947
Gli stivali
infangati
della maestra
Quando Calamandrei
consacrò il nuovo inizio
dell’Italia antifascista
SEGUE DALLA PRIMA
Alice Munro (nella foto Afp/Peter Muhly)
è nata il 10 luglio 1931 a Wingham,
nell’Ontario (Canada). A trent’anni,
soffre di una tale depressione
da riuscire a malapena a scrivere una
frase completa. Apre una libreria con il
marito, nel 1963 a Victoria e, stimolata
dalle conversazioni, scrive la prima
raccolta, «La danza delle ombre felici»
(uscirà per Einaudi il 22 ottobre). Nel
1972 diviene «writer in residence»
all’università dell’Ontario. Tra le opere
edite in Italia da Einaudi, «Il sogno di mia
madre» (2001), «In fuga» (2004), «La
vista da Castle Rock» (2007), «Le lune
di Giove» (2008), «Chi ti credi di
essere?»(2012), mentre «Uscirne vivi»
sarà pubblicata nel 2014
interreligioso: l’ispettore che deve sventare l’attentato, come spesso
nei telefilm, è un turco) e «Totenfrau» di Bernhard Aichner, tirolese
ma pubblicato in Germania. Anche Piemme segue l’onda tedesca:
pubblicherà il nuovo giallo di Jean-Luc Bannalec (pseudonimo
francese per un autore tedesco), con ancora in scena il commissario
Dupin, che stavolta indaga su cadaveri in Bretagna.
Il brano inedito
di ALICE MUNRO
Biografia
di Anghiari, Livio Sassolini, che dedica una collana del suo marchio
appena nato, Booksalad, proprio al Krimi. Titolo della collana,
«Angst» ovvero Paura. Con l’aiuto della moglie tedesca ha comprato
già sei romanzi, il primo a uscire è «Il villaggio dei dannati» di
Elisabeth Hermann (un orrendo delitto allo zoo di Berlino, una lunga
pista di sangue che conduce a un villaggio del Brandeburgo). Anche
Rizzoli sta acquistando in Germania: due titoli per ora, «40 ore» di
Kathrin Lange (un terrorista minaccia Berlino, sede di un convegno
C’era un’altra donna seduta sul lato opposto della
panchina: teneva tra le ginocchia una borsa a rete
piena di pacchi avvolti in carta oleata. Carne, carne
cruda. Si sentiva l’odore.
Sul binario sostava il treno elettrico, vuoto, in
attesa. Non si presentò nessun altro passeggero e,
dopo un po’, il capostazione cacciò fuori la testa e
gridò «San». Lì per lì pensai che chiamasse qualcuno per nome, Sam. In effetti dall’angolo dell’edificio
sbucò un tale con indosso una specie di uniforme.
Attraversò il binario e salì a bordo della locomotiva.
La donna con i pacchi si alzò e lo seguì, quindi feci
lo stesso anch’io. Si levò un coro di urla, dal lato
opposto della strada, mentre le porte di un edificio
dal tetto piatto ricoperto di scandole scure si aprivano liberando un gruppo di uomini che si calzavano i
berretti in testa sbatacchiando il portapranzo contro la coscia. Dal baccano che facevano si sarebbe
detto che il treno stesse per scappargli via da un
minuto all’altro. E invece quando furono sistemati
non successe niente. La carrozza era ferma e loro
intanto si contavano a vicenda chiedendosi chi
mancava e dicendo al conducente che non poteva
ancora partire. Poi qualcuno ricordò che era il giorno libero del tale che mancava all’appello. La carrozza si mosse e non era chiaro se il conducente avesse
dato retta a quei discorsi, o se ne fosse infischiato.
Gli uomini scesero tutti a una segheria in foresta
— a non più di una decina di minuti a piedi — e
poco dopo si cominciò a vedere il lago, coperto di
neve. Un lungo edificio di legno bianco di fronte al
lago. La donna risistemò i pacchi di carne, si alzò e
io la seguii. Il manovratore tornò a gridare «San» e
si aprirono le porte. C’erano due donne in attesa di
salire. Salutarono quella con la carne e lei disse che
faceva proprio un freddo cane.
Tutte evitarono di guardarmi mentre scendevo
dietro la donna della carne.
A questa stazione non c’era nessuno da aspettare, evidentemente. Le porte si chiusero sbattendo e
il treno ripartì in direzione opposta.
Poi ci fu silenzio, l’aria come ghiaccio. Betulle
dall’aspetto friabile, con chiazze nere sulla corteccia
bianca, e cespugli diseguali di sempreverdi avvoltolati come orsi sonnolenti. Il lago gelato non piatto,
bensì a dossi lungo la riva, come se le onde si fossero ghiacciate in movimento. E l’edificio in fondo,
con le sue metodiche teorie di finestre e i porticati a
veranda a ciascuna estremità. Un insieme austero e
nordico, bianco e nero, sotto la volta di nuvole alte.
La corteccia delle betulle non bianca, però, mano
a mano che ci si avvicinava. Grigio-gialla, grigio-azzurra, grigia.
Un incantesimo sconfinato e fermo.
— Dov’è diretta? — mi disse la donna della carne. — L’orario di visita finisce alle tre.
— Non sono in visita, — dissi. – Sono la maestra.
— Beh, dal portone non la fanno entrare comunque, — disse la donna con una certa soddisfazione.
— Sarà meglio che venga con me. Una valigia non
ce l’ha?
— Il capostazione ha detto che me la portava lui
tra un po’.
— A guardarla, lì immobile, aveva l’aria di una
che s’è persa.
Dissi che mi ero fermata a guardare perché era
bellissimo.
— Per qualcuno, può anche darsi. Sempre che
non sia troppo malato o che non abbia da fare.
Nessuna delle due disse più nulla finché non
entrammo nella cucina a un’estremità dell’edificio.
Avevo proprio bisogno di un po’ di quel calore. Non
ebbi modo di guardarmi intorno perché l’attenzione si concentrò sui miei stivali.
— Meglio che se li levi quelli se non vuole far la
scia sul pavimento.
Faticai a sfilarli — non c’era una sedia per farlo
da seduta — e li posai sul tappetino dove la donna
aveva messo i suoi.
— No, li prenda e se li porti, non so dove vogliono sistemarla. Si tenga anche il cappotto, lo spogliatoio non è riscaldato.
Niente riscaldamento, niente luce tranne quella
che entrava da una finestrella ad altezza non raggiungibile. Era come essere in punizione, a scuola.
Fila nello spogliatoio. Sì, stesso odore di vestiti
invernali che non asciugano mai del tutto, di stivali
fradici che inzuppano le calze sporche, di piedi non
lavati.
(Traduzione di Susanna Basso)
da «Amundsen», tratto dalla raccolta «Uscirne
vivi», in uscita da Einaudi nel 2014
Copyright © 2012 by Alice Munro
La Costituzione, un traguardo storico da tutelare
di CORRADO STAJANO
N
el famoso discorso che Piero Calamandrei
fece nella seduta dell’Assemblea costituente del 4 marzo 1947 c’è, nel finale, un passo
severo e insieme commosso che fa riflettere amaramente se si confronta quel passato al nostro presente: «Io mi domando, onorevoli colleghi,
come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno
questa nostra Assemblea costituente: se la sentiranno alta e solenne (...). Io credo di sì: credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che
da questa nostra Costituente è nata veramente una
nuova storia: e si immagineranno, come sempre avviene, che con l’andar dei secoli la storia si trasfiguri
nella leggenda».
Presa a modello nel mondo civile per il suo respiro, il suo coraggio nella tutela dei diritti dei cittadini, la Costituzione non ha avuto una sorte fortunata.
La storia non si è «trasfigurata nella leggenda», come sognò il grande giurista. La Carta della Repubblica, il suo Vangelo, ha avuto e seguita invece ad
avere nemici implacabili che allora come oggi, soprattutto in questi ultimi vent’anni, seguitano a considerarla «la nemica», un inciampo, un ostacolo da
rimuovere, una legge arcaica ritenuta responsabile
della mancata modernizzazione del Paese.
Le Edizioni di Storia e Letteratura hanno pubblicato in un aureo libretto quel discorso di Calamandrei, Chiarezza nella Costituzione (pp. 67, e 9), con
un’appassionata introduzione di Carlo Azeglio
Ciampi che fa rivivere lo spirito della giovinezza, la
fiducia e le speranze di allora, nonostante le inaudite difficoltà dell’«Italia, sfiancata da anni di totalitarismo e di isolamento culturale. (...) Avvertivamo
l’impegno e la responsabilità di contribuire con le
nostre idee e con il nostro lavoro a restituire dignità
all’Italia e a noi stessi».
Le speranze caddero presto. La guerra fredda e
l’eterna compromissione nazionale impedirono
una rottura radicale col passato. Gli anni 50-60, il
periodo del centrismo democristiano, non furono
per nulla da rimpiangere, come invece ha sostenuto
nel suo discorso in occasione della fiducia al Senato
il presidente del Consiglio Enrico Letta. L’epurazione fu una burletta, i fascisti, «i fantasmi della vergogna», come li definì Calamandrei in una sua celebre
epigrafe, tornarono a dettar legge in posti di responsabilità, la discriminazione nei confronti della
sinistra fu ferrea, gli operai comunisti e socialisti furono isolati nei reparti-confino delle grandi fabbriche, il centrosinistra originario, anni dopo, andò a
gambe all’aria alla svelta, i tentati colpi di Stato, come quello del generale De Lorenzo, nel 1964, inquinarono ogni fervore.
Calamandrei — morì nel 1956 — fu profondamente deluso. Definì l’amata Costituzione L’incompiuta, dalla famosa Sinfonia in si minore di Schubert. In effetti istituti fondamentali previsti nella
somma Carta tardarono decenni: la Corte costituzionale fu istituita nel 1955, il Consiglio superiore
della magistratura nel 1958, le Regioni nel 1970, i codici sono mantelli di Arlecchino, corretti via via da
interventi parziali, con l’eccezione del Codice di procedura penale rifatto nel 1988.
Il revisionismo degli anni 90 è diventato la carta
vincente di una certa cultura politica del berlusconismo. Scrive Ciampi nella sua introduzione di aver
giudicato con ammirazione i propositi dei costituenti di far sì che la Carta avesse come fondamento
gli ideali e i valori comuni: «Mi riferisco proprio a
quelle stesse soluzioni che oggi una saggistica e una
storiografia mediocre pretendono di “rivedere” abbassandole a compromessi, frutto di opportunismo
e di scambi inconfessabili». Bisogna tener conto
che i costituenti del 1947 erano di livello intellettuale e politico assai alto: Luigi Einaudi, De Gasperi,
Moro, Togliatti, Terracini, Dossetti, La Pira, Concetto Marchesi, Di Vittorio, Giorgio Amendola, Antonio Giolitti.
Come dimenticare la famosa costituente della
baita di Lorenzago, nel Cadore, dove Roberto Calderoli, Francesco D’Onofrio, Domenico Nania e Andrea Pastore compilarono in 5 giorni (20-25 agosto
2003) 56 articoli della seconda parte della Costituzione che stravolgeva proprio quello spirito unitario
del 1947? Furono puniti dagli elettori — esiste anche
un’altra Italia — che al referendum del 25-26 giugno
2006 bocciò col 61,32 per cento dei voti quel dissen-
Giurista
Piero
Calamandrei
(Firenze,
1889 –
1956) al
tavolo di
lavoro.
Deputato
del Partito
d’azione,
diede un
prezioso
contributo
alla
stesura
della
Costituzione
nato progetto di legge costituzionale. Ma anche
adesso, in un momento di grave crisi finanziaria, era
davvero necessario dar vita a comitati e comitatini,
più o meno lottizzati, per proporre riforme costituzionali? Non è sufficiente, per un governo di transizione, preoccuparsi di riformare la grottesca legge
elettorale e tentare di risolvere i problemi economici e sociali?
Provoca sussulti rileggere quel testo di Calamandrei del 1947. Spiega, come un buon maestro, spiritoso, tra l’altro, chiaro, le sue idee di Stato e di società, il lavoro, la legalità, i partiti, l’articolo 7, la tutela
delle minoranze: «La Costituzione deve essere presbite, deve veder lontano, non essere miope». Dobbiamo fare, disse citando Dante: «come quei che va
di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova, /
ma dopo sé fa le persone dotte». Una Costituzione
non deve illuminare la strada soltanto ai presenti
ma anche a coloro che vengono dopo, i posteri. Fedeli, infedeli?
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