Recensioni > Musica > Cultura - Venerdì 12 Luglio 2013, 16:30
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Cavalleria Rusticana alle Terme
A Caracalla, in Roma, si rappresenta il dramma di Santuzza, una donna siciliana innamorata"
Maria Chiara Strappaveccia
La recente messa in scena di Cavalleria rusticana alle Terme di Caracalla il 4 luglio scorso (il
balletto Terra e Cielo di Micha van Hoecke su musiche di Nino Rota, ispirato al Gattopardo di
Tomasi da Lampedusa, che doveva aprire la serata, non è stato rappresentato per la scivolosità
del palcoscenico rimasto bagnato dopo l’acquazzone pomeridiano) è ambientata
in un’essenziale, ma suggestiva scenografia composta da un patio bianco con portico,
che forma l’accesso all’osteria di Mamma Lucia, con una terrazza al di sopra, a cui è
possibile accedere da un’ampia scalinata sulla destra, alla quale è appoggiata una finta
roccia con un’agave verde che svetta verso l’alto, in un diretto richiamo alla Sicilia dove
si svolge il dramma, che fa riferimento alla omonima novella di Verga.
La vicenda, in un solo atto che si svolge nel giorno di Pasqua, narra della disperazione di
Santuzza, abbandonata da compare Turiddu, che già guarda ad un’altra donna più giovane ed
avvenente, Lola (ma forse anche ad altre). Santuzza, in cerca febbrile del suo uomo, se ne
rammarica con Lucia, l’anziana madre dell’amato, che l’ascolta pur negando la presenza del
figlio in casa. Santuzza, dopo aver tentato ancora una volta invano di riconquistare Turiddu, si
fa sfuggire il sospetto di un tradimento proprio con il marito di Lola, Alfio, che dopo la scena
corale della festa nel paese, cui, sebbene invitato, non vuole partecipare, si vendica
ammazzando il rivale. Questi, che alla festa lo ha provocato davanti a tutti forse per colpa del
troppo vino, ha un presentimento mentre si accommiata dalla madre Lucia prima di affrontare
Alfio. Alla fine, in un momento di sospensione delle voci, si ode soltanto il ben noto grido
disperato fuori scena “Hanno ammazzato compare Turiddu!”, mentre Santuzza si precipita
angosciata correndo verso il luogo del duello.
In questa versione la regia, le scene e i costumi sono di Pier Luigi Pizzi, attento
conoscitore del Melodramma italiano, che ha eliminato la processione di Pasqua,
solitamente inserita nell’opera, perché come si legge nel libretto del programma in vendita
“è un errore. Inneggiamo, il Signor non è morto è un canto di gioia, di resurrezione, […]
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2013-07-12/91695-una-strana-messa-in-scena-di-cavalleria-rusticana
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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non di penitenza, non di lutto”. Qui si assiste dunque ad una preghiera corale dei fedeli che si
raccolgono prima di entrare per la funzione pasquale in chiesa, non visibile sulla scena. Il
regista vuole “allontanare da Mascagni il folklore paesano” che rischia di soffocare la
vera storia.
Anche i costumi, che sono stati oggetto di critica su vari giornali perché suggerivano una
decontestualizzazione della vicenda senza senso, in quanto ispirati al periodo fascista o agli
anni Trenta, mostrano l’intenzione di Pizzi di far vedere “l’indifferenza di un’Italietta in
pieno fascismo, in cui tutto sembra andare bene e dove le cose precipitano senza che
nessuno se ne renda conto”. Gli uomini vestono da camerati del fascio o in abito bianco con
paglietta, mentre le donne sono caratterizzate da vestiti variopinti di tipo vintage o lunghi fin
sotto il ginocchio, che sembrano rimandare ai film di Giuseppe Tornatore.
Il coro, diretto da Roberto Gabbiani, nelle tonalità delle varie sezioni appare molto ben
amalgamato, e canta sulla scena con un’intensità commovente che ha raggiunto il culmine
in Inneggiamo, il Signor non è morto,
ma anche nelle risposte date a Turiddu durante la festa, con il famoso Viva il vino
spumeggiante, dove i coristi seduti sulle sedie della osteria imitano i vari stati di ubriachezza
degni del dipinto I Romani della decadenza (1847) del pittore Thomas Couture (1815-1879) del
Museo d’Orsay.
L’orchestra del Teatro dell’Opera, diretta da Gaetano D’Espinosa, ha ugualmente dato
prova di grande competenza musicale, riscontrabile in particolare nel commovente Voi lo
sapete, o mamma di Santuzza. Il direttore ha saputo guidare gli orchestrali con notevole
correttezza fornendo degli attacchi precisi ai cantanti. La partitura è stata rispettata in ogni
sua parte, evitando di scivolare in toni troppo popolari, ed ha avuto il suo culmine
nell’Intermezzo, reso in maniera suggestiva.
Bravi e professionali sono stati i protagonisti principali, che vedevano nel ruolo di Santuzza la
soprano Anna Pirozzi, in quello di Turiddu il tenore bulgaro Kamen Chanev, mentre compar
Alfio era interpretato dal baritono Claudio Sgura, Lola dal mezzosoprano Annalisa
Stroppa e Mamma Lucia da Elena Zilio, contralto.
Anna Pirozzi ha un tono drammatico che ben delinea la struggente figura della
protagonista e rappresenta il suo ruolo a tutto tondo. Particolarmente di effetto la sua
corsa disperata all’inizio dell’opera, tra le scale e vicino all’osteria di Mamma Lucia,
oltre al duetto con compar Alfio in cui appare dolente per la perdita dell’onore. Kamen
Chanev ha fornito esempi di verismo molto commoventi soprattutto dopo il pezzo a due
con la madre, in cui sembra quasi pentirsi di aver sfidato Alfio e dà la colpa al vino
bevuto che lo avrebbe alterato. Altro pezzo toccante è quando saluta la madre con
abbracci che lasciano presagire il suo presentimento di morte. Poteva però fare di più sul
piano del cantato, dove in alcuni punti appare sopraffatto dalla musica.
Claudio Sgura ha fornito una buona interpretazione, anche se appare eccessivo nel suo
vestito da gerarca fascista (che ci lascia subito preferire Turiddu), in contrasto con
l’ambientazione della novella verghiana nell’Ottocento contadino. Di effetto è stato il
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duetto con Santuzza nella scena ottava (dove la protagonista gli rivela che Turiddu ama
Lola). Di grande effetto anche la scena terza, da “M’aspetta a casa Lola” intonato forte e
preciso cui ha fatto eco il corale “O che bel mestiere fare il carrettiere”.
Annalisa Stroppa era fasciata da un vestito molto aderente che ha riproposto la visione
della donna provocante che suscita sguardi ammirati da parte degli uomini per la sua
andatura ancheggiante e che richiamava famosi atteggiamenti da attrici di film. Ella ha
reso il meglio nel “Vado a casa….”: pezzo difficile sul piano operistico e sottovalutato in
genere nella sua brevità.
Non meno importante come capacità canora la parte di Elena Zilio, personaggio di
grande competenza nel ruolo di Mamma Lucia, che duetta in modo esemplare all’inizio
con Santuzza e alla fine con Turiddu. Di grande effetto è stata anche la sua supplica alla
Madonna nella quarta scena; mentre nell’undicesima il suo chiedere spiegazioni della
benedizione (richiesta dal figlio prima di duellare con Alfio) è stata accompagnata molto
bene dai gesti di conforto nei confronti di Turiddu.
L’opera si svolge in uno dei luoghi più suggestivi di Roma: le famose Terme iniziate nel 212
d.C. da Caracalla e inaugurate solo cinque anni dopo. Rovine grandiose di un complesso che
un imperatore, spesso descritto come pazzo, volle edificare all’igiene e alla pulizia della
persona nella capitale del suo impero, e che per l’epoca erano le più estese della città.
Quanto resta degli alti muri in laterizio sullo sfondo del palcoscenico era illuminato con
effetti molto scenografici da una luce diffusa tendente al rosa, che li rendeva ancora più
suggestivi. Archi e campate hanno catalizzato la mia attenzione, facendomi riflettere sulla
grandezza che la costruzione doveva avere in antico, visto che poteva contenere fino a 1600
persone.
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