dicembre 2000
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osè, dopo aver preso coscienza della realtà faraonica e aver cercato
di reagire, era fuggito nel deserto dove si innamorò di una ragazzina che gli regalò tre figli. Mosè era sistemato: una moglie, tre figli,
tante capre. La sofferenza del suo popolo oppresso era ormai una
realtà lontana. Com’è lontano da voi il grido di sofferenza di 2
miliardi di uomini!
Mosè aveva tradito: era ritornato al business as usual, agli affari di
ogni giorno, tanto il mondo nessuno lo cambia.
Ma non è così per Yahvè, nome misterioso che appare qui per la
prima volta. Non sappiamo il suo significato etimologico. Forse sta
per “Io sarò con te” (Ez. 3,1–12), essere con, dalla radicale ebraica HYH. Ma sono in molti oggi a sostenere che il nome Yahvè è il
rifiuto di darsi un nome. Dio è libero, non lo si può ingabbiare, non
lo si può monopolizzare. «Lui è un Dio con un nome particolare –
scrive il biblista americano Bruggemann – che può essere pronunciato solo da Lui. È un Dio senza credenziali nell’impero, sconosciuto nelle corti reali, non accetto nel tempio. E la sua storia incomincia prestando attenzione al grido degli emarginati».
È questa la grande rivoluzione religiosa: Dio
non è il Dio del Faraone, dei re della città–stato di
Canaan. Dio è libero e, proprio perché libero, è il Dio degli
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oppressi, degli schiavi, dei marginalizzati,
dei crocifissi della storia. «Ho osservato la miseria
del mio popolo in Egitto – dice Yahvè a Mosè –. Ho udito il suo
grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze» (Es 3,7). È Yahvè che prende per il cravattino quel “fighetto” di
Mosè, comodamente insediato nel “deserto”. È Yahvè che chiama
quell’imboscato di Mosè. La chiamata stessa è narrata seguendo
moduli e simboli comuni alla tradizione d’Israele. Il roveto ardente
(fuoco!) segno del Mistero. Il luogo dell’incontro con il Mistero è
“terra santa”. Dove, per rispetto, ci si toglie i sandali e ci si “vela il
viso”. Il tutto si riassume in quelle due parole: «Mosè! Mosè!»
A questa interpellanza personalissima, l’uomo può solo rispondere:
«Eccomi!». E l’impegno è chiaro: «Ora va’! Ti mando da Faraone!
Fai uscire il mio popolo dall’Egitto» (Es 3,10). Yahvè non può accettare che il suo popolo viva in schiavitù. Nè può accettare che
Mosè dorma sonni tranquilli mentre i suoi fratelli soffrono. Yahvè
soffre: c’è sofferenza nel cuore di Dio. «Yahvè, a differenza dei suoi
luogotenenti, è uno la cui persona è presentata – afferma di nuovo
Bruggemann – come passione e pathos, volontà di interessarsi, capacità di piangere, energia di lamentarsi, ma anche di gioire». «Chi
sono io per andare da Faraone e far uscire dall’Egitto Israele?»
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(Es 3,11). Mosè emerge qui in tutta la sua fragilità davanti ad un
compito quasi impossibile. «Io sarò con te!» (Es 3,12) è l’unica
risposta di Yahvè. Mosè che «pascolava il gregge» è convocato da
Dio a mettersi da pastore alla guida di una ciurma di schiavi per
ridare loro la dignità di figli. Per fare questo Mosè ha dovuto incontrare Yahvè sul monte Horeb (ricordiamo sullo stesso monte l’esperienza del profeta Elia in lotta contro il re Acab).
Anche tu giovane, immerso nel cuore dell’impero, sei chiamato ad
andare al monte, ad incontrarti con Yahvè che accoglie nel suo cuore l’immenso clamore degli oppressi, dei diseredati. Scoprendo Yahvè, scopri gli impoveriti! È un binomio inscindibile! Yahvè non è il dio dell’Impero (da Faraone a Clinton!)
nè il dio dell’ordine costituito! «Quando Dio è trasformato in guardiano dell’ordine – ci ricorda il domenicano V. Cosmao nel suo stupendo libretto Changer le Monde, tradotto in italiano Chiesa e sviluppo dei popoli – l’ateismo diviene la condizione del cambiamento
sociale». Oggi infatti il problema non è l’ateismo, ma l’idolatria (la
nostra è una società idolatrica!). «Se solo Dio è Dio, tutto il resto è
compito, tutto il resto è da fare, tutto è sempre da ricominciare – ci
ricorda Cosmao –. Dio rende liberi o non è Dio. Chi l’ha intravisto
un istante, chi ha inteso parlare di Lui con “conoscenza di causa”,
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non teme più alcun potere, non temendo più la morte. Sa per esperienza che la sua sicurezza può nascere solo dalla paura, dall’angoscia superata ogni giorno in una perpetua nascita! Quando si
moltiplicano questi “credenti”, gli imperi
tremano».
È stata questa la fede di Mosè che ha fatto tremare l’impero faraonico, è stata la fede di Gesù che ha fatto alla fine crollare l’impero
romano, la fede di Gandhi che ha scosso l’impero britannico. Caro
giovane, oggi anche tu hai davanti a te l’impero del denaro che uccide con la fame (30-40 milioni di morti per fame all’anno), con armi
(conflitti, regimi repressivi, guerre stellari), con la distruzione dell’ambiente (morte ecologica). Mosè ha accettato la sfida: «Va’ e
libera il mio popolo!»
E tu?
E
tu?
E
tu?
E tu?E tu?
P.
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AL E X ZA N O T E L L I
BARI
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E tu? - Giovani e Missione