Un uomo una storia
JAMES HENRY LONGINO
1944
da Atlanta a Maiolo
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Indice
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Indice
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Introduzione - Ringraziamenti
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Prefazione
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CAP. I
- L’operazione “Strangle”
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8
CAP. II
- Il 98° Gruppo da Bombardamento
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10
CAP. III
- Il bombardamento di Bologna del 05/06/44
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13
CAP. IV
- Il MACR
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16
CAP. V
- Il rifugio a Maiolo
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31
CAP. VI
- Un aviatore braccato
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37
CAP. VII
- In volo su Maiolo
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38
CAP. VIII
- Gli aviatori catturati
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41
CAP. IX
- Cronologia del Montefeltro
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50
CAP. X
- La partenza
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58
CAP. XI
- La ricerca dei familiari di Longino
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61
CAP. XII
- San Longino
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64
CAP. XIII
- Biografia di Longino
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66
CAP. XIV
- Ebrei a Pugliano
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CAP. XV
- Il sopralluogo a Maiolo
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70
Bibliografia
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71
Allegati
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Introduzione
Questa storia è ambientata nell’estate del ‘44, tra la Romagna e le Marche.
I protagonisti sono un giovane aviatore americano, James Henry Longino, di
ventisei anni e i componenti di una famiglia di mezzadri di Maiolo, i Selva.
James volava su un B 24 che dopo aver effettuato una missione di
bombardamento su Bologna, durante la fase di rientro alla propria base, un
colpo ben assestato dell’antiaerea ha costretto lui ed il resto dell’equipaggio a
lanciarsi con il paracadute. Erano le 13:40 del 05/06/1944. Questo è quanto
è emerso durante le ricerche.
Ringraziamenti
Questa ricerca è stata possibile grazie alla cortese disponibilità di molte
persone che hanno avuto voglia di perdere un po’ del loro tempo con me.
Innanzi tutto un grazie ai componenti della famiglia Selva: Valeria, Carlo,
Elio, Ada e la figlia Stefania Lepera.
In ordine alfabetico cito anche tutti gli altri che mi hanno aiutato
raccontandomi le proprie esperienze vissute durante quei giorni e quelli che
mi hanno fornito assistenza durante le ricerche:
di Rimini: Elisabetta Angeli, Orazio Giolitto, Massimo Cicchetti, Pietro Cucci,
Davide Fabbri, Elio Moretti, Nerio Nadiani, Marino Ricci, Annalisa Caribotti e
Augusto Giannotti (biblioteca di Rimini), Rosaria Ripaldi, avv. Stefano
Cavallari, Cav. Valeriano Moroni, C.F. Piercarlo Di Domenico (Comandante
della Capitaneria di Porto Rimini), M.llo Ruggero Porcelluzzi, Fausto Ruffilli.
di Forlì: Lorenzo Nadiani
di Gabicce: Umberto Palmetti
di Macerata Feltria: Alfeo Narduzzi
di Misano: Pierino Galluzzi
di Montescudo: Elisa Guerra
di Novafeltria Bianca Barbieri, Giampietro Bucci Sabattini
di Pennabilli: Franco Giorgi
di Pesaro: Antonietta Bucci Sabattini
di San Leo: Gilberto Mascella, Ubaldo Mascella
Valeria Grestini dell’ANPI di Pesaro
dagli USA: John e Linda Longino
I seguenti nominativi li ho tenuti per ultimi, ma non per questo sono da
considerare di poco conto, anzi devo dire che loro sono stati le colonne
portanti di questa ricerca:
di Bagnacavallo: Enzo Lanconelli
di Imperia: Lorenzo Fresi
di Roma: Maurizio De Angelis
di San Leo: Pier Luigi Nucci, senza il quale questa ricerca non avrebbe mai
avuto inizio.
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PREFAZIONE
Dice un proverbio: “Da cosa nasce cosa”.
Lo scorso anno sono riuscito a completare una ricerca su dieci aviatori americani del 301st Bomb Group,
che il 05/06/1944 si erano dovuti lanciare con il paracadute nel Comune di Coriano (FO).
Facevano parte di una formazione di aerei che erano andati a bombardare il viadotto ferroviario di Vado,
nel comune di Marzabotto (Bologna). Sull’obiettivo il B 17 su cui volavano era stato colpito dalle batterie
dell’antiaerea. Lungo la rotta per fare rientro alla base in Puglia, viste le cattive condizioni in cui si
trovava il velivolo, l’equipaggio si era dovuto paracadutare. Sei di loro erano stati catturati, gli altri
quattro erano riusciti a far perdere le proprie tracce, aiutati dai civili del posto. La ricerca si è conclusa
con la stampa di un libretto che riassumeva tutto quello che ero riuscito a raccogliere su questa
interessante vicenda. Una di queste copie l’ho inviata all’amico Pier Luigi Nucci di Pietracuta (San Leo),
al quale l’avevo promessa sin da quando avevo iniziato le ricerche. Pochi giorni dopo (17/11/11), ho
ricevuto una sua telefonata, aveva una interessantissima notizia da darmi.
Nel dare una prima sintetica occhiata al libro, inquadrato qual era l’argomento trattato, come un fulmine a
ciel sereno nel suo “data base” (cervello) si è avviata automaticamente la ricerca di dati similari a quelli
che aveva appena letto. Quei dati li ha trovati immediatamente. Un suo compaesano, Gilberto Mascella,
tempo addietro gli aveva narrato una storia simile a quella da me raccolta. I soggetti principali di
quell’avventura erano stati alcuni suoi parenti, che come la sua famiglia durante la guerra abitavano a
Maiolo. Mi informa inoltre che un avvocato di Novafeltria, Bianca Barbieri, dovrebbe essere in possesso
di alcune lettere che l’aviatore americano aveva scritto dopo la guerra ai parenti di Gilberto.
Barbieri doveva essere la persona che traduceva le lettere che giungevano dall’America. Inutile dire che
mi sono fatto subito prendere dall’entusiasmo e ho chiesto a Pier Luigi di mettermi in contatto con il
signor Mascella, ringraziandolo per la graditissima informazione. Forse poteva nascere una nuova
emozionante ricerca.
Dopo pochi giorni, Pier Luigi mi ha inviato l’indirizzo di posta elettronica di Mascella, al quale ho
immediatamente inviato un messaggio per prendere contatto con lui. Trascorsi alcuni giorni senza
ottenere risposta, ho dovuto ricontattare Nucci per farmi dare un recapito telefonico. Con quello
finalmente il contatto ha avuto esito positivo. Mascella mi ha raccontato che la famiglia Selva, con la
quale ha una stretta parentela, aveva tenuto nascosto un aviatore americano per alcuni mesi. Lo zio Dino
Selva, che era sposato con una Mascella, aveva avuto un ruolo di primo piano nella vicenda. Lui
purtroppo era deceduto, ma potevo parlare con i figli Elio e Carlo, i cui numeri telefonici si trovavano
sull’elenco di San Marino, in località Gualdicciolo. Dei due nominativi ne ho trovato uno solo, quello di
Carlo, e l’ho subito contattato (25/11/11).
Dopo essermi presentato, gli ho spiegato il motivo della mia chiamata. Il sig. Carlo si è dimostrato subito
molto gentile e disponibile e mi ha fatto una prima sintetica descrizione di quanto era successo durante la
guerra. Lui non aveva molti ricordi diretti di quell’aviatore, perché essendo nato nell’anno 1942 era
ancora molto piccolo. Di lui aveva chiaro il ricordo che lo teneva in braccio e lo faceva “volare” in aria
per farlo divertire. Gli ho chiesto se ricordava come si chiamasse quel militare. “James”, è stata la sua
risposta. Le altre cose che mi ha raccontato per telefono le sapeva per averle ascoltate in famiglia negli
anni successivi alla guerra e perché si era tornato a parlare di lui, ancora molte volte e perché James era
tornato in Italia a fare una visita ai vecchi amici.
Tra le varie notizie che mi ha raccontato, una riguardava il modo in cui l’aviatore era giunto a Maiolo,
secondo i suoi ricordi era giunto a bordo di un camion dalla zona di Forlì. Carlo mi ha detto che ne
avrebbe parlato con suo fratello, dicendomi che mi avrebbe richiamato per mettermi al corrente sugli
sviluppi. Anche lui, come me, era entusiasta di quanto stava accadendo, dopo oltre sessant’anni da
quando si erano svolti quei fatti. Mi ha detto che avrebbe cercato tra la propria documentazione il
materiale su James, ci dovevano essere alcune fotografie e forse delle lettere.
Su questo specifico dettaglio, l’avvocato Bianca Barbieri, contattata da Nucci per avere conferma
dell’esistenza delle lettere giunte dall’America, non ricordava di averle mai viste, comunque se le
avessimo fatto sapere il nome dell’Americano, avrebbe cercato tra le carte di suo padre.
In data 29/11/11 mi ha telefonato Carlo Selva. Il fratello Elio, classe 1935, ricordava il nome completo
dell’americano: James Longines. Lo aveva letto più volte su un bastone che James aveva intagliato con un
coltello e che utilizzava come calendario. Ogni giorno che trascorreva, vi segnava una tacca, una più
lunga delle altre quando era domenica. Elio però non confermava il suo arrivo in camion, era stato trovato
vicino a casa loro, molto probabilmente portato lì dai partigiani. In effetti l’aviatore, come vedremo in
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seguito, non si chiamava Longines ma Longino. Si tratta chiaramente di un piccolo errore dovuto ai tanti
anni trascorsi.
E come un fulmine a ciel sereno, una nuova strabiliante notizia, Elio si ricordava che gli aviatori in zona
erano due, uno atterrato a San Leo, l’altro in zona Secchiano. Forse era un compagno di Longines. Questo
secondo aviatore a lui risultava essere tenuto nascosto a Massamanente (un piccolo gruppo di case ubicato
sopra Secchiano) nella casa di un altro contadino dello loro stesso padrone, Bucci Olinto. Secondo Elio,
Longines doveva essere stato abbattuto il cinque o sei Giugno.
La storia si faceva sempre più emozionante.
Una persona che mi avrebbe potuto raccontare molte cose a riguardo era Valeria Selva, classe 1925, la zia
di Elio e Carlo. Lei era quella che più di tutti in famiglia faceva la spola tra la casa e il rifugio dove era
stato nascosto Longines per portargli il necessario per sfamarsi. Valeria abita a Rimini nei pressi del
Villaggio Azzurro. Ho chiesto a Carlo se poteva chiedergli se era disponibile ad avere un incontro con
me, volevo conoscere ogni possibile dettaglio di quel “pericoloso” periodo.
Terminata la telefonata sono “volato” a consultare il bel libro “Aerei Perduti - Romagna 1942-1945”,
scritto da Enzo Lanconelli e dai fratelli Andrea e Fabrizio Raccagni, tre appassionati di ricerche storiche
sugli aerei militari che sono caduti in Romagna durante la Seconda Guerra Mondiale. Volevo vedere se
potevo trovare una traccia su Longines, anche se, secondo le informazioni di Carlo, l’aviatore era atterrato
a San Leo, e quindi anche l’aereo doveva essere precipitato nelle Marche, e quindi difficilmente avrei
potuto trovare un riscontro. Con un po’ di fortuna si sarebbe potuto trovare un riscontro ... e c’era eccome.
In quel libro, gli aerei censiti sono stati suddivisi per Comune, ove erano avvenuti gli incidenti, e per data.
Mirando alla data indicata ed alla probabile zona che mi era stata citata, Forlì, ho trovato subito dei
riscontri positivi.
In provincia di Forlì, esattamente in data 5 Giugno 1944, era precipitato un B 24 americano, due elementi
“trovavano subito conferma”, luogo e data. Leggendo le pagine relative a quel velivolo, vi ho trovato
menzionata anche la composizione dell’equipaggio:
“Undici aviatori si lanciarono sul cielo di Forlì, pilota 1 st Lt. Henry J. Saborsky, copilota 2nd Lt.
James H. Longino, navigatore … di questi uno solamente, il copilota, riuscì ad eludere la cattura
rimanendo nascosto sino all’Ottobre successivo.”
Non poteva essere una coincidenza, era proprio lui.
Una cosa mi ha sorpreso molto, la data in cui era avvenuto il fatto, era la stessa di quando si era dovuto
lanciare con il paracadute anche Max E. Johnston, sul quale avevo appena terminato la ricerca consegnata
all’amico Nucci. Era incredibile. I due episodi avevano numerose similitudini. In entrambi i casi si
trattava di aerei da bombardamento pesante con almeno una decina di uomini di equipaggio. Nel caso di
Johnston, era un B 17 del 301° BG basato sull’aeroporto di Lucera (Foggia) e nel caso di Longino, di un
B 24 del 98° BG basato sull’aeroporto di Lecce. Entrambi erano stati abbattuti dalla contraerea, sul
territorio della provincia di Bologna che, a quanto vediamo, non scherzava affatto in quella zona. Nel
primo caso l’obiettivo era il viadotto ferroviario di Vado nel comune di Marzabotto, nel secondo lo scalo
ferroviario di Bologna. Tutti i componenti degli equipaggi erano riusciti a lanciarsi con il paracadute, una
parte era stata catturata e inviata nei campi di prigionia in Germania, mentre alcuni erano riusciti a far
perdere le proprie tracce. In entrambi i casi gli aviatori sfuggiti alla cattura erano stati aiutati dalla
popolazione locale che, a rischio della propria vita, li aveva tenuti nascosti per alcuni mesi, fornendo
nascondiglio e vitto come meglio potevano. Gli aviatori fuggiti hanno potuto fare tutti rientro nelle
proprie linee, ed io ho avuto la fortuna, in entrambi i casi, di poter parlare con persone che erano state
parte attiva nelle due vicende che si sono svolte contemporaneamente in due luoghi diversi distanti tra
loro una trentina di chilometri.
Dopo circa una settimana da quando Nucci mi aveva informato della notizia su Maiolo, mi ha richiamato
per dirmi che la madre di una sua amica di Pietracuta aveva notizie su un altro aviatore alleato. Forse si
trattava del secondo aviatore di cui mi parlavano i Selva. Di una storia analoga avevo già letto qualcosa
nel libro “Memorie della guerra vissuta in Sogliano al Rubicone dal 1944 al 1945” di Monsignor Michele
Rubertini. Si trattava di un aviatore che era atterrato con il suo apparecchio sul greto del Fiume Uso in
località Ponte Uso, citato anche nel libro di Lanconelli - Raccagni. Ho informato Nucci di questo
dettaglio, il quale dopo qualche giorno mi ha confermato che si trattava proprio di quell’episodio. Questo
poteva essere un nuovo filone di ricerca.
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CAP. I - L’OPERAZIONE “STRANGLE”
Con lo sbarco in Sicilia, ha inizio la lenta ma inesorabile avanzata degli alleati lungo la penisola italiana,
sapientemente rallentati dalle truppe del Feldmaresciallo Kesselring, un mago in questo campo, che nulla
di più poteva fare con le forze a sua disposizione. Dovrà trascorre ancora più di un anno prima che gli
alleati giungano sino alla Romagna. Con la conquista da parte alleata delle basi aeree della Puglia (Foggia
27/09/43), della Sardegna (20/09/43) e della Corsica (05/10/43), gli alleati vengono a disporre di nuovi ed
importanti aeroporti che riducono notevolmente la distanza dagli obiettivi che devono colpire i
bombardieri e quindi aumentare di conseguenza il carico bellico trasportabile. Ora persino Berlino era
entrata nel raggio d’azione degli aerei che partivano da Sud. Uno dopo l’altro, i vari reparti di volo, basati
sugli aeroporti dell’Africa Settentrionale vengono trasferiti sulle basi italiane esistenti o su quelle
realizzate in poco tempo con i potenti mezzi a disposizione degli alleati. Tra campi primari e alternativi,
nel 1945 in Puglia risulteranno efficienti circa un centinaio di basi aeree, dove complessivamente operano
oltre 4.000 aerei di ogni tipo e migliaia di uomini addetti a tutte le operazioni necessarie a far funzionare
una così poderosa macchina bellica.
Nel mese di Giugno del 1944 le varie componenti della grande forza aerea sono così dislocate:
la Puglia (vedi All. 1-1) viene scelta per le basi dei bombardieri B 17 - B 24 della M.A.S.A.F., ovvero
l’aviazione strategica, la Campania, la Sardegna e la Corsica per i gruppi di volo dei bombardieri dotati di
B 25 - B 26 - A 20 … della M.A.T.A.F., ovvero l’aviazione tattica.
Durante l’inverno 1943-44, gli eserciti sono schierai lungo la linea del fronte che congiunge le città di
Ortona sulla costa adriatica e Gaeta su quella tirrenica, denominata Linea Gustav. Il perno della linea
difensiva è costituito dal monte sul quale sorge l’antica Abbazia di Cassino, dove i paracadutisti tedeschi
si sono asserragliati e gli alleati non riescono a farli arretrare. La situazione di stallo prosegue sino
all’arrivo della buona stagione, infatti solo nel Maggio del 1944 gli alleati riescono a spezzare le difese
tedesche a Cassino e ad aprirsi la via per Roma, liberata il 4 Giugno dello stesso anno, un giorno prima
dello sbarco in Normandia.
In previsione dell’imminente offensiva primaverile, il comando alleato ha programmato una serie di
operazioni aeree con lo scopo di limitare al massimo l’afflusso dei rifornimenti tedeschi al fronte. Tutta la
rete stradale e ferroviaria del Centro Nord Italia (vedi All. 1-2) dovrà essere inesorabilmente colpita nei
suoi punti nevralgici: stazioni, ponti, viadotti, gallerie, officine di riparazione e depositi di materiale
ferroviario.
Tutto ciò sarebbe avvenuto senza preoccuparsi più di tanto di poter colpire anche le grandi aree cittadine,
perché così si sarebbe ottenuto l’effetto secondario di indebolire il morale della popolazione. A questa
operazione viene attribuito un nome significativo, “Operazione STRANGLE” che tradotto in italiano
significa “Strangolamento”. Allo svolgimento dei raid, si sarebbero dedicati i bombardieri pesanti della
15a Air Force, e i bombardieri medi della 12a AF. Oltre a questi velivoli, sarebbero stati utilizzati anche i
cacciabombardieri leggeri tipo “Spitfire”, P 38 Lightning, P 47 “Thunderbolt”, P 51 “Mustang”.
Gli obiettivi di questi ultimi erano “targets of opportunity”, parole con cui si poteva identificare qualsiasi
cosa viaggiasse sulle vie di comunicazione, dal treno, all’autobus, dal carro tirato da buoi e persino le
biciclette. I monomotori potevano operare anche nei giorni di cattivo tempo, questo consentiva loro di
attaccare in maniera costante gli obiettivi già colpiti dai bombardieri.
Presupposto fondamentale di “Strangle”, infatti, era l’interdizione simultanea di tutte le linee di
comunicazione tra la valle del Po ed il Sud Italia. Nei mesi tra Marzo e Giugno inoltrato, non si contarono
gli attacchi a ponti e viadotti, spesso danneggiati ma riattati velocemente, in alcuni casi, dai militari del
Genio. Anche le vie marittime furono oggetto di attacchi, con i bombardamenti che colpivano i porti di
smistamento dei rifornimenti. Menziono a titolo di esempio alcuni di questi casi, come l’attacco sul Lago
Maggiore del 25/09/44 di due aerei alleati scesi a mitragliare il battello “Genova” di fronte a Baveno. A
bordo erano presenti solo civili, in prevalenza donne e bambini, tra i quali si contarono numerosi morti e
feriti. Il giorno successivo (26/09) i caccia attaccano il battello “Milano”, anch’esso carico di sfollati che
si erano imbarcati a Laveno per raggiungere la sponda piemontese del lago. Solo per caso, a bordo c’era
un reparto del battaglione «M» Venezia Giulia. Il battello ripetutamente mitragliato si incendia e affonda.
Perdono la vita 10 militi ed un numero imprecisato di civili. Un altro episodio si verifica il 13/10/44
nell’alto Adriatico. Si tratta del piroscafo “Giudecca” in navigazione tra Chioggia e Venezia con quasi
duecento passeggeri a bordo. Sono le 12:45 quando arrivano in zona tre cacciabombardieri dell’aviazione
alleata. I velivoli mitragliano il piroscafo e sganciano alcune bombe. Una di queste viene lanciata anche
contro una piccola imbarcazione presente nelle vicinanze cancellando in un attimo un’intera famiglia.
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Sessantasette persone perdono la vita in quell’attacco. Sempre sul Lago di Garda, il 06/11/44 viene
attaccata la motonave “Zanardelli”. Sono le 11:45, a bordo si trovano 11 uomini di equipaggio e circa 200
passeggeri. Improvvisamente giungono sul lago due cacciabombardieri alleati che iniziano a mitragliare il
natante. Nell’attacco vengono uccise 12 persone, altre 40 rimangono ferite.
Innumerevoli sono stati anche i casi di semplici civili che sono stati mitragliati per strada mentre si
trovavano in sella alla propria bicicletta.
Per operare una particolare guerra notturna contro i convogli tedeschi, vennero infine utilizzate le
motosiluranti statunitensi (Pursuit Torpedo Boats - PTB) del Moto Torpedo Boat Squadron 15 dell’US
Navy e le MTB britanniche della Royal Navy, che partivano da Bastia in Corsica, per colpire i convogli
in navigazione a ridosso della costa toscana. I tedeschi saranno costretti a viaggiare esclusivamente di
notte al fine di ridurre le notevoli perdite degli importanti mezzi di trasporto, disponibili sempre in minor
numero.
Anche le forze della natura avevano voluto manifestare le propria potenza quell’anno. L'eruzione del
Vesuvio, avvenuta durante l’occupazione anglo-americana delle zone limitrofe, è stata talmente forte da
apportare danni non solo alle abitazioni civili dei comuni circostanti, ma anche alle strutture militari
americane ed inglesi presenti nel napoletano. I primi segnali si erano manifestati sin dai primi giorni
dell’anno, ma l'eruzione vera e propria, avvenne il 18/03 con forti colate laviche che giunsero fino a
Cercola. L'attività eruttiva andò scemando fino a cessare definitivamente il giorno il 29/03. La nube
eruttiva aveva raggiunto un'altezza di 5.000 metri.
Dana Craig, attendente del 486º squadrone di soccorso americano ha scritto sul suo diario:
“Capimmo quello che stava succedendo la mattina del 23 Marzo. Fino al giorno prima il Vesuvio
aveva soltanto fumato. Ricorderò per sempre il momento in cui il Vesuvio ha eruttato. Non ho mai
visto nessuna bomba fare tanto. Noi dovevamo lavorare tra pietre che cadevano e cenere. Tutti
avevamo i giubbotti di protezione e i caschi. Poi arrivò l’ordine di evacuare verso Napoli”.
A causa dell’eruzione il traffico degli aeroporti attorno a Napoli viene parzialmente interrotto. Nella base
aerea alleata di Terzigno, vicino a Pompei, sede del 340° Bomb Group dotato di velivoli modello B 25
Mitchell, un consistente strato di cenere ricopre anche i velivoli. I danni arrecati sono ingenti, in poche
ore gli 88 bombardieri vengono ricoperti dalla cenere e danneggiati vistosamente, “peggio che sotto un
bombardamento” come testimoniarono a più riprese i reduci americani. L’attività portuale invece
proseguì senza soste. Il comandante in capo delle operazioni marittime, in un suo rapporto aveva
affermato:
“Le banchine del porto di Napoli stanno ora scaricando al ritmo di 12 milioni di tonnellate
all’anno, mentre il Vesuvio si ritiene stia lavorando al ritmo di 30 milioni di tonnellate al giorno.
Non possiamo non ammirare questa impresa degli dei”.
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CAP. II - IL 98° GRUPPO DA BOMBARDAMENTO PESANTE
Motto: “Force for Freedom” (Forza per la Libertà)
Il 98° Gruppo da bombardamento viene costituito il 28/01/1942 e attivato il 3 Febbraio sul Campo di
MacDill, (Fla). Giunge sul Teatro Operativo del Mediterraneo nel Luglio 1942 dove opera fino alla fine
della guerra. La sua prima missione è stata effettuata il 01/08/42, sull’obiettivo di Mersa Metruh con sette
aerei. A partire dal Novembre 1943 viene assegnato alla 15a Air Force (vedi All. 2-1).
Il Gruppo è formato da quattro Squadroni: il n° 343 - 344 - 345 e 415 composti ciascuno da 15 aerei,
modello B 24 Liberator (vedi All. 2-2).
Dal 01/11/43 alla guida del Gruppo si sono succeduti i seguenti comandanti: Col. William E Karnes,
18/11/43; Lt Col. Marshall R Grigio, 13/01/44; Col. Salvatore E. Manzo, Luglio 1944.
Le basi africane ed italiane dal quale ha operato sono state le seguenti: Ramat David (Palestina) 25/07/42;
Fayid (Egitto) 11/11/42; Benina (Libia) 09/02/43; Hergla (Tunisia) 21/09/43; Brindisi (Italia) 18/11/43;
Manduria (Italia) 19/12/43; Lecce (Italia) dal 17/01/44 al 19/04/45.
La prima missione sull’Italia viene effettuata con undici aerei il 04/12/1942, con obiettivo Napoli. La
prima eseguita dagli aeroporti pugliesi è stata la n° 163 effettuata il 19/11/43, il giorno dopo il loro arrivo,
diretta a colpire la città di Aviano. L’ultima missione eseguita dalla base di Lecce è stata eseguita il
15/04/45 per bombardare l’area di Bologna.
Il Gruppo ha partecipato a numerosi bombardamenti in Italia, Francia, Germania, Cecoslovacchia,
Austria, Ungheria, Grecia, etc. per colpire obiettivi strategici come industrie, aeroporti, porti e linee di
comunicazione, fino all’Aprile del 1945. Per il compito svolto ha ricevuto una citazione per meriti nelle
azioni contro il nemico nel periodo antecedente allo sbarco in Sicilia ed un’altra per la partecipazione al
bombardamento sulle raffinerie di petrolio di Ploesti in Romania, 50 chilometri a Nord di Bucarest. Il raid
aereo su Ploesti del 01/08/43 fu la prima missione eseguita a bassissima quota da un reparto di
bombardieri pesanti americani. Il bombardamento aereo dell'area era da considerarsi d'importanza
strategica. Attorno alla città erano presenti otto grandi complessi petroliferi. Qui veniva prodotto un terzo
del combustibile necessario alla macchina da guerra tedesca. La prima missione, effettuata il 12/06/42,
non era stata un successo, anche se la propaganda statunitense non aveva mancato di magnificarne i
risultati. Era infatti necessario un radicale miglioramento della situazione strategica per poter agire più
incisivamente e, in effetti, si dovette attendere un altro anno prima che potesse essere lanciato dagli
aeroporti libici un ulteriore e più pesante attacco, l'operazione "Tidal Wave" (Onda di marea). I velivoli,
decollati dall’aeroporto di Bengasi, nell'Africa Settentrionale, hanno dovuto compiere un tragitto, tra
andata e ritorno, di ben 4.200 chilometri, per una durata complessiva di 13 ore, la più lunga missione mai
registrata durante la guerra. Dei 178 aerei B 24 decollati, ben 54 sono stati abbattuti registrando una
perdita di oltre 540 aviatori tra caduti e dispersi. Dopo quel noto raid del 1943, passarono alcuni mesi
prima che l’USAAF, massicciamente presente anche in Italia, dagli aeroporti pugliesi raggiungesse una
forza adeguata per sostenere un'impegnativa campagna contro i centri di produzione di Ploesti. Con la
conquista della Puglia da parte delle forze alleate, inizia la sistemazione delle numerose basi presenti per
trasferirvi i propri reparti volo. Il 98° BG raggiunge l’Italia il 18/11/43 e viene sistemato in un primo
momento sulla base di Brindisi, dove rimane solamente un mese perché in data 19/12/43 viene trasferito
sulla base di Manduria. Anche questa però sarà una base temporanea, la sistemazione definitiva avviene
sull’aeroporto di Lecce, che il gruppo raggiunge il 17/01/44 e dove rimarrà sino al termine del conflitto
quando partirà per fare rientro negli Stati Uniti il 19/04/45.
Il 98° Gruppo durante l’intero ciclo operativo nel Teatro Mediterraneo sino all’Aprile 1945 ha perduto in
totale 108 aerei dei quali 39 sono risultati “missing” (dispersi). Il mese che ha registrato il maggior
numero di perdite è stato l’Agosto del 1943 (Ploesti) con 21 velivoli persi e a seguire il mese di Giugno
1944 con 9 velivoli, dei quali 3 dispersi. Al termine del conflitto il 6 maggio 1945 il reparto ha fatto
rientro negli Stati Uniti sulla base di Fairmont AAFld, Nebrasca.
In questo reparto aereo ha operato un aviatore di Atlanta (Georgia) la cui storia, per circa tre mesi, si è
svolta a una quarantina di chilometri da Rimini, la mia città. Il suo nome era James Henry Longino. Dalle
ricerche svolte, risulta che nel 1943 era in carico al 346° Bomb Group basato a Flixton in Inghilterra
(vedi All. 2-3). Il reparto era giunto in Europa il 04/11/43 ma non sono in grado di affermare se anche
Longino era arrivato in quella data o successivamente. Faceva parte dell’equipaggio del Tenente pilota
Henry J. Saborsky con la mansione di copilota. Nel 1944 risultano entrambi in carico al 343° Squadrone
del 98° BG, su una delle innumerevoli basi realizzate dagli alleati in Puglia. Non conosco ancora il
motivo del loro trasferimento dal teatro inglese a quello italiano. Sono forse stati loro a chiederlo per
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godersi un po’ di sole italiano invece del tempo umido inglese? Sono stati inviati per rimpinguare le forti
perdite subite dal Gruppo? Forse il reparto basato in Inghilterra voleva allontanare due rompiscatole
dediti a terra solo a gran bevute di birra e scazzottate? Non credo.
Forse il motivo più plausibile fu la recente costituzione della 15a Air Force, avvenuta il 01/11/1943. A
partire da questa data le furono assegnati progressivamente sempre nuovi gruppi di volo, per cui
servivano anche uomini con un po’ di esperienza. Fatto sta che il 05/06 li troviamo a bordo di un B 24
decollato da Lecce, diretto a bombardare un obiettivo italiano. Alcune delle risposte si desumono dalla
lettura dei documenti del gruppo di volo che si possono consultare sul sito:
http://www.taracopp.com/98th-Bombardment-Group-WWII/98th-BG-417-Missions
dove è presente la lista completa delle missioni di bombardamento.
Da questo sito, che ho visionato recentemente (06/11/12), ho consultato la documentazione delle missioni
a partire dalla data del 05/06 e proseguendo a ritroso sino ai primi dell’anno per capire quanti voli di
guerra i due aviatori avevano svolto insieme dalle basi italiane. La prima in cui compare il nome di
Saborsky è datata 12/04, e aveva come obiettivo la città di Weiner (Austria). Devo presumere quindi che
loro siano giunti in Italia qualche settimana prima di quella data. Dal 12/04, se hanno volato sempre
assieme, hanno eseguito altre quindici missioni (vedi All. 2-4) compresa quella del 05/06, il loro ultimo
volo di guerra.
Ogni reparto di volo aveva un proprio simbolo distintivo disegnato nella coda dei velivoli, questo è quello
del 98° BG.
e gli stemmi araldici della 15a Air Force, del 98° Gruppo e del 343° Squadrone.
15a AIR FORCE
98°BOMB GROUP
SQUADRON
9
343°BOMB
CAP. III - IL BOMBARDAMENTO DI BOLOGNA DEL 05/06/44
Tra i principali obiettivi da colpire per cercare di conseguire l’obiettivo della operazione “Strangle”, vi
era anche lo scalo ferroviario di Bologna, nodo di primaria importanza nel sistema di rifornimento
dell’esercito tedesco. Bologna costituiva l’anello di congiunzione tra la rete ferroviaria meridionale e
quella a Nord della catena degli Appennini. Numerosi sono stati i bombardamenti aerei subiti da Bologna
tra il 15/07/43 e il 18/04/45. Considerando che un bombardamento poteva essere compiuto anche in più
ondate, con lunghi intervalli tra una e l’altra, il numero dei raid eseguiti dalle formazioni di bombardieri
pesanti è stato pari a trentadue, ma il numero sale a novantatre conteggiando le incursioni effettuate anche
con i bombardieri medi.
Il primo bombardamento è stato eseguito nella notte tra il 15 e il 16 Luglio 1943 da sei Lancaster a lunga
autonomia e grande capacità di carico, partiti dall’Inghilterra e poi atterrati in Algeria.
Quello successivo, del 24/07/43, è stato eseguito da cinquantuno B 17 decollati dalla Tunisia per colpire
la stazione ferroviaria. L’incursione ha causato la morte di centottanta persone. L’incursione più
disastrosa è avvenuta la mattina del 25/09/43 quando settantuno B 17 sono arrivati sulla città senza che
fosse stato lanciato il segnale di allarme, cogliendo i cittadini ancora nelle case o per le strade. I morti
sono stati ben novecentotrentasei. L’ultima incursione è avvenuta la sera del 21/04/45 da parte di un
singolo aereo tedesco che ha lanciato una bomba sulla città liberata dagli alleati.
Questa è la cronologia dei bombardamenti pesanti subiti dalla città sino al cinque Giugno:
Anno 1943: 16 Luglio - 24 Luglio - 02 Settembre - 25 Settembre - 01 Ottobre - 05 Ottobre
Anno 1944: 29 Gennaio - 22 Marzo - 07 Aprile - 30 Aprile - 02 Maggio - 12 Maggio - 13 Maggio - 19
Maggio - 05 Giugno.
Questo è il resoconto emesso dal Comando dell’aviazione alleata di quel giorno, tratto dall’elenco
cronologico delle missioni.
MONDAY 5 JUNE 1944
STRATEGIC OPERATIONS (Fifteenth Air Force):
In Italy, 440+ B-17s and B-24s hit targets; B-17s hit railroad bridges at
Pioppi and Vado; and B-24s hit marshallying yards at Bologna, Castel
Maggiore, Forlì, Ferrara, Faenza and 4 railroad bridges; P-38s and P-51s fly
escort; 53 P-38s strafe Ferrara and Poggio Renatico Airfields and 40 strafe
and dive-bomb airfields at Bologna and Reggio Emilia.
LUNEDI’ 5 GIUGNO 1944
OPERAZIONI STRATEGICHE (15a Forza Aerea):
In Italia, più di 440 B-17 e B-24 hanno colpito obiettivi; B-17 hanno colpito
i ponti della ferrovia a Pioppi e Vado; e B-24 hanno colpito le stazioni
ferroviarie di Bologna, Castel Maggiore, Forli, Ferrara, Faenza e 4 ponti
della ferrovia; P-38 e P-51 volano di scorta; 53 P-38 hanno attaccato i campi
d'aviazione di Ferrara e Poggio Renatico e 40 quelli di
Bologna e Reggio
Emilia.
Un mio vicino di casa aveva dei parenti che abitavano a Bologna durante la guerra. Ecco cosa mi ha
raccontato di loro:
“Muret” Moretti Elio “1936” – La mia famiglia nel 1944 abitava in una casa San Lorenzo Monte
(Rimini) su un podere della famiglia Beccari. Dopo uno dei primi bombardamenti di Bologna,
abbiamo ospitato a casa nostra due miei cugini, Corbelli Lea “1920” e suo fratello Orlando
“1932”, figli di una zia materna. Ricordo come fosse ora il giorno che è avvenuto il primo
bombardamento di Rimini. Mio cugino, quando ha sentito suonare l’allarme, si è messo a correre
per allontanarsi il più possibile in direzione dell’entroterra. Noi ci siamo meravigliati del suo
comportamento, gli ho urlato dietro: “ma du vet” (ma dove vai), molto divertiti per la scenetta che
stavamo osservando. Lui mi ha risposto “Tat n’incorzarè” (te ne accorgerai). Poco dopo, lo
abbiamo capito anche noi perché si comportava così, lui aveva già provato quella brutta
esperienza. I cugini, quando hanno visto che anche Rimini era divenuta un bersaglio dei
bombardieri, hanno deciso di tornare a casa e raggiungere i propri genitori.
Nel libro “Ali sull’Alto Friuli” di Michele D’Aronco a pagina 88 ho trovato un interessante paragrafo su
10
come si svolgeva una giornata tipo di un aviatore americano che volava sui bombardieri pesanti quando
era prevista una missione. Nell’interessante racconto, scritto da Lt. Hart, viene narrato minuziosamente
quello che faceva sin dal momento della sveglia. Leggendo queste righe anche noi, dopo oltre
sessant’anni, ci possiamo rendere conto di cosa facevano quei giovani ragazzi prima di venire a
bombardare le case dei nostri nonni.
“La missione inizia all’alba verso le 4:00, racconta il Lt. Allen Hart navigatore sul B24 “Down
and go” del 450° Bomb Group (anche questo basato in Puglia). Dopo la sveglia si esegue la
toelettatura, necessaria per un corretto utilizzo delle tute di volo riscaldate elettricamente per
resistere ai 40° sotto zero delle alte quote e per indossare le maschere ad ossigeno che sono
irritanti se il viso non è perfettamente pulito e rasato. Dopo la toelettatura si va a mensa a
mangiare carne in scatola e uova strapazzate. Il cibo è terribile ma il caffè è ottimo e nasconde il
sapore di tutto. Dopo la colazione indossiamo la tuta di volo e prendiamo il necessario per la
missione. Ci portiamo in sala riunioni per acquisire i dettagli sulla missione. Si visionano mappe e
le foto vengono proiettate sul muro. Qui apprendiamo quale sarà il nostro obiettivo. Durante la
riunione ci vengono comunicati i dati meteo e le notizie sulla presenza delle batterie dell’antiaerea
e dei caccia nemici lungo la rotta. Per concludere giunge l’ufficiale bombardiere che con l’ausilio
di foto ci mostra le fasi di avvicinamento, i punti di virata e il punto di sgancio. Usciti dalla sala
riunioni troviamo i camion che ci portano sulla linea di volo dove i meccanici stanno scaldando i
motori per l’accensione. Prima di salire le ragazze della Croce Rossa ci danno l’ultima tazza di
caffè bollente ed un paio di ciambelle. Non abbiamo molta fame ma è un rituale che non può essere
ignorato, serve a stare caldi dentro le tute di volo. Accendiamo i motori e rulliamo verso la pista
facendo gli ultimi controlli. Ci allineiamo sulla pista, il pilota dà tutto motore poi si va. In quindici
minuti decollano ventinove aerei. La prima parte della missione è di routine ed io schiaccio un
pisolino. Il lavoro del bombardiere si concentra in dieci - quindici minuti sopra l’obiettivo, tempo
in cui è necessario guidare l’aeroplano tramite i sistemi di puntamento che calcolano la traiettoria
e la velocità del vento e quindi sganciano il carico sull’obiettivo assegnato”.
I velivoli dopo il decollo si portano in quota e una volta riunita la formazione si dirigono verso l’obiettivo
seguendo una rotta prestabilita, prevista su determinati “waypoint” (punti prefissati) costituiti da città o
punti del terreno ben individuabili dall’alto. Durante il volo, gli aerei si riuniscono ai caccia di scorta,
quando era prevista. La formazione tipo è suddivisa in box, composti solitamente da sei velivoli ciascuno
(vedi All. 3-1). Dopo avere oltrepassato la linea del fronte, entrando in territorio nemico, vengono provate
le armi di bordo, poi tutti gli uomini indossano i giubbotti e gli elmetti protettivi. Da questo momento gli
occhi dei mitraglieri scrutano con molta più attenzione i rispettivi settori di controllo alla ricerca di
eventuali presenze ostili. Qualche aereo nemico potrebbe piombare su di loro in qualsiasi momento,
anche se ogni giorno che passa se ne vedono sempre meno. Tra i gruppi di volo impegnati nella missione
del cinque giugno è stato designato anche il 98th Bomb Group. Come abbiamo appena letto nella
descrizione di Allen Hart, per analogia anche sulla base aerea di Lecce, sede del 98th, sin dal primo
mattino l’attività ferve frenetica per i necessari preparativi della missione. Tutte le operazioni, sia a terra
che in volo, avvengono secondo un preciso ordine prestabilito. Ciò è dovuto alla posizione che ogni
velivolo deve tenere nella formazione. Nulla è lasciato al caso, ogni dettaglio della missione è stato
pianificato a tavolino e, per quanto possibile, deve essere rispettato.
Sui bombardamenti subiti da Bologna, il dott. Gastone Mazzanti di Pesaro ha scritto un bel libro dal titolo
“Obiettivo Bologna: Open the door: Bomb away” nel quale vengono presi in esame i più importanti
eventi verificatisi sullo scalo ferroviario della città. Questa è una sintesi su quanto è riportato a pagina
167:
“Il cinque Giugno del 1944 sui cieli dell’Emilia Romagna volteggia un gran numero di aerei
alleati. Su Bologna per la prima volta agisce la 47a Wing composta dai Gruppi di volo 98°- 376°449°- 450°. L’antiaerea di Bologna, ubicata a Casalecchio, Praduro e Marzabotto, sparò
intensamente contro gli aerei lungo il loro percorso, tanto da danneggiare ventuno dei settantasei
aerei da bombardamento. L’initial Point è fissato a Castel del Rio. I caccia nemici sono assenti.
Del 98 BG, dalla base di Lecce decollano trentatré B 24 alle ore 9:40, uno è costretto a rientrare
alla base per problemi tecnici. Alle 13:20 da una quota di 19 - 20.000 piedi vengono sganciate
sull’obiettivo trecentododici bombe da 500 libbre (vedi All. 3-2) pari a settantotto tonnellate di
esplosivo, alcune bombe vaganti sono finite all’interno della città. Dopo pochi minuti
sopraggiungono i bombardieri del 449 BG che da una quota di 20.500 - 23.600 piedi lanciano
trecentosessantasei bombe da 500 libbre pari a novantuno tonnellate e mezzo di esplosivo.
Parecchi i colpi finiti sulla città”.
Sull’obiettivo un bombardiere viene colpito, perde quota e scompare. Sarà l’unico mancante, gli altri
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rientreranno alla base, uno dei quali gravemente danneggiato. Ho consultato in rete alcuni siti dai quali ho
potuto apprendere che quelle bombe avevano colpito anche il santuario della Beata Vergine del Soccorso,
tra le cui macerie ha perso la vita Don Arturo Giovannini, il popolare “Dan Zvanein”. Non ho trovato altri
caduti civili in quel giorno, risultava invece una vittima tra i militari in servizio in città. Nell’elenco dei
caduti della Repubblica Sociale Italiana, compare il M.llo Kovacic Francesco GNR CP-BO 629 ex
carabiniere classe 1904 nato a Gracova di Serravalle deceduto all’ospedale di Bologna il 15/06/44 con
l’annotazione che era stato ferito nel bombardamento del 05/06.
Le batterie dell’antiaerea, quelle ubicate a Sud-Ovest di Bologna, come a Casalecchio, Praduro e
Marzabotto (vedi All. 3-3), come riporta Mazzanti sparano intensamente per colpire i grossi aerei che
vengono a portare morte e distruzione. Non riescono ad evitare lo sgancio sul bersaglio ma diversi
velivoli vengono colpiti, uno di loro in modo significativo dopo lo sgancio, mentre lasciava l’obiettivo,
tanto che non riesce più a mantenere la sua posizione nella formazione e inizia a perdere velocità e quota.
Cercando dati sui bombardamenti di Bologna, sul sito:
http://www.sulleormedeinostripadri.it/it/documenti-storici/37-bologna/54-bombardamenti-bologna.html
ho trovato le annotazioni fatte su un taccuino da un abitante di Bologna che, puntigliosamente e
cronologicamente, ha tenuto nota degli allarmi, cessati allarmi, bombardamenti, mitragliamenti aerei e
colpi d'artiglieria sulla città tra il 1944 e il 1945. Riporto la parte relativa al mese di Giugno 1944
Erano giorni terribili, quelli, per il capoluogo Emiliano Romagnolo. Dal sito:
http://www.taracopp.com/98th-Bombardment-Group-WWII/98th-BG-417-Missions
ho scaricato il documento relativo alla missione n° 238 del 05/06/44 su Bologna (vedi All. 3-4).
Da questo foglio possiamo ottenere una discreta mole di dati, come il numero identificativo di tutti i
velivoli che hanno partecipato alla missione e a fianco di questi il nome del pilota.
Nella seconda riga sono riportati i dati sul velivolo di Saborsky e Longino. Il loro aereo n° 928 P era
decollato quella mattina alle ore 09:47. Nel campo dove andava indicato l’orario di atterraggio alla base
non era riportato nulla e nella successiva casella era riportata la seguente nota: “DOWN OVER TARGET”
(Perduto sull’obiettivo). Per fortuna questo documento è ben nitido, a differenza di molti altri presenti nel
sito. Quella mattina sulla pista di volo erano pronti 35 B 24. Di questi velivoli 11 erano del 343°
Squadrone, quello di Longino e Saborsky, 9 del 344° Squadrone, 8 erano del 345° Squadrone e 7 del 415°
Squadrone. I decolli sono avvenuti tra le ore 09:40 e le 10:10. In trenta minuti tutti e 35 i velivoli sono
partiti. Durante il volo per raggiungere l’obiettivo, tre velivoli hanno avuto problemi meccanici ai motori
e perdita di carburante che li hanno costretti a rientrare alla base senza poter portare a termine la missione.
Il primo, appartenente al 415° Squadrone, è atterrato alle 10:32, il secondo, del 345° Squadrone è atterrato
alle 10:43, il terzo, del 344° è atterrato alle 11:50. Sull’obiettivo a sganciare il proprio carico giungono 32
aerei. Uno di loro viene colpito dalle batterie antiaeree. Il rientro alla base avviene verso la metà del
pomeriggio con i primi atterraggi alle ore 16:00 e l’ultimo alle 16:37, dopo sei ore e quarantasei minuti di
volo. Ho consultato anche le successive missioni eseguite sino alla fine del mese per vedere se il loro
reparto poteva avere sorvolato la zona di Maiolo mentre Longino si trovava ospite della famiglia Selva,
ma ciò non è avvenuto. Il giorno 06 sono andati a bombardare in Romania, il 09 in Germania, il 10 su
Trieste, l’11 in Romania, il 13 in Germania, il 14 in Jugoslavia, il 16 in Austria, il 22 su Udine, il 23 e 24
in Romania, il 25 in Francia, il 26 in Austria, il 27 in Ungheria, il 30 in Jugoslavia.
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CAP. IV - IL MACR
Dopo il bombardamento dell’obiettivo, la formazione esegue la virata per dirigersi verso la propria base a
Lecce dove gli uomini del reparto attendono il rientro dei velivoli. Torneranno tutti? È la domanda che
ogni volta si pongono. Le ambulanze sono pronte ai bordi del campo per gli eventuali feriti dalle schegge
delle granate dell’antiaerea o dalle pallottole delle mitragliatrici dei caccia avversari. Sono pronti anche i
mezzi del servizio antincendio per soccorrere gli eventuali aerei che fossero riusciti a rientrare alla base
così malconci da pregiudicare un normale atterraggio. Si scrutano gli orologi. In base alla tabella di
marcia della missione, i velivoli dovrebbero essere ormai prossimi alla base. Finalmente si inizia a sentire
il caratteristico suono cupo dei loro motori stellari, ancora lontani. Eccoli, ora gli aerei si distinguono
chiaramente. La formazione è numerosa, sembrano esserci tutti. Vengono contati: uno, due … Ne manca
uno, ma potrebbe essersi attardato per i danni subiti sull’obiettivo oppure essere atterrato da qualche parte
lungo il percorso, magari in territorio già liberato dai tedeschi. Dopo l’atterraggio dei primi velivoli e
dopo avere parlato con i membri degli equipaggi, si avrà la conferma su quanto è accaduto: l’aereo di
Saborsky non farà rientro, è andato giù vicino a Forlì, oltre la linea del fronte purtroppo. Per un’ufficiale
della base, l’addetto alle Operazioni, Arnold N. Hansen, ora c’è da assolvere un preciso compito, previsto
nel caso di mancato rientro di un velivolo, quello di raccogliere le testimonianze di chi ha partecipato alla
missione e ha assistito alla perdita del velivolo di Saborsky.
Deve redigere un rapporto contenente tutta una serie di dati, tra cui le dichiarazioni degli aviatori che
hanno assistito all’evento. Questo documento si chiama MACR - MISSING AIR CREW REPORT
(rapporto equipaggio aereo disperso). Per l’aereo in questione verrà materialmente redatto il 7 Giugno
1944 e prenderà il n° 6318.
Tra i vari aviatori in volo quel giorno, trova due testimoni, il 1st Lt Spann ed il S/Sgt Halporn. Questo è
quanto hanno racconto:
1st Lt Spann Henry Harry
Certifico che nella missione di combattimento del 5 Giugno 1944 mentre volavo come numero
secondo leader gregario nell’unità del gruppo di attacco, sono stato testimone di quanto segue.
Dopo avere lasciato l’obbiettivo (Stazione ferroviaria di Bologna) a circa 44,10 N 11,40 E l’aereo n° 41-25928 pilotato dal primo tenente Henry J. Saborsky, ASN 0-743286, ha contattato
il mio aereo e riportato che non poteva mantenere la quota di 20.000 piedi. Ha richiesto che la
formazione perdesse altitudine per scendere a 13.000 piedi ed anche di rallentare a 150 mph/h.
Questo è stato fatto ma il suo aereo ha continuato a perdere quota e velocità. Ho contattato il
ten. Saborsky di nuovo, lui ha segnalato che intendeva volare verso Sud il più a lungo possibile
e quindi dare ordine all’equipaggio di lanciarsi.
Approssimativamente dopo cinque minuti ho provato a contattarlo di nuovo senza esito.
L’equipaggio a questo punto aveva perso di vista il velivolo ma l’ultima volta era stato visto
ancora sotto controllo.
S/Sgt. Benjamin Halporn
Certifico che mentre volavo come cannoniere centrale di destra sull’aereo capo formazione del
secondo raggruppamento della prima unità d’attacco ho visto quanto segue nella missione di
combattimento del 5 Giugno 1944. L’aereo No. 41-28928 è stato colpito dalla contraerea a circa
44,20N 11,10E. Il proiettile contraereo ha trapassato il motore numero 4 ed il serbatoio
combustibile, esplodendo più in alto del velivolo. La benzina ha cominciato a disperdersi in aria e
l’aereo è scivolato dalla formazione sotto controllo perdendo quota. Quindi l’aereo sembrava che
provasse a ricongiungersi alla formazione che aveva rallentato per permettergli il riaggancio.
Comunque questo ha mostrato di rallentare ulteriormente e non è riuscito a rientrare in
formazione. Dopo avere continuato a tenere sotto osservazione il velivolo approssimativamente 15
minuti dopo avere lasciato l’obbiettivo l’ho perso di vista.
Una terza dichiarazione è stata resa dal Cap. Frederich C. Pen
Certifico quanto segue. Interrogato il nostro equipaggio da combattimento a seguito della missione
su Bologna il 5 Giugno 1944, si rileva il fatto che il nostro aereo 41-28928, un B 24 metallizzato, è
stato colpito dal fuoco della contraerea nemica nell’ala e nel motore, e che il pilota ha manifestato
l’intenzione di evacuare l’equipaggio dopo che il tentativo di mantenersi in formazione è risultato
inutile. L’ultimo avvistamento alle 11:34 (ora del controllo aereo) a 44,15 N 11,12 E, l’aereo era
13
sotto controllo perdendo quota. Ho domandato al capitano Bartlett, gruppo S-2, del 449° Gruppo
Bombardieri, che ha seguito il nostro gruppo nella formazione laterale ed egli ha affermato che
parecchi equipaggi del 449° hanno dichiarato di aver visto un B 24 metallizzato a bassa quota
sotto controllo e che hanno visto aprirsi 8 paracadute da questo alle 11:40 (Ground Control Time)
verso 44,10 N 11,15 E, l’aereo è stato visto precipitare in fiamme a quella posizione. Da una
comparazione dei tempi e delle posizioni è ragionevole considerare che questo aereo fosse quello
in questione.
Per fortuna sono stati visti aprirsi otto paracadute, ne mancano tre. Probabilmente sono stati catturati tutti
ma almeno sono salvi. Gli aviatori fanno ai colleghi di terra una sommaria descrizione di come si è svolta
la missione, dei dettagli se ne parlerà poi al bar, davanti a una bella birra fresca. Spenti i motori, gli
addetti alla manutenzione si prendono subito cura dei velivoli, le cose da fare sono tante per rimettere gli
aerei in grado di svolgere la missione successiva. Vi sono da eseguire i vari rifornimenti: carburante, olio
lubrificante, ossigeno. Vanno inoltre caricate le opportune bombe a seconda dell’obiettivo designato e le
munizioni per le mitragliatrici di bordo. Bisogna anche eseguire le eventuali riparazioni dovute a guasti
meccanici e quelle dovute sia all’azione dell’antiaerea che della caccia avversaria. Al MACR spettava un
altro ingrato compito, quello di inviare una comunicazione per avvertire i familiari dei componenti
dell’equipaggio del loro mancato rientro. Una pagina del MACR contiene gli indirizzi di tutti i
componenti dell’equipaggio dove inviare i telegrammi. Per Longino si doveva informare Mrs Barbara F.
Longino, 234 Harralson Avenue, N.E. Atlanta, Georgia. Non conoscendo quale sorte avesse avuto
l’equipaggio, gli uomini vengono qualificati MIA (missing in action - disperso in azione). Ciò non
significava deceduti, potevano essere stati catturati e condotti in prigionia, ma ciò sarebbe rimasto un
dubbio irrisolto per diverso tempo. In linea di massima, attraverso l’organizzazione della Croce Rossa,
dopo alcuni mesi si veniva a conoscenza della effettiva situazione di chi era stato fatto prigioniero. Nel
frattempo a casa si viveva nell’angoscia, con la speranza di poter riabbracciare un giorno il proprio caro.
Nel libro “Aerei Perduti - Romagna 1942-1945” di Enzo Lanconelli e dei fratelli Raccagni, apprendiamo
che sul Teatro Mediterraneo gli alleati quel giorno hanno perduto tre bombardieri pesanti, operanti in
Italia, che non hanno fatto ritorno. Trenta aviatori perduti. Si trattava di un B 17 del 301st BG e un B 24
appartenente al 464th BG. Le lettere da spedire alle famiglie erano molte.
Mediante l’aiuto degli amici internauti Maurizio De Angelis di Roma e Lorenzo Fresi di Imperia,
entrambi conosciuti grazie all’amico Galluzzi Pierino di Misano, mi è stato possibile venire in possesso di
importantissime notizie su questo episodio di guerra. Senza di loro non avrei potuto raccogliere dati
significativi su come erano andate le cose (chi, come, cosa e perché), tutti dettagli che sarebbe bene poter
sempre trovare per completare in modo esauriente una ricerca.
Maurizio come prima cosa mi ha procurato il MACR, il documento più importante. Da qui si evince una
nutrita serie di importanti dati sull’equipaggio e sull’aereo (vedi All. 4-1 e 4-2).
Il MACR in questione è relativo al B 24 con matricola n° 41-28928 e Nick Name “MABLE”.
L’equipaggio era così composto (vedi All. 4-3):
1st Lt. SABORSKY Henry Joseph 1915 - Pilota
2nd Lt. LONGINO James Henry 1918 - Co-pilota
1st Lt. KARSH Carl 1921 - Navigatore
1st Lt. HERB JACK Franklin 1921 - Bombardiere
T/Sgt KLOSINSKY Daniel Etwin 1923 - Mitragliere anteriore
T/Sgt Lt. BRUNO Walter L. 1920 - Mitragliere torretta superiore
T/Sgt BAILEY Eugene Franklyn 1923 - Operatore radio
S/Sgt KOVAL Edwin Joseph 1922 - Mitragliere torretta inferiore
S/Sgt FORD Tomas John 1921 - Mitragliere centrale destro
2nd Lt. SULLIVAN Robert Francis 1918 - Mitragliere centrale sinistro
S/Sgt MACARTUR Alexander 1921 - Mitragliere di coda
L’intero equipaggio è riuscito a salvarsi lanciandosi con il paracadute, ma una volta a terra tutti sono stati
catturati dai tedeschi tranne uno, James H. Longino, che è riuscito a far perdere le proprie tracce.
Un evento simile è avvenuto nella stessa giornata anche ad un B 17 appartenente al 301° Bomb Group,
come ho già specificato prima. Questo reparto aveva come obiettivo il viadotto ferroviario di Vado, una
piccola località presente vicino a Marzabotto (vedi All. 3-3). Anche in questo caso l’aereo riesce a
percorrere un centinaio di chilometri verso la propria base pugliese, ma sorvolando il territorio del
comune di Coriano, in provincia di Forlì, viste le precarie condizioni dell’aereo l’equipaggio si è dovuto
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lanciare con il paracadute. Dei dieci aviatori a bordo, sei sono stati catturati, quattro hanno fatto perdere le
proprie tracce. Il racconto dei quattro fuggiaschi è riportato nel testo “Max Johnston, 1944 odissea di un
Americano tra Riccione e San Marino”. Per chi volesse conoscere i particolari di quella storia, il testo è
consultabile presso le biblioteche di Rimini, Riccione, Coriano e San Marino.
Statistiche della II Guerra Mondiale - Dati dell’Army Air Forces
Durante le missioni nel Teatro delle Operazioni del Mediterraneo, dal Giugno 1942 a Maggio 1945 il
numero delle missioni effettuate raggiunse la considerevole cifra di 148.955 di bombardamento strategico
e 87.732 di bombardamento tattico contro il nemico, sganciando sugli obiettivi un totale di 303.842
tonnellate di bombe, in ben dodici paesi dell'Europa.
Molti MACR sono stati compilati durante la Seconda Guerra Mondiale relativamente al Teatro
Mediterraneo, in totale sono andati perduti:
6.731 velivoli di cui 2.755 bombardieri pesanti, 808 bombardieri medi e 3.157 caccia.
Le cause delle perdite:
2.526 abbattuti da aerei nemici, 2.441 abbattuti dall’antiaerea, 1.764 per altre cause.
A bordo di questi velivoli c’erano degli uomini e dei ragazzi. 21.671 di questi hanno perso la vita o
risultarono dispersi, mentre furono fatti prigionieri 20.430 uomini dei bombardieri e 1.187 piloti da
caccia. Di quelli caduti, ben 12.359 furono recuperati dai servizi mortuari dell’USAAF come «ignoti»,
«missing in action», ai quali non è stato possibile attribuire un’identità.
15
CAP. V - IL RIFUGIO A MAIOLO
Uno dei primi giorni del mese di Giugno del 1944 un aviatore americano giunge ad una casa ubicata alla
periferia di Maiolo dove chiede aiuto ad alcune donne incontrate su una carraia ad un chilometro circa
dalla chiesa di S. Biagio. La chiesa, vicina al borgo di S. Apollinare, è di antichissima costruzione e
sorge sulle fondamenta di una precedente chiesa romanica. Al suo interno sono custoditi affreschi del sec.
XVI e un’acquasantiera quattrocentesca. L’aviatore si chiamava James H. Longino, ed era riuscito a
giungere sino a lì da Forlì dove si era dovuto lanciare con il paracadute prima che il suo aereo precipitasse
a terra.
Le donne incontrate lungo una carraia facevano parte della famiglia Selva, lavoratori agricoli con
contratto a mezzadria, di origine Sanmarinese.
Le notizie su cosa sia accaduto a Longino dopo l’aver toccato terra, sino al suo rientro nelle linee alleate,
si dividono in due racconti. Il primo, concerne il periodo della sua permanenza a casa dei Selva, una storia
reale che mi è stata raccontata da chi l’aveva vissuta in prima persona: Selva Valeria ed i nipoti Selva Elio
e Carlo.
Per quanto concerne la seconda parte della sua storia, quella su cosa lui avesse fatto nei giorni precedenti
al suo arrivo a Maiolo, non mi è ancora conosciuta. Non mi è stato ancora possibile raccogliere
testimonianze dirette su come in realtà andarono le cose in quel periodo ma ho voluto ugualmente
scrivere qualcosa, in un capitolo a parte intitolato “Un Aviatore Braccato”, frutto unicamente della mia
fantasia e non fondato su dati certi.
Con la signora Valeria Selva mi sono incontrato il 01/12/11 e successivamente, il 09/12/11, con i nipoti
Elio e Carlo. Con la nipote Ada invece, che risiede a Bologna, mi sono sentito telefonicamente il
24/10/12. Non riuscivo ad andare a parlarci di persona, ma non potevo non sentire anche lei.
Nella stesura del racconto ho trascritto in modo cronologico quanto mi è stato raccontato da loro. Una
delle prime cose che mi ha detto Valeria mi ha fatto sorridere. Se avesse saputo che un giorno sarebbe
arrivato qualcuno a chiederle notizie sulla storia di James, dopo oltre sessant’anni, si sarebbe presa degli
appunti. Recentemente sono riuscito a parlare anche con Mascella Ubaldo, cognato di Valeria e suo
vicino di casa. Vediamo come hanno risposto alle mie domande.
Domanda: Mi è stato detto che la vostra famiglia nel ‘44, ha tenuto nascosto un aviatore americano, è
vero?
Selva Valeria: Sì, è rimasto da noi tutta l’estate.
Domanda: Dove abitavate in quel periodo?
Selva Valeria: Nel 1944 la mia famiglia abitava a Cà ad Michel (Cà Michele) una località a circa un
chilometro da Maiolo, verso S. Leo.
Selva Carlo: La nostra casa si trovava a circa un chilometro da Maiolo lungo la strada per Pugliano, sul
lato destro della strada (vedi All. 5-1 e 5-2).
Questo paese è molto conosciuto per la importante fiera che si svolge tutti i lunedì del mese di settembre
e che richiamava molte persone del circondario.
Domanda: Come era composto il vostro nucleo familiare?
Valeria: La nostra famiglia era costituita da undici persone: il nonno Selva Francesco “1864” (vedi All.
5-3), la nonna era deceduta anni prima, il figlio Giuseppe “1888” sposato con Giulianelli Maria “1891”
(vedi All. 5-4) figli: Dino “1912”, Settimia “1923” ed io Valeria “1925” (vedi All. 5-4), la più piccola.
Mio fratello Dino era sposato con Mascella Maria ed aveva tre figli: Elio “1935”, Ada “1938”, Carlo
“1942” (vedi All. 5-5). Devo precisare che avevo altre quattro sorelle, Rosina “1914” e Ida “1916” che
erano già sposate ed abitavano a Montecerignone, Maria “1920” e Filomena “1918” avevano sposato dei
Mascella ed abitavano poco lontano da noi, al di là della strada. Di loro quattro solo la Filomena era
tornata in casa con noi per il passaggio del fronte in quanto suo marito, reduce dell’Africa, stava nascosto
per non doversi ripresentare sotto le armi. Noi Selva siamo originari di San Marino, paese del quale
abbiamo sempre mantenuto la cittadinanza. Mio nonno si era trasferito qui a Cà Michele subito dopo
essersi sposato.
Domanda: Il podere che lavoravate era molto grande? Si ricorda di quante tornature era?
Valeria: Non ricordo che superficie avesse il nostro podere, io ero la più piccola, la più spensierata, non
badavo a queste cose. Avevamo una stalla con una ventina di capi tra mucche, buoi e pecore.
Il marito della signora Valeria (Masini Renato 1921), mi ha precisato che quel podere poteva avere una
estensione di circa dieci ettari, tra macchia e terreno lavorativo.
Domanda: Chi era il proprietario del terreno?
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Valeria: Noi eravamo contadini di Sabattini Bucci Olinto di Secchiano, un possidente che aveva
ventisette poderi, in uno dei quali, quello di Massamanenti, era stato nascosto un altro aviatore, arrivato
con quello che è stato da noi. Erano in due.
Nella cartografia IGM il paese è indicato come Massamanente (vedi All. 5-6).
Domanda:Perché i due aviatori non sono rimasti assieme?
Valeria: Perché quello che è venuto da noi era caduto molto al di qua del fiume (Marecchia) e l’altro
dalla parte di Massamanenti, dopo Secchiano.
Domanda:Voi li avete visti scendere con il paracadute?
Valeria: No non li abbiamo visti scendere con il paracadute e non abbiamo visto nemmeno l’aereo dal
quale si sono lanciati. Mio fratello però parlava spesso di un altro aviatore che era tenuto nascosto a
Massamanenti, nella casa di un altro contadino dello nostro stesso padrone Bucci. L’altro aviatore non lo
abbiamo mai visto e non conoscevamo nemmeno il contadino che lo teneva nascosto. Eravamo troppo
distanti da lui. Noi pensavamo fosse un compagno dell’Americano che stava da noi. L’aviatore di
Massamanenti si diceva che fosse ferito, se ricordo bene aveva una gamba rotta, è sempre rimasto lì.
Domanda: L’aviatore americano quando è arrivato a Maiolo?
Selva Elio: Ai primi di Giugno.
Domanda: Come fai ad essere sicuro del periodo?
Elio: Aveva con sé un bastone sul quale aveva inciso con un coltello la data in cui si era lanciato, il 5 o 6
Giugno 1944, non ricordo con esattezza quale fosse il giorno preciso.
Domanda: Che cosa ricordate del giorno in cui è arrivato a casa vostra? Per telefono Carlo mi aveva
ipotizzato che potesse essere arrivato con un camion, ipotesi sostenibile se qualcuno lo avesse aiutato.
Carlo: Mio fratello Elio non ha confermato quanto ti ho raccontato per telefono, lui si ricorda meglio di
me, io ero molto piccolo essendo nato nel 1942. Con il camion erano arrivate le armi.
Domanda: Di che armi state parlando?
Elio: Erano le armi dell’Esercito Italiano che si era sfasciato dopo l’armistizio. Il figlio del padrone della
casa dove stavamo noi era un ufficiale dell’esercito. Si chiamava Domenico Bucci, era stato un professore
delle scuole medie a Novafeltria.
In effetti ricordo di avere letto che i militari delle due caserme di Rimini si erano radunati con le armi
nella zona di S. Leo. Sono rimasti qui per un certo periodo, poi hanno lasciato le armi e sono tornati alle
proprie case. Potrebbero essere state quelle le armi portate a casa Selva.
Sono andato a cercare il testo dove pensavo di avere letto quell’episodio. Si trattava del libro di Antonio
Montanari dal titolo “I giorni dell’ira”. Nel capitolo XII - Il crepuscolo degli eroi, ho trovato scritto:
“Nei giorni successivi all’otto Settembre Carlo Capanna è tra gli organizzatori della resistenza ai
nazifascisti. A Spadarolo (vi era la polveriera dell’esercito) fa razzia di armi, che erano state
trasferite dalla caserma dell’artiglieria riminese appena dato l’annuncio dell’armistizio. Sale a
San Leo con un camion requisito e consegna le armi ai Bucci di Secchiano: passerà a prenderne la
metà prima di salire in montagna”.
Anche nel libro “Il Montefeltro tra guerra e liberazione” di Sandro Severi alla pagina 133 è citato
questo episodio. Si tratta della testimonianza del Ten. Raffaele Montella:
“10-11/09/43 trasferimento del 110° Regt. Artiglieria in marcia da Miramare a S. Leo; di mia
iniziativa effettuai ripetuti viaggi con un trattore da me guidato … aiutato dal caporale Atria.
Trasportai a S. Leo tutte le armi portatili e munizioni abbandonate dai reparti … occultamento
nella proprietà del S.Ten. Bucci (insieme allo stesso Bucci, al S.Ten. Barozzi, All. Uff. Toni Mario,
s.c. di marina Grilli)”.
Domanda: Voi sapete dove faceva il servizio militare? Era in una delle caserme di Rimini?
Elio: Non saprei dire dove faceva servizio ma penso fosse fuori, più lontano. Lui aveva queste armi a
disposizione.
Dalla documentazione inviatami dall’amico dott. Pier Luigi Nucci, l’elenco dei partigiani del Comune di
San Leo, risulta:
1 – Ten. Montella Raffaele - Avellino 1920 - resid. San Leo – Ufficiale in S.P.E.
2 – S.Ten. Saieva Salvatore - Sciacca 1917 - resid. San Leo – tuttora Brigata Garibaldi
3 – S.Ten. Bucci Domenico - Novafeltria 1918 - resid. Secchiano – Ric. Ospedale Riccione
…
32 – Selva Dino - Novafeltria
Possiamo leggere alla posizione n° 3 il nome del S.Ten. Bucci Domenico con la nota a fondo riga: Ric.
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Ospedale Riccione. Per quale motivo si trovava ricoverato in ospedale? Cosa era successo?
Grazie a una ricerca svolta con l’aiuto di Palmetti Umberto di Gabicce, presso la sede ANPI di Pesaro,
abbiamo consultato l’elenco dei partigiani e al numero d’ordine 243 dell’elenco n° 25 figura Bucci
Domenico di Olinto. Nel suo cartellino (vedi All. 5-7) si legge che era un sottotenente del 108°
Reggimento Artiglieria Divisione Costiera e risulta essere stato ferito. Palmetti mi ha messo in contatto
con Alfeo Narduzzi “1921” che ha militato tra le fila del Distaccamento Autonomo “Montefeltro”. L’ho
contattato telefonicamente per chiedergli se aveva conosciuto Bucci Domenico di Novafeltria. La
risposta è stata affermativa, era con lui quando Bucci è rimasto ferito in una azione. Narduzzi mi
consigliava di leggere il libro che aveva scritto, dal titolo “La resistenza nel Montefeltro”, dove aveva
riportato tutti i suoi ricordi del periodo bellico. Grazie alla cortesia di Palmetti, una copia di quel libro
mi veniva consegnato durante la mia visita in data 07/07/2012 dalla gentilissima signora Valeria
Grestini, la segretaria dell’ANPI di Pesaro. Nel libro di Narduzzi, alla pagina 134 è riportato:
“La mattina del 15 Settembre 1944, in località Monte San Leo (Sassocorvaro) presso S. Donato,
una pattuglia del nostro distaccamento composta da Mario Giannotti, Nicola Piselli e dal tenente
Domenico Bucci (vedi All. 5-8) venne attaccata dai tedeschi mimetizzati da divise inglesi. Nello
scontro non sapemmo se i tedeschi avessero avuto morti e feriti, perché era loro abitudine
riportarseli sempre nelle loro linee; di sicuro rimasero feriti Nicola Piselli e il tenente Domenico
Bucci; quest’ultimo in modo tanto grave che, dopo le prime cure, fu subito trasportato all’ospedale
militare di Bari”.
Nella lista dei partigiani di S. Leo alla posizione n° 32 vi figura anche Selva Dino.
Domanda: Le armi portate a casa vostra erano molte?
Elio: Saranno state … non so il numero però … “iera tre bruc ad roba” (erano tre birocci di materiale).
“E mi bà, la viazè du noti” (mio babbo ha dovuto lavorare due notti per trasportarle). Le armi erano state
scaricate lungo una carraia, in un bosco poco lontano da casa nostra. Lo deve avere aiutato di sicuro
anche il fratello di nostra mamma, Dino Mascella “1916”, lui veniva spesso da noi. Se oltre a loro ce
n’erano anche degli altri non lo so. Sono andati a recuperarle con il biroccio trainato da due buoi. Durante
le operazioni di carico hanno notato sulla strada che collega Maiolo a San Leo la luce dei fanali di un
automezzo che si avvicinava. Nel timore che potesse trattarsi di una pattuglia di repubblichini, hanno dato
il via alle bestie e si sono allontanati. Per fortuna il mezzo ha proseguito e non ci sono state spiacevoli
conseguenze.
Domanda: Dove sono state nascoste le armi?
Elio: Le armi sono state nascoste sotto alla “catasta” (mucchio) delle fascine. Ricordo quando venivano a
prenderle, sempre molto tardi, dopo l’una di notte. Uno di quegli uomini lo ricordo vagamente, mi
sembrava che fosse di Santa Lucia, aveva un nome che non mi vuole venire in mente. Poteva essere
Decio o qualcosa di simile ma poteva essere solo il suo nome di battaglia.
Nell’elenco dei partigiani il nome Decio non figura, potrebbe essere stato effettivamente un nome di
copertura.
Mascella Ubaldo: Delle armi presenti a casa Selva (fucili, bombe a mano) qualcosa era stato portato
anche a casa nostra, c’era anche un binocolo che era molto buono, da casa mia si vedeva fino …, per
nasconderlo lo hanno seppellito nel letamaio. La mia famiglia (vedi All. 5-9 e 5-10) era composta dal
babbo Ernesto “1897” sposato con Francesca Fattori “1900”, figli Virgilio “1914”, Lino “1920”, Dino
“1924”, Lorena “1926”, Ubaldo “1928”. Virgilio era sposato con Selva Maria e aveva figli Maria e Dina.
Eravamo piccoli possidenti con podere di circa 14 ettari, macchia compresa.
Domanda: Che fine hanno fatto le armi dopo la guerra?
Carlo: Le avevano sotterrate … non si è capito bene.
Elio: A noi c’era rimasto solo un moschetto che funzionava male, bisognava ricaricarlo una cartuccia alla
volta perché aveva la molla sotto che era rotta.
Domanda: Lo avete fatto modificare come fucile da caccia?
Carlo: No quello no. Quello che aveva il fratello di mia mamma sì. Il nostro era stato fatto a pezzi.
Domanda: Avevate altre armi in casa?
Elio: Dopo lo scoppio della guerra, chi aveva un’arma era costretto a consegnarla ai carabinieri. A
Maiolo c’erano due persone che rappresentavano il partito, erano zio e nipote. Nostro babbo era amico
con lo zio. Lui gli ha detto “mesla” (nascondila), così nostro babbo il fucile da caccia non lo ha
consegnato ma lo ha dovuto nascondere bene, se lo trovavano erano guai molto grossi. A S. Leo c’era un
gruppo più consistente di aderenti al partito.
Domanda: Torniamo a parlare dell’Americano che avete tenuto in casa vostra, dove lo avete trovato?
Valeria: Una domenica mattina, verso le 9:00, io, mia mamma e mia sorella Settimia tornando dalla
messa, abbiamo trovato lungo la carraia vicino a casa nostra uno straniero. All’andata non c’era. Ci siamo
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fermate a guardarlo, stavamo zitte, non sapevamo cosa dire. Lui era seduto sul bordo dello stradello. Si
vedeva che quel ragazzo non era un italiano. Lui ha provato a parlarci ma noi non capivamo niente di
quello che diceva, solo una cosa abbiamo inteso: “Tedeschi, tedeschi”. Siamo corse subito a casa a
chiamare mio fratello Dino. Solo in seguito abbiamo saputo che quel ragazzo era stato portato lì dagli
amici di mio fratello, ragazzi che non conoscevo, i partigiani di Pugliano.
Domanda: Cosa ricordate del giorno del suo arrivo a casa vostra?
Elio: Noi bambini ci siamo resi conto che c’era qualcosa di strano nell’aria quel giorno, quando poi tra le
donne di casa abbiamo sentito dire “bsognerà purtei qualcosa da magnè enca ma lo” (bisognerà portare
da mangiare qualcosa anche a lui), abbiamo avuto la certezza che nella casa era arrivato qualcuno.
Domanda: Tu Elio non sei andato subito a vederlo?
Elio: No ma si è tardato poco a vederlo. Non stava in casa, era stato messo nel fienile, a tavola con noi
avrà mangiato quattro - cinque volte.
Domanda: Fatemi una descrizione dell’Americano, com’era vestito, cosa aveva con sé?
Valeria: Era alto, giovane, capelli lisci di colore biondo, vestito in abiti civili. Non aveva armi con sé.
Non ricordo la sua età ma essendo già un pilota, poteva avere circa trent’anni. Mio fratello forse lo
sapeva, parlavano sempre. Aveva in mano una sporta di garza con dentro della spianata, forse dentro c’era
anche un biglietto per spiegare la sua situazione.
Domanda: Come facevate a parlare con lui non conoscendo l’inglese?
Elio: Nel parlare con noi si aiutava con un piccolo dizionario con la copertina nera.
Selva Ada: Era un ragazzo molto alto, utilizzava un vocabolario per parlare con noi ma nonostante questo
era molto difficile intenderci perché noi parlavamo solo in dialetto, ciò rendeva difficile capirlo.
Domanda: Aveva altro materiale militare con sé?
Elio: Oltre al dizionario aveva solo il suo pugnale.
Domanda: Non aveva tenuto nemmeno la pistola?
Elio: Non ricordo di avere visto una pistola.
Domanda: Come si chiamava quel ragazzo?
Valeria: James, il cognome non lo ricordo, i miei nipoti forse lo sanno.
Elio: L’Americano si chiamava James Longines, ci aveva fatto capire che in italiano significava
Giacomo. Il nome lo aveva inciso nel suo bastone unitamente ad un disegno di un uomo appeso ad un
paracadute e la data in cui si era lanciato. Su quel bastone, con il coltello segnava una tacca per ogni
giorno trascorso in zona dal giorno dell’atterraggio con il paracadute. I giorni corrispondenti alla
domenica avevano una tacca più lunga.
Domanda: Che tipo di persona era?
Elio: Era un ragazzo molto alla mano, sorrideva sempre.
Domanda: Era sposato?
Elio: Ricordo che era sposato, ci aveva fatto capire di avere una bambina piccola e la moglie incinta.
Domanda: Immagino che voi bambini gli gironzolavate sempre intorno per la curiosità di sapere cose
nuove.
Elio: No. Nei i primi giorni comunque era spesso in casa.
Domanda: Come si comportava con le donne di casa, le aiutava?
Elio: Non c’era bisogno che desse una mano nei lavori di casa, con tutte le donne che c’erano in famiglia.
Valeria: Ricordo che nei primi giorni mangiava con noi e lo facevamo dormire nella capanna del fieno.
In quel periodo non c’era pericolo che lo vedessero i tedeschi e i repubblichini, non erano ancora arrivati.
Lo ricordo quando prendeva in braccio mio nipote Carlo, il più piccolo della famiglia e lo faceva divertire
lanciandolo in aria. Mentre faceva ciò abbiamo visto scendere dai suoi occhi una lacrima. Pensava alla
piccola figlia che aveva lasciato a casa ed al secondo figlio che stava arrivando. Dopo alcuni giorni dal
suo arrivo, hanno iniziato a passare spesso sulla strada dei gruppi di repubblichini che pattugliavano la
zona. Ero io che lo avvisavo quando si avvicinava qualcuno alla casa dicendogli “Fascisti, fascisti” e lui
si correva a nascondersi tra gli alberi di sambuco. A quel punto mio fratello e mio babbo hanno pensato
che fosse meglio nasconderlo nel bosco.
Elio: Nei campi non poteva andare a lavorare, c’era il rischio che potesse essere visto e denunciato, di
giorno doveva stare sempre nascosto. A mio fratello Carlo (aveva solo due anni), quando stava in casa
con noi nei primi giorni, ricordo che lo prendeva in braccio e lo lanciava in alto per farlo divertire
dicendogli “Mangia le mosche”. Sapeva il rischio che correvamo tutti noi a tenerlo in casa. Ci aveva fatto
capire che era cosciente che se ci scoprivano anche al “magna moschi” (il piccolo Carlo) gli avrebbero
fatto “pum”, imitando con la mano il gesto di un colpo di pistola.
Ada: Ho pochi ricordi di James, ero molto piccola. Lui si era molto affezionato a noi bambini perché se
ricordo bene in America aveva una figlia che forse non aveva mai visto, doveva avere più o meno l’età di
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Carlo. Era terrorizzato all’idea di cosa poteva capitare a noi bambini se lo avessero catturato a casa nostra.
Appena sentiva dei rumori scappava via.
Domanda: Dove lo avete nascosto? Gli avete scavato un rifugio o c’era una grotta in zona?
Valeria: Non ricordo chi lo ha fatto, penso sia stato mio fratello. Ha scavato una fossa, come una tomba,
lui era lungo. Lì dentro in due si stava come sardine. Le dimensioni potevano essere all’incirca queste:
una base di 80 cm e una lunghezza di 200 cm, sul fondo sono stati messi dei sassi per l’umidità e sopra
hanno appoggiato un’armatura di legno. I panni glieli abbiamo dati noi, una vecchia imbottita. La fossa è
stata coperta con delle assi sopra alle quali mio fratello ha messo delle falde di terra con l’erba, in modo
da nascondere il rifugio dalla vista di chi poteva passare nella zona. Noi durante la mietitura prendevamo
degli operai per aiutarci nel lavoro, dovevamo essere sicuri che all’Americano non lo vedesse nessuno.
Finito di costruire il rifugio, hanno annaffiato la terra per fare in modo che l’erba non si seccasse, era
venuto proprio un bel lavoro. L’ingresso era in mezzo ad un gruppo di alberi di ginepro, in mezzo al
campo ad uso pascolo. Il bosco era un pochino più in là. Ricordo che alcuni nostri vicini dopo la guerra ci
hanno detto di avere saputo dello straniero ma non hanno riferito nulla a nessuno, ci volevano bene tutti e
non ci hanno denunciato.
Domanda: Dove è stato costruito il rifugio?
Elio: I rifugi dove è stato nascosto James sono stati due. Quello costruito per primo era stato realizzato
nel campo a pascolo, a circa un centinaio di metri dalla casa, tra un gruppetto di alberi di ginepro. Il
secondo era posizionato più lontano, tra due file di alberi di carpino nero. Per costruirlo si è lavorato
meno perché è stato realizzato sfruttando una frana presente sul podere dove si era creato un
avvallamento.
Domanda: Vostro fratello quando aveva un po’ di tempo libero lo passava con l’Americano? Chi stava
con lui?
Valeria: Durante il giorno James stava sempre da solo, anche se in giro non c’era nessuno, non poteva
rischiare di essere visto. Noi invece dovevamo lavorare nei campi, non potevamo rimanere a fargli
compagnia. Usciva solo la notte.
Domanda: Cosa gli portavate da mangiare?
Valeria: Lui mangiava tutto quello che mangiavamo noi. Il compito di portarglielo l’ho svolto io, le mie
sorelle avevano paura. Per non dare nell’occhio, facevo finta di andare nel campo a fare l’erba per gli
animali, con la falce e la cesta, passando vicino all’ingresso del rifugio, vicino al ginepro, lasciavo cadere
la balla dove era stato messo dentro quanto preparatogli. Avevamo un cane, si chiamava “Febo”, voleva
venirmi sempre dietro. Per non farmi seguire gli dicevo di fare la “cuccia”. In un primo momento mi
ubbidiva ma poco dopo partiva e si fermava vicino al sacco e lo “badava”. Da un certo momento in poi,
verso settembre mi pare, casa nostra era frequentata anche da uno Slavo.
Domanda: Chi era questo Slavo, lo avevate mai visto prima?
Carlo: No, prima del suo arrivo a casa nostra non lo avevamo mai visto. Ricordo che mio babbo ci ha
sempre detto che l’artefice per la costruzione dei rifugi era stato lui. La prima cosa che ha fatto al suo
arrivo è stato costruire il rifugio. Lo scavo poteva essere lungo 2 metri e largo 1,20. Come copertura erano
stati messi dei tronchi di traverso. La terra per ricoprirlo era stata presa da una frana che c’era stata lì
vicino. Giuseppe sapeva molto bene come fare un buon lavoro affinché il rifugio venisse ben
mimetizzato. Con zappa e badile tirava via delle fette di terra con l’erba. La mattina dopo con l’acqua
presa da una fonte presente lì vicino, sono state innaffiate le zolle di terra per fare in modo che non si
seccasse con il caldo. Aveva fatto proprio un bel lavoro. Là sotto sono stati anche in quattro a giocare a
carte.
Domanda: Chi frequentava la bisca clandestina?
Elio: C’era sicuramente anche mio babbo, James, lo Slavo e ... non ricordo.
Domanda: Voi Mascella sapevate cosa stava succedendo in casa Selva in quel periodo?
Mascella Ubaldo: Sapevamo della presenza dell’Americano a casa dei Selva ma io non l’ho mai visto, e
nemmeno lo Slavo.
Domanda: Lo Slavo è giunto a casa vostra poco dopo l’arrivo di James?
Elio: Sì, dieci - quindici giorni dopo l’arrivo di James. Lui è venuto da noi solo per fare da interprete.
Domanda: Perché era venuto da voi?
Selva Valeria: La prima volta che l’ho visto è stato durante la mietitura a casa dei nostri vicini i
Caribaldi, ha lavorato anche lui. Aveva saputo che da noi c’era un Americano, ehhh ... dopo vede la gente
parla … qualcuno parlava ma non ci si faceva del male da una parte all’altra, così lo Slavo ci aveva
chiesto di poter stare con lui, per farsi compagnia, di notte giravano nel bosco chiacchierando, poi
dormivano insieme.
Elio: Deve aver saputo della presenza di James da qualche partigiano di Novafeltria.
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Chi poteva essere questa persona? L’ipotesi più probabilmente è che fosse uno dei tanti prigionieri
presenti nei campi di prigionia della vicina Toscana, fuggiti dopo l’armistizio.
Domanda: Come si chiamava lo Slavo?
Valeria: Non ricordo il suo nome. Non si chiedeva nemmeno, erano nomi forestieri che non si
ricordavano neanche.
Elio: Si chiamava Giuseppe ma non sappiamo se era il suo vero nome o se fosse un nome di battaglia.
Domanda: Dove stava nascosto lui?
Carlo: Lo Slavo era nascosto a Cà Rocca, sotto Maioletto. Lì c’era una piccola chiesa abbandonata,
aveva anche un’abitazione adiacente.
Valeria: Lo Slavo si era nascosto nella chiesetta che si trova ai piedi della montagna dove c’è la Rocca di
Maiolo Prima era un paese, ma dopo è franato tutto. Quel posto era poco frequentato, la gente andava alla
chiesetta solo in occasione del ferragosto, per la festa della Madonna.
Domanda: Parlava bene l’italiano?
Valeria: Aveva imparato la lingua, parlava quasi come noi. Quando c’era qualcuno stava zitto per non
sbagliare. Anche James con il tempo aveva imparato qualche parola di italiano.
Elio: Orca boia se parlava bene, sapeva anche l’italiano e l’inglese. Aveva imparato anche il nostro
dialetto.
Domanda: Da dove veniva?
Elio: Non saprei dire da dove veniva o come aveva fatto ad arrivare qui a Maiolo. Ci aveva detto di essere
stato catturato in Jugoslavia dall’Esercito Italiano. Era un partigiano.
Domanda: Per quanto tempo è rimasto da voi?
Valeria: Per circa un mese. Penso ancora a quando pioveva, dovevano avere una umidità da ridere là
sotto nel rifugio.
Domanda: Lo Slavo faceva avanti e indietro dal suo rifugio?
Elio: Le prime volte faceva avanti e indietro tra il suo rifugio e casa nostra, poi hanno preso a farsi
compagnia, mangiavano assieme, alcune volte è rimasto a dormire assieme a James. Lo Slavo era un tipo
poco invadente, si stava insieme ma non cercava di esserci per forza, si fermava solo se invitato. Aveva
sempre con sé degli attrezzi da contadino, la falce, la pietra da arrotare.
Valeria: Era vestito con abiti da contadino e lavorava nei campi.
Domanda: Lavorava nei campi?
Elio: No, gli servivano per spostarsi nella campagna senza dare troppo nell’occhio, con un cappello di
paglia, la falce sulla spalla, la pietra per arrotare gli attrezzi da taglio.
Ada: A proposito dello Slavo (Giuseppe?) a me non piaceva. Mi sembrava una persona cattiva, e pensavo
che non traduceva le cose come le dicevamo noi. Vedevo che James, quando parlava con lui, era sempre
triste e io pensavo che lo Slavo (così lo chiamavamo noi bambini) gli raccontasse solo cose cattive per
farlo soffrire. Forse era solo una sensazione di bambina. Quando giocava con noi, a me James sembrava
felice.
Domanda: Anche verso Montefotogno mi hanno detto che c’era uno Slavo. Ne sapevate qualcosa? Lo
teneva nascosto il parroco.
Carlo: È probabile ma non è che noi sapessimo le notizie di Montefotogno, questo genere di cose non
veniva divulgate.
Consultando l’elenco dei partigiani di Montefotogno compare un dato molto interessante. Alla posizione
n° 7 è indicato il nome di Tadin Giuseppe fu Giovanni nato a Castelcambio, Zara nel 1915 residente a S.
Leo. Che potesse trattarsi della stessa persona?
Domanda: Chi aiutava lo Slavo a stare nascosto?
Valeria: Gli portavano da mangiare delle donne di Novafeltria.
Elio: A Novafeltria, lui aveva una fidanzata, una ragazza del posto che lo aiutava.
Domanda: L’avete mai conosciuta?
Elio: Mio babbo me l’ha indicata un giorno dopo la guerra mentre camminavamo nel paese (Novafeltria).
Era una ragazza di bassa statura e di bell’aspetto.
Domanda: Che sia ancora viva?
Elio: Può darsi di sì anche se oggi lei sarebbe avanti con gli anni. Io allora avevo dodici anni lei ne poteva
avere venti, venticinque.
Domanda: Ricordi come si chiamava?
Elio: Mi sembra che si chiamasse Peppina, Pina (Giuseppina) ma non sono sicuro.
Mascella Ubaldo: Quella ragazza anni dopo la guerra si era sposata ed emigrata con il marito all’estero
dove è rimasta per tutta la vita.
Domanda: Cosa poteva succedervi se avessero trovato James?
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Valeria: Se una pattuglia lo avesse trovato a noi ci bruciavano, ci davano fuoco a tutti, anche alla casa. Se
lo avessero cercato in modo approfondito lo avrebbero trovato in breve tempo.
Domanda: Non avete mai corso il rischio che scoprissero James? Ci sono stati dei rastrellamenti?
Elio: Durante l’estate capitava spesso che la sera James ci raggiungesse in casa per stare in nostra
compagnia. Se ce ne fosse stata la necessità aveva già pronta una via di fuga senza nemmeno dover uscire
dalla porta di casa. Passava dalla camera, dove dormiva il nonno, di fianco alla cucina. Da lì, attraverso
una botola poteva scendere al piano sottostante, dove c’era la stalla e poi attraverso una finestra bassa
poteva uscire all’aperto. Ricordo che una volta James quella via di fuga l’ha dovuta utilizzare. Era dovuto
uscire in tutta fretta, non saprei dire se per l’arrivo di un vicino o di qualche altra persona. Più agile di un
gatto, si era andato a nascondere sul melo presente vicino a casa dove è rimasto acquattato fino al cessato
pericolo.
Valeria: Spesso passavano i fascisti, ragazzi giovani e molto cattivi, più dei tedeschi, erano pericolosi.
Domanda: Erano quelli della Legione Tagliamento?
Valeria: Non mi ricordo come li dicevano.
Domanda: Dove era la base dei fascisti nella vostra zona?
Valeria: Non saprei dire da dove venivano.
Domanda: Giravano a piedi o avevano dei mezzi?
Valeria: Avevano i mezzi che rubavano alla gente dove passavano, allora di mezzi ce n’erano pochi. Il
prete, un possidente a Monticina che si chiamava Girolamo e un’altra persona che abitava a Maiolo
avevano una cavalla. Quel giorno gliela avevano presa a tutti, quattro o cinque cavalle mi sembra. In
groppa a quei cavalli, i repubblichini facevano le perlustrazioni delle campagne. Ricordo che una
pattuglia ci si è avvicinata mentre noi stavamo mietendo il grano. Poteva essere all’incirca mezzogiorno. I
militi, erano cinque o sei, provenivano da Pugliano, noi stavamo mietendo nel campo in fondo alla carraia
vicino alla strada principale.
Domanda: In che periodo si miete nella zona di Maiolo?
Valeria: Da noi di solito si miete verso i primi di Agosto. Li avevamo sentiti arrivare. Mio fratello ci ha
detto: “Continuate a lavorare, state zitte che con loro ci parlo io”. Si sono fermati vicino a noi ed hanno
domandato: “Chi ci abita in quelle case lassù” indicando l’edificio di Cà d’Geri (vedi All. 5-1), una casa
disabitata già da alcuni anni. “Nessuno, c’era un contadino ma se n’è andato via”, gli ha risposto mio
fratello. “Da dove si passa per arrivarci?”. Allora c’era una strada sterrata che noi facevamo tutti i giorni
per andare a casa nostra. Mio fratello ha risposto: “Si passa da qua ma più avanti nel bosco finisce a un
fosso da attraversare a piedi ”. I repubblichini hanno imboccato la carraia in direzione della casa. Mio
fratello ci ha detto “Se vanno su …”. Ci ha raccontato che in quella casa erano nascosti alcuni ragazzi, se i
fascisti si fossero avvicinati probabilmente avrebbero aperto il fuoco. I fascisti dopo alcune centinaia di
metri si sono fermati su un pianello, dopo avere esitato un po’ girando sul posto con i cavalli, sono tornati
indietro. Avranno pensato che era meglio non andare là. Ci sono venuti vicino di nuovo e ci hanno chiesto
ancora: “Di qui si va a San Leo?” Al nostro segno di assenso sono partiti in quella direzione. Da quella
strada si passava vicino allo Slavo, sono andati a cercare i ragazzi nascosti. In seguito abbiamo poi saputo
che quei militari avevano raggiunto una casa e trovandola vuota ma con evidenti tracce di qualcuno che
l’abitava, vi avevano appiccato il fuoco. Sotto al letto c’era della polvere da schioppo per cacciare, che
quando è stata raggiunta dalle fiamme ha fatto una gran fiammata. I repubblichini sono usciti come dei
fulmini, ma uno di loro non è stato abbastanza veloce, si era mezzo abbrustolito. Questo racconto ci è
stato fatto da un ragazzo della mia stessa età, di cui non ricordo il nome, che ha visto tutta la scena da
sopra un albero sul quale si era nascosto. La pianta era avvolta dall’edera, che aveva creato un ottimo
nascondiglio. Vedendo quella comica scena, per il gran ridere ha anche rischiato di cadere a terra dopo
che i militi si sono allontanati. Noi avevamo più paura dei repubblichini che dei tedeschi.
Su questa specifica parte del racconto di Valeria, ricordavo di avere letto qualcosa su una rivista. Nel
periodico “Montefeltro” n°7/2009, edito dalla diocesi di San Marino e del Montefeltro, a pagina 14 è
riportata una intervista a Don Eligio Gosti “1924-2011”, che allora abitava a Maiolo. Nell’articolo sono
riportati alcuni suoi ricordi del periodo bellico. In relazione al rastrellamento di quel giorno ha scritto:
“Entrati poi in tutte le case per sequestrare eventuali armi, in casa del babbo della Mariuccia (cugina di
Gosti), il vecchio Guglielmo cacciatore per necessità e minatore per lavoro, trovarono un corno che
serviva ai falciatori come “acquaiolo” dove tenevano la pietra con un po’ di acqua per affilare le falci,
trovarono della polvere da sparo. Per controllare se era ancora valida uno dei ragazzi vi accostò un
fiammifero. Subito esplose una piccola fiamma che ustionò il volto del giovane che subito gettò via il
corno”.
Direi proprio che si tratta dello stesso episodio di cui mi aveva parlato Valeria e che lei non ricordava
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dove fosse avvenuto.
Mascella Ubaldo: I ragazzi della zona stavano nascosti in una capanna vicina alla Cà d’Geri. Anche mio
fratello Dino era un renitente di leva, doveva stare attento a non farsi trovare. A volte dormiva in un
rifugio che avevamo scavato in fondo al campo. Per un certo periodo ha lavorato con i tedeschi alla Todt.
Una volta ricordo che lui non si è presentato, sono andato io a lavorare al suo posto. Quando hanno fatto
l’appello e hanno chiamato il suo nome, mi sono presentato io, tanto non ci conoscevano. Lavoravamo
alla costruzione di una strada, a Ponte Baffoni, parallela al fiume che andava verso Secchiano, non so a
cosa servisse.
Domanda: Hanno fatto dei rastrellamenti nella vostra zona?
Elio: Me ne ricordo uno. Erano militari italiani, tutti molto giovani, con la camicia nera. Sparavano come
i matti. Mentre giravano per la campagna, tra casa nostra e Maiolo, quando passavano vicino alle macchie
di alberi, quelle più fitte, puntavano le loro armi e ci sparavano in mezzo.
Carlo: Quella volta ha rischiato molto mio zio, il babbo di Gilberto Mascella, me lo raccontava suo
fratello l’altra sera. Loro abitavano a Cà Semprino, non molto distante da noi, dove c’erano due case
vicine tra loro abitate da due famiglie Mascella. Per fortuna lo zio Guglielmo “1889” una notte ha sentito
fermarsi un camion poco lontano da casa. Solo i militari giravano con gli automezzi. Intuendo quello che
stava per accadere è corso ad avvertire il nipote Dino “1924” “Dì ma Dino cu s’è fermi un camion sla
streda” (di a Dino che si è fermato un camion sulla strada). A quelle parole Dino è riuscito a salire nella
soffitta piccola sopra al magazzino e a nascondersi mentre la casa veniva circondata dai repubblichini. Per
intimorire gli occupanti si sono messi a battere con il moschetto al portone urlando “Se volete uscire
buttatevi dalla finestra”. Poco tempo dopo sono entrati in casa e si sono messi ad ispezionare tutte le
stanze. Nella camera dove dormivano Lino “1920” Dino “1924” e Ubaldo “1928” uno dei militari si era
accorto che c’erano tre letti disfatti e solo due persone presenti. Lino era balbuziente, quando poi si
emozionava non riusciva a dire niente poveretto. Chiedendo spiegazioni in merito, la sua risposta è stata:
“A so dovù scapè via, perché un mi lasceva durmì in pesa, ho dovù cambiè e let” (Sono dovuto scappare
via perché non mi lasciava dormire in pace, ho dovuto cambiare il letto). E pensare che Dino era sopra le
loro teste.
Elio: E nel comodino c’erano i volantini.
Carlo: Per fortuna Guglielmo Mascella li ha abboniti portandoli in casa sua, tagliando loro del prosciutto
e offrendo da bere del vino e la cosa è finita lì. I repubblichini poi si sono spostati verso la zona di S.
Apollinare. Quel giorno l’unico danno lo hanno fatto prima di San Leo, alla zona delle Iole, dove ora c’è
l’agriturismo “La Lama”.
Domanda: E lì cosa sarebbe successo?
Elio: Hanno bruciato una casa, mi sembra che fosse quella dove abitavano i Simoni. I repubblichini
devono avere avuto una spiata. A S. Leo c’era un gruppo nutrito di uomini del partito. E così gli hanno
bruciato la casa. Non si è capito bene come sono andate le cose.
Grazie al prezioso aiuto del dott. Pier Luigi Nucci di San Leo, nel Giugno 2012 sono venuto in possesso
del testo scritto da Michele Simoni nel quale vi sono riportati i suoi ricordi durante la militanza tra i
partigiani. Alla pagina 53 vi è riportato quanto detto da Gorrieri Luciano:
“Quella mattina di domenica del 16 Luglio (1944) che ti bruciarono la casa, io mi trovavo a S. Leo e
riuscii a sfuggire al setacciamento del Battaglione la Camilluccia assieme ad altri per evitare il pericolo,
nell’unico modo di cui eravamo a disposizione cioè scivolando giù per la rupe aggrappati alle funi,
quindi poi ci dividemmo”.
Grazie a questo racconto siamo in grado di fissare temporalmente quando avvenne il rastrellamento a
casa Selva se i ricordi di Elio sono giusti. Ecco cosa ricorda di quella notte Mascella Ubaldo:
Mascella Ubaldo: Un sabato mattina, durate l’estate, stava per fare ormai giorno, sono venuti in casa
nostra i Repubblichini a cercare Dino. Si erano fermati con il camion sulla strada. Mio zio Guglielmo (era
più giovane di mio babbo ed aveva combattuto la I Guerra Mondiale, era sposato e con un figlio) per
fortuna li ha sentiti ed è venuto subito ad avvisarci. “Scapa via Dino ...”. Lui si è andato a nascondere in
soffitta mentre io ho chiuso con un mobile la porta d’accesso. Sotto sentivamo i militari che con i fucili
battevano alla porta. Li abbiamo fatti entrare e uno è salito su nelle camere. Lo conoscevo di vista, era di
S. Leo. “Se ci sono i partigiani fateli saltare dalla finestra che la casa è circondata” urlavano da sotto.
“Chi ha dormito qui”? mi ha chiesto. Io gli ho risposto che avevo dovuto spostarmi perché non mi
lasciava dormire in pace. A Lino poi hanno chiesto i documenti ma lui era riformato e non ha avuto
problemi. Nella camera di Virgilio hanno ribaltato ogni cosa senza trovare nulla. Per fortuna che nessuno
è andato nella camera del nonno dove c’erano degli otturatori di fucile e dei volantini di propaganda
partigiana. Nella zona sono venuti solo a casa nostra. Mentre ci perquisivano la casa un milite guardando
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in direzione di Maiolo ha visto un uomo scappare nei campi e lo ha indicato ad un suo commilitone. Mia
sorella Lorena ha esclamato “Dove, dove” voleva vedere anche lei. Il milite si è arrabbiato moltissimo per
questo suo interesse. “Allora sei una partigiana anche te” le aveva detto con fare minaccioso. A quel
punto è intervenuto mio zio Guglielmo e li ha portati in casa sua, abbinata alla nostra, a bere un bicchiere
di vino e mangiare pane e salame con cui è riuscito ad abbonirli e a rimettere a posto la situazione.
Quando hanno lasciato casa nostra si sono diretti al ghetto di S. Apollinare. Vicino a S. Leo hanno
lanciato delle bombe a mano nella casa di due fratelli che poi ha preso fuoco, ma loro due sono riusciti a
non farsi trovare.
Chi erano questi due fratelli? Si trattava della famiglia Simoni? Forse sì. Anche Don Eligio Gosti sulla
rivista “Montefeltro” n°7/2009, ha scritto di un rastrellamento nel quale pure lui era stato catturato e
poi per fortuna liberato essendo uno studente del seminario:
“La cronaca della giornata vide nel pomeriggio altri episodi tragici …Fu bruciata una casa a Valdirose
…”.
Di chi era questa casa? La zona detta Valdirose non era molto lontana dalla casa dei Simoni, che si
trattasse dello stesso edificio? Su questo punto non vi sono certezze. Il racconto di Gosti prosegue poi
con quello che aveva osservato a fine giornata: “Ho visto il manipolo scendere incolonnato verso la
voltata per sparire poi su a Pennabilli dove erano acquartierati. Erano i disperati militi della famigerata
Camilluccia…”.
Nel libro di Paride Dobloni a pag. 25 viene descritto il rastrellamento avvenuto a S. Leo il 20/07 per
trovare manovalanza da portare a lavorare a Gabicce sulla Linea Gotica a costruire le opere di difesa
tedesche.
Domanda: Di solito nei rastrellamenti cercavano i renitenti alla leva, a casa vostra sono mai venuti?
Carlo: No. In casa nostra non sono venuti i fascisti, solo i tedeschi. Andavano a prendere il fieno alle
case dei contadini per i loro cavalli.
Domanda: Lo sequestravano?
Elio: No, ti davano mille lire a pagliaio. Quella volta che sono venuti da noi appena finito di caricare ci
hanno pagato.
Ada: Un giorno vennero i tedeschi con un camion e lo riempirono di fieno, e il mio bisnonno reclamava
che i soldi che gli davano erano pochi, perché una parte avrebbe dovuto darla al padrone. Allora uno di
loro disse: “Questi solo tuoi, nics capitalist (nicht Kapitalist: non al capitalista)”.
Elio: Quel giorno uno dei militari mi ha detto guardando le nostre galline “Prendi sacco, prendi sacco”.
Io non sono stato ad ascoltarlo e sono scappato via. Ma poi lo ha trovato da sé, ricordo che ce ne ha
portato via due o tre.
Ada: A prendere delle galline erano venuti tre tedeschi. Poiché erano liberi non ci riuscirono, così mia
nonna li aiutò a prenderli, e non solo: chiese se volevano le uova e gli offrì anche da mangiare. A quel
punto mia zia Elia si infuriò e disse: “Come! Ci prendo i polli e tu gli offri pure da mangiare!”. Mia nonna
rispose: “Sono solo dei ragazzi, lontani dalla loro casa e forse neanche a loro piace la guerra”. A quel
punto il più giovane di loro accarezzò mia nonna e disse: “Lei grande cuore di mamma. Tu troppo
giovane per capire”.
Domanda: So che loro per ucciderle gli tagliavano la testa con la baionetta, non facevano come noi che
gli tiriamo il collo.
Elio: Lui quel giorno le ha portate via che erano ancora vive, chiuse nel sacco. Ricordo anche quella volta
quando volevano uccidere il maiale. Lo avevano portato nella nostra stalla e stavano affilando i coltelli.
Domanda: Lo avevano preso a qualcun altro e lo volevano uccidere da voi?
Carlo: No, no, era il nostro. Avevamo la ruota per affilare i coltelli, erano lì che si preparavano per fare la
festa al maiale, quando è arrivato il loro comandante, gli ha detto qualcosa in tedesco e sono partiti tutti.
Siamo andati bene, le bestie della nostra stalla si sono salvate tutte. Nella macchia sopra casa nostra
avevamo scavato diversi rifugi, in uno ci abbiamo nascosto il maiale per paura che i tedeschi potessero
tornare e portarselo via.
Ada: Di maiali quel giorno ne scelsero due, una era la scrofa, perché era la più grassa. Mio nonno era
disperato perché era gravida e non riusciva a farsi capire. Per fortuna arrivò uno in moto, disse poche
parole e in un baleno se ne andarono tutti. Poi abbiamo saputo che erano sbarcati gli alleati. E così i
maiali si sono salvati.
Ada: Non rubavano solo il bestiame, si sapeva che i tedeschi prendevano quello che gli serviva, così si
cercava di nascondere le cose. Ricordo che sono state murate delle casse piene del corredo delle mie zie e
si cercava di nascondere il grano come meglio si poteva.
Mascella Ubaldo: Una volta ricordo che i tedeschi ci hanno portato via due bestie che stavo pascolando
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nel campo. Il militare le ha portate verso il ghetto di S. Apollinare e le ha legate ad un albero poi è andato
a cercarne delle altre nelle case. Mio fratello Dino, che se le voleva riprendere, le ha raggiunte ma mentre
le slegava il soldato lo ha visto e sotto la minaccia del fucile lo ha mandato via. Tutti gli animali li hanno
portati nel campo sportivo di Novafeltria che era recintato. Una delle mie due bestie era poco simpatica,
dava testate a tutti quelli che si avvicinavano tranne che a me. Alcuni giorni dopo abbiamo sentito alcuni
muggiti provenire dal campo, era lei, non so come ma era riuscita a scappare. Non vi dico la gioia di mio
babbo quando l’ha sentita muggire, l’ha riconosciuta subito ed è corso subito giù a prenderla. Se ricordo
bene le bestie le portavano verso Bologna. Mio fratello è stato uno di quelli che le ha accompagnate lungo
la strada, fino a dove non lo ricordo.
Domanda: Durante l’estate sono arrivati anche i tedeschi. Vicino a casa vostra avevano occupato le
case?
Valeria: Non ricordo. I tedeschi venivano con i cavalli, noi eravamo al piano terreno, facevano passare i
cavalli lungo il corridoio fino al granaio per fargli mangiare il grano trebbiato da poco, era ancora tutto
steso a terra. Una parte della nostra quota eravamo riusciti a nasconderla dentro ad alcune botti che poi
abbiamo seppellito, la parte del padrone era ancora in casa. I contadini che abitavano più in su, non erano
riusciti a fare in tempo a trebbiare, con tutto il subbuglio che si era creato non era più possibile girare per
le strade con le macchine da trebbiare. Il grano era rimasto nei barchi e si era infradiciato quasi tutto per
le piogge di fine settembre.
Domanda: Chi veniva da voi a trebbiare?
Valeria: Da noi veniva Manenti di Maciano.
Elio e Carlo: A volte ci si serviva di Poggioli di Maciano.
Domanda: Quali erano le attività artigianali presenti a Maiolo in quel periodo?
Elio e Carlo: Per le nostre necessità familiari e lavorative per la conduzione del fondo i nostri genitori si
servivano di diversi artigiani. Ricordo che il fabbro era Berardi Sincero, il falegname era Giacomini
Attilio, l’oste (e podestà) era Pavani Daniele, faceva anche da macellaio, una volta alla settimana
uccideva una pecora, la bottega era di Ugolini Isidoro, la stazione di monta di Cà Mascella era di
D’Antona Vincenzo. La maestra elementare era Cucci Maria. Per macinare il grano ci si recava al mulino
di Ponte Baffoni, il mugnaio era detto “Bitech”.
Domanda: I militari tedeschi si erano sistemati in casa vostra?
Valeria: A dormire no.
Domanda: Lì vicino?
Valeria: Non si capiva, ma di militari ce n’erano uno “strascino” (molti). Prima del loro arrivo andavo in
paese a fare la spesa da sola, ma dopo non mi arrischiavo più. Una volta rientrando a casa, alcuni tedeschi
mi hanno fermata. Avevo in mano una bottiglia di varechina ma loro pensavano che fosse vino. Me
l’hanno presa per berne il contenuto. Io gli ho detto di non farlo, loro mi avevano detto “Sta zitta, kaput”.
Da quella volta non sono più andata in paese sino a quando i tedeschi non se ne sono andati.
Domanda: I tedeschi avevano posizionato anche dei cannoni nella vostra zona?
Valeria: Per quello che ne so io, ce n’erano lungo il Fiume Marecchia, verso Novafeltria e a Ponte
Baffoni. Quando passavano le formazioni di bombardieri iniziavano a sparare. Ricordo che cadevano le
schegge come l’acqua quando piove. Noi sapevamo che dovevamo metterci al riparo.
Il marito della signora Valeria (Masini Renato classe 1921) mi ha detto:
I cannoni dell’antiaerea erano posizionati a S. Maria, tra Maiolo e Pennabilli, altri a Boscara vicino a
Secchiano.
Domanda:Hanno sparato molto?
Elio: Orca boia. Quando passavano gli aerei iniziavano a sparare. Noi avevamo imparato che quando si
sentivano arrivare gli aerei bisognava mettersi subito al riparo perché poco dopo i cannoni cominciavano
a sparare e iniziavano a cadere le schegge delle granate che scoppiavano nel cielo. Ci riparavamo sotto
agli alberi. Ne cadevano molte. Era tutto un fischiaticcio, allora andavamo in casa se eravamo vicini, o
sotto le piante se eravamo nel campo. Cercavamo però gli alberi con il fusto in pendenza per avere una
massa consistente a riparare il corpo.
Domanda: Chi vi ha insegnato come ci si doveva comportare in questi casi, il babbo?
Elio: Non ce l’aveva insegnato nessuno, bastava guardare come facevano gli altri, si imparava subito.
Ricordo il mio bisnonno Francesco, durante la guerra aveva circa ottant’anni, ci aiutava ancora a mietere.
Durante uno di quei giorni, i cannoni hanno preso a sparare, noi siamo subito corsi sotto agli alberi più
vicini. Lui invece di correre ha preso una “cova” di grano e se l’è messa sulla testa. Generalmente non
erano schegge grosse ma era capitato qualche volta che avessero rotto una tegola sul tetto di casa, quindi
potevano anche fare molto male ad una persona. Quando i colpi scoppiavano lontano da noi, io mi
divertivo ad osservare i fumetti (esplosione della granata antiaerea) che si creavano avanti o indietro
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rispetto agli aerei.
Domanda: I colpi dell’antiaerea gli andavano abbastanza vicino?
Elio: Gli andavano vicino, porca boia, anche se da terra ... io no so come facevano a misurare la distanza
dagli aerei.
Domanda: Ma con quei cannoni hanno mai colpito un aereo?
Valeria: No, però qualcuno deve essere stato colpito, scendevano le schegge …
Elio: Abbiamo visto le battaglie aeree, sentito le cannonate. Un giorno abbiamo visto passare un gruppo
di fortezze volanti.
Domanda: Erano aerei a due o quattro motori?
Elio: Non ricordo …, non sono sicuro di quanti ne avessero.
Domanda: Da che direzione provenivano?
Elio: Venivano da Rimini dove erano andati a bombardare, avevamo sentito il rumore degli scoppi poco
tempo prima. La formazione, che procedeva verso Carpegna, era composta da circa una trentina di grossi
bombardieri, ma quel giorno “iera un po’ smaned” (erano un po’ … allargati tra di loro) non come li
vedevamo di solito, in formazioni ordinate di tre, poi tre etc. Uno dei bombardieri era rimasto indietro,
doveva essere anche più basso rispetto agli altri. Li seguiva un gruppo di caccia che volevano colpirlo.
Contro di questi si sono lanciati all’attacco i caccia di scorta e ne è nata una battaglia. Tutto è successo
proprio sopra alle nostre teste, forse su S. Leo.
Domanda: Quanti aerei ricordi di avere visto nel cielo quel giorno?
Elio: È fatica dirlo, perché si giravano in tondo si allargavano, si muovevano continuamente eseguendo
ampie virate. Alcuni sembravano ribaltarsi in aria, potevano essere tre o quattro, forse cinque caccia.
Domanda: Quando sarà successo questo fatto, era inverno? Era già caldo? Cosa facevate nei campi in
quel periodo?
Elio: Non ricordo.
Domanda: Questa battaglia è successa prima o dopo l’arrivo di James?
Elio: Può darsi prima. Forse qualche mese prima del suo arrivo.
Domanda: Sono caduti degli aerei quel giorno?
Elio: No, quel giorno lì non ne è cascato nessuno. Ricordo che ne è caduto uno un’altra volta.
Domanda: Dove è caduto?
Elio: È andato a cadere verso Villagrande, abbiamo sentito che faceva un lamento particolare, whooooo,
poi il boato.
Mascella Ubaldo: Una volta ricordo che giù nel campo era caduto un serbatoio di benzina lanciato da un
caccia. Ho cercato di recuperarlo per la lamiera molto pregiata di quei tempi ma da solo non ci sono
riuscito: era troppo pesante, ero a piedi scalzi e la terra dura mi faceva molto male sotto ai piedi.
Domanda: Con l’avvicinarsi del fronte la zona di Maiolo è stata sempre più frequentata dai tedeschi.
Valeria: Durante l’estate i tedeschi hanno iniziato a depositare lungo la strada, anche vicino a casa nostra,
numerose casse di munizioni sempre controllate da militari che stavano di guardia. Uno era sotto casa
nostra vicino al ponte grande, un altro era verso Maiolo dopo il ponte piccolo.
Domanda: La strada vicino a casa vostra era molto trafficata?
Elio: Lungo la strada per Pugliano i tedeschi hanno depositato grandi quantità di bombe e munizioni dove
c’erano sempre militari di guardia. Per nasconderle alla vista degli aerei alleati, coprivano le casse con i
rami che tagliavano agli alberi vicini. Le avevano portate lì con i camion, quelle rimaste, prima della
ritirata, sono state ricaricate e portate via.
Domanda: Cosa contenevano le casse?
Elio: La maggior parte contenevano dei tubi di colore nero che potevano avere un diametro di 18-20
centimetri. Il deposito è rimasto in zona per alcuni mesi.
(Probabilmente erano cariche di lancio e proiettili per l’artiglieria)
Domanda: Quando sono arrivati i tedeschi nella vostra zona cosa ha fatto James?
Valeria: James era ancora con noi, avrebbe voluto andare via, ma con tutto quel via vai di militari e di
sfollati, era impossibile muoversi senza essere visti. Mio fratello Dino ne aveva parlato in casa ma la cosa
per il momento non si poteva fare. Ha dovuto aspettare il passaggio del fronte per allontanarsi da Maiolo.
Domanda: Quindi James è andato via da casa vostra dopo l’arrivo dei tedeschi?
Valeria: Mio fratello era quello che aveva il rapporto più stretto con lui, era andato a parlare con della
gente di Novafeltria. Lì avranno deciso come fare per lo spostamento. Penso che abbiano raggiunto l’altro
aviatore a Massamanenti sul podere di Bucci ed insieme saranno stati portati via.
Elio: Non sono sicuro ma penso che l’avvocato Barbieri di Novafeltria faceva parte dell’organizzazione
che ha aiutato James. Deve essere stato lui che ha consigliato di allontanarlo dalla zona di Maiolo. I
tedeschi si stavano ritirando, se si fossero fermati qui da noi e lo avessero trovato sarebbero stati grossi
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guai per tutti noi. Barbieri è venuto a mancare presto, pochi anni dopo la guerra.
Domanda: Barbieri durante la guerra è mai venuto a casa vostra?
Elio: No, solo dopo il passaggio del fronte.
Domanda: Così James è stato portato in un luogo più sicuro. Con che mezzo è partito?
Valeria: James ci ha salutato tutti poi deve essere andato verso Novafeltria. È partito con … io non lo
ricordo neanche. Forse i miei nipoti sanno più cose di me in merito a questa cosa. Da quel giorno io non
l’ho più visto.
Elio: Io non ricordo di averlo visto andare via. Sicuramente è successo di notte quando noi bambini
dormivamo.
Domanda: Che fine ha fatto lo Slavo dopo che James se n’è andato?
Elio: Dopo alla partenza di James a Giuseppe lo Slavo non lo abbiamo più visto, non sappiamo quale sia
stata la sua sorte.
Domanda: Nella vostra zona i partigiani hanno fatto azioni armate? Ci sono stati dei caduti durante la
guerra a Maiolo?
Elio: A Maiolo non ci sono state azioni di partigiani. C’è stata solo una disgrazia.
Valeria: Per il passaggio del fronte nella nostra zona non ci sono stati combattimenti però ricordo che era
morta una ragazza. Si chiamava Giacomini Clora (1925), veniva a scuola con me. La poveretta è morta
mentre andava da suo fratello che stava nascosto con i partigiani. Per quello che ne so lei è stata l’unica
vittima di Maiolo.
Ho provato a fare una ricerca su quel nominativo su internet, e sul sito
http://www.istorecofc.it/caduti-formazioni-partigiane2.asp
ho trovato scritto:
Giacomini Clora di Michele nata a Majolo di Novafeltria il 3 aprile 1926, ivi residente, massaia, seconda
di cinque figli, nubile. Riconosciuta partigiana dell'8a brigata con ciclo operativo dal 4 aprile al 2 luglio
1944. Nella scheda personale si trova scritto:
“a Majolo mentre eseguiva il servizio di staffetta veniva fatta segno da un colpo di arma da fuoco da
parte di nazi - fascisti e rimaneva uccisa il 26/06/44"
Ada: La sera che rimase uccisa la ragazza di Maiolo, vicino a casa nostra abbiamo sentito delle urla (del
fratello). James pensando che potessero cercare lui, non aveva fatto in tempo a raggiungere il rifugio, si
era nascosto su un albero e noi non riuscivamo a trovarlo. Quella notte non ha dormito nessuno in casa
nostra.
Mascella Ubaldo: Un Gori (catturato in un rastrellamento) non è più tornato dalla Germania.
Domanda: Quando si è avvicinato il fronte avete dovuto abbandonare la vostra casa? Ci sono stati
combattimenti?
Valeria: Combattimenti no. Da noi, lungo la strada c’era solo del traffico militare. C’è stato che da
Carpegna veniva giù tanta gente, con i bambini, che i tedeschi avevano fatto andare via quando si era
avvicinato il fronte. I tedeschi li mandavano via e gli rubavano la roba, i carri, le mucche.
Domanda: Li avete aiutati anche voi?
Valeria: Per forza, dove potevano andare?
Domanda: C’era da mangiare per tutti?
Valeria: Quello è stato un anno buono fino al passaggio del fronte, anche per i raccolti. Noi abbiamo
avuto circa 150 quintali di grano, gli anni passati era stato molto meno. In famiglia si diceva che il
raccolto avuto in più ci era stato dato per sfamare le tante persone che erano sfollate a Maiolo dalla
Carpegna.
La provvidenza?
Ada: Passava molta gente da casa nostra, e per tutti c’era qualcosa da mangiare. Una sera arrivarono tanti
sfollati che, dopo essersi sfamati, passarono la notte chi nella stalla, chi nel fienile. Al mattino le donne di
casa si alzarono presto per fare la piada, perché il pane era finito. A un certo punto mia nonna vide che gli
sfollati se ne andavano senza mangiare, così in fretta mise la piada e del formaggio in un panno bianco
con quadri blu (all’epoca quel panno veniva chiamato “il fazzoletto della spesa”, era quadrato e dentro ci
si metteva la roba comprata legandolo dalle quattro punte) e gli corse dietro, e io con lei. Quando stavamo
per raggiungerli vidi una donna che era rimasta indietro da sola, perché aveva una sola gamba e
camminava a stento con le stampelle. Per me fu una visione molto dolorosa che non riuscii più a
dimenticare, perché in quel tempo mia madre era caduta, aveva tanto dolore a una gamba e non poté
curarla, perché c’era la guerra, rimanendo quindi zoppa per sempre. Io vedevo mia nonna come un
angelo, sempre pronta ad aiutare tutti: per lei non esistevano nemici. Mia madre era per me come la
madonna addolorata di Michelangelo, perché nonostante il forte dolore non si lamentava, e lavorava lo
stesso.
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Domanda: Da voi sono passate le truppe alleate che inseguivano i tedeschi?
Valeria: No, quello lo ricordo bene. Una sera sono passati molti tedeschi che si ritiravano in direzione di
Novafeltria. C’era una nebbia molto fitta, non si vedeva quasi nulla ma li abbiamo sentiti. Dopo il loro
passaggio, alcuni militari sono passati ad avvertire di tenere le finestre aperte e di stare al riparo perché
facevano saltare il “ponte grande”. Con lo spostamento d’aria le case si “scrullavano”, noi avevamo tutti i
nostri piatti riposti sulle mensole della cucina, non erano in un mobile. Per paura che si rompessero tutti,
li abbiamo portati fuori di casa e messi nell’orto sotto ai cavoli. Ad un certo punto, dopo la mezzanotte,
abbiamo sentito giù nella strada i militari che urlavano per avvertire dell’accensione della miccia. Mio
fratello ci ha detto di correre al rifugio. Dopo un po’ c’è stata una forte esplosione e una pioggia di pietre
è caduta su tutta la zona. A me, che ero uscita da poco da casa, me n’è caduta vicino una grossa, proprio
dove mi trovavo fino a un attimo prima. Ho avuto molta fortuna, si vede che non era destino. Anche un
grosso paracarro in cemento è saltato vicino a casa nostra facendo una buca molto profonda, se finiva
dall’altra parte c’erano i piatti e li avrebbe rotti tutti. Comunque di danni ne abbiamo avuti ugualmente
perché la prima volta che ha piovuto ci siamo accorti che entrava l’acqua dal tetto, le pietre cadute sopra,
avevano rotto molti coppi. Di ponti ne hanno fatto saltare un altro anche a S. Apollinare. La mattina
seguente abbiamo trovato una mucca stesa lungo la strada, l’avevano lasciata lì perché non riusciva più a
camminare, era stremata dalla fatica. L’ha presa mio cognato Mascella Virgilio, il marito della Filomena.
Ada: Quando fecero saltare il ponte grosso, poco distante da casa nostra, ci avvertirono che sarebbe stato
pericoloso rimanere in casa, così andammo nel rifugio. Per me era solo un gioco. Mio bisnonno disse che
tanto lui era vecchio e rimase in casa, ma visto che dopo tanto tempo non succedeva niente pensò di
raggiungerci, ma quando uscì il ponte saltò e quindi rimase sulla porta e raccontò che sembrava una
spiaggia di calcinacci. Dopo che il ponte fu distrutto, per raggiungere l’altra parte della strada si doveva
passare da casa nostra facendo una strada di campagna che attraversava il nostro terreno. Una volta
piovve tanto e non si poteva passare con mezzi pesanti perché c’era stata una frana. Un giorno arrivò un
camion che trasportava cose di merceria e lì c’era proprio di tutto: scaricarono gli scatoloni e li misero nel
fienile. A noi bambini era proibito andare lì dentro perché temevano che per gioco andassimo ad aprire gli
scatoloni. Passò tanto tempo, e anche se avremmo potuto prendere quello che ci serviva, i miei familiari
erano troppo onesti e non presero neanche un ago. Questa era la famiglia di Selva Dino.
Domanda: Dopo la guerra siete rimasti in contatto con James?
Valeria: Dopo la guerra James ci ha mandato molti pacchi dall’America. Arrivavano su a Novafeltria,
non qui a Maiolo, li andava a prendere mio fratello Dino. Spesso capitava che qualcuno li aprisse e ben
poco arrivava a noi. Ha mandato abiti, alimenti, latte in polvere, una penna stilografica. Un regalo lo
conservo ancora, un piccolo porta cipria da borsetta (vedi All. 5-11). Ha scritto molte lettere, indirizzate
alla mia famiglia. Forse arrivavano direttamente dall’Avv. Barbieri, solo lui sapeva leggerle, chiamava
mio fratello e gliele traduceva. Erano arrivati anche dadi da brodo. Noi non avevamo mai visto una cosa
del genere e non capivamo che cosa potessero essere e cosa ne dovevamo fare. Se ce li aveva mandati un
utilizzo dovevano avercelo.
Anche il marito della signora Valeria (Masini Renato), ricorda di aver sentito dire che le lettere le
riceveva l’avv. Barbieri di Novafeltria. L’amico Nucci, attraverso Bianca Barbieri, la figlia
dell’avvocato, mi ha fatto sapere che suo padre si chiamava Davide. Questo nome non compare
nell’elenco dei partigiani inviatomi da Nucci perché relativo ai residenti del comune di San Leo.
Carlo: Tra i regali che ci aveva mandato James, ce n’era uno che non capivamo che utilizzo avesse. Si
trattava di un piccolo pacchetto, il cui contenuto noi tutti della famiglia abbiamo provato ad utilizzare in
vari modi ma senza trovare quello giusto. Lo stendevamo sul pane ma aveva un sapore troppo salato, non
era quello il suo corretto utilizzo. Solo alcuni anni dopo, quando anche in Italia si è iniziato ad utilizzare i
dadi da brodo, abbiamo capito cosa conteneva il pacchetto inviato da James.
Domanda: James è mai venuto a trovarvi?
Valeria: Sì ma io non l’ho potuto vedere perché ero ricoverata all’ospedale: avevo il paratifo intestinale.
A James è dispiaciuto non potermi salutare. Ero io che gli portavo da mangiare, che lo avvertivo
dell’arrivo di gente pericolosa permettendogli di andarsi a nascondere in tempo nella macchia folta dei
sambuchi.
Domanda: Quando è venuto?
Valeria: Dunque saranno stati due o tre anni dopo la fine della guerra, c’era già mio figlio Walter, aveva
circa tre anni.
Domanda: Quando vi siete sposata con Masini Renato?
Valeria: Noi ci siamo sposati nel 1948, James deve essere venuto nel 1950-51.
Elio e Carlo: James è venuto in Italia a trovarci dopo la guerra, nel 1952. Ci ha scritto per molto tempo.
È riuscito a venire in Italia solo una volta. Era Ottobre, faceva già freddo e James ci aveva lasciato i soldi
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per acquistarmi (a Carlo il più piccolo) un cappotto. Era atterrato a Milano dove aveva preso un taxi per
arrivare a casa nostra. Il suo autista gli faceva da interprete, James sapeva dire in italiano solo qualche
parola.
Ada: Ricordo bene il giorno in cui James è venuto a farci visita. Io mi trovavo fuori casa nell’aia quando
l’ho visto salire dalla strada principale. L’ho riconosciuto subito e sono corsa in casa urlando “è arrivato
James”. Non mi voleva credere nessuno. A Carlo, prima di partire ha chiesto che regalo volesse,
pensando fosse interessato ad un giocattolo. Carlo ha risposto che voleva un cappotto. La mamma ha
iniziato a prendere le misure ma James, pensando che fosse più sbrigativo andarlo ad acquistare, le ha
lasciato i soldi necessari. Con quei soldi il cappotto si è rimediato per tutti noi tre fratelli.
Domanda: Che lavoro faceva James quando vi è venuto a trovare?
Valeria: Non lo so ma credo sempre il pilota perché Carlo mi ha detto che è morto per un incidente aereo.
Lui ha continuato a fare il pilota ma non so quando è morto.
Elio: Stava lavorando in una compagnia aerea civile, era atterrato a Parigi, così aveva colto l’occasione
per venirci a trovare. Deve aver preso qualche giorno di ferie. Ci ha raccontato che dopo avere lasciato
casa nostra, era stato portato verso Ferrara, dove era rimasto per circa un’altra ventina di giorni.
Carlo: James è morto in un incidente aereo alcuni anni dopo il suo ritorno in Italia.
Domanda: Chi vi ha fatto sapere la notizia?
Valeria: Probabilmente la sua famiglia lo ha scritto all’avv. Barbieri, che poi ha informato anche noi.
Carlo: Gli alleati dopo la guerra hanno mandato a mio babbo un attestato di ringraziamento per avere
aiutato James, non ricordo se ci è arrivato per posta o se gli è stato consegnato da qualcuno. Purtroppo
non ricordo in quale cassetto è stato messo e non sono ancora stato in grado di recuperarlo.
Un gran peccato non poter trovare importanti documenti a supporto della presente ricerca, ma non
bisogna disperare, la fortuna a volte sta proprio dietro all’angolo.
Del periodo trascorso da Domenico Bucci presso l’ospedale militare di Bari, raccontatomi da Alfeo
Narduzzi, ne ho trovato un riscontro in un libro preso in biblioteca. Si intitola “Morire non basta”, scritto
da Oreste Cavallari, un riminese che sino al giorno dell’armistizio prestava servizio militare in marina a
Curzola, in Croazia, dove svolgeva l’incarico di Tenente di porto. Non mi sarei mai aspettato di trovare il
suo nome lì. È stato veramente un puro caso trovare un collegamento tra queste due persone, leggendo
quel libro.
Cavallari, anche lui ferito, durante la sua lunga degenza quando giungeva un militare ferito dal fronte, che
in quel periodo era prossimo a Rimini, voleva sapere come andavano le cose là, avendo lasciato a casa la
moglie e un figlio in tenera età.
Su questo libro a pag. 301 è scritto:
“Ho conosciuto in ospedale un tenente che viene dalle nostre parti. Un certo Bucci, Domenico
Bucci… Il tenente Domenico Bucci mi era stato vicino un giorno che Nello Segurini, se ben
ricordo, venne a tenere un concerto in ospedale. Era ferito ad una gamba. Ci scambiammo poche
parole. Mi fissava con intensità. Capivo che voleva sapere di me, come di chi vuol rintracciare una
persona da discorsi e accenni sentiti da altri. Ma io ero poco loquace e non gli detti corda.… Il
tenete Domenico Bucci, ferito nella battaglia per Rimini, era di Secchiano, nel Montefeltro, …
Nella sua casa, a Secchiano, si erano rifugiati, nell’inverno, mia moglie e mio figlio. E allora capii
chi, in me, egli voleva rintracciare. Ma io non sapevo né di Secchiano né dei miei”.
Ho voluto approfondire anche questa parte della storia, così mi sono chiesto se era possibile rintracciare
un familiare di Cavallari. Venuto a conoscenza che il figlio di Oreste era un avvocato, ho consultato il sito
dell’Ordine e ho trovato un nome (Giorgio) con quel cognome ed un indirizzo di posta elettronica al quale
ho inviato una mail per avere la conferma se, come speravo, lui fosse un parente di Oreste.
Il giorno successivo alla mia richiesta, mi è giunta la risposta. L’avvocato Giorgio Cavallari era
effettivamente un parente della persona che cercavo, il nipote per la precisione. Era contento del fatto che
qualcuno stava dedicando del tempo a ricerche su quanto avvenuto in passato e mi forniva il numero di
telefono ed indirizzo di suo padre Stefano.
La curiosità mi ha portato a leggere altri libri di Oreste Cavallari e in uno di questi, sempre a “spizzichi”,
vi ho trovato alcune brevi righe dove aveva scritto un’altra parte della storia su ciò che gli era accaduto.
Nel libro “La guerra continua: nell’Italia meridionale dal 25-7-43 al 5-6-44” a pag. 176 è scritto:
“La sera del 2 Dicembre (1943), Bari, che non era mai stata bombardata, subì una delle più
violente incursioni. Il giorno precedente un ricognitore tedesco aveva fatto una ricognizione sul
porto: aveva contato diciannove trasporti. E il giorno 2, alle 19:30, una quarantina di apparecchi
tedeschi fu sulla città”.
Oreste in quel momento si trovava ricoverato in un letto di una camera posta al quarto piano del grande
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palazzo della Università di Bari. In quel letto rimarrà per circa sei mesi prima di essere trasferito in
un'altra struttura ospedaliera. Il racconto prosegue così:
“Il grande palazzo fu scosso dalle fondamenta. Si spense la luce … il porto saltava. … Dalla
finestra io ne vedevo i bagliori. … Chi avrebbe pensato a me? Mi strinsi forte a me stesso: era
inutile che tentassi di muovermi. Meglio chiudere gli occhi, attendere … Vennero a prendermi”.
Quella notte i bombardieri tedeschi, decollati dagli aeroporti dell’Italia settentrionale, colpirono, tra
mercantili, navi ausiliarie e piccole imbarcazioni di servizio, ben 17 unità che successivamente, per gli
effetti secondari del bombardamento, sarebbero divenute 28 per un totale di 75.936 t.s.l.
Le imbarcazioni gravemente danneggiate risultarono una ventina per oltre 72.000 t.s.1. I1 disastro
peggiore però fu determinato dall'esplosione della Liberty “John Harve” sulla quale, all'insaputa anche
dell'equipaggio, ed in violazione alle leggi internazionali, erano presenti, oltre al normale
munizionamento, 540 tonnellate di gas iprite tipo Levinstein H che gli Alleati intendevano utilizzare solo
in caso di rappresaglia qualora i tedeschi avessero deciso di far uso per primi di quel tipo di armi sul
fronte italiano. L’iprite causò la morte di numerosi militari alleati e quella di 243 civili ma questi dati si
ritiene non siano affatto veritieri.
Oreste C. era immobilizzato nel suo letto a causa delle ferite riportate alcuni giorni dopo l’armistizio. La
sera del 10 Settembre si trovava in servizio, come ufficiale di marina, a Curzola. Aveva ricevuto l’ordine
di andare a controllare cosa era successo ad un presidio italiano presente a Meleda che non rispondeva più
alle chiamate.
“Partii all’alba sul Margherita. Quindici marinai, un cannoncino, una mitraglia. … A Meleda
arrivammo verso mezzogiorno … Mi avvicino piano … non anima viva … entriamo nel porto … Il
nostro presidio era stato fatto prigioniero … D’un tratto passò uno Stuka: centrò in pieno la T.8
(imbarcazione del comandante Berardinelli, suo superiore) che saltò in mille briciole … E subito
dopo una scarica contro il Margherita … Un colpo alla spalla, qui davanti. Non è niente …
affondiamo … D’un tratto, una scarica da parte a parte, dietro la schiena: un brivido, giù …
perché le gambe non si muovono? Perché non mi alzo? …”.
Quella ferita lo immobilizzerà per tutta la vita su una sedia a rotelle ma la sua grande forza d’animo gli
permise di superare le avversità. Non si chiuse in se stesso. Svolse la professione di avvocato, rivestì per
diversi anni la carica di Consigliere Comunale e partecipò alla vita di alcune sezioni di Associazioni
locali: "Nastro Azzurro", "Mutilati e Invalidi di Guerra", e A.M.N.I. (Ass. Naz. Marinai d'Italia).
Ho preso contatto con il figlio Stefano, che molto gentilmente si è reso disponibile ad un incontro e mi ha
fissato subito un appuntamento. Ci siamo incontrati il giorno 09/03/13 e durante la gradevole
chiacchierata mi ha raccontato la storia di suo padre, originario di Molfetta (Bari), nato nel 1916.
Ho chiesto a Cavallari se era possibile inserire nella mia ricerca una foto di suo padre, possibilmente in
divisa da marinaio. Contento della cosa mi ha fatto presente che nella sede della nuova Capitaneria di
Porto di Rimini, inaugurata nel 2003 ed a suo padre dedicata (vedi All. 5-12), era presente un quadro che
lo raffigurava. Si sarebbe subito messo in contatto con il Comandante CF (CP) Piercarlo Di Domenico
per fare in modo che potessi andare a fotografarlo. Dopo alcuni giorni mi telefonava per dirmi che ero
autorizzato a recarmi in Capitaneria per svolgere il mio compito. Nel pomeriggio del giorno seguente,
11/05/13, accompagnato da Fausto Ruffilli, con la sua macchina fotografica ci siamo presentati
all’ingresso dell’Ufficio, ricevuti dal M.llo Ruggero Porcelluzzi, precedentemente contattato per stabilire
l’orario dell’incontro.
In una stanza adiacente all’ingresso era presente il quadro raffigurante Cavallari (vedi All. 5-13). La
curiosità mi ha spinto a leggere il nome di chi lo aveva dipinto. L’artista era il Maestro Mario Pesarini.
Nella riga sottostante compariva anche il nome di colui che lo aveva donato. Con mia grande sorpresa ho
letto che si trattava del Cav. Valariano Moroni, grande appassionato di ricerche storiche in ambito navale,
persona che conosco da alcuni anni. Moroni è stato un grande amico di Oreste e dopo la sua
scomparsa,venuto a conoscenza che la nuova sede della Capitaneria gli sarebbe stata dedicata, a proprie
spese, commissionava la redazione del quadro.
Il giorno della inaugurazione della struttura, era presente in porto la Motovedetta CP401, oggi non più in
servizio, che portava anche essa il nome di Oreste Cavallari.
In data 14/03/2006 dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto di Roma, l’Amm. Isp.
Capo (CP) Luciano Dassatti, inviava a Valariano Moroni una lettera di ringraziamento per il dono
ricevuto (vedi All. 5-14).
Per le azioni svolte in servizio, Oreste Cavallari è stato insignito di una Medaglia d’Argento al valor
militare (15/11/1946) ed una di Bronzo (05/10/1957). Entrambi gli attestati sono esposti in capitaneria in
un secondo quadro affiancato al dipinto di Cavallari, unitamente alla foto della Torpediniera T.8
affondata il 11 Settembre, giorno nel quale lui è stato ferito.
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CAP. VI - UN AVIATORE BRACCATO
Cosa era accaduto a Longino nel periodo tra il giorno del suo atterraggio a Forlì ed il suo arrivo a Maiolo,
alla data odierna non sono ancora in grado di poterlo dire. Non volendo tralasciare questa importante
parte della storia, ho pensato di “mettermi nei suoi panni” e di ipotizzare cosa avrei fatto io se mi fossi
trovato nella sua situazione. Pura e semplice fantasia di un sognatore, ma che potrebbe avvicinarsi a ciò
che realmente è accaduto in quei giorni. Come prima cosa ho pensato che Longino volesse cercare di
raggiungere prima possibile le linee alleate, quindi si è diretto a Sud. Valeria Selva mi ha raccontato che
sarebbe giunto a Maiolo, comune dell’allora provincia di Pesaro, una domenica mattina del mese di
Giugno, logicamente non mi ha saputo precisare esattamente quale.
L’abbattimento è avvenuto il quinto giorno del mese, un lunedì. È logico pensare che Longino sia giunto
a casa Selva la domenica successiva, quindi la seconda del mese, forse la terza ma io sono più propenso a
credere che lui sia arrivato la seconda domenica, quindi il giorno undici. Mi sono chiesto se poteva aver
trovato qualche buona anima che lo aveva aiutato trasportandolo con un automezzo o se aveva percorso
tutto il tragitto camminando. Chi potrebbe rispondere a questa domanda? Sarebbe molto interessante
poter contattare un familiare o un commilitone di Longino per sapere se dopo la guerra si era mai parlato
di questi particolari della sua avventura in territorio ostile. I Selva, su questo specifico punto, non
potevano chiaramente rispondermi. Per dare forza all’ipotesi che avesse viaggiato a piedi, la più
probabile, ho fatto una semplice considerazione. Un uomo camminando in modo normale può percorrere
in media cinque chilometri all’ora su un terreno pianeggiante. Questa media potrebbe scendere un po’ per
il fatto che Longino viaggiava sicuramente di notte per evitare di farsi individuare. È vero che in quei
giorni c’era luna piena (ho appurato che il plenilunio era avvenuto il 06/06) cosa che lo facilitava ma è
anche vero che lui non conoscendo il territorio non poteva sicuramente procedere velocemente.
Ipotizzando che camminasse in media per quattro ore a notte, e di notti dal giorno cinque all’undici ce ne
sono sei, avrebbe potuto percorrere conti alla mano (ore 4 x Km 3 x notti 6) circa 72 chilometri.
Considerando che la distanza tra Forlì e Maiolo è pari a circa una sessantina di chilometri, si può
considerare più che plausibile l’ipotesi fatta, quindi proseguo con il racconto “fatto da Longino” (anzi
dallo scrivente). Il tutto ha inizio da un momento ben preciso, siamo a bordo del B 24 “Mable” che non ne
vuole più sapere di continuare a volare. In cabina di pilotaggio sono presenti il pilota 1Lt Saborsky e il
copilota 2Lt. Longino.
Lunedì 05/06/44
Tra gli uomini dell’equipaggio vi è apprensione, tutti intuiscono, anche se il comandante non l’ha detto,
che le cose non stanno andando per il verso giusto. L’aereo ha iniziato a perdere velocità e quota
trovandosi presto isolato rispetto al resto della formazione. Trovarsi in queste condizioni sarebbe una
sicura condanna a morte se fossero arrivati i caccia nemici. Il sistema interfonico è stato messo fuori uso
da una scheggia dell’antiaerea, così Saborsky mi chiede di andare ad avvertire i compagni di preparasi a
lasciare l’aereo. Per fortuna nessuno è ferito, ci possiamo lanciare tutti senza problemi. Qualcuno degli
uomini presenti nella parte centrale dell’aereo è andato a liberare dalla sua “palla” meccanica (la
postazione del mitragliere inferiore) il sergente Koval, cosa che non avrebbe mai potuto fare dall’interno.
Mentre torno verso la cabina di pilotaggio indosso anche io il paracadute e metto al corrente Saborsky che
siamo tutti pronti. Pochi minuti dopo lui si volta verso di me e grida: “Bail out”, che in gergo aeronautico
significa lanciarsi col paracadute. Esco dalla cabina di pilotaggio e faccio segno agli altri di lanciarsi, i
mitraglieri centrali sono tra i primi ad uscire. Saborsky inserisce il pilota automatico e subito dopo mi
raggiunge al portellone di lancio delle bombe. Cosa troveremo ad aspettarci una volta toccata terra? Lo
vedremo presto. Ci guardiamo per un attimo, ammiccando un augurio di buona fortuna e poi ci lanciamo
nel vuoto.
Su internet ho trovato un interessante grafico sulle vie di fuga da un B 24 (vedi All. 6-1).
Dopo alcuni secondi tiro la cinghia che aziona il paracadute e sento uno strattone. Guardo in su e con
sollievo vedo un gradevole ombrello bianco che mi fa ondeggiare in qua e in là mentre il rumore dei
motori dell’aereo si va affievolendo sempre più allontanandosi. Volgo lo sguardo verso i compagni che
sono tutti più in basso rispetto a me essendosi lanciati prima. Conto i paracadute, uno, due … dieci, per
fortuna si sono aperti tutti. Saborsky è poco oltre a me. Mentre scendo verso terra, cerco per quanto è
possibile di dirigermi verso una zona di terreno libera dagli alberi, non vorrei farmi male. Scruto il terreno
circostante per memorizzarne i dettagli e per capire quale direzione sia meglio prendere dopo l’atterraggio
per sfruttare al meglio la conformazione del terreno e occultarmi alla vista di chiunque potesse nuocermi.
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Per il momento non si vedono movimenti sospetti, ma i nemici non tarderanno ad arrivare perché non
siamo molto lontani dalla città di Forlì. L’aereo intanto prosegue il suo volo perdendo sempre più quota.
Su questo aspetto della storia è interessante leggere cosa ha visto quel giorno Nadiani Lorenzo. Suo figlio
Nerio, che abita a Rimini, è un mio conoscente. Per caso, durante una chiacchierata mi ha detto che suo
babbo è originario di Forlì. Mi si sono subito “rizzate le orecchie” per captare nuovi dati. Non ho potuto
fare a meno di chiedergli se gli aveva mai raccontato di aver visto cadere un aereo durante la guerra. La
risposta è stata affermativa, suo babbo aveva assistito alla caduta di un grosso bombardiere caduto vicino
a Carpinello, proprio quello di mio interesse, così gli ho chiesto se poteva farsi raccontare nel dettaglio
cosa ricordava di quel giorno. Questo è il suo racconto:
“Giangrì” Nadiani Lorenzo “1925”: Durante la guerra abitavo a Forlì e lavoravo nella fabbrica
della Bartoletti dove si eseguivano riparazioni agli autoveicoli. La fabbrica, che era ubicata vicino
alla stazione, era stata distrutta durante il primo bombardamento della città, quindi era stato
necessario trasferire l’attività lavorativa nella vecchia sede di Carpinello, lungo la strada Cervese,
nei pressi del cimitero. Dopo l’occupazione tedesca in conseguenza dell’armistizio, in fabbrica si
riparavano gli automezzi tedeschi e per questo motivo era una struttura gestita dai militari.
L’ufficiale che la controllava, forse un Tenente, era molto severo. Un pomeriggio dell’estate 1944,
forse in Luglio, verso le quindici circa mentre lavoravamo, abbiamo sentito suonare l’allarme
aereo e siamo corsi tutti fuori fermandoci in prossimità del cimitero di Carpinello. Poco dopo
abbiamo visto un aereo in difficoltà, era una fortezza volante con quattro motori, provenire da
Ravenna e diretta a Forlì, probabilmente stava tornando da una missione. Ha eseguito un’ampia
virata verso Forlimpopoli poi ha iniziato a volare seguendo una rotta circolare. Giunto più o meno
sulla verticale di S. Pietro in Vincoli - S. Pietro in Campiano, l’equipaggio si è lanciato, ho contato
otto paracadutisti. L’ultimo della fila deve essere caduto a circa cinque chilometri da noi in
direzione di Ravenna. L’aereo, che volava con un motore fermo, mentre gli altri facevano un
rumore anomalo, ha continuato la sua rotta ed ha fatto ritorno su Carpinello poi perdendo quota
ha stretto la virata sopra il bosco dei Mangelli, superato il quale ha toccato terra passando in
mezzo a due case (che esistono ancora) senza toccarle. Attualmente di tutti quegli alberi è rimasta
solo una quercia secolare. L’aereo ha strisciato sul terreno per circa due o trecento metri
perdendo alcuni motori e poi si è accartocciato alla fine della corsa fermandosi in zona S. Maria
Nuova a circa un chilometro da noi. L’aereo non si è incendiato. La maggior parte dei presenti, me
compreso, è partita in bicicletta verso quel luogo che si raggiungeva in dieci minuti. Ricordo che
qualcuno ha smontato alcune mitragliatrici che poi sono state portate via poco prima dell’arrivo
dei Repubblichini, giunti sul posto circa trenta minuti dopo l’impatto. Le mitragliatrici erano state
caricate su un carro, nascoste sotto della paglia e portate via. Alcune avevano la canna piegata ma
quello non era un problema, in fabbrica si potevano fare nuove. I militi ci hanno mandato via a
tutti sparando in aria a scopo intimidatorio. Poco dopo sono arrivati anche i soldati tedeschi. Io
non ho saputo più nulla né dell’aereo né della sorte di quegli aviatori.
Dal racconto di Nadiani si viene a conoscenza di un altro interessante dettaglio, l’aereo stava procedendo
da Ravenna verso Forlì e non verso Sud dove era la sua base. Forse il pilota aveva preso quella rotta per
fare precipitare l’aereo sugli Appennini, zona poco abitata. Ma ora torniamo alla storia di Longino.
L’atterraggio degli undici aviatori è avvenuto nella zona a Nord di Forlì, a cavallo tra le province di Forlì
e Ravenna (vedi All. 6-3). Il racconto di “Longino” prosegue:
Riesco a toccare terra senza riportare ferite, poi mi tolgo l’imbragatura del paracadute e il giubbotto di
volo. È Giugno e fa veramente caldo. Nascondo il paracadute in una folta siepe, il giubbotto lo porto con
me, potrebbe ancora servirmi. Corro a mettermi al riparo tra un gruppo di alberi e mi metto ad osservare
con calma la situazione circostante, per ora non vedo nulla di preoccupante così cerco di dirigermi verso i
compagni, cercando di camminare sempre al coperto della vegetazione, non vorrei essere catturato e
finire in prigionia in Germania. Cammino per circa una quindicina di minuti fino a quando sento il
rumore di alcuni automezzi che si stanno avvicinando, mi trovo un riparo all’interno di una folta siepe.
Cerco di capire come sta evolvendo la cosa. In lontananza si sentono degli spari, stanno già rastrellando la
zona. Dopo alcune ore vedo transitare su una stradina, che corre a poche centinaia di metri dalla mia
posizione, un autocarro scoperto. Sul cassone, tra i militari armati, riesco ad intravederne alcuni con la
divisa simile alla mia. Qualcuno dei miei compagni è stato catturato ma non riesco a distinguere chi sia.
Sentirsi braccato non è una bella sensazione. Per fortuna le ricerche si orientano verso un’altra zona, per il
momento sono al sicuro. Lascio la siepe e mi sposto in un luogo più occultato dove decido di rimanere
nascosto sino al calar del sole prima di allontanarmi. Chissà in quanti siamo rimasti ancora in libertà e per
quanto tempo ancora lo saremo. Guardo l’orologio ma purtroppo non va, si è rotto nell’atterraggio.
Nell’attesa del buio, i pensieri volano lontano, alla mia casa in Georgia dove mi attendono una moglie e
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una figlia. Tra qualche settimana gli comunicheranno che il mio velivolo non ha fatto rientro alla base e
che risulto disperso.
Sul sito del 450° Bomb Group
http://www.450thbg.com
ho trovato un interessante documento, la copia di un telegramma simile a quello ricevuto dalla moglie di
Longino (vedi All. 6-1).
Sarà dura per lei e per i miei genitori. Cerco di riposarmi un po’ prima di mettermi in marcia. Devo
cercare di allontanarmi il più possibile aggirando la città. Poco lontano da dove mi trovo è presente un
corso d’acqua (Fiume Montone), seguendone la riva oltrepasso la Strada Statale Emilia per dirigermi
verso le colline, dove le abitazioni sono meno frequenti, come avevo osservato mentre scendevo con il
paracadute, e dove spero vi siano anche meno controlli. Per precauzione mi terrò lontano dalle strade.
Proseguo per alcuni chilometri verso le colline poi mi dirigo verso Sud. Camminare di notte limita
notevolmente la possibilità di essere individuato ma con il buio la velocità di spostamento diminuisce e
c’è il rischio di farsi male non riuscendo a vedere il terreno sul quale si cammina. Per fortuna nel cielo si
staglia una brillante luna piena. Ho camminato per diverse ore, intervallate solo da brevi pause, nel
tentativo di allontanarmi il più possibile dalla zona delle ricerche. Penso di avere percorso una quindicina
di chilometri. Durante il cammino noto la notevole presenza di corsi d’acqua, è incredibile quanti ve ne
siano in questa zona, piccoli, medi e grandi, non riesco a percorrere che pochi chilometri che ne incrocio
subito un altro. Ne ho già superati almeno sei (affluenti del Fiume Ronco) per fortuna di acqua non ve n’è
molta altrimenti sarebbe stato un bel problema guadarli. (Percorso effettuato tra il punto 1 e il punto 2 –
vedi All. 6-3).
Martedì 06/06
All’alba mi metto a cercare un luogo opportuno dove fermarmi a riposare durante la giornata e cercare se
possibile di dormire un po’. Trovo un riparo all’interno di una macchia di alberi abbastanza fitta, in una
fenditura del terreno, ampia a sufficienza per potermi stendere. Con il coltello che ho in dotazione, taglio
alcuni rami dagli alberi più lontani e con questi cerco di occultare al meglio la zona di accesso, poi mi
preparo un giaciglio. Utilizzo ramaglie più sottili sulle quali stendo il giubbotto come fosse un materasso.
Dopo essermi assicurato che nei dintorni non ci sia nessuno, decido di mettermi a dormire per alcune ore,
ma rimango sempre vigile e pronto per una eventuale improvvisa fuga. Spero di non mettermi a russare.
Se in quel momento passasse qualcuno verrei sicuramente individuato. Per fortuna la zona è calma e
riesco a riposare senza problemi. Dopo alcune ore, sentendo un certo languorino allo stomaco, metto
qualcosa sotto i denti. Un pacchetto di gallette ed una stecca di cioccolato saranno il mio pranzo odierno.
Sono ormai le 14:00, mancano ancora molte ore prima che si faccia di nuovo buio. Sono solo e devo
prendere una decisione su cosa fare nei prossimi giorni. Ho due alternative, cercare di raggiungere i
partigiani in montagna oppure cercare di raggiungere le nostre linee che in questo periodo sono in
corrispondenza di Roma, liberata proprio qualche giorno fa. Decido per la seconda possibilità e con un
po’ di fortuna cercherò di oltrepassare la linea del fronte. Osservo il terreno in direzione Sud per studiare
il percorso che farò in serata, poi penso a cosa potrei fare per ingannare il tempo. All’interno della
macchia, con circospezione posso muovermi, così mi cerco un bel ramo e mi preparo un bastone da
“passeggio”, come se stessi facendo una bella gita tra i boschi. Dopo averlo accorciato della giusta misura
per poterlo usare più comodamente, con il pugnale intaglio vicino all’impugnatura la data del crash e,
stilizzato, mi raffiguro mentre scendo con il paracadute. Userò il bastone anche come calendario, per non
perdere la nozione del tempo, chissà per quanto resterò isolato dai miei compagni. Ogni giorno che
passerà intaglierò nel bastone una tacca, per le domeniche la tacca sarà un poco più lunga. Nel
pomeriggio, dalla mia posizione occultata tra gli alberi, scorgo in lontananza uomini in divisa scura
muoversi nelle campagne, ispezionando le case ed i pagliai. Stanno cercando ancora qualcuno, allora oltre
a me ci sono ancora alcuni miei compagni in fuga. In serata mi rimetto in cammino usando il bastone per
saggiare in certi tratti la consistenza del terreno che nella semioscurità creata dalla luna piena non si
distingue chiaramente, soprattutto devo prestare attenzione ad individuare in anticipo la presenza dei
numerosi fossi, dove più volte ho rischiato di slogarmi una caviglia. Il percorso si fa più faticoso, la zona
è costituita da colline intervallate da numerosi torrenti, (affluenti del Fiume Ronco e Savio) quindi non
faccio altro che salire e scendere. Per fortuna mi muovo di notte con il fresco. Ad un certo punto
intravedo contro il chiarore della luna qualcosa appeso ai rami di un albero, mi avvicino e ne prendo uno
in mano. Con mia grande soddisfazione appuro essere delle piccole pere, non ne avevo mai viste di così
piccole e ne assaggio subito una. Devo dire che sono molto gustose, così me ne faccio una piccola scorta,
oltre a mangiarne subito un certo numero. Mentre mangio i frutti, seduto a terra e con la schiena
appoggiata al tronco dell’albero, osservo la luna piena e penso a casa, chissà forse anche mia moglie la
sera prima ha fatto altrettanto. Mi rimetto in cammino. Ad un tratto sento dei rumori improvvisi. Mi getto
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a terra e rimango in attesa per capire cosa possa essere. Il cuore mi batte nel petto all’impazzata. Per
fortuna è solo una volpe spaventata dal mio arrivo. Riprendo la marcia, soffermandomi a riposare ogni
tanto, fino all’alba. Con il sorgere del sole, ed in Giugno sorge molto presto, devo mettermi alla ricerca di
un nuovo luogo dove ripararmi. Anche questa notte penso di avere percorso una decina di chilometri.
(Percorso effettuato tra il punto 2 e il punto 3 – vedi All. 6-3)
Mercoledì 07/06
Di primo mattino riesco a trovare riparo all’interno di una macchia di alberi lungo un torrente. Le zanzare
in vicinanza dei corsi d’acqua sono veramente fastidiose, sicuramente non avevano mai bevuto sangue
americano e lo devono aver trovato più gradevole di quello locale, visto come mi attaccano. Il gracidare
delle numerose rane dopo un po’ mi dà ai nervi, decido di spostarmi un poco oltre. L’approvvigionamento
dell’acqua per la mia scorta in borraccia non è un problema visto i numerosi corsi d’acqua incontrati
lungo il cammino dove ogni tanto posso darmi anche una lavata, altrimenti potrei essere individuato solo
per il forte odore di sudore che emano per via del caldo di questi giorni. Alla fame si può resistere per
diversi giorni ma all’acqua non si può rinunciare per tanto tempo. Per precauzione userò le pastiglie
depuratrici che abbiamo in dotazione nel kit di sopravvivenza. La limitata scorta alimentare ivi contenuta
mi permetterà di essere autonomo per alcuni giorni, nel frattempo devo cercare qualcosa di alternativo
alle gallette da mangiare. Sugli alberi presenti in zona si trovano albicocche ancora acerbe e mandorle che
ormai hanno il guscio troppo indurito per essere mangiate. Più avanti lungo il percorso per fortuna passo
nei pressi di alcuni alberi carichi di deliziose e succulente ciliegie, tipiche di questo periodo dell’anno.
Raccolgo i frutti che mangio senza controllare la presenza di eventuali intrusi (vermicelli) ma devo fare
attenzione a non esagerare però. In serata mi rimetto in marcia. Camminando tra i campi di grano è
possibile vedere volare una miriade di lucciole. È bellissimo osservare quelle flebili lucine accendersi e
spegnersi una volta qua e una là, sembra di essere protagonista di una fiaba, il che mi riporta indietro nel
tempo a quando ero bambino. Anche questa notte ho incrociato lungo il mio cammino diversi corsi
d’acqua. Per un certo tratto del percorso mi ha fatto compagnia il canto di una civetta, speriamo che non
sia di cattivo presagio. Cerco di avvicinarmi ad una casa ma un cane si mette ad abbaiare e la oltrepasso
facendo un ampio giro. Da ogni casa nei paraggi tutti i cani si mettono ad imitare il primo e passa una
buona mezz’ora prima che si calmino. (Percorso effettuato tra il punto 3 e il punto 4 – vedi All. 6-3) Dal
diario del Battaglione Tagliamento: Tempo buono. Cielo scoperto. Temperatura calda.
Giovedì 08/06
Trovo rifugio in una vecchia capanna isolata, ubicata nei pressi di un boschetto, l’ideale nel caso si
presenti la necessità di dover fuggire in fretta e furia. Mi sistemo al piano ammezzato, dove stendo un po’
di paglia sulla quale mi metterò a dormire un po’. Con vecchie cose trovate all’interno del locale, cerco di
occultare il giaciglio alla vista di chi eventualmente potesse entrare. Durante il giorno, dovendo sempre
rimanere al riparo da occhi indiscreti e non potendomi muovere, ho molto tempo a mia disposizione ed
inevitabilmente il pensiero corre a casa mia. Come staranno mia moglie e la bambina? Come vorrei essere
con loro, invece mi trovo a circa 10.000 chilometri di distanza, in mezzo ai campi e con il rischio di
essere catturato. Mi chiedo se e quando riuscirò a riabbracciarle. In mattinata passa vicino al rifugio un
bambino che accompagna al pascolo alcune pecore, potrà avere al massimo dieci anni. Rimango nascosto.
Mi metto a dormire per un po’. Al risveglio mangio le ultime cose che mi rimangono della razione di
emergenza. Non avendo più l’orologio funzionante con il passare dei giorni mi rendo conto che il suono
delle campane delle chiese segnala determinati orari della giornata, mi oriento con quelle. In lontananza
osservo dei contadini al lavoro nei campi. La giornata è splendida e nel cielo volano decine di rondini che
si rincorrono gioiose. È un piacere stare ad osservarle, cosa questa che sino ad ora non avevo mai fatto
con lo stesso interesse. Ora ho tempo a disposizione per poter assaporare le gioie della vita, osservando la
natura che ci attornia, godere dei profumi della campagna, l’odore del fieno tagliato da poco e lasciato sul
terreno a seccare, ma in special modo quello dei fiori delle siepi di biancospino presenti lungo le carraie
poste a delimitazione dei campi. Durante il pomeriggio, dopo avere controllato la zona circostante con
attenzione, decido di uscire dal rifugio per fare una camminata nel piccolo boschetto, usando sempre
molta prudenza. Durante il giorno, dovendo sempre stare nascosto, il tempo sembra non passare mai e mi
annoio. Oggi mi voglio allenare al lancio del pugnale, cosa che faccio contro un grosso albero dalla
distanza di circa cinque metri. Spero di non avere mai la necessità di doverlo fare contro una persona.
Come al solito appena fa buio mi rimetto in marcia. Ho bisogno di mangiare qualcosa di sostanzioso e
decido di chiedere aiuto a qualcuno, speriamo di fare la scelta giusta. Proseguo nella marcia in cerca di
una casa sprovvista di cane e per fortuna la trovo. Mi avvicino cautamente ad una delle finestre per
osservare da chi è abitata. All’interno vedo una donna che stimo abbia una età di circa sessant’anni. Sta
lavorando, seduta di fronte al camino, tutta assorta nel suo lavoro. Poco dopo la raggiunge un uomo poco
più alto di lei. Non vedendo né sentendo altri rumori, decido di bussare. Mi viene ad aprire lei e nel
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vedermi rimane sorpresa. Portando l’indice al naso, le faccio segno di non urlare, poi cerco di farle capire
che sono un americano. Chiama suo marito che appena mi vede mi fa cenno di entrare poi chiude subito
la porta. Lui, rivolto alla moglie, mormora qualcosa, lei si dirige verso un mobile dal quale estrae del
pane, salumi e formaggio, mentre lui va a prendere una bottiglia di vino. Mi fanno accomodare a tavola e
mentre mangio quelle deliziose cose, loro rimangono ad osservarmi incuriositi. Tra le poche parole che
riusciamo a dirci facciamo le presentazioni, lei si chiama Maria, lui Giuseppe. Al termine della cena
Giuseppe dice qualcosa alla moglie che si alza e va in una stanza adiacente, tornando poco dopo con in
mano degli abiti civili. Mi guarda e mi porge un paio di calzoni, una camicia e un paio di scarpe. Sono del
loro figlio Giovanni. Si trovava in Sicilia prima dello sbarco alleato, mi fanno capire che non sanno più
nulla di lui. Forse è nostro prigioniero in Africa. Mi tolgo gli abiti militari che Giuseppe ha premura di
andare subito a nascondere. C’è la fucilazione per chi viene trovato ad aiutare un nemico.
Sul dettaglio degli abiti civili la cosa potrebbe anche essere andata diversamente. Diverse sono le
possibilità che mi sono passate per la mente. Solo su un punto vi sono certezze, a Maiolo, e me lo ha
riferito Valeria, Longino è giunto con abiti civili. Abbiamo già letto nei documenti allegati al MACR che
alcuni uomini dopo il suo atterraggio lo hanno aiutato. Gli avranno dato anche gli abiti civili?Quindi o
dopo l’atterraggio, o a casa di Maria, qualcuno gli ha dato degli abiti con cui cambiarsi. Potrebbe anche
essersi “aiutato da solo” nel reperire quanto gli serviva, magari rubandoli mentre erano stesi su un prato
ad asciugare al sole dopo il lavaggio. Dice il proverbio che “la necessità fa l’uomo ladro”, e chi più di lui
ne aveva necessità?Chissà se oggi qualcuno ci può confermare come sono andate veramente le cose. Ma
torniamo a Longino.
Con l’aiuto del piccolo ma essenziale dizionario in dotazione agli equipaggi di volo nell’eventualità di
doversi lanciare, spiego a Giuseppe che vorrei provare a raggiungere San Marino, la piccola Repubblica
riuscita a rimanere neutrale, ma lui mi fa capire che non è una buona idea, non ne comprendo il motivo
ma seguirò il suo consiglio. Decido di rimettermi in marcia e faccio capire alla coppia le mie intenzioni.
Li saluto ma lei mi trattiene per un braccio e mi fa sedere. Vedo che prende una borsa di tela e vi ripone
all’interno un bel tozzo di pane ed una parte di formaggio avvolto in un foglio di carta di colore
giallognolo e me la porge. Mi abbraccia, dandomi un bacio su una guancia. Vedo scendere una lacrima
che le riga il viso, ma allo stesso tempo il suo volto è raggiante di gioia. Una stretta di mano a Giuseppe
ed esco da quella umile casa per rimettermi in cammino nella direzione da lui consigliatami. Mi ha fatto
un disegno rappresentando i castelli di San Marino, facendomi capire di tenermi a Ovest di quel monte,
dove avrei potuto trovare i “partigiani”. Mentre cammino il mio pensiero va al loro figlio e con tutto il
cuore spero che qualcuno si comporti con lui come loro hanno fatto con me. Il cammino si fa sempre più
duro per la maggiore altezza delle colline incontrate. La direzione che ho preso mi porta sempre più verso
gli Appennini. Di positivo c’è il fatto che in questa zona è maggiore la presenza di macchie di alberi
sempre più ampie, che mi permettono di stare al riparo anche durante il giorno. Il mattino seguente alle
prime luci del giorno, scorrendo con lo sguardo verso Sud, individuo chiaramente il monte indicatomi da
Giuseppe, che si vedeva già sin da Forlì, riesco così ad individuare la giusta direzione da seguire la notte
successiva. (Percorso effettuato tra il punto 4 e il punto 5 – vedi All. 6-3). Dal diario del Battaglione
Tagliamento: Tempo buono. Cielo scoperto. Temperatura calda.
Venerdì 09/06
Mi è capitato spesso vedere lungo il percorso piccole colonne votive in muratura con la raffigurazione
della Madonna. Il popolo italiano deve esserle molto devoto. Trovo rifugio in una piccola casa
abbandonata, anzi è meglio definirla una catapecchia. Sembra impossibile che qui dentro potesse vivere
una famiglia. Dovevano essere persone molto umili. La casa non ha una uscita posteriore, necessaria per
la fuga, decido quindi di sistemarmi sotto ad una tettoia adiacente alla casa. Qui riposo per alcune ore
dopo essermi coperto con della paglia. Al mio risveglio, cautamente mi porto sulla sponda di un piccolo
corso d’acqua per darmi una sciacquata. Mentre mi bagno il mio sguardo viene ipnotizzato da una
libellula che vola sul pelo dell’acqua. Ha un bellissimo colore verde smeraldo molto brillante.
All’improvviso sento passare sulla mia testa, molto basso, un veloce aereo da caccia, poi subito un altro
ed altri ancora. Sono aerei alleati in cerca di obiettivi da colpire, probabilmente sono quegli stessi aerei
che ogni tanto ci facevano da scorta nelle missioni di bombardamento. Li guardo passare con gioia, mi
piacerebbe poter comunicare con loro per fare sapere a mia moglie che sono ancora vivo. Li vedo volare,
sin dal primo mattino, quasi ogni giorno. I contadini al lavoro nei campi, quando li sentono arrivare,
corrono a mettersi al riparo nei fossi più vicini. Preso dall’osservare gli aerei mi accorgo solo all’ultimo
momento che una serpe mi sta passando vicino facendomi accapponare la pelle. A volte, ma molto più in
alto, il cielo è solcato da formazioni di bombardieri diretti verso le città del Nord Italia, alcuni magari
andranno ancora a colpire la stazione ferroviaria di Bologna. In lontananza si sente una batteria
dell’antiaerea che spara verso di loro. Su quale obiettivo saranno diretti i miei compagni di reparto oggi?
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Dalla consultazione della lista delle missioni del 98 BG, ho potuto constatare che il nove Giugno i
compagni di Longino sono andati a colpire la città di Oberpffenhoffen, in Germania, quindi sono passati
sul Mare Adriatico. (Percorso effettuato tra il punto 5 e il punto 6 – vedi All. 6-3). Dal diario del
Battaglione Tagliamento: Tempo buono. Cielo scoperto. Temperatura calda.
Sabato 10/06
All’alba riesco a trovare un rifugio in una capanna. È dotata di un soppalco ricolmo di fieno, un
nascondiglio ideale per riposare in sicurezza per alcune ore. In caso di emergenza il vicino boschetto mi
offre un adeguato riparo per la fuga. Decido di trascorrere qui la giornata. Dopo alcune ore, sento dei
rumori, sta arrivando qualcuno, mi preparo ad ogni evenienza. È un contadino ed è solo. È arrivato con un
carretto per prelevare del fieno. Entra nella capanna, mentre io me ne sto immobile. Dopo avere caricato
sul suo carretto quanto gli serviva, se ne va, ignaro della mia presenza. Dopo alcuni giorni di cammino
sono arrivato ormai in prossimità di San Marino dal quale mi terrò a debita distanza. Ora vedo
chiaramente il paese arroccato sul lato Ovest del monte, sul quale sono presenti tre castelli distanziati tra
di loro. Sopra uno sperone di roccia isolato, a una decina di chilometri più ad Ovest, ma ad una quota
inferiore, si vede un altro possente castello (S. Leo, 589 mslm). Dalla sommità del crinale sul quale mi
trovo (sopra Secchiano) nello scrutare il paesaggio, sia verso il mare che verso l’entroterra, noto sui
crinali delle colline la presenza di altri piccoli castelli. In basso davanti a me osservo l’ampio letto di un
fiume (Marecchia) che corre parallelo ad una strada lungo la quale sono presenti diverse abitazioni. Al di
là del fiume la vallata è formata da campi coltivati ed ampie macchie di alberi, con scarsa presenza di
abitazioni. (Percorso effettuato tra il punto 6 e il punto 7 – vedi All. 6-3). Dal diario del Battaglione
Tagliamento: Tempo buono. Cielo leggermente coperto. Temperatura calda.
Domenica 11/06
È ormai giorno ma invece di trovare un rifugio decido di proseguire la marcia ed oltrepassare il fiume.
Non vorrei trovarmi completamente allo scoperto quando la gente del luogo uscirà dalle proprie case per
svolgere le varie attività agricole. Scendo dal versante della collina con molta circospezione e supero la
strada. Dopo alcune centinaia di metri raggiungo il greto del fiume. Vi scorre solo un rigagnolo d’acqua
che supero facilmente, poi inizio a salire il versante opposto, avendo cura di stare alla larga dal piccolo
borghetto che si vede sulla sinistra (denominato “Piega”). Sono stanco e mi fermo ai bordi di una carraia a
riposare appoggiandomi con la schiena ad un albero per osservare il panorama della vallata fumando una
sigaretta. A poca distanza c’è una casa. Ad un tratto sento il suono delle campane provenire dal campanile
di una chiesa isolata (S. Apollinare - vedi All. 5-1). Dopo una decina di minuti noto alcune donne che
stanno camminando nella mia direzione lungo la stradina erbosa, due sono molto giovani, la terza
potrebbe essere la loro madre. È una settimana che vivo come un selvaggio, non so quanto potrò ancora
andare avanti, sono stanco. Osservo quelle donne e non penso che possano nuocermi, quindi non cerco un
nascondiglio. Chiederò il loro aiuto. Quando mi arrivano vicino e mi vedono si fermano e rimangono
attonite a guardarmi. Cerco di fargli capire che sono un Americano. Dico loro “Tedeschi, Tedeschi”.
Capiscono subito che sono uno straniero. Le vedo allontanarsi di corsa verso la casa vicina dalla quale,
poco dopo esce un ragazzo che può avere la mia età (Dino Selva). Mi raggiunge e mi fa cenno di seguirlo
dentro il fienile adiacente alla casa. Cerchiamo di comunicare, ma con difficoltà nonostante mi aiuti con il
dizionario. Cerco di spiegargli che il mio aereo è precipitato nella zona di Forlì e che ho camminato per
circa una settimana. Molto gentilmente mi preparano da mangiare: pane, alcune uova, formaggio e vino.
Finalmente posso mettere sotto i denti qualcosa di gradevole, non come quello che ci davano alla mensa
del campo. Mentre mangio valuto la situazione che si è venuta a creare, penso proprio di potermi fidare di
queste persone. Mi fanno capire di rimanere nascosto nel fienile, dove mi preparano un giaciglio sul quale
finalmente riuscirò a dormire decentemente e senza il timore di essere catturato. Ora c’è qualcuno che mi
dà una mano e veglia su di me. Quando mi ci si stendo sopra lo sento scricchiolare tutto e ad ogni
movimento che faccio è sempre la stessa storia. Sui lati di quella specie di materasso vi sono delle
aperture, infilo una mano per vederne il contenuto e con mia sorpresa vedo che si tratta di foglie di mais.
Nonostante la stanchezza accumulata nei giorni passati, su quel materasso non sono riuscito a chiudere un
occhio, troppo rumoroso per me, anche se negli ultimi giorni non posso certamente dire di avere trovato
di meglio. Non posso pretendere nulla di più da questa gente che sta rischiando la propria vita per
aiutarmi. In serata faccio capire a quel ragazzo (Dino) che vorrei proseguire ma lui scuote la testa. Non è
consigliabile, mi indica la direzione Sud e poi incrocia le braccia come se dovessero essergli legate da
qualcuno. Capisco che procedere oltre è troppo rischioso, ci troviamo a poche decine di chilometri dalla
famosa Linea Gotica che le forze tedesche stanno costruendo tra il Mare Adriatico e il Tirreno. La
sorveglianza deve essere molto forte. Mi fermerò qui per un po’ di tempo poi vedremo il da farsi (vedi
All. 6-3). Dal diario del Battaglione Tagliamento: Tempo buono. Cielo leggermente coperto. Temperatura
calda.
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CAP. VII - IN VOLO SU MAIOLO
La popolazione dell’Italia, da mesi ormai era abituata a veder volare ogni giorno sulle proprie città
centinaia di aerei diretti a colpire il Nord Italia o altri bersagli oltre confine. Il cielo era divenuto una
grande autostrada percorsa da una gran mole di traffico che doveva necessariamente essere regolato per
scongiurare il pericolo di gravi incidenti. Il flusso dei bombardieri era convogliato lungo precisi corridoi
aerei. Uno di questi era tracciato sul Mare Adriatico e ne seguiva la costa. Altrettanto avveniva sul Mare
Tirreno. Per raggiungere le città della parte centrale dell’Italia Settentrionale, le formazioni ad un certo
punto lasciavano la Costa Adriatica per puntare verso l’interno. Questa rotta spesso le portava a sorvolare
la zona del Monte di Carpegna a Ovest della Repubblica di San Marino.
Elio Selva nel suo racconto mi ha riferito che spesso gli aerei passavano sopra la loro casa. I loro motori
facevano un rumore caratteristico per lo sforzo necessario per trasportare il pesante carico, riuscivi a
sentirlo ancora molto prima di riuscire a vedere gli aerei, quando ancora erano molto lontani. Diverse
persone con le quali ho parlato, su questo specifico argomento, mi hanno detto di ricordare ancora molto
chiaramente quel rumore, era come se lo sentissero ancora oggi nelle orecchie mentre ne parlavano con
me. Era un suono che non avrebbero mai più dimenticato.
Pensando alla missione del cinque Giugno, mi sono chiesto se l’aereo precipitato a Forlì, sul quale volava
come copilota James Longino, mentre si dirigeva verso il suo obiettivo, poteva avere sorvolato la casa dei
Selva, quella stessa casa nella quale poi lui avrebbe trovato rifugio durante tutta l’estate.
Questa cosa ha stuzzicato la mia curiosità. Quale rotta aveva seguito il suo aereo per raggiungere
Bologna, è un dato sul quale attualmente non ho riscontri documentali.
Per cercare di dare una risposta a questo quesito, torniamo a leggere cosa ha scritto Mazzanti nel suo
libro, che cita testualmente: “L’Initial Point è fissato a Castel del Rio”. In molti penso si chiederanno che
cos’è “l’Initial Point”. È un punto ben preciso del terreno dal quale inizia, tenendo una determinata prua
dell’aereo, l’ultimo tratto di volo per effettuare il bombardamento, in modo da arrivare sull’obiettivo con
la giusta direzione per colpire efficacemente i bersagli a terra previsti nella missione.
Controllando l’ubicazione di questo punto, ci si potrebbe fare una idea se la rotta d’attacco fosse avvenuta
da una certa direzione o da un’altra. Nel caso specifico, se quel punto si fosse trovato a Nord di Bologna
era molto probabile che la rotta seguita per raggiungere l’obiettivo fosse stata quella tracciata
sull’Adriatico, virando verso terra in corrispondenza del delta del Fiume Po. In questo caso gli aerei
possono avere sorvolato la casa Selva durante la fase di rientro della missione, ma Longino non faceva
più parte della formazione in quel momento. Se viceversa il punto si fosse trovato a Sud di Bologna era
molto probabile che gli aerei fossero giunti sull’obiettivo sorvolando la zona degli Appennini, quindi
potrebbero essere passati vicino a Maiolo.
Dalla consultazione della mappa della zona oggetto di ricerca, ho potuto verificare che Castel del Rio,
piccolo comune dell’Appennino bolognese, è ubicato lungo la Strada Provinciale 610 che collega Imola a
Firenze (vedi All. 3-3) ritengo quindi che con molta probabilità, l’aereo di Longino dovrebbe essere
passato proprio sopra la casa dei Selva a Maiolo per raggiungere Bologna sorvolando il piccolo comune
appenninico, era volato su quella umile casa di campagna che una settimana dopo lo avrebbe accolto
come ospite, per tutta l’estate.
Leggendo il libro “22.000 bombe su Reggio Emilia” di Amos Conti e Michele Becchi a pagina 90 ho
potuto consultare una carta geografica dove è riportata la rotta seguita da una formazione di bombardieri
del 2° e 97° Bomb Group che il 30/04/44 erano andati a bombardare la città di Reggio Emilia (vedi All.
7-1). Gli aerei erano decollati dalla base di Amendola (Foggia) e, volando sul Mare Adriatico, giunti in
corrispondenza del traverso di Cesenatico avevano virato a sinistra per raggiungere il loro obiettivo. Dopo
averlo bombardato si erano diretti verso la base, tenendo una prua di 140 gradi circa sino ad intersecare la
Costa Adriatica in corrispondenza di Civitanova Marche. Su questa mappa, osservando con attenzione il
tracciato seguito dalla formazione dopo lo sgancio, si può vedere che il percorso lambisce il confine
Ovest della Repubblica di San Marino. Questo importante dettaglio dà la conferma che alcune tra le rotte
utilizzate spesso dagli aviatori alleati per raggiungere i propri obiettivi, o in fase di rientro, sorvolavano la
zona di Maiolo.
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CAP. VIII - GLI AVIATORI CATTURATI
Su cosa sia successo agli altri componenti dell’equipaggio del velivolo su cui volava Longino dopo
l’atterraggio vicino a Forlì, lo possiamo leggere a pagina 82 del libro “Aerei Perduti - Romagna 19421945” di ENZO Lanconelli e dei fratelli Raccagni.
Il Capo della provincia di Forlì comunicava che “il giorno 5 Giugno alle ore 13:10 una formazione di
bombardieri aveva bombardato la città. Un quadrimotore nemico risultava caduto in frazione Torniolo
(Forniolo) e sette uomini dell’equipaggio erano stati catturati”. Nel notiziario della GNR del 18 Giugno si
legge:
“Il sei corrente, alle ore 13:00 subito dopo l’incursione su Forlì, un quadrimotore inglese precipitava in
località Carpinello, mentre i nove uomini di equipaggio si lanciavano con il paracadute. Due squadre della
GNR procedevano alla cattura di tre paracadutisti, di cui uno dichiarava di essere un prete americano.
Altri due, rifugiatisi in un primo tempo in una casa, venivano consegnati dagli abitanti stessi al
comandante del distaccamento di Carpinello. I paracadutisti catturati sono stati avviati al comando
germanico di Forlì. Due altri componenti l’equipaggio del predetto quadrimotore venivano catturati dalle
truppe germaniche. È stato pure arrestato certo Ferruccio Babini, renitente di leva, sospettato di avere
favorito l’occultamento di due aviatori non catturati. Durante l’azione venivano accidentalmente feriti, in
modo non grave, due bambini e un uomo”.
In questo documento sono riportate in modo errato sia la data dell’evento che la nazionalità del velivolo,
che in effetti era americano. Lanconelli ha avuto modo di parlare con un testimone oculare che allora
aveva assistito alla caduta del velivolo nei pressi della chiesa di Forniolo. L’aereo che procedeva in volo
rettilineo ha toccato terra rimanendo quasi completamente integro.
Anche Antonio Mambelli riporta notizie sull’avvenimento nel suo “Diario degli avvenimenti in Forlì e
Romagna dal 1939 al 1945”:
“… poco dopo la discesa dei paracadutisti sono giunti in zona due individui armati che si
ritengono partigiani, uno degli aviatori li ha seguiti”.
Che possa trattarsi di Longino? Molto probabilmente sì.
I documenti che compongono il MACR sono stati integrati nell’Ottobre del 1944 con la dichiarazione di
Longino dopo il suo rientro tra le proprie linee, e nel 1945 con le dichiarazioni dei suoi commilitoni dopo
il loro rientro in patria.
Leggendo la sintetica relazione di Longino, possiamo farci una idea su cosa era accaduto il giorno
dell’abbattimento. È un documento importante per la presente ricerca, questo è quanto ha dichiarato:
“Tutti i membri dell’equipaggio si sono lanciati fuori durante la missione del 05/06/44, e che io
sappia nessuno rimase ferito. L’aereo è precipitato a Nord di Cesena, Italia. Un colpo diretto al
motore numero quattro ha reso difficile governare l’aereo. L’antiaerea ci ha prodotto altri
numerosi fori in tutto l’aereo. Io mi sono lanciato da 4.500 piedi (1.500 metri circa). L’aereo è
esploso nell’impatto. Non ho visto gli altri uomini dopo l’atterraggio. Alcuni Italiani mi dissero
che tre uomini dell’equipaggio erano stati catturati subito. Secondo i dati dello Squadrone sono
stati tutti marcati POW (prigionieri di guerra) dopo la cattura del nemico. Quella notte ogni
macchina fu fermata per la nostra ricerca”.
La dichiarazione è datata 20/10/44, ritengo sia stata compilata qualche giorno dopo la sua liberazione.
Nel libro “Linea Gotica 1944: eserciti, popolazioni, partigiani” di Paolo Sorcinelli è riportato che il
20/10/44 Cesena viene presa dai Canadesi.
Da quelle poche righe abbiamo la conferma che nelle vicinanze del luogo dove Longino ha preso terra,
qualcuno gli ha prestato aiuto. Da loro viene a sapere che tre suoi compagni sono stati catturati poco dopo
l’atterraggio. Molto probabilmente è da queste persone che ottiene abiti civili e un primo nascondiglio. Mi
chiedo se sono riusciti a farlo allontanare dalla zona oppure lo ha fatto lui in modo autonomo.
Mi chiedo se tra le persone che hanno aiutato Longino c’era anche Ferruccio Babini, citato nel resoconto
GNR di Forlì. Ho provato a rintracciare questa persona, ben conscio che poteva non essere più tra noi,
visti i tanti anni trascorsi da allora. Consultando l’elenco telefonico di Forlì ho potuto subito constatare
che il suo nome non compare, così ho provato a fare qualche telefonata a caso tra le persone con quel
cognome che abitano nella zona di mio interesse. Ho telefonato a Babini Claudio, Giorgio, Andrea,
Franco, purtroppo nessuno di loro aveva tra i propri parenti una persona con quel nome. Non si può
sempre avere fortuna. Presso l’Istituto Storico della Resistenza di Rimini mi sono fatto dare il numero di
telefono della sezione di Forlì, il cui presidente si chiama Wladimiro Flamigni, chissà che lui non mi
possa aiutare. L’ho contattato in data 24/10/12. Non era a conoscenza dell’evento però avrebbe svolto
38
delle ricerche.
Le brevi dichiarazioni rese dagli altri componenti dell’equipaggio, consultabili sul MACR, sono più o
meno tutte simili e ripetono le stesse cose, con lievi discordanze sul luogo del lancio (a Cesena … a
Forlì).
Notizie di T/Sgt Lt. BRUNO Walter L.
“Si sono susseguiti nel lancio Klosinsky, Macartur, Sullivan e Ford dal portellone posteriore,
Karsh, Herb e Koval dal portellone anteriore, Bruno, Longino, Bailey e Saborsky dal vano bombe.
Ci siamo lanciati tutti in 5 minuti”.
Notizie di 1st Lt. HERB JACK Franklin
“Tutti sono stati catturati immediatamente tranne Koval, Sullivan e Bailey rimasti in libertà per
due giorni, ma furono presi e messi nello stesso campo. Il copilota è sfuggito alla cattura. È
rientrato a casa quattro mesi dopo. Ho ricevuto una lettera da lui”.
Le notizie più importanti le fornisce il pilota, 1st Lt. Saborsky Henry Joseph, colui che doveva conoscere
la situazione in ogni dettaglio.
“Orario sull’obiettivo 11:30, altitudine 24.000 piedi, abbiamo lasciato la formazione a Sud di
Bologna. Tutti i membri dell’equipaggio si sono messi in salvo lanciandosi fuori. Nessuno è
risultato ferito dall’azione nemica. Tutti sono stati catturati ad eccezione del copilota che è evaso
ed è tornato nelle nostre linee nell’Ottobre 44. L’aereo è precipitato a Nord di Forlì”.
Dove sono stati portati i dieci aviatori dopo la cattura, me lo ha riferito Maurizio De Angelis che mi ha
inviato il risultato di una sua ricerca, di cui mostro solo quanto raccolto su Saborsky.
http://aad.archives.gov/aad/display-partialrecords.jsp?f=645&mtch=1&q=saborsky&cat=all&dt=466&tf=F
SERIAL
NUMBER
O&743286
NAME
SABORSKY
HENRY J.
SERVICE
CODE
ARMY
STATE
OF
RESIDENCE
AREA
STATUS
Pennsylvania
North
African
Theatre:
Italy
Returned to
Military
Control,
Liberated
or
Repatriated
DETAINING
POWER
GERMANY
CAMP
Stalag Luft 3
Sagan-Silesia
Bavaria (Moved to
NurembergLangwasser) 4911
In un primo momento, molto probabilmente sono stati portati nel carcere di Forlì per un primo
interrogatorio e successivamente trasferiti a Verona, sede del Commando dell’Aeronautica della RSI,
come risulta nella pagina 13 del MACR datata 17/06/44 - Dalag Luft - Air Fleet Command 2 Verona.
Qui i prigionieri vengono consegnati alle truppe Tedesche che li hanno internati in Polonia nel campo di
concentramento denominato Stalag Luft III - Sagan, come abbiamo potuto leggere sopra.
La città di Sagan è ubicata a 168 chilometri a sud est di Berlino (vedi All. 8-1). Lo Stalag Luft III è un
campo famoso tra gli appassionati di storia dell’aviazione del II Conflitto Mondiale per due episodi che
vi sono accaduti. Il primo è avvenuto il 25/03/44, quindi prima dell’arrivo dei “nostri aviatori”. Si tratta di
una fuga di massa di ben 76 prigionieri, 73 dei quali sono stati catturati dopo pochi giorni. Hitler,
informato sulla cosa, ha dato ordine che ogni ufficiale ripreso doveva essere fucilato. Göring, capo della
Luftwaffe, ha sottolineato a Hitler che un simile massacro potrebbe portare a rappresaglie per i piloti
tedeschi in mani alleate. Hitler si è detto d'accordo, ma ha insistito che "più della metà" dovevano essere
fucilati. Himmler stesso ha fissato il numero totale delle esecuzioni a 50. Tra di essi ci furono: 31 Inglesi,
5 Canadesi, 4 Australiani, 3 Sudafricani, 3 Neozelandesi, 2 Norvegesi, 1 Francese, 1 Greco.
Il compito di rintracciare gli assassini dei 50 ufficiali è stato dato a un distaccamento speciale del
Investigation Branch della Royal Air Force. Da questo episodio è stato tratto anche un famoso film
interpretato da Steve McQueen intitolato “La grande fuga” (vedi All. 8-2).
Il secondo episodio è avvenuto in questo campo nel Gennaio 1945. Le autorità tedesche all'inizio del
1944 hanno deciso che i prigionieri di guerra dei campi presenti nelle regioni occupate fuori dai confini
nazionali sarebbero stati più sicuri all'interno della Germania. Viene quindi messo in atto una grande
operazione per il loro trasferimento. In un primo momento l'evacuazione è stata ordinata, ma in seguito
all’avanzata dell’Esercito Sovietico e ai bombardamenti che avevano scardinato il sistema di trasporto
tedesco, i prigionieri sono stati trasferiti a piedi con lunghe marce rimaste famose tra i prigionieri con il
nome di “West march” che provocarono decine e decine di congelamenti. L’ordine di trasferimento allo
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Stalag Luft III è giunto nel Gennaio 1945. La marcia è iniziata con un clima molto freddo e in presenza di
neve. Le temperature in quel periodo variavano tra i venti e i trenta gradi sotto zero. Un prigioniero
annotò nel suo diario che quando hanno iniziato la marcia, la temperatura era 30 gradi sotto e
gradualmente è scesa fino a -40 gradi. L'ha descritta come quasi insopportabile. In un'altra occasione ha
osservato, “oggi bello e caldo”, è stato dieci gradi sotto! Temperature sopra lo zero si sono registrate solo
a partire dal mese di Aprile. Il tempo peggiore si è avuto fino ai primi di Marzo e molte delle marce si
sono svolte nelle tempeste di neve, con cumuli di neve profonda e venti molto freddi. Fortunatamente tutti
e dieci i compagni di Longino sono riusciti a fare ritorno a casa al termine del conflitto. Mi chiedo se tra
loro dieci vi possa essere ancora qualcuno in vita per raccogliere la sua testimonianza. Di anni da allora
ne sono trascorsi tanti, è vero, ma statisticamente sarebbe ancora possibile. Ipotizzando che nel 1944
quegli aviatori potessero avere circa venti anni, oggi ne avrebbero circa novanta. Chissà se qualcuno di
loro ha scritto un diario di quel periodo.
Su uno di loro purtroppo non si può più contare. Il solito ed efficientissimo Lorenzo dopo alcune
settimane mi ha inviato un’altra “chicca”. Navigando in rete, ha trovato un annuncio funebre che ha a che
fare con questa storia. Purtroppo si tratta di Saborsky, il comandante di Longino con il quale aveva volato
sin dal loro arrivo sul Teatro Europeo. Un’altra fonte di informazioni è venuta a mancare.
http://sharonherald.com/fullobits/x1208346559/Henry-J-Saborsky
Henry J. Saborsky nato in Pennsylvania (vedi All. 8-3) l’8/07/1915. È venuto a mancare alle 2:50 di
giovedì sera 15/11/2007 nell'ospedale di Sharon Regional Health System, dove era stato ricoverato il
giorno precedente. Aveva 92 anni. Frequentò l'Università Statale di Youngstown e l'Università di Thiel,
Greenville. Mentre era alla Thiel, sviluppò l’interesse per il volo e cominciò a prendere lezioni
all’aeroporto di Greenville dove ottenne la licenza privata all’età di 27 anni.
Era un veterano di guerra decorato, avendo servito con il Corpo Aereo Americano nel Teatro Europeo
durante la II Guerra mondiale. Iniziò la sua carriera militare nel 1942 come cadetto di aviazione e si
addestrò in California ed Arizona prima di essere spedito in Inghilterra col 446° Gruppo come pilota di
B24. Lui volò 12 missioni sull'Europa prima di divenire un leader di volo in Italia.
Durante la sua 48a missione, il 5 Giugno 1944, il suo aereo fu abbattuto, venne catturato e portato in un
campo di concentramento in Germania sino al 29 marzo 1945, quando fu liberato. Tornato a casa dal
fronte si era sposato il 28/11/1946 con Louise Williams.
Dopo tanti anni da quel lontano 1944, Saborsky e Longino, che avevano volato insieme in diverse
missioni di guerra, si sono ritrovati ancora una volta lassù, fianco a fianco.
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CAP. IX - CRONOLOGIA DEL MONTEFELTRO
Nel Montefeltro, all’inizio dell’estate 1944 vengono inviati i militi del Battaglione Tagliamento con il
compito di “assicurare protezione agli operai italiani e a quelli tedeschi, tra i quali un Reggimento di
Pionieri Germanici” addetti all'esecuzione dei lavori di fortificazione. Sin dal Febbraio ‘44 dalle Marche
avevano sollecitato l’invio di forze per contrastare le azioni partigiane che divenivano sempre più
frequenti, ma la richiesta rimase inascoltata sino a quando a farla non fu il comando tedesco.
Il battaglione il sei Giugno lascia Vercelli per dirigersi a Bologna, dove le tre compagnie si stabiliscono
per qualche giorno prima della partenza per la nuova destinazione. Nel capoluogo emiliano l'ordine di
trasferimento giunge la sera di domenica undici Giugno, lo stesso giorno del probabile arrivo a Maiolo di
Longino. La I Legione d’Assalto Tagliamento era strutturata su due battaglioni, “Tagliamento” e
“Camilluccia”. Ogni battaglione era organizzato su tre compagnie composte da un centinaio di uomini
ciascuna. (1a Cp. comandata dal Capitano Carlo De Mattei – 2a Cp. Capitano Antonio Fabbri – 3a Cp.
Capitano Guido Alimonda).
Per chi fosse interessato alla lettura del diario di quel reparto, segnalo il sito dove è possibile la sua
consultazione:
http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/franzosi207.html
Il diario è composto da quarantatré pagine, a firma del comandante Giuseppe Ragonese, relative al
periodo durante il quale il battaglione ha operato in territorio marchigiano, in particolare nella provincia
di Pesaro - Urbino. Ha inizio un periodo di terrore in seguito al duro comportamento di questi soldati,
manifestatosi a volte anche con soprusi nei confronti della popolazione locale. Durante la loro
permanenza, perpetratasi sino all’otto Agosto 1944, furono effettuate numerose azioni di rastrellamento
per il controllo del territorio, per la ricerca dei giovani che non si erano presentati alla chiamata sotto le
armi dell’esercito della Repubblica Sociale e contro i partigiani presenti in zona. Il risultato di queste
azioni portò numerose persone al lavoro coatto sulla Linea Gotica, altre invece furono deportate in
Germania, mentre i civili fucilati nell’entroterra pesarese in quel periodo furono quarantacinque.
Una Compagnia di questi militari, a partire da una certa data si stabilirà anche a Pennabilli (vedi All. 9-1),
distante meno di dieci chilometri da Maiolo. Nel libro scritto da Michele Simoni (San Leo), intitolato
“Non voglio uccidere”, alla pagina 79 ricorda il giovane Balducci Antonio classe 1923 di Pennabilli,
fucilato il 14/07 per non avere accettato di fare parte della Milizia Repubblicana. Il racconto di Simoni
prosegue poi con quanto avvenuto a Virginia Longhi (Gina) classe 1918 anche lei di Pennabilli fucilata il
04/08 in quanto ritenuta collaboratrice dei partigiani tra le cui fila militava il suo fidanzato. Diversi testi
menzionano i due avvenimenti.
Durante le mie ricerche sul periodo bellico ho avuto modo di parlare con diverse persone. Tra di esse ne
ho trovate due che hanno vissuto in prima persona quei fatti, Giorgi Franco che era nativo di Pennabilli e
Giolitto Orazio la cui famiglia si era trasferita in quel paese per motivi di lavoro. Vediamo cosa mi hanno
raccontato.
Orazio Giolitto “1929”: La mia famiglia durante la guerra era costituita dal babbo Marzio
“1898”, sposato con Gasperoni Anna “1901”, figli Rosanna “1925”, Idelma “1927”, Orazio
“1929”, Ofelia “1931”, Galiano “1935”, Mirella e Tacito (gemelli) “1943”. Abitavamo a Rimini
ma a causa della mancanza di lavoro mio babbo si era trasferito nel Lazio, dove Mussolini stava
facendo bonificare un’ampia zona paludosa. Qui lavorava come idraulico. Trovata sistemazione in
una casa cantoniera, ad Acciarella (LT), tutta la famiglia lo ha raggiunto. La casa, adiacente ad
un poligono di tiro dell’artiglieria, era divisa con la famiglia di Paride Morelli. Quando i militari
dovevano fare le esercitazioni, ricordo che ci facevano allontanare. Mio babbo ha lavorato in tutte
le città della zona costruite dal regime: Pomezia, Latina, Sabaudia, etc. Siamo rimasti nel Lazio
sino a Settembre - Ottobre 1943. Le sorelle di mio babbo, che abitavano già da tempo a Milano,
presso le quali erano state mandate le mie sorelle, lo avevano consigliato di allontanarsi da quei
posti, dove sarebbe potuto avvenire uno sbarco alleato. In seguito a quel consiglio, per sfuggire
alla guerra, la famiglia si è nuovamente riunita a Rimini, giusto in tempo per subire il primo
bombardamento della città il 01/11/43. Dopo la tragica esperienza del bombardamento del
28/12/43, la mia famiglia è sfollata, cosa che hanno fatto in tanti di Rimini. Quel giorno ci
trovavamo nella casa di mia zia in Piazza Malatesta, vicino al teatro. Io e mia sorella Idelma
abbiamo evitato per poco di rimanere sepolti sotto le macerie della casa grazie all’intuito che ha
avuto mio babbo nel chiamarci vicino a lui nel cortile posteriore dell’edificio. Non riuscendo a
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trovare da lavorare mio babbo si è rivolto a Tacchi, il federale di Rimini, che lo ha consigliato di
trasferiti a Lugo. Radunata la famiglia e le nostre poche cose, con un autocarro ci siamo trasferiti
là. Anche lì purtroppo non c’era nulla da fare per mio babbo e ci hanno spostato a Ravenna, in
quelle zone ancora non avevano provato i bombardamenti. Siamo stati trattati molto bene ma dopo
essere rimasti fuori per circa quindici giorni, sballottati in qua e in là, il babbo si è stancato e
siamo tornati a Rimini. Cercava una occupazione, in famiglia eravamo in tanti e bisognava
mangiare tutti i giorni. La prima notte non sapendo dove poterci sistemare Tacchi ci ha trovato da
dormire nel palazzo del comune. Il giorno dopo ha consigliato a mio babbo di sfollare a Pennabilli
così ci siamo trasferiti in quel paese, altri riminesi erano stati portati a Maciano. A Pennabilli
c’era Flaminio Mainardi, uno del partito, che ci ha trattato molto bene. Era una brava persona,
suo zio invece era di un’altra “pasta”. Ci avevano sistemato nella scuola adiacente alla chiesa.
Eravamo una quindicina di persone tra cui anche Anselmo Bezzi, il fratello del noto boxer della
palestra Romeo Neri a Rimini, che poi è divenuto mio cognato. Ricordo che c’era la neve. A me
avevano rimediato degli scarponi per andare alla mensa a prendere la refezione. All’epoca la mia
famiglia aveva cognome Fragoli perché mio nonno e mia nonna non erano sposati e quindi non
aveva potuto riconoscere i figli che risultavano all’anagrafe "figlio di NN". È stato grazie a
Mainardi se hanno potuto sistemare le cose. Il giorno 11/06 in municipio si sono sposati e
finalmente hanno potuto riconoscere la numerosa prole. All’inizio dell’estate, in previsione
dell’arrivo di un reparto della GNR la famosa Camilluccia, Mainardi ha chiesto a mia babbo se
voleva fare il cuoco per quel reparto. Come poteva rifiutare? Quell’incarico inoltre ci avrebbe
inoltre garantito un sicuro pasto tutti i giorni. I giovani ragazzi del Battaglione Camilluccia
credevano fermamente nella loro idea. Erano accampati nel cimitero, potevano essere 70-80
soldati ed erano molto temuti dalla gente. Il loro comandante, un tenente di cui non ricordo il
nome, età 23 anni circa, mi sembra che fosse un lottatore di lotta greco – romana. Ricordo che
faceva allenamento con i pesi, aveva il fisico da atleta. Non sono mai stati attaccati dai partigiani
ma avevano paura, stavano sempre all’erta. Dal cimitero potevano controllare tutta la zona
circostante per evitare di farsi sorprendere. Mio babbo che cucinava per la compagnia, utilizzando
una cucina da campo tenuta al cimitero. Da quel momento non abbiamo più avuto problemi
alimentari, a quei soldati non mancavano certo le scorte alimentari. Portava a casa dei lombi così
che poi dividevamo con tutti gli altri. Durante quel periodo ricordo che era deceduto un anziano
signore del paese e non potendo rimediare una cassa per poterlo inumare, io ed un’altra persona
siamo scesi nelle catacombe (nell’interrato) della chiesa. Vi si accedeva da una botola presente
nell’ultima stanza dell’interrato della scuola. Là sotto c’erano le bare di persone decedute da
chissà quanto tempo, ne abbiamo liberata una e portata fuori per poterla utilizzare per il defunto.
Dopo l’arrivo dei militi ricordo che è successo un fatto molto grave. Una giovane ragazza del
paese, mi sembra che si chiamasse Gina, è stata fucilata. Era la figlia del precedente podestà del
paese ed era fidanzata con un Capitano dell’esercito che dopo l’armistizio si era dato alla
“macchia”, tra le fila dei partigiani. I militi, venuti a conoscenza della cosa, l’hanno arrestata.
Dopo tre giorni, visto che lei non voleva rivelare in che zona si trovasse, è stata condotta nel
cimitero e fucilata per ordine del comandante di Battaglione, il Cap. Martinola. A mio babbo, quel
fatto lo aveva sconvolto, aveva deciso di avvelenare tutti i militi, utilizzando una confezione di
veleno che era presente nella scatola delle medicine. Per fortuna ha desistito dal suo intento
altrimenti chissà cosa sarebbe potuto accadere alla nostra famiglia. Durante la ritirata alcuni
militari tedeschi si sono stabiliti a Pennabilli. Un giorno durante un rastrellamento lo hanno preso
i tedeschi per deportarlo in Germania, è stato grazie all’aiuto del nipote del gerarca fascista del
posto se ciò non è avvenuto (lo zio era più cattivo del nipote). Oltre ai militi italiani a Pennabilli
erano di stanza anche una decina di soldati tedeschi. Un giorno c’è stato un rastrellamento in
paese e i militari tedeschi hanno preso anche mio babbo. Quando me ne sono accorto sono corso
subito da Mainardi. Quando mi ha visto arrivare mi ha chiesto cosa era successo. Gli ho spiegato
cosa stava avvenendo e lui è corso subito fuori. È stato grazie a lui se è stato rilasciato spiegando
che mio babbo era l’addetto alla cucina ed era necessario. Con l’avvicinarsi del fronte la maggior
parte di loro si era ritirata, in paese erano rimasti solo un caporale di nome Franz e un soldato
molto giovane di origine austriaca, un ragazzo buono come il pane. Un giorno, mentre stavo
camminando verso Ponte Messa, dopo avere percorso alcune centinaia di metri sono stato
avvicinato da un gruppo di partigiani. Uno di loro doveva essere un inglese, forse un aviatore
alleato di uno dei due aerei che avevo visto precipitare in zona tempo addietro. Mi hanno chiesto
se c’erano dei tedeschi in paese. Gli ho riferito che ce n’erano rimasti solo due. Sapendo dove i
tedeschi tenevano le armi, ho detto ai partigiani di seguirmi. Sono salito nel loro alloggio ed ho
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preso armi e giberne, e dopo averle consegnate ai partigiani siamo andati a cercarli. I due si
trovavano in chiesa. Ho chiamato fuori Franz e quando i due sono usciti sono stati catturati. Ho
chiesto loro che trattassero bene il giovane soldato perché se lo meritava a differenza del caporale,
un tipo poco simpatico.
La seconda persona mi ha raccontato:
Franco Giorgi “1930”: Sono nato a Poggio Gattone di Pennabilli (vedi All. 9-1). La mia famiglia
durante la guerra era costituita dal babbo Giorgi Giuseppe “1886” vedovo di Marinelli Maria
Concetta “1899-1934”, figli Renato “1927”, Giorgio “1929”, Franco “1930”. Dopo la morte di
mia madre mio babbo si è risposato con Bernardini Assunta “1898”, una signora di Rimini (via
Cufra) che gli aveva fatto conoscere un parente. Il babbo possedeva una casetta e un piccolo lotto
di terra. Non aveva un lavoro stabile, durante l’inverno si trasferiva a Roma dove faceva il
caldaista nelle centrali termiche dei condomini. Con la buona stagione e l’inizio dei lavori agricoli
tornava a casa e lavorava dove capitava. Andava a vangare per chi aveva bisogno, una volta ha
portato anche me ma non mi piaceva, così dopo la guerra ho fatto domanda nei carabinieri e sono
partito nel 1948. Durante la trebbiatura faceva parte della squadra addetta alla macchina da
battere di Lombardi. Durante l’estate del ‘44 a Pennabilli sono arrivati i Repubblichini, potevano
essere un centinaio di militari circa. Si erano accampati con le tende nel cimitero. Io cercavo di
stare lontano da loro: mi facevano paura. Tra i militari ve n’era uno molto giovane, poteva avere
la mia età ma più basso di statura. Era la loro mascotte e girava sempre armato di fucile, non
ricordo come si chiamava. Una volta ci siamo incontrati per strada, io avevo in testa una bustina
militare che mi aveva regalato un militare polacco presente in zona. Lui governava alcuni grossi
cavalli da tiro che utilizzavano i tedeschi per trainare un carro a quattro ruote. Trasportavano il
materiale per una cucina da campo posizionata a Poggio Gattone. Al polacco lo aiutavo a portare
ad abbeverare i cavalli. Erano così grandi che quando lui mi ci metteva in groppa, facevo fatica a
tenere le gambe aperte, avevano una schiena molto larga. Mi ero accorto che frequentava una
donna del posto e così per “tenermi buono” a volte mi regalava qualche sigaretta. Ero un birbante
da ragazzo. Il giovane milite mi ha fermato chiedendomi dove avevo preso la bustina militare che
portavo in testa. Spiegatagli la provenienza mi ha detto, con fare minaccioso, che non ero degno di
portarla. Se la volevo tenere, dovevo fare come lui e arruolarmi. Quel ragazzo mi ha messo
veramente paura e me la sono tolta subito. I Repubblichini a Pennabilli hanno ucciso due persone,
un ragazzo di nome Balducci fucilato su alla rupe e una ragazza, di nome Longhi di Villa
Chiappini, che aveva il fidanzato tra i partigiani. Un giorno a Pennabilli i Repubblichini hanno
fatto un rastrellamento nel quale hanno catturato una ventina di persone tra le quali anche mio
babbo. Quanto ho pianto quella volta. È stato fatto nel pomeriggio, gli uomini sono stati caricati
sui camion e portati verso Rimini. Dopo alcuni giorni vediamo tornare a piedi il calzolaio del
paese che era anche zoppo. L’ho raggiunto per avere notizie su mio babbo. Mi ha detto di non
preoccuparmi: erano tutti salvi, sicuramente sarebbe arrivato entro breve tempo. Li avevano fatti
scendere presso la chiesa di Secchiano dove hanno trascorso la notte. Doveva essere arrivato un
contrordine altrimenti li avrebbero portati via tutti, forse in Germania. La mattina seguente
quando si sono svegliati hanno visto che non c’era nessuno di guardia e sono scappati.
Nel libro di Paride Dobloni “Con gli occhi smarriti” a pag. 30 viene descritto il rastrellamento avvenuto a
Pennabilli l’11/09. Le sessantotto persone sono state portate a Secchiano, scortate da sei, sette tedeschi
… probabilmente i commilitoni dei due soldati rimasti a Pennabilli e fatti catturare da Giolitto.
Anche Don Eligio Gosti nel suo servizio sulla rivista “Montefeltro” n°7/2009, ha menzionato nelle sue
pagine un giovane ragazzo che faceva parte del gruppo di militi che una mattina di Luglio ‘44 avevano
effettuato un rastrellamento nel territorio di S. Leo. Anche lui viene prelevato da casa sua, a Maiolo, e
condotto verso la città regale. Eligio allora era un seminarista, e grazie a ciò riuscirà a farsi rilasciare. Il
gruppo si era incamminato lungo la strada:
“…ci siamo avviati lungo la provinciale sino al Ponte Grande, dopo il quale una carrareccia
faceva da scorciatoia per S. Leo e si sbucava al bivio di S. Apollinare. Di lì, sempre per una
povera strada verso la città regale. C’era un bel sole … All’improvviso un crepitare di colpi
sfacciati di moschetto sibilarono per l’aria proprio sulle nostre teste. … Dopo lunghi attimi di
silenzio ci siamo rimessi in piedi per riprendere il cammino. Sbucati in un piccolo avvallamento
formato dal Rio Maggio, abbiamo visto una scena da film. Contro un albero era appoggiato un
povero disgraziato … Ho subito notato un giovane soldato che poteva avere non più di 12 anni che
frignava …” (vedi All. 9-2).
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Doveva trattarsi dello stesso ragazzo di cui mi ha parlato Franco Giorgi, non vi erano altri giovani della
stessa età in quel reparto. Sono voluto tornare a parlare con Orazio Giolitto per vedere se anche lui
ricordava quel giovane, mi ha detto.
“Lo ricordo quel ragazzo, poteva avere quindici anni, ma non ti saprei dire il suo nome, come
quello degli altri ragazzi che componevano la compagnia e che erano poco più grandi di lui,
avevano sedici, diciotto anni. Io spesso giravo con loro, andavano in giro per la campagna e a
volte si fermavano alle case a prendere pollame. Mio babbo quando l’ha saputo mi ha
rimproverato. In uno scatto d’ira ricordo che mi ha detto che “mi avrebbe ammazzato se avessi
continuato a frequentare quei ragazzi”.
ELENCO CRONOLOGICO
1943
Le prime vittime della provincia di Pesaro (vedi All. 9-3) si hanno già dagli ultimi mesi dell’anno 1943.
21/09 un gruppo di uomini comandati da Erivo Ferri di Cà Mazzasette, attacca il deposito di armi
dell’aeronautica a Urbino (galleria del Pallino, imbocco lato Schieti) e si impadronisce di armi e
munizioni. Altro audace colpo di mano si ha sempre ad Urbino con l’asportazione di tutte le armi e
munizioni depositate nella caserma dei carabinieri della città.
17/10 a Urbino si costituisce la sezione del Partito Fascista Repubblicano.
A fine mese di Dicembre, giungono (da Cremona) gli uomini del 1° Battaglione Genio Costruttori GNR
le cui quattro Compagnie vengono dislocate tra S. Sepolcro e Sestino, la 3a Cp. a Pian di Meleto e la 4a tra
Sassocorvaro e Macerata Feltria.
01/11 un reparto della polizia tedesca partito da Rimini circonda la frazione Cà Mazzasette di Urbino nel
tentativo di arrestare Erivo Ferri, nella sparatoria vengono uccise due donne, Adele Cecchini (61 anni),
Assunta Guarandelli 1915” ed un ragazzo, Pierino Bernardi “1925” mentre 29 abitanti del luogo vengono
arrestati e condotti a Rimini, 15 dei quali verranno rilasciati il 10/01/44.
03/11 rastrellamento ad Antico di Maiolo alla ricerca di prigionieri Slavi.
07/11 a Pesaro viene ucciso Anteo Ruggeri, accusato di essere in possesso di una radio trasmittente.
17/11 a Pesaro quattordici persone (di cui dodici bambini) rimangono accidentalmente uccise, nel corso di
un'esercitazione a fuoco effettuata dai tedeschi, dilaniate dall'esplosione di un proiettile nel piazzale sito
al termine di Via Castelfidardo oggi denominato “degli Innocenti”.
1944
10/01 nel Montefeltro si costituiscono due distaccamenti partigiani il “Picelli” e il “Gramsci”.
21/01 Tra le imprese della GAP Pesaro si può ricordare la distruzione di un deposito mine, eseguita nella
notte, a Montecchio di Pesaro. L'impresa ebbe successo ma i “danni collaterali” furono spaventosi: tra gli
sfortunati abitanti della località, rimasti travolti dalle macerie delle case, rase al suolo dalla tremenda
esplosione, si contarono 30 morti, oltre a cinque militari (un tedesco e quattro italiani) di guardia alla
polveriera. Il prefetto di Pesaro parla di 8.000 mine, di 30 morti e oltre 100 feriti.
01/02 attacco al treno di Albacina (linea Falconara – Roma) che trasportava 720 giovani della bassa
padana destinati al fronte tedesco di Pescara.
24/02 primo rastrellamento tedesco nel Montefeltro a Palcano di Pontedazzo. Viene ucciso Guglielmi
Antonio.
25/03 secondo rastrellamento a Palcano di Pontedazzo ad opera di 800 tedeschi e militi della GNR.
Combattimenti accaniti per tutto il giorno. Tra le fila partigiane si registrano 1 caduto e 32 catturati, tra gli
aggressori vi furono molti morti e feriti tra i quali il federale di Rimini Paolo Tacchi.
25/03 battaglia di Cantiano, perdono la vita Cordelli Tommaso “1915” e Battilocchio Francesco.
01/04 a Massalombarda vengono fucilati Gianetto Dini e Ferdinando Salvalai, catturati a Urbino il 19/03
durante scontro a fuoco nel quale vengono uccisi 6 tedeschi.
02/04 S. Agata Feltria viene assaltata dai partigiani, vengono catturati dieci militi della GNR trovati uccisi
in una fossa comune a Casa Nuova dell’Alpe assieme ai partigiani che li sorvegliavano.
07/04 strage di Fragheto. 30 morti in seguito ad una vasta azione antipartigiana ad ampio raggio che
vedeva utilizzati circa 7.000 militari tedeschi e 3.000 italiani.
08/04 a Ponte Carattoni (Casteldelci), ora denominato Ponte “Otto Martiri”, vengono fucilate otto persone
ad opera dei militi del Battaglione M “Venezia Giulia” di stanza a Cesena (Ten Dasistro), stessi militi
della strage di Fragheto. Le vittime sono: Alemanni Cesare “1921” di Alessandria; Arienti Gino “1924”
di Cesena, Balestra Renzo “1922” di Cesena, Domeniconi Terzo “1923” di Cesena, Francia Golfardo
“1918” di Cesena, Martini Sergio Spartaco “1922” di Cesena, Tacconi Ferdinando “1924” di Arezzo,
Bragagni Alvaro.
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11/04 i partigiani occupano per alcune ore Apecchio.
12/04 i partigiani occupano per alcune ore Acqualagna.
24/04 si costituisce per iniziativa del CLN pesarese la Brigata Garibaldi “Bruno Lugli”.
28/04 ventinove partigiani assaltato il castello dei conti Oliva a Piandimeleto dove era acquartierato un
reparto della GNR di circa 150 militari, tutti disarmati. Viene saccheggiata la loro caserma, recuperato
vario materiale, aperti i silos del grano, sequestrato il capitano D’Ortona, comandante del presidio, poi
fucilato dai partigiani. È scritto nel libro di SEVERI: “Il capitano fascista fu processato dal comando di
Brigata e condannato a morte; credo che sia doveroso riconoscerne la coraggiosa coerenza poiché alla
richiesta di impegnarsi a non continuare a combattere i partigiani, rispose di non potervi aderire, ben
sapendo che l’alternativa era la fucilazione”. L’operazione ebbe grande risonanza e costituì l’inizio dello
sfascio, psicologico e militare, della GNR e della TODT in tutta la zona. I lavori di fortificazione furono
praticamente sospesi e ben 40 militari GNR passarono ai partigiani, altre decine disertarono, provocando
lo scioglimento dei presidi che erano stati allestiti nella zona. A Bertinoro viene ucciso un federale, il
giorno seguente (01/05) vengono fucilati 5 civili …
Dal mese di Maggio si registra un crescendo di azioni partigiane su tutto il territorio e
contemporaneamente tra le fila della GNR e Milizia, allarmanti e contagiose diserzioni.
01/05 Augusto Fiorucci viene fucilato a Cantiano.
09/05 a Mercatino Conca la caserma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza vengono assaltate dai
partigiani per reperire armi, abbigliamento e coperte.
12/05 due militi della GNR di Macerata Feltria vengono convinti a disertare. In mattina la pattuglia
inviata a rintracciarli ha uno scontro a fuoco con i partigiani. Un brigadiere della GNR rimane ucciso.
Nello scontro sul Monte Falterona perde la vita il partigiano Adolfo Baldini di S. Agata Feltria.
15/05 i partigiani della banda Mazzini attaccarono il presidio GNR di San Leo. A Pesaro vengono fucilati
tre partigiani.
15/05 nel cimitero di Cantiano viene fucilato Francesco Tumiati di Ferrara assieme a due Slavi, Batrig
Bulatovic e Kuzeta Giuro.
19/05 nel rastrellamento eseguito in zona Monte dei Sospiri di Apecchio vengono uccisi i partigiani
Giorgio Giornelli “1926”, Zeno Palleri “1926”, Cleto Ribiscini “1927”, nello scontro il nemico registra
dure perdite.
04/06 viene organizzato un ultimo grande rastrellamento nella zona di Sestino, Badia Tedalda e Pieve S.
Stefano. Si combatte una vera e propria battaglia ad Est di Parchiule e sulle pendici dell’Alpi della Luna
ma i tedeschi devono ritirarsi. A seguito di questo rastrellamento sino alla fine del mese si contano circa
400 azioni di partigiani, tra cui distruzioni di ponti, occupazioni di paesi, scontri con militi, fucilazioni di
spie e repubblicani.
06/06 il Gen. Alexander lancia un appello ai partigiani affinché diano il massimo contributo alla lotta
contro i tedeschi.
08/06 a Mulino di Bascio (Pennabilli) viene effettuato un rastrellamento (Btg. Tagliamento) che porta alla
cattura di otto giovani …
12/06 il Tenente Raffaele Montella dà il via all’operazione per la presa di S. Leo. Il giorno dopo, senza
spargimento di sangue, il paese viene occupato rendendo possibile distruggere tutto quello che poteva
nuocere alla popolazione, in particolare si confondono i registri dove sono segnalate le derrate che
obbligatoriamente vanno consegnate all’ammasso e sono distrutti gli incartamenti riguardo alla chiamata
dei giovani di leva.
13/06 ore 4:00 il Battaglione Tagliamento parte da Bologna verso le nuove località assegnate in
Romagna. Alle ore 8:35 la 2a Cp. raggiunge Monte Colombo e la 3a Cp. Pian di Castello alle ore 11:00. Il
Plot. Comando sosta a Saludecio (FO). Nel pomeriggio viene dato l'ordine di spostare la 2a da Monte
Colombo a Tomba di Pesaro (ora Tavullia - PS) e la 3a Cp. da Pian di Castello a Tavoleto (PS). Alle ore
16:00 la 1a Cp. parte autotrasportata da Bologna diretta ad Auditore (PS).
14/06 viene fucilato Angelo Foschi Biagio “1874”. Alle ore 5:00 la 1a Compagnia giunge ad Auditore. Di
qui si mandano immediatamente gli automezzi a Monte Colombo di dove la 2a Cp. si sposta a Tomba di
Pesaro (Tavullia). La 3a Cp. si sposta da Pian di Castello a Tavoleto. Il Comando di Battaglione prende
sede a Tavoleto. Ulteriori spostamenti si verificarono nei giorni seguenti e vedono la 3a compagnia
stabilirsi a Sestino (AR) il 19/06 e il comando battaglione prima a Mercatale (19/06) e poi a Caprazzino,
entrambe frazioni di Sassocorvaro (PS), sede del Comando Legione.
15/06 a Lunano i partigiani attaccano un automezzo tedesco riuscendo a recuperare diverse armi. Attacco
alla caserma dei carabinieri di Mercatale.
16/06 a Borgo S. Maria avviene la prima azione del Battaglione Tagliamento, dove interviene per sedare
il saccheggio del silos del grano. I Legionari sono costretti ad usare le armi contro la folla imbestialita. Un
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civile rimane ucciso ed altri due feriti. Viene tratto in arresto un renitente di leva.
17/06 due falsi disertori tedeschi riescono a carpire la fiducia di alcuni membri dell’organizzazione
partigiana, Errigo Bernini che li attende per condurli in montagna viene ucciso mentre tenta la fuga.
Vengono catturati Giuseppe ed Enzo Zeppi “1922” e Gino Savini uccisi poco dopo - per tutta la giornata
e malgrado il cattivo tempo, gli aerei nemici sorvolano la zona spezzonando e mitragliando. - Cielo molto
coperto, piove a lungo.
18/06 viene fatto saltare un ponte lungo la strada Calmazzo – Urbino. Alcuni partigiani lanciano alcune
“ballerine” all’interno dell’accampamento del Btg Tagliamento di Colle delle Vigne (Urbino). Due militi
vengono uccisi in uno scontro a fuoco tra Urbino e Schieti - piove per quasi tutta la giornata.
19/06 abbastanza forte l'attività aerea avversaria. Cielo molto coperto. Piove a tratti.
21/06 a Isola del Piano nel combattimento contro i miliziani nel convento di Montebello rimangono
uccise tre giovani reclute che là si recavano per entrare nelle fila partigiane: Gabriele De Paola, Blasco
Cucchi, Aldo Marrone ed il partigiano Federico Berardini.
22/06 durante un mitragliamento aereo lungo la strada Mercatale - Casinina rimane ucciso il Legionario
Vittorio, amatissimo “balilla” della Legione, è il primo caduto del reparto nelle Marche - un gruppo di
partigiani dislocati sul Monte Carpegna viene attaccato dai tedeschi.
23/06 durante un rastrellamento della Tagliamento nella zona di Auditore oltre il Foglia un uomo che si
dà alla fuga viene ucciso - Lucchesi Giovanni, allievo milite (Tagliamento) decide di disertare, viene però
catturato dai suoi commilitoni che lo fucileranno il 10 luglio – nel rastrellamento a Cà Valentino viene
ucciso Luigi Giotti - a Cà Iacomo di Sassocorvaro viene ucciso da alcuni legionari Abramo Terraroli
fuggito da un reparto collaborazionista.
24/06 tra Mercato Vecchio e Macerata Feltria i partigiani disarmano una pattuglia di militi di Pennabilli
25/06 fucilazione presso cimitero di Cattolica di Rasi Domenico e Spinelli Vanzio, rei di diserzione da un
reparto della GNR - sulla strada di Villagrande in uno scontro con i tedeschi ne vengono feriti 5.
26/06 ad Auditore viene ucciso un uomo …
Nella notte fra il 27 e il 28 Giugno 44 a Pieve del Colle situato nell'area del Metauro fra Urbania e
Fermignano, in uno scontro a fuoco fra i partigiani locali e i tedeschi lungo la ferrovia, già oggetto di atti
di sabotaggio, venne ucciso un ufficiale tedesco e catturato materiale bellico.
28/06 un altro ponte viene danneggiato tra lungo la strada Urbino – Schieti, fatto crollare definitivamente
in seguito. Un autocarro tedesco che transita poco dopo precipita nel vuoto, 7 soldati perdono la vita.
Durante un rastrellamento della Tagliamento nella zona Martenuovo viene catturato un disertore di un
reparto del Genio Costruttori, Angelo Marchi di Cremona, poi fucilato sulla piazza di Mercatale di
Sassocorvaro. A Fermignano viene ucciso un ufficiale tedesco. A Certalto di Sassocorvaro viene fucilata
Lazzarini Angela - a Tavullia la 2a Compagnia BTG Tagliamento procede, nel pomeriggio, alla
fucilazione di 5 giovani: Balducci Nino “1925”, Benelli Giuseppe “1922”, D’Angeli Ivo “1924”, Gerboni
Celestino “1922”, Signoretti Augusto “1924” - vengono fucilati a Lancialunga di Cagli: Cecchini
Argentino “1925”, Federici Francesco “1922”, Ferri Luigi “1921”, Tendini Vittorio “1920”. Nello stesso
giorno vengono fucilati Angelo Berlandis “1921”, Nicola Brolis “1927”, Aldo Carrara “1927”, Alvise
Doninzetti “1927”, Antonio Masnaga “1926”, Ezio Pasotti “1927”, Guido Rizzi “1924” tutti di Bergamo.
30/06 durante tutta la mattinata si riscontra una vasta ed intensa attività aerea nemica. Nel pomeriggio
pattuglie di cacciabombardieri nemici effettuano numerosissime azioni di mitragliamento. Sul tratto di
strada Mercatale - Caprazzino vengono distrutte due macchine militari. Tra Mercatale e Casinina viene
distrutta la macchina del Cap. De Mattei. Sulla strada di Tavullia viene mitragliata la macchina del Cap.
Fabbri. Il Ten. Sacco Pietro viene ferito ad una gamba e ricoverato all'ospedale militare di Bologna. A
Sestino viene prelevato dai banditi il Milite Scanu Salvatore che si era allontanato abusivamente dal
paese.
Dal 07 al 22/07 vengono uccisi in vari agguati 11 tedeschi, rappresaglia della Seghettina, fucilate 32
persone a San Piero in Bagno.
01/07 in seguito all’attacco notturno all’accampamento del Btg Tagliamento vengono fucilati due
prigionieri di Urbino, Pasquale Mazzacchera “1924” e Aldo Arcangeli “1925”. Pesante attività aerea
nemica nel Montefeltro.
02/07 a Poggio Ancisa – Lamone (Casteldelci) viene ucciso un soldato tedesco, e la rappresaglia inizia
immediatamente. Gettulio Ernesto di “1923” anni viene fucilato a Lamone, poiché trovato con il
cinturone del militare ucciso. Viene effettuato un rastrellamento (tedesco) che porta alla cattura di una
decina di giovani, sei dei quali deportati in Germania (Bondoni Dionisio, Italo e Nello, Ciavattini
Ambrogio, Emilio Ceccarini, Mastini Ernesto).
Ai primi di Luglio i tedeschi arrivano a Valle S. Anastasio e arrestano don Alessandro Nardoni, portato
alla Villa Rosa di Rimini, sede del comando fascista. Dopo due giorni torna a casa. Contemporaneamente
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viene arrestato a casa di Alberico Gai un gruppo di uomini (7-8) mantovani e ravennati antifascisti, portati
a Rimini poi deportati in Germania (tutti sopravvissuti).
03/07 viene ucciso Delivio Ceccolini “1920” - l'azione aerea nemica si è notevolmente affievolita, mentre
è molto aumentata la reazione contraerea germanica.
05/07 la 1a Cp. del Btg. Tagliamento con i 20 legionari della Compagnia della Morte Aretina compie
un'azione su S. Paolo. Vengono fermati due renitenti alla leva.
06/07 hanno inizio una serie di rastrellamenti su vasta scala nella zona di Urbino, Urbania, S. Angelo in
Vado, Mercatello. In quest’ultimo paese perde la vita Alceo Bernardi (di Urbino) per permettere ai suoi
compagni di sganciarsi dall’accerchiamento - la 2a Compagnia del Btg. Tagliamento procede all'arresto di
3 renitenti alla leva che vengono incarcerati in attesa di giudizio. L'attività aerea nemica è oggi molto
intensa; strage di civili a San Lorenzo della Torre, comune di Urbania, 15 morti.
07/07 rastrellamenti nella zona di Montecalvo in Foglia, Tavullia a Montecelio, Ginestretto (sic), S.
Giorgio, Bivio Borgo S. Maria, Pozzo Alto, Sestino e di M. Romano – in zona di Orsaiola i rastrellamenti
iniziarono il 7 e 8 luglio, sono catturati e uccisi cinque partigiani, tra cui Luigi Tacchi. Nei pressi di
Monterone i partigiani attaccano una motocarrozzetta uccidendo 2 militi e ferendone gravemente un
terzo.
08/07 rastrellamenti nella zona Tavullia, Colbordolo, S. Angelo in Lizzola, Monteciccardo,
Mombaroccio, S. Pietro, Fornase, Pozzo Basso, Tavullia,Sestino e Monterone - strada Pian di Meleto – S.
Angelo in Vado i partigiani attaccano un autocarro tedesco, 4 militari uccisi.
09/07 rastrellamenti nella zona di Sestino, M. Dese, Casa Monte Cere, Monte Cossante, Monte della
Rocca Campo. Intensa attività aerea avversaria.
10/07 Mussolini si reca a Sassocorvaro e Mercatale (Macerata Feltria?) per passare in rassegna i reparti
della Legione Tagliamento e della Guardia Nazionale Repubblicana, la Petacci è a Pian di Meleto e
Cavoleto; la 2a Compagnia del Btg. Tagliamento alle ore 6:30 procede alla fucilazione dell'All. Mil.
Lucchesi Giovanni 1923 reo di diserzione. Continua intensa l'attività aerea nemica.
Tra il 10-12/07 vengono effettuati rastrellamenti nella zona Montegrimano, Mercatino Conca,
Montelicciano, Savignano Monte Tassi, Borgo Pace. Vengono prelevate 12 persone e deportate in
Germania: Elio Fabbri, Lino Rossini, Alberto Mariotti, Luigi Poggiali, Armando Lupini, Guerrino Betti
(morto in Germania il 22/01/45), Francesco Rossi, Giulio Vannucci. Una squadra di fascisti sammarinesi
preleva il sarto Duilio Paolini dalla casa di Montelicciano (Montegrimano) dove era stato confinato. Era
nato a Nidastore di Arcevia nel “1895”.
12/07 a Casteldelci vengono fucilati i fratelli Sildo “1921” e Fré Luigi Bimbi “1924” sospetti partigiani.
Intensa l'attività aerea nemica. Nel pomeriggio piove un poco, poi il cielo torna sereno – viene arrestato
Duilio Paolini.
13/07 Antonio Balbucci viene catturato in un rastrellamento alle falde del Monte Carpegna mentre
pascola le sue pecore.
14/07 rastrellamento in comune di S. Leo, una decina di persone vengono catturate - ore 8:00 viene
fucilato a Pennabilli Antonio Balducci “1923” - a Colle delle Vigne (Urbino) i militi del Btg Tagliamento
fucilano:
Vincenzo Londei “1912” disertore GNR; Bruno Marchetti “1924” disertore arma Aeronautica; Bino
Radici “1925” disertore; Antonio Della Versana “1922” disertore GNR; Venzio Zaccarelli “1923”
disertore GNR; Ferruccio Cattaneo “1915” disertore bandito armato.
16/07 (notte di domenica) due sottoufficiali della 3a Cp. vengono feriti mentre percorrevano la strada
Sestino – Piandimeleto. Vengono eseguiti rastrellamenti nella zona di Auditore, Tavoleto e Montecalvo in
Foglia, Montecchio, S. Gallo, Ginestreto, S. Pietro, S. Angelo, Tavullia, Dese, Monticone, Presciano,
Monte Puccio, Carpegna, Maiolo e San Leo dove viene data alle fiamme la casa di Michele Simoni.
18/07 tempo piovoso al mattino, ritornato sereno in serata. Temperatura calda.
19/07 a Molino di Schigno (Casteldelci) viene ucciso Fabio Fracassi di “1926” anni, aveva cercato di
sfuggire alla cattura. Sei civili vengono rastrellati, in seguito rilasciati.
20/07 vengono uccisi Bruno Marchionni “1925”, Gino Mengucci “1909” - a San Leo viene eseguito un
grande rastrellamento che porta alla cattura di 42 persone inviate a bordo di camion a Gabicce per
lavorare sulla Linea Gotica.
20/07 a Castelpriore durante un rastrellamento ucciso Mansueto Gabrielli.
21/07 la 1a Cp. esegue una operazione di polizia a largo raggio nella zona Pian di Castello, Montefiore
Conca, Gemmano, catturando vari elementi renitenti alla leva, che vengono successivamente avviati ai
lavori delle fortificazioni militari. Sestino subisce un bombardamento aereo nel quale rimane ucciso il
milite Magni Ernesto.
22/07 strage di Tavolicci (Verghereto) 64 morti.
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22/07 strage di Monte Riolo 7 morti.
23/07 le perlustrazioni del BTG Tagliamento nelle zone di Montefiore Conca, Pian di Castello,
Castelnuovo e Monte Altavellio consentono la cattura di dieci renitenti alla leva, che vengono avviati al
lavoro obbligatorio. A Candelora un renitente alla leva, fuggito al comparire dei militi, viene ucciso. Al
Passo del Carnaio i partigiani uccidono un soldato tedesco.
24/07 Al Passo del Carnaio i partigiani uccidono due soldati tedeschi. Il giorno seguente viene eseguito
un rastrellamento e la successiva fucilazione di 7 civili. Un Plotone della 2a Cp. del Btg. Tagliamento al
Comando del Tenente Guidicini, a Villagrande di Mombarroccio, ha un piccolo scontro con elementi
fuori legge; durante la sparatoria viene ferito il Mil. Cardinali Antonio. Nel pomeriggio una squadra dello
stesso Plotone viene fatta segno a raffiche d'arma automatica: viene ferito dallo scoppio di una bomba a
mano il Mil. sc. Ciuffini Luciano. Presso Sestino un gruppo di partigiani assale un automezzo germanico,
uccidendo due soldati: prontamente escono due squadre della 3a Cp. e nello scontro con i fuori legge,
cade “da prode” il Vice Brig. Baglioni Mattia. I banditi perdono un ferito e un prigioniero.
25/07 eccidio di Frassineto (Santa Sofia); a Gattara in seguito al ferimento di un militare tedesco il giorno
precedente, per rappresaglia vengono uccisi cinque civili: Gavelli Antonio e Livio, Ciavattini Vito e
Livio, Micheli Angelo. Rastrellamento a Monteromano (Sestino). Scontro a fuoco con i partigiani. Viene
catturato dai militi il partigiano Ferruccio Manini, di Cremona, fucilato dopo due giorni – nello scontro
per cercare di liberare Manini vengono uccisi 2 militi e 1 tedesco.
26/07 un plotone della 1a Cp. del Tagliamento al comando del Tenente Zanotti perlustra la zona di
Montefiore Conca, catturando quattro renitenti alla leva.
28/07 viene fucilato nel cimitero di Sestino il partigiano Ferruccio Manini. Zuccari, il comandante del
reparto, ordina al Ten Pesaresi la fucilazione, ma l’ufficiale si rifiuta senza un processo. L’esecuzione
viene eseguita da Giorgio Albertazzi.
02/08 la 1a Cp. con due plotoni, in collaborazione con una Cp. Germanica rinforzata da mezzi blindati,
compie una azione di polizia nella zona a sud di Auditore, catturando molti banditi
Il milite GNR Domenico Casaligi della 5a Cp. Camilluccia viene fucilato nel cimitero di Lunano.
03/08 nel pomeriggio piove, ma poco e per breve tempo.
04/08 a Pennabilli viene fucilata Virginia Longhi (Gina) “1918”.
05/08 in mattinata i comandanti di Btg. e di Cp. sono convocati a rapporto al Comando Legione. È giunto
l'ordine di trasferirsi nel Veneto, nella zona di Vicenza (Schio, Recoaro). Nel pomeriggio piove un poco.
06/08 in mattinata la Legione ha un'ambita visita, quella del DUCE, che si intrattiene anche presso la 2a
Cp. Egli rimane a lungo presso i legionari, parla e canta con loro. Cielo coperto.
07/08 al mattino vengono impartite le disposizioni per il trasferimento.
08/08 verso le ore 19:00 avviene la partenza del BTG Tagliamento. La 2a Cp. parte puntuale, mentre la 1a
Cp. inizia la marcia verso le ore 23 e la 3a Cp. verso le 24. La prima tappa di questo spostamento,
percorsa a piedi, li porta a Verucchio.
09/08 Verrucchio viene raggiunto dalle Compagnie tra la mattinata e il pomeriggio. Si accampano nei
dintorni del paese, eccezion fatta per la 3a Cp. che non giunge in giornata. Piove a tratti.
10/08 nel pomeriggio alle ore 11 giunge a Verrucchio anche la 3a Cp. Si compie il caricamento degli
autocarri con il materiale delle Cp. e con gli zaini dei legionari. Alle ore 19:00 il Btg., con le Compagnie
distanziate, si muove alla volta di S. Arcangelo, dove giunge verso le ore 22:00. Caricato il materiale
sull'apposito convoglio ferroviario, questo si muove verso le ore 24:00. Piove a tratti.
18/08 a Maciano di Pennabilli viene eseguito un rastrellamento che porta alla cattura di sei uomini inviati
al lavoro coatto in Germania. Nello stesso giorno ed in quello seguente a Cà Romano di Pennabilli,
Sant’Agata Feltria (31 civili) e Perticara (11 civili) vengono catturate complessivamente 55 persone poi
deportate in Germania.
19/08 cade in combattimento a Monte Mercurio Ezio Sartini di Novafeltria “1927”.
26/08 una pattuglia del Distaccamento Autonomo d’Assalto Montefeltro al comando di Alfeo Narduzzi si
spinge all’interno delle linee tedesche in località Alpe della Luna. Qui avviene uno scontro a fuoco nel
quale viene ucciso un soldato nemico e un altro ferito.
01/09 a Montegrimano in località le Fonti, vengono uccisi i partigiani Galli Mario (di S. Angelo in Vado)
e Parlanti Renato (di Carpegna), catturati nella notte tra il 27-28/08 mentre erano in perlustrazione lungo
Fiume Metauro, zona S. Angelo in Vado.
01/09 a Parchiule vengono uccisi cinque partigiani Santi-Laurini, Guazzolini “1925”, Chiarabini “1925”.
02/09 a Parchiule di Borgo Pace scontro a fuoco con i tedeschi, tre partigiani perdono la vita oltre a
numerosi tedeschi - il gruppo partigiano di Sestino ha uno scontro con militari tedeschi perdendo tre
uomini
11/09 a Serra di Monte di San Leo vengono catturate due persone poi deportate in Austria. A Pennabilli
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vengono catturate 68 persone che vengono portate a piedi sino a Secchiano dove trascorrono la notte nei
pressi della chiesa. Al mattino con sorpresa non trovano più i militari di guardia tedeschi e possono
rientrare alle proprie case.
12/09 a Miradella di Sestino scontro a fuoco con i tedeschi, 5 feriti tra i partigiani di cui 1 muore alcuni
giorni dopo all’ospedale di Città di Castello.
08/10 dietro l’ordine del comando alleato di Urbino i partigiani consegnano le armi ai carabinieri, termina
così l’attività del Distaccamento Autonomo d’Assalto Montefeltro (V Brigata Garibaldi “Pesaro”).
26/10 muore a S. Angelo in Vado Danilo Arcaro mentre disinnesca a Sestino la sua 165a mina.
Nella relazione del Prefetto di Pesaro in data 24/07/45 si parla di migliaia di ettari di terreno erano
cosparsi di mine (3.000 ettari solamente nella provincia di Pesaro).
La Regione Marche durante la guerra ha avuto complessivamente 1.237 caduti.
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CAP. X - LA PARTENZA
Poco tempo dopo l’arrivo di Longino a Maiolo, hanno iniziato a passare in zona pattuglie di camicie nere.
Sono i militi della Legione Tagliamento, stanziati a Pennabilli. Valeria Selva mi ha raccontato che
mentre mietevano il grano, operazione che nella loro zona viene effettuata tra Luglio e Agosto a seconda
dell’andamento della stagione, si era fermata una pattuglia di militi a cavallo in perlustrazione. Dal mese
di Luglio inoltre si è registrato anche un aumento della presenza di militari tedeschi, la Villa Labor viene
da loro requisita per farne un ospedale militare. La casa dove vivevano i Selva si trovava nei pressi della
strada che collega Maiolo a Pugliano, utilizzata dai militari per rifornire il campo di battaglia e con
l’avvicinarsi della linea del fronte anche per posizionarvi depositi di munizioni ai bordi della strada. In
prossimità della casa Selva ne erano stati posizionati due, uno prima e l’altro dopo il ponte grande. La
presenza militare vicino alla loro abitazione iniziava ad essere sempre più frequente e preoccupante.
Tutti questi fatti, oltre l’avere appreso le tragiche notizie della fucilazione di civili da parte dei militi del
Btg. Tagliamento, a pochi chilometri da Maiolo, devono avere creato un notevole stato di tensione
all’interno del nucleo familiare dei Selva. Certe informazioni non impiegavano molto tempo a diffondersi
in ogni dove attraverso il passaparola. La situazione era divenuta ormai molto rischiosa. I Selva hanno
dovuto prendere una importante decisione: allontanare o no l’aviatore americano dalla propria casa? Ho
chiesto a Valeria perché avessero continuato ad aiutare Longino dopo avere saputo cosa era successo a
Pennabilli e come mai non gli avevano chiesto di lasciare la casa. Lei mi ha risposto: “Era così giovane,
aveva famiglia. Ormai era da noi da un po’ di tempo, come si faceva a mandarlo via?” Quindi nonostante
tutto, James non è stato allontanato dai Selva, un gesto di grande coraggio, comunque non penso che Dino
e gli altri adulti presenti in famiglia abbiano potuto dormire sonni tranquilli dopo avere preso quella
decisione. Il rischio, nel caso che qualcuno avesse segnalato la presenza dell’Americano, o che fosse stato
catturato durante uno dei vari pattugliamenti, era altissimo e con gravi conseguenze per tutti loro. Lo ha
chiaramente rammentato Valeria nel suo racconto “se lo trovavano ci bruciavano a tutti. Mio fratello i
miei genitori hanno avuto una gran pena per James, Dino poi aveva i figli piccoli”. In paese già da un po’
di tempo si erano stabiliti piccoli reparti di soldati tedeschi. I tedeschi hanno iniziato a creare depositi di
munizioni nelle retrovie, nascosti tra la vegetazione per evitare che venissero scoperti dai numerosi caccia
alleati che ogni giorno solcavano il cielo in cerca di un bersaglio da colpire. Alcuni di questi vengono
realizzati anche ai bordi della strada che collega Maiolo a Pugliano, sempre sorvegliati da guardie armate,
poco lontano dal rifugio dove è nascosto James, limitando di conseguenza le sue uscite allo stretto
minimo necessario. Il 25/08 l’esercito alleato sferra l’attacco alla Linea Gotica, il sistema difensivo voluto
da Hitler, realizzato tra Pesaro e Massa Carrara. Il tambureggiare dei cannoni lo si sente molto bene anche
da Maiolo. Le strade nelle retrovie del fronte vengono percorse principalmente di notte, dai carriaggi
diretti alla prima linea per far affluire rifornimenti e truppe o per trasportare verso gli ospedali i numerosi
feriti. Con il passare dei giorni, la linea del fronte si avvicina sempre più e ciò implica una presenza di
militari sempre maggiore a Maiolo. Ormai la permanenza di Longino a Maiolo è divenuta troppo
rischiosa. Dino Selva è molto preoccupato, la possibilità che venga scoperto lo tiene sveglio la notte,
questo pensiero è un tarlo che non smette mai di lavorare nel suo cervello. Urge trovare una soluzione,
bisogna spostarlo, ma dove e come farlo? Con le sue sole forze non è possibile, deve chiedere aiuto a
qualcuno. L’avvocato Barbieri di Novafeltria, a detta di Carlo ed Elio Selva, deve avere avuto una parte
importante in questa operazione, forse di collegamento con altre persone che hanno avuto un importante
ruolo nello spostamento dell’Americano. Non ne hanno la certezza assoluta perché di certe cose non si
parlava in casa. Ad un certo punto Longino viene spostato da Maiolo, sembra verso Ferrara, per quanto
ricordano Elio e Carlo.
Sono molte le domande a cui vorrei dare risposta su questo specifico punto della ricerca. Quando è
avvenuto il trasferimento? Chi avrà stabilito dove spostarlo? Chi lo ha accompagnato? Con quale mezzo è
stato portato alla nuova destinazione?
Elio ricorda che James è rimasto da loro più o meno ottantanove giorni (probabilmente dal lancio col
paracadute). Essendo stato abbattuto il cinque Giugno, ha trascorso a terra ventisei giorni sino alla fine
del mese, trentuno in Luglio e trentuno in Agosto, il che porta complessivamente il totale dei giorni a
ottantotto. Se i ricordi e i calcoli sono corretti, dovrebbe aver lasciato Maiolo ai primi di Settembre, l’uno
o il due. In quel periodo i combattimenti sulla linea del fronte si stanno svolgendo al confine tra le
Marche e la Romagna, a Cattolica, Gradara, Morciano, Saludecio e Tavoleto, linea che da Maiolo dista
circa venti chilometri.
Anche per questa parte del racconto, non avendo notizie certe su cosa fosse effettivamente avvenuto,
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ipotizzo alcune possibili ipotesi.
1 - Dino e James, a piedi, hanno raggiunto la via Marecchiese dove l’aviatore è stato caricato su un
automezzo, nascosto dietro al carico presente nel cassone, e trasportato fino alla prevista destinazione.
2 - James è stato accompagnato da qualcuno e in varie tappe ha raggiunto la destinazione prescelta.
Accompagnato da una guida che conosceva i luoghi, si potevano certamente percorrere tappe di una
quindicina di chilometri e anche più, usufruendo di sicuri rifugi offerti dai collaboratori
dell’organizzazione clandestina di supporto al movimento partigiano. Se in effetti è arrivato sino a
Ferrara, come ricordano vagamente i Selva, potrebbe esserci arrivato in una decina di giorni.
Pensandoci bene però, l’ipotesi n° 1 non è molto attendibile perché se James è andato via a fine Agosto o
ai primi di Settembre, la zona di Maiolo ed il territorio a nord era di fatto considerata la retrovia del fronte
e quindi molto controllata dalle forze di polizia dell’esercito tedesco, con numerosi posti di blocco. Con
un automezzo era alquanto improbabile poter viaggiare sulle strade senza farsi scoprire e con il costante
pericolo di essere mitragliati dai caccia alleati che colpivano ogni cosa trovata allo scoperto. Inoltre c’è da
dire che di mezzi ancora a disposizione dei civili ce erano rimasti pochi in giro, e il carburante era
irreperibile.
La seconda ipotesi quindi mi sembra quella più attendibile.
Dalla consultazione del MACR è possibile leggere una dichiarazione datata 20/10/44 resa da Longino
dopo la sua liberazione che ritenevo precedente di qualche giorno. Ho voluto verificare quale parte del
territorio è stata occupata dagli alleati in quel periodo. Da una ricerca su internet ho potuto appurare che
Ferrara, la città menzionata dai fratelli Selva, è stata liberata dagli alleati il 24/04/45. Questa data esclude
che Longino fosse nascosto da quelle parti, quindi si doveva trovare molto più vicino, magari nella zona
del ravennate. Con il solito sistema ho verificato che Ravenna è stata raggiunta dagli alleati il 04/12/44,
quindi anche questa data risulta essere successiva alla liberazione di Longino. È anche vero che lui
potrebbe essere stato aiutato ad attraversare la linea del fronte prima della liberazione del luogo dove era
tenuto nascosto perché non è detto che lui fosse tenuto proprio in città, poteva trovarsi in una zona
prossima al confine con la provincia del forlivese. Proseguendo la ricerca ho trovato che Forlì è stata
raggiunta dagli alleati il 09/11, Cervia il 23/10, Cesena il 20/10.
Io avevo sempre pensato, dopo avere letto il MACR, che Longino avesse raggiunto le truppe alleate
qualche giorno prima del 20/10/44. Le cose invece non sono andate così. Durante le ricerche sono emersi
importanti documenti che hanno chiarito anche questo dettaglio.
Prima di concludere la ricerca, ho voluto verificare se effettivamente, come mi era stato riferito,
l’avvocato Bianca Barbieri di Novafeltria era in possesso di alcune lettere che l’aviatore americano aveva
scritto dopo la guerra alla famiglia Selva. Il contatto con l’avvocato è avvenuto grazie all’amico Pier
Luigi Nucci. La signora Bianca mi ha detto che avrebbe controllato tra la documentazione di famiglia e
che mi avrebbe fatto sapere. Qualche tempo dopo mi ha inviato una mail per informarmi di averne trovate
alcune scritte in inglese e firmate proprio da James Longino. Se volevo, potevo andare a prenderne una
copia, così abbiamo fissato un appuntamento per sabato 01/12/12. Ero ansioso di poter conoscere cosa
c’era scritto in quei fogli, e speravo che non sorgesse nessun imprevisto al mio programmato viaggio a
Novafeltria.
Ho subito informato Carlo Selva della bella sorpresa e gli ho chiesto se potevo ritirare io quella
documentazione. Me ne sarei fatto una copia e poi l’avrei portata a sua zia Valeria. Naturalmente Carlo ha
acconsentito.
L’incontro con la signora Bianca è avvenuto nel giorno convenuto. Lei è stata gentilissima e molto
disponibile, dandomi tutti i chiarimenti richiesti sul famoso avvocato Barbieri citato dai Selva.
Era suo padre e si chiamava Davide 1921-1983 (vedi All. 10-1). Si era laureato in legge poco dopo la
guerra, nel 1947. La professione di avvocato l’aveva imparata nello studio di suo suocero, l’avv. Majolo
Cucci 1894-1955 di cui aveva una grande considerazione. Era un uomo integerrimo e di una intelligenza
superiore alla norma, le aveva detto suo babbo. Anche lei ha questa considerazione del nonno, che
traspariva in modo molto chiaro dal colloquio che abbiamo avuto. Le lettere in suo possesso erano cinque,
una scritta da suo padre a Longino, le altre provenienti dall’America ed indirizzate a Barbieri. Questo
dettaglio mi ha lasciato stupito perché ero convinto che la corrispondenza fosse indirizzata a Dino Selva
che poi andava a Novafeltria dall’avvocato per farsele tradurre.
Dando una prima veloce occhiata alle lettere di Longino, ho avuto la sensazione che tra lui e Davide ci
fosse più di un rapporto di cortesia nel fare da traduttore per Dino Selva. Il modo usato per salutarlo, in
alcune lettere con “Caro Davide ….” mi fa pensare che James lo avesse conosciuto personalmente e
questo probabilmente potrebbe essere avvenuto durante il trasferimento di Longino da Maiolo ad un’altra
località. Se mi fossi trovato io nei panni dell’Americano mi sarei rivolto alla persona incaricata di tradurre
le lettere con un “Salve Sig. Barbieri ….”, con tono amichevole e reverente per quanto stava facendo per
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loro due. Mi è stato spiegato invece che è consuetudine tra gli Americani usare questa forma amichevole,
anche se gli interlocutori non si conoscono. Cade così la mia ipotesi di una possibile e reale conoscenza
diretta tra i due. Vedremo cosa ci sarà scritto nelle lettere, il loro contenuto forse mi potrà aiutare a
chiarire alcune parti ancora nebulose.
Nella testa mi ronzava sempre il “tarlo” sul perché James scriveva all’indirizzo di Barbieri e non a quello
di Dino Selva. Pensando a questo particolare, sono arrivato alla conclusione che Barbieri non era entrato a
fare parte della storia solo per fare una cortesia a Selva, ci doveva essere stato sicuramente qualcosa di più
con Longino.
Era urgente poter leggere le lettere. Grazie ai miei instancabili collaboratori, che hanno avuto una bella
pazienza a sopportarmi e ad essere sempre disponibili alle mie richieste, ho potuto conoscere il loro
contenuto. La cosa che ho notato subito è che sono scritte con una bella grafia. Tutte contengono, come è
intuibile, una parte iniziale per i saluti, le domande su come va in Italia, e i ringraziamenti per l’aiuto
ricevuto. In ognuna di esse si può cogliere un interessante dettaglio che va a chiarire, anche se in parte,
alcune delle tante incognite di questa storia, anche se poi sono sorti di conseguenza nuovi interrogativi.
Nella lettera senza data, ma che dal suo contenuto ritengo sia la prima di quelle in mio possesso, James
scrive (vedi All. 10-2):
“Caro Davide … Come sta Dino? Voglio ringraziarlo ancora per avermi dato da mangiare per
così lungo tempo e per essere stato così buono con me. Gli ho promesso 50 $ in pagamento per il
mio soggiorno, quindi, se mi manderai il suo indirizzo glieli spedirò”.
Questo significa che James si era preso solo l’indirizzo di Davide prima di lasciare definitivamente la
zona per rientrare tra i suoi compagni. La lettera prosegue così:
“Ora sono tutti miei amici, Dino, sua moglie, Carlo, Elio, Maria, Joe e gli altri e spero che tu li
veda e mi faccia sapere come stanno. Anche … Fabio e Olga, loro sono stati una grande
compagnia per me nel bosco. Dopo aver lasciato la casa di Dino sono stato portato in un campo di
partigiani e il 26 Settembre abbiamo passato il fronte e abbiamo incontrato gli inglesi”.
Chi saranno Fabio e Olga che sono stati al campo dei partigiani, nel bosco, assieme a Longino? A quale
gruppo appartenevano? Sino a dove erano schierate le truppe inglesi quel giorno nel Montefeltro?
Leggendo il libro “Offensiva della Linea Gotica” di A. Montemaggi, alla pagina 177 è scritto che la sera
del 22/09:
“La 11a Brigata della 4a Divisione Indiana, che ha i Gurkhas a Cà Martino, i Frontier F. a Monte
Cerreto e i Camerons a Serra Ventoso, attacca l’estremità meridionale del crinale di Montebello –
Torriana, così difeso: Montebello dal III Btg. del 741 Regt. con 450 uomini e Torriana dal I e II
Btg. del 994 Regt. con 380 uomini… Alle 23:00 i Gurkhas attaccano … ed in quattro assalti
perdono 127 uomini (29 caduti, 68 feriti e 30 prigionieri)… Nel pomeriggio del 23/09 viene ripreso
l’attacco con l’appoggio di carri armati … ma i tedeschi si sono già ritirati oltre l’Uso sul crinale
di S. Giovanni in Galilea”.
Le colline di Torriana e Montebello vengono occupate dagli alleati il 24/09. Ad Ovest di queste posizioni,
che costituivano l’estrema ala destra del fronte tedesco sul litorale Adriatico, non vi era più una linea di
combattimento, le zone limitrofe erano presidiate da reparti militari ma venivano utilizzate unicamente
per il transito delle colonne in ritirata verso Nord. L’attacco prosegue nei giorni seguenti verso Sogliano.
Su un altro libro di A. Montemaggi, “Savignano ’44 dal Rubicone a Bologna”, alla pagina 157 si può
leggere:
“Preso Montebello e Torriana la 11a Brigata Indiana va in riserva e le subentra la 7 a Brigata che
scende verso valle lasciandosi sulla sinistra il Monte di San Giovanni in Galilea dirigendosi verso
il crinale di Monte Reggiano – Borghi – Sogliano difeso dal 741 Regt. Della 114a Divisione Jager.
L’attacco inizia la mattina del 26/09 …”
Un’altra traccia su cosa avvenne il 26/09 l’ho trovata nel libro “Il Montefeltro tra guerra e liberazione” di
Sandro Severi alla pagina 144:
“Il 26 Settembre una pattuglia del Distaccamento (Montefeltro) subì l’ultimo scontro con i
tedeschi nelle vicinanze di Pennabilli, vennero catturati due tedeschi”.
La prima cosa a cui ho pensato dopo avere letto queste due righe, è a quanto mi aveva raccontato Orazio
Giolitto e che ho riportato a pagina 41, in relazione agli ultimi due tedeschi che erano rimasti a Pennabilli.
Non vi era stato uno scontro …
Quindi se è esatto quanto riportato nei testi sopra citati, e non ho motivo di dubitarne, appena si è venuti a
conoscenza che a Pennabilli non vi erano più tedeschi, i partigiani che tenevano nascosto Longino lo
hanno consegnato alle truppe inglesi presenti probabilmente nella zona retrostante San Marino, che da
quel che ne so dovevano essere quelle alla estrema sinistra del fronte di attacco.
Durante l’estate, nell’alta Valmarecchia aveva operato il gruppo di partigiani comandati dal Ten. Raffaele
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Montella, che conosceva molto bene il Ten. Domenico Bucci.
La lettera di Longino prosegue con:
“Sono tornato negli States il 21 ottobre 1944 e ho trovato mia moglie e il bambino in buona salute.
Il bambino era una femmina ed ora lei ha quasi due anni. E’ una bambina molto dolce. Ora
abbiamo un’altra figlia di 3 mesi”.
Quindi ora è certo che dopo avere lasciato la casa di Dino Selva, ha trascorso circa un mese con i
partigiani ed ha passato la linea del fronte il 26 Settembre. Il 21 Ottobre, era già a casa negli Stati Uniti,
dove aveva potuto riabbracciare sua moglie e la figlia che forse non aveva mai visto prima di allora.
Facendo due semplici conti, se anche questa lettera fosse datata 1946, visto che la bambina ha due anni,
significa che è nata nel 1944, perciò è stata concepita nove mesi prima e quando se non precedentemente
alla partenza di Longino per la base di schieramento in Inghilterra?
Il suo gruppo di volo è arrivato in Europa il 04/11/43. Se i miei conti sono corretti, la prima figlia di
Longino dovrebbe essere nata nel mese di Luglio 1944, quando lui era già da più di un mese a Maiolo.
Ora è anche chiaro che la dichiarazione allegata al MACR del 20/10/44 è stata fatta in America.
Il Joe citato sopra è certamente Giuseppe lo Slavo di cui mi hanno parlato i Selva. Di lui si ha conferma
alla fine della lettera, dove Longino ne menziona anche il cognome:
“Ps: cosa è successo a Joe Palich. Lui è stato alla casa … fino a che io ho proseguito per il campo
dei partigiani”.
La lettera termina con “Tuo amico James Longino”. Io sono sempre più convinto che Barbieri ha avuto
una parte rilevante nella vicenda Longino. Forse è stato proprio lui ad accompagnarlo al campo dei
partigiani.
Nella lettera del 10/06/46 (vedi All. 10-3) James ringrazia per le foto ricevute da Davide:
“Caro Davide le tue lettere sono arrivate e anche le foto, carine. Loro stanno bene? Ho passato un
bel periodo con loro, a tutti i miei amici. Erano esattamente quello che volevo. E ti ringrazio molto
per il tuo disturbo. Ho visto il bastone da passeggio di Dino nelle sue mani, fatto a mano, e mi
sono tornati alla mente vecchi ricordi”.
Deve sicuramente trattarsi del bastone che aveva fatto Longino e che usava come calendario intagliandovi
una tacca per ogni giorno trascorso dietro la linea del fronte.
“Dì a Dino che ho spedito i soldi circa 6-7 settimane fa, dovrebbe riceverli fra non molto tempo.
Barbara sta finendo una scatola per lui con pochi vestiti … Io ho ricevuto la promozione la scorsa
settimana ed ora sono Capitano di linea aerea e sembra che dovrò andare per un paio di mesi a
Chicago … P.S. che cosa è successo a Joe Palich lo Slavo? Ringrazia Marco, Clemente, Pietro, il
barbiere e tutti gli altri in posa per la bella foto. Grazie ancora”.
In quella successiva del 08/07/46 (vedi All. 10-4) James scrive:
“… Ho inviato a Dino un pacco ma non c’è molto dentro, qualche vestito di seconda mano. Non ci
è permesso di spedire alcuni oggetti, come il caffè, zucchero etc., solo 2 libbre in tutto. I vestiti
nuovi sono quasi impossibili da acquistare, ora sono alle stelle e di non buona qualità … Digli
tuttavia che gli invierò un’altra scatola di cibo, una scatola speciale che dovrebbe essere buona …
Dì a Roberto che ho ricevuto le sue lettere e le belle foto ma che fino adesso non ho trovato
nessuno che le traducesse per me”.
Di quei pacchi i due fratelli Selva e la zia Valeria me ne avevano parlato. Mi chiedo chi potrà essere quel
Roberto ma purtroppo non sono in grado di fare delle ricerche in quanto nelle lettere di James non sono
mai riportati i cognomi delle persone menzionate.
“Sto ancora volando per vivere e mi piace molto, almeno io non sparo ogni volta che vado su, io
porto la gente invece che le bombe. Il tuo inglese migliora sempre Davide. Ho visto dei
miglioramenti in ogni tua lettera. Io penso che tu sia molto intelligente per apprendere così
rapidamente. Quando ci siamo incontrati la prima volta difficilmente mi capivi e ora scrivi come lo
faccio io, forse meglio … Sono felice che Dino abbia ricevuto i soldi. Dagli i miei saluti e anche a
tutta la famiglia”.
Nella lettera del 19/12/1946 (vedi All. 10-5) è riportato un altro importante dato:
“Caro Davide … dalla tua lettera apprendo che va molto bene con il tuo inglese. Un notevole
miglioramento dal giorno in cui ti ho incontrato per la prima volta in casa di Dino. … Porta anche
i miei saluti a Marco e a tutti gli altri amici lì”.
Ora abbiamo la certezza che Barbieri e Longino si sono incontrati la prima volta in casa Selva, anche se i
due fratelli Elio e Carlo non ricordano di averlo mai visto durante la permanenza dell’Americano a casa
loro. Probabilmente l’incontro è avvenuto di notte, mentre i bambini erano a letto. Cosa potrebbe essere
andato a fare Barbieri da Selva e Longino se non organizzare il suo spostamento in un altro rifugio? Per
Dino era necessario trovare qualcuno che “masticasse” un po’ di inglese per spiegare a James l’esigenza
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di doverlo spostare in un luogo più sicuro. Questa cosa deve essere avvenuta alla fine di Agosto, se poi ai
primi di Settembre ha lasciato la casa dei Selva. È possibile che Barbieri lo abbia assistito anche dopo
avere lasciato la casa di Dino fino alla sua consegna alle truppe alleate? Penso di sì, visto il rapporto di
amicizia che si era creato tra i due, e quindi ritengo che James non si dovesse trovare troppo lontano da
Mercatino Marecchia, magari su tra i boschi sopra S. Agata Feltria ma abbastanza lontano dalla zona
controllata dai militari tedeschi. (Per la traduzione delle lettere vedere All. 10-6).
A questo punto sarebbe interessante riuscire a trovare una delle persone citate nelle lettere, che hanno
trascorso con lui il periodo di Settembre, chi saranno Marco, Fabio e Olga? Erano partigiani del gruppo
Montella? Con chi era in contatto Barbieri che ha reso possibile trovare un luogo sicuro all’Americano?
Una volta avuta la certezza della definitiva partenza delle truppe tedesche, James è stato accompagnato
alle linee alleate, che nel Montefeltro, il fianco sinistro dello schieramento, erano tenute dagli Inglesi. In
qualche diario di battaglione potrebbe essere menzionato l’arrivo di un aviatore americano.
Oltre alle lettere di Longino, dallo Studio di Bianca Barbieri è saltata fuori un’altra “chicca”, e che chicca.
Ricordo che, appena sono entrato, ho visto in bella mostra sulla parete in fondo alla stanza un quadro con
l’immagine di un Ufficiale dei Bersaglieri che aveva sul petto una bella “sfilza” di medaglie (vedi All. 107). La cosa mi aveva subito incuriosito perché anche io avevo svolto il servizio militare in quel corpo.
Dopo avermi mostrato quello che cercavo e dopo avere parlato di suo padre, il colloquio è finito
inevitabilmente sull’uomo raffigurato nel quadro, Majolo Cucci, suo nonno. Questa è una breve sintesi
della sua vita.
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, trova Cucci mentre l’università a Roma. Si schiera da subito
con gli interventisti e pochi giorni dopo, il 29/05/1915, parte volontario come soldato semplice nel 2°
Reggimento Bersaglieri.
Molto interessante la lettura della biografia di Cucci, scritta da Amedeo Varotti “Majolo Cucci figlio
benemerito del Montefeltro” dalla quale ho estrapolato la seguente descrizione:
“Ha preso subito parte a sanguinosi combattimenti sul Carso. In zona di operazioni partecipa al 1°
Corso Allievi Ufficiali di Complemento e dopo avere preso parte alla battaglia delle Frasche,
nell’Ottobre del 1915, viene nominato sottotenente. Anche lui, su quel Carso, dove tanti eroi si
erano immolati, ebbe a dare il suo contributo di sangue il 18/01/1916, riportando ben 17 ferite. In
seguito a ciò dovette trascorrere diversi mesi di degenza in ospedale … poi dichiarato inabile di
guerra. Passò così lunghi mesi di vita quasi sedentaria … ansioso di ritornare tra i suoi soldati a
combattere tanto fece che ottenne di essere sottoposto ad accertamenti sanitari presso la
Commissione Medica di Torino per essere riconosciuto guarito … Fu così che il 17/11/1917 venne
inviato sul Piave per essere incorporato nel IV reggimento Bersaglieri Ciclisti. Ebbe il comando
della 3a Compagnia e prese parte a nuovi e sanguinosi combattimenti, finché il 16/06/1918, nella
gloriosa controffensiva, rimase nuovamente ferito”.
Per il coraggio dimostrato in quel combattimento gli venne conferita la Medaglia d’Argento al Valor
Militare (vedi All. 10-8) con la seguente motivazione:
“Sin dall’inizio della guerra prese parte a sanguinosi combattimenti, riportando ferite tali che gli
avrebbero dato diritto alla riforma. Tuttavia volle tornare al combattimento, e, avuto il comando di
un reparto, lo condusse all’attacco con energia e valore mirabili. Gravemente ferito da una
scheggia di granata nemica, non abbandonò il combattimento se non quando si fu assicurato
dell’azione di comando del suo successore, e, nell’abbandonarlo, incitò ancora i suoi bersaglieri a
combattere valorosamente”. S. Bartolomeo (Piave) 16/06/1918
La signora Barbieri mi ha riferito che, durante l’intero conflitto, suo nonno aveva ricevuto
complessivamente ben 27 ferite. Non si può certo dire che Cucci fosse uno che se ne stava imboscato
nelle retrovie. Oggi lo avremmo chiamato “un uomo tutto di un pezzo”, una di quelle persone con una
ferrea morale, ed orgoglioso di essere Italiano, come molti di quel periodo. Osservando la sua fotografia è
possibile vedere il distintivo che porta sul braccio sinistro, un “gladio”, tipico dei reparti d’assalto. Dopo
la guerra consegue la laurea in legge. La Regia Prefettura di Pesaro con lettera prot. 5044 del 05/11/1932
gli comunicava che il suo nominativo era stato inserito nell’elenco dei cittadini esenti da obblighi militari,
che per attitudini professionali e culturali, oltre che per qualità morali, era in grado di rimpiazzare gli
amministratori provinciali e comunali eventualmente richiamati alle armi (vedi All. 10-9).
Egli verrà infatti chiamato nel 1936 a coprire la carica di Podestà del Comune di Mercatino Marecchia
(ora Novafeltria), incarico che manterrà sino al termine del conflitto, quando il 12/05/45 venne arrestato
con l’accusa di collaborazionismo con i tedeschi. Quel giorno rimarrà sempre impresso nella sua memoria
per la grande umiliazione subita.
Alcuni suoi concittadini, presi dall’euforia per la fine della guerra, mentre lo stavano portando nella
camera di sicurezza della locale stazione dei carabinieri, lo avevano trattato come fosse il più miserabile
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dei ladri durante l’attraversamento della piazza principale del paese, alla vista di tutti i presenti. In seguito
era stato portato in carcere a Pesaro e rinviato a giudizio ma grazie alle prove raccolte venne pienamente
scagionato.
I benefici derivanti dalla sua amicizia con il Maggiore Bubek sono stati riscontrati anche dal tribunale di
Pesaro, a beneficio della popolazione. L’imponente corredo delle prove non solo ha smentito le accuse, le
ha anche screditate.
Nella già citata biografia di Cucci, Amedeo Varotti ha scritto a pag. 27:
“… quando ingannava il Bubek sul conto della famiglia Bucci, ben sapendo che Olinto Bucci, oltre
al rifornimento di armi e munizioni ai partigiani, nascondeva prigionieri alleati.”
A discolpa di Cucci erano giunte alcune dichiarazioni che rendevano giustizia all’operato di Majolo Cucci
durante la sua attività di podestà. In data 07/03/46 il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di
Novafeltria aveva rilasciato una dichiarazione che lo scagionava pienamente con una inequivocabile
frase:
“…non ha mai dato prova di faziosità fascista, avendo atteso sempre alle sue mansioni
amministrative di podestà nell’interesse di questa popolazione …” (vedi All. 10-10).
Una seconda dichiarazione fornitami dalla Barbieri, scritta due giorni dopo, porta la firma nientemeno che
di Dino Selva. In questa è scritto che l’avvocato Cucci:
“… durante l’occupazione tedesca sapeva che io tenevo nascosto in casa sia un ufficiale
dell’aviazione americana ed altri partigiani, ma cercò sempre di nascondere tali fatti alle autorità
nazi - fasciste ed anzi rilasciava la carta d’identità allo Slavo Giuseppe” (vedi All. 10-11).
Mi sono chiesto da quanto tempo si conoscessero Dino Selva e Davide Barbieri. Il fatto che Dino avesse
rilasciato una dichiarazione che rendeva giustizia al suocero di Davide dall’accusa di faziosità fascista mi
fa pensare che tra i due vi fosse un buon rapporto già da diverso tempo.
E per finire la Barbieri conserva una terza dichiarazione, datata 10/03/46 (vedi All. 10-12), sottoscritta da
circa una settantina di suoi compaesani di varie correnti politiche, che confermavano quanto dichiarato
dal CLN locale. Il primo firmatario risulta Davide Barbieri che si era prodigato nella raccolta, il
quartultimo è Domenico Bucci, in veste di partigiano combattente.
Sull’operato del nonno, Bianca Barbieri ha trovato tra la documentazione di famiglia una importante
testimonianza, una lettera datata 15/09/38 (vedi All. 10-13). Era la risposta ad una precedentemente
scritta da Cucci, per coinvolgere un importante amico che aveva nelle alte sfere del potere romano, per un
progetto che aveva in serbo da anni. Si trattava nientemeno che del Maresciallo dell’Aria, Governatore
Generale della Libia, Italo Balbo, che conosceva sin dalla gioventù, quando entrambi frequentavano il
“Nobile Istituto Belluzzi” di San Marino. Cucci aveva interpellato l’amico per ottenere un aiuto in merito
alla richiesta del finanziamento necessario alla realizzazione dell’acquedotto e della fognatura di
Mercatino Marecchia. Conserva anche lettere di rapporti tra Cucci ed il podestà di S. Mauro circa lo
scambio di legna in cambio del prezioso grano necessario alle esigenze del suo comune, in quanto il
raccolto non copriva il fabbisogno. Una significativa prova di che uomo fosse l’avv. Cucci che nei suoi
pensieri aveva innanzi tutto il benessere della sua comunità, non privilegi personali. La sorella Maria
Cucci, maestra di scuola elementare, tra i cui alunni figura anche Valeria Selva, non aveva mai voluto
lasciare il paese di Maiolo. Cucci è scomparso il 18/06/1955, una data molto significativa per lui, la
ricorrenza della festa dei Bersaglieri, giorno nel quale ha sempre ambito di poter morire, come mi ha
riferito la nipote Bianca. Solo una cosa la nipote Bianca non ha perdonato all’illustre nonno, l’aver
cambiato il nome al proprio comune da Mercatino Marecchia a Novafeltria nel 1941.
Ed ora veniamo alla famosa “chicca” sopra menzionata. Prima di lasciare l’ufficio della signora Bianca,
le ho voluto fare vedere la foto in mio possesso dell’Americano. Lei l’ha guardata con attenzione ed ha
trovato una somiglianza con una foto presente nell’album fotografico di suo babbo. È andata subito a
prendere l’album e me l’ha fatta vedere. Si trattava di un giovane ragazzo con una fanciulla in braccio
nata da pochi mesi (vedi All. 10-14). Bianca non aveva mai saputo chi fosse quella persona,
probabilmente un amico di gioventù del padre. Di fianco a questa foto ce n’era un’altra che raffigurava
una giovane donna con in braccio la stessa fanciulla e si vedeva a pochi metri da lei una bambina di
qualche anno di età. Guardando con attenzione la foto del giovane, si poteva notare una certa somiglianza
con James Longino, ma non ne ero certo. La foto purtroppo si era parzialmente rotta in un precedente
tentativo di staccarla dall’album. Abbiamo provato a vedere se sul retro ci poteva essere scritto qualcosa
di interessante. Su quella della donna c’erano effettivamente alcune scritte, in inglese, e questo era già un
buon inizio.
Osservando con attenzione la parte in vista, abbiamo potuto leggere: “This is Barbara with Susan in her
arms and Diane walking away” (Questa è Barbara con Susan tra le sue braccia e Diane cammina sulla
strada). Era la conferma che si trattava sicuramente della famiglia Longino, ma per averne la certezza
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assoluta farò vedere le foto a Valeria Selva.
Tornato a casa ho informato Carlo di quello che avevo trovato e gliene ho mandato subito una scansione,
poi sono andato da Valeria per fargli vedere le foto. Era proprio lui, il “nostro” Longino.
E pensare che per “un pelo” mi stavo per perdere questi importanti pezzi da novanta della presente
ricerca. Quando ho avuto la conferma dell’esistenza delle lettere, ho pensato di farle andare a ritirare
dall’amico Nucci, che frequenta spesso Novafeltria. Se avessi fatto così, non avrei potuto reperire queste
importanti fotografie e raccogliere anche una parte della interessantissima storia sul nonno di Bianca.
Giunto a questo punto, mi mancava il contatto con la famiglia di Bucci Sabattini Domenico, cosa che
volevo cercare di fare prima di concludere definitivamente il lavoro. Mi è stato riferito che uno dei figli
era un veterinario con studio a Novafeltria, ma non mi hanno saputo precisare come si chiamasse. Ho
contattato l’amico dott. Davide Fabbri che svolge quella stessa professione, per sapere se tra i suoi
colleghi ve n’era uno che lo conosceva e se era in grado di farmi avere il suo numero di telefono. In pochi
giorni, grazie a lui, sono stato in grado di avere i dati che cercavo. Il figlio si chiama Giampietro Bucci
Sabattini, con il quale mi sono messo in contatto il giorno successivo al mio viaggio a Novafeltria.
Dopo essermi presentato, gli ho spiegato il motivo della mia chiamata. Volevo sapere se suo padre in
passato aveva mai raccontato in famiglia che sul loro podere di Cà Michele, a Maiolo, era stato tenuto
nascosto un aviatore americano. Giampietro non ricordava questo particolare. Mi ha detto che suo padre
era un reduce della Campagna di Russia, un Tenente della Divisione Alpina Julia, e che se volevo mi
avrebbe mandato una sua fotografia (vedi All. 5-8). Gli ho riferito che durante le mie ricerche, leggendo
alcuni libri sulla Resistenza nel Montefeltro, avevo trovato menzionato suo padre diverse volte e mi sono
dato disponibile ad inviargli quanto avevo trovato su di lui.
Giampietro è stato molto felice di poter ricevere informazioni sull’attività svolta da suo padre durante il
periodo bellico e mi ha fornito il suo indirizzo di posta elettronica, al quale in serata ho inviato il
materiale promesso. Nel frattempo lui avrebbe contattato sua sorella per vedere di raccogliere ulteriori
dati. Nella mia mail gli ho menzionato anche la storia del secondo aviatore menzionatomi dai Selva, il
Sudafricano precipitato con uno Spitfire in località Ponteuso.
Secondo loro, era stato tenuto nascosto da un’altra famiglia di contadini dei Bucci su un podere a
Massamanenti. Chi erano quei contadini? Era possibile mettersi in contatto con uno di loro.
Giampietro dopo alcuni giorni mi ha dato l'indirizzo di posta elettronica di sua sorella Antonietta grazie
alla quale sono venuto in possesso di altre informazioni sul loro padre.
“Aveva svolto il corso da ufficiale a Lucca ed aveva partecipato a tre campagne di guerra, l’ultima
delle quali in Russia. Ha avuto la fortuna di fare rientro in patria perché era stato ferito durante
un combattimento e per questo motivo portato nelle retrovie prima dello sfondamento del fronte,
evitando così di dover fare la terribile ritirata che ha causato la morte di migliaia di soldati. Le
prime cure gli erano state profuse in un campo di concentramento, ed uno dei militari tedeschi con
cui riusciva a colloquiare solo in latino, non conoscendo la lingua tedesca, gli aveva riferito che
nello stesso locale dove mio padre aveva fatto la doccia, quando entravano gli ebrei invece
dell’acqua calda mandavano gas asfissianti. Tornato a casa in convalescenza, nessuno gli credeva
quando raccontava agli amici questa storia. Una volta per avere macinato del grano per alcuni
nostri contadini, senza autorizzazione, era stato denunciato. Pochi giorni dopo erano arrivati a
casa nostra dei miliziani che lo hanno arrestato. Mi ha raccontato che per un attimo ha temuto per
la sua vita, lo volevano fucilare al pozzo presente davanti a casa nostra. Poi per fortuna hanno
desistito dal loro intento e lo hanno portato in carcere a Pesaro. È stato grazie alle donne di
Secchiano, che a piedi sono andate sino in città, se successivamente è stato liberato. Mio padre era
amico con l’avv. Davide Barbieri di Novafeltria e con la famiglia Carboni di Rimini che durante la
guerra ha abitato una casa a Secchiano. Questa famiglia lo ha nascosto più di una volta in casa
propria”.
Della presenza in casa dei Bucci di un gruppo di militi me ne aveva parlato per telefono il signor Succi
Vilter “Fatot” classe 1929 di Secchiano, a cui mi ero rivolto grazie alla indicazione di un parente di Bucci
che mi era stato segnalato a sua volta da Bianca Barbieri. Vilter di quel periodo poteva raccontarmi molte
cose avendole vissute di persona.
Ecco cosa mi ha riferito:
“La mia era una famiglia di "carater" (carrettieri). Io e mio padre venivamo spesso a Rimini a
vendere legna e carbone. Da un certo periodo in poi ci è capitato spesso di portare nel Montefeltro
molte persone che cercavano sicurezza dalle bombe che avevano iniziato a cadere sulla città. A
casa dei Bucci c’era molto movimento di partigiani. Uno di loro era Montella che dopo la guerra,
quando sono partito per il militare è stato il mio ufficiale nella caserma di Piacenza.Un giorno
Tacchi (il federale di Rimini) e Platania sono venuti su a casa Bucci per una perquisizione. Forse
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avevano avuto una spiata. Ricordo che a Domenico lo hanno arrestato. Quando i tedeschi hanno
iniziato a portare via il bestiame ai contadini, noi abbiamo deciso di nascondere i nostri cavalli. Li
ho portati in zona “Boscara” per tenerli tra la vegetazione. Durante una nuova razzia, alcuni
militari mi sono passati vicino. Per fortuna i miei cavalli sono stati buoni e non hanno nitrito
altrimenti me li avrebbero portati via”
Quindi a detta di Vilter a Secchiano quel giorno era arrivato Tacchi in persona.
Dalla consultazione del cartellino di iscrizione all’ANPI di Pesaro di D. Bucci, già citato in precedenza
(vedi All. 5-7) si può leggere che era un Sottotenente del 108° Reggimento Artiglieria Divisione Costiera,
ma cercando riscontri su questo dato, sembrerebbe che in quel documento vi fosse riportata una
inesattezza. Sul sito:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_dei_reggimenti_di_artiglieria_dell'Esercito_Italiano
ho consultato la lista dei reggimenti di artiglieria del Regio Esercito Italiano e di questo reparto vi è
riportato:
108º RA "COSSERIA" (1941-1943?) RA= Reggimento Artiglieria.
Questa è una breve sintesi su quanto trovato su questa Divisione:
La 5ª Divisione Fanteria "Cosseria" è stata una grande unità del Regio Esercito durante la
Seconda G. Mondiale che ha duramente combattuto in Russia sino alla sua quasi totale distruzione
nel febbraio 1943 ... Al suo arrivo era stata assegnata al controllo di un tratto di fronte sul Don, a
nord della Divisione “Ravenna”. Durante la prima offensiva sovietica, portata dal 20 al 26 Agosto
1942, i reparti della Divisione hanno sostenuto duri combattimenti. In seguito, la Divisione viene
in parte avvicendata dal fronte e impiegata di rincalzo alla Divisione “Ravenna” e in parte inviata
in riordinamento nelle retrovie. In Dicembre, con lo sfondamento delle linee italiane inizia la
ritirata, una lunga marcia, a piedi, in condizioni climatiche terribili, che causano gravi perdite alle
nostre truppe, sempre incalzate dalla pressione delle unità corazzate nemiche. Dopo avere
percorso più di 1.300 km, i fanti superstiti della “Cosseria” raggiungono il 7 Marzo la città di
Gomel. Rimpatriata tra la fine di Aprile ai primi di Maggio, la Divisione viene accasermata in
Toscana per potersi riordinare, per venire successivamente dislocata per una breve periodo a
Milano. Il 25 Luglio viene nuovamente spostata a Sesto S. Giovanni in servizio di ordine pubblico,
dove rimane sino al 12 Settembre, quando il reparto cessa ogni attività militare in conseguenza
dell'armistizio.
In questa breve sintesi sulla storia di questo reparto purtroppo non si trova alcun riferimento ad una sua
possibile dislocazione lungo la costa riminese. Bucci apparteneva realmente a questo Reggimento?
Tornando a rileggere la pagina 133 del libro di Sandro Severi “Il Montefeltro tra guerra e liberazione”, la
testimonianza del Ten. Raffaele Montella riporta:
“10-11/09/43 trasferimento del 110° Regt. Artiglieria in marcia da Miramare a S. Leo; di mia
iniziativa effettuai ripetuti viaggi con un trattore da me guidato … Trasportai a S. Leo tutte le armi
portatili e munizioni abbandonate dai reparti … occultamento nella proprietà del S.Ten. Bucci
(insieme allo stesso Bucci, al S.Ten. Barozzi, All. Uff. Toni Mario, s.c. di marina Grilli)”.
In questo testo non viene citato il 108° Regt. Artiglieria ma il 110° Regt. Svolgendo una ricerca
anche su questo reparto nel sito precedentemente citato, non ho trovato traccia di questo reparto.
Il dubbio rimane, di quale reparto faceva parte Bucci il giorno dell'armistizio e dove era
dislocato?
Visto quanto scritto dal Ten. Montella, doveva sicuramente essere in servizio a Rimini.
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CAP. XI - LA RICERCA DEI FAMILIARI DI LONGINO
Durante la stesura di questo racconto, molte sono state le domande a cui avrei voluto dare risposta. Ma
chi mi poteva aiutare? Purtroppo James è deceduto in un incidente aereo molti anni fa. Era riuscito a
sopravvivere a varie missioni di guerra e ad un periodo trascorso in clandestinità dietro alle linee nemiche
per circa cinque mesi, poi invece il destino ha voluto che perisse in un normale volo di addestramento per
giovani piloti. Un aiuto me lo avrebbe potuto dare un componente della sua famiglia, perché non provare
a cercarne qualcuno? Grazie a Lorenzo Fresi sono venuto in possesso di due indirizzi di persone con lo
stesso cognome, residenti ad Atlanta, la città di James, che con buone probabilità potevano essere suoi
parenti. È noto che le persone in America, per motivi di lavoro, si spostano spesso durante la propria vita,
anche in altri Stati, quindi c’era la probabilità che la sua famiglia non abitasse più ad Atlanta in Georgia.
Il primo indirizzo era quello di un avvocato, John L. Longino, il secondo quello del sindaco di College
Park, Georgia, Jack P. Longino.
Ho preparato una lettera per chiedere notizie su James, che mi ha tradotto Lorenzo Fresi, e in data
16/02/12 l’ho spedita ai due nominativi, indicando sia il mio indirizzo di casa che quello di posta
elettronica nel caso qualcuno dei due avesse avuto voglia di rispondermi, poi mi sono messo in trepidante
attesa. Finalmente dopo undici giorni (27/02), nella mia casella di posta elettronica ho trovato un
interessantissimo messaggio.
Mr. Celli,
It was a great pleasure to receive your letter today. I knew James H. “Jim” Longino of whom you
write. He was my father’s first cousin. I will tell you what I know of him.
I know that he was killed in an airplane crash at the Atlanta airport in 1960. Here is an article
about that crash: http://www3.gendisasters.com/georgia/8840/atlanta-ga-jetliner-crashes-ontakeoff-may-1960.
I knew that he had been shot down in Italy and that he was hidden in the hills of Italy, in a cave we
are told, for several months until the Allied troops liberated the area where he was hiding. I know
that he was named for his grandfather, James Henry Longino, who was my great-grandfather (you
will note below that we have been attorneys in this area since 1876 – it was that James Henry
Longino who became an attorney then and started our line, which I am continuing until – hopefully
- my son James takes it over). By strange co-incidence, my father’s brother was also named James
Henry Longino after the same man. By even greater coincidence, both James Henry Longino were
pilots in WW2 and, by even amazing coincidence, both were Captains at Delta Airlines, flying out
of Atlanta, in 1960 when the crash occurred. For awhile we did not know if my father’s brother or
his cousin had been killed. My father’s brother is still alive, 87 years old. He is called “JH” and I
called and spoke with him when I received your letter.
Jim Longino and his wife Barbara are buried in Fairburn Georgia. He has 3 daughters: Susan,
Diane, and Linda. Linda is my age (60) and I have called her and left a voicemail message for her
to call me. When I get her email address (it used to be – and still may be – …...com) I will let you
know. I have lost track of her older sisters. Shortly after the crash, Barbara and his 3 daughters
bought the house across the small street from where I lived so we were neighbors for about 5 years
before I moved away to college.
I was in San Marino in 1965 but did not know the location or name of the family who took such
good care of my cousin, nor did I know what area of Italy they were in. I hope to be back in that
part of Italy in 2014 as my wife and I are planning a tour for then and perhaps I can then meet
some of the family who was so good to my family so long ago. Please give my best regards to the
Selva family from the Longino family. I am attaching a copy of your letter to this letter because I
am copying it to the only email address I have for Linda. Hopefully it is still her address and she
will get it today. If not, I will track her down and see to it that she gets a copy of your letter and is
able to get in touch with you. Thank you again for your delightful letter.
John Longino
Traduzione testo con Gmail
Signor Celli,
è stato un grande piacere ricevere la sua lettera di oggi. Conoscevo l’H. James "Jim" Longino di
cui mi scrive: era cugino di mio padre. Le dirò quello che so di lui: è morto in un incidente aereo
all'aeroporto di Atlanta nel 1960. Ecco un articolo su questo incidente:
http://www3.gendisasters.com/georgia/8840/atlanta-ga-jetliner-crashes-on-takeoff-may-1960
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Sapevo che era stato abbattuto in Italia e che rimase nascosto tra le colline, in una grotta - a
quando ci venne raccontato - per diversi mesi fino a quando le truppe alleate liberarono la zona
dove si nascondeva. Deve il nome a suo nonno, Henry James Longino, che era il mio bisnonno
(operiamo come avvocati in questa zona dal 1876 - quando James Henry Longino iniziò la
discendenza, che continua con me e - si spera – con mio figlio James). Per una strana coincidenza,
anche il fratello di mio padre si chiama James Henry Longino. Per coincidenza ancora maggiore,
entrambi gli Henry James Longino erano piloti in WW2 e, per una coincidenza davvero
incredibile, entrambi erano Capitani presso la Delta Airlines, ad Atlanta, nel 1960, quando è
verificato l’incidente. All’inizio non sapevamo se a rimanere ucciso fosse stato il fratello di mio
padre o il cugino. Il fratello di mio padre invece è ancora vivo, e ha 87 anni. In famiglia è
chiamato "JH". Gli ho telefonato e ho parlato con lui quando ho ricevuto la sua lettera. Jim
Longino e sua moglie Barbara sono sepolti a Fairburn, Georgia. Lui ha avuto 3 figlie: Susan,
Diane, e Linda. Linda ha la mia età (60) l'ho chiamata e le ho lasciato un messaggio, perché si
mettesse in contatto con me. Quando riceverò il suo indirizzo email (quello di una volta - e
potrebbe essere ancora valido - è ……[email protected]) le farò sapere. Ho perso invece le tracce delle
sue sorelle maggiori. Poco dopo lo schianto, Barbara e le sue 3 figlie hanno comprato una casa
dall'altra parte della piccola strada dove vivevo anch’io, così siamo stati vicini per circa 5 anni
prima che mi trasferissi al college. Sono stato a San Marino nel 1965, ma non conoscevo la
posizione o il nome della famiglia che si era presa tanta cura di mio cugino, e non sapevo in quale
zona d'Italia si trovasse di preciso. Spero di tornare in quella parte d'Italia nel 2014, io e mia
moglie stiamo pianificando un viaggio per allora, e forse potrò incontrare alcuni membri della
famiglia che è stata così buona con la mia, tanto tempo fa. La prego di porgere i migliori saluti
alla famiglia Selva, da parte della famiglia Longino. Allego una copia della sua lettera a questa
email perché metto in copia l’indirizzo email di Linda. Speriamo che sia ancora valido, così
riceverà tutto oggi. In caso contrario, cercherò di rintracciarla per fare in modo che abbia una
copia della sua lettera e possa mettersi in contatto con lei. Grazie ancora per la sua lettera
deliziosa.
John Longino
Mi ha risposto l’avvocato. Ho dato una prima scorsa al testo, ma la mia scarsa preparazione linguistica
non mi permetteva di comprendere l’intero messaggio, così ho dovuto ricorrere all’utilizzo del traduttore
automatico della casella di posta. John era sorpreso ed entusiasta che ci fosse qualcuno in Italia, dall’altra
parte del globo, interessato a quella vecchia storia. La cosa più importante di questa mail era che John era
in contatto con una delle tre figlie di James, Linda, la quale aveva abitato per un certo tempo vicino a casa
sua. John era stato in vacanza in Italia nel 1965 e durante il suo soggiorno era stato a fare visita anche alla
Repubblica di San Marino. Non avrebbe mai pensato di essere stato così vicino al luogo dove il suo
parente James era stato nascosto per alcuni mesi. Si è trovato inoltre a pochissimi chilometri da Elio e
Carlo Selva che oggi abitano a Gualdicciolo (RSM). Sta programmando di tornare in Italia, gli farebbe
molto piacere in quella occasione di poter conoscere i Selva. Sarebbe meraviglioso poterlo accogliere in
pompa magna, magari con una visita in municipio. Meglio ancora se potessero venire anche le tre figlie di
James.
Il giorno seguente (28/02) mi giungeva una seconda mail, era lei, Linda Longino. Informata da John del
contatto con l’Italia, mi inviava questo messaggio:
Mr. Celli:
I will be very happy to share information with you about my father. Most of my information is
based on items that were saved since my father died when I was 9 and my mother died when I was
17 but I think I can pull together some very interesting items that will help your research.
It may take several weeks to get all the items pulled together but I am more than happy to share
what I do know. Once I start putting everything together I can give you more details on what I
have. If you talk to the Selva family please give them my heartfelt thanks for the assistance they
provided my father. Sincerely,Linda Longino
Traduzione testo con Gmail
Signor Celli:
Sarò molto felice di condividere con te le informazioni su mio padre. La maggior parte delle mie
informazioni è basata su elementi che sono stati conservati da quando mio padre morì quando avevo 9
anni, e mia madre morì quando avevo 17, ma penso di poter mettere insieme alcuni elementi molto
interessanti che vi aiuteranno la vostra ricerca. Potrebbero essere necessarie diverse settimane per
mettere insieme tutto, ma io sono più che felice di condividere quello che so. Una volta iniziato il lavoro
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di raccolta, potrò dare maggiori dettagli su quello che ho. Se parlerai con la famiglia Selva ti prego di
portare loro i miei più sentiti ringraziamenti per l'aiuto che hanno dato a mio padre.
Cordiali saluti, Linda Longino
Linda si diceva disposta ad aiutarmi nella mia ricerca. In serata mi sono messo subito in contatto con
Carlo e Valeria Selva per informarli della bella notizia giunta dall’America, porgendo loro i saluti e
ringraziamenti da parte di Linda. Mentre parlavo al telefono con Carlo, alla notizia della figlia di James,
ho sentito la sua voce divenire tremolante, poi commossa. Non l’ho potuta vedere ma probabilmente gli
deve anche essere scesa una lacrima sulla guancia. L’ho sentito veramente molto emozionato.
Mi sembrava una cosa gentile inviare in America le foto della famiglia Selva, sia quelle del 1944 che
quelle attuali, così ho chiesto a Carlo se mi autorizzava a farlo. Logicamente ha acconsentito e le ho
inviate sia a Linda che a John il 10/03/12.
Il primo a rispondere, dopo tre giorni è stato John che sempre molto entusiasticamente mi ha scritto:
How wonderful! I hope that when we are back over there in a couple of years, we can meet and
enjoy discussions of the long-ago times.
Traduzione testo con Gmail
Che meraviglia! Spero che quando saremo tornati là tra un paio di anni, potremmo incontrarci e farci
una bella chiacchierata sui tempi andati.
A sorpresa, in data 14/03 mi è arrivata una terza mail. Mi ha risposto Melissa Brooks, segretaria del
sindaco di College Park al quale avevo inviato la seconda lettera. Molto gentilmente mi ha indicato dati
simili a quelli di John. Da Linda invece, dopo oltre un mese dall’invio, non avevo ancora avuto nessun
messaggio riguardo alle foto. Cosa poteva essere successo? Nel suo messaggio avevo letto un gran
entusiasmo. Forse era andata in vacanza e non era in grado di rispondere. Poi per fortuna tornava alla
carica inviandomi questa mail del 12/05
I apologize with the delay in responding to this email. The pictures were great. I will be sending
you a packet of information soon - where should I mail it? Sincerely, Linda Longino
Traduzione testo con Gmail
Mi scuso per il ritardo nel rispondere a questa email. Le foto erano fantastiche. Io presto vi invierò un
pacchetto di informazioni - dove devo spedirlo? Cordiali saluti, Linda Longino
Mi chiedeva l’indirizzo, aveva preparato qualcosa per me? Il lavoro di ricerca di Lorenzo Fresi sembra
abbia dato i suoi frutti. Ora sono in attesa di come evolverà la situazione … Sono impaziente di vedere
cosa mi potrà inviare Linda.
Febbraio 2013 - Purtroppo alla data odierna, dopo quasi circa un anno dal primo contatto con Linda
Longino, giunto ormai al termine delle ricerche, nonostante un recente contatto per porgergli i miei auguri
di fine anno nessun messaggio è giunto dagli Stati Uniti e ritengo a questo punto che non arriverà più.
Peccato.
60
CAP. XII - SAN LONGINO
Parlando con l’amico Marino Ricci della mia attuale ricerca, nel relazionarlo su cosa concerneva, quando
gli ho menzionato il nome dell’aviatore americano (Longino), mi ha fatto subito presente di averlo già
sentito. Non era sicuro ma lo associava al centurione romano che aveva colpito con una lancia Gesù in
croce, per verificare se era ancora in vita. Ricordavo anch’io quella parte del Vangelo, ma sicuramente
non il nome del centurione. Marino si è avvicinato al suo computer e ha fatto una veloce ricerca su
internet. La conferma di quanto ricordava è arrivata in un attimo, quel soldato romano si chiamava
proprio così. A fine giornata, rientrato alla mia abitazione, non ho potuto resistere alla curiosità di
conoscere altri particolari su quanto emerso, così mi sono messo alla ricerca di ulteriori notizie su questo
interessante nuovo dettaglio.
Era già da qualche tempo che mi chiedevo che origine potesse avere il nome Longino, che ritenevo
potesse essere un cognome di probabili radici italiane. Il fatto che fosse appartenuto ad un soldato romano
non faceva che avvalorare l’ipotesi. Sull’origine di questo cognome potevo chiedere a John Longino:
forse la curiosità lo aveva già portato a svolgere delle ricerche in questo senso. La storia sarebbe stata
ancora più interessante se la sua famiglia avesse avuto origini italiane. Sul sito
http://www.cognomix.it/mappe-dei-cognomi-italiani/LONGINO
ho potuto anche approfondire quanto sia diffuso in Italia questo cognome (vedi All. 12-1). Come si può
vedere dalla mappa quel cognome è presente in varie regioni soprattutto del centro e del meridione (10 in
Campania), anche se in modo sporadico. Questa storia era troppo curiosa così ho pensato di inviare una
mail a John Longino, comunicandogli i siti che avevo trovato e che gli consigliavo di consultare. Quindi a
Roma c’era addirittura la tomba di San Longino e lui era venuto a visitarla ben due volte durante i suoi
viaggi nel 1965 e nel 1973. La statua di San Longino (vedi All. 12-2) è presente nella basilica di San
Pietro in Vaticano, scolpita da Gian Lorenzo Bernini.
Leggendo la sua mail si capisce l’interesse che ha per un certo genere di argomento e quanto sia vasta la
sua cultura. Dopo tutto è un avvocato. Deve essere una persona veramente interessante.
Va a finire che il loro bis, bis, bisnonno ha effettivamente avuto a che fare con Gesù e poi è divenuto pure
Santo. Non è da tutti avere un Santo tra i propri antenati.
Etimologia: Longino = alto, lungo, dal latino
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera:
http://it.wikipedia.org/wiki/Longino
Nascita
Morte
Venerato da
Lanciano, I secolo
Mantova, I secolo
Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi
Canonizzazione
Santuario principale
Ricorrenza
Attributi
pre-canonizzazione
basilica di Sant'Andrea (Mantova)
15 marzo
lancia, ampolla con il sangue di Cristo
Patrono di
militari, ciechi
Cassio Longino (Lanciano, I secolo – Mantova, I secolo) dal latino: Longinus, è secondo una tradizione
cristiana, il nome del soldato romano che trafisse con la propria lancia il costato di Gesù crocifisso, per
accertare che fosse morto, come riporta il vangelo di Giovanni:
« ... ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. » (Giovanni 19,
34).
Nei vangeli canonici non è presente il nome del soldato, il nome "Longinus" deriva da una versione degli
Atti di Pilato, apocrifi. Longino è venerato come martire dalla Chiesa ortodossa e come santo dalla Chiesa
cattolica.
Ricostruzioni agiografiche - Nato in Italia centrale presso la città di Anxanum (oggi Lanciano) e lì tornò
in vecchiaia, militò nella Legione Fretense, di stanza in Siria e nella Palestina attorno all’anno 30.
Secondo la tradizione fu il centurione romano che al momento della morte di Gesù gridò: ”Costui era
veramente il figlio di Dio”, e che successivamente, quando il corpo di Gesù doveva essere deposto dalla
croce perché stava per iniziare il sabato, giorno di festa per gli ebrei, in cui non si potevano lasciare i
61
cadaveri dei condannati a morte esposti per evitare di spezzargli le ossa delle gambe, come prescriveva la
legge, per un atto di pietà, preferì colpirgli il costato con la lancia. Una tradizione medievale racconta che
Longino era malato agli occhi, ma il sangue di Gesù, schizzato su di essi, lo guarì. Potrebbe essere una
leggenda popolare nata per dire che la vista del sangue di Cristo, mentre era ai piedi della croce, gli aprì
gli occhi alla fede cristiana. Secondo una leggenda Longino è nato nel villaggio di Sardial in Cappadocia.
Comandò poi i soldati messi di guardia al sepolcro di Gesù, e dopo la sua Resurrezione, andò assieme alle
altre guardie dai sommi sacerdoti a riferire l’accaduto. Questi tentarono di corromperli con doni e
promesse affinché testimoniassero falsamente che i soldati di guardia al sepolcro si erano addormentati,
permettendo che i seguaci di Gesù ne trafugassero il corpo, per poi dire che era risorto. Mentre gli altri
soldati si lasciarono corrompere, Longino rifiutò di dire il falso, anzi contribuì a diffondere a
Gerusalemme il resoconto della Resurrezione di Cristo. Per questo motivo cadde in disgrazia agli occhi
dei maggiorenti della città, che decisero di farlo uccidere, il centurione però avendo scoperto questo
disegno, lasciò l’esercito romano assieme a due commilitoni e si rifugiò in Cappadocia.
Anche lì diffuse la notizia della Resurrezione, convertendo al cristianesimo molte persone. La cosa fu
notata dalle comunità israelitiche presenti nella regione, che la riferirono subito ai sacerdoti di
Gerusalemme, che intervennero presso Pilato chiedendo la condanna a morte di Longino per tradimento.
Pilato acconsentì e inviò in Cappadocia due fidati soldati della sua guardia con l’ordine di catturare lui e i
suoi due compagni, decapitarli e riportargli indietro le loro teste. Appena giunti questi incontrarono
Longino, ma non lo riconobbero, anzi gli chiesero dove potessero rintracciarlo. Il centurione si offrì di
aiutarli e li ospitò in casa sua per tre giorni. Quando giunse il momento di accomiatarsi, i due soldati gli
chiesero come potevano sdebitarsi dell’ospitalità, egli allora si rivelò dicendo: Sono Longino, che state
cercando, sono pronto a morire e il più grande regalo che possiate farmi è di eseguire gli ordini di chi vi
ha mandato. I due non volevano credere alle sue parole, ma poi dietro le sue insistenze e per paura della
punizione di Pilato, si decisero a eseguire la sentenza su di lui e sui suoi due compagni. Longino
raccomandò loro dove dovevano seppellire il suo corpo, si fece portare da un servo una veste bianca, la
indossò e si lasciò decapitare.
Le due guardie riportarono a Gerusalemme le teste dei tre condannati, che Pilato fece esporre alle porte
della città e poi fece gettare in una discarica. Dopo qualche tempo, una povera donna cieca della
Cappadocia, rimasta vedova, si mise in viaggio per Gerusalemme guidata dal figlioletto, per chiedere la
grazia di essere guarita, appena giunse nella città il figlio morì lasciandola sola e senza guida. Le apparve
in sogno Longino, incoraggiandola e promettendole che avrebbe pregato per la sua guarigione, le chiese
poi di aiutarlo a dare degna sepoltura alla sua testa e le indicò il luogo dove doveva andare a cercarla. La
cieca allora, facendosi accompagnare, ritrovò la testa di Longino nella discarica, sotto un mucchio di
pietre, appena la toccò riacquistò la vista. Dopo le riapparve in sogno il santo che la rassicurò, facendole
vedere che il figlio era già in paradiso. La pregò poi di riporre la sua testa nella stessa bara del figlio e di
seppellirla a Sardial nel suo villaggio natale.
Un’altra tradizione racconta che divenne cristiano e portò con sé in Italia il sangue raccolto dalla ferita di
Gesù in un’ampolla, osservandolo il sangue si liquefaceva. Longino sarebbe poi stato martirizzato nei
pressi di Mantova.
Culto - Il Martirologio romano fissa la memoria liturgica il 15 marzo.
Secondo la tradizione di Mantova, dopo il martirio avvenuto nei pressi della città, fu seppellito nel sito
dove poi sorse la basilica di Sant'Andrea. Nella cripta della stessa basilica, si conservano tuttora la
reliquia della fiala del "preziosissimo sangue di Cristo", che sarebbe il sangue raccolto da Longino, e la
reliquia della spugna usata per dare da bere l'aceto a Gesù. La tradizione vuole che per tutelare le preziose
reliquie, Longino seppellì la cassettina contenente il sacro sangue in un luogo segreto nei pressi
dell'Ospedale dei Pellegrini. Martirizzato il 2 dicembre dell'anno 37 venne sepolto nella contrada
mantovana chiamata Cappadocia. Per secoli si persero le tracce della reliquia del Preziosissimo Sangue,
fino all'anno 804, quando Sant'Andrea, apparso ad un fedele, indicò con precisione il luogo dove si
trovava interrata la cassetta portata da Longino. Nello stesso sito si trovarono le ossa del martire
conservate ora nella basilica di Sant'Andrea. La santificazione del vecchio soldato avvenne il giorno 2
dicembre 1340 sotto il papato di Innocenzo VI.
La lancia di Longino - Nel medioevo, ebbe anche grande diffusione un'altra reliquia del santo, la sua
lancia. In verità, numerose furono le reliquie identificate con la lancia di Longino. Gli imperatori del
Sacro Romano Impero, ad esempio, da Ottone I in poi, avevano fra le proprie insegne la cosiddetta Sacra
Lancia (o Lancia del Destino), e presto arrivarono ad identificarla con quella. Nella punta di questa
Lancia sacra fu incorporato un chiodo di ferro che sarebbe uno di quelli usati per crocifiggere Gesù.
Ancora oggi essa è custodita a Vienna. Un’altra reliquia della punta della lancia di Longino raccolta dal re
di Francia san Luigi fu conservata con altre reliquie attribuite a Gesù, come la corona di spine ed un
62
frammento della Vera Croce, nella Sainte - Chapelle di Parigi fino alla Rivoluzione francese, quando
furono disperse dai rivoluzionari.
Esiste anche un altro filone, tutto italiano su questa storia, su un sito ho trovato:
http://xoomer.virgilio.it/giampib/rassegnastampa/stampa%20Avvenire%2021%20Aprile%202000.htm
Il buon Longino avrebbe avuto infatti origini emiliane, perché la X Legione, allora di stanza in Palestina,
faceva la sua leva appunto in quella zona; il suo vero nome era Caio Cassio - nota bene: un Cassio
Longino è citato nella Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio come repressore di una rivolta palestinese nel
53 a.C. mutato in Longino col battesimo. Subito dopo il quale l'ex militare sarebbe ritornato in padania,
portando in una cassetta di piombo la terra del Golgota impregnata del sangue di Cristo e la spugna da cui
Gesù bevve l'aceto. Nel 36 d.C., narra una cronaca del XII secolo, Longino sotterrò il suo tesoro nell'orto
dell'ospizio dei pellegrini a Mantova; quindi si dedicò alla predicazione, subendo il martirio il 2 dicembre
del 37. Il suo corpo fu sepolto accanto all'urna delle reliquie (guarda caso, in una località detta
Cappadocia): proprio dove oggi sorge la basilica di Sant'Andrea che - in una cappella affrescata da Giulio
Romano - conserva tuttora il sarcofago coi resti di san Longino. Le reliquie mantovane del "lateral
Sangue di Cristo" vennero riscoperte una prima volta nell'804 e definitivamente nel 1048, attirando un
impressionante flusso di illustri pellegrini, papi da Leone III a Giovanni Paolo II, e imperatori da Carlo
Magno a Enrico III e Carlo V. Ma il culto a Longino era attestato già dal IV secolo, epoca in cui il suo
nome ricorre in iscrizioni sacre su amuleti e capitelli e la sua festa entra nei martirologi sotto la data del
15 marzo. Longino è anzi un santo molto considerato; a tal punto che nel Seicento la sua statua colossale,
scolpita da Gian Lorenzo Bernini, poteva essere collocata in una delle 4 logge "delle reliquie" in San
Pietro a Roma, immediatamente a ridosso dell'altar maggiore. Insieme al velo della Veronica, infatti, alla
croce ritrovata da sant'Elena e al cranio di sant'Andrea, proprio la punta della lancia del vecchio Longino
viene considerata una delle "reliquie maggiori" e dei tesori spiritualmente più preziosi della Basilica
vaticana, a cui venne donata dal sultano turco Bayazid II alla fine del XV secolo. Roma, peraltro, non è
l'unica città a vantare il possesso della prestigiosa reliquia. Un'altra punta di lancia stava a Parigi nella
regale Sainte Chapelle: giunse in Francia nel 1214 da Costantinopoli come pagamento di un debito al
santo re Luigi IX, interessò Tommaso d'Aquino e scomparve durante la Rivoluzione francese. Un terzo
frammento di lancia, conservato a Gerusalemme, finì nel 615 nel bottino del conquistatore persiano
Cosroe II ma fu ripresa dall'imperatore bizantino Eraclio e riposta nella chiesa del Santo Sepolcro nel
629. Un'altra lancia è conservata dai cristiani armeni: sarebbe quella trovata ad Antiochia da Pietro
l'Eremita durante la prima crociata nel 1098. L'ultima, quella detta di Norimberga, reca incorporato un
chiodo della croce di Cristo, fa parte del tesoro degli Asburgo e forse fu usata per le incoronazioni
imperiali; oggi è conservata a Vienna ed è la stessa cui s'interessò molto da vicino Hitler.
63
CAP. XIII - BIOGRAFIA LONGINO
La ricerca sulla vita militare di Longino ha presentato immediatamente un dubbio, perché nel sito
http://aad.archives.gov
comparivano due persone con lo stesso nome, e nemmeno a farlo apposta, provenienti dalla stessa città
ARMY
SERIAL
NUMBER
NAME
RESIDENCE
STATE
RESIDENCE
COUNTY
PLACE OF
ENLISTMENT
DATE OF
ENLISTMENT
YEAR
34084889
LONGINO
JAMES H
GEORGIA
34822734
LONGINO
JAMES H
GEORGIA
SOURCE OF
ARMY
PERSONNEL
YEAR
OF
BIRTH
DE KALB
FT MCPHERSON
ATLANTA
GEORGIA
41
Civil Life
18
FULTON
FT MCPHERSON
ATLANTA
GEORGIA
43
Civil Life
23
Sarà in seguito l’avvocato John Longino a chiarirci il dubbio, il secondo James era suo zio paterno, e
cugino di quello di mio interesse. Anche per la stesura di questo capitolo è stato importantissimo l’aiuto
dell’amico “internauta” Lorenzo Fresi che in data 19/12/11 mi ha inviato quanto è riuscito a raccogliere
in rete.
“Ecco quello che ho scoperto su James Longino, questa volta ho avuto fortuna ed ho trovato un bel po’ di
info, ma non sempre è così. Prima di continuare devo fare una premessa: queste ricerche hanno sempre un
margine di errore, che è dovuto alle omonimie. In uno Stato grande come gli USA è quasi impossibile che
una persona non abbia diversi omonimi. In questo caso però ti posso dire che il margine di errore è molto,
molto basso, perché già i James H. Longino sono pochi, poi incrociando tutti i dati che ho trovato credo di
essere riuscito a restringere il campo al solo Longino che interessa a noi. Quindi, se da una parte ti dico di
non prendere la storia che ti scrivo di seguito come fosse vangelo, dall’altra ti dico che nel caso specifico
credo che non ci siano possibilità che il Longino in questione non sia il nostro, perché troppi dati
coincidono.”
James H. Longino nasce nel 1918 in Georgia (vedi All. 8-3) dove cresce, frequenta il college e
probabilmente ottiene un impiego da contabile. Nel 1941 viene richiamato alle armi, il 10 Luglio dello
stesso anno viene reclutato a Fort Mc Pherson, Atlanta, Georgia, con il grado di soldato semplice.
Longino viene destinato, o fa domanda volontaria di ammissione nell’Air Force, dove ottiene il grado di
2nd Lieutenant e la mansione di copilota. Terminato l’addestramento, viene assegnato al 707° Squadron
del 346° Bomb Group che dal 04/11/43 è di stanza a Flixton in Inghilterra, con la mansione di copilota sul
B-24 N° 41-29136 chiamato “El Toro - Bull of the Woods” pilotato dal 2nd Lt. Henry J. Saborsky.
Durante i primi mesi del 1944 Longino e Saborsky vengono trasferiti al 343° Bomb Squadron del 98°
Bomber Group di stanza a Lecce, infatti il 05/06/44 li troviamo con le stesse rispettive mansioni di pilota
e copilota sul B-24 H N° 41-28928 chiamato “Mable” impegnati in quella che sarà la loro ultima
missione di guerra. Prima di proseguire, bisogna dire che quello del “Mable” del 05/06/44 è un
equipaggio che si può definire “non regolare”. In quegli anni nell’USAAF per equipaggio “regolare” si
intendeva quello in cui i membri avevano partecipato a molte missioni insieme, in altre parole un team, e
quello del “Mable” il 5/6/44 non lo era di certo. Vediamo nel dettaglio: Saborsky e Longino, pilota e
copilota, erano una coppia affiatata. Il 1st Lt. Jack Herb, (mansione: bombardiere) si era offerto
volontario per quella missione poiché doveva recuperare un turno che aveva perso col suo solito
equipaggio perché era stato malato. Lo accompagnava nella missione il suo solito navigatore il 2nd Lt.
Carl Karsh. Invece il 2nd Lt. Robert Francis Sullivan, che solitamente era copilota, in quella missione era
a bordo come “left waist gunner” (mitragliere sx). Lo S. Stg. Alexander MacArthur era anch’esso a bordo
come sostituto di un componente malato. In ogni caso il 05/06/44 il B-24H “Mable” parte in missione.
L’obbiettivo sono i nodi ferroviari intorno a Bologna ma una volta raggiunto l’obbiettivo, mentre inizia il
bombardamento, l’aereo viene pesantemente colpito dalla contraerea. Resosi conto che il velivolo non
poteva tornare alla base, l’equipaggio fece del suo meglio per mantenere l’aereo stabile e Saborsky e
Longino lo portarono sino alla quota di 1500 metri, dalla quale tutto l’equipaggio poté paracadutarsi in
sicurezza nei pressi di Faenza, come risulta da alcuni documenti. L’intero equipaggio riuscì a salvarsi, ma
una volta a terra tutti, tranne uno, vennero catturati dai tedeschi. A seguito di questo fatto i documenti
dell’epoca presumono che quell’uno sia deceduto nell’impatto, invece noi oggi sappiamo che egli era
James H. Longino e che era stato salvato e nascosto dai civili della zona. Gli altri membri dell’equipaggio
una volta catturati vennero mandati in Germania nel campo di prigionia per aviatori Stalag Luft III nella
64
Bavaria. Anch’essi, come molti altri aviatori, nel Gennaio 1945 abbandonarono il campo e vennero
trasferiti ad Ovest, per sfuggire alle avanguardie dell’Armata Rossa, con una marcia forzata in mezzo alla
tormenta che è rimasta famosa con il nome di “West March” e che provocò decine e decine di
congelamenti. Terminato il conflitto, Longino rientra in patria e si stabilisce a College Park, un piccolo
centro nei pressi di Atlanta (Georgia). Diventa pilota civile con il grado di Capitano nella Delta Airlines,
una grossa compagnia aerea con sede ad Atlanta, lo stesso luogo in cui solo pochi anni prima Longino
aveva iniziato la sua carriera militare. Il 22/07/59 Longino partecipa al volo di consegna del primo
Douglas Dc-8. Il moderno jet, prima di giungere a destinazione, conquista un record di velocità nella
tratta Long Beach – Miami. La mansione di Longino a bordo del volo è di fare l’assistente del pilota per
l’atterraggio ad Atlanta, pista che lui conosce molto bene. Ma il momento in cui Longino balza una prima
volta agli onori delle cronache è nel Febbraio del 1960 quando egli stesso è pilota nel volo di consegna
del primo Jet Convair 880 alla Delta Airlines. Durante il volo verso Atlanta, da San Diego, Longino
conquista un record di velocità ed alcune settimane più tardi, sempre alla cloche di un Convair 880
conquisterà anche un record di velocità transcontinentale. Ma il nome di James Longino e del Convair
880 (vedi All. 13-1) si legano indissolubilmente, e fatalmente, la mattina del 23/05/60 quando,
nell’aeroporto di Atlanta, durante la fase di decollo di un volo senza passeggeri, un Convair 880 esce di
pista e si trasforma in una palla di fuoco che non lascia speranza ai componenti dell’equipaggio (vedi All.
13-2). I soccorritori dovranno lavorare un giorno intero per spegnere l’incendio. Le vittime risultano
essere: Cap. James H. Longino, 41 anni; Cap. H. L. Laube, 45 anni; 1° Ufficiale Bryan Bolt, 31 anni e
Cap. W. F. Williams, 50 anni. Il Presidente della Delta Airlines dirà in seguito che le cause dell’incidente
sono sconosciute, ma sono probabilmente da attribuirsi ad errore umano, dato che quello doveva essere un
volo di addestramento per il primo ufficiale Bolt. In ogni caso, non essendo stati coinvolti dei passeggeri,
probabilmente non vennero fatte indagini approfonditissime e l’incidente venne messo a tacere al più
presto possibile perché non faceva una bella pubblicità alla compagnia aerea. Molta gente ad Atlanta
ricorda ancora quel giorno, perché l’aereo esplose con un tremendo boato che sconvolse la città e poi
proiettò una densa colonna di fumo nero che durò ore ed ore. Particolarmente toccante la testimonianza
della figlia di un dipendente della Delta Airlines, che Longino, di cui era amico, aveva invitato su quel
volo. Quest’uomo, che aveva rifiutato l’invito solo perché aveva un altro impegno, si trovava a casa
quando udì il tremendo boato. Senza proferire parola, l’uomo usci in strada correndo e rincasò solo a
tarda sera, dopo aver aiutato tutto il giorno i soccorritori. Un'altra commovente testimonianza di quel
giorno giunge da un uomo che all’epoca era uno scolaro a College Park. Questi si trovava in classe
quando tutti udirono l’esplosione. Dopo circa mezz’ora arrivarono i dirigenti scolastici in classe e
chiesero a Susan, la sua compagna di classe, dove si trovava sua madre dato che a casa non rispondeva al
telefono. Susan era la figlia minore di James Longino, e i dirigenti della scuola la prelevarono insieme a
sua sorella Linda per cercare di rintracciare la madre, che al momento era a far compere ad Atlanta”.
Notizie tratte dal sito:
http://it.wikipedia.org/wiki/Convair_880
Il Convair 880 era un aereo di linea costruito nei primi anni sessanta. L'aereo fece il suo primo volo nel
Gennaio 1959. In rapporto ai suoi concorrenti diretti, quali il Boeing 707 e il Douglas DC 8, era un poco
più piccolo, ma più veloce. Malgrado fosse un forte emettitore di fumo (i Convair sono rimasti nella
memoria per i falsi allarmi incendio che seguivano talvolta i loro decolli), questo reattore era affidabile.
Era anche molto rumoroso e consumava di più rispetto ai motori a doppio flusso (Boing 707 e DC 8).
Avendo quindi un rapporto costo/carico pagante superiore alla concorrenza, l’aereo non ebbe un grande
successo commerciale e solo 65 unità furono vendute. Da questa sintetica descrizione del velivolo si
legge del difetto che avevano a volte in fase di decollo: “dei falsi allarmi incendio in fase di decollo”.
Potrebbe essere stata questa la causa della morte di Longino?
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CAP. XIV - GLI EBREI A PUGLIANO
Mentre a Maiolo una famiglia di mezzadri teneva nascosto sul podere un aviatore americano, a pochi
chilometri di distanza dalla loro abitazione, a Pugliano (vedi All. 6-3), un gruppo di ebrei trova alloggio
presso la Villa Labor, un imponente villa di proprietà della vedova del conte Battelli. Da dove venivano
queste persone? La loro storia è narrata nel libro di “Un cammino lungo un anno” di Drudi Emilio. Questa
è una sintesi di ciò che successe loro in quel periodo. La comitiva, formata da diversi nuclei familiari,
l'11/9/43 era giunta a Bellaria, guidata dall'avvocato Ziga Neumann e dal suo genero Joseph Konforti, gli
unici due che parlavano correttamente la lingua italiana. Il giorno dell’armistizio si trovavano nel campo
di internamento per prigionieri civili di Asolo (TV) da dove riuscirono ad allontanarsi dopo la fuga dei
militari addetti alla loro sorveglianza. A Bellaria queste persone trovarono ospitalità presso la Pensione
Savoia di Ezio Giorgetti presentandosi come profughi dell’Italia meridionale in attesa di un’imbarcazione
che dalle coste romagnole li riconducesse a Bari, già liberata dagli Alleati. Dopo alcuni giorni però,
Giorgetti capì che i suoi ospiti erano stranieri e chiese spiegazioni. Essi dichiararono di essere ebrei
jugoslavi e gli raccontarono la loro storia. Pur conoscendo i rischi a cui andava incontro, Giorgetti decise
di aiutare quelle persone e ciò sino all’Ottobre 1944. Giorgetti trovò un valido aiuto nel maresciallo dei
Carabinieri di Bellaria, Osman Carugno, che garantì al gruppo una costante protezione. Il gruppo di ebrei
rimase nella zona di Bellaria, anche se vi fu la necessità di trasferirli più volte, fino all’inizio dell’estate
del 1944, quando tutti i cittadini furono obbligati a lasciare le proprie abitazioni per ordine del generale
Kesserling.
Giorgetti e Carugno cercarono allora una nuova località in cui nasconderli e con l’aiuto di Giannetto
Filippini, un parente di Giorgetti che commerciava in prodotti agricoli e bestiame, venne individuata Villa
Labor (o Battelli), nel piccolo paese di Pugliano frazione di Montecopiolo, dove si sperava non arrivasse
la guerra. Tra la fine di Aprile ed i primi di Maggio tutti raggiunsero Pugliano. Purtroppo le loro
aspettative furono disattese. Dopo alcuni mesi, nel Luglio ‘44 i tedeschi gli imposero di lasciare libero
l’edificio, destinato a diventare un ospedale militare, e il gruppo fu costretto a cercare un nuovo rifugio.
Joseph Konforti: “Arrivarono due ufficiali tedeschi e ci chiesero di lasciare libera quella
tranquilla dimora. Uno dei giorni seguenti venne da noi il signor Gabrielli, un abitante di
Pugliano Vecchio. Gestiva un piccolo caffè e una tabaccheria dove i contadini trascorrevano il
loro tempo libero e dove anche noi andavamo per parlare con i paesani. Gabrielli venne da noi
con una proposta: sapevano che dovevamo lasciare Villa Labor e che era difficile trovare un altro
luogo capace di ospitare tutti, così gli abitanti di Pugliano Vecchio avevano deciso di mettere a
nostra disposizione ognuno una stanza della propria abitazione. Una casa fu liberata
completamente e divenne la nostra cucina e la sala da pranzo. Ci promisero che avrebbero diviso
con noi le loro provviste: avevano latte, uova e farina per la polenta. Ci saremmo divisi tutto, nel
bene e nel male”.
Durante la permanenza a Villa Labor, più volte Neumann e Konforti incontrarono il Segretario di Stato
agli Interni della Repubblica di San Marino, che offrì loro ospitalità e protezione. Il gruppo, tuttavia,
preferì rimanere in zone poco abitate ed accolse la proposta degli abitanti di Pugliano Vecchio, un
villaggio a circa un chilometro di distanza.
Anche a Pugliano Vecchio il problema maggiore sono i tedeschi e i fascisti. Quasi tutti hanno portato in
montagna gran parte del bestiame per sottrarlo alle requisizioni. Molti giovani poi che non si sono
presentati alla chiamata alle armi nella Repubblica Sociale, vivono in stato di allerta. Se si avvicina una
pattuglia, tutti gli uomini spariscono dal villaggio rifugiandosi nei valloni dove sono nascoste le greggi.
Una volta l’allarme giunge tardivo e i tedeschi arrivano sul posto quando alcuni uomini sono ancora in
vista. I militari li inseguono sparando e lanciando granate ma per fortuna nessuno viene catturato o rimane
ferito. Da quell’episodio il sistema di allerta viene potenziato con turni di guardia alle due estremità del
villaggio.
Nella notte tra il 19-20 Settembre la guerra arriva anche a Pugliano. Sono circa le 23:00 quando si ode
uno sparo improvviso, seguito da altri colpi. Tutti si svegliano. Fuori è buio pesto. Pochi minuti dopo
dalla strada risuonano i passi chiodati di numerosi soldati e dei loro cavalli da trasporto. Neumann dalla
finestra urla di non sparare più. La mattina seguente tutti comprendono cosa era successo, si tratta di una
piccola formazione di tedeschi e slavi in ritirata dalla valle del Mazzocco diretti verso l’incrocio per
Villagrande e S. Leo. Poco prima del villaggio qualcosa ha insospettito i militari che temendo una
imboscata dei partigiani hanno iniziato a sparare. Si sono fermati nel villaggio requisendo l’ultimo
casolare, isolato ed in posizione sopraelevata rispetto agli altri, scacciandone gli occupanti. Il
66
sottoufficiale che li comanda dice che provengono dalla Valconca e negli ultimi giorni hanno dovuto
difendersi anche dagli attacchi partigiani. Per essere sicuro che in paese non ve ne siano obbliga Konforti
a seguirlo in una ispezione casa per casa. I soldati guardano e rovistano dappertutto ma per fortuna non
trovano nulla che possa destar sospetto e la tensione si allenta.
Gli ebrei presenti nel villaggio temono il peggio, proprio ora che gli alleati sono vicinissimi. Nel
pomeriggio il sergente fa chiamare Konforti con il quale si mette a chiacchierare. Loro sono tra gli ultimi
reparti della retroguardia. In serata, come richiesto dai militari tedeschi, viene organizzata una piccola
festicciola… Alle tre di notte del 21 Settembre l’intero reparto abbandona Pugliano. Alle prime luci
dell’alba tutti, i trenta ebrei e i contadini, sono per strada. Per la prima volta dopo tanti mesi ora possono
pensare ad un futuro migliore. Ora che non vi sono più ragioni per rimanere nell’ombra, gli abitanti di
Pugliano vecchio vengono a sapere che hanno ospitato un gruppo di civili di religione ebraica. Dopo
giorni di attesa per la pioggia incessante, il gruppo di ebrei riuscì a partire verso Ancona dove
giungeranno il 24 Ottobre, luogo dal quale contavano di partire in nave per Bari e da qui con un po’ di
fortuna raggiungere definitivamente un luogo sicuro.
Ziga Neumann: 10/10/44 “Alle sette di mattina partiamo, ma mentre siamo per strada riprende a
piovere. I buoi sono attaccati ai carri. Percorriamo la strada fino a Montemaggio sotto una
pioggia torrenziale, siamo tutti bagnati fino alle ossa. Sono arrivati gli autocarri. Uno è già qui,
gli altri due sono dall’altra parte del fiume e non possono attraversarlo per la piena. Saliamo sul
camion con tutti i bagagli, come sardine, e via. L’autocarro passa il fiume, ma rimane bloccato nel
fango; nel trascinarlo a riva il mucchio di bagagli crolla e quasi schiaccia i nostri vecchi. Stiamo
fermi per un’ora prima di riuscire a liberare il camion dal fango. Proseguiamo fino a San Marino,
dove ci fermiamo a mangiare. Continuiamo verso Pesaro. Il gruppo rimase a Pesaro un giorno,
poi proseguì verso Ancona. Joseph Konforti ritornò a Rimini per cercare Ezio Giorgetti: per tutti
era impossibile partire senza salutarlo, senza ringraziarlo”.
Per l’aiuto offerto a quelle persone, il 17/6/64, Ezio Giorgetti fu onorato in Israele con il titolo di “Giusto
fra le nazioni” presso l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme, che dal 1953 è impegnato in un meticoloso
lavoro di ricostruzione storica sugli eventi legati all'Olocausto, al fine di riconoscere e perpetuare la
memoria di martiri ed eroi della Shoah. (“Gentile, giusto” è quella persona non ebrea che ha rapporti
amichevoli con ebrei). Giorgetti fu il primo dei 295 “gentili” italiani ad essere invitato e onorato ad
Israele, con tale titolo, onore riservato a tutte le persone che nel corso del secondo conflitto mondiale
rischiarono la propria vita per salvare il popolo ebraico dalla minaccia nazifascista. Anni dopo anche
Osman Carugno verrà insignito dello stesso titolo.
Quali reparti tedeschi sono passati a Maiano? La risposta a questa domanda la troviamo nel libro di A.
Montemaggi “Rimini S. Marino ‘44, la battaglia della linea gialla”. A pagina 187 è riportato:
“L’arretramento della linea del fronte riguarda soprattutto la Valmarecchia. Quando la 44a
H.U.D. se ne va verso il Santerno, le divisioni attigue, la 305 Inf. e la 114a Jager Division si
allargano … la 114a Jag. dispone il I/721 fra … , il I/741 a Novafeltria e Talamello. La linea di
difesa della Divisione va da Monte Comero a Pietracuta (S. Leo), linea che viene raggiunta entro il
22/9... in modo ordinato senza alcun disturbo da parte del nemico, … La Valmarecchia deve essere
abbandonata entro il 23/9”.
Un altro importante fatto, poco conosciuto al pubblico, è avvenuto a poche decine di chilometri da Maiolo
durante l’estate del 1944. Si tratta del salvataggio di importanti opere d’arte nascoste nella Rocca di
Sassocorvaro e nel Palazzo dei Principi in Carpegna. L’artefice della cosa è stato Pasquale Rotondi, nato
ad Arpino (Frosinone) e soprintendente alle gallerie delle Marche dal 1939 al 1949, grazie al quale si
riuscì a salvare 6.509 opere artistiche provenienti dalle Marche, da Venezia e dall’Istria che i tedeschi
volevano trasferire in Germania, conservandole nella Rocca di Sassocorvaro. Salvò anche 112 casse
provenienti da Milano, 70 da Venezia, 29 da Roma contenenti opere di primaria importanza, presso il
Palazzo dei Principi in Carpegna.
67
CAP. XV - IL SOPRALLUOGO
In data 29/09/12 i fratelli Elio e Carlo Selva mi hanno accompagnato a visitare i luoghi dove erano nati e
dove si era svolta la vicenda di Longino. La zia Valeria non ha potuto partecipare a causa delle non buone
condizioni di salute del marito, e forse anche per non dover soffrire troppo di malinconia nel tornare nei
luoghi natii dai quali è assente da diversi anni. Raggiunta la casa di Carlo, che abita ad Acquaviva di San
Marino, mi sono fermato da lui per circa una mezzoretta per scansionare alcune foto di famiglia, poi ci
siamo messi in marcia per raggiungere la nostra meta.
In corrispondenza di Secchiano, abbiamo lasciato la strada Provinciale Marecchia, svoltando a sinistra, e
poco dopo avere oltrepassato l’omonimo fiume, abbiamo preso a salire il versante Nord della collina sul
quale si trova Maiolo. Prima di raggiungere la casa dei Selva di Cà Michele (vedi All. 15-1 e 5-2), ci
siamo fermati alla chiesa di S. Biagio, vicina al borgo di S. Apollinare (vedi All. 15-2) dove allora abitava
e celebrava messa, oltre che nella chiesa di Maiolo paese, il parroco Don Angelo Bollini.
Lungo il breve tragitto tra la chiesa e casa Selva, abbiamo incrociato alcune auto d’epoca che, a velocità
sostenuta, ci hanno letteralmente sfiorato. Stavano rievocando, in modo piuttosto aggressivo, una gara
d’altri tempi. Facevano parte della manifestazione sportiva “Gran Premio Nuvolari” (vedi All. 15-4) ed
erano dirette verso San Leo, passando da Pugliano.
Alla vecchia casa dei Selva, ci ha raggiunto Elio. I due fratelli mi hanno spiegato che la casa si presenta
esattamente com’era nel 1944, quando c’era James, sono stati eseguiti solo piccoli lavori di
manutenzione. Mi hanno descritto come era suddivisa all’interno e chi occupava le varie stanze, il tutto
riassunto nella planimetria allegata (vedi All. 15-5), il vicino fienile invece è stato venduto e ristrutturato
ad uso abitazione.
Gli edifici si trovano su un piccolo poggio a quota 646 mslm dal quale si gode un piacevole panorama,
ricco di vegetazione, sulla vallata del Marecchia. Volgendo lo sguardo verso Nord si può osservare l’erto
monticello ove un tempo sorgeva l’importante castello di Maiolo (vedi All. 15-1 e 15-3), distrutto dalla
rovinosa frana avvenuta nel 1700. Recentemente sono stati eseguiti lavori di “mantenimento” delle
antiche rovine. Ai piedi del monte di Maioletto è visibile la chiesetta che durante la permanenza in zona
di Longino era abitata da Giuseppe lo Slavo. Guardando verso Nord Est si può osservare il famoso
castello di S. Leo. Osservando il paesaggio tra il castello di Maiolo e S. Leo si può ipotizzare il possibile
tragitto che ha percorso Longino provenendo da Forlì, per raggiungere casa Selva. Tra la casa ed il
fienile, corre il tracciato della carraia che conduce al resto del podere, la scorciatoia che i familiari Selva
percorrevano per andare alla messa e lungo la quale, la zia Valeria aveva trovato James (vedi All. 15-6).
Dopo avere fotografato i due edifici, ci siamo diretti verso i campi coltivati per andare a vedere i luoghi
dove erano stati realizzati i due rifugi per Longino. Dopo avere percorso una sessantina di metri, alla
nostra destra, in cima ad una piccola collinetta i Selva mi hanno localizzato la posizione del primo rifugio
(vedi All. 15-6 e 15-7), distante un centinaio di metri dalla casa. Il secondo invece era stato realizzato
nella boscaglia in direzione della casa di Geri (vedi All. 15-1 e 15-8).
Ultimato il sopralluogo, ci siamo spostati per andare a vedere la casa dove abitavano i Mascella, e dove
era nata la loro madre, in cartografia denominata Cà Semprino (vedi All. 15-1 e 15-9), poi ci siamo diretti
verso Pugliano. Lungo il percorso ci siamo fermati in corrispondenza dell’intersezione con la carraia che
porta alla casa dei Selva, quella dove Domenico Bucci aveva fatto scaricare le armi del Regio Esercito
trafugate da Rimini dopo l’armistizio (vedi All. 15-6 e 15-10). La zona è molto cambiata, allora erano
presenti siepi ed alberature che occultavano la vista del materiale a chi percorreva la strada principale. Da
qui poi abbiamo proseguito per Pugliano, dove siamo andati a vedere la famosa Villa Battelli. In questo
sontuoso edificio durante la guerra avevano trovato alloggio gli Ebrei aiutati dai bellariesi Ezio Giorgetti
e Osman Carugno.
Terminato il sopralluogo ci siamo diretti verso S. Leo, ma prima di giungere in paese Carlo ha svoltato a
sinistra in direzione delle “Iole” per portarmi a vedere la casa di Michele Simoni data alle fiamme in
occasione del rastrellamento repubblichino avvenuto in data 16/07/44.
Devo dire di avere trascorso un magnifico pomeriggio. È stato emozionante percorrere gli stessi sentieri e
trovarsi negli stessi luoghi dove oltre sessant’anni fa ha vissuto per un breve periodo un giovane ragazzo
proveniente dagli Stati Uniti.
Successivamente in data 06/10/12 ho effettuato una seconda escursione a Maiolo accompagnato da mia
moglie Stefania. Presso il cimitero di S. Apollinare abbiamo individuato la tomba del parroco di Maiolo
nel 1944, Don Angelo Bollini 1878-1968 (vedi All. 15-11) e quella di Don Eligio Gosti (vedi All. 15-12).
Da qui poi abbiamo raggiunto l’antico paese di Maiolo dove un’anziana signora del posto ci ha indicato
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dove si trovava la vecchia chiesa del borghetto, ora adibita ad abitazione privata, e l’ubicazione delle
vecchie botteghe artigianali locali: il fabbro, il falegname etc. La signora ci ha presentato ad alcune sue
giovani coetanee che stavano chiacchierando in una stanza al piano terra di un edificio vicino a casa sua.
Stavano aspettando che il pane da loro preparato fosse cotto al punto giusto in un forno a legna (vedi All.
15-13), proprio come si faceva una volta. Una di loro ci ha detto che se potevamo attendere alcuni minuti
ci avrebbero fatto vedere l’infornata, perché doveva controllare a che punto era la cottura. Devo dire in
tutta sincerità che è stata una cosa emozionante. Il forno era stato costruito in pietra ed era di uso
esclusivo di alcune famiglie. Era stato realizzato sulla piazzetta dopo la ristrutturazione della casa che lo
conteneva precedentemente al suo interno, come ci ha spiegato la nostra accompagnatrice.
Imboccata la strada per fare ritorno a casa, abbiamo deciso lungo il tragitto di andare a fotografare la
vecchia chiesetta di S. Rocco, ubicata sotto la rupe di Maioletto (vedi All. 15-14).
Prima di tornare a Rimini, ho pensato di fare una “capatina” anche a Massamanente per fotografare la
chiesa (vedi All. 5-6 e 15-15). In questa zona, come ricordavano i Selva, sarebbe stato tenuto nascosto il
secondo aviatore alleato.
A titolo di informazione voglio riportare alcune notizie su Maiolo, piccolo comune dell’alta
Valmarecchia. La sua esistenza è testimoniata da documenti sin dall’anno 962. In epoca medievale
durante la lunga guerra che contrappose i Malatesta (Rimini) ai Montefeltro (Urbino), il suo castello
rivestì notevole importanza politica e commerciale. La rocca fu distrutta una prima volta nel 1639 quando
un fulmine ne colpì la polveriera. Tremenda sorte ebbe anche il borgo fortificato di Maiolo che sorgeva
sul fianco del monte che andò distrutto, travolto dalla stessa rocca, da una frana causata da giorni di
pioggia incessante, la notte tra il 29 e il 30 maggio del 1700.
Statistiche - I cinque cognomi più diffusi a Maiolo. Vi sono presenti circa 3.500 persone con cognome
Fattori, 3.200 Mascella, 3.200 Pula, 2.150 Angelini e 1.600 Pedoni.
La chiesa di S. Biagio, nel borgo di S. Apollinare, è un edificio religioso di antica costruzione, sorta sulle
fondamenta di una precedente chiesa romanica. Custodisce al suo interno affreschi del sec. XVI e
un’acquasantiera quattrocentesca.
CONCLUSIONI
Ho iniziato questo racconto con i ringraziamenti a tutti quelli che mi hanno aiutato e voglio finire nello
stesso modo perché, facendo mente locale, mi sono reso conto di averne tralasciato almeno uno, ed anche
di un certo rilievo. Si tratta del signor Joseph C.R. Licklider. Sino ad oggi non avrei saputo dire chi fosse
costui, ma nonostante tutto mi sono sentito in obbligo di ringraziarlo.
Chi è Licklider? È stata la prima persona che ha avuto la brillante idea di collegare diversi computer in
un’unica rete. Maggiori dettagli si possono scoprire consultando il sito:
http://it.wikipedia.org/wiki/Internet
dove è riportato che:
“Il progenitore e precursore della rete Internet è considerato il progetto ARPANET, finanziato
dalla Defence Advanced Research Projects Agency (inglese: DARPA, Agenzia per i Progetti di
ricerca avanzata per la Difesa), una agenzia dipendente dal Ministero della Difesa statunitense
(Department of Defense o DoD degli Stati Uniti d'America). In una nota del 25 aprile 1963, Joseph
C.R. Licklider aveva espresso l'intenzione di collegare tutti i computer e i sistemi di time-sharing in
una rete continentale. Avendo lasciato l'ARPA per un posto all'IBM l'anno seguente, furono i suoi
successori che si dedicarono al progetto ARPANET”.
Come dimenticarsi di Lui, che ci ha letteralmente cambiato il modo di vivere e di comunicare. In ogni
istante della giornata, da qualunque parte del mondo, milioni di persone digitando su una tastiera alcune
parole, possono in un attimo avere risposte ad ogni domanda. Anche io, nel mio piccolo, ho potuto
beneficiare delle enormi possibilità della “grande rete”, ed accedere ad importanti documenti basilari per
lo sviluppo delle mie ricerche, alcuni dei quali reperibili solo negli USA. Cito per esempio il MACR, i
dati sulla sorte dai compagni di Longino, catturati e finiti in prigionia, i dati sul Gruppo di volo di
Longino, le missioni svolte, il necrologio di Saborsky. Nel racconto ho sempre citato i numerosi link ai
quali ho attinto informazioni per integrare quanto mi hanno raccontato i Selva.
Grazie ancora signor Joseph C.R. Licklider.
69
Bibliografia
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Argalia 1965
“Non voglio uccidere” di Michele Simoni, Macerata, Biemmegraf 1981
“Linea Gotica 1944: eserciti, popolazioni, partigiani” di Paolo Sorcinelli, F. Angeli
Milano, 1986
“Con gli occhi smarriti” di Paride Dobloni, Ramberti Arti Grafiche, 2007
“Aerei Perduti - Romagna 1942-1945” di Lanconelli Enzo e Andrea e Fabrizio
Raccagni, Il Ponte Vecchio, 2008
“Un cammino lungo un anno” di Drudi Emilio, Casa Editrice Giuntina, 2012
“Memorie della guerra vissuta in Sogliano al Rubicone dal 1944 al 1945” di
Monsignor Michele Rubertini, Baiardi 1996
“La Resistenza nel Montefeltro” di Alfeo Narduzzi, Leardini Macerata F. (PU)
“Obiettivo Bologna: Open the door: Bomb away” di Gastone Mazzanti, Costa 2001
“Ali sull’Alto Friuli” di Michele D’Aronco, Aviani 2009
“Diario storico-militare
Repubblicana
del
63o
battaglione
M”
della
Guardia
Nazionale
“Ribelli e Partigiani - La resistenza nelle Marche 1943-1944” di Ruggero
Giacomini, Ancona 2005
“Urbino 1943-44” di Ruggero Giacomini, Urbino, Argalia 1970
“Lotta partigiana e antifascismo nel comune di Cantiano” ANPI Pesaro, Melchiorri
1998
“Rimini S. Marino “44 la battaglia della linea gialla” di Amedeo Montemaggi, Arti
grafiche Della Balda RSM, 1983
“Offensiva della linea gotica” di Amedeo Montemaggi, Guidicini e Rosa 1980
“Savignano ’44 dal Rubicone a Bologna”, di Amedeo Montemaggi, La Pieve, Villa
Verucchio 1985
“Il Montefeltro tra guerra e liberazione” di Sandro Severi, S. Leo 1997
“La guerra continua: nell’Italia meridionale dal 25-7-43 al 5-6-44” di Oreste
Cavallari, Milano, Guastaldi 1958
“Morire non basta” di Oreste Cavallari, Edizioni del Girasole, Ravenna 1974
"Bandiera Rossa la trionferà! Rimini 1944-1946" di Oreste Cavallari, Rimini, Elsa
Stampa 1979
Celli Daniele, Via Macanno n° 137/C, Rimini – tel. 0541-394620 e-mail: [email protected]
70
ALLEGATI
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Mappa basi 15a Air Force in Puglia
Mappa rete ferroviaria italiana
Organigramma M.A.S.A.F. e 15a Air Force
Schema B 24
Longino con equipaggio B24 “El Toro”
Elenco missioni 98° BG effettuate da Saborsky
Schema formazioni da bombardamento
Schema bomba 500 libbre
Mappa rotta d’attacco a Bologna
Missione n° 238 su Bologna
M.A.C.R. n. 6318
Traduzione M.A.C.R.
Equipaggio del B 24 “Mable”
Mappa I.G.M. Maiolo
Foto casa Selva
Foto Selva Francesco
Foto Selva Giuseppe e Giulianelli Maria
Foto Selva Valeria
Foto Selva Dino e famiglia
Foto Selva Elio e Carlo
Mappa I.G.M. Massamanente
Cartellino iscrizione ANPI Pesaro di Domenico Bucci
Foto Domenico Bucci
Foto famiglia Mascella
Foto Ubaldo Mascella e consorte, Valeria Selva e famiglia
Foto portacipria
Foto targa Capitaneria di Porto di Rimini
Quadro di Oreste Cavallari
Lettera dell’Amm. Isp. Capo (CP) Luciano Dassatti
Schema Bail Out B 24
Telegramma inviato ai familiari dei dispersi in azione
Mappa Forlì / Maiolo
Mappa rotta d’attacco a Reggio Emilia
Mappa campi concentramento
Locandina film “La grande fuga” con Steve McQueen
Mappa Stati Uniti
Mappa I.G.M. Pennabilli
Stralcio rivista “Montefeltro”
Mappa provincia di Pesaro
Foto Davide Barbieri
Lettera senza data
Lettera del 10/06/1946
Lettera del 08/07/1946
Lettera del 19/12/1946
Traduzioni lettere
Foto Majolo Cucci
Attestato conferimento medaglia d’argento
Lettera della Prefettura di Pesaro
Dichiarazione CLN Novafeltria
Dichiarazione di Dino Selva
Dichiarazione cittadini di Novafeltria
71
All
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15-16
Lettera di Italo Balbo
Foto di James Longino e Barbara
Mappa diffusione cognome Longino in Italia
Foto statua San Longino in Vaticano
Foto inaugurazione 1° Convair 880 della Delta Air Lines
Servizio giornalistico su incidente aereo
Mappa C.T.R. Maiolo
Foto chiesa di S. Apollinare
Foto castello di Maioletto
Planimetria percorso Gran Premio Nuvolari 2012
Planimetria casa Selva
Planimetria podere Selva
Foto 1° rifugio Longino
Foto 2° rifugio Longino
Foto casa Mascella
Foto carraia per casa Selva
Foto Don Angelo Bollini
Foto Don Eligio Gosti
Foto forno del pane a Maiolo
Foto chiesetta di S. Rocco
Foto chiesa Massamanente
Foto San Leo
72
All. 1-1
73
All. 1-2
Febbraio 1944 - mappa della rete ferroviaria italiana
74
All. 2-1
Organigramma M.A.S.A.F. e XVa Air Force
75
All. 2-2
Schema del B 24
76
All. 2-3
346° Bomb Group - 707° Bomb Squadron
In piedi da sinistra a destra:
Sgt. Gregory Vassilakos (gunner)
Sg. Charles T. Perry (gunner)
Sgt Joseph P. Terwolbeck (engineer/top turret gunner)
Sgt William A. Baker (gunner)
Sgt Edward J. Skio (gunner)
Sgt Michael Kockerhan (radio-operator)
in ginocchio da sinistra a destra:
2/Lt Henry J. Saborsky (pilot)
2/Lt James H. Longino (co-pilot)
2/Lt Kenneth E. Shockley (navigator)
2/Lt Herbert A. Grove (bombardier).
77
All. 2-4
STRALCIO ELENCO MISSIONI DEL 98 B.G.
n° missione
data
obiettivo
n° velivolo
decollo
atterraggio
208
209
210
211
212
213
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238
12/04
13/04
15/04
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17/04
20/04
23/04
24/04
25/04
29/04
30/04
02/05
06/05
07/05
13/05
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17/05
18/05
19/05
22/05
23/05
24/05
25/05
26/05
27/05
30/05
30/05
31/05
02/06
04/06
05/06
Austria
Ungheria
Romania
Romania
Bulgaria
Mestre
Austria
Romania
Varese
Francia
Alessandria
Castel Maggiore
Romania
Romania
Fidenza
Vicenza
Porto S. Stefano
Romania
La Spezia
Porto Marghera
Frascati
Austria
Monfalcone
Francia
Francia
Austria
Austria
Romania
Romania
Novi Ligure
Bologna
802 L
841 N
841 N
841 N
841 N
393 H
841 N
858 C
841 N
346 G
858 C
801 K
801 K
762 J
…
345 F
928 P
08:11
09:18
07:13
10:05
08:22
08:55
07:48
08:22
07:49
07:46
05:40
09:05
06:10
09:20
05:19
06:23
09:47
15:00
15:41
14:26
16:26
15:50
09:37
16:16
16:23
15:12
12:07
13:57
14:37
13:35
15:28
14:25
13:20
-
78
Down over target
All. 3-1
Schema formazioni da bombardamento
All. 3-2
Bomba da 500 lb
79
All. 3-3
Rotta attacco Bologna
80
All. 3-4
Missione 238
81
All. 4-1
MACR n° 6318
82
83
All. 4-2
MACRs - Missing Air Crew Reports n° 6318
Punto 1 –
Locazione: Lucera/Cesare (LE) A/D, Italia
Comando XVa Air force
a
98º Gruppo da Bombardamento Pesante - 343 Squadriglia
Punto 2 –
Punto di partenza: Lucera /Cesare (LE), Italia
Tipo missione: bombardamento
Punto 3 –
Condizioni meteo: tempo e visibilità buono
Punto 4 –
data: 05/06/1944 – ora: 13:40 LT – localizzazione: 44° 10’ N e 11° 15’ E
Punto 5 –
l’aereo è stato perduto: anti aerea nemica
Punto 6 –
aereo: modello B 24 H numero di serie 41-28928
Punto 7 –
motori: numero di matricola dei quattro motori …….
Punto 8 –
armamento installato: matricola delle mitragliatrici calibro 0.50 …….
Punto 9 –
lista del personale sotto riportato perduto: in battaglia
Obiettivo: Bologna M/Y, Italia
Punto 10 – numero del persone presenti a bordo: equipaggio di 11 - passeggeri 0
Pilota
Copilota
Navigatore
etc…..
Punto 11 – Identificare gli eventuali testimoni che videro l’incidente
Spann Henry Harry
Halporn Benjamin
Punto 12 – se l’equipaggio si ritiene sopravvissuto:
a) Vedere certificato dell’ufficiale di intelligenge dello squadrone
Punto 13 – allegare: mappe, carte …………
Punto 14 – allegati: descrizione delle ricerche
Data del rapporto 07/06/1944
Firma dell’Ufficiale compilatore
Arnold N. Hansen
Capitano Air Corp
Ufficiale alle Operazioni
84
All. 4-3
Crew Member Positions
(posizione dei membri dell’equipaggio)
P – 1st Pilot – Primo Pilota, 1st Lt. SABORSKY Henry Joseph 1915 (sul lato sinistro)
CP – Co-pilot – Co-pilota, 2nd Lt. LONGINO James Henry 1918 (sul lato destro)
NG – Nose Gunner – Mitragliere anteriore T/Sgt KLOSINSKY Daniel Etwin 1923
N – Navigator – Navigatore 1st Lt. KARSH Carl 1921
B – Bombardier – Bombardiere 1st Lt. HERB JACK Franklin 1921
RO – Radio operator – Operatore radio T/Sgt BAILEY Eugene Franklyn 1923
TTG – Top Turret Gunner – Mitragliere torretta superiore T/Sgt Lt. BRUNO Walter L. 1920
BTG – Ball Turret Gunner – Mitragliere torretta inferiore S/Sgt KOVAL Edwin Joseph 1922
LW – Left Waist Gunner – Mitragliere centrale sinistro 2nd Lt. SULLIVAN Robert Francis 1918
RW – Right Waist Gunner – Mitragliere centrale destro S/Sgt FORD Tomas John 1921
TG – Tail Gunner – Mitragliere di coda S/Sgt MACARTUR Alexander 1921
85
All. 5-1
Mappa di Maiolo
86
All. 5-2
Casa Selva
All. 5-3
Francesco Selva (archivio Selva)
87
All. 5-4
Giuseppe Selva e Maria Giulianelli (archivio Selva)
Valeria Selva (archivio Selva)
88
All. 5-5
Selva Dino, Carlo, Mascella Maria,
sotto: Elio, Ada (archivio Selva - 1946)
Elio e Carlo Selva (2012)
89
All. 5-6
Mappa di Massamanente
90
All. 5-7
91
All. 5-8
Domenico Bucci è il primo a sx 1941 (archivio Giampietro Bucci)
All. 5-9
Famiglia Mascella
92
All. 5-10
Adelaide Angelini, Ubaldo Mascella, Valeria Selva, Renato Masini, Meris Masini
All. 5-11
Portacipria di Valeria Selva
93
All. 5-12
All. 5-13
dipinto di Oreste Cavallari
94
All. 5-14
95
All. 6-1
Schema bail out
All. 6-2
Telegramma inviato ai familiari dei dispersi in azione
96
All. 6-3
Mappa Forlì - Maiolo
97
All. 7-1
Piano di volo bombardamento
di Reggio Emilia del 30/4/44
98
All. 8-1
All. 8-2
Locandina del film “La grande fuga”
99
All. 8-3
Mappa Stati Uniti
All. 9-1
Mappa di Pennabilli
100
All. 9-2
Stralcio rivista “Montefeltro”
101
All. 9-3
Mappa provincia di Pesaro
All. 10-1
Davide Barbieri
102
All. 10-2
103
104
105
All. 10-3
106
107
All. 10-4
108
109
All. 10-5
110
111
All. 10-6
Lettera senza data
Caro David
La tua lettera è arrivata l’altro giorno e mi ha fatto tanto piacere ricevere tue notizie. Ho provato a
scriverti ma la lettera mi è tornata indietro. Sarei lieto di inviarti dei libri al più presto, David, e anche se
non sono quelli che tu mi ha chiesto, ti aiuteranno. Come sta Dino? Voglio ringraziarlo ancora per avermi
dato da mangiare per così lungo tempo e per essere stato così buono con me. Gli ho promesso 50 $ in
pagamento per il mio soggiorno, quindi, se mi manderai il suo indirizzo glieli spedirò. (Questo significa
che James si era scritto il solo indirizzo di Davide, forse con lui era rimasto gli ultimi giorni prima di
passare le linee). Ora sono tutti miei mici, Dino, sua moglie Carlo, Elio, Maria, Joe e gli altri e spero che
tu li veda e mi faccia sapere come stanno. Anche i ragazzi Fabio e Olga, sono stati una grande compagnia
per me nel bosco. Dopo aver lasciato la casa di Dino sono stato portato in un campo di partigiani e il 26
Settembre abbiamo passato il fronte e abbiamo incontrato gli inglesi. Sono tornato negli States il 21
ottobre 1944 e ho trovato mia moglie e il bambino in buona salute. Il bambino era una femmina ed ora lei
ha quasi due anni. E’ una bambina molto dolce. Ora abbiamo un’altra figlia di 3 mesi. Ti spedirò presto
una fotografia della mia famiglia al completo. Sto ancora lavorando sugli aerei, anche se non sono più da
un anno nell’esercito, da cui sono uscito lo scorso giugno. Ora lavoro con la “Delta Air Lines” e volo da
Miami a Chicago. Noi abbiamo parlato di Miami ti ricordi? E’ come la vostra Rimini – bagno di sole. Ora
ho una nuova piccola casa, anche di questa ti manderò una foto molto presto. David mi piacerebbe se tu
potessi fare fotografie a te stesso, a Dino e la sua famiglia, dove facevo le passeggiate vicino al mio
rifugio, la casa di Dino e a tutti gli altri posti dove mi sono nascosto a lungo. Mi piacerebbe farle vedere a
Barbara e a tutti gli altri qui. Spero di tornare da voi per una visita da uomo libero ma questo non è
possibile per ora. Semmai aveste la possibilità di venire qui vorrei che foste certi che se verrete a trovarmi
sarete i benvenuti e potrete stare qui quanto tempo desiderate. Fai tutto il possibile per mandarmi quelle
foto David, perché ci tengo tantissimo ad averle, e io spedirò quei libri molto presto.
Tuo amico James Longino. Ps: cosa è successo a Joe Palich. Lui è stato alla casa … fino a che io ho
proseguito per il campo dei partigiani.
Lettera del 10 Giugno 1946
Caro Davide le tue lettere sono arrivate e anche le foto, carine. Loro stanno bene? Ho passato un bel
periodo con loro, a tutti i miei amici. Erano esattamente quello che volevo. E ti ringrazio molto per il tuo
disturbo. Ho visto il bastone da passeggio di Dino nelle sue mani, fatto a mano, e mi sono tornati alla
mente vecchi ricordi. Ti sto inviando poche foto della mia famiglia e della mia casa e che lascio dividere
a te e Dino. Un film è impossibile inviarlo qui, e non ho neanche delle belle foto. Ti avrei inviato qualche
vecchio film se lo avessi trovato e se lo trovo te lo mando ma non contarci troppo. Ho chiesto a diverse
persone alcuni libri e li avrai presto. Di a Dino che ho spedito i soldi circa 6-7 settimane fa, dovrebbe
riceverli fra non molto tempo. Barbara sta finendo una scatola per lui con pochi vestiti messi bene dentro
la scatola. Io ho ricevuto la promozione la scorsa settimana ed ora sono Capitano di linea aerea e sembra
che dovrò andare per un paio di mesi a Cicago ma tu puoi scrivere allo stesso indirizzo perché Barbara è
andata a stare lì con le bambine. È quasi impossibile trovare un posto per vivere questi giorni, ho paura a
portala con me. Io spero che tu e Dino continuerete a scrivermi. Davide è un piacere ricevere le tue
lettere. Sarebbe meglio che tu scrivessi in inglese poiché è difficile trovare un interprete in questa città. Vi
auguro del mio meglio a tutti, James. P.S. che cosa è successo a Joe Palich lo Slavo? Ringrazia Marco,
Clemente, Pietro, il barbiere e tutti gli altri i posa per la bella foto. Grazie ancora. Anche Dino è incluso
nella nota.
Lettera del 08 Luglio 1946
Caro Davide ho ricevuto la tua lettera e sono stato molto contento di sentirti ancora. Io e Barbara siamo
sempre molto felici di vedere le tue lettere nella nostra cassetta della posta. Sono contento che ti siano
piaciute le foto. Te ne invierò altre molto presto. Ho inviato a Dino un pacco ma non c’è molto dentro,
qualche vestito di seconda mano. Non ci è permesso di spedire alcuni oggetti, come il caffè, zucchero etc.
solo 2 libbre in tutto. I vestiti nuovi sono quasi impossibili da acquistare, ora sono alle stelle e di non
buona qualità così ho dovuto inviare alcuni vecchi vestiti. Digli tuttavia che gli invierò un’altra scatola di
112
cibo, una scatola speciale che dovrebbe essere buona. Ti abbiamo inviato molti libri e spero che ti
piacciano, ne ho un altro mucchio e se li leggi tutti sarai impegnato per molto tempo. Digli a Roberto che
ho ricevuto le sue lettere e le belle foto ma che fino adesso non ho trovato nessuno che le traducesse per
me. Quanto prima gli risponderò. Le foto che mi ha spedito sono molto buone. Sto ancora volando per
vivere e mi piace molto almeno io non sparo ogni volta che vado su, io porto la gente invece che le
bombe. Il tuo inglese migliora sempre Davide. Ho visto dei miglioramenti in ogni tua lettera. Io penso che
tu sia molto intelligente per apprendere così rapidamente. Quando ci siamo incontrati la prima volta
difficilmente mi capivi e ora scrivi come lo faccio io, forse meglio. Sembra che la gente sta avendo un
sacco di problemi laggiù e spero che le cose si sistemino presto. Avete avuto già abbastanza guai. Sono
felice che Dino abbia ricevuto i soldi. Dagli i miei saluti e anche a tutta la famiglia. Buona fortuna a te e
fatevi sentire tutte le volte che vi è possibile scrivere. Il tuo amico James
Lettera del 19 dicembre 1946
Caro David
Sono stato lieto di ricevere ancora tue notizie e sono felice che hai gradito i libri che ti ho spedito. Dalla
tua lettera apprendo che va molo bene con il tuo inglese. Un notevole miglioramento dal giorno in cui ti
ho incontrato per la prima volta in casa di Dino. (ritengo per organizzare la fuga). Uno dei cugini di Dino
ha scritto al C.A.R.E. chiedendomi di spedirgli molto cibo. Mi piacerebbe, ma proprio non ho abbastanza
soldi. Mi piacerebbe spedire a tutti voi lì tante cose, ma non mi è possibile poiché non sono affatto un
uomo ricco. Sono come la maggioranza delle persone. I soldi non mi bastano fino alla fine del mese, e
devo aspettare la paga successiva prima di poter comprare ciò che desidero. Tutto qui è molto caro dopo
la guerra. Ora io vivo a Chicago e devo pagare 125 $ al mese per un aereo? per vivere per me e la mia
famiglia. Tutto è costoso adesso. Mi dispiace che le cose in Italia siano così complicate (disordinate).
Forse un giorno ci sarà felicità e pace dovunque. Qui ci sono sempre scioperi e ….. (parola
incomprensibile) come avrai potuto leggere dai giornali. Io sono stato trasferito a Chicago dalla mia
Compagnia di volo la scorsa estate, ma non mi piace molto. Mi piace molto di più vivere al sud. Mia
moglie e le mie due bambine stanno bene, ti spedirò altre foto di loro presto. Vedi Dino molto speso ora?
Se ti è possibile saluta lui e la sua famiglia per me. Io proverò presto a spedire molto cibo attraverso
un’agenzia governativa. Porta anche i miei saluti a Marco e a tutti gli altri amici lì. Io penso spesso a tutti
voi e desidero tanto rivedervi ancora. Vi auguro buon Natale e spero che il 1947 sia per voi e per tutta
l’Italia un buon anno. Sempre tuo amico James
p.s.: Scrivi più presto che puoi sono contento di ricevere le tue lettere
113
All. 10-7
Majolo Cucci 1894-1955
114
All. 10-8
115
All. 10-9
116
All. 10-10
All. 10-11
117
All. 10-12
118
119
120
All. 10-13
121
All. 10-14
James Henry Longino, la moglie Barbara e le due prime figlie (1946)
122
All. 12-1
Diffusione cognome Longino in Italia
123
All. 12-2
La statua di San Longino in Vaticano
All. 13-1
10/02/60 Leona McCurdy “Miss San Diego” battezza il 1° Convair 880 della Delta Airlines
124
All. 13-2
125
All. 15-1
Mappa C.T.R. di Maiolo
126
All. 15-2
Chiesa di S. Biagio a S. Apollinare
All. 15-3
Rupe di Maioletto
127
All. 15-4
Percorso del Gran Premio Nuvolari 2012
128
All. 15-5
Planimetria abitazione Selva
129
All. 15-6
Planimetria podere Selva
130
All. 15-7
Posizione 1° rifugio
All. 15-8
Posizione 2° rifugio
131
All. 15-9
Abitazione dei Mascella
All. 15-10
Carraia podere Selva
132
All. 15-11
Mons. Eligio Gosti
All. 15-12
Don Angelo Bollini
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All. 15-13
Forno a legna a Maiolo paese
All. 15-14
Chiesa di S. Rocco
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All. 15-15
Chiesa di Massamanente
All. 15-16
San Leo
135
136
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Un uomo una storia JAMES HENRY LONGINO 1944