AN NI 60 VE ° RS AR IO numero I marzo 2012 Un foglio per Custoza na domenica di sessanta anni fa, il 23 U marzo 1952, Custoza veniva festosamente invasa da almeno diecimila persone curiose di assistere, dopo molti anni, ad uno spettacolo unico, il Sego della Vecia, che da allora non è stato più riproposto. In questi ultimi anni, grazie all’Associazione Créa di Custoza, costituitasi inizialmente proprio con l’obiettivo specifico di rimettere in scena il Sego, si è risvegliato l’interesse a riscoprire una tradizione unica nel suo genere. Il foglio di informazione che avete tra le mani e state leggendo è nato per essere un mezzo di divulgazione delle notizie sulle passate edizioni del Sego e delle iniziative che si intendono realizzare in futuro. Allo stesso tempo si auspica che possa diventare uno strumento più ampio di informazione, e quindi non solo legato al Sego, con il quale dare voce alla comunità di Custoza. Questo primo numero del foglio del Sego dà, inoltre, corpo a uno dei progetti lanciati dall’associazione in questi ultimi mesi: quello di formare un gruppo di lavoro che abbia la competenza e le conoscenze necessarie – dalla scrittura di testi, alla loro impaginazione grafica – per costruire un giornale. Si è, così, costituito un gruppo redazionale, che è aperto a chiunque intenda collaborare, con un occhio particolare ai giovani. La nostra redazione avrà, inoltre, la fortuna di lavorare a fianco di un professionista dell’editoria quotidiana. E mi riferisco al nostro concittadino Bonifacio Pignatti, che desidero ringraziare di cuore per avere accettato la proposta di dirigere Il Sego. Qualcosa, ora sul nome della testata. Il Sego, che a qualcuno potrà sembrare scontato, è stato scelto proprio perché, se pure desueto, è identificativo di Custoza. L’intenzione è di far seguire a questa prima uscita altri numeri. L’augurio è che Il Sego possa diventare un foglio di notizie che stimoli la curiosità e l’interesse di chi lo legge, aperto a suggerimenti e proposte. Invitiamo a segnalarci errori, inesattezze e fornirci altro materiale che magari sta ancora nascosto in qualche cassetto o tra i vostri ricordi. Tutto ciò può essere utile per ricostruire, tutti assieme, questa straordinaria pagina della storia di Custoza. S.A. Sessant’anni dopo Un momento dello spettacolo del 1952: il diavolo inforca la vecia che è appena stata segata dai boia Lo spettacolo tragicomico torna in piazza L Il Sego senza “el segon” di Rudi Reggiani a pag. 2 Dalla Cina con furore di Massimo Valbusa a pag. 3 a felice intuizione nel 1995 di assegnare a una via di Custoza lo strano nome di “Sego de la Vecia” ha permesso di fissare nella memoria dei suoi abitanti il ricordo del dramma tragicomico che qui veniva messo in scena fin dalla metà del 1800. Tuttavia se si chiede oggi ai giovani - e non solo che cosa fosse il Sego della Vecia, la maggior parte di loro non saprebbe cosa rispondere: sono infatti trascorsi sessant’anni dall’ultima rappresentazione. Era domenica 23 marzo 1952 e, come riporta la cronaca dell’Arena in edicola due giorni dopo, “a Custoza c’erano macchine da Reggio Emilia, da Milano, da Bergamo, da Mantova. La gente era appollaiata sui tetti dei rustici, arrampicata sui pagliai. Un mare di gente si stendeva a semicerchio sul naturale anfiteatro delle colline“. Cosa, quella domenica, aveva attirato in massa a Custoza? Cosa era il cosiddetto Sego? Lo spiega bene don Marcello Da Re, parroco del nostro abitato dal 1940 al 1950: “Custoza entro un certo raggio di paesi circonvicini più che per i suoi colli verdeggianti, o per i suoi ricordi patriottici, è conosciuta per il famoso Sego de la Vecia, che è una specie di rappresentazione comico-tragica (in versi dialettali) alla quale partecipa tutto il paese come attore e gli altri paesi come spettatori a pagamento. La manifestazione, essendo di una certa notorietà e caratteristica del luogo (o come si dice adesso folkloristica), è patrocinata dalle autorità. Di regola ordinaria la si tiene ogni sei anni”. Scorrendo i nomi di coloro che diedero vita a quella edizione del Sego – cento quarantacinque attori tra comparse e protagonisti (solo maschi, anche per i ruoli femminili, come succedeva nel teatro antico e come succede ancor’oggi in certe forme di teatro orientale) e le altre persone addette alle svariate attività di confezione dei costumi di scena, logistiche e di supporto vario – ci si accorge che sono rimasti in pochi e chi ricorda quel Sego, oggi, ha superato i sessant’anni. Quando, però, s‘inizia a parlarne, ecco riemergere dalla memoria frammenti della trama, nomi e soprannomi dei protagonisti, aneddoti, qualche battuta del testo in rima, e così via. Chiacchierando con alcuni dei protagonisti di allora, si coglie ancora l’entusiasmo e anche un po’ di commozione, sintomo che quel Sego ha lascito un segno incancel- labile e una voglia inconfessata di poterlo rifare. E in effetti, negli anni successivi sono stati fatti vari tentativi di riproporlo, ma sino a oggi non se ne è fatto nulla. Già un articolo apparso su L’Arena del 27 agosto 1976, a firma Germano Alberti, ricordando alcuni aspetti del Sego di Custoza si concludeva con l’augurio che la manifestazione venisse riproposta, magari in forma più moderna. E nel 1986 Giuseppe Rama ha avuto il grande merito di pubblicare il libretto intitolato El Sego de la Vecia a Custoza, stampato da La Casa Verde, dove lo studioso raccontava “con l’ausilio di testimonianze e documenti editi e inediti questo complesso brano di folklore lungo un arco di tempo compreso tra il 1845 e i giorni nostri”. L’uscita di questo interessante e prezioso volumetto, andato ormai esaurito e di cui si ha in mente una ristampa, aveva immediatamente ridestato l’interesse verso il Sego. Così, l’anno successivo Giulio Piona, che nel 1952 era stato il regista e presidente del Comitato “Sego della vecia”, assieme al maestro Romano Adami, che in quel Sego aveva avuto la parte dell’avvocato difensore della vecia, avevano promosso tramite la Pro Loco un incontro pubblico, fissandone la data per sabato 21 marzo 1987. Nel volantino, inviato a tutti gli abitanti di Custoza, si spiegava che “anche in seguito a insistenze da parte di molti appassionati e nostalgici delle nostre tradizioni folkloristiche, si è considerata la possibilità di ripristinare la rappresentazione del Sego de la Vecia”. Passò qualche tempo e si arrivò al 2001. In quell’anno, un ulteriore comitato spontaneo convocò un incontro pubblico per iniziare a rimettere insieme testimonianze, racconti, ricordi, a raccogliere fotografie rimaste per anni dimenticate nei cassetti. In quell’occasione fu contattato Alessandro Anderloni, a cui venne proposta la regia per una possibile riedizione. Più recentemente, nel 2007, in occasione dell’inaugurazione di via don Germano Malacchini, parroco a Custoza dal 1950 al 1971, è stata allestita una mostra di fotografie d’epoca. Una sezione era dedicata proprio al Sego: poche foto e qualche didascalia con i nomi degli attori sono bastate, anche in quel caso, a ridestare l’interesse e la curiosità anche di chi non ne aveva mai sentito parlare. Da questa mostra è nato un gruppo spontaneo che, nell’autunno 2008 insieme ad altri soci fondatori, ha dato vita all’Associazione Créa, con l’obiettivo primario e la speranza di riuscire finalmente a mettere insieme tante persone di Custoza per valorizzare questa tradizione popolare recuperandola nella sua versione dialettale ma proponendone una nuova messa in scena. Nel corso del 2009 si è iniziato a raccogliere e videoregistrare testimonianze di alcuni dei protagonisti dell’epoca. Questo lavoro è diventato materiale per una tesi di laurea sul Sego de la Vecia che è stata discussa il 10 marzo 2010 presso l’Università degli Studi di Verona da Valeria Cherubini. Nel corso del 2010 Créa ha promosso alcuni incontri pubblici e allestito nel corso della Festa del Vino una mostra di foto e disegni che ha rinnovato il ricordo da parte dei più anziani e destato l’interesse di alcuni giovani che hanno dato la propria disponibilità a partecipare al progetto di una nuova messa in scena del Sego, che inizialmente si immaginava potesse essere approntata in occasione del sessantesimo anniversario dall’ultima edizione: 1952, 2012. Quest’anno. Purtroppo, per una serie di motivi facilmente comprensibili – la complessità della manifestazione, i suoi costi, oggi, la tortuosità del percorso burocratico richiesto, ecc – quell’idea non ha potuto realizzarsi. E, tuttavia, come cittadini della comunità di Custoza non vogliamo rinunciare a festeggiare questo anniversario con l’augurio di risvegliare nella gente e nei giovani in particolare il desiderio e l’orgoglio di riprovare, tutti assieme, a ripensare questo nostro Sego, per poterlo finalmente rimettere in scena. Stefano Adami L’augurio dell’amministrazione di Alberta Bighelli* uando ho letto il Quadernetto pubbliQ cato nel 2010 da Créa ho visto riaffiorare un mondo dimenticato, inusitato, particolare, di un tempo passato irripetibile, ma che rappresenta una sequenza di dna corale che ha dato origine all’attuale comunità insieme con altri pezzetti di storia. E’ stato come leggere un avvenimento lontano, ma senza data, di cui non si sanno gli esatti contorni e le origini che sembrano nascere da vari strati di cultura metabolizzata nell’animo delle persone di Custoza, che si sono assemblati per far sorgere un unico irripetibile. Questa parodia della commedia dell’arte, della giustizia contadina, del banditismo, della vita di corte, del non senso del 900 (quello di Petrolini), delle giullarate anti clericali, del manzoniano Azzeccagarbugli, della tortura dei condannati di medioevale memoria, sembra essere sorta come un’onda sotterranea di storia senza tempo. Il suo fascino era tale, all’epoca delle piccole rappresentazioni teatrali, da richiamare migliaia di persone in uno spettacolo all’aperto, anni luce prima dei concerti rock degli anni ’70. Il Sego della Vecia rappresenta un fenomeno unico, frutto di una comunità che è riuscita a raccontarsi in questa opera. Certo sarà difficile poterla rievocare e soprattutto rievocare la sua attrattiva ed il magnetismo di pubblico che aveva allora suscitato ma è bello tentare. Forse sapremo trovare negli eredi di quella comunità e nel tentativo di rievocare quell’evento, qualche altro tesoro nascosto che ancora spinge per vedere la luce. Sono convinta che sicuramente quel tesoro lo si può di nuovo scoprire solo con il medesimo metodo utilizzato allora: “la partecipazione totale della comunità” e l’apporto anche di quella persona che forse viene considerata (a torto) l’ultima ruota del carro. Solo così si può ripetere la magia. L’Amministrazione comunale di Sommacampagna e l’assessore alla cultura della Provincia di Verona Marco Ambrosini hanno accolto con entusiasmo l’invito dell’associazione Créa di Custoza, garantendo il patrocinio e un sostegno economico all’iniziativa.Buon lavoro e buona partecipazione a tutti. *Assessore alla Cultura del Comune di Sommacampagna numero I 2 marzo 2012 memorie Via Chiesa negli anni ‘30 Custoza negli anni ‘30 Via Nuova negli anni ‘50 C’era una volta a Custoza LA TRAMA Marcolina ruba e fugge Condannata al supplizio Una storia antica che ha ancora molto da raccontare A guardare le fotografie ingiallite dell’ultima rappresentazione del Sego della Vecia, il 23 marzo 1952, sembrano passati non sessant’anni ma un secolo. Una Custoza dalle case rare e gli orizzonti puliti, i terreni ancora liberi dai filari di viti, le colline dal profilo netto e continuo, il crinale del monte Moscatelle da una parte e dall’altra il colle sormontato da villa Pignatti. In mezzo, la gente sembra una presenza surreale: i figuranti della messa in scena, il pubblico assiepato lungo il pendio che dalla villa scende verso la chiesa. In quell’ultima edizione del Sego gli attori furono 145, gli spettatori circa diecimila, arrivati da diverse parti della provincia. Lo spettacolo era durato tre ore, la domenica pomeriggio, ma per tutto il giorno Custoza aveva vissuto una festa mobile, con bancarelle di cibi e bevande, quelli che oggi si chiamerebbero «stand gastronomici», giochi per bambini, la banda. Era una domenica di Quaresima. Il Sego della Vecia aveva ancora una volta fatto irruzione nel periodo di digiuno e penitenza della tradizione cristiana, risvegliando la potenza simbolica di rituali provenienti dalla cultura pagana dei campi. La «vecia» era la personificazione del ciclo stagionale che si andava esaurendo, la sua eliminazione il presupposto per la prosperità del nuovo anno e dei raccolti. Era un «capro espiatorio», vittima di una messa in scena tragicomica che rimandava alle cerimonie di purificazione dell’antichità e poi, naturalmente, al Carnevale, la più grande festa propiziatoria arrivata ai nostri tempi. Quando il modello ciclico delle tradizioni popolari contadine aveva incontrato il cal- endario liturgico, la “vecia” era diventata la Quaresima, l’alter ego del Carnevale. A Custoza come in molte altre parti d’Italia, dove questa figura era la protagonista di drammi paesani con diverse varianti ma lo stesso spirito propiziatorio. A volte bruciata, da noi segata. Con una parola “strana” – sego – che nemmeno in dialetto si usa per indicare il segare e invece si ricorda come vecchio e popolare sinonimo di grasso, unto (le candele che “parean di sego” nella ottocentesca poesia Sant’Amborgio di Giuseppe Giusti). E si capisce bene come la Chiesa non potesse vedere di buon occhio questa grottesca messa in scena, una specie di baccanale nel periodo di più sacro raccoglimento dell’anno. Tant’è vero che nel nostro paese più di una volta all’alba del secolo scorso la rappresentazione dovette essere sospesa e rimandata per il “sabotaggio” del parroco che forte di un anatema vescovile era riuscito a convincere il religiosissimo conte Pignatti a non concedere il terreno. Ma alla fine aveva prevalso la volontà popolare, quel comune intento di preservare e tramandare un evento memorabile che ha consentito al Sego della Vecia di attraversare i secoli fino a sessanta anni fa. Le avventure della “vecia” Marcolina sono passate di generazione in generazione per trasmissione orale, e fissate in uno spettacolo grazie al coinvolgimento dell’intera comunità di Custoza: la Marcolina che terrorizza le campagne dei Coronini e brucia la capanna dei “piansoti”, la battaglia fra i suoi “lazaroni” e l’esercito regolare, la cattura e la fuga grazie a uno stratagemma “alcolico” del marito, la definitiva cattura, il processo davanti alla corte e la condanna al supplizio del sego sono i passaggi di una trama di per sé elementare, in realtà ricchissima di spunti scenografici e particolari folclorici che ne costituiscono la vera anima. I personaggi – tutti interpretati da attori maschi - hanno un’impronta quasi caricaturale, proprio come maschere carnevalesche: la Marcolina è una vecchietta grinzosa con un improbabile copricapo, i suoi “lazaroni” una banda dai costumi bizzarri arrangiati alla bell’e meglio, i soldati un esercito con divise regolari ma enormi cappelli a tuba, giudice e avvocati sono pomposamente addobbati in toga e tocco e ai poveri “piansoti” tocca l’abito dei semplici contadini. La battaglia si faceva a colpi di fucile e artiglieria pesante – una peculiarità del Sego di Custoza introdotta dopo le battaglia risorgimentali - con cannoni artigianali ma polvere da sparo vera, e il diavolo che alla fine si portava via la “vecia” giustiziata appariva con uno spettacolare colpo di scena annunciato da un’enorme fiammata. Era tutta (o quasi) una produzione casalinga, che coinvolgeva per settimane le famiglie di Custoza, ognuna con un seppur minimo ruolo. Si organizzava nelle osterie, se ne parlava in piazza, si facevano le prove dove capitava, il teatro delle simulazioni della battaglia era il pendio del monte Moscatelle. Ed era a ben vedere questa la vera ricchezza lasciata a Custoza da un dramma scenico chissà quanto antico: lo spirito di una comunità che si ritrova a celebrare una memoria di paese e si adopera per conservarla e rivitalizzarla. Oggi, a sessanta anni dall’ultima rappresentazione del Sego della Vecia, l’associazione Crea vuol riportare alla luce questi valori, rievocando il Sego come patrimonio della cultura e della creatività popolare di Custoza. Significa provare a ricostruire quella rappresentazione, ma (forse) ancor di più riappropriarsi delle nostre radici, rimettere in moto l’orgoglio di campanile, coinvolgere il paese, non lasciare che nelle nostre case ricordi e oggetti del passato si facciano troppo vecchi per essere ancora riconosciuti. E’ anche l’obiettivo di questo foglio. “Il Sego” è un nome e insieme un programma: dare voce a Custoza anche al di là di questa ricorrenza, offrire al paese uno strumento in cui riconoscere un senso di appartenenza, attraverso cui parlare, organizzare, fare proposte, mandare foto. O solo scrivere. In sessanta anni i tempi sono cambiati, il profilo del paese – come si diceva all’inizio – è irriconoscibile rispetto a quello del 1952 e probabilmente non si potrebbe più adattare a quel tipo di spettacolo. E’ cambiata anche la gente, che incalzata da ritmi di vita più assillanti ha forse dimenticato il piacere di ritrovarsi insieme e il gusto di organizzare qualcosa. Ma il richiamo alla memoria di come eravamo e di cosa facevamo può aiutare a ritrovare il senso di una vita di comunità ed è una bussola sicura per non perdere la coscienza e l’orgoglio delle nostre radici, riconoscere le caratteristiche del nostro territorio per salvarlo da interventi che non lo rispettano, orientare il nostro presente e far comprendere ai nostri figli che il baule dei ricordi conserva tesori preziosi. Che si possono ancora spendere. Bonifacio Pignatti 1845 IL SEGO NEL TEMPO Lo spettacolo iniziava con una parata, composta da tutti gli attori accompagnati da una banda musicale e da un cronista. La protagonista, Marcolina Fara o Trivella, la Vècia, accompagnata dal marito, compie furti a discapito degli abitanti della località dei Coronini, situata ai piedi dei colli di Custoza. Lungo il suo percorso incontra una famiglia di contadini, i piansoti, che, alla vista della Vècia, corrono terrorizzati all’interno della loro capanna di paglia. Marcolina, offesa, decide di incendiarla, con l’intento di uccidere l‘intera famiglia che, al contrario, riesce a fuggire. In seguito alla denuncia dei piansoti al tribunale, la Vècia viene accusata dall’Alta corte di giustizia dell’incendio e ricercata per essere processata. Inseguita dagli sbirri la Vècia non si lascia catturare, continuando a compiere furti. Il Giudice decide di formare una squadra di artiglieria e cavalleria per porre fine alla fuga di Marcolina che, nel frattempo, fa amicizia con una banda di lazaroni per far fronte all’esercito del Giudice. Dopo uno scontro cruento tra i due schieramenti, Marcolina, catturata, finisce in prigione. Il marito con l’inganno e il buon vino riesce a far ubriacare il guardiano che la controlla. Marcolina esce e, dopo un altro avventuroso inseguimento, viene finalmente catturata e condannata dal giudice al supplizio del Sego. M.V.A. da L’Arena del 9.6.2010 1876 Primo spettacolo documentato 3 anni Il Sego senza “el segon” I conti, i modenesi e il mistero della vigilia C om’è facile intuire, molti di noi non videro quel giorno. Era il 23 marzo 1952. Com’è nell’ordine nelle cose, il tempo ci ha lasciato alcuni spettatori e qualche partecipante. Però quel giorno l’abbiamo rivissuto tante volte, nei discorsi, nei racconti, nelle interviste. E molti di noi portano cognomi di famiglie che col Sego della Vecia hanno intrecciato la loro storia di gente comune o più nota. E pare che qualcuna di queste famiglie si diede da fare in maniera un po’ originale. A pochi giorni dalla data stabilita e ormai affissa in tutti i paesi, questa era la domanda che preoccupava tutta Custoza, passando di bocca in bocca. Eh sì, perché “el Segon”, il truculento simbolo di una giustizia poco divina e molto terrena, il vero protagonista dell’atto finale del tragicomico Sego della Vecia, non si trovava. O meglio, tutti i partecipanti (e non) si erano prodigati per far avere alla produzione il ricercato pezzo d’acciaio. E se non lui, almeno uno che potesse essere paragonabile. Chi aveva frugato in cantine e granai, trovando solo vino e salami per gli attori; chi cercato in fienili e pagliai, trovando un sacco di aghi ma nulla più; chi chiesto ad amici e parenti, trovando solo bocche serpentine da sfamare. Alla fine, i candidati furono portati nell’ultima riunione del Comitato per i Festeggiamenti, tenutasi nello stretto riserbo dell’Osteria Forante, in centro al paese. Allineati, accostati al muro, come torri sul muro in un affresco paesaggistico, furono guardati, soppesati, setacciati e valutati dagli attenti occhi della produzione. “Sa ei sti chì?” - “Sa vuto che i sia? Dei se- goni no?” - “Segoni?? Ma sa dito, i sarà dei seghetti da vegne, ben che la vaga!!” Niente da fare. Alcuni erano troppo corti e tozzi, altri troppo smilzi e sottili, alcuni sdentati e piegati, altri arrugginiti e graffiati... robetta insomma. Nessuno dei candidati ispirava quella sensazione di forza bruta, di totalitarismo della giustizia, di arma equa e livellatrice, di cieco dispensatore di certezza della pena che “el Segon” doveva esprimere. “Gente, bisogna darse da far e dimandar in giro!” - “Eh si!” - “Vaben dai!” - “Vaben cosa che manca tri giorni?!?!?” Eccolo lì, sputato in faccia a tutti i presenti il vero problema, quello che rendeva lunghi i musi. Erano passati anni dall’ultimo Sego del 1937. Anni che avevano visto la tragedia finale del fascismo, portato guerra e lacrime nelle famiglie, che profumavano ancora di Liberazione e di ricostruzione. Anni in cui si era sempre rimandato il Sego, seppur ricordandolo nei discorsi di osteria, nei filò nelle stalle, nei sorrisi e nelle risate di chi lo raccontava. Anni trascorsi aspettando tempi migliori, per dar sfogo ancora una volta alla “pazzia” e alla foga creativa che da sempre avevano caratterizzato Custoza. E ora che finalmente si era vinto il torpore e la ritrosia degli abitanti, ora che tutto era organizzato, preparato nei particolari, pronto a stupire... “No podemo mia far el Sego sensa el Segon!!” - “E se la brusen?” - “Ma va là intrego, no l’è mia el brujel de l’Epifania!” Parole grosse iniziarono a volare da un capo all’altro dei tavoli, colmi di quadernetti, lapis e bicchieri di bianco d’ordinanza. Si venne quasi alle mani, per meglio riaffermare i propri concetti, finché due parole furono le sole a far tacere tutte le altre: Pignatti e Modenesi. “Dai Modenesi gh’è el Segon” - “Si ma i Pignatti no i vol mia” - “Ma ghe le domanda i Modenesi ai Pignatti!” - “Mandé qualcheduni a ciamar Mario!” I conti Pignatti, la famiglia più in vista a Custoza, erano già stati tirati in ballo da organizzatori e Curia nelle rappresentazioni precedenti. Il Sego della Vecia infatti fu sempre avversato dai religiosi, per il suo irriverente sovvertire i dettami della Quaresima. Una rappresentazione rischiò di essere cancellata, proprio perché la Curia chiese alla nobile famiglia di non concedere l’uso dei terreni richiesti dalla produzione. Da allora, i Pignatti erano sempre rimasti un po’ in disparte, nella realizzazione dello spettacolo che rendeva famosa Custoza. Subito un ragazzino fu spedito di corsa, per scendere la collina in bici e andare a “bussare” alla casa dei Modenesi, per far venire tale Mario alla riunione. Modenesi era il soprannome con cui tutti chiamavano la famiglia giunta a Custoza assieme ai conti Pignatti dopo la prima guerra mondiale, come loro mezzadri e braccianti nel contado. Qualcuno dei Modenesi era già impegnato nel Sego come figurante, ma Mario era sempre rimasto un po’ in disparte. Si diceva che avesse un carattere particolare, piuttosto originale e non semplice da trattare. Dopo una mezz’oretta, questo Mario si presentò, sentì quello che chiedevano gli organizzatori e se ne andò con la promessa che “el Segon” sarebbe stato al suo posto al momento giusto, ma con la raccomandazione di non far trapelare la notizia. Ma si sa, far stare zitta la gente, per di più in una paese piccolo, è sempre stata cosa Custoza, oggi pressoché impossibile. Fu così che il giorno prima, il 22 marzo, la notizia era passata velocemente di bocca in bocca, fino a giungere alle orecchie del conte Pignatti, che fece prontamente chiamare il suo bracciante. Era noto il rapporto che legava le due famiglie, di reciproco rispetto pur nei diversi ruoli, ma anche di fiducia e di contrapposizione, a volte. Si parlava chiaro e con franchezza, senza sciocco timore reverenziale. E il Mario in questo pare fosse proprio a suo agio. Per questo alla domanda del Conte: “Reggiani, che intende fare lei con quell’arnese?” la pronta risposta fu “Segare ciò che lo merita, Signor Conte!” Il rilassarsi dei tratti del viso in un appena accennato sorriso era il miglior via libera che ci si potesse aspettare. Qualcuno narra, ma si tratta di fonte mai confermata, che proprio al momento dell’esecuzione della Vecia, le imposte di una finestra di Villa Pignatti fossero state stranamente aperte all’improvviso. Eh si sa: questi matti di Custoza, che malelingue! Tutto quanto scritto è frutto di voci di popolo, dicerie, stralci di racconti e tanta tanta immaginazione dell’autore. Rudi Reggiani numero I 3 marzo 2012 personaggi Al diavolo il ‘52 Dalla Cina con furore Diego Ranzato: quella volta ho rischiato di finire “arrosto” iego Ranzato ha impersonato il Diavolo D nell’ultima rappresentazione del Sego della Ve- cia, nel 1952. Appariva in scena nel finale, annunciato da una grande fiammata (che in quella occasione gli bruciacchiò il viso, le braccia e una parte del costume) mentre i boia segavano la vecia Marcolina. Lui poi la infilzava con il forcone e la esibiva come trofeo fra gli applausi: era la scena conclusiva. Abbiamo incontrato qualche tempo fa Diego Ranzato a casa sua, circondato dai familiari, per rievocare insieme quel Sego del 1952, aiutando la memoria con le foto rimaste, e ammirare quel “cimelio” che è il costume originale da diavolo. Ovviamente rosso fuoco con tanto di cappuccio con le corna. Domanda: Diego, ecco l’incendio della casa dei “piansoti” (mostrandogli la foto)... Risposta. Eh sì, c’era anche mio fratello Tito fra loro. Piangevano quando “i gà brusà” la casa. E’ stato l’inizio della battaglia... Diego, quanti anni avevi quando è stato fatto l’ultimo Sego? Venti. Ma ho visto anche il penultimo (1937, ndr). Mi ricordo di mio papà che era ferito, e dei “lazaroni” vestiti tutti di “mocoli” e “bogoni infilè” come una collana. Ma perchè si chiamavano “lazaroni”? Era per dire che erano gentaglia, briganti. Perchè hanno scelto te per fare il diavolo, nel 1952? E’ stato il parroco di Custoza, don Germano. Prima di me c’era Giulio Caùr Valbusa, quello che stava alla Bagolina. Ma poi è mancato. Cercavano uno e don Germano ha fatto il mio nome. Ma ricordo poco dello spettacolo perché mi hanno messo là al cimitero vestito da diavolo e non potevo farmi vedere. Fino a quando mi hanno detto che era il momento di andar giù a prendere la “vecia”. E’ stato lì che “me son brusà”, insomma ustionato tutta la faccia e le braccia: avevo esagerato con la polvere da sparo per fare la fiammata! Ed ecco la foto di quando alzi in aria la “vecia” con il forcone... Eh sì. E non mi ricordo quanto, ma della gente di Villafranca mi dava quel che volevo per avere la vecia. Invece sono andato alla Valbusa e l’”emo sconta” in casa. C’era rivalità fra i due paesi, loro erano un po’ invidiosi... Hanno perfino sabotato gli altoparlanti... Torniamo al diavolo... Serviva un personaggio che saltava e si muoveva, bello vivace insomma. Dovevo partire dal cimitero con la mia forca, in mezzo a una vampata di 9 marzo 1902 2 aprile 1905 Chi era la vecia Marcolina, seduttrice, ladra e assassina L fuoco che usciva da un tubo pieno di polvere da sparo, quando dicevano “e il diavolo se la porti via”. Ma il bello è che quella volta “el diaolo el sa brusà dal bon”: la polvere da sparo mi sembrava poca e ne ho aggiunta dell’altra. E mi sono bruciato davvero. Ma ho fatto i miei salti lo stesso e dopo mi ha curato il dottor Brachetti. Un particolare che mi ricordo è quando hanno catturato la “vecia”: l’hanno messa in prigione, ma il Bapi che doveva custodirla “el sa imbriagà” e allora la “vecia” è scappata su per una scala. Le sono corsi dietro su per la scala, ma “la gavea na vesiga e l’ha pissà zò”. Il palco chi l’ha costruito? Giannetto e Giulio, il fratello della Elsa. E i vestiti? L’ultima volta erano vestiti militari e costumi teatrali, a noleggio. Come si svolgeva la preparazione dello spettacolo? Da Albino Piona c’era una sala, là si organizzava tutto per qualche mese. Ci sono andato una volta: mi hanno detto fa così e così. La forca l’ha fatta “el ferar”. Cos’era previsto in caso di pioggia? Si diceva di rimandare alla domenica successiva. Gli attori erano solo maschi. Le donne cosa facevano? I vestiti. Diego Ranzato e alle sue spalle una foto che lo ritrae nelle vesti del diavolo nel 1952 Come mai nel 1952 s’è deciso di rifare il Sego dopo 15 anni? Con Giulio Piona volevano fare una cosa nuova. Perchè hanno scelto Silvio “Begolo” per fare la Marcolina? Semplice: “el ghe someava ala vecia”. Parlaci della battaglia. Bisognava far la guerra a ‘sta “vecia”. Prima avanzavano i nostri, che avevano fucili caricati a salve, poi quegli altri che avevano non fucili ma cannoni fatti con i tubi da stufa e la “sbarosaia”. “Ai Coronini ‘na chioccia coi ponsini, al Boscon tri piti en capon”. E il processo? Prima hanno fatto consiglio, e hanno deciso che questa “vecia” che porta danno bisognava eliminarla. E la vedevi che saltava come una matta, con ‘sto ombrellino... Diego, pensi che il Sego si possa rifare? Io penso che ci sia gente che vuole rifarlo. “E se te lo rifè, bisogna che el sia ancora così”. Valeria Cherubini e Massimo Valbusa 23 marzo 1914 Diego Ranzato con il costume originale e Stefano Adami 15 marzo 1920 15 marzo 1926 a Vecia Marcolina Trivella figlia di N.N., d’anni 75, di professione ladra, seduttrice e assassina senza fissa dimora (ma sembra provenisse dalla Cina); era lei la protagonista del Sego della Vecia. il ruolo veniva attribuito ad una persona che si sapeva distinguere per l’allegria, l’agilità, un viso particolarmente rugoso e la capacità di mettersi in gioco. Ma altro che Cina! Veniva dal Gorgo la vecia Marcolina del nostro Sego: al secolo Emilio Silvio Valbusa detto “Begolo” o “Sifola”. Classe 1896, primo di nove fratelli, doveva essere un vero personaggio nella Custoza del secolo scorso. Non era sposato e toccò a lui il ruolo della “vecia” nelle ultime due edizioni del Sego (1937 e 1952), quando aveva 41 e 56 anni. Se guardate bene la foto che lo ritrae in posa sotto l’Ossario, sembra perfetto per rappresentare quel personaggio ricevuto in dote dal padre Luigi (classe 1861), che impersonò la vecia nelle prime edizioni del ‘900. Lo immagino fiero di vestire quei panni stravaganti e ripararsi con quell’ombrellino da signora; forse emozionato per essere il protagonista principale di quell’evento, certamente consapevole della responsabilità e sicuro delle istruzioni che il regista gli aveva affidato per non fare brutta figura davanti a diecimila persone. Alla fine della fuga e del processo, prima di affrontare l’esecuzione doveva pure esibire le sue doti di trasformista per poter scivolare nella botola e lasciare posto, senza che nessuno se ne accorgesse, al fantoccio che sarebbe stato segato e successivamente portato via dal “diaolo” come trofeo. Lo immagino alla fine dello spettacolo ricevere i complimenti e gli applausi degli spettatori e dei compagni di quella meravigliosa avventura che faceva diventare per un giorno Custoza il centro del mondo lasciando dietro di sé ricordi, foto e vino bianco ma soprattutto la voglia di raccontare e di trasmettere la parte a qualcuno della famiglia e agli amici. Perché se per fare il Sego successivo non si sapeva quanti anni sarebbero passati, c’era comunque la certezza che si sarebbe rimesso in scena non appena un altro gruppo di volontari avesse avuto l’entusiasmo e la voglia di divertirsi insieme. Ma torniamo all’ultima “vecia”, che certamente non avrebbe immaginato dopo quelle corse e quei salti in mezzo ai vigneti di finire un giorno, per colpa di una malattia, su una sedia a rotelle con entrambe le gambe amputate, “segate”: è così che a volte il destino si prende gioco di certe persone. Di certo Silvio Valbusa non ha mai perso il buonumore, anche quando quelle rughe della foto con il passare degli anni sono diventate sempre più profonde. A questo punto non mi resta che dire che 16 marzo 1931 7 marzo 1937 Silvio Valbusa nei panni della vecia Marcolina davanti all’Ossario di Custoza nel 1952 sarebbe meglio darsi da fare per individuare il prossimo protagonista, ovviamente fornito delle caratteristiche necessarie per diventare la “vecia”. Il sottoscritto si chiama Valbusa ma purtroppo non è né agile e nemmeno con la faccia rugosa. Al limite mi si potrà affidare il ruolo di portaordini, già ricoperto da mio padre nel ’52. Massimo Valbusa Il regista del ‘52 Giulio Piona 23 marzo 1952 Ultima rappresentazione La Vecia va all’università La tesi di laurea di Valeria Cherubini I l 10 marzo 2010 Valeria Cherubini, studentessa di Manerbio (BS), si è laureata presso l’Università degli studi di Verona con una tesi sul Sego della Vecia di Custoza. Valeria ha svolto una ricerca storica sul Sego su proposta del professor Nicola Pasqualicchio, docente di storia del teatro e dello spettacolo del dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica della Facoltà di Lettere e Filosofia che l’ha messa in contatto con l’Associazione Créa. Come scrive nel capitolo introduttivo, la tesi si divide in quattro capitoli: partendo da una generale contestualizzazione del rituale festivo, la ricerca gradualmente si avvicina al tema centrale del Sego di Custoza, esposto nell’ultimo capitolo. Vengono presi in esame diversi esempi italiani in cui il rituale della Vecchia ha assunto o assume un particolare valore (in Toscana, in particolare nell’area senese, in Emilia Romagna, dove a Forlimpopoli è ancora oggi vissuta con grande solennità, in Sicilia, in Lombardia e in Veneto). “Per quanto riguarda Custoza, oltre ai documenti conservati nell’Archivio Parrocchiale di Custoza e al libro “El sego del la Vécia a Custoza” (1986) di Giuseppe Rama – scrive Valeria Cherubini - fondamentale è stata la memoria dei cittadini di Custoza che si sono resi disponibili per raccontarmi ciò che ricordano dell’esperienza del Sego. Un ringraziamento perticolare a Luigi Bovo, Roberto Do, Dante Farina, Augusto Forante, Cornelio Lonardi, Diego Ranzato, Renzo Tabarini, Dario Turato e Luigi Valbusa e alle rispettive famiglie per il tempo dedicatomi e la cordiale accoglienza”. Stefano Adami Presentazione pubblica della tesi di Valeria Cherubini nella palestra di Custoza, 11 giugno 2010 Il giorno della laurea: Rudi Reggiani, Valeria Cherubini, Massimo Valbusa e Stefano Adami numero I 4 marzo 2012 numeri I magnifici 145 I sottoscrittori che resero possibile l’edizione del Sego della Vecia del 23 marzo 1952 VALBUSA ERNESTO SILVIO ENZO GUIDO BRUNO ANGELO FERDINANDO BERTAGNA ALBERTINI GRIZZI LUIGI RENZO ALDO DARIO VITTORINO ADELINO MARCELLO MARIO FERRUCCIO MARCELLO GIULIO SILVIO SILVIO LUIGI MARCELLO ALBINO ALBINO OTELLO QUINTO ABRAMO ANGELO VITTORIO BENINI EZIO EMILIO ETTORE EMILIO FASOLI ANGELO VITTORIO REGGIANI FILIPPI BRESSANELLI DARIO ATTILIO POZZATO SERPELLONI ANGELO GIOVANNI DARIO ATTILIO CUNEGO ROMANO DONATELLI SILVIO ECCHELI MARIO NALINI GINO PERAZZOLOZELINDO PERANTONIBRUNO RUGGERI PIONA ERIGOZZI TABARINI ZANETTI FACCIOLI FERIN FERRARO POLATO PREDOMO ROSSETTO Responsabile del progetto editoriale: Stefano Adami Coordinatore attività del progetto Sego della Vecia: Matteo Sette Direttore Responsabile: Coordinamento di redazione: Comitato di Redazione: Progetto grafico e impaginazione: Contributi fotografici: FERRARI GIOVANNI AMEDEO COSTANZO FRANCO DARIO ELIO GIOVANNI SERGIO LUIGI FERDINANDO ROMOLO BRUNO BRUNO CARLO ROMEO MARINO NATALE ARMANDO LICURGO FABIO edizione del 1952 venne finanziata da L’ una sottoscrizione a cui adirì la maggior parte degli abitanti di Custoza, come riportato da Giuseppe Rama nel libro El sego de la Vecia a Custoza, il primo studio completo dedicato nel 1986 a questa tradizione. Secondo quanto si legge nel foglio manoscritto di registrazione “spese e profitti”, per sostenere i costi dello spettacolo – allestimento, costumi di scena, attrezzeria, materiali per affetti speciali ecc - La quota di adesione era stata fissata in 2.000 lire, corrispondenti a circa 30 euro di oggi. Tra coloro che versarono la quota furono molti gli attori e le comparse che preserono parte alla messinscena. Risulta anche che “alla spartizione degli utili ciascun attore ricevette la somma di L. 5.000. Per i costumi in parte si provvide con robe vecchie, in parte affittandoli da prestarobe. Ogni gruppo d’attori possedeva specifiche uniformi, rese appariscenti con trovate fantasiose” che furono confezionate dalle donne di Custoza. Parteciparono al Sego anche dei minorenni di cui conosciamo alcuni nomi: Luigi Bovo e Giovanni Cordioli nella parte di chierichetti, Italo Ranzato, Ernesto Valbusa, Luigi Tomelleri, Albino Tomelleri, Giampietro Pachera, Valeriano Pachera, Franco Pachera, Roberto Do, Adelino Turato, Giancarlo Piona in quella dei “piansoti”. LONARDI ADAMI DOMENICO ANGELO CORNELIO RINO BRUNO MARCHESINI PASQUETTI RANZATO ARMANI BOVO CORDIOLI LIDIO DINO VITTORIO GIUSEPPE TURATO ANGELO GIOVANNI GILDO GIUSEPPE MILLO FORANTE AGOSTINO FRANCO BAIETTA ANGELO BERTONCELLI PAOLO BISSOLI TURRINI DARIO MARIO RINO FARINA ALESSANDRO VITTORIO LUIGI ENZO NERINO PASQUALE GIULIO EGIDIO GIUSEPPE NELLO ANDREA GARDINI ENRICO GIUSEPPE BOMBIERI CALIARI CARLETTI RUBERTI SCALFO STOPPOLI TOFFALI PIETRO TOMELLERI CESARE TROIANI MARCELLO Bonifacio Pignatti Carlo Saletti, Roberto Solieri Damiano Pettenon, Rudi Reggiani, Massimo Valbusa Elena Turazzini Ben Turpin Studios, Musitelli - Villafranca SILVIO GIUSEPPE PEZZINI OTTORINO ARTURO PACHERA SALVATORE FERRUCCIO GIOVANNI LEONI LUGO MARAI MARIO ANGELO GIUSEPPE MARIO LUIGI MARIO GIOVANNI FRANCHINIFRANCESCO GABURRO ALDO GIRELLI PAOLO GUIDO DIEGO ITALO GIOVANNI VENTURELLI LAVAGNOLIGINO BRUNO LINO ROMANO DOMENICO SILVIO CARTERI CHECCHINI CRISTINI GIUSEPPE BRUNO DARIO SILVINO DARIO DOMENICO MENEGOTTIBRUNO MARIO MIGLIORANZI DARIO ANGELO MONTRESOR VICENTINI ZAMPIERI ZORZI BENIGNO GUIDO VITTORIO VITTORIO Nel prossimo numero: attori e ruoli nel Sego del ‘52; interviste ai protagonisti; curiosità e aneddoti; il progetto per un nuovo allestimento del Sego. Stampato presso: Studio Fasoli & Co. srl, Via Mantovana 90/F, 37137 Verona Tiratura: 2.000 copie Editore: (Verona) Créa - Associazione Culturale di CUSTOZA www.creacustoza.it Per suggerimenti, interventi, invio di materiale e testimonianze scrivere a: [email protected]