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numero I
marzo 2012
Un foglio
per Custoza
na domenica di sessanta anni fa, il 23
U
marzo 1952, Custoza veniva festosamente
invasa da almeno diecimila persone curiose
di assistere, dopo molti anni, ad uno spettacolo unico, il Sego della Vecia, che da allora
non è stato più riproposto. In questi ultimi
anni, grazie all’Associazione Créa di Custoza, costituitasi inizialmente proprio con
l’obiettivo specifico di rimettere in scena il
Sego, si è risvegliato l’interesse a riscoprire una
tradizione unica nel suo genere.
Il foglio di informazione che avete tra le mani
e state leggendo è nato per essere un mezzo
di divulgazione delle notizie sulle passate edizioni del Sego e delle iniziative che si intendono realizzare in futuro. Allo stesso tempo
si auspica che possa diventare uno strumento
più ampio di informazione, e quindi non
solo legato al Sego, con il quale dare voce alla
comunità di Custoza.
Questo primo numero del foglio del Sego
dà, inoltre, corpo a uno dei progetti lanciati
dall’associazione in questi ultimi mesi: quello
di formare un gruppo di lavoro che abbia
la competenza e le conoscenze necessarie –
dalla scrittura di testi, alla loro impaginazione
grafica – per costruire un giornale. Si è, così,
costituito un gruppo redazionale, che è aperto a chiunque intenda collaborare, con un
occhio particolare ai giovani. La nostra redazione avrà, inoltre, la fortuna di lavorare a
fianco di un professionista dell’editoria quotidiana. E mi riferisco al nostro concittadino
Bonifacio Pignatti, che desidero ringraziare
di cuore per avere accettato la proposta di
dirigere Il Sego.
Qualcosa, ora sul nome della testata. Il Sego,
che a qualcuno potrà sembrare scontato, è
stato scelto proprio perché, se pure desueto,
è identificativo di Custoza.
L’intenzione è di far seguire a questa prima
uscita altri numeri. L’augurio è che Il Sego
possa diventare un foglio di notizie che stimoli la curiosità e l’interesse di chi lo legge,
aperto a suggerimenti e proposte. Invitiamo
a segnalarci errori, inesattezze e fornirci altro
materiale che magari sta ancora nascosto in
qualche cassetto o tra i vostri ricordi.
Tutto ciò può essere utile per ricostruire, tutti
assieme, questa straordinaria pagina della storia di Custoza. S.A.
Sessant’anni dopo
Un momento dello spettacolo del 1952: il diavolo inforca la vecia che è appena stata segata dai boia
Lo spettacolo tragicomico torna in piazza
L
Il Sego
senza
“el segon”
di Rudi Reggiani
a pag. 2
Dalla
Cina con
furore
di Massimo Valbusa
a pag. 3
a felice intuizione nel 1995 di assegnare a una
via di Custoza lo strano nome di “Sego de la Vecia” ha permesso di fissare nella memoria dei suoi
abitanti il ricordo del dramma tragicomico che
qui veniva messo in scena fin dalla metà del 1800.
Tuttavia se si chiede oggi ai giovani - e non solo che cosa fosse il Sego della Vecia, la maggior parte
di loro non saprebbe cosa rispondere: sono infatti
trascorsi sessant’anni dall’ultima rappresentazione. Era domenica 23 marzo 1952 e, come riporta la cronaca dell’Arena in edicola due giorni
dopo, “a Custoza c’erano macchine da Reggio
Emilia, da Milano, da Bergamo, da Mantova. La
gente era appollaiata sui tetti dei rustici, arrampicata sui pagliai. Un mare di gente si stendeva a
semicerchio sul naturale anfiteatro delle colline“.
Cosa, quella domenica, aveva attirato in massa a
Custoza? Cosa era il cosiddetto Sego? Lo spiega
bene don Marcello Da Re, parroco del nostro abitato dal 1940 al 1950: “Custoza entro un certo
raggio di paesi circonvicini più che per i suoi
colli verdeggianti, o per i suoi ricordi patriottici,
è conosciuta per il famoso Sego de la Vecia, che
è una specie di rappresentazione comico-tragica
(in versi dialettali) alla quale partecipa tutto il
paese come attore e gli altri paesi come spettatori
a pagamento. La manifestazione, essendo di una
certa notorietà e caratteristica del luogo (o come si
dice adesso folkloristica), è patrocinata dalle autorità. Di regola ordinaria la si tiene ogni sei anni”.
Scorrendo i nomi di coloro che diedero vita a
quella edizione del Sego – cento quarantacinque
attori tra comparse e protagonisti (solo maschi,
anche per i ruoli femminili, come succedeva nel
teatro antico e come succede ancor’oggi in certe
forme di teatro orientale) e le altre persone addette alle svariate attività di confezione dei costumi di scena, logistiche e di supporto vario – ci
si accorge che sono rimasti in pochi e chi ricorda
quel Sego, oggi, ha superato i sessant’anni. Quando, però, s‘inizia a parlarne, ecco riemergere dalla
memoria frammenti della trama, nomi e soprannomi dei protagonisti, aneddoti, qualche battuta
del testo in rima, e così via. Chiacchierando con
alcuni dei protagonisti di allora, si coglie ancora
l’entusiasmo e anche un po’ di commozione, sintomo che quel Sego ha lascito un segno incancel-
labile e una voglia inconfessata di poterlo rifare.
E in effetti, negli anni successivi sono stati fatti
vari tentativi di riproporlo, ma sino a oggi non
se ne è fatto nulla. Già un articolo apparso su
L’Arena del 27 agosto 1976, a firma Germano
Alberti, ricordando alcuni aspetti del Sego di
Custoza si concludeva con l’augurio che la manifestazione venisse riproposta, magari in forma più
moderna. E nel 1986 Giuseppe Rama ha avuto
il grande merito di pubblicare il libretto intitolato El Sego de la Vecia a Custoza, stampato da
La Casa Verde, dove lo studioso raccontava “con
l’ausilio di testimonianze e documenti editi e inediti questo complesso brano di folklore lungo
un arco di tempo compreso tra il 1845 e i giorni
nostri”. L’uscita di questo interessante e prezioso
volumetto, andato ormai esaurito e di cui si ha
in mente una ristampa, aveva immediatamente
ridestato l’interesse verso il Sego. Così, l’anno
successivo Giulio Piona, che nel 1952 era stato
il regista e presidente del Comitato “Sego della
vecia”, assieme al maestro Romano Adami, che
in quel Sego aveva avuto la parte dell’avvocato
difensore della vecia, avevano promosso tramite
la Pro Loco un incontro pubblico, fissandone la
data per sabato 21 marzo 1987. Nel volantino,
inviato a tutti gli abitanti di Custoza, si spiegava che “anche in seguito a insistenze da parte di
molti appassionati e nostalgici delle nostre tradizioni folkloristiche, si è considerata la possibilità
di ripristinare la rappresentazione del Sego de la
Vecia”. Passò qualche tempo e si arrivò al 2001. In
quell’anno, un ulteriore comitato spontaneo convocò un incontro pubblico per iniziare a rimettere
insieme testimonianze, racconti, ricordi, a raccogliere fotografie rimaste per anni dimenticate nei
cassetti. In quell’occasione fu contattato Alessandro Anderloni, a cui venne proposta la regia per
una possibile riedizione.
Più recentemente, nel 2007, in occasione
dell’inaugurazione di via don Germano Malacchini, parroco a Custoza dal 1950 al 1971, è stata
allestita una mostra di fotografie d’epoca. Una
sezione era dedicata proprio al Sego: poche foto
e qualche didascalia con i nomi degli attori sono
bastate, anche in quel caso, a ridestare l’interesse e
la curiosità anche di chi non ne aveva mai sentito
parlare.
Da questa mostra è nato un gruppo spontaneo
che, nell’autunno 2008 insieme ad altri soci fondatori, ha dato vita all’Associazione Créa, con
l’obiettivo primario e la speranza di riuscire finalmente a mettere insieme tante persone di Custoza per valorizzare questa tradizione popolare
recuperandola nella sua versione dialettale ma
proponendone una nuova messa in scena. Nel
corso del 2009 si è iniziato a raccogliere e videoregistrare testimonianze di alcuni dei protagonisti
dell’epoca. Questo lavoro è diventato materiale
per una tesi di laurea sul Sego de la Vecia che è stata discussa il 10 marzo 2010 presso l’Università
degli Studi di Verona da Valeria Cherubini.
Nel corso del 2010 Créa ha promosso alcuni incontri pubblici e allestito nel corso della Festa del
Vino una mostra di foto e disegni che ha rinnovato il ricordo da parte dei più anziani e destato
l’interesse di alcuni giovani che hanno dato la propria disponibilità a partecipare al progetto di una
nuova messa in scena del Sego, che inizialmente
si immaginava potesse essere approntata in occasione del sessantesimo anniversario dall’ultima
edizione: 1952, 2012. Quest’anno.
Purtroppo, per una serie di motivi facilmente
comprensibili – la complessità della manifestazione, i suoi costi, oggi, la tortuosità del percorso
burocratico richiesto, ecc – quell’idea non ha
potuto realizzarsi. E, tuttavia, come cittadini della
comunità di Custoza non vogliamo rinunciare a
festeggiare questo anniversario con l’augurio di
risvegliare nella gente e nei giovani in particolare
il desiderio e l’orgoglio di riprovare, tutti assieme,
a ripensare questo nostro Sego, per poterlo finalmente rimettere in scena.
Stefano Adami
L’augurio dell’amministrazione
di Alberta Bighelli*
uando ho letto il Quadernetto pubbliQ
cato nel 2010 da Créa ho visto riaffiorare
un mondo dimenticato, inusitato, particolare, di un tempo passato irripetibile, ma
che rappresenta una sequenza di dna corale
che ha dato origine all’attuale comunità insieme con altri pezzetti di storia.
E’ stato come leggere un avvenimento lontano, ma senza data, di cui non si sanno
gli esatti contorni e le origini che sembrano
nascere da vari strati di cultura metabolizzata nell’animo delle persone di Custoza,
che si sono assemblati per far sorgere un
unico irripetibile.
Questa parodia della commedia dell’arte,
della giustizia contadina, del banditismo,
della vita di corte, del non senso del 900
(quello di Petrolini), delle giullarate anti
clericali, del manzoniano Azzeccagarbugli, della tortura dei condannati di medioevale memoria, sembra essere sorta come
un’onda sotterranea di storia senza tempo.
Il suo fascino era tale, all’epoca delle piccole rappresentazioni teatrali, da richiamare migliaia di persone in uno spettacolo
all’aperto, anni luce prima dei concerti
rock degli anni ’70.
Il Sego della Vecia rappresenta un fenomeno unico, frutto di una comunità che è
riuscita a raccontarsi in questa opera.
Certo sarà difficile poterla rievocare e soprattutto rievocare la sua attrattiva ed il
magnetismo di pubblico che aveva allora
suscitato ma è bello tentare.
Forse sapremo trovare negli eredi di quella comunità e nel tentativo di rievocare
quell’evento, qualche altro tesoro nascosto
che ancora spinge per vedere la luce.
Sono convinta che sicuramente quel tesoro lo si può di nuovo scoprire solo con
il medesimo metodo utilizzato allora: “la
partecipazione totale della comunità” e
l’apporto anche di quella persona che forse
viene considerata (a torto) l’ultima ruota
del carro. Solo così si può ripetere la magia.
L’Amministrazione comunale di Sommacampagna e l’assessore alla cultura della Provincia
di Verona Marco Ambrosini hanno accolto
con entusiasmo l’invito dell’associazione
Créa di Custoza, garantendo il patrocinio e
un sostegno economico all’iniziativa.Buon
lavoro e buona partecipazione a tutti.
*Assessore alla Cultura del Comune di Sommacampagna
numero I
2
marzo 2012
memorie
Via Chiesa negli anni ‘30
Custoza negli anni ‘30
Via Nuova negli anni ‘50
C’era una volta a Custoza
LA TRAMA
Marcolina ruba e fugge
Condannata al supplizio
Una storia antica che ha ancora molto da raccontare
A
guardare le fotografie ingiallite
dell’ultima rappresentazione del Sego della
Vecia, il 23 marzo 1952, sembrano passati
non sessant’anni ma un secolo. Una Custoza
dalle case rare e gli orizzonti puliti, i terreni
ancora liberi dai filari di viti, le colline dal
profilo netto e continuo, il crinale del monte
Moscatelle da una parte e dall’altra il colle
sormontato da villa Pignatti. In mezzo, la
gente sembra una presenza surreale: i figuranti della messa in scena, il pubblico assiepato
lungo il pendio che dalla villa scende verso la
chiesa. In quell’ultima edizione del Sego gli
attori furono 145, gli spettatori circa diecimila, arrivati da diverse parti della provincia.
Lo spettacolo era durato tre ore, la domenica
pomeriggio, ma per tutto il giorno Custoza
aveva vissuto una festa mobile, con bancarelle di cibi e bevande, quelli che oggi si
chiamerebbero «stand gastronomici», giochi
per bambini, la banda.
Era una domenica di Quaresima. Il Sego
della Vecia aveva ancora una volta fatto irruzione nel periodo di digiuno e penitenza
della tradizione cristiana, risvegliando la potenza simbolica di rituali provenienti dalla
cultura pagana dei campi. La «vecia» era la
personificazione del ciclo stagionale che si
andava esaurendo, la sua eliminazione il presupposto per la prosperità del nuovo anno e
dei raccolti. Era un «capro espiatorio», vittima di una messa in scena tragicomica che
rimandava alle cerimonie di purificazione
dell’antichità e poi, naturalmente, al Carnevale, la più grande festa propiziatoria arrivata ai nostri tempi.
Quando il modello ciclico delle tradizioni
popolari contadine aveva incontrato il cal-
endario liturgico, la “vecia” era diventata la
Quaresima, l’alter ego del Carnevale. A Custoza come in molte altre parti d’Italia, dove
questa figura era la protagonista di drammi
paesani con diverse varianti ma lo stesso
spirito propiziatorio. A volte bruciata, da noi
segata. Con una parola “strana” – sego – che
nemmeno in dialetto si usa per indicare il
segare e invece si ricorda come vecchio e popolare sinonimo di grasso, unto (le candele
che “parean di sego” nella ottocentesca poesia
Sant’Amborgio di Giuseppe Giusti).
E si capisce bene come la Chiesa non potesse vedere di buon occhio questa grottesca
messa in scena, una specie di baccanale nel
periodo di più sacro raccoglimento dell’anno.
Tant’è vero che nel nostro paese più di una
volta all’alba del secolo scorso la rappresentazione dovette essere sospesa e rimandata
per il “sabotaggio” del parroco che forte di un
anatema vescovile era riuscito a convincere il
religiosissimo conte Pignatti a non concedere
il terreno.
Ma alla fine aveva prevalso la volontà popolare, quel comune intento di preservare
e tramandare un evento memorabile che ha
consentito al Sego della Vecia di attraversare
i secoli fino a sessanta anni fa. Le avventure
della “vecia” Marcolina sono passate di generazione in generazione per trasmissione orale,
e fissate in uno spettacolo grazie al coinvolgimento dell’intera comunità di Custoza:
la Marcolina che terrorizza le campagne dei
Coronini e brucia la capanna dei “piansoti”,
la battaglia fra i suoi “lazaroni” e l’esercito
regolare, la cattura e la fuga grazie a uno
stratagemma “alcolico” del marito, la definitiva cattura, il processo davanti alla corte e la
condanna al supplizio del sego sono i passaggi di una trama di per sé elementare, in realtà
ricchissima di spunti scenografici e particolari folclorici che ne costituiscono la vera anima. I personaggi – tutti interpretati da attori
maschi - hanno un’impronta quasi caricaturale, proprio come maschere carnevalesche:
la Marcolina è una vecchietta grinzosa con
un improbabile copricapo, i suoi “lazaroni”
una banda dai costumi bizzarri arrangiati alla
bell’e meglio, i soldati un esercito con divise
regolari ma enormi cappelli a tuba, giudice
e avvocati sono pomposamente addobbati
in toga e tocco e ai poveri “piansoti” tocca
l’abito dei semplici contadini. La battaglia
si faceva a colpi di fucile e artiglieria pesante
– una peculiarità del Sego di Custoza introdotta dopo le battaglia risorgimentali - con
cannoni artigianali ma polvere da sparo vera,
e il diavolo che alla fine si portava via la “vecia” giustiziata appariva con uno spettacolare
colpo di scena annunciato da un’enorme fiammata.
Era tutta (o quasi) una produzione casalinga,
che coinvolgeva per settimane le famiglie
di Custoza, ognuna con un seppur minimo
ruolo. Si organizzava nelle osterie, se ne parlava in piazza, si facevano le prove dove capitava, il teatro delle simulazioni della battaglia
era il pendio del monte Moscatelle. Ed era a
ben vedere questa la vera ricchezza lasciata a
Custoza da un dramma scenico chissà quanto
antico: lo spirito di una comunità che si ritrova a celebrare una memoria di paese e si
adopera per conservarla e rivitalizzarla. Oggi,
a sessanta anni dall’ultima rappresentazione
del Sego della Vecia, l’associazione Crea vuol
riportare alla luce questi valori, rievocando il
Sego come patrimonio della cultura e della
creatività popolare di Custoza. Significa provare a ricostruire quella rappresentazione,
ma (forse) ancor di più riappropriarsi delle
nostre radici, rimettere in moto l’orgoglio di
campanile, coinvolgere il paese, non lasciare che nelle nostre case ricordi e oggetti del
passato si facciano troppo vecchi per essere
ancora riconosciuti. E’ anche l’obiettivo di
questo foglio. “Il Sego” è un nome e insieme
un programma: dare voce a Custoza anche
al di là di questa ricorrenza, offrire al paese
uno strumento in cui riconoscere un senso
di appartenenza, attraverso cui parlare, organizzare, fare proposte, mandare foto. O solo
scrivere.
In sessanta anni i tempi sono cambiati, il
profilo del paese – come si diceva all’inizio
– è irriconoscibile rispetto a quello del 1952
e probabilmente non si potrebbe più adattare a quel tipo di spettacolo. E’ cambiata
anche la gente, che incalzata da ritmi di vita
più assillanti ha forse dimenticato il piacere
di ritrovarsi insieme e il gusto di organizzare qualcosa. Ma il richiamo alla memoria
di come eravamo e di cosa facevamo può aiutare a ritrovare il senso di una vita di comunità ed è una bussola sicura per non perdere
la coscienza e l’orgoglio delle nostre radici,
riconoscere le caratteristiche del nostro territorio per salvarlo da interventi che non lo
rispettano, orientare il nostro presente e far
comprendere ai nostri figli che il baule dei ricordi conserva tesori preziosi. Che si possono
ancora spendere.
Bonifacio Pignatti
1845
IL SEGO NEL TEMPO
Lo spettacolo iniziava con una parata,
composta da tutti gli attori accompagnati
da una banda musicale e da un cronista.
La protagonista, Marcolina Fara o Trivella,
la Vècia, accompagnata dal marito, compie
furti a discapito degli abitanti della località
dei Coronini, situata ai piedi dei colli di
Custoza. Lungo il suo percorso incontra
una famiglia di contadini, i piansoti, che,
alla vista della Vècia, corrono terrorizzati
all’interno della loro capanna di paglia.
Marcolina, offesa, decide di incendiarla,
con l’intento di uccidere l‘intera famiglia
che, al contrario, riesce a fuggire. In seguito
alla denuncia dei piansoti al tribunale, la
Vècia viene accusata dall’Alta corte di giustizia dell’incendio e ricercata per essere
processata. Inseguita dagli sbirri la Vècia
non si lascia catturare, continuando a compiere furti. Il Giudice decide di formare una
squadra di artiglieria e cavalleria per porre
fine alla fuga di Marcolina che, nel frattempo, fa amicizia con una banda di lazaroni
per far fronte all’esercito del Giudice.
Dopo uno scontro cruento tra i due schieramenti, Marcolina, catturata, finisce in
prigione. Il marito con l’inganno e il buon
vino riesce a far ubriacare il guardiano che
la controlla. Marcolina esce e, dopo un altro
avventuroso inseguimento, viene finalmente
catturata e condannata dal giudice al supplizio del Sego. M.V.A.
da L’Arena del 9.6.2010
1876
Primo spettacolo documentato
3 anni
Il Sego senza “el segon”
I conti, i modenesi e il mistero della vigilia
C
om’è facile intuire, molti di noi non
videro quel giorno. Era il 23 marzo 1952.
Com’è nell’ordine nelle cose, il tempo ci ha
lasciato alcuni spettatori e qualche partecipante.
Però quel giorno l’abbiamo rivissuto tante
volte, nei discorsi, nei racconti, nelle interviste. E molti di noi portano cognomi di
famiglie che col Sego della Vecia hanno intrecciato la loro storia di gente comune o più
nota. E pare che qualcuna di queste famiglie
si diede da fare in maniera un po’ originale.
A pochi giorni dalla data stabilita e ormai
affissa in tutti i paesi, questa era la domanda
che preoccupava tutta Custoza, passando di
bocca in bocca.
Eh sì, perché “el Segon”, il truculento simbolo di una giustizia poco divina e molto terrena, il vero protagonista dell’atto finale del
tragicomico Sego della Vecia, non si trovava.
O meglio, tutti i partecipanti (e non) si
erano prodigati per far avere alla produzione
il ricercato pezzo d’acciaio. E se non lui, almeno uno che potesse essere paragonabile.
Chi aveva frugato in cantine e granai, trovando solo vino e salami per gli attori; chi
cercato in fienili e pagliai, trovando un sacco
di aghi ma nulla più; chi chiesto ad amici e
parenti, trovando solo bocche serpentine da
sfamare.
Alla fine, i candidati furono portati
nell’ultima riunione del Comitato per i Festeggiamenti, tenutasi nello stretto riserbo
dell’Osteria Forante, in centro al paese.
Allineati, accostati al muro, come torri sul
muro in un affresco paesaggistico, furono
guardati, soppesati, setacciati e valutati dagli
attenti occhi della produzione.
“Sa ei sti chì?” - “Sa vuto che i sia? Dei se-
goni no?” - “Segoni?? Ma sa dito, i sarà dei
seghetti da vegne, ben che la vaga!!”
Niente da fare. Alcuni erano troppo corti
e tozzi, altri troppo smilzi e sottili, alcuni
sdentati e piegati, altri arrugginiti e graffiati... robetta insomma. Nessuno dei candidati
ispirava quella sensazione di forza bruta, di
totalitarismo della giustizia, di arma equa e
livellatrice, di cieco dispensatore di certezza
della pena che “el Segon” doveva esprimere.
“Gente, bisogna darse da far e dimandar in
giro!” - “Eh si!” - “Vaben dai!” - “Vaben cosa
che manca tri giorni?!?!?”
Eccolo lì, sputato in faccia a tutti i presenti
il vero problema, quello che rendeva lunghi
i musi. Erano passati anni dall’ultimo Sego
del 1937. Anni che avevano visto la tragedia
finale del fascismo, portato guerra e lacrime
nelle famiglie, che profumavano ancora di
Liberazione e di ricostruzione. Anni in cui
si era sempre rimandato il Sego, seppur ricordandolo nei discorsi di osteria, nei filò
nelle stalle, nei sorrisi e nelle risate di chi lo
raccontava. Anni trascorsi aspettando tempi
migliori, per dar sfogo ancora una volta alla
“pazzia” e alla foga creativa che da sempre
avevano caratterizzato Custoza. E ora che finalmente si era vinto il torpore e la ritrosia
degli abitanti, ora che tutto era organizzato,
preparato nei particolari, pronto a stupire...
“No podemo mia far el Sego sensa el Segon!!” - “E se la brusen?” - “Ma va là intrego,
no l’è mia el brujel de l’Epifania!”
Parole grosse iniziarono a volare da un capo
all’altro dei tavoli, colmi di quadernetti,
lapis e bicchieri di bianco d’ordinanza. Si
venne quasi alle mani, per meglio riaffermare
i propri concetti, finché due parole furono
le sole a far tacere tutte le altre: Pignatti e
Modenesi.
“Dai Modenesi gh’è el Segon” - “Si ma i Pignatti no i vol mia” - “Ma ghe le domanda
i Modenesi ai Pignatti!” - “Mandé qualcheduni a ciamar Mario!”
I conti Pignatti, la famiglia più in vista a
Custoza, erano già stati tirati in ballo da
organizzatori e Curia nelle rappresentazioni
precedenti. Il Sego della Vecia infatti fu sempre avversato dai religiosi, per il suo irriverente sovvertire i dettami della Quaresima.
Una rappresentazione rischiò di essere cancellata, proprio perché la Curia chiese alla
nobile famiglia di non concedere l’uso dei
terreni richiesti dalla produzione. Da allora,
i Pignatti erano sempre rimasti un po’ in disparte, nella realizzazione dello spettacolo che
rendeva famosa Custoza.
Subito un ragazzino fu spedito di corsa, per
scendere la collina in bici e andare a “bussare” alla casa dei Modenesi, per far venire
tale Mario alla riunione. Modenesi era il soprannome con cui tutti chiamavano la famiglia giunta a Custoza assieme ai conti Pignatti dopo la prima guerra mondiale, come
loro mezzadri e braccianti nel contado.
Qualcuno dei Modenesi era già impegnato
nel Sego come figurante, ma Mario era sempre rimasto un po’ in disparte. Si diceva che
avesse un carattere particolare, piuttosto
originale e non semplice da trattare.
Dopo una mezz’oretta, questo Mario si presentò, sentì quello che chiedevano gli organizzatori e se ne andò con la promessa che
“el Segon” sarebbe stato al suo posto al momento giusto, ma con la raccomandazione di
non far trapelare la notizia.
Ma si sa, far stare zitta la gente, per di più
in una paese piccolo, è sempre stata cosa
Custoza, oggi
pressoché impossibile. Fu così che il giorno
prima, il 22 marzo, la notizia era passata
velocemente di bocca in bocca, fino a giungere alle orecchie del conte Pignatti, che fece
prontamente chiamare il suo bracciante.
Era noto il rapporto che legava le due famiglie, di reciproco rispetto pur nei diversi
ruoli, ma anche di fiducia e di contrapposizione, a volte. Si parlava chiaro e con franchezza, senza sciocco timore reverenziale. E il
Mario in questo pare fosse proprio a suo agio.
Per questo alla domanda del Conte: “Reggiani, che intende fare lei con quell’arnese?”
la pronta risposta fu “Segare ciò che lo
merita, Signor Conte!” Il rilassarsi dei tratti
del viso in un appena accennato sorriso era
il miglior via libera che ci si potesse aspettare. Qualcuno narra, ma si tratta di fonte
mai confermata, che proprio al momento
dell’esecuzione della Vecia, le imposte di una
finestra di Villa Pignatti fossero state stranamente aperte all’improvviso. Eh si sa: questi
matti di Custoza, che malelingue!
Tutto quanto scritto è frutto di voci di popolo, dicerie, stralci di racconti e tanta tanta
immaginazione dell’autore.
Rudi Reggiani
numero I
3
marzo 2012
personaggi
Al diavolo il ‘52
Dalla Cina con furore
Diego Ranzato: quella volta ho rischiato di finire “arrosto”
iego Ranzato ha impersonato il Diavolo
D
nell’ultima rappresentazione del Sego della Ve-
cia, nel 1952. Appariva in scena nel finale, annunciato da una grande fiammata (che in quella
occasione gli bruciacchiò il viso, le braccia e una
parte del costume) mentre i boia segavano la vecia Marcolina. Lui poi la infilzava con il forcone
e la esibiva come trofeo fra gli applausi: era la
scena conclusiva. Abbiamo incontrato qualche
tempo fa Diego Ranzato a casa sua, circondato
dai familiari, per rievocare insieme quel Sego del
1952, aiutando la memoria con le foto rimaste,
e ammirare quel “cimelio” che è il costume originale da diavolo. Ovviamente rosso fuoco con
tanto di cappuccio con le corna.
Domanda: Diego, ecco l’incendio della casa
dei “piansoti” (mostrandogli la foto)...
Risposta. Eh sì, c’era anche mio fratello Tito fra
loro. Piangevano quando “i gà brusà” la casa. E’
stato l’inizio della battaglia...
Diego, quanti anni avevi quando è stato fatto
l’ultimo Sego?
Venti. Ma ho visto anche il penultimo (1937,
ndr). Mi ricordo di mio papà che era ferito, e
dei “lazaroni” vestiti tutti di “mocoli” e “bogoni
infilè” come una collana.
Ma perchè si chiamavano “lazaroni”?
Era per dire che erano gentaglia, briganti.
Perchè hanno scelto te per fare il diavolo, nel
1952?
E’ stato il parroco di Custoza, don Germano.
Prima di me c’era Giulio Caùr Valbusa, quello
che stava alla Bagolina. Ma poi è mancato.
Cercavano uno e don Germano ha fatto il mio
nome. Ma ricordo poco dello spettacolo perché
mi hanno messo là al cimitero vestito da diavolo e non potevo farmi vedere. Fino a quando
mi hanno detto che era il momento di andar
giù a prendere la “vecia”. E’ stato lì che “me son
brusà”, insomma ustionato tutta la faccia e le
braccia: avevo esagerato con la polvere da sparo
per fare la fiammata!
Ed ecco la foto di quando alzi in aria la “vecia” con il forcone...
Eh sì. E non mi ricordo quanto, ma della gente
di Villafranca mi dava quel che volevo per avere
la vecia. Invece sono andato alla Valbusa e
l’”emo sconta” in casa.
C’era rivalità fra i due paesi, loro erano un
po’ invidiosi...
Hanno perfino sabotato gli altoparlanti...
Torniamo al diavolo...
Serviva un personaggio che saltava e si muoveva,
bello vivace insomma. Dovevo partire dal cimitero con la mia forca, in mezzo a una vampata di
9 marzo
1902
2 aprile
1905
Chi era la vecia Marcolina, seduttrice, ladra e assassina
L
fuoco che usciva da un tubo pieno di polvere da
sparo, quando dicevano “e il diavolo se la porti
via”. Ma il bello è che quella volta “el diaolo el sa
brusà dal bon”: la polvere da sparo mi sembrava
poca e ne ho aggiunta dell’altra. E mi sono bruciato davvero. Ma ho fatto i miei salti lo stesso e
dopo mi ha curato il dottor Brachetti. Un particolare che mi ricordo è quando hanno catturato
la “vecia”: l’hanno messa in prigione, ma il Bapi
che doveva custodirla “el sa imbriagà” e allora la
“vecia” è scappata su per una scala. Le sono corsi
dietro su per la scala, ma “la gavea na vesiga e
l’ha pissà zò”.
Il palco chi l’ha costruito?
Giannetto e Giulio, il fratello della Elsa.
E i vestiti?
L’ultima volta erano vestiti militari e costumi
teatrali, a noleggio.
Come si svolgeva la preparazione dello spettacolo?
Da Albino Piona c’era una sala, là si organizzava
tutto per qualche mese. Ci sono andato una
volta: mi hanno detto fa così e così. La forca l’ha
fatta “el ferar”.
Cos’era previsto in caso di pioggia?
Si diceva di rimandare alla domenica successiva.
Gli attori erano solo maschi. Le donne cosa
facevano?
I vestiti.
Diego Ranzato e alle sue spalle una foto che lo ritrae nelle
vesti del diavolo nel 1952
Come mai nel 1952 s’è deciso di rifare il Sego
dopo 15 anni?
Con Giulio Piona volevano fare una cosa nuova.
Perchè hanno scelto Silvio “Begolo” per fare
la Marcolina?
Semplice: “el ghe someava ala vecia”.
Parlaci della battaglia.
Bisognava far la guerra a ‘sta “vecia”. Prima
avanzavano i nostri, che avevano fucili caricati a
salve, poi quegli altri che avevano non fucili ma
cannoni fatti con i tubi da stufa e la “sbarosaia”.
“Ai Coronini ‘na chioccia coi ponsini, al Boscon
tri piti en capon”.
E il processo?
Prima hanno fatto consiglio, e hanno deciso che
questa “vecia” che porta danno bisognava eliminarla. E la vedevi che saltava come una matta,
con ‘sto ombrellino...
Diego, pensi che il Sego si possa rifare?
Io penso che ci sia gente che vuole rifarlo.
“E se te lo rifè, bisogna che el sia ancora così”.
Valeria Cherubini e Massimo Valbusa
23 marzo
1914
Diego Ranzato con il costume originale e Stefano Adami
15 marzo
1920
15 marzo
1926
a Vecia Marcolina Trivella figlia di N.N.,
d’anni 75, di professione ladra, seduttrice e
assassina senza fissa dimora (ma sembra provenisse dalla Cina); era lei la protagonista del
Sego della Vecia. il ruolo veniva attribuito
ad una persona che si sapeva distinguere per
l’allegria, l’agilità, un viso particolarmente
rugoso e la capacità di mettersi in gioco.
Ma altro che Cina! Veniva dal Gorgo la vecia
Marcolina del nostro Sego: al secolo Emilio
Silvio Valbusa detto “Begolo” o “Sifola”.
Classe 1896, primo di nove fratelli, doveva
essere un vero personaggio nella Custoza del
secolo scorso. Non era sposato e toccò a lui il
ruolo della “vecia” nelle ultime due edizioni
del Sego (1937 e 1952), quando aveva 41 e 56
anni. Se guardate bene la foto che lo ritrae in
posa sotto l’Ossario, sembra perfetto per rappresentare quel personaggio ricevuto in dote
dal padre Luigi (classe 1861), che impersonò
la vecia nelle prime edizioni del ‘900. Lo immagino fiero di vestire quei panni stravaganti
e ripararsi con quell’ombrellino da signora;
forse emozionato per essere il protagonista
principale di quell’evento, certamente consapevole della responsabilità e sicuro delle
istruzioni che il regista gli aveva affidato per
non fare brutta figura davanti a diecimila persone. Alla fine della fuga e del processo, prima
di affrontare l’esecuzione doveva pure esibire
le sue doti di trasformista per poter scivolare
nella botola e lasciare posto, senza che nessuno se ne accorgesse, al fantoccio che sarebbe
stato segato e successivamente portato via dal
“diaolo” come trofeo. Lo immagino alla fine
dello spettacolo ricevere i complimenti e gli
applausi degli spettatori e dei compagni di
quella meravigliosa avventura che faceva diventare per un giorno Custoza il centro del
mondo lasciando dietro di sé ricordi, foto e
vino bianco ma soprattutto la voglia di raccontare e di trasmettere la parte a qualcuno della
famiglia e agli amici. Perché se per fare il Sego
successivo non si sapeva quanti anni sarebbero passati, c’era comunque la certezza che si
sarebbe rimesso in scena non appena un altro
gruppo di volontari avesse avuto l’entusiasmo
e la voglia di divertirsi insieme.
Ma torniamo all’ultima “vecia”, che certamente non avrebbe immaginato dopo quelle
corse e quei salti in mezzo ai vigneti di finire
un giorno, per colpa di una malattia, su una
sedia a rotelle con entrambe le gambe amputate, “segate”: è così che a volte il destino si
prende gioco di certe persone. Di certo Silvio Valbusa non ha mai perso il buonumore,
anche quando quelle rughe della foto con il
passare degli anni sono diventate sempre più
profonde.
A questo punto non mi resta che dire che
16 marzo
1931
7 marzo
1937
Silvio Valbusa nei panni della vecia Marcolina
davanti all’Ossario di Custoza nel 1952
sarebbe meglio darsi da fare per individuare
il prossimo protagonista, ovviamente fornito
delle caratteristiche necessarie per diventare la
“vecia”. Il sottoscritto si chiama Valbusa ma
purtroppo non è né agile e nemmeno con la
faccia rugosa. Al limite mi si potrà affidare il
ruolo di portaordini, già ricoperto da mio padre nel ’52.
Massimo Valbusa
Il regista del ‘52
Giulio Piona
23 marzo
1952
Ultima rappresentazione
La Vecia va all’università
La tesi di laurea di Valeria Cherubini
I
l 10 marzo 2010 Valeria Cherubini, studentessa di Manerbio (BS), si è laureata
presso l’Università degli studi di Verona
con una tesi sul Sego della Vecia di Custoza.
Valeria ha svolto una ricerca storica sul Sego
su proposta del professor Nicola Pasqualicchio, docente di storia del teatro e dello
spettacolo del dipartimento di Filologia,
Letteratura e Linguistica della Facoltà di
Lettere e Filosofia che l’ha messa in contatto con l’Associazione Créa.
Come scrive nel capitolo introduttivo, la
tesi si divide in quattro capitoli: partendo
da una generale contestualizzazione del
rituale festivo, la ricerca gradualmente si
avvicina al tema centrale del Sego di Custoza, esposto nell’ultimo capitolo. Vengono
presi in esame diversi esempi italiani in cui
il rituale della Vecchia ha assunto o assume
un particolare valore (in Toscana, in particolare nell’area senese, in Emilia Romagna,
dove a Forlimpopoli è ancora oggi vissuta
con grande solennità, in Sicilia, in Lombardia e in Veneto).
“Per quanto riguarda Custoza, oltre ai
documenti conservati nell’Archivio Parrocchiale di Custoza e al libro “El sego del la
Vécia a Custoza” (1986) di Giuseppe Rama
– scrive Valeria Cherubini - fondamentale
è stata la memoria dei cittadini di Custoza
che si sono resi disponibili per raccontarmi
ciò che ricordano dell’esperienza del Sego.
Un ringraziamento perticolare a Luigi
Bovo, Roberto Do, Dante Farina, Augusto
Forante, Cornelio Lonardi, Diego Ranzato,
Renzo Tabarini, Dario Turato e Luigi Valbusa e alle rispettive famiglie per il tempo
dedicatomi e la cordiale accoglienza”.
Stefano Adami
Presentazione pubblica della tesi di Valeria Cherubini nella palestra di Custoza, 11 giugno 2010
Il giorno della laurea:
Rudi Reggiani, Valeria Cherubini, Massimo Valbusa e Stefano Adami
numero I
4
marzo 2012
numeri
I magnifici 145
I sottoscrittori che resero possibile
l’edizione del Sego della Vecia
del 23 marzo 1952
VALBUSA ERNESTO
SILVIO
ENZO
GUIDO
BRUNO
ANGELO
FERDINANDO
BERTAGNA
ALBERTINI GRIZZI LUIGI
RENZO
ALDO
DARIO
VITTORINO
ADELINO
MARCELLO
MARIO
FERRUCCIO
MARCELLO
GIULIO
SILVIO
SILVIO
LUIGI
MARCELLO
ALBINO
ALBINO
OTELLO
QUINTO
ABRAMO
ANGELO
VITTORIO
BENINI
EZIO
EMILIO
ETTORE
EMILIO
FASOLI
ANGELO
VITTORIO
REGGIANI
FILIPPI
BRESSANELLI DARIO
ATTILIO
POZZATO
SERPELLONI
ANGELO
GIOVANNI
DARIO
ATTILIO
CUNEGO ROMANO
DONATELLI SILVIO
ECCHELI MARIO
NALINI GINO
PERAZZOLOZELINDO
PERANTONIBRUNO
RUGGERI
PIONA
ERIGOZZI
TABARINI
ZANETTI
FACCIOLI
FERIN
FERRARO
POLATO
PREDOMO
ROSSETTO
Responsabile del progetto editoriale: Stefano Adami
Coordinatore attività del progetto Sego della Vecia: Matteo Sette
Direttore Responsabile: Coordinamento di redazione: Comitato di Redazione: Progetto grafico e impaginazione: Contributi fotografici: FERRARI GIOVANNI
AMEDEO
COSTANZO
FRANCO
DARIO
ELIO
GIOVANNI
SERGIO
LUIGI
FERDINANDO
ROMOLO
BRUNO
BRUNO
CARLO
ROMEO
MARINO
NATALE
ARMANDO
LICURGO
FABIO
edizione del 1952 venne finanziata da
L’
una sottoscrizione a cui adirì la maggior
parte degli abitanti di Custoza, come riportato da Giuseppe Rama nel libro El
sego de la Vecia a Custoza, il primo studio completo dedicato nel 1986 a questa
tradizione. Secondo quanto si legge nel
foglio manoscritto di registrazione “spese
e profitti”, per sostenere i costi dello spettacolo – allestimento, costumi di scena,
attrezzeria, materiali per affetti speciali
ecc - La quota di adesione era stata fissata
in 2.000 lire, corrispondenti a circa 30
euro di oggi. Tra coloro che versarono la
quota furono molti gli attori e le comparse
che preserono parte alla messinscena.
Risulta anche che “alla spartizione degli
utili ciascun attore ricevette la somma di
L. 5.000. Per i costumi in parte si provvide con robe vecchie, in parte affittandoli da prestarobe. Ogni gruppo d’attori
possedeva specifiche uniformi, rese appariscenti con trovate fantasiose” che furono confezionate dalle donne di Custoza.
Parteciparono al Sego anche dei minorenni di cui conosciamo alcuni nomi:
Luigi Bovo e Giovanni Cordioli nella
parte di chierichetti, Italo Ranzato, Ernesto Valbusa, Luigi Tomelleri, Albino
Tomelleri, Giampietro Pachera, Valeriano Pachera, Franco Pachera, Roberto
Do, Adelino Turato, Giancarlo Piona in
quella dei “piansoti”.
LONARDI ADAMI DOMENICO
ANGELO
CORNELIO
RINO
BRUNO
MARCHESINI PASQUETTI RANZATO ARMANI
BOVO
CORDIOLI
LIDIO
DINO
VITTORIO
GIUSEPPE
TURATO
ANGELO
GIOVANNI
GILDO
GIUSEPPE
MILLO
FORANTE AGOSTINO
FRANCO
BAIETTA
ANGELO
BERTONCELLI PAOLO
BISSOLI
TURRINI
DARIO
MARIO
RINO
FARINA
ALESSANDRO
VITTORIO
LUIGI
ENZO
NERINO
PASQUALE
GIULIO
EGIDIO
GIUSEPPE
NELLO
ANDREA
GARDINI
ENRICO
GIUSEPPE
BOMBIERI
CALIARI
CARLETTI
RUBERTI
SCALFO
STOPPOLI
TOFFALI PIETRO
TOMELLERI CESARE
TROIANI MARCELLO
Bonifacio Pignatti
Carlo Saletti, Roberto Solieri
Damiano Pettenon, Rudi Reggiani, Massimo Valbusa
Elena Turazzini
Ben Turpin Studios, Musitelli - Villafranca
SILVIO
GIUSEPPE
PEZZINI
OTTORINO
ARTURO
PACHERA SALVATORE
FERRUCCIO
GIOVANNI
LEONI
LUGO
MARAI
MARIO
ANGELO
GIUSEPPE
MARIO
LUIGI
MARIO
GIOVANNI
FRANCHINIFRANCESCO GABURRO ALDO
GIRELLI PAOLO
GUIDO
DIEGO
ITALO
GIOVANNI
VENTURELLI
LAVAGNOLIGINO
BRUNO
LINO
ROMANO
DOMENICO
SILVIO
CARTERI
CHECCHINI
CRISTINI
GIUSEPPE
BRUNO
DARIO
SILVINO
DARIO
DOMENICO
MENEGOTTIBRUNO
MARIO
MIGLIORANZI DARIO
ANGELO
MONTRESOR
VICENTINI
ZAMPIERI
ZORZI
BENIGNO
GUIDO
VITTORIO
VITTORIO
Nel prossimo numero: attori e ruoli nel Sego del ‘52; interviste ai protagonisti;
curiosità e aneddoti; il progetto per un nuovo allestimento
del Sego.
Stampato presso: Studio Fasoli & Co. srl, Via Mantovana 90/F, 37137 Verona
Tiratura: 2.000 copie
Editore: (Verona)
Créa - Associazione Culturale di CUSTOZA
www.creacustoza.it
Per suggerimenti, interventi, invio di materiale e testimonianze scrivere a:
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