6 4.2.4. 4.3. 4.4. 4.5. 4.6. La spesa della pubblica amministrazione per la formazione continua dei dipendenti 4.2.5. Il finanziamento della formazione in alternanza 4.2.6. Sintesi della spesa pubblica per la formazione professionale Il peso dei fondi comunitari La spesa delle aziende La spesa individuale I confronti internazionali Capitolo 5 — Aspetti qualitativi 5.1. Certificazione e qualifiche 5.1.1. Due sistemi di certificazione 5.1.2. Le certificazioni facenti capo al sistema scolastico e universitario 5.1.3. Le certificazioni facenti capo al sistema di formazione professionale 5.2. Formazione dei formatori 5.2.1. I docenti e i formatori del sistema di istruzione e formazione professionale 5.2.2. Aspetti normativi e professionali della figura del docente e del formatore 5.3. Orientamento professionale 5.3.1. Il quadro legislativo 5.3.2. Le strutture esistenti 5.3.3. Nuove prospettive 5.3.4. Alcune esperienze innovative Capitolo 6 — Tendenze, prospettive e innovazioni 6.1. Strategia generale 6.2. Interventi normativi in atto 6.3. Aspetti innovativi 6.3.1. Verso l’integrazione tra i sistemi 6.3.2. La formazione tecnica professionale superiore 6.3.3. L’apprendistato 6.3.4. Tirocini formativi e di orientamento 6.3.5. Lo sviluppo del sistema di certificazione 6.3.6. L’accreditamento delle strutture formative Allegati 1. 2. 3. 4. Acronimi Principali enti Glossario minimo Bibliografia sulla formazione professionale 1997/98 99 100 101 102 104 105 106 109 109 109 109 110 112 112 113 114 114 114 115 116 119 119 121 123 123 124 125 127 128 136 139 141 143 149 151 Capitolo 6 Tendenze, prospettive e innovazioni 6.1. Strategia generale 119 La legge quadro 845/78 aveva inserito la formazione professionale fra gli strumenti di politica attiva del lavoro, al fine di qualificare, riqualificare, specializzare, aggiornare e perfezionare i lavoratori in un’ottica di formazione permanente; di fatto il sistema italiano di formazione professionale si era per lungo tempo concentrato sulla formazione di primo livello, con l’obiettivo di recuperare un’utenza svantaggiata fuoriuscita dal sistema scolastico senza alcuna qualificazione, e solo nel corso degli anni ’80 aveva cominciato ad aprirsi alle altre utenze. Dopo l’introduzione dei contratti di formazione e lavoro, il favore mostrato dal mondo delle imprese verso tale strumento aveva avviato il confronto fra le parti sociali sul ruolo della formazione. A partire dai primi anni ’90 su impulso delle nuove esigenze espresse dal mondo delle imprese e delle strategie emerse a livello comunitario e sintetizzate nel libro bianco sull’educazione e la formazione, è stato avviato nel nostro paese un ampio dibattito volto a modernizzare e riqualificare tutto il sistema di formazione professionale. Nel protocollo di intesa del gennaio 1993 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL, le parti sociali avanzano proposte per una riforma complessiva del sistema, individuando cinque obiettivi strategici per la modernizzazione del sistema: 1) 2) 3) 4) 5) collegare esigenze produttive e formazione; avere una puntuale rilevazione dei bisogni; sviluppare iniziative per lavoratori già inseriti nel mondo del lavoro; far decollare un sistema di formazione in alternanza con contratti a causa mista; accrescere le iniziative per fasce deboli e lavoratori in mobilità e quelle connesse alle azioni positive. Tali obiettivi strategici dell’intesa bilaterale vengono ripresi e dettagliati in maniera più analitica nel successivo accordo sulla politica dei redditi e dell’occupazione del luglio 1993. In primo luogo l’accordo sottolinea la necessità di superare il confuso panorama istituzionale, caratterizzato da segmentazione e scarso coordinamento fra i soggetti istituzionali interessati: ministero del Lavoro, ministero della Pubblica istruzione, Regioni. A tal fine è prevista l’istituzione di un comitato permanente, cui partecipano anche le parti sociali, con funzioni di raccordo fra i tre filoni del sistema formativo italiano: scuola, università e formazione professionale. Si individua quindi la necessità di chiarire le funzioni dello Stato e delle Regioni in materia di FP, esigenza questa che sarà soddisfatta con il decreto legislativo 112/98. In secondo luogo l’accordo evidenzia la necessità di riorientare il sistema di FP verso la domanda ancora inevasa, attraverso lo sviluppo della formazione superiore, della formazione in alternanza, della formazione continua. In particolare si auspica lo sviluppo di un’offerta formativa post qualifica, post diploma e post laurea; si definiscono i criteri per la riforma dei contratti a causa mista (apprendistato e CFL), con l’obiettivo di valorizzare la formazione teorica; si invoca C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Proprio alle parti sociali va riconosciuto il merito di aver sollecitato per prime un’adeguata riflessione su un sistema indirizzato prevalentemente verso la formazione di base, mentre appariva debole l’impegno nelle altre filiere: formazione professionale superiore, formazione in alternanza, formazione continua. Capitolo 6 120 l’avvio di un sistema di formazione continua, finanziato con le risorse derivanti dal gettito dello 0,3 % del monte salari da parte delle imprese. Per quanto riguarda poi la formazione di base, essa va riformulata in relazione all’innalzamento dell’obbligo scolastico, mentre la riforma della scuola secondaria superiore va inquadrata nell’ottica di un sistema integrato fra scuola e formazione professionale. Il successivo patto per il lavoro del settembre 1996, sottoscritto dal governo e dalle parti sociali, sostanzialmente conferma gli obiettivi programmatici dell’accordo del ’93, con un approccio sistemico: viene formalmente richiesto il superamento della legge 845/78 per delineare un nuovo quadro istituzionale imperniato sul sistema formativo integrato. A tal fine si indicano i seguenti obiettivi fondamentali: innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni; diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età; perseguimento della «integrazione» tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro attraverso l’adozione di una struttura modulare nei percorsi e di un sistema di crediti formativi e certificazione; strutturazione di un sistema autonomo di formazione superiore, non in continuità rispetto alla scuola secondaria; valorizzazione delle attività formative all’interno dell’apprendistato e contratti di formazione-lavoro; diffusione degli stages; sviluppo della formazione professionale continua. Infine nel mese di dicembre 1998 è stato siglato il «Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione». Questo patto, stipulato tra governo e parti sociali, attribuisce alla formazione un valore strategico. In particolare, prevede i seguenti interventi: • introduzione dell’obbligo di formazione (a scuola, nei centri di formazione professionale, in apprendistato) fino a diciotto anni di età; • potenziamento dell’apprendistato (in particolare della formazione esterna) e dei tirocini; • sviluppo del nuovo canale di istruzione e formazione tecnico-professionale integrata; • rafforzamento della formazione continua, anche attraverso riduzioni di orario di lavoro. Infine, nel gennaio del 1999 è stata introdotta l’estensione dell’obbligo scolastico a nove anni di durata, sino al compimento del quindicesimo anno di età, nel quadro di un processo più esteso di riforma che nel mese di maggio ha elevato l’obbligo di istruzione e formazione al diciottesimo anno, secondo criteri che vengono meglio specificati nel paragrafo 6.2. Si può pertanto affermare che la strategia generale di riforma complessiva del sistema di istruzione e formazione professionale, delineata nell’accordo per il lavoro prima e poi nel patto sociale, si è già tradotta in una serie di interventi normativi, mentre altri obiettivi programmatici sono in attesa di una regolamentazione attuativa. In ogni caso si deve sottolineare che il processo di concertazione fra governo e parti sociali ha avuto un ruolo prioritario per la riforma del sistema di istruzione e formazione professionale; lo stesso modello «partecipativo» viene confermato come strumento strategico nella definizione degli obiettivi di riforma in materia non solo di istruzione e formazione, ma in generale di occupazione e lavoro. Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i 6.2. Interventi normativi in atto 121 Nell’ambito del processo di rinnovamento del sistema italiano di formazione professionale, il 1993 rappresenta il momento di maturazione del dibattito, con l’esplicitazione della strategia in intese programmatiche, quali il protocollo di intesa e l’accordo del lavoro ricordati nel paragrafo precedente, e l’avvio del processo normativo di riforma. Infatti la legge 236/93 detta le prime norme in materia di formazione continua, di stages e di indagini di fabbisogni formativi svolte dagli enti bilaterali; successivamente la legge 451/94 dà attuazione alla revisione dei contratti di formazione e lavoro; nel 1995 viene istituito presso il ministero del Lavoro il comitato nazionale della formazione professionale, formato da rappresentanti dei ministeri, delle regioni, delle parti sociali. La legge 196 del 24 giugno 1997 è una norma complessa, che contiene misure di flessibilizzazione del mercato del lavoro — in particolare prevede l’introduzione anche nel nostro paese del lavoro interinale — accanto a numerosi interventi in materia di formazione professionale. Oltre alle norme per la formazione dei lavoratori temporanei (articolo 5) e dei giovani inseriti nei lavori di pubblica utilità e nelle esperienze di «borse-lavoro» (articolo 26), gli articoli 16, 17 e 18 rappresentano gli interventi riformatori più ampi. Gli articoli 16 e 18 mirano a riformare il ruolo della formazione in alternanza nell’ambito del sistema formativo italiano, sulla base delle indicazioni concertate fra governo e parti sociali. In particolare l’articolo 16 contiene importanti modifiche alla disciplina dell’apprendistato, tese a rilanciare lo strumento come canale formativo privilegiato, non più limitato al recupero di giovani fuoriusciti dal sistema scolastico senza alcuna qualificazione ma utile a sostenere l’inserimento dei giovani sul mercato del lavoro. L’intervento normativo in materia di tirocini formativi e di orientamento era da tempo auspicato, per consentire di regolamentare le esperienze di formazione in alternanza che si vanno ormai generalizzando all’interno sia dei percorsi scolastici che di formazione professionale. L’impegno più ampio di riforma dell’intero sistema di formazione professionale è assunto nell’articolo 17, che delinea principi e criteri generali per il riordino, demandando al governo la definizione puntuale dei diversi aspetti attraverso norme regolamentari successive. In particolare vengono affidati alla regolamentazione del governo (il regolamento attuativo è in fase di predisposizione) i temi che sono stati al centro del dibattito sulla modernizzazione del sistema di formazione per tutto il corso degli anni Novanta e quindi: C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Alle proposte elaborate in questa sede si ispirano prima il patto per il lavoro del settembre 1996 e poi la legge 196 del 24 giugno 1997, «Norme in materia di promozione dell’occupazione». Dunque il processo di rinnovamento e modernizzazione del sistema di formazione professionale trova una prima sintesi normativa che esplicita le linee guida per la riforma, demandando a successivi atti regolamentari la definizione puntuale di tutti gli aspetti. Insieme al decreto di riforma dei cicli scolastici e alle proposte in merito all’istruzione universitaria si delinea un intervento ad ampio raggio di ridefinizione dell’intero sistema formativo. Capitolo 6 122 • la semplificazione delle procedure relative al funzionamento del sistema, in particolare per quanto riguarda l’erogazione dei cofinanziamenti alle amministrazioni titolari, il sistema di rendicontazione delle attività e l’abolizione della garanzia fideiussoria richiesta alle strutture formative per ottenere gli anticipi; • l’individuazione di requisiti predeterminati in base ai quali individuare le strutture di formazione cui sarà successivamente affidata la gestione delle attività, problema che va sotto il nome di «accreditamento»; • la costruzione di un sistema nazionale di formazione continua, anche mediante la progressiva attribuzione a tale canale formativo di tutte le risorse provenienti dal prelievo dello 0,30 % sulle aziende; • la definizione dei criteri per la certificazione delle competenze e la realizzazione di un sistema di riconoscimento dei crediti. Come è evidente dai temi indicati, si tratta di una riforma che vuole incidere profondamente sul sistema, che è in linea con le indicazioni emerse anche a livello comunitario nel libro bianco per la formazione e che richiama i temi che sono attualmente al centro del dibattito anche negli altri paesi europei. Successivamente con il decreto legislativo 112/98 si completa il trasferimento alle regioni delle competenze in materia di formazione professionale. In particolare si riconoscono alle regioni «tutte le funzioni e i compiti amministrativi in materia», lasciando allo Stato la cura dei rapporti internazionali, le funzioni di indirizzo e coordinamento, l’individuazione di standard delle qualifiche professionali e di requisiti minimi per l’accreditamento delle strutture formative. Accanto al processo di riforma innescato dall’articolo 17 della legge 196/97, altre filiere del sistema formativo sono in via di rinnovamento. È il caso del «nuovo apprendistato», per il quale è stato avviato il processo di definizione dei contenuti formativi delle attività esterne all’azienda, mentre è fra le priorità del governo un regolamento di armonizzazione dei due istituti contrattuali a causa mista (apprendistato appunto e contratti di formazione-lavoro). Tuttavia il processo di rinnovamento in atto investe anche il sistema di istruzione, con l’obiettivo di integrare le due anime della formazione, quella scolastica e quella rivolta al mondo del lavoro. Tale tentativo di integrazione ha prodotto, dopo un impegnativo processo di progettazione e concertazione fra istituzioni e parti sociali, l’avvio di una nuova offerta di formazione tecnica e professionale superiore (IFTS), che nel maggio 1999 è stata normata dall’articolo 69 della legge 144. Inoltre, nel gennaio del 1999 con la legge n. 9, è stata approvata l’estensione dell’obbligo scolastico a 9 anni, ovvero da 6 a 15 anni di età; questo provvedimento era in realtà un passaggio nel più generale processo che nel maggio 1999 ha elevato l’obbligo di istruzione e formazione al diciottesimo anno di età, da espletare nel sistema scolastico, nella formazione professionale regionale o attraverso l’apprendistato, in modo tale che tutti i giovani possano acquisire un diploma secondario superiore o una qualifica professionale (legge 144/99). Tali misure, per altro, erano necessarie anche per adeguare l’età dell’obbligo dell’Italia agli standard dei paesi europei. In parlamento è stato infine presentato dal ministro della Pubblica istruzione un disegno di legge che riforma tutto il quadro della scuola italiana per integrarlo maggiormente con il mondo del lavoro (la cosiddetta «riforma dei cicli»). Al rinnovamento non è estraneo il mondo universitario, per il quale la necessità di armonizzazione dei titoli di studio a livello europeo sta facendo prospettare un Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i sistema articolato in corsi triennali di studio, al termine dei quali si consegue un primo diploma universitario, con la possibilità di conseguire un titolo superiore al termine di un successivo corso biennale. 123 6.3. Aspetti innovativi 6.3.1. Verso l’integrazione tra i sistemi Uno degli obiettivi prioritari del vasto processo di riforma descritto nelle pagine precedenti è rappresentato dall’integrazione tra i sistemi scolastico, formativo e del mondo del lavoro. Assumendo queste considerazioni come preliminari, è necessario pensare ad un sistema formativo integrato che si muova attorno ad un asse portante costituito dal raccordo forte, non episodico, tra scuola, formazione e lavoro. Uno dei punti di forza del nuovo disegno del sistema — così come emerge dalle indicazioni comunitarie e dal dibattito politico e teorico — è infatti la costante sottolineatura di un principio-guida: gli interventi per il lavoro non possono essere disgiunti dagli interventi per la formazione e per l’istruzione, dando luogo ad una politica coordinata, che si muova appunto in una logica sistemica. Afferma il recente rapporto OCSE sull’esame delle politiche nazionali di istruzione: «La parola chiave è ”integrazione”. Questa riforma riflette l’esigenza di una visione globale del ruolo della formazione nella società; essa aspira a costruire un sistema coerente, decentrato, efficace». La normativa prodotta recentemente in relazione alla riforma complessiva del sistema formativo si prefigge pertanto l’obiettivo di raccordare le strutture ed i percorsi, per dare vita ad un effettivo partenariato tra diversi soggetti (scuola, FP, aziende). In particolare vanno ricordati: • il processo di decentramento dei poteri rispetto all’offerta di istruzione e formazione, predisposto dalla legge 59/97; tale decentramento, che si intreccia con l’autonomia delle scuole prevista dalla stessa normativa, influenzerà positivamente la costruzione di un sistema formativo integrato, rendendo possibile la predisposizione di piani operativi a livello territoriale, con una maggiore attenzione alla flessibilità dell’offerta e alla sua correlazione con il contesto economico e professionale locale; • il decreto legislativo 112/98 attuativo della stessa legge 59/97, che evidenzia il ruolo strategico delle regioni, come nodo centrale della programmazione dell’offerta, sia scolastica che di formazione professionale, conseguentemente anche alla riorganizzazione delle competenze e della struttura interna del ministero della Pubblica istruzione; C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Infatti, come è emerso chiaramente nei capitoli precedenti, il sistema formativo italiano è connotato da una notevole diversità di architetture istituzionali, culture e modalità organizzative, che rappresentano ancora un ostacolo alla realizzazione di azioni integrate. Tale molteplicità di identità culturali non deve costituire un vincolo, ma al contrario una risorsa e un supporto alla dinamicità e flessibilità del sistema stesso. Capitolo 6 124 • il regolamento attuativo dell’articolo 17, che prevede che le politiche nazionali per la formazione professionale siano governate in modo integrato dai diversi soggetti (ministeri e parti sociali) interessati al suo sviluppo. Oltre alla normativa nazionale, vanno ricordate le iniziative di raccordo istituzionale tra ministero della Pubblica istruzione e le singole regioni attraverso protocolli d’intesa che stabiliscono le modalità operative dell’integrazione tra i diversi sistemi sul territorio regionale. Infine esistono numerose iniziative di integrazione tra il sistema scolastico e quello di formazione professionale, sia a livello nazionale che locale. Tra le prime si possono ricordare i progetti di collaborazione tra la direzione dell’Istruzione professionale del ministero della Pubblica istruzione e le regioni, per l’introduzione di corsi post qualifica organizzati da queste ultime negli istituti professionali. Molto recentemente è stato inoltre avviato il progetto per l’introduzione dell’istruzione tecnica professionale superiore, che viene descritta nel paragrafo successivo. 6.3.2. La formazione tecnica professionale superiore Da tempo è emersa l’esigenza di ampliare e diversificare l’offerta formativa post secondaria attualmente esistente, attraverso la costruzione di percorsi di formazione tecnica superiore, più consistenti degli attuali corsi post diploma e dei corsi regionali di secondo livello per contenuti e impianto metodologico-didattico, da realizzarsi in ambito non universitario. Le ragioni che sono all’origine di tale orientamento di politica formativa, peraltro indicato come una delle priorità dall’accordo per il lavoro e dal rapporto OCSE, sono riassumibili nelle seguenti valutazioni: • il nostro paese è tra i pochi Stati europei a non aver istituito un segmento di formazione superiore non accademico di durata almeno annuale, con conseguenti difficoltà a rientrare in quanto previsto dalla direttiva comunitaria 92/58 sul reciproco riconoscimento dei titoli all’interno dell’Unione europea; • i percorsi secondari superiori, per ragioni legate alla relativa staticità dei piani di studio rispetto alle evoluzioni dei processi lavorativi, rendono necessari iter formativi aggiuntivi di approfondimento contenutistico e di specializzazione tecnica; • l’istituzione dei diplomi universitari, sebbene sia da considerarsi una scelta appropriata per l’arricchimento delle opzioni sul versante dell’istruzione terziaria, non risponde esaustivamente al bisogno dei giovani di poter scegliere dopo il diploma un percorso breve e professionalizzante; • la costruzione di una filiera di formazione professionale superiore rappresenta un’occasione per sviluppare un raccordo sul territorio tra l’offerta e i bisogni espressi da parte aziendale, riguardanti figure a medio-alta qualificazione immediatamente inseribili nelle realtà produttive. È dunque evidente l’importanza che è stata attribuita a tale tema in sede di dibattito tecnico-politico, relativamente alla struttura di questi nuovi percorsi e al loro impatto sul sistema dell’offerta post secondaria, già di per sé alquanto disomogenea e variegata. Un recente documento approvato dalla conferenza Stato-regioni ha affrontato il tema della formazione superiore, delineandone lo sviluppo nell’attuale assetto dell’offerta post secondaria. Si disegna un quadro di tale offerta denominato «Formazione integrata superiore (FIS)», costituito dalle varie opzioni esistenti e dal nuovo canale Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i formativo, che «ponga in sinergia l’insieme dell’offerta formativa, statale e regionale». 125 La FIS, sottolinea il documento, si realizza sostanzialmente attraverso tre percorsi: • i corsi di formazione professionale di 2° livello; • i progetti di istruzione e formazione tecnica professionale superiore (IFTS); • i corsi di diploma universitario. L’elemento di principale innovazione è rappresentato dall’introduzione della nuova tipologia formativa, denominata «Istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS)», che risponde all’esigenza di creare un percorso di formazione professionale di livello più elevato, con una durata variabile dai due ai quattro semestri, finalizzato ad assicurare una «formazione tecnica e professionale, approfondita e mirata, soprattutto con riferimento alla ricerca, sviluppo ed implementazione di tecnologie applicate nei prodotti e nei processi» e paragonabile all’offerta proposta in quest’ambito negli altri paesi europei. La IFTS è connotata da una progettazione modulare e da metodologie innovative e darà luogo ad una certificazione a livello nazionale e regionale, riconoscibile anche a livello europeo. Sono stati finanziati circa 200 progetti presentati dalle regioni. Questi progetti prevedono la predisposizione di percorsi IFTS attraverso la collaborazione delle diverse istituzioni: scuola, università, formazione professionale regionale, imprese. I corsi sperimentali sono stati avviati nella primavera del 1999 e, fatto di cruciale rilevanza, il 17 maggio dello stesso anno è stata approvata la legge 144 al cui interno (art. 69) si ufficializza (nell’ambito della FIS) la costituzione del sistema di IFTS, stabilendone anche i criteri di accesso e la valenza nazionale delle certificazioni in esso rilasciate. 6.3.3. L’apprendistato Nel periodo più recente, la pratica della formazione in alternanza tra scuola e lavoro ha avuto un forte impulso per effetto delle innovazioni introdotte dalla legge 196/97 che disegnano il «nuovo modello» dell’apprendistato italiano. L’articolo 16 di tale legge, infatti, riforma profondamente l’apprendistato valorizzandone la componente formativa. Tra le novità principali si possono ricordare: • l’estensione della fascia d’età interessata dai 16 ai 24 anni senza alcuna preclusione in base al titolo di studio; • la fissazione dei limiti di durata del contratto da 18 mesi a 4 anni; • l’introduzione di un periodo minimo annuale di formazione esterna all’azienda pari a 120 ore. Alla legge ha fatto seguito un decreto del ministero del Lavoro che ha fissato i principi generali delle attività formative esterne all’azienda: • le attività formative per apprendisti sono strutturate in forma modulare; • i contenuti sono finalizzati alla comprensione dei processi lavorativi e sono articolati in contenuti a carattere trasversale (riguardanti il recupero delle conoscenze linguistico-matematiche, i comportamenti relazionali, le conoscenze C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Allo scopo di avviare la sperimentazione è stato costituito un comitato di progettazione, composto da rappresentanti delle diverse istituzioni interessate: ministeri della Pubblica istruzione, dell’Università e del Lavoro, regioni e province, parti sociali. Capitolo 6 126 organizzative, gestionali, economiche) e contenuti a carattere professionalizzante di tipo tecnico-scientifico e operativo, differenziati in funzione delle singole figure professionali; ai contenuti a carattere trasversale non potrà essere destinato un numero di ore inferiore al 35 % del monte ore destinato alla formazione esterna. Occorre segnalare che l’orientamento emergente dalle innovazioni normative che stanno ridisegnando il «nuovo modello di apprendistato» è quello di valorizzare ulteriormente tale istituto, che in prospettiva diventa il principale strumento di ingresso nel mondo del lavoro per giovani fino ai 25 anni. Allo scopo di avviare l’attuazione della legge il ministero del Lavoro ha promosso iniziative sperimentali nazionali sulla base di accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro. Tali iniziative rappresentano un’opportunità di sperimentare modalità organizzative, percorsi formativi, metodologie didattiche, strumenti di monitoraggio e valutazione. L’intenzione è progettare e sperimentare in tempi brevi un modello di formazione per apprendisti per verificarne le possibilità di estensione e gli eventuali correttivi da apportare. I risultati dovrebbero orientare la nascita del costituendo sistema di formazione per l’apprendistato. I primi due progetti riguardano l’industria metalmeccanica e della installazione di impianti e l’industria edile. Il progetto «Formazione per l’apprendistato: industria metalmeccanica e della installazione di impianti» prende le mosse dall’accordo raggiunto nel marzo 1997 per la disciplina dell’apprendistato nel settore; è destinato a 5 000 apprendisti e prevede 200 ore annue di formazione integrativa articolate in 160 ore di formazione teoricopratica e 40 ore destinate all’insegnamento pratico. I percorsi formativi seguono un’architettura modulare, strutturata in tre moduli: modulo base, modulo trasversale e modulo tecnico professionale, secondo il modello delle «competenze professionali». Il progetto per l’industria edile intende coinvolgere circa 2 000 apprendisti del settore suddivisi tra operai ed impiegati. Il percorso formativo è articolato in moduli di 24 ore, corrispondenti a tre giornate lavorative. L’annualità formativa è composta di 6 moduli, pari a 144 ore annue di formazione. Ogni modulo ha una struttura didattica rigida: 9 ore di contenuti a carattere generale e 15 ore di contenuti a carattere tecnico-professionale. Sono stati inoltre avviati altri progetti relativi ai settori dell’artigianato, del turismo e tessile, nonché per le piccole e medie imprese, per un totale di circa 25 000 apprendisti. Accanto ai progetti del ministero del Lavoro, sempre più numerose sono le regioni che hanno avviato un confronto con le parti sociali per definire progetti sperimentali per l’apprendistato. Si è dunque messo in moto un meccanismo complesso, in cui i diversi soggetti istituzionalmente competenti provvedono a riavviare una componente strategica del sistema formativo che negli ultimi anni era rimasta sullo sfondo. Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i 6.3.4. Tirocini formativi e di orientamento 127 L’intervento normativo in materia di tirocini formativi e di orientamento era da tempo auspicato per sviluppare il collegamento tra scuola, formazione e lavoro, colmando una storica carenza dovuta alla difficoltà di interazione tra cultura afferente al mondo dell’istruzione e cultura del lavoro. Le modifiche apportate con l’articolo 18 della legge 196/97, che ha trovato attuazione nel decreto del ministero del Lavoro n. 142/98, concernono ambiti alquanto diversificati. In primo luogo il decreto distingue due tipologie di tirocini: • i tirocini formativi, promossi da istituzioni formative al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro (in ogni ordine di scuola superiore, compreso l’università); • i tirocini di orientamento, promossi da soggetti e istituzioni che intervengono nel campo delle politiche del lavoro per agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro. • ai tradizionali soggetti promotori — tutti i soggetti pubblici e privati che operano nel campo della formazione e dell’inserimento al lavoro: università e istituzioni scolastiche pubbliche, centri di formazione e/o orientamento, provveditorati agli studi, agenzie per l’impiego, uffici del lavoro — si aggiungono gli enti bilaterali e le associazioni sindacali, università e istituzioni scolastiche non statali che rilascino titoli di studio con valore legale, istituzioni formative private che abbiano ottenuto specifica autorizzazione regionale, comunità terapeutiche, cooperative sociali e enti ausiliari iscritti negli albi regionali, servizi di inserimento lavorativo per disabili gestiti da enti pubblici delegati dalla regione; • fra le aziende ospitanti viene inserito il settore pubblico; • rientrano tra i potenziali utenti i cittadini comunitari che effettuano esperienze professionali in Italia, anche nell’ambito di specifici programmi; tale opportunità potrà essere offerta in futuro anche ai cittadini extracomunitari, con modalità da definire. La valenza formativa dei tirocini si concretizza nell’elaborazione di un progetto relativo al percorso di stage che chiarisca obiettivi e modalità di svolgimento «assicurando, per gli studenti, il raccordo con i percorsi formativi svolti presso le strutture di provenienza». Le attività svolte nel corso dei tirocini di formazione e orientamento possono avere valore di credito formativo. Il decreto attuativo stabilisce inoltre la durata massima dell’esperienza di stage; tale durata è variabile in relazione alla tipologia di utenza: • non superiore ai 4 mesi per gli stages di orientamento degli studenti della secondaria superiore; • non superiore ai 12 mesi per gli studenti universitari e per gli iscritti ai corsi di formazione superiore; • fino a 24 mesi per le utenze svantaggiate. Per quanto riguarda la copertura assicurativa dei tirocinanti, questa è a carico dei soggetti promotori. Un successivo decreto del ministero del Lavoro dovrà stabilire le C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Inoltre, viene ampliato il panorama dei soggetti che possono essere coinvolti in esperienze di stage, sia in qualità di promotori, sia come aziende ospitanti, sia come utenti: Capitolo 6 128 procedure per il rimborso alle aziende ospitanti del centro-nord degli oneri relativi ad assicurazioni, vitto e alloggio dei tirocinanti provenienti dal Mezzogiorno. L’analisi delle esperienze di tirocinio realizzate nello scorso anno 1997 evidenzia in primo luogo l’intensa attività delle agenzie per l’impiego come soggetti promotori; ancora poco significativo invece è il numero degli stages promossi dagli uffici del lavoro. La maggioranza degli stages riguarda i giovani; in particolare si tratta di un’opportunità offerta ai diplomati ed ai laureati. Anche le università stanno incrementando l’attività di promozione di tirocini, attraverso la costituzione di appositi uffici stage, preposti all’attivazione di tirocini rivolti a studenti, laureandi e laureati. Rilevante è il caso dell’università L. Bocconi di Milano dove i tirocini realizzati per gli studenti del quarto anno e del primo e secondo anno fuori corso hanno valore di credito formativo e possono sostituire un esame del piano di studi. Le esperienze di tirocinio si stanno diffondendo anche negli istituti di istruzione superiore, in particolare per gli studenti delle ultime classi di istituti tecnici e professionali; non mancano però esperienze realizzate per alunni di istituti magistrali e licei. Anche per gli istituti superiori sono in corso alcune sperimentazioni che attribuiscono valore di credito formativo allo stage in sede di esame di maturità. Bisogna infine ricordare che il nuovo ordinamento degli IPS del 1994 ha reso obbligatorio lo stage di 300 ore nel biennio post qualifica. 6.3.5. Lo sviluppo del sistema di certificazione L’introduzione di un sistema nazionale di certificazione rappresenta uno degli obiettivi strategici dell’innovazione del sistema formativo italiano. Su questa tematica una rilevante innovazione viene introdotta dal regolamento attuativo dell’articolo 17 della legge 196/97 (in corso di approvazione). Tale regolamento infatti promuove la costituzione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze professionali. L’obiettivo è assicurare l’omogeneità delle certificazioni su tutto il territorio nazionale ed il loro riconoscimento in sede di Unione europea. Secondo il regolamento, il ministero del Lavoro dovrà formulare le proposte relative ai criteri ed alle modalità di certificazione delle competenze acquisite nell’ambito del sistema di formazione professionale. Per «competenze professionali certificabili» si considerano le competenze che costituiscono patrimonio conoscitivo ed operativo degli individui ed il cui insieme organico costituisce una qualifica o una figura professionale. Tali competenze vengono certificate dalle regioni. Al fine di documentare il curriculum formativo e le competenze acquisite viene inoltre istituito il libretto formativo del cittadino; su tale libretto saranno annotati anche i crediti formativi. Infatti, sulla base di specifiche intese tra i ministeri interessati e le regioni, le competenze professionali certificate possono essere riconosciute anche ai fini del conseguimento di un titolo di studio o dell’inserimento in un percorso scolastico. Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Su questa materia è stata condotta negli ultimi anni, in ambito ISFOL, una consistente attività di elaborazione di nuovi modelli e di sperimentazione sia con le regioni che con il ministero della Pubblica istruzione. 129 L’obiettivo che ci si pone è quello di sviluppare meccanismi di certificazione flessibili ed in grado di consentire il passaggio tra i diversi sistemi, adottando il modello delle unità capitalizzabili. L’idea base è quella di definire un «repertorio di competenze» che copra l’insieme delle attività su cui si basano le professioni, distinguendo tra competenze di base, tecnico-professionali e trasversali. Su questa tematica, ed in particolare sull’approccio di analisi e progettazione per competenze, il dibattito scientifico ed il dibattito istituzionale — sia sul piano nazionale che su quello internazionale — sono particolarmente sviluppati. Occorre inoltre sottolineare come questa articolazione di competenze sia stata già recepita dal decreto del ministero del Lavoro del giugno 1996 relativo all’applicazione dei criteri di trasparenza delle certificazioni (attestato unico di qualifica), oggi in sperimentazione presso tutte le regioni. L’approccio centrato sulle competenze e la loro articolazione in unità formative capitalizzabili cambia radicalmente il rapporto tra formazione ed individuo. Lo stesso insieme di competenze, infatti, è raggiungibile anche per altra via (esperienza lavorativa, curricoli formativi diversi ecc.). Diviene, in tal modo, possibile riconoscere ai singoli il possesso di saperi, conoscenze, abilità in modo indipendente da come essi li hanno acquisiti e dalla qualifica professionale propria, dando senso e valore anche alle esperienze compiute solo parzialmente (per esempio, i corsi abbandonati dopo un periodo di frequenza). Disporre di standard minimi di competenza comuni a tutti gli attori del sistema educativo, formativo e del lavoro consente di riconoscere e certificare ad ogni individuo il possesso di crediti formativi, con un duplice risultato: • flessibilizzazione del percorso formativo, attraverso la sua articolazione in una sequenza temporalmente non rigida di unità capitalizzabili, ognuna delle quali acquisibile e «patrimonializzabile» attraverso una pluralità di agenzie formative, autonome ma fra loro raccordate dalla comune condivisione degli standard minimi; • adozione di una pedagogia fortemente centrata sul soggetto che deve apprendere (anziché sul docente primo «portatore di conoscenza»), a partire dal riconoscimento del sapere da esso già posseduto e dalla definizione negoziale degli obiettivi dell’apprendimento (quali unità e quale percorso per raggiungere l’obiettivo formativo individuale). La certificazione centrata sulle competenze rappresenta inoltre un passaggio «storico» necessario per operare un decisivo salto di qualità e passare dalla certificazione dei percorsi frequentati a quella delle competenze «effettivamente acquisite». Ciò richiama l’attenzione su un altro importante obiettivo di sistema che è la costruzione di un sistema di certificazione le cui finalità, definite chiaramente C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Su questa ipotesi ed articolazione di competenze si fonda dunque la proposta di unità formative capitalizzabili che rappresenta un nuovo approccio per la progettazione della formazione e la certificazione delle competenze. Capitolo 6 130 dall’accordo per il lavoro, sono volte a garantire proprio la permeabilità e integrazione dei sistemi e la massima capitalizzazione delle esperienze individuali e professionali, comunque acquisite; processo ormai avviato nei diversi paesi dell’Unione europea. Appare dunque ormai acquisito che debba esistere una istanza nazionale, per la costruzione di un repertorio di standard formativi e unità capitalizzabili, quale riferimento per leggere, con una logica coerente e omogenea, i diversi segmenti di esperienza formativa/scolastica: tale riferimento omogeneo sarà la base sulla quale fondare il riconoscimento dei crediti e rendere concretamente realizzabile la circolarità tra i sistemi. Nella costruzione degli standard formativi sarà essenziale armonizzare il più possibile tale progettazione con l’esperienza consolidatasi in questi anni nelle diverse regioni in termini di definizione dei progetti tipo, di ordinamenti didattici e quant’altro, nella scuola e nell’università in termini di «curricoli» e «programmi» relativi a specifici itinerari o diplomi o corsi di laurea. Appare inoltre acquisito che il sistema di certificazione non possa che essere nazionale ed omogeneo e che, una volta che la certificazione o di competenze e/o di percorso formativo abbia avuto luogo, possa consentire all’individuo di divenire titolare di un «credito» potenziale e quindi di poter richiedere che tali competenze gli siano «accreditate»: • nell’ambito dello stesso sistema formativo (consentendogli di abbreviare un itinerario formativo, altrimenti previsto come più lungo); • nell’ambito di un altro sistema formativo, senza dovere «ricominciare» da capo il proprio itinerario ad ogni passaggio, ma mettendo in valore le competenze e la formazione già acquisite e certificate; • nell’ambito del rapporto tra sistema formativo e lavoro (ad esempio, consentendogli di avere un riconoscimento delle competenze anche parziali maturate, ad esempio, nei contratti di formazione-lavoro e nell’apprendistato), ma anche, viceversa, consentendogli di mettere in valore, e quindi di razionalizzare ed ottimizzare, il proprio itinerario formativo. Lo strumento del libretto formativo individuale, richiamato anche dalla proposta di riforma dei cicli scolastici del ministero della Pubblica istruzione, dovrebbe in questa prospettiva divenire la vera «carta di identità» di ciascun individuo. A questo strumento fanno già riferimento diverse sperimentazioni regionali e in alcune regioni esso è già recepito nella normativa per la formazione professionale (citiamo ad esempio il «passaporto formativo» della provincia di Bolzano; il «libretto formativo personale» della regione Lazio; il libretto personale di certificazione professionale delle regioni Liguria e Molise; il libretto formativo individuale della regione Piemonte; il libretto professionale della regione Veneto; il «libretto individuale» in sperimentazione nella provincia di Trento; altre sperimentazioni sono in avvio in altre regioni ed in numerosi centri di formazione. Riportiamo di seguito una tabella riassuntiva relativa alle modalità innovative di certificazione vigenti a livello locale. Curriculum formativo e professionale dell’allievo Indicazione degli ambiti professionali in cui il soggetto ha operato professionalmente e descrizione delle materie/discipline del corso Passaporto formativo Portfolio (strumento utilizzato, ma non regolamentato) Bolzano Riferimenti legislativi/normativi e/o progettuali Tutte le attività formative Si tratta di uno strumento «di fatto», che non ha quindi uno specifico riferimento normativo Piano triennale per la f.p. in Alto Adige 1996-1998 Progetto «Realizzazione di un raccordo sistematico fra formazione di base e continua» Percorsi in alternanza Non sono stati di 400 ore rivolti indicati specifici ai giovani disoccupati riferimenti normativi Corsi Non sono stati di riqualificazione indicati specifici per operatori della FP riferimenti normativi Ambito di applicazione Utilizzo «di fatto» Corsi per apprendisti senza riconoscimento nel settore formale alberghiero (lingua tedesca) Progettuale Utilizzato in via sperimentale Utilizzato in via sperimentale Stadio di implementazione C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Giudizi sui risultati raggiunti dal soggetto nei diversi segmenti del percorso Libretto formativo Basilicata Percorso formativo del soggetto Contenuti Libretto formativo Denominazione Abruzzo Regione/ Provincia autonoma Tabella 6.1 Modalità innovative di certificazione a livello locale Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i 131 Lazio EmiliaRomagna Regione/ Provincia autonoma Libretto formativo dell’allievo Descrizione di eventuali esperienze Adottato dal 1992 lavorative Informazioni relative ad ulteriori corsi di formazione (denominazione, durata, anno, ente gestore) Obiettivi del corso Aree di intervento Formatori Giudizi per aree di intervento (articolati in teoria, pratica, stage) Ore di corso Ore di assenza Giudizio globale espresso in termini di: velocità di apprendimento, velocità e precisione nell’esecuzione, capacità di lavorare in gruppo, disponibilità ad accettare suggerimenti/proposte, capacità di organizzare le proprie attività Dichiarazione di conformità del Strumento in corso corso frequentato con gli standard di applicazione formativi regionali, per il successivo accesso all’esame di abilitazione (e relativo attestato di frequenza individuale) Attestato di conformità agli standard formativi regionali Strumenti in adozione con le direttive 1997-1999 Stadio di implementazione Tipo di corso Requisiti di accesso Contenuti Competenze acquisite Contenuti Certificato di competenza (e certificato di competenza superiore) Denominazione Delibera di giunta 1997 Riferimenti legislativi/normativi e/o progettuali Esteso a tutti i corsi di formazione Delibera giunta regionale 3904 del 14 maggio 1996 Attività formative Delibera di giunta per dirigenti e operai e di consiglio previste nell’ambito del piano «Amianto» (legge 257) Sperimentazione in alcuni corsi post laurea Ambito di applicazione 132 (segue) Capitolo 6 Curriculum formativo dell’individuo, con riferimento esclusivo al sistema di f.p. Riconoscimento di crediti «ad personam» (rispetto alle iniziative di f.p.) sulla base di esperienze formative o lavorative precedenti. Articolazione interna: • titoli scolastici • esperienze di stage o di lavoro (con esame di accertamento) Libretto formativo individuale Certificazione dei crediti Piemonte Esteso a tutti gli allievi dei corsi di formazione professionale Esteso a tutti gli allievi dei corsi di formazione professionale Ambito di applicazione Strumento già adottato, sta progressivamente di fatto sostituendo il libretto formativo Utilizzato anche nei corsi di primo livello Strumento già Principalmente adottato, in via adottato nei corsi di utilizzo più ridotto post qualifica a favore della certificazione dei crediti Progettuale Progettuale (il modello specifico di libretto deve essere adottato dalla giunta regionale con sua delibera) Stadio di implementazione C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Natura del corso e durata Competenze acquisite Informazioni relative ad eventuali altri corsi di formazione Libretto di certificazione Molise Carriera scolastica precedente e titoli conseguiti Natura del corso, durata e materie di insegnamento Caratteristiche e durata del tirocinio Risultati intermedi e finali delle prove d’esame Informazioni relative ad ulteriori corsi di formazione Contenuti Libretto personale di certificazione professionale Denominazione Liguria Regione/ Provincia autonoma LR 63/95 (e successiva delibera applicativa sugli standard formativi) LR 63/95 LR 10/1995 LR 52/1993 Riferimenti legislativi/normativi e/o progettuali (segue) Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i 133 Giudizio (sufficiente, insufficiente, Strumento già buono, ottimo) in relazione adottato (a fini alle seguenti dimensioni: didattici) • competenze e capacità professionali; • conoscenze professionali; • autonomia e capacità di integrazione in situazioni operative; • motivazione ed interesse professionale; • esperienza di partecipazione allo stage Scheda personale di valutazione (strumento ai fini didattici) Biennio integrato f.p./istruzione scolastica (4 corsi serali) Ambito di applicazione Delibera giunta provinciale del 21 marzo 1997 Piano regionale triennale 1997-1999 per la f.p. — Indicazioni per lo sviluppo di un sistema di certificazione dei crediti nella f.p. Riferimenti legislativi/normativi e/o progettuali Terzi anni del nuovo Delibera giunta percorso sperimentale provinciale della formazione del gennaio 1997 di base In corso Tutti i corsi, di elaborazione dal giugno 1997 il «formato» specifico Percorso formativo del soggetto, con la specificazione delle competenze acquisite e con giudizio allegato (solo su richiesta dell’individuo) Tipologia corsuale Denominazione dell’intervento formativo Durata (ore) Competenze acquisite (descrizione sintetica) Contenuti Tipo e modalità di valutazione Tipo di certificazione rilasciata Indicazioni di giudizio finale Libretto formativo In sperimentazione (provincia di Prato) Stadio di implementazione Trento Contenuti Certificazione dei crediti Denominazione Toscana Regione/ Provincia autonoma 134 (segue) Capitolo 6 Libretto professionale Denominazione Stadio di implementazione Azioni formative iniziali e continue Progettuale Conoscenze e competenze progressivamente acquisite Livelli di professionalità successivamente conseguiti Contenuti C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Veneto Regione/ Provincia autonoma Tutte le attività formative Ambito di applicazione LR 10/1990 LR 10/1991 Riferimenti legislativi/normativi e/o progettuali (segue) Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i 135 Capitolo 6 136 Altre sperimentazioni sono in corso all’interno del ministero della Pubblica istruzione, in particolare per quanto riguarda gli istituti tecnici e professionali. Tali sperimentazioni sono condotte con l’assistenza tecnica dell’ISFOL, che ha sviluppato una significativa linea di ricerca in questo settore e che sta accompagnando sia molte sperimentazioni regionali, sia quelle nazionali. 6.3.6. L’accreditamento delle strutture formative Già la legge quadro 845/78 aveva individuato alcuni requisiti per le strutture che erogano attività di formazione professionale: essere senza scopo di lucro; disporre di strutture e attrezzature idonee; garantire il controllo delle attività; applicare per il personale il contratto collettivo nazionale di categoria; rendere pubblico il bilancio annuale. Tali requisiti sembravano sufficienti a garantire ex ante l’affidabilità del soggetto gestore e la qualità di un intervento formativo quasi esclusivamente tarato per un’utenza di giovanissimi e quindi dalla forte valenza educativa oltre che professionalizzante. Nel corso degli anni Ottanta l’ampliamento dell’utenza di riferimento ha indotto un ripensamento di alcuni di quei requisiti. In particolare, il nuovo interesse per la formazione di secondo livello prima e per la formazione continua poi ha fatto venire meno la necessità della mancanza di scopo di lucro nei soggetti che si candidano a gestire attività formative per puntare esclusivamente sulla capacità di «professionalizzazione». Negli ultimi anni l’adozione generalizzata di procedure concorsuali in sede di valutazione ex ante per l’affidamento delle attività, come richiesto per l’utilizzo delle risorse europee, ha spostato l’attenzione dal soggetto proponente al progetto proposto. Conseguentemente si è dovuta registrare l’incapacità di alcuni soggetti a realizzare le attività in maniera conforme al progetto ed è quindi emersa la necessità di un controllo preventivo sull’affidabilità delle strutture. Sulla scia di quanto avveniva nella realtà aziendale, nel corso degli anni ’90 si è diffusa l’applicazione anche alle attività di carattere formativo di modelli di certificazione che fanno riferimento al corpus normativo ISO 9000. Anche l’articolo 17 della legge 196/97 si è fatto carico dell’esigenza di controllo dell’affidabilità delle strutture formative ed ha indicato la via dell’accreditamento, ossia della predisposizione di una sorta di «short list» delle strutture formative cui affidare le attività. Il decreto attuativo collegato all’articolo citato delinea un modello di accreditamento imperniato su cinque indicatori: 1) capacità logistiche e strutturali; 2) situazione economica; 3) disponibilità di competenze professionali impegnate in attività di direzione, amministrazione, docenza, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione dei fabbisogni, orientamento; 4) livelli di efficacia ed efficienza raggiunti nelle attività precedentemente realizzate; 5) interrelazioni maturate con il sistema sociale e produttivo presente sul territorio. Entro sei mesi dall’entrata in vigore del regolamento, il ministro del Lavoro, d’intesa con la conferenza Stato-regioni, definirà «i requisiti minimi ed i criteri di valutazione delle sedi operative ai fini dell’accreditamento»; successivamente le regioni avvieranno le procedure per selezionare le strutture formative. Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Tutte le strutture pubbliche e private, indipendentemente dalla loro natura giuridica, possono chiedere di essere accreditate per svolgere attività di formazione professionale e di orientamento; restano esclusi dall’obbligo di accreditamento i datori di lavoro che intendono realizzare attività formative per i propri dipendenti. 137 Il regolamento collegato all’articolo 17 della legge 196/97 prevede inoltre una procedura semplificata per l’attribuzione dell’accreditamento agli enti già certificati ISO 9001, i quali devono dimostrare il possesso dei soli requisiti relativi ai livelli di efficacia ed efficienza raggiunti nelle precedenti esperienze e alle interrelazioni col sistema economico locale. Per le strutture formative di nuova costituzione, le regioni dovranno accertare solo il possesso dei requisiti strutturali e la dotazione di risorse umane e finanziarie. C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i Il modello di accreditamento delineato è molto vicino a quello già adottato dalla regione Emilia-Romagna, dove si prevede di poter pubblicare entro il settembre 1999 il primo elenco di soggetti accreditati.