CORSO ON LINE
La pianificazione successoria
Contenuti a cura di VALENTINA PICCININI
Professore Aggregato di Diritto Civile Università degli Studi di Milano - Bicocca
Dispensa
Co-partnership
La pianificazione successoria
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LEZIONE 1: I PRINCIPI GENERALI IN TEMA DI SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE
Le diverse forme di successione
Il diritto delle successioni è costituito dall’insieme di norme che disciplinano la sorte dei rapporti giuridici che
non si estinguono con la morte del loro titolare.
Soddisfa quindi l’interesse generale ad assicurare la continuazione della vita economica di là dalla vicenda
della morte della persona fisica.
Le successioni mortis causa, in pratica, provvedono alla sistemazione delle posizioni giuridiche di un soggetto
che muore.
Le norme che le disciplinano sono dirette ad assicurare la continuità nei rapporti, attivi e passivi, che
facevano capo al de cuius.
È importante in questo senso ricordare che il nostro sistema normativo è concepito in modo che sia sempre
possibile rintracciare un soggetto che assuma la posizione giuridica che faceva capo al defunto.
Tradizionalmente, viene operata una distinzione fra successione universale e successione particolare.
La prima si ha quando un soggetto subentra ad un altro nella totalità oppure in una quota ideale, cioè in una
frazione aritmetica dello stesso, del suo patrimonio inteso come l’insieme dei rapporti giuridici – attivi e
passivi – suscettibili di valutazione economica. Questa condizione attribuisce al soggetto subentrante la
qualità di “erede”.
La seconda si ha quando un soggetto subentra ad un altro in un determinato diritto o rapporto. Questa
modalità di successione attribuisce al subentrante la qualità di “legatario”.
Ma come avviene la designazione dei successibili?
La designazione dei successibili è stabilita, secondo il cosiddetto “principio di tipicità della delazione
ereditaria”, per legge o per il tramite del testamento.
Nel primo caso si parla di successione legittima. L’eredità si devolve per legge solo se manca un testamento
o solo per la parte di beni ereditari di cui il testamento non dispone. La successione legittima si apre, inoltre,
quando nel testamento manca la designazione di un erede e nel caso di testamento nullo oppure annullabile.
Nella successione legittima l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi e naturali, agli ascendenti
legittimi, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato nell’ordine e secondo le regole contenute negli articoli
565 e seguenti del Codice Civile.
Nel secondo caso si parla di successione testamentaria.
Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari: figli,
coniuge ed ascendenti, qualora manchino i figli. Ai legittimari spetta, per legge, una quota di riserva che è
costituita da una percentuale dell’utile netto complessivo attribuito dal de cuius per donazione o successione.
La percentuale varia a seconda del numero e della qualità dei legittimari e del fatto che essi concorrano o
meno tra loro.
Art. 457 cod. civ. Delazione dell’eredità
“L’eredità si devolve per legge o per testamento.
Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria. Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari.”
La pianificazione successoria in vita
Il testamento quale unica forma negoziale prevista per disporre, dopo la morte, delle proprie situazioni
patrimoniali, si è, con il tempo, rivelato uno strumento spesso inidoneo a realizzare un soddisfacente assetto
di interessi in relazione alle moderne esigenze economico – sociali, dovute anche alla modificazione della
ricchezza da immobiliare a mobiliare.
Ciò, soprattutto, per il pesante carico fiscale cui sono assoggettati sia gli eredi sia i legatari, i limiti posti dal
divieto di patti successori, l’instabilità delle unioni matrimoniali ed i limiti posti dalla successione necessaria.
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Si è quindi manifestata sempre di più l’esigenza dei consociati di anticipare con atti tra vivi la
regolamentazione della successione, senza dover attendere la morte del disponente.
Da qui la ricerca di strumenti contrattuali alternativi in grado di soddisfare quelle esigenze non
concretamente realizzabili attraverso il negozio testamentario.
Per pianificazione successoria in vita si intende quel complesso di modelli contrattuali atti a realizzare gli
interessi dei privati senza cadere nella rete del divieto di patti successori, che delimita l’ambito di validità
degli strumenti alternativi al testamento.
Si tratta di individuare schemi contrattuali che consentano di operare il trasferimento di un bene prima della
morte del disponente, rinviando il verificarsi degli effetti in capo al soggetto beneficiario soltanto dopo di
essa.
Viene comunque mantenuta in capo al disponente la possibilità di revocare l’attribuzione.
Art. 758 cod. civ. Divieto di patti successori
“Fatto salvo da quanto da quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti,
è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione.
È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare
su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi”.
I patti successori si distinguono, dunque, in tre categorie:
1. patti istitutivi: si tratta di contratti mediante i quali, in vita, ci si impegna a disporre del proprio
patrimonio dopo la morte a favore di una determinata persona (esempio: es. Tizio propone a Caio,
che accetta, di nominarlo erede o legatario).
2. patti dispositivi: sono contratti con i quali un soggetto dispone di diritti che possono pervenirgli da
una futura successione (esempio: mi accordo con Tizio a vendergli l'eredità che mi perverrà quando
sarà morta mia nonna).
3. patti rinunciativi: si tratta di contratti con cui un soggetto rinuncia a diritti provenienti da una
successione non ancora aperta (esempio: mi accordo con Tizio a rinunciare all’eredità di mia nonna
prima ancora che sia morta).
In questo contesto tradizionalmente si distingue, in relazione al ruolo rivestito dall’evento “morte”, tra atti
mortis causa, o a causa di morte, e atti con effetti post mortem.
I primi sono atti che trovano nella morte del soggetto disponente l’elemento causale dell’attribuzione perché
è l’evento morte che determina il costituirsi di un rapporto prima inesistente e che incide sia sull’oggetto
della disposizione che sul beneficiario.
Due sono gli indici propri dell’attribuzione a causa di morte:
1. la considerazione del bene oggetto dell’attribuzione come entità commisurata al tempo della morte
del disponente;
2. la considerazione del beneficiario come soggetto esistente allo stesso tempo della morte del
disponente, cioè la condizione di sopravvivenza del beneficiario all’attribuente.
Il nostro ordinamento giuridico conosce il testamento come unico strumento attraverso cui è possibile
realizzare un’attribuzione patrimoniale mortis causa.
Gli atti (con effetti) post mortem sono invece negozi inter vivos in cui la morte:
- è l’evento dedotto in condizione per il verificarsi degli effetti giuridici finali,
- oppure ne costituisce il termine iniziale.
Il rapporto si è già costituito poiché l’oggetto dell’attribuzione è già stato determinato in vita, mentre è solo
l’effetto che si avrà dopo la morte del disponente.
Alcuni atti post mortem costituiscono valide alternative al testamento in quanto non si pongono in violazione
del divieto dei patti successori.
Tra questi, ad esempio, la donazione modale con adempimento dell’onere post mortem, la donazione si
praemoriar, ovviamente nel
presupposto della loro ammissibilità stante l’altalenante orientamento
giurisprudenziale, e la vendita di cosa altrui.
Studi successivi hanno poi elaborato la figura dei negozi trans mortem, caratterizzati dal diritto proprio del
soggetto che dispone l’attribuzione di revoca o di recesso.
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Quali sono i parametri per l’individuazione di un negozio trans mortem?
Innanzitutto l’uscita del bene dal patrimonio del disponente avviene prima della morte, mentre la sua
attribuzione al beneficiario diviene definitiva soltanto dopo la morte del disponente.
Un’altra caratteristica fondamentale è la possibilità per il disponente, fino alla sua morte, di modificare
l’assetto patrimoniale rendendo inoperante il congegno negoziale posto in essere.
In mancanza di questo requisito della revocabilità, l’atto viene infatti qualificato come post mortem.
Quali sono gli atti trans mortem?
Il contratto a favore di terzo, l’assicurazione sulla vita a favore di terzo, la rendita vitalizia a favore di terzo, il
vitalizio alimentare a favore di terzo, il negozio fiduciario, il mandato post mortem, le clausole di
consolidazione nei contratti di società, il deposito bancario a favore di terzo.
I modelli negoziali alternativi al testamento
Entriamo nel dettaglio dei modelli negoziali alternativi al testamento.
Si tratta di modelli contrattuali che consentono ad un soggetto di disporre, in vita, dei propri assetti
patrimoniali, attraverso atti destinati a produrre effetti definitivi al momento della morte ma, tuttavia, fino a
quel momento revocabili, in modo tale da non porsi in contrasto con il divieto di patti successori.
I principali sono:
- le disposizioni a favore di terzo da eseguirsi dopo la morte dello stipulante,
- le clausole di consolidazione o di continuazione (per le società di persone) e le clausole di
gradimento, di prelazione e di opzione (per le società di capitali),
- il patto di famiglia,
- il trust.
Altri modelli negoziali alternativi al testamento sono:
- la donazione,
- la vendita di cosa altrui,
- il contratto di mantenimento,
- i mandati post mortem.
Con l’espressione mandati post mortem si intendono quei negozi con cui un soggetto, il mandante,
conferisce ad altro soggetto, il mandatario, un incarico da eseguirsi dopo la sua morte.
In questo contesto, la giurisprudenza ha distinto 3 figure:
- il mandato post mortem exequendum
- il mandato mortis causa
- il mandato post mortem in senso stretto
Il mandato post mortem exequendum è il contratto con il quale le parti stabiliscono che esso dovrà essere
eseguito, mediante il compimento di attività meramente materiali (eventualmente in esecuzione di
un’attribuzione patrimoniale già perfezionata in vita dal mandante), dopo la morte del mandante.
Ne costituisce un esempio, il mandato avente ad oggetto disposizioni per la pubblicazione di proprie opere.
La Cass., 4 ottobre 1962, n. 2804 ha statuito che “è valido il mandato post mortem exequendum di carattere
patrimoniale conferito ed accettato durante la vita del mandante, quando l’incarico consista in atti di
esecuzione materiale di un’attribuzione patrimoniale già perfezionata in vita dal mandante ”.
Nel mandato mortis causa il mandante conferisce al mandatario l’incarico di compiere, dopo la morte del
mandante, atti che comportano l’attribuzione di diritti patrimoniali successori.
Ne costituisce un esempio, il mandato avente ad oggetto la trasmissione ad un terzo di un bene dell’eredità.
La Cass., 17 agosto 1990, n. 8335 ha così affermato: “Il contratto, con cui una parte deposita presso un’altra
una determinata somma ed attribuisce ad un terzo, che prende parte all’atto, il diritto a pretenderne la
restituzione dopo la propria morte, non configura un contratto a favore di terzi, con esecuzione dopo la
morte dello stipulante, a norma dell’art. 1412 c.c., avendo il terzo assunto la qualità di parte dell’atto e lo
stipulante obbligandosi in suo diretto confronto a mantenere ferma la disposizione in suo favore, bensì
rientra nell’ambito di applicazione del divieto dei patti successori sancito dall’art. 458 c.c., ed è perciò nulla,
giacché dà luogo ad una complessa convenzione costituita da un deposito irregolare e da una vietata
donazione mortis causa”.
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Nel mandato post mortem in senso stretto il de cuius conferisce ad un soggetto, con atto unilaterale,
contenuto in un testamento, l’incarico di svolgere un’attività giuridica alla sua morte (ad esempio, la nomina
dell’esecutore testamentario).
Le disposizioni a favore di un terzo da eseguirsi dopo la morte dello stipulante costituiscono la principale
alternativa al testamento.
Il nostro Codice Civile prevede:
il contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante (art. 1412
Cod. Civ.);
l’assicurazione sulla vita a favore di terzo con designazione del beneficiario anche per testamento
(art. 1920 Cod. Civ.);
il contratto di rendita vitalizia a favore di terzo, con pattuizione espressa dell’intrasmissibilità del
potere di revoca in capo agli eredi dello stipulante (art. 1875 Cod. Civ.);
il deposito a favore di terzo (art. 1773 Cod. Civ.).
Per quest’ultima tipologia si pensi alla costituzione di un deposito bancario con intestazione del libretto di
risparmio nominativo al terzo, ma con riserva in capo al solo costituente della facoltà di effettuare
prelevamenti, e con conferimento del diritto di prelievo all’intestatario sospensivamente subordinato alla
morte del primo.
Le clausole di consolidazione o di continuazione, per le società di persone, e le clausole di gradimento, di
prelazione e di opzione per le società di capitali disciplinano il trasferimento della quota di partecipazione nel
caso di morte del socio.
Sul tema, ex plurimis, la Cassazione 16 aprile 1994, n. 3609 ha statuito che
“la clausola statutaria che attribuisce ai soci superstiti di una società di capitali, in caso di morte di uno di
essi, il diritto di acquistare dagli eredi del de cuius le azioni già appartenute a quest’ultimo e pervenute iure
successionis agli eredi medesimi, non viola il divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c., in quanto il
vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci è destinato a produrre effetti solo dopo il verificarsi
della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o per testamento) delle azioni agli eredi, con la
conseguenza che la morte di uno dei soci costituisce soltanto il momento a decorrere dal quale può essere
esercitata l’opzione per l’acquisto suddetto, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione
ereditaria o che si configurino gli estremi di un patto di consolidazione delle azioni fra soci, caratterizzandosi,
invece, la clausola soltanto come atto inter vivos, non contrastante, in quanto tale, neanche con la norma
dell’art. 2355 comma 3 c.c. che legittima disposizioni statutarie intese a sottoporre a particolari condizioni
l’alienazione delle azioni nominative”.
Le clausole di continuazione della società con gli eredi del socio defunto permettono che i soci rinuncino sin
da subito, nel caso di morte di uno di loro, alla facoltà di sciogliere la società o di continuarla, prevedendo
che agli eredi del socio defunto sia imposto l’obbligo di assumere la qualità di socio oppure attribuendo
automaticamente tale qualità senza bisogno di stipulare alcun accordo.
Cassazione, 18 dicembre 1995, n. 12906, secondo cui
“La clausola cosiddetta di continuazione automatica prevista nell’atto costitutivo di società in accomandita
semplice – in forza della quale gli eredi del socio accomandante defunto subentrano, per intero, nella
posizione giuridica del loro dante causa entro la compagine sociale, a prescindere da ogni loro
manifestazione di volontà – non contrasta né con la regola stabilita dall’art. 2322, comma 1, c.c., che
espressamente prevede la trasmissibilità a causa di morte della quota di partecipazione del socio
accomandante, né con l’art. 458 c.c., che con norma eccezionale non suscettibile di applicazione analogica
vieta i patti successori, per non essere essa riconducibile allo schema tipico del patto successorio”.
Le clausole di consolidazione, invece, stabiliscono che la quota del socio defunto resti senz’altro acquisita ai
soci superstiti, in proporzione delle rispettive quote.
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Le clausole di consolidazione vengono ritenute nulle (costituiscono attribuzioni mortis causa contenute in un
atto diverso dal testamento, in particolare un patto successorio istitutivo) da una parte della dottrina.
Un’altra parte della dottrina e la giurisprudenza di legittimità ritengono invece che siano valide quelle impure,
vale a dire quelle che riconoscono, in capo agli eredi un diritto di credito.
Cassazione, 16 aprile 1975, n. 1434 secondo la quale
“La clausola con cui si dispone che, alla morte di uno dei soci, le quote di questi si trasferiscano ai soci
superstiti, senza che sia prevista l’attribuzione di alcunché ai successori per legge o testamento, è nulla per
contrarietà al divieto dei patti successori”.
Introdotto con la Legge 14 febbraio 2006 n. 55 e disciplinato dagli articoli 768-bis e seguenti del Codice
Civile, il patto di famiglia è il contratto con cui l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il
titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.
Si tratta di un negozio inter vivos, traslativo e ad efficacia reale, finalizzato ad assicurare la continuità
dell’organismo imprenditoriale per salvaguardare la produttività e l’efficienza dell’impresa, garantendone al
contempo l’integrità, a favore di uno solo o di alcuni dei discendenti dell’imprenditore o del titolare di
partecipazioni societarie.
Ma come avviene la tacitazione dei diritti dei legittimari non assegnatari?
Attraverso la liquidazione dei diritti loro spettanti (art. 768 – quater Cod.Civ.): ciò consente la sottrazione
dell’azienda oppure delle partecipazioni societarie oggetto del patto all’azione di riduzione ed alla collazione.
Il trust è un istituto di origine anglosassone riconosciuto in Italia con la Convenzione dell’Aja del 1 luglio
1985, poi ratificata con Legge 16 ottobre 1989, n. 364.
Con il trust il disponente, o settlor, trasferisce la proprietà di beni immobili o mobili ad un soggetto detto
trustee affinché provveda alla loro amministrazione nell’interesse di un terzo, il beneficiary, secondo gli scopi
determinati dal disponente.
Mentre alcuni interpreti ritengono che, a seguito della citata Convenzione, debbano ritenersi ammissibili i
trusts costituiti da cittadini italiani su beni situati in Italia, altri invece ritengono che il trust non sia stato
introdotto nel nostro ordinamento giuridico, ma sia semplicemente prevista una disciplina atta a risolvere
situazioni di conflitti di legge.
Il settlor si spoglia quindi della proprietà dei beni a favore del trustee, ma i cespiti trasferiti formano una
massa patrimoniale autonoma rispetto al patrimonio personale del trustee stesso, che diventa
amministratore fiduciario.
Ciò significa che tali beni non sono aggredibili da parte dei creditori del beneficiary e non cadono nella sua
successione.
Può essere costituito con atto unilaterale inter vivos o con un atto mortis causa, vale a dire mediante
testamento.
Nel trust con effetti successori il costituente dispone, per atto inter vivos, del proprio patrimonio o di parte di
esso in previsione della sua morte senza fare ricorso al testamento.
In ambito successorio, è possibile individuare tre possibili utilizzazioni del trust:
1. il settlor trasferisce alcuni propri beni al trustee, con l’incarico di conservarli e trasmetterli, dopo la
propria morte, al beneficiary;
2. il settlor, con testamento, assegna i propri beni al trustee, affinché questi li conservi per un certo tempo
per poi trasmetterli al beneficiary;
3. il settlor, con testamento, assegna i propri beni al trustee, affinché questi li conservi per tutta la propria
vita, per poi trasmetterli al beneficiary.
La prima e la seconda fattispecie non paiono confliggere con il divieto di patti successori e con alcun altra
norma, mentre la terza potrebbe essere affetta da nullità per il divieto di sostituzione fedecommissaria ex
articolo 692 del codice Civile.
Il contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante
Oltre ai modelli negoziali appena esaminati, esiste anche un altro strumento alternativo al testamento: il
contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante.
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E’ il contratto concluso tra due soggetti, stipulante e promittente, che convengono che il promittente esegua
la prestazione in favore di un altro soggetto (terzo beneficiario), solo dopo la morte dello stipulante.
Art. 1412 Cod.Civ. Prestazione al terzo dopo la morte dello stipulante
“Se la prestazione deve essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante, questi può revocare il beneficio anche con
una disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest’ultimo
caso, lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca.
La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia
stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente”.
Il terzo non diviene parte del contratto ma acquista, in forza di questo, il diritto ad ottenere, al momento
della morte dello stipulante, una prestazione da parte del promittente che può consistere in un dare, in un
facere od in un non facere.
Il terzo può anche non essere un soggetto determinato al momento della conclusione del contratto qualora
sia possibile comunque desumere i criteri per la sua identificazione.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, il contratto a favore di terzo con effetti alla morte dello
stipulante costituisce un atto inter vivos e non viola, dunque, il divieto di patti successori. Questo perché gli
effetti nei confronti del terzo, cioè l’acquisto del diritto alla prestazione da parte del promittente, si
producono immediatamente.
La morte non è, dunque, causa dell’attribuzione in favore del terzo, ma costituisce solo il termine a partire
dal quale l’acquisto del diritto, validamente prodottosi al momento della conclusione del contratto, produce i
propri effetti.
Questa forma di contratto si presta ad essere utilizzata come valida alternativa alla disposizione
testamentaria.
In prospettiva successoria esso rileva l’articolo 1412 del Codice Civile che disciplina, ampliandola, la
revocabilità dell’attribuzione:
lo stipulante, infatti, può revocare il beneficio anche mediante una disposizione testamentaria, sebbene il
terzo beneficiario abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che lo stipulante abbia rinunciato per iscritto al
potere di revoca.
La dichiarazione di revoca del beneficio è un negozio recettizio poiché per produrre i propri effetti deve
giungere a conoscenza del destinatario.
A seguito della revoca del beneficio da parte dello stipulante, il promittente è obbligato ad eseguire la
prestazione a favore degli eredi dello stipulante.
Se lo stipulante desidera indicare un nuovo beneficiario, in sede di revoca del beneficio deve disporre un
legato a carico degli eredi.
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LEZIONE 2: L’ASSICURAZIONE SULLA VITA PER IL CASO MORTE E I PRODOTTI ASSICURATIVI
FINANZIARI
Le caratteristiche principali dell’assicurazione sulla vita per il caso morte
Tradizionalmente, si parla di assicurazione sulla vita a favore di un terzo come di un esempio tipico di
contratto a favore di terzo. In realtà ci sono delle analogie e delle differenze.
Rispetto al contratto a favore di terzo, la clausola attributiva del vantaggio al terzo costituisce un elemento
normale, ma non essenziale, del contratto.
Mentre nel contratto a favore di terzo, il terzo acquista il diritto per effetto della stipulazione, nel contratto di
assicurazione sulla vita, il terzo acquista il diritto per effetto della designazione,
L’assicurazione sulla vita non si presta a realizzare un’attribuzione in forma indiretta analoga a quella che si
verifica nel caso di contratto a favore di terzo in quanto cambia l’oggetto dell’attribuzione.
Vi sono norme che disciplinano il contratto a favore di terzo che non si applicano al contratto di
assicurazione sulla vita per la funzione previdenziale svolta da quest’ultima come, ad esempio, l’art. 1412
cpv. c.c. ai sensi del quale la prestazione va fatta agli eredi del terzo se questo premuore allo stipulante.
In sede di stipulazione del contratto a favore di terzo è discusso se lo stipulante possa riservarsi la facoltà di
indicare il terzo in un secondo momento, con dichiarazione unilaterale o con testamento, in analogia con
quanto disposto dall’art. 1920 c.c per il caso di assicurazione sulla vita.
Nell’assicurazione sulla vita, la revocabilità della designazione del beneficiario è più ampia rispetto al
contratto a favore di terzo. In quest’ultimo, infatti, la dichiarazione del terzo di voler profittare
dell’attribuzione fa venire meno il potere di revoca dello stipulante, mentre nell’assicurazione sulla vita la
revoca può essere effettuata anche in seguito alla cennata dichiarazione, purché l’evento dedotto in rischio
non si sia già verificato oppure il contraente abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca, ex art. 1921 c.c.
L’assicurazione sulla vita costituisce un’efficace alternativa testamentaria: rende, infatti, possibile
l’attribuzione della somma o della rendita assicurate, alla morte del contraente, alla persona da lui designata,
senza che possa esercitare alcuna interferenza la vicenda successoria del contraente stesso.
La funzione dispositiva dell’assetto dei propri interessi patrimoniali in funzione della morte è, dunque,
affidata ad un contratto con effetti post mortem, revocabili attraverso il meccanismo della revoca della
designazione.
Si mostra, inoltre, particolarmente idonea a realizzare la tutela successoria del convivente more uxorio
superstite.
L’assicurazione sulla vita configura una liberalità indiretta avente ad oggetto i premi pagati in vita dal
contraente e sottoposta al termine iniziale cum moriar, in quanto la morte dell’assicurato costituisce il
momento a partire dal quale il credito del terzo nei confronti dell’assicuratore diviene esigibile. Il contraente
rimane nella piena disponibilità del credito assicurato: può cederlo ad altri, riscattare la polizza o ridurla,
darla in pegno, revocare il beneficiario o sostituirlo.
L’assicurazione sulla vita non assume mai la struttura del negozio mortis causa ma presenta i caratteri del
negozio tra vivi con effetti post mortem. Non si tratta di atto mortis causa perché l’acquisto del beneficiario
ha titolo nel contratto e non nella successione del contraente e non trasferisce beni dal contraente al
beneficiario. Il beneficiario, dunque, acquista il diritto iure proprio e non iure successionis, e tale diritto
dunque è trasmissibile mortis causa.
Il terzo acquista il diritto ai vantaggi dell’assicurazione per effetto della designazione.
Art. 1920 c.c. Assicurazione a favore di un terzo
“È valida l'assicurazione sulla vita a favore di un terzo. La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di
assicurazione, o con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, o per testamento; essa è efficace anche
se il beneficiario è determinato solo genericamente. Equivale a designazione l'attribuzione della somma assicurata fatta
nel testamento a favore di una determinata persona. Per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai
vantaggi dell'assicurazione”.
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La determinazione del contenuto del diritto di credito acquistato dal terzo avviene per relationem in ragione
della durata della vita dell’assicurato e dei premi versati.
Rispetto al negozio testamentario, non è necessaria l’accettazione da parte del beneficiario designato nel
testamento.
La designazione del beneficiario
In un’assicurazione sulla vita la designazione del beneficiario è una dichiarazione negoziale, efficace anche se
il beneficiario non ne viene a conoscenza, che ha la funzione di determinare il terzo destinatario della
prestazione dell’assicuratore.
È importante sottolineare che la funzione della designazione del beneficiario è determinativa o integrativa e
non dispositiva, proprio perché finalizzata ad integrare la volontà contrattuale e non a disporre dei propri
beni. Trattandosi di un atto di provenienza propria ed esclusiva dello stipulante, ha natura di negozio
unilaterale non recettizio che richiede, per il suo compimento, la capacità di agire del contraente al momento
della designazione.
La designazione del beneficiario può avvenire per atto tra vivi oppure per disposizione testamentaria.
Per
1.
2.
3.
atto tra vivi:
La designazione avviene nel contratto oppure in un separato e successivo atto tra vivi
Il terzo acquista il beneficio al momento della designazione
Se è fatta a titolo di liberalità è soggetta alla revoca per ingratitudine e sopravvenienza di figli (art. 1922
cpv. Cod.Civ. che rinvia all’art. 800 Cod.Civ.).
Art. 1922 Decadenza dal beneficio
“La designazione del beneficiario, anche se irrevocabile, non ha effetto qualora il beneficiario attenti alla vita
dell'assicurato. Se la designazione è irrevocabile ed è stata fatta a titolo di liberalità, essa può essere revocata nei casi
previsti dall'articolo 800”.
Per disposizione testamentaria:
1. Il terzo acquista il diritto, dal promittente e non a carico dell’eredità, al momento della conclusione del
contratto e la produzione degli effetti è rimandata alla morte del disponente
2. È valida anche se contenuta in un testamento nullo per mancanza di determinati requisiti di forma (ad
esempio, un testamento olografo scritto al computer)
3. Consente la inconoscibilità della designazione contenuta nel testamento da parte del beneficiario
4. Non trovano applicazione le norme sulla incapacità a ricevere per testamento
5. Per la sua revoca non è necessario un nuovo testamento o, comunque, un atto che riveste le forme del
testamento ma è sufficiente un atto scritto separato posteriore al testamento
Sono anche ammesse le cosiddette designazioni generiche come, ad esempio: “nomino i miei figli beneficiari
dell’assicurazione sulla vita per il caso della mia morte”.
La designazione generica contenuta nel testamento, salvo che non emerga una diversa volontà del
contraente, deve essere valutata alla data della designazione e non a quella della morte dello stesso.
L’unica eccezione è rappresentata dalla formula “a favore dei miei eredi”, perché i beneficiari non possono
che identificarsi con i soggetti chiamati alla successione. In questo caso, infatti, la designazione è efficace a
prescindere dalla loro accettazione o rinuncia dell’eredità e l’individuazione dei beneficiari viene effettuata
attraverso l’accertamento tipico della qualità di erede, secondo i modi tipici di delazione dell’eredità
(testamentaria o legittima, ex art. 457 Cod.Civ.). La somma assicurata deve essere ripartita tra gli eredi in
parti uguali e non in base alle rispettive quote ereditarie, salva una diversa volontà dell’assicurato, essendo
contrattuale la fonte regolatrice del rapporto.
La revoca della designazione e il diritto del terzo beneficiario
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La revoca della designazione consente allo stipulante di mantenere, fino al momento della sua morte, un
potere di controllo dei requisiti soggettivi e delle qualità del beneficiario: la designazione del beneficiario è
infatti revocabile fino alla morte dello stipulante.
Nel caso di esercizio del potere di revoca, il contraente può sostituire un nuovo beneficiario all’originario
terzo, oppure decidere di non destinare ad alcun soggetto la prestazione dell’assicuratore promittente.
Pur richiedendo gli stessi requisiti, la revoca non deve necessariamente rivestire la stessa forma utilizzata per
la designazione potendo essere effettuata facendo ricorso ad una delle forme previste dal comma 2 dell’art.
1920 del Codice Civile.
La revoca può essere effettuata anche se il beneficiario aveva dichiarato di aderire alla stipulazione del
contratto a suo favore, purché non si sia verificato l’evento.
Nel caso di designazione testamentaria, non è necessario un nuovo testamento o, comunque, un atto che
riveste le forme del testamento ma è sufficiente un atto scritto separato successivo alla redazione del
testamento come, ad esempio, una lettera inviata all’assicuratore.
Se la revoca non prevede una nuova designazione, il beneficio assicurativo va agli eredi del contrante perché
entrato nel suo patrimonio.
In questo caso gli eredi non possono essere considerati terzi: riceveranno, quindi, il beneficio jure
successionis, in virtù dell’applicazione generale dei principi (art. 1411 c.c.) che governano il contratto a
favore di terzi.
La revoca rientra tra i diritti personali intrasmissibili dello stipulante: non è esercitabile dagli eredi del
contraente dopo la sua morte, né dai suoi creditori in via surrogatoria, né, in caso di fallimento del
contraente, dal curatore, né dopo che, verificatosi l’evento, il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare
del beneficio.
La revoca può essere, oltre che espressa, anche implicita, qualora il contraente compia atti incompatibili con
la volontà di confermare l’attribuzione al terzo designato.
Ciò può accadere, ad esempio, qualora il contraente eserciti il diritto di riscatto (si realizza quando
l’assicurato manifesta la volontà di recedere dal contratto ottenendo il pagamento di una determinata
somma) oppure in caso di cessione della polizza o di mancato pagamento dei premi. In quest’ultimo caso, si
ha l’effetto di una revoca parziale per riduzione della somma assicurata a seguito di mancato pagamento dei
premi.
Il diritto che il terzo beneficiario acquista a seguito della conclusione di un contratto di assicurazione sulla
vita per il caso morte è un diritto autonomo.
La Cassazione 14 maggio 1996, n. 4484 ha statuito la natura autonoma del diritto acquistato dal beneficiario di
un’assicurazione sulla vita e la mancanza, in detta fattispecie contrattuale, della “connotazione tipica del negozio mortis
causa, e cioè la manifestazione della volontà di disporre, a favore dei propri eredi, di un bene del quale si presupponga
l’appartenenza - presente o futura – al proprio patrimonio”.
Il terzo acquista immediatamente, per effetto della designazione, un credito nei confronti dell’assicuratore
promittente che diviene però esigibile alla morte dello stipulante.
Il diritto del terzo beneficiario è del tutto svincolato dal patrimonio del contraente: per effetto della
designazione il terzo acquista nei confronti dell’istituto assicuratore un diritto proprio, avente fonte nel
contratto di assicurazione. E’ quindi anche insensibile rispetto alla vicenda successoria del contraente.
Il trust per la devoluzione delle polizze vita
Nel trust per la devoluzione delle polizze vita il settlor designa un trustee perché gestisca le somme incassate
alla sua morte in virtù dell’assicurazione sulla vita stipulata in favore del trust, devolvendole, secondo le
indicazioni del settlor, ai beneficiari finali del trust.
Il settlor può modificare i beneficiari finali del trust, così come le disposizioni contenute nell’atto costitutivo
del trust, in completa riservatezza, ferma restando la designazione del trust quale beneficiario della polizza.
La funzione di alternativa testamentaria svolta dall’assicurazione sulla vita viene esaltata dall’impiego del
trust in quanto conferisce maggiore rilevanza alle qualità personali dei beneficiari finali ed i motivi oggettivi
dello stipulante possono trovare adeguata realizzazione. Lo stipulante può, infatti, condizionare il pagamento
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dell’indennità al verificarsi di determinati eventi, successivi alla sua morte oppure imporre al beneficiario
particolari forme di utilizzo della somma ricevuta.
Impignorabilità e insequestrabilità delle polizze morte
L'articolo 1923, 1° comma del Codice Civile sancisce l'impignorabilità ed insequestrabilità delle somme
dovute dall'assicuratore al contraente ed al beneficiario di un'assicurazione sulla vita, in deroga alla regola
generale codificata dall’art. 2740 ai sensi del quale il debitore risponde per l’adempimento delle obbligazioni
con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Art. 1923 Cod.Civ. Diritti dei creditori e degli eredi
“Le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario
non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare.
Sono salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti
in pregiudizio dei creditori e quelle relative alla collazione, all’imputazione e alla riduzione delle donazioni”.
La norma trova applicazione tanto nell'assicurazione a favore proprio che in quella a favore di terzo; sono,
pertanto, destinatari del divieto sia i creditori del contraente – rispetto alle somme dovute allo stesso
contraente o al beneficiario – sia quelli del beneficiario – rispetto alle somme dovute a quest'ultimo.
Secondo l’opinione dominante, le disposizioni relative alla revocazione comprendono sia l’azione revocatoria
ordinaria sia l’azione revocatoria fallimentare. Alla collazione e alla riduzione nei confronti del beneficiario dei
premi pagati si applicano le norme generali degli articoli 553 e 737 e successivi.
Le polizze Unit Linked e Index Linked
Le polizze Unit Linked e Index Linked sono prodotti assicurativi finanziari in cui il rapporto assicurativo
assume una fisionomia nuova poiché la componente finanziaria diventa preponderante.
Quali sono le principali caratteristiche?
Le polizze in esame generalmente prevedono un premio unico ed una durata limitata a pochi anni anche se
permane, comunque, un riferimento al rischio demografico.
Può essere assente un capitale minimo garantito: la prestazione finale può, dunque, avere un valore
inferiore ai premi versati, nella misura in cui il mercato si evolve in senso negativo. Può addirittura accadere
che il risparmiatore perda l’intera somma versata.
Il rischio finanziario viene trasferito sull’assicurato.
App. Torino, 16 novembre 2009 ha così statuito
“I contratti unit linked o index linked si sostanziano nell’acquisto di uno strumento finanziario in cui il rischio (avente ad
oggetto la cd. performance di quello strumento) è a carico del risparmiatore e dipende non dal fattore tempo, ma dalle
dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del titolo e9003 dalla solvibilità dell’emittente”.
Sull’assicurato grava sempre un rischio di investimento che può variare in relazione all’andamento del
parametro di riferimento, oltre che in relazione agli specifici obblighi assunti dall’impresa di assicurazione.
Art. 41. Contratti direttamente collegati ad indici o a quote
di organismi di investimento collettivo del risparmio
“1. Qualora le prestazioni previste in un contratto siano direttamente collegate al valore delle quote di un organismo di
investimento collettivo del risparmio oppure al valore di attivi contenuti in un fondo interno detenuto dall'impresa di
assicurazione, le riserve tecniche relative a tali contratti sono rappresentate con la massima approssimazione possibile
dalle quote dell'organismo di investimento collettivo del risparmio oppure da quelle del fondo interno, se è suddiviso in
quote definite, oppure dagli attivi contenuti nel fondo stesso.
2. Qualora le prestazioni previste in un contratto siano direttamente collegate ad un indice azionario o ad un altro valore
di riferimento diverso da quelli di cui al comma 1, le riserve tecniche relative a tali contratti sono rappresentate con la
massima approssimazione possibile dalle quote rappresentanti il valore di riferimento oppure, qualora le quote non siano
definite, da attivi di adeguata sicurezza e negoziabilità che corrispondano il più possibile a quelli su cui si basa il valore di
riferimento particolare. 3. L'articolo 38, comma 1, secondo periodo, e le disposizioni sulle quote massime di cui al comma
2 del medesimo articolo non sono applicabili agli attivi detenuti per far fronte ad obbligazioni che sono direttamente
collegate alle prestazioni di cui ai commi 1 e 2. Le disposizioni relative alle regole di congruenza non si applicano alle
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obbligazioni derivanti dai contratti di cui al presente articolo.
4. Qualora le prestazioni previste dai contratti di cui ai commi 1 e 2 comprendano una garanzia di risultato
dell'investimento o qualsiasi altra prestazione garantita, alle corrispondenti riserve tecniche aggiuntive si applica l'articolo
38.
5. L'ISVAP stabilisce, con regolamento, disposizioni più dettagliate per l'individuazione delle categorie di attivi, che
possono essere destinati a copertura delle riserve tecniche, e dei relativi limiti.”
Inoltre, fino all’entrata in vigore del Regolamento 32/2009 dell’ISVAP, il rischio di investimento per
l’assicurato poteva arrivare anche a comprendere il cosiddetto “rischio di controparte”.
Con gli artt. 4, 5, 6 l’ISVAP del suddetto Regolamento l’ISVAP ha invece stabilito il divieto di emettere polizze
index linked con rischio di investimento interamente a carico del contraente.
Considerate le particolari caratteristiche di rischio di questi prodotti che paiono mettere in crisi la stessa
causa del contratto di assicurazione, vale a dire il trasferimento del rischio in capo all’assicuratore, è emersa
con il tempo la necessità di tutelare l’assicurato rendendolo edotto di queste caratteristiche.
A questo proposito è bene ricordare che prima dell’entrata in vigore della Legge 262/2005 di modifica del
TUF il risparmiatore godeva di una tutela limitata alla consegna di una nota informativa da parte
dell’intermediario, con un contenuto minimo limitato, e al divieto, imposto alle imprese assicuratrici, di
correlare la prestazione assicurativa ad indici basati su strumenti finanziari derivati su merci.
La Legge 262 del 2005, introducendo l’art. 25bis al TUF, ha esteso gli articoli 21 23 del TUF “alla
sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione” .
Successivamente, il Decreto Legislativo 303 del 2006 ha introdotto la definizione di questi prodotti: il
legislatore ha, così, definitivamente statuito la natura di prodotti finanziari delle polizze linked.
Il Codice delle assicurazioni (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209) ha inoltre previsto numerose disposizioni a
tutela degli assicurati, in particolare quelle contenute negli articoli 178, 183 e 185.
Art. 178 - Riconoscimento in capo all’assicuratore dell’onere della prova di aver agito con la specifica
diligenza richiesta nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al contraente di una polizza vita linked.
Art. 183 - Obbligo, in capo alle imprese ed agli intermediari, nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti, di
comportarsi in maniera prudente, informarsi ed informare il contraente, evitare conflitti di interessi
(analogamente a quanto disposto dall’art. 21 TUF), rinviando all’ISVAP l’adozione di un regolamento
contenente specifiche regole di comportamento da osservare nei rapporti con i contraenti in modo che
l’attività si svolga con correttezza e con adeguatezza rispetto alle specifiche esigenze dei singoli
(Provvedimento ISVAP 16 ottobre 2006, n. 5).
ART. 183 Regole di comportamento
“Nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti le imprese e gli intermediari devono:
a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati;
b) acquisire dai contraenti le informazioni necessarie a valutare le esigenze assicurative o previdenziali ed operare in
modo che siano sempre adeguatamente informati;
c) organizzarsi in modo tale da identificare ed evitare conflitti di interessi ove ciò sia ragionevolmente possibile e, in
situazioni di conflitto, agire in modo da consentire agli assicurati la necessaria trasparenza sui possibili effetti sfavorevoli
e comunque gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino loro pregiudizio;
d) realizzare una gestione finanziaria indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei
contraenti e degli assicurati”.
Art. 185 - Obbligo di consegna di una nota informativa che deve contenere “le informazioni, diverse da
quelle pubblicitarie, che sono necessarie, a seconda delle caratteristiche dei prodotti e dell’impresa di
assicurazione, affinché il contraente e l’assicurato possano pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e sugli
obblighi contrattuali e, ove opportuno, sulla situazione patrimoniale dell’impresa” .
Per i prodotti assicurativi finanziari, l’ISVAP determina le informazioni supplementari necessarie alla piena
comprensione del contratto con particolare riguardo “ai costi ed ai rischi del contratto ed alle operazioni in
conflitto di interesse”.
Con l’attuazione della MIFID (Direttiva n. 2004/39/CE), il TUF ha poi subito profonde modifiche e la Consob
ha emanato specifiche regole di condotta nella distribuzione di prodotti finanziar
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