LG Biblioteca della Montagna - CAI Milano Club Alpino Italiano Sezione di Milano Biblioteca Luigi Gabba archivio storico e fotografico Servizio Bibliotecario Nazionale Anno X N.37 - Inverno 2014/2015 Direzione e redazione Via Duccio di Boninsegna 21 - 20145 Milano Tel. 0291765944 - Fax 028056971 www.caimilano.eu email: [email protected] Ardito Desio ritratto di un alpinista e molto altro ancora Rarità il viaggio di freshfield nelle alpi che non ci sono più La nostra storia la capanna milano durante la grande guerra LG K2 60° anniversario Biblioteca della Montagna - CAI MIlano Anno X N.37 - Inverno 2014/2015 Direzione e redazione Via Duccio di Boninsegna 21 - 20145 Milano Tel. 0291765944 - Fax 028056971 www.caimilano.eu email: [email protected] Coordinamento redazionale: Renato Lorenzo e-mail: [email protected] Biblioteca della Montagna - CAI Milano Via Duccio di Boninsegna 21,23 - 2045 Milano orario martedì 10:00-18:00/21:00-22:00 giovedì 10:00-18:00 È vietata la riproduzione anche parziale di testi, fotografie, schizzi, figure, disegni, senza esplicita autorizzazione. Layout: Lorenzo Serafin La redazione accetta articoli, possibilmente succinti, compatibilmente con lo spazio, riservandosi ogni decisione sul momento e la forma della pubblicazione. Gli argomenti trattati sono in genere correlati alla ricca bibliografia consultabile presso la Biblioteca della Montagna Luigi Gabba del Cai Milano. Club Alpino Italiano Sezione di Milano fondata nel 1873 6.206 soci (fine dicembre 2013) Distribuzione riservata gratuitamente a soci e simpatizzanti In copertina un ritratto di Ardito Desio ai tempi della spedizione vittoriosa che nel 1954 portò l’Italia per prima sulla vetta del K2, qui a fianco una riproduzione della sua domanda di ammissione alla Sezione di Milano in qualità di socio aggregato e socio ordinario della sezione di Trieste; l’originale è custodito in via Duccio di Boninsegna Ardito Desio, ritratto di un alpinista e molto altro ancora A chiusura dell’anno in cui ricorre il 60° anniversario della conquista del K2 un regalo particolarmente gradito giunge in redazione da Maria Emanuela Desio, figlia del celebre alpinista e geologo, che ha accolto l’invito di LG a tracciare un breve e sentito ricordo del suo affezionato padre. Una nota che rivela la grandezza di un uomo che è vissuto a lungo lasciando una traccia profonda e che con grande orgoglio possiamo annoverare tra i soci (aggregati) della nostra Sezione I l nome di Ardito Desio è legato soprattutto alla spedizione al K2 del 1954, impresa da lui a lungo sognata, fin dal 1929 quando lo vide per la prima volta e fu amore a prima vista. Quest’anno ricorre il 60° anniversario della conquista del K2, divenuta col tempo la montagna degli Italiani. Su questa spedizione è stato detto tutto, anzi di più. Vorrei solo sottolineare ancora una volta che, come tutte le sue spedizioni, non è stata solo alpinistica, ma anche e soprattutto scientifica. Ritornò su quelle montagne diverse altre volte, fino al 1975, per continuare le sue ricerche e sono stati pubblicati ben dieci volumi in lingua inglese sui risultati. L’esplorazione era per lui soddisfare la sua curiosità scientifica, dettata da un grande spirito di avventura. Nella sua lunga vita, durata oltre un secolo, toccandone appena due e vivendone uno interamente e intensamente, ha eseguito una quindicina di spedizioni, tutte piuttosto avventurose, nei diversi continenti. Vorrei ricordare almeno una di queste “avventure” , oltre a quella del K2 già menzionata, che forse ha segnato la nostra storia. LG_dicembre 2014 2 Nelle sue scorrerie per il deserto libico con ogni mezzo, a piedi, sul cammello, con l’autocarro, con l’aeroplano, ha rilevato quasi tutto il deserto libico completando le carte geologiche, che riportano con precisione i punti di possibili giacimenti di idrocarburi e minerali. Queste mappe sono stranamente sparite subito dopo la seconda guerra mondiale e non furono mai più ritrovate. Le ricerche effettuate in seguito portarono alla conclusione che servirono agli americani, inglesi e francesi per le ricerche del petrolio. Nel 1938 scoprì le prime tracce di petrolio. Purtroppo eravamo alla vigilia della guerra e l’Italia non aveva possibilità di fare trivellazioni a grandi profondità e non se ne fece nulla. La bottiglia con il primo petrolio estratto nel deserto libico si trova ora in casa mia. La sua lunga vita mi ha permesso di conoscerlo bene e di stargli vicino soprattutto negli ultimi anni, quando non poteva più andare in giro per il mondo come era sua abitudine. Ho avuto così la possibilità di farmi raccontare le sue avventure accompagnate da riflessioni che mi hanno insegnato molto e che ho immagazzinato nella mia mente: la vita è un passaggio, un pizzico di fortuna c’è per tutti, ma bisogna saperla prendere quando c’è, bisogna cercare di essere attivi e onesti per non dover rimpiangere le proprie azioni, accettare la vecchiaia, perché fa parte della vita, e questo non è facile ma dà molta serenità, avere molta curiosità perché è quella che sollecita la mente e dà energia e voglia di fare, sapersi ritirare quando è il momento giusto. E di queste considerazioni che ho elaborato e adattato alla mia persona e alla mia vita potrei riempire tutta una pagina. Maria Emanuela Desio Rarità In viaggio con Freshfield D ouglas William Freshfield (1845 -1934) è stato uno dei più significativi “alpinisti-esploratori” della seconda metà dell’ottocento e il suo terreno di gioco furono le montagne di tutto il mondo. In particolare fu il Caucaso la catena montuosa in cui meglio si espressero sia le sue capacità alpinistiche, con numerose prime ascensioni dal 1868 al 1887, che la sua produzione letteraria, con due opere di cui la seconda, in due volumi (The Exploration of Caucasus del1896), è veramente monumentale. Una notevole testimonianza della sua autorevole competenza su quelle montagne è testimoniata dal ricco scambio epistolare con Vittorio Ronchetti, altro importante esploratore del Caucaso, conservato nell’archivio della nostra sezione. Ovviamente fu sulle le Alpi che nacque la sua passione per l’alpinismo, e le frequentò quasi ogni estate dall’età di nove anni portatovi da sua madre Jane, che rivestì un ruolo significativo nella storia del movimento alpinistico femminile, grazie alla sua prolungata attività alpina dal 1854 al 1862. Nel 1863, lasciata la tutela della madre, compì diciottenne l’ascensione del Monte Bianco, allora culmine di una carriera alpinistica, per lui punto di partenza. In quella occasione incontrò la guida di Chamonix François Devouassoud che gli fu fedele in tutta la sua attività alpinistica, ad iniziare dall’anno successivo nella grande traversata alpina da Thonon sul lago di Ginevra a Trento. Il diario di questa incredibile traversata, compiuta dal 14 luglio al 27 agosto 1864 con Devouassoud e due compagni, lo pubblicò l’anno successivo in un volume edito in poche decine di copie per farne dono agli amici. L’edizione originale è ovviamente un rarissimo cimelio presente in pochissime biblioteche pubbliche, ma è ora accessibile in una accurata traduzione italiana e disponibile anche nella nostra biblioteca sezionale, dando la possibilità di conoscere una testimonianza importante soprattutto per la storia alpinistica delle Alpi Centrali, che proprio in quegli anni e con il rilevante contributo di Freshfield vedevano l’inizio della loro esplorazione alpinistica. La sua comitiva fu la prima a compiere la traversata dalla Bondasca alla Val Masino per il passo del Ferro, a salire il Sissone, tra i primi a compiere ascensioni nel gruppo del Benina, con la prima ascensione da Sud del Palù orientale. Pochi giorni più tardi furono secondi, preceduti di pochi giorni da Tuckett, sulla vetta del Gran Zebrù dove troviamo anche il primo valtellinese a compiere una rilevante impresa sulla montagna di casa. Era un semplice portatore ingaggiato in Valfurva strada facendo, il cui nome da Freshfield non ci vien dato, ma che è stato fortunosamente scovato nelle ricerche fatte nel corso della traduzione: si tratta di Ignazio Antonioli della frazione di S. Antonio Valfurva che, un po’ suo malgrado, sarà poi ben soddisfatto di ritrovarsi su quella imponente e bella cima. Il successivo 25 agosto fu il “gran giorno” dell’intera traversata, furono infatti i primi sulla Presanella, la più alta montagna trentina. Non mancarono le avventure tragicomiche come il giorno successivo che vide il fallimento della traversata a Molveno per la Bocca di Brenta, causato dall’informazione errata di una improbabile guida locale, che però ebbe come risultato la prima traversata della Bocca dei Camosci, una “prima” involontaria che temperò il disappunto di ritrovarsi a sera ancora a Pinzolo, invece che a Molveno come speravano! Oltre alla brillante descrizione della straordinaria avventura, vi apprezziamo il carattere fresco e immediato delle osservazioni di un diciannovenne della upper class vittoriana, che ci danno un vivo ritratto delle reali condizioni naturali e umane delle Alpi, in una fase ancora avventurosa del turismo alpino. Sono impressioni spontanee e in tutta sincerità, ma che rivelano una esperienza e una maturità di giudizio non comune, certo frutto della sua già lunga e varia frequentazione delle vallate alpine. Lo stile di scrittura del libro, in forma di taccuino di viaggio, è semplice ma brillante e vario che si legge con molto piacere. Volessero oggi, dopo 150 anni, ripetere il loro percorso, in molte parti non sarebbe possibile. Strade e persino autostrade si sono sovrapposte ai loro itinerari, intere vallate da loro traversate sono state sommerse dai laghi artificiali di imponenti dighe; troverebbero impianti di risalita e, disseminati anche negli angoli più impervi, attrezzatissimi rifugi con livelli di accoglienza da invidiare agli hotel di fondovalle. Dalla lettura di questo diario ci viene quindi un invito: con la nostra intelligenza, fantasia, curiosità e sensibilità, ricercare spazi e luoghi fuori dalle vie battute dove rivivere almeno in parte le emozioni di Fresh■ field e compagni. Qui sopra il gruppo di Douglas Freshfield con la guida Devouassoud nello scatto della guida - fotografo A. Flury (1864); andreste in gita con costoro? La copertina della recente edizione curata e pubblicata da Itinera Alpina (Milano 2014): “La Traversata delle Alpi da Thonon a Trento”. Il testo originale in inglese è stato impeccabilmente tradotto da Maddalena Recalcati. Il volume è ordinabile all’ indirizzo itineralpina@ fastwebnet.it; è inoltre liberamente consultabile presso la biblioteca Luigi Gabba 3 LG_dicembre 2014 Preuss L’arrampicatore: come gli uccelli volano e come i pesci nuotano L a progressione artificiale trovò in senso assoluto solo in Paul Preuss la più tenace resistenza: il mezzo artificiale non era ammesso dal grande alpinista neanche per assicurazione. Purtroppo però egli cadde a solo ventisette anni. Chi si può definire alpinista se non conosce il nome di Paul Preuss? Il nobile cavaliere austriaco, morto alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, teorico (e soprattutto pratico) del “bisogna saper scendere arrampicando da dove si è saliti”? Eppure quanti alpinisti milanesi sanno indicare al primo colpo con quale alpinista loro concittadino Preuss abbia arrampicato, in una delle sue più belle ascensioni? La risposta sta in uno dei punti più attraenti del Monte Bianco: la cresta sud est della Dames Anglaises che il 28 agosto del 1913 vide all’opera una cordata composta da Aldo Bonacossa, Paul Preuss e Carlo Prochownick per un “percorso su ghiaccio, rocce facili e terreno misto, via classica al’Aiguille Blanche”come è scritto nella guida del Monte Bianco (CAI-TCI) opera dell’indimenticabile (e forse insostituibile) Gino Buscaini.“Montagna magnifica dalle linee eleganti, culminante con tre punte” sempre secondo Gino Buscaini. E così si capisce come abbia attirato l’attenzione del terzetto, in cui Prochownick rappresentava l’unico milanese purosangue, essendo nato Bonacossa a Vigevano. Talento precocissimo (aveva iniziato a scalare a 11 anni) malgrado un’infanzia segnata dalla malattia che sembrava destinarlo al destino di giovane malaticcio, Preuss rimane noto ai più per la via sul Campanil Basso, scalata in solitaria il 28 novembre del 1911. Nell’occasione, non pago dell’impresa era sceso poi dalla via normale in arrampicata, essendo privo della corda, realizzando così la traversata completa della cima. Corollario della sua filosofia era che gli unici mezzi completamente puri per la scalata fossero le mani e i piedi e che già la corda, fornendo una sicurezza “artificiale” fosse da considerare un ostacolo frapposto fra l’alpinista e la montagna. Essa era ammissibile per rendere sicura l’ascesa di un compagno più debole. Coerentemente con questi principi, difesi contro le posizioni di Dulfer e di Piaz (che non erano certamente dei chiodatori su larga scala) compì gran parte delle sue ascensioni in solitaria, guadagnandosi il rispetto e l’ammirazione anche dei suoi “avversari”. Gli fu fatale il tentativo di aprire una nuova via sulla cresta nord del Mandlkogel. Pochi di coloro che scorrono la lista delle sue ascensioni possono credere che avesse solo 27 anni e che l’alpinismo non fosse la sua unica occupazione, considerato che aveva trovato il tempo anche per laurearsi brillantemente in filosofia. Alberto Benini LG_dicembre 2014 4 La nostra storia La capanna Milano durante la grande guerra U no degli scopi principali della Sezione di Milano del CAI, è sempre stato quello, sin dalla sua fondazione avvenuta nel 1873, di costruire rifugi e capanne lungo la catena delle Alpi e delle Prealpi specialmente lombarde. In questo modo si è sempre voluto venire incontro alle esigenze degli alpinisti desiderosi di avere punti di appoggio per le loro scalate ed escursioni. Il numero di queste strutture è andato sempre più aumentando nel corso degli anni fino a raggiungere la ragguardevole cifra di ben 35 rifugi e capanne. Ognuno di questi rifugi ha una propria storia particolare ma in questa occasione, quella riguardante la Capanna Milano ha qualche cosa di molto speciale. Infatti questa Capanna è stata costruita nel 1882 e due anni dopo, esattamente il 24 agosto 1884, come risulta dal verbale conservato presso il nostro Archivio Storico, è stata ufficialmente inaugurata. La madrina per quell’avvenimento venne invitata la Nobile Signora Camilla Paribelli Caimi che solennemente spruzzò la porta della Capanna con “vino generoso”. La Capanna costruita nell’alta Val Zebrù serviva brillantemente per salite a montagne prestigiose come l’Ortlerspitze (m 3905), il Monte Zebrù (m 3740), la Punta Thurwieserspitze (m 3650) e il più importante Königsspitze-Gran Zebrù (m 3851). La Capanna disponeva all’inizio di appena due modesti locali e non reggendo più l’affluenza degli alpinisti, venne quasi subito ampliata. Durante la Grande Guerra del 1915/1918 la Capanna, e la zona circostante divennero teatro di aspri combattimenti contro le truppe austriache. Quantunque fatta segno a moltissimi bombardamenti austriaci, la Capanna venne raramente colpita, grazie alla sua posizione in parte protetta dalla roccia. Intorno sorsero vari baraccamenti per truppe e tutto un sistema di teleferiche. Alla fine della guerra venne ripristinata e intitolata al V° Reggimento Alpini che si comportò valorosamente. In ricordo di tutti gli Alpini caduti in questa zona, per iniziativa di Guido Bertarelli, valoroso ufficiale, e di Giuseppe Tuana Franguel, aiutante di battaglia, venne posta una lapide sul muro esterno della Capanna. Dopo la guerra, le costruzioni che si appoggiavano alla Capanna vennero demolite. L’Archivio Storico conserva un raro cimelio di questa Capanna e cioè il primo libro dei visitatori con firme e commenti di alpinisti e dei militari alpini che parteciparono alle operazioni militari del 1915. Tutto questo in 148 pagine. Interessante è la breve annotazione scritta dal Sottotenente Pier Luigi Viola il 31 ottobre 1915 e da lui sottoscritta che così recita: “Ad evitare il quasi sicuro smarrimento del presente Libro Visitatori della Capanna Milano, io sottoscritto dottor Pier Luigi Viola, Sottotenente V° Reggimento Alpini, ritengo opportuno ritirarlo, assumendomi l’obbligo di farlo pervenire alla Sezione di Milano del Club Alpino, perché lo conservi nei suoi archivi”. Con grande preveggenza effettivamente questo libro dei visitatori venne fatto pervenire in Sezione ed ancora oggi possiamo leggere con grande emozione gli scritti delle eroiche gesta degli Alpini. Riportiamo una delle tante scritte: Sepolto con onori saluti dai suoi compagni Alpini e Volontari essendo alla Capanna Milano per proteggere e difendere le Gloriose porte d’Italia contro l’invasore e barbari che fecero sorgere una guerra europea. Gloria al caduto e fortunato lui che riposa tranquillo sotto queste belle ghiaie nel suo suolo natio. Alpino N. di Bergamo A destra del titolo la vissuta copertina del libro visitatori della Capanna Milano, conservato grazie alla preveggenza del sottotenente Pier Luigi Viola che alla fine del conflitto si premurò affinchè fosse consegnato alla Sezione: 148 pagine di annotazioni dei militari alpini che parteciparono alle operazioni militari del 1915 Finita la guerra, il nostro socio, dottor Guido Bertarelli, Capitano del V° Reggimento Alpini e Giuseppe Tuana Franguel, aiutante di Battaglia, scrissero su questo libro, sulle ultime sedici pagine, la conclusione delle operazioni militari svoltesi nella zona. Renato Lorenzo 5 LG_dicembre 2014 Recensioni Un volume per il nostro Gran Zebrù I Qui sopra la copertina del libro L’anima del Gran Zebrù, 150 anni di storia, racconti, itinerari della più bella montagna delle Alpi Orientali di Davide Chiesa (ed. Idea Montagna formato 16x24 cm, 288 pagine a colori). Il volume è liberamente consultabile presso la nostra biblioteca Luigi Gabba l Gran Zebrù/Koenigsspitze non è una montagna qualsiasi, eppure è strano che sinora nessun autore le abbia dedicato un’opera omnia che indubbiamente si merita. Essa ha tutto, infatti, per non passare inosservata: imponenza, originale doppio toponimo per una scintillante bellezza, vicende storiche oscure. Tutto quanto le ruota intorno costituisce argomento di interesse e curiosità, persino di mistero per casi irrisolti o poco chiari. A colmare la lacuna si è dedicato Davide Chiesa, il quale ha creato un bel volume che è molto più di una sia pur completa monografia. L’opera inizia da valutazioni estetiche emerse nel corso del tempo, indi dalle colonizzazioni nelle valli circostanti e da notazioni geologiche, per giungere ai primi approcci alpinistici, ove si inserisce immediatamente la principale vicenda misteriosa della sua storia (quella della prima salita): Stephan Steinberger partito da Trafoi e transitato dallo Stelvio avrà raggiunto veramente la vetta del Gran Zebrù nel lontano 1854? Per risolvere uno dei pochi casi mai chiariti della storia alpinistica ufficiale, l’autore per la prima volta in Italia organizza un vera e propria inchiesta sulla vicenda. Percorre passo passo l’itinerario descritto nel testo originale di Steinberger (grazie alla traduzione di Raffaele Occhi) lungo i ghiacciai occidentali del Gran Zebrù per individuare quella “costola di roccia e neve che sta sopra all’enorme crepaccio” utilizzata al giovane seminarista per raggiungere la cima. Ci sembra questa l’analisi più seria dopo quella dell’austriaco Friedmann che nel 1882 ripercorse l’itinerario contestato per verificarne la tempistica. In seguito altri autori, nel 1806 e nel 1929, si sono trovati concordi a tavolino nel ritenere fattore decisivo di successo le perfette condizioni di innevamento di allora, ma questo ovviamente non poteva bastare! Ora abbiamo finalmente un punto fermo. Il volume di Davide Chiesa prosegue con una grande carrellata sull’alpinismo classico ed i suoi protagonisti (tutti i più bei nomi della storia delle Alpi), che hanno salito le creste perfette e le pareti scintillanti del Gran Zebrù, citando vari personaggi particolari, come ad esempio l’originale prof. Minnigerode e naturalmente l’onnipresente Payer. Nel contesto storico si inserisce poi la dolorosa ma eroica parentesi della “Grande Guer- LG_dicembre 2014 6 ra”, che proprio sul Gran Zebrù ha visto la più elevata battaglia del conflitto, le note vicende del cosiddetto “Nido delle aquile” ed altri episodi incredibili, tipo quelli dei combattimenti sulla “Suldengrat” o il tentativo nostrano di sferrare un attacco lungo la “repellente” parete ovest, una parete che ancora cela i suoi segreti… Durante i ruggenti Anni trenta si gioca anche sul Gran Zebrù (con la sua Koenigswand) la lotta per le pareti nord e le salite direttissime a goccia d’acqua, sino a giungere negli Anni cinquanta quando esplode il fenomeno Kurt Diemberger. Questi supera in modo non convenzionale la “Grande Meringa” e di nuovo Davide Chiesa non si limita a scorrere gli scritti sul tema, ma va a registrare la viva voce dei protagonisti viventi (Diemberger e Knapp) per fare chiarezza sulle due controverse verità. Negli Anni Sessanta, col rilancio dell’alpinismo invernale, sul Gran Zebrù/Koenigsspitze si affaccia l’epopea dei giovani meranesi Koessler, Drescher, Larcher e Breitenberger (ai quali viene riservata una simpatica intervista). Ma vi è pure la vicenda della prima invernale della via Ertl che è stata di Jack Canali. E lo sapevate che lo sci estremo è nato sul Gran Zebrù? C’è anche questo. Non mancano le curiosità locali legate alla montagna: cose di Solda e cose di Valfurva, la storia dell’orso e quelle del cervo e dell’aquila, e le avventure vissute in prima persona dall’autore sulla mitica parete nord, una delle quali a fianco del tirolese Kurt Ortler, la “guida dalle sette vite”. Infine c’è l’alpinismo moderno, impostosi a sud come a nord, i cui prodromi sono stati innescati da Eraldo Meraldi sul versante forbasco e per ora conclusi sul versante tirolese con le gesta estreme vissute e descritte dai celebri fratelli Riegler (i Rieglerbrothers). Chiude l’opera la parte monografica con strutture ed itinerari di accesso, elenco completo delle vie alpinistiche e relativi tracciati a tela di ragno con difficoltà estive ed invernali. La ricca documentazione iconografica, d’epoca storica e recente del tutto nuova, assicura l’immediata comprensione dei racconti e delle vicende riportate. Parimenti la vasta documentazione bibliografica consultata, di fonte italiana come tedesca, che va dagli albori dell’alpinismo sino ai giorni nostri, rivela la seria e paziente opera di ricerca messa in campo dall’autore. Lino Pogliaghi (Gism) Canti di montagna Di qua, di là del Piave Q ueste sono le parole di un vecchio canto alpino facente parte di una raccolta di ben 250 canti che la Sezione di Milano ha pubblicato in un volumetto, nel lontano 1953, per festeggiare l’80° di fondazione della Sezione e distribuito gratuitamente a tutti i suoi soci. Non si conosce l’autore del testo e della musica risalente senz’altro al 1917, durante la Prima Guerra Mondiale. Questa raccolta di testi di canzoni ha il pregio di comprendere tutto il repertorio italiano più conosciuto, dai canti di guerra alle versioni dialettali, dalle canzoni delle valli alpine. Molti saranno gli incontri inattesi che permetteranno a coloro che sfoglieranno il volumetto di cantare motivi famosi o rari nei testi completi. Comunque c’è molto nel libretto e forse mancherà molto. Tutti i canti hanno un’estetica che si comprende nell’ambientare immaginariamente sia i motivi che le parole in luoghi e tra gente che ha espresso così caratteristiche folkloristiche e di sentimento. E occorre anche saper includere il canto di montagna tra le manifestazioni di gioia e di libertà che sono proprie della vita dell’alpe. I canti della montagna sono i canti della Patria, sono i canti che il padre insegna al figlio, che la madre canta, con lieve rossore di pudicizia, quando la figlia è lì ad ascoltare; ma sempre poesia, sempre nuova e sempre bella. Qui a sinistra la copertina del volumetto pubblicato nel 1953 per festeggiare l’80° di fondazione della Sezione di Milano e che contiene ben 250 canti di montagna; sotto una spiritosa illustrazione di uno dei più famosi tra i canti degli alpini * * * Di qua, di là del Piave ci stava un’osteria. Là c’è da bere – e da mangiare ed un buon letto per riposar. E, dopo aver mangiato mangiato e ben bevuto. Le dissi oi bella se vuoi venire questa è l’ora di far l’amor Mi sì che vegnaria per una volta sola ma io ti prego – lasciarmi stare chè son figlia da maritar. Se sei da maritare dovevi dirlo prima Or che sei stata – coi vecchi alpini non sei figlia da maritar. E dopo nove mesi è nato un bel bambino, non beve il latte, ma succhia il vino perché l’è figlio di un vecchio alpin. 7 LG_dicembre 2014 Commissione culturale Il K2, Comici e l’alpinismo secondo Marco Ferrari. Il 2015 riparte con l’Orsa! T Qui sotto la copertina del romanzo “Il soffio dell’Orsa” che l’autore Rosario Fichera presenterà il 3 febbraio al Cai Milano con la collaborazione di Carola Caruso e del Trio Cavalazzi e con la collaborazione del Parco Nazionale Adamello Brenta, che sarà presente nella persona di Gilberto Volcan uno dei massimi esperti del progetto “Life Ursus” per la reintroduzione di questa specie sulle nostre montagne. re serate speciali hanno completato e coronato un ricco anno di iniziative culturali organizzate presso la sede di via Duccio di Boninsegna. A due anni di distanza dal sofferto trasferimento sembra che i soci inizino a intendere gli ampi spazi e bene attrezzati della nuova sede come un’opportunità e un vantaggio rispetto alle prestigiose ma esigue sale di via Pellico, e anche a valutare positivamente la qualità di una programmazione che nulla ha da invidiare ai i fasti di un passato sezionale più ricco e popoloso. Il 14 ottobre una sala gremita ha accolto a braccia aperte Mirella Tenderini alle prese con la sua ultima fatica letteraria “Tutti gli uomini del K2” (Corbaccio 2014). E sempre in tema di presentazioni letterarie resta alle cronache il lancio presso la nostra sezione del libro “Alpinismo Eroico” di Emilio Comici, un volume che l’editore milanese Hoepli ha voluto riproporre quest’anno in ristampa anastatica con le postfazioni di Spiro dalla Porta Xydias e di Marco Albino Ferrari. Marco ha accettato di raccontare il “suo” Comici in un bell’incontro pomeridiano che si è svolto il 23 ottobre, con letture di Carla Chiarelli e con la partecipazione straordinaria del dott. Ulrico Hoepli che ha colto l’occasione per gettare uno sguardo molto interessato al nuovo assetto e al ricco patrimonio libraio della nostra biblioteca, rilanciando un interesse per la montagna che da sempre contraddistingue l’editore milanese. Ancora a Marco Ferrari e Alessandro Gogna dobbiamo la bella e partecipata serata di presentazione del suo “Le prime le albe del Mondo” (Laterza 2014), alla ricerca di un alpinismo d’avventura attraverso un florilegio di storie di un passato recente, dove l’esplorazione e all’arrampicata viaggiavano ancora con il ritmo lento delle stagioni. Due parole sulla composizione della Commissione culturale che si è venuta delineando a gennaio di quest’anno: oltre Lorenzo Serafin in veste di coordinatore ne fanno parte Luisa Ruberl, Marco Dalla Torre, Marco Polo che si sono concentrati su attività ed eventi che possano, per varietà di contenuti coinvolgere trasversalmente e in maniera differenziata tutti i soci. La programmazione completa è consultabile nella sezione culturale in www.caimilano.eu sotto il titolo “archivio 2014”: incontri e conferenze che hanno avuto un’ottima risposta da parte dei LG_dicembre 2014 8 relatori coinvolti (complessivamente più di 30 ospiti, tra i più competenti e conosciuti non solo nell’ambito della cultura di montagna) che si sono dimostrati sempre ben felici di partecipare a serate firmate Cai Mi, hanno portato competenza e affabilità e creato occasioni di grande interesse e coinvolgimento, di cui in parte è stato riferito con brevi relazioni sul sito e qualche articolo sul blog www.MountCity.it che da qualche tempo raccoglie gli umori e le suggestioni di una metropoli alpina come Milano. E il 2015 riparte con l’Orsa, grazie a Rosario Fichera, scrittore giornalista di origini siciliane – i più attenti ricorderanno “Libero di concatenare” (Vivalda 2010) scritto a quattro mani con l’alpinista Franco Nicolini – che proporrà il 3 febbraio una serata dedicata al suo recente romanzo “Il soffio dell’Orsa”. Per far vivere al pubblico alcuni frammenti del suo romanzo, il cui titolo s’ispira al modo di comunicare delle mamme orse con i loro piccoli, è stata coinvolta l’attrice e musicista Carola Caruso e il trio d’archi Cavalazzi che accompagnerà letture e immagini con un percorso musicale opportunamente selezionato da un repertorio di brani classici e moderni arrangiati e adattati per l’occasione. Il racconto sottolinea le qualità dell’animale orso, la sua possibilità di convivenza con l’uomo, la sua sostanziale non pericolosità per gli umani... sono argomenti che nei mesi passati hanno dato luogo a un ampio dibattito, a seguito delle cronache del caso Daniza, e che nell’approccio di Rosario Fichera sono trattati grazie a una sapiente soluzione storico narrativa. L’autore sarà tuttavia ben lieto di stimolare e rispondere con competenza e obbiettività a un pubblico interessato ai risvolti ambientalisti che il tema della salvaguardia dell’orso pone nelle comunità alpine, con riferimento particolare progetto europeo “Life Ursus”. Ad approfondire questi aspetti ha accettato di partecipare all’evento anche Gilberto Volcan, uno dei massimi conoscitori dell’orso all’interno del Parco Nazionale Adamello Brenta per cui lavora e collabora come guida, veterinario e divulgatore. Attraverso l’accostamento di narrativa, recitazione, e la scelta di un percorso musicale fatto di suggestioni classiche e contemporanee si prospetta una serata di ascolti, di respiri e silenzi, adatta al pubblico di tutte le età. ■