LG
Biblioteca della Montagna - CAI Milano
Club Alpino Italiano
Sezione di Milano
Biblioteca
Luigi Gabba
archivio storico
e fotografico
Servizio
Bibliotecario
Nazionale
Anno X N.37 - Inverno 2014/2015
Direzione e redazione
Via Duccio di Boninsegna 21 - 20145 Milano
Tel. 0291765944 - Fax 028056971
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Ardito Desio
ritratto di un
alpinista e molto
altro ancora
Rarità
il viaggio di
freshfield nelle
alpi che non ci
sono più
La nostra
storia
la capanna
milano durante
la grande
guerra
LG
K2 60° anniversario
Biblioteca della Montagna - CAI MIlano
Anno X N.37 - Inverno 2014/2015
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È vietata la riproduzione anche parziale di testi,
fotografie, schizzi, figure, disegni, senza esplicita
autorizzazione.
Layout: Lorenzo Serafin
La redazione accetta articoli, possibilmente
succinti, compatibilmente con lo spazio, riservandosi ogni decisione sul momento e la forma
della pubblicazione. Gli argomenti trattati
sono in genere correlati alla ricca bibliografia
consultabile presso la Biblioteca della Montagna Luigi Gabba del Cai Milano.
Club Alpino Italiano
Sezione di Milano
fondata nel 1873
6.206 soci (fine dicembre 2013)
Distribuzione
riservata
gratuitamente
a soci
e simpatizzanti
In copertina un
ritratto di Ardito
Desio ai tempi della
spedizione vittoriosa
che nel 1954 portò
l’Italia per prima
sulla vetta del K2,
qui a fianco una
riproduzione della
sua domanda di
ammissione alla
Sezione di Milano
in qualità di socio
aggregato e socio
ordinario della sezione
di Trieste; l’originale è
custodito in via Duccio
di Boninsegna
Ardito Desio, ritratto di un alpinista
e molto altro ancora
A chiusura dell’anno in cui ricorre il
60° anniversario della conquista del
K2 un regalo particolarmente gradito giunge in redazione da Maria
Emanuela Desio, figlia del celebre
alpinista e geologo, che ha accolto
l’invito di LG a tracciare un breve e
sentito ricordo del suo affezionato
padre. Una nota che rivela la grandezza di un uomo che è vissuto a lungo lasciando una traccia profonda e
che con grande orgoglio possiamo
annoverare tra i soci (aggregati)
della nostra Sezione
I
l nome di Ardito Desio è legato soprattutto alla spedizione al K2 del 1954, impresa
da lui a lungo sognata, fin dal 1929 quando
lo vide per la prima volta e fu amore a prima
vista. Quest’anno ricorre il 60° anniversario
della conquista del K2,
divenuta col tempo la
montagna degli Italiani.
Su questa spedizione è
stato detto tutto, anzi
di più. Vorrei solo sottolineare ancora una
volta che, come tutte
le sue spedizioni, non
è stata solo alpinistica,
ma anche e soprattutto
scientifica. Ritornò su
quelle montagne diverse altre volte, fino al
1975, per continuare le
sue ricerche e sono stati pubblicati ben dieci
volumi in lingua inglese sui risultati.
L’esplorazione era per
lui soddisfare la sua
curiosità
scientifica,
dettata da un grande
spirito di avventura.
Nella sua lunga vita, durata oltre un secolo, toccandone appena due e vivendone uno
interamente e intensamente, ha eseguito
una quindicina di spedizioni, tutte piuttosto
avventurose, nei diversi continenti.
Vorrei ricordare almeno una di queste “avventure” , oltre a quella del K2 già menzionata, che forse ha segnato la nostra storia.
LG_dicembre 2014 2
Nelle sue scorrerie per il deserto libico con
ogni mezzo, a piedi, sul cammello, con l’autocarro, con l’aeroplano, ha rilevato quasi
tutto il deserto libico completando le carte
geologiche, che riportano con precisione i
punti di possibili giacimenti di idrocarburi e
minerali. Queste mappe sono stranamente
sparite subito dopo la seconda guerra mondiale e non furono mai più ritrovate. Le ricerche effettuate in seguito portarono alla
conclusione che servirono agli americani,
inglesi e francesi per le ricerche del petrolio.
Nel 1938 scoprì le prime tracce di petrolio.
Purtroppo eravamo alla vigilia della guerra
e l’Italia non aveva possibilità di fare trivellazioni a grandi profondità e non se ne fece
nulla.
La bottiglia con il primo petrolio estratto
nel deserto libico si trova ora in casa mia.
La sua lunga vita mi ha permesso di conoscerlo bene e di stargli vicino soprattutto negli ultimi anni,
quando non poteva
più andare in giro per
il mondo come era sua
abitudine.
Ho avuto così la possibilità di farmi raccontare le sue avventure
accompagnate da riflessioni che mi hanno
insegnato molto e che
ho immagazzinato nella
mia mente: la vita è un
passaggio, un pizzico di
fortuna c’è per tutti, ma
bisogna saperla prendere quando c’è, bisogna
cercare di essere attivi
e onesti per non dover
rimpiangere le proprie
azioni, accettare la vecchiaia, perché fa parte
della vita, e questo non
è facile ma dà molta serenità, avere molta curiosità perché è quella che sollecita la mente
e dà energia e voglia di fare, sapersi ritirare
quando è il momento giusto.
E di queste considerazioni che ho elaborato
e adattato alla mia persona e alla mia vita
potrei riempire tutta una pagina.
Maria Emanuela Desio
Rarità
In viaggio con Freshfield
D
ouglas William Freshfield (1845 -1934) è
stato uno dei più significativi “alpinisti-esploratori” della seconda metà dell’ottocento
e il suo terreno di gioco furono le montagne di
tutto il mondo. In particolare fu il Caucaso la
catena montuosa in cui meglio si espressero
sia le sue capacità alpinistiche, con numerose
prime ascensioni dal 1868 al 1887, che la sua
produzione letteraria, con due opere di cui la
seconda, in due volumi (The Exploration of
Caucasus del1896), è veramente monumentale. Una notevole testimonianza della sua
autorevole competenza su quelle montagne è
testimoniata dal ricco scambio epistolare con
Vittorio Ronchetti, altro importante esploratore del Caucaso, conservato nell’archivio
della nostra sezione. Ovviamente fu sulle le
Alpi che nacque la sua passione per l’alpinismo, e le frequentò quasi ogni estate dall’età
di nove anni portatovi da sua madre Jane,
che rivestì un ruolo significativo nella storia
del movimento alpinistico femminile, grazie
alla sua prolungata attività alpina dal 1854 al
1862.
Nel 1863, lasciata la tutela della madre, compì diciottenne l’ascensione del Monte Bianco,
allora culmine di una carriera alpinistica, per
lui punto di partenza. In quella occasione
incontrò la guida di Chamonix François Devouassoud che gli fu fedele in tutta la sua attività alpinistica, ad iniziare dall’anno successivo nella grande traversata alpina da Thonon
sul lago di Ginevra a Trento. Il diario di questa incredibile traversata, compiuta dal 14 luglio al 27 agosto 1864 con Devouassoud e due
compagni, lo pubblicò l’anno successivo in
un volume edito in poche decine di copie per
farne dono agli amici. L’edizione originale è
ovviamente un rarissimo cimelio presente in
pochissime biblioteche pubbliche, ma è ora
accessibile in una accurata traduzione italiana
e disponibile anche nella nostra biblioteca sezionale, dando la possibilità di conoscere una
testimonianza importante soprattutto per la
storia alpinistica delle Alpi Centrali, che proprio in quegli anni e con il rilevante contributo di Freshfield vedevano l’inizio della loro
esplorazione alpinistica. La sua comitiva fu la
prima a compiere la traversata dalla Bondasca alla Val Masino per il passo del Ferro, a
salire il Sissone, tra i primi a compiere ascensioni nel gruppo del Benina, con la prima
ascensione da Sud del Palù orientale. Pochi
giorni più tardi furono secondi, preceduti di
pochi giorni da Tuckett, sulla vetta del Gran
Zebrù dove troviamo anche il primo valtellinese a compiere una rilevante impresa sulla
montagna di casa. Era
un semplice portatore
ingaggiato in Valfurva
strada facendo, il cui
nome da Freshfield
non ci vien dato, ma
che è stato fortunosamente scovato nelle
ricerche fatte nel corso della traduzione: si
tratta di Ignazio Antonioli della frazione
di S. Antonio Valfurva
che, un po’ suo malgrado, sarà poi ben soddisfatto di ritrovarsi su quella imponente e
bella cima. Il successivo 25 agosto fu il “gran
giorno” dell’intera traversata, furono infatti i
primi sulla Presanella, la più alta montagna
trentina. Non mancarono le avventure tragicomiche come il giorno successivo che vide il
fallimento della traversata a Molveno per la
Bocca di Brenta, causato dall’informazione
errata di una improbabile guida locale, che
però ebbe come risultato la prima traversata
della Bocca dei Camosci, una “prima” involontaria che temperò il disappunto di ritrovarsi a sera ancora a Pinzolo, invece che a
Molveno come speravano!
Oltre alla brillante descrizione della straordinaria avventura, vi apprezziamo il carattere
fresco e immediato delle osservazioni di un
diciannovenne della upper class vittoriana,
che ci danno un vivo ritratto delle reali condizioni naturali e umane delle Alpi, in una fase
ancora avventurosa del turismo alpino. Sono
impressioni spontanee e in tutta sincerità, ma
che rivelano una esperienza e una maturità di
giudizio non comune, certo frutto della sua
già lunga e varia frequentazione delle vallate
alpine. Lo stile di scrittura del libro, in forma
di taccuino di viaggio, è semplice ma brillante
e vario che si legge con molto piacere.
Volessero oggi, dopo 150 anni, ripetere il loro
percorso, in molte parti non sarebbe possibile. Strade e persino autostrade si sono sovrapposte ai loro itinerari, intere vallate da
loro traversate sono state sommerse dai laghi
artificiali di imponenti dighe; troverebbero
impianti di risalita e, disseminati anche negli
angoli più impervi, attrezzatissimi rifugi con
livelli di accoglienza da invidiare agli hotel di
fondovalle. Dalla lettura di questo diario ci
viene quindi un invito: con la nostra intelligenza, fantasia, curiosità e sensibilità, ricercare spazi e luoghi fuori dalle vie battute dove
rivivere almeno in parte le emozioni di Fresh■
field e compagni. Qui sopra il gruppo di
Douglas Freshfield con
la guida Devouassoud
nello scatto della guida - fotografo A. Flury
(1864); andreste in gita
con costoro?
La copertina della recente edizione curata e
pubblicata da Itinera
Alpina (Milano 2014):
“La Traversata delle
Alpi da Thonon a Trento”. Il testo originale in
inglese è stato impeccabilmente tradotto da
Maddalena Recalcati. Il
volume è ordinabile all’
indirizzo itineralpina@
fastwebnet.it; è inoltre
liberamente consultabile presso la biblioteca
Luigi Gabba
3 LG_dicembre 2014
Preuss
L’arrampicatore: come gli uccelli
volano e come i pesci nuotano
L
a progressione artificiale trovò in senso
assoluto solo in Paul Preuss la più tenace resistenza: il mezzo artificiale non era
ammesso dal grande alpinista neanche per
assicurazione. Purtroppo però egli cadde a
solo ventisette anni.
Chi si può definire alpinista se non conosce
il nome di Paul Preuss? Il nobile cavaliere austriaco, morto alla vigilia della Prima
Guerra Mondiale, teorico (e soprattutto
pratico) del “bisogna saper scendere arrampicando da dove si è saliti”? Eppure quanti
alpinisti milanesi sanno indicare al primo
colpo con quale alpinista loro concittadino Preuss abbia arrampicato, in una delle
sue più belle ascensioni? La risposta sta in
uno dei punti più attraenti del Monte Bianco: la cresta sud est della Dames Anglaises
che il 28 agosto del 1913 vide all’opera una
cordata composta da Aldo Bonacossa, Paul
Preuss e Carlo Prochownick per un “percorso su ghiaccio, rocce facili e terreno misto,
via classica al’Aiguille Blanche”come è scritto nella guida del Monte Bianco (CAI-TCI)
opera dell’indimenticabile (e forse insostituibile) Gino Buscaini.“Montagna magnifica dalle linee eleganti, culminante con tre
punte” sempre secondo Gino Buscaini. E
così si capisce come abbia attirato l’attenzione del terzetto, in cui Prochownick rappresentava l’unico milanese purosangue,
essendo nato Bonacossa a Vigevano. Talento precocissimo (aveva iniziato a scalare a
11 anni) malgrado un’infanzia segnata dalla malattia che sembrava destinarlo al destino di giovane malaticcio, Preuss rimane
noto ai più per la via sul Campanil Basso,
scalata in solitaria il 28 novembre del 1911.
Nell’occasione, non pago dell’impresa era
sceso poi dalla via normale in arrampicata,
essendo privo della corda, realizzando così
la traversata completa della cima. Corollario della sua filosofia era che gli unici mezzi
completamente puri per la scalata fossero le
mani e i piedi e che già la corda, fornendo
una sicurezza “artificiale” fosse da considerare un ostacolo frapposto fra l’alpinista e la
montagna. Essa era ammissibile per rendere sicura l’ascesa di un compagno più debole. Coerentemente con questi principi, difesi
contro le posizioni di Dulfer e di Piaz (che
non erano certamente dei chiodatori su larga scala) compì gran parte delle sue ascensioni in solitaria, guadagnandosi il rispetto
e l’ammirazione anche dei suoi “avversari”.
Gli fu fatale il tentativo di aprire una nuova
via sulla cresta nord del Mandlkogel. Pochi di coloro che scorrono la lista delle sue
ascensioni possono credere che avesse solo
27 anni e che l’alpinismo non fosse la sua
unica occupazione, considerato che aveva
trovato il tempo anche per laurearsi brillantemente in filosofia.
Alberto Benini
LG_dicembre 2014 4
La nostra storia
La capanna Milano
durante la grande guerra
U
no degli scopi principali della Sezione di Milano del CAI, è sempre stato
quello, sin dalla sua fondazione avvenuta
nel 1873, di costruire rifugi e capanne lungo la catena delle Alpi e delle Prealpi specialmente lombarde. In questo modo si è
sempre voluto venire incontro alle esigenze degli alpinisti desiderosi di avere punti
di appoggio per le loro scalate ed escursioni. Il numero di queste strutture è andato
sempre più aumentando nel corso degli
anni fino a raggiungere la ragguardevole
cifra di ben 35 rifugi e capanne.
Ognuno di questi rifugi ha una propria
storia particolare ma in questa occasione, quella riguardante la Capanna Milano
ha qualche cosa di molto speciale. Infatti
questa Capanna è stata costruita nel 1882
e due anni dopo, esattamente il 24 agosto
1884, come risulta dal verbale conservato
presso il nostro Archivio Storico, è stata
ufficialmente inaugurata. La madrina per
quell’avvenimento venne invitata la Nobile Signora Camilla Paribelli Caimi che
solennemente spruzzò la porta della Capanna con “vino generoso”.
La Capanna costruita nell’alta Val Zebrù
serviva brillantemente per salite a montagne prestigiose come l’Ortlerspitze (m
3905), il Monte Zebrù (m 3740), la Punta
Thurwieserspitze (m 3650) e il più importante Königsspitze-Gran Zebrù (m 3851).
La Capanna disponeva all’inizio di appena
due modesti locali e non reggendo più l’affluenza degli alpinisti, venne quasi subito
ampliata.
Durante la Grande Guerra del 1915/1918
la Capanna, e la zona circostante divennero teatro di aspri combattimenti contro le
truppe austriache. Quantunque fatta segno a moltissimi bombardamenti austriaci, la Capanna venne raramente colpita,
grazie alla sua posizione in parte protetta
dalla roccia. Intorno sorsero vari baraccamenti per truppe e tutto un sistema di
teleferiche.
Alla fine della guerra venne ripristinata e
intitolata al V° Reggimento Alpini che si
comportò valorosamente. In ricordo di
tutti gli Alpini caduti in questa zona, per
iniziativa di Guido Bertarelli, valoroso ufficiale, e di Giuseppe Tuana Franguel, aiutante di battaglia, venne posta una lapide
sul muro esterno della Capanna. Dopo la
guerra, le costruzioni che si appoggiavano
alla Capanna vennero demolite.
L’Archivio Storico
conserva un raro
cimelio di questa
Capanna e cioè il
primo libro dei visitatori con firme e
commenti di alpinisti e dei militari
alpini che parteciparono alle operazioni militari del
1915. Tutto questo
in 148 pagine.
Interessante è la
breve annotazione
scritta dal Sottotenente Pier Luigi
Viola il 31 ottobre 1915 e da lui
sottoscritta che così recita: “Ad evitare
il quasi sicuro smarrimento del presente
Libro Visitatori della Capanna Milano, io
sottoscritto dottor Pier Luigi Viola, Sottotenente V° Reggimento Alpini, ritengo opportuno ritirarlo, assumendomi l’obbligo
di farlo pervenire alla Sezione di Milano
del Club Alpino, perché lo conservi nei
suoi archivi”.
Con grande preveggenza effettivamente
questo libro dei visitatori venne fatto pervenire in Sezione ed ancora oggi possiamo leggere con grande emozione gli scritti
delle eroiche gesta degli Alpini.
Riportiamo una delle tante scritte:
Sepolto con onori saluti dai suoi compagni Alpini e Volontari essendo alla Capanna Milano per proteggere e difendere
le Gloriose porte d’Italia contro l’invasore e barbari che fecero sorgere una guerra europea. Gloria al caduto e fortunato
lui che riposa tranquillo sotto queste belle
ghiaie nel suo suolo natio.
Alpino N. di Bergamo
A destra del titolo la
vissuta copertina del
libro visitatori della
Capanna Milano,
conservato grazie
alla preveggenza
del sottotenente Pier
Luigi Viola che alla
fine del conflitto si
premurò affinchè
fosse consegnato alla
Sezione: 148 pagine
di annotazioni dei
militari alpini che
parteciparono alle
operazioni militari
del 1915
Finita la guerra, il nostro socio, dottor
Guido Bertarelli, Capitano del V° Reggimento Alpini e Giuseppe Tuana Franguel,
aiutante di Battaglia, scrissero su questo
libro, sulle ultime sedici pagine, la conclusione delle operazioni militari svoltesi
nella zona.
Renato Lorenzo
5 LG_dicembre 2014
Recensioni
Un volume per il nostro Gran Zebrù
I
Qui sopra la
copertina del
libro L’anima del
Gran Zebrù, 150
anni di storia,
racconti, itinerari
della più bella
montagna delle
Alpi Orientali di
Davide Chiesa (ed.
Idea Montagna
formato 16x24
cm, 288 pagine a
colori). Il volume
è liberamente
consultabile presso
la nostra biblioteca
Luigi Gabba
l Gran Zebrù/Koenigsspitze non
è una montagna qualsiasi, eppure è strano che sinora nessun
autore le abbia dedicato un’opera
omnia che indubbiamente si merita. Essa ha tutto, infatti, per non
passare inosservata: imponenza,
originale doppio toponimo per una
scintillante bellezza, vicende storiche oscure. Tutto quanto le ruota
intorno costituisce argomento di
interesse e curiosità, persino di mistero per casi irrisolti o poco chiari.
A colmare la lacuna si è dedicato
Davide Chiesa, il quale ha creato
un bel volume che è molto più di
una sia pur completa monografia.
L’opera inizia da valutazioni estetiche emerse nel corso del tempo, indi dalle
colonizzazioni nelle valli circostanti e da notazioni geologiche, per giungere ai primi approcci alpinistici, ove si inserisce immediatamente la principale vicenda misteriosa della
sua storia (quella della prima salita): Stephan
Steinberger partito da Trafoi e transitato dallo
Stelvio avrà raggiunto veramente la vetta del
Gran Zebrù nel lontano 1854?
Per risolvere uno dei pochi casi mai chiariti
della storia alpinistica ufficiale, l’autore per la
prima volta in Italia organizza un vera e propria inchiesta sulla vicenda. Percorre passo
passo l’itinerario descritto nel testo originale
di Steinberger (grazie alla traduzione di Raffaele Occhi) lungo i ghiacciai occidentali del
Gran Zebrù per individuare quella “costola
di roccia e neve che sta sopra all’enorme crepaccio” utilizzata al giovane seminarista per
raggiungere la cima. Ci sembra questa l’analisi più seria dopo quella dell’austriaco Friedmann che nel 1882 ripercorse l’itinerario
contestato per verificarne la tempistica. In seguito altri autori, nel 1806 e nel 1929, si sono
trovati concordi a tavolino nel ritenere fattore
decisivo di successo le perfette condizioni di
innevamento di allora, ma questo ovviamente
non poteva bastare! Ora abbiamo finalmente
un punto fermo.
Il volume di Davide Chiesa prosegue con
una grande carrellata sull’alpinismo classico
ed i suoi protagonisti (tutti i più bei nomi della storia delle Alpi), che hanno salito le creste
perfette e le pareti scintillanti del Gran Zebrù,
citando vari personaggi particolari, come ad
esempio l’originale prof. Minnigerode e naturalmente l’onnipresente Payer.
Nel contesto storico si inserisce poi la dolorosa ma eroica parentesi della “Grande Guer-
LG_dicembre 2014 6
ra”, che proprio sul Gran Zebrù ha visto la più
elevata battaglia del conflitto, le note vicende
del cosiddetto “Nido delle aquile” ed altri episodi incredibili, tipo quelli dei combattimenti
sulla “Suldengrat” o il tentativo nostrano di
sferrare un attacco lungo la “repellente” parete ovest, una parete che ancora cela i suoi
segreti…
Durante i ruggenti Anni trenta si gioca anche sul Gran Zebrù (con la sua Koenigswand)
la lotta per le pareti nord e le salite direttissime a goccia d’acqua, sino a giungere negli
Anni cinquanta quando esplode il fenomeno Kurt Diemberger. Questi supera in modo
non convenzionale la “Grande Meringa” e di
nuovo Davide Chiesa non si limita a scorrere
gli scritti sul tema, ma va a registrare la viva
voce dei protagonisti viventi (Diemberger e
Knapp) per fare chiarezza sulle due controverse verità.
Negli Anni Sessanta, col rilancio dell’alpinismo invernale, sul Gran Zebrù/Koenigsspitze si affaccia l’epopea dei giovani meranesi
Koessler, Drescher, Larcher e Breitenberger
(ai quali viene riservata una simpatica intervista). Ma vi è pure la vicenda della prima invernale della via Ertl che è stata di Jack Canali. E
lo sapevate che lo sci estremo è nato sul Gran
Zebrù? C’è anche questo.
Non mancano le curiosità locali legate alla
montagna: cose di Solda e cose di Valfurva,
la storia dell’orso e quelle del cervo e dell’aquila, e le avventure vissute in prima persona
dall’autore sulla mitica parete nord, una delle
quali a fianco del tirolese Kurt Ortler, la “guida dalle sette vite”.
Infine c’è l’alpinismo moderno, impostosi a
sud come a nord, i cui prodromi sono stati innescati da Eraldo Meraldi sul versante forbasco e per ora conclusi sul versante tirolese con
le gesta estreme vissute e descritte dai celebri
fratelli Riegler (i Rieglerbrothers).
Chiude l’opera la parte monografica con
strutture ed itinerari di accesso, elenco completo delle vie alpinistiche e relativi tracciati a
tela di ragno con difficoltà estive ed invernali.
La ricca documentazione iconografica, d’epoca storica e recente del tutto nuova, assicura l’immediata comprensione dei racconti
e delle vicende riportate. Parimenti la vasta
documentazione bibliografica consultata, di
fonte italiana come tedesca, che va dagli albori dell’alpinismo sino ai giorni nostri, rivela
la seria e paziente opera di ricerca messa in
campo dall’autore.
Lino Pogliaghi (Gism)
Canti di montagna
Di qua, di là del Piave
Q
ueste sono le parole di un vecchio canto alpino facente parte di una raccolta
di ben 250 canti che la Sezione di Milano ha
pubblicato in un volumetto, nel lontano 1953,
per festeggiare l’80° di fondazione della Sezione e distribuito gratuitamente a tutti i suoi
soci. Non si conosce l’autore del testo e della
musica risalente senz’altro al 1917, durante la
Prima Guerra Mondiale. Questa raccolta di
testi di canzoni ha il pregio di comprendere
tutto il repertorio italiano più conosciuto, dai
canti di guerra alle versioni dialettali, dalle
canzoni delle valli alpine. Molti saranno gli
incontri inattesi che permetteranno a coloro
che sfoglieranno il volumetto di cantare motivi famosi o rari nei testi completi. Comunque
c’è molto nel libretto e forse mancherà molto.
Tutti i canti hanno un’estetica che si comprende nell’ambientare immaginariamente sia i
motivi che le parole in luoghi e tra gente che
ha espresso così caratteristiche folkloristiche
e di sentimento. E occorre anche saper includere il canto di montagna tra le manifestazioni di gioia e di libertà che sono proprie della
vita dell’alpe. I canti della montagna sono
i canti della Patria, sono i canti che il padre
insegna al figlio, che la madre canta, con lieve rossore di pudicizia, quando la figlia è lì ad
ascoltare; ma sempre poesia, sempre nuova e
sempre bella.
Qui a sinistra la
copertina del volumetto
pubblicato nel 1953
per festeggiare l’80°
di fondazione della
Sezione di Milano e che
contiene ben 250 canti
di montagna; sotto una
spiritosa illustrazione
di uno dei più famosi
tra i canti degli alpini
* * *
Di qua, di là del Piave
ci stava un’osteria.
Là c’è da bere – e da mangiare
ed un buon letto per riposar.
E, dopo aver mangiato
mangiato e ben bevuto.
Le dissi oi bella se vuoi venire
questa è l’ora di far l’amor
Mi sì che vegnaria
per una volta sola
ma io ti prego – lasciarmi stare
chè son figlia da maritar.
Se sei da maritare
dovevi dirlo prima
Or che sei stata – coi vecchi alpini
non sei figlia da maritar.
E dopo nove mesi
è nato un bel bambino,
non beve il latte, ma succhia il vino
perché l’è figlio di un vecchio alpin.
7 LG_dicembre 2014
Commissione culturale
Il K2, Comici e l’alpinismo secondo
Marco Ferrari. Il 2015 riparte con l’Orsa!
T
Qui sotto la copertina
del romanzo “Il
soffio dell’Orsa” che
l’autore Rosario
Fichera presenterà il 3
febbraio al Cai Milano
con la collaborazione
di Carola Caruso e
del Trio Cavalazzi e
con la collaborazione
del Parco Nazionale
Adamello Brenta, che
sarà presente nella
persona di Gilberto
Volcan uno dei
massimi esperti del
progetto “Life Ursus”
per la reintroduzione
di questa specie sulle
nostre montagne.
re serate speciali hanno completato e
coronato un ricco anno di iniziative culturali organizzate presso la sede di via Duccio di Boninsegna. A due anni di distanza
dal sofferto trasferimento sembra che i soci
inizino a intendere gli ampi spazi e bene
attrezzati della nuova sede come un’opportunità e un vantaggio rispetto alle prestigiose ma esigue sale di via Pellico, e anche
a valutare positivamente la qualità di una
programmazione che nulla ha da invidiare
ai i fasti di un passato sezionale più ricco e
popoloso.
Il 14 ottobre una sala gremita ha accolto a
braccia aperte Mirella Tenderini alle prese
con la sua ultima fatica letteraria “Tutti gli
uomini del K2” (Corbaccio 2014). E sempre in tema di presentazioni letterarie resta
alle cronache il lancio presso la nostra sezione del libro “Alpinismo Eroico” di Emilio
Comici, un volume che l’editore milanese
Hoepli ha voluto riproporre quest’anno in
ristampa anastatica con le postfazioni di
Spiro dalla Porta Xydias e di Marco Albino
Ferrari. Marco ha accettato di raccontare il
“suo” Comici in un bell’incontro pomeridiano che si è svolto il 23 ottobre, con letture di
Carla Chiarelli e con la partecipazione straordinaria del dott. Ulrico Hoepli che ha colto l’occasione per gettare uno sguardo molto
interessato al nuovo assetto e al ricco patrimonio libraio della nostra biblioteca, rilanciando un interesse per la montagna che da
sempre contraddistingue l’editore milanese.
Ancora a Marco Ferrari e Alessandro Gogna dobbiamo la bella e partecipata serata
di presentazione del suo “Le prime le albe
del Mondo” (Laterza 2014), alla ricerca di
un alpinismo d’avventura attraverso un florilegio di storie di un passato recente, dove
l’esplorazione e all’arrampicata viaggiavano
ancora con il ritmo lento delle stagioni.
Due parole sulla composizione della Commissione culturale che si è venuta delineando a gennaio di quest’anno: oltre Lorenzo
Serafin in veste di coordinatore ne fanno
parte Luisa Ruberl, Marco Dalla Torre, Marco Polo che si sono concentrati su attività ed
eventi che possano, per varietà di contenuti
coinvolgere trasversalmente e in maniera
differenziata tutti i soci. La programmazione completa è consultabile nella sezione
culturale in www.caimilano.eu sotto il titolo
“archivio 2014”: incontri e conferenze che
hanno avuto un’ottima risposta da parte dei
LG_dicembre 2014 8
relatori coinvolti (complessivamente più di
30 ospiti, tra i più competenti e conosciuti
non solo nell’ambito della cultura di montagna) che si sono dimostrati sempre ben
felici di partecipare a serate firmate Cai Mi,
hanno portato competenza e affabilità e creato occasioni di grande interesse e coinvolgimento, di cui in parte è stato riferito con
brevi relazioni sul sito e qualche articolo sul
blog www.MountCity.it che da qualche tempo raccoglie gli umori e le suggestioni di una
metropoli alpina come Milano.
E il 2015 riparte con l’Orsa, grazie a Rosario Fichera, scrittore giornalista di origini
siciliane – i più attenti ricorderanno “Libero di concatenare” (Vivalda 2010) scritto a
quattro mani con l’alpinista Franco Nicolini – che proporrà il 3 febbraio una serata
dedicata al suo recente romanzo “Il soffio
dell’Orsa”. Per far vivere al pubblico alcuni frammenti del suo romanzo, il cui titolo
s’ispira al modo di comunicare delle mamme orse con i loro piccoli, è stata coinvolta
l’attrice e musicista Carola Caruso e il trio
d’archi Cavalazzi che accompagnerà letture
e immagini con un percorso musicale opportunamente selezionato da un repertorio
di brani classici e moderni arrangiati e adattati per l’occasione.
Il racconto sottolinea le qualità dell’animale orso, la sua possibilità di convivenza con
l’uomo, la sua sostanziale non pericolosità
per gli umani... sono argomenti che nei mesi
passati hanno dato luogo a un ampio dibattito, a seguito delle cronache del caso Daniza, e che nell’approccio di Rosario Fichera
sono trattati grazie a una sapiente soluzione
storico narrativa. L’autore sarà tuttavia ben
lieto di stimolare e rispondere con competenza e obbiettività a un pubblico interessato ai risvolti ambientalisti che il tema della
salvaguardia dell’orso pone nelle comunità
alpine, con riferimento particolare progetto europeo “Life Ursus”. Ad approfondire
questi aspetti ha accettato di partecipare
all’evento anche Gilberto Volcan, uno dei
massimi conoscitori dell’orso all’interno del
Parco Nazionale Adamello Brenta per cui
lavora e collabora come guida, veterinario
e divulgatore. Attraverso l’accostamento di
narrativa, recitazione, e la scelta di un percorso musicale fatto di suggestioni classiche
e contemporanee si prospetta una serata di
ascolti, di respiri e silenzi, adatta al pubblico
di tutte le età. ■
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Dicembre 2014